Capitolo 2 - Massimo Banfi

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Capitolo 2 - Massimo Banfi
Massimo Banfi
Cap. 2 - Gli errori
Capitolo 2
Gli errori
2.1
Errori di sensibilità, casuali e sistematici
Ogni processo di misura di una grandezza fisica, anche se condotto nel modo più attento possibile
e con lo strumento più raffinato a disposizione, non consente di conoscere con assoluta precisione
il valore cercato. Il valore “vero” di una grandezza fisica è quindi, di fatto, inconoscibile.
I motivi di questa limitazione sono molteplici e possiamo provare a elencare i più importanti:
1. sensibilità e precisione non infinita, ma limitata, degli strumenti utilizzati, come abbiamo già
spiegato nel capitolo precedente
2. modo di operare del tecnico di laboratorio, che in una ripetizione di misure identiche non può
agire perfettamente sempre allo stesso modo e che, quindi, altera con la sua sola presenza (anche se di pochissimo…) il valore di una misura
3. variazioni imponderabili delle condizioni ambientali (umidità e temperatura dell’aria, campi
elettrici e magnetici locali, attriti interni degli strumenti, presenza di polvere, spostamenti
d’aria, vibrazioni…).
Tutto ciò implica che ogni risultato sia inevitabilmente accompagnato anche da un “errore sperimentale” che impedisce la conoscenza perfetta e assoluta della grandezza presa in esame.
La parola errore sperimentale assume in questo caso una valenza completamente diversa da quella di “sbaglio” o di “procedimento non corretto”, volendo qui significare l’inevitabile limite alla
precisione con cui ogni misura di laboratorio può essere ottenuta.
L’ERRORE DI SENSIBILITA’ (su una misura singola) - Definiamo sensibilità la più piccola
quantità che lo strumento é in grado di misurare.
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Con un metro a nastro (del tipo di quello usato nei cantieri edili) possiamo valutare la misura di
una lunghezza fino al centimetro. Un normale righello da disegno ci consente di apprezzare il millimetro: con un “calibro” possiamo arrivare ad apprezzare il decimo di millimetro e con un “palmer” spingerci addirittura al centesimo di millimetro. Una sensibilità infinitamente piccola é di fatto impossibile da raggiungere. Per questo motivo lo strumento usato, qualunque esso sia, ci consentirà di misurare una grandezza fisica solo fino ad un certo limite.
Supponiamo, ora, di usare il metro a nastro per calcolare la lunghezza L di un banco scolastico.
Tale valore sia:
L = 78 cm
Poiché lo strumento non ci permette di apprezzare i millimetri (e qualunque valutazione “ad occhio” é da evitare perché poco scientifica e poco seria), siamo costretti ad esprime il risultato nel
modo seguente:
78 cm ± 1 cm
Questa notazione vuol dire che, nell’impossibilità di valutare il millimetro, dobbiamo supporre
che:
.) la lunghezza considerata cade sicuramente tra 77 cm e 79 cm
.) il valore centrale dell’intervallo L = 78 cm risulta essere il valore più ragionevole da attribuire alla lunghezza del banco
.) l’errore dovuto alla sensibilità dello strumento ammonta a ± 1 cm (che rappresenta quindi il limite con cui noi possiamo conoscere il valore “vero” della grandezza studiata).
Se invece eseguissimo la stessa misura con uno strumento più sensibile, potremmo arrivare a scrivere:
L = 78, 2 cm ± 0, 1 cm
con uno strumento di sensibilità pari a 0,1 cm
L = 78, 24 cm ± 0, 01 cm
con uno strumento di sensibilità pari a 0,01 cm
L = 78, 249 cm ± 0, 001 cm
con uno strumento di sensibilità pari a 0,001 cm.
GLI ERRORI CASUALI (su misure ripetute) - Torniamo a misurare la lunghezza L del banco
scolastico utilizzando il solito metro a nastro (sensibilità di 1 cm). Ripetendo la procedura una decina di volte, ci aspettiamo di ottenere sempre lo stesso risultato che, come appena detto, va
espresso in questa forma:
L = 78 cm ± 1 cm
Se invece usassimo uno strumento di sensibilità molto più elevata, in grado di valutare grandezze
inferiori al millesimo di centimetro, accadrebbe qualcosa di inatteso. I risultati, con nostra grande
sorpresa, inizierebbero a differenziarsi leggermente gli uni dagli altri e potrebbero essere così distribuiti:
78, 243 cm
78, 242 cm
78, 249 cm
78, 245 cm
78, 247 cm
78, 241 cm . . .
Come può essere spiegato un fatto del genere ?
La differenze tra un valore e l’altro sono molto piccole ed è per questo motivo che uno strumento
dalla sensibilità limitata (il metro a nastro) non è in grado di evidenziarle.
Tuttavia quello che è successo risulta decisamente contrario al nostro senso comune e la prima cosa che ci viene da dire é che qualcosa NON sta funzionando come dovrebbe. Ma non é così:
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l’aumento di sensibilità dello strumento ha fatto emergere di colpo i cosiddetti errori casuali o statistici. Il fenomeno é ben osservabile utilizzando in laboratorio una rotaia a cuscino d’aria e collegandola a un cronometro in grado di valutare tempi inferiori al millesimo di secondo. Ad esempio,
studiando il tempo impiegato da un carrellino a percorrere sulla rotaia uno spazio fissato, ripetendo
la misura più volte e confrontando i risultati così ottenuti, si nota subito che essi sono tutti leggermente diversi tra loro (anche se, vale la pena di ripeterlo, le differenze sono piccolissime…).
Diamo ora la seguente definizione: si dicono casuali quegli errori regolati dalla “legge del caso”
la cui origine é attribuibile a una somma di fattori non sempre ben identificabili e che sono solo in
parte prodotti dalla limitata precisione degli strumenti.
Come già spiegato all’inizio del capitolo, ma vale la pena ripeterlo, gli elementi in gioco che possono alterare casualmente il risultato di una misura sono da attribuire all’inevitabile imperfezione
dei sensi dell’osservatore, alle variazioni causali delle condizioni ambientali (campi elettrici e magnetici terrestri, variazioni di temperatura e di umidità dell’aria, vibrazioni, attriti … ),
all’impossibilità di ripetere un esperimento più volte con modalità identiche, agli attriti meccanici
interni degli strumenti.
Tali errori hanno le seguenti caratteristiche:
-) sono perfettamente casuali, cioè si distribuiscono in ugual modo sia in eccesso che in difetto rispetto al valore “vero” della misura
-) non possono essere eliminati, perché connaturali ad ogni esperimento di laboratorio.
-) possono e devono, però, essere correttamente analizzati con uno studio di tipo statistico in cui si
prenda in considerazione un numero molto elevato di misure eseguite con la stessa strumentazione
e, per quanto possibile, nelle stesse condizioni ambientali. Vedremo più avanti come fare.
GLI ERRORI SISTEMATICI (su misure singole o ripetute) - Si definiscono sistematici tutti
quegli errori dovuti a una errata taratura di uno strumento oppure al suo uso improprio.

Un esempio tipico di uso improprio é l’imprecisione che accompagna il cronometraggio manuale di intervalli di tempo estremamente brevi. L’inevitabile ritardo dovuto ai riflessi dello
sperimentatore introduce un errore, che nel migliore dei casi, é compreso tra 2 e 5 decimi di
secondo. Per questo motivo nelle gare sportive si fa largo uso di cronometraggi elettronici.

Un altro esempio di uso improprio si ha quando lo strumento é difettoso o tarato male. Una bilancia non perfettamente azzerata altera sempre nello stesso senso (cioè sempre in eccesso o
sempre in difetto) ogni misura effettuata.

Anche il cosiddetto errore di parallasse, errore dovuto a un cattivo allineamento tra
l’occhio dell’osservatore e la scala graduata
dello strumento utilizzato, é causa di errori
sistematici. Prendiamo, ad esempio, un termometro che sia posto sul muro a un’altezza
di circa un metro sopra della testa dell’osservatore. Poiché la colonnina di mercurio
scorre in leggero rilievo rispetto alla scala
graduata che ne dà posizione, se la lettura non
é effettuata lungo una direzione ad essa perpendicolare ma é ottenuta, ad esempio, guardando dal basso verso l’alto, la rilevazione
della temperatura risulta inevitabilmente so- 15 -
Fig.1. - L’errore di parallasse
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vrastimata perché il mercurio sembrerà arrivare in un punto diverso da quello effettivamente
raggiunto. Lo stesso avviene se consideriamo una bilancia, dove la misura è ricavata dalla posizione di un ago mobile (lancetta) sullo sfondo di una scala graduata: se l’osservatore non si
pone in asse, la lettura non sarà mai corretta (vedi figura).
In conclusione possiamo affermare che gli errori sistematici, a differenza dagli errori casuali e di
sensibilità, sono errori veri, nel senso che introducono nel processo di misura uno “sbaglio”. Possono (e devono) essere eliminati migliorando lo strumento utilizzato, correggendone i difetti e le
modalità d’impiego, controllandone con attenzione il funzionamento e la taratura.
Per questo motivo, d’ora in avanti, supporremo l’assenza di ogni tipo di errore strumentale.
2.2
Come scrivere un risultato sperimentale
Per tutto quanto detto in precedenza, affinché il nostro processo di misura sia scientificamente corretto, dobbiamo sempre comunicare il risultato con l’errore a esso associato. La scrittura assumerà
la seguente forma:
risultato = misura ± errore.
Vediamo ora come determinare l’errore nelle varie situazioni che si possono presentare e come
scrivere in modo “definitivo” la misura ottenuta.
2.3
Errori assoluti e percentuali
Quando l’errore è espresso nelle stesse unità di misura del valore misurato, come nel caso della
sensibilità dello strumento, si chiama errore assoluto ass .
Questa scrittura ha il pregio di essere particolarmente semplice e di facile comprensione, ma ha il
difetto di rendere difficilmente confrontabili misure eseguite su oggetti diversi. Dobbiamo, infatti,
considerare migliore la misura della statura di un uomo alto 1,80 m con un errore assoluto di un
millimetro o la rilevazione dell’altezza di una montagna la cui quota è stimata in 8 800 m, ma con
l’errore assoluto di un metro?
Per rispondere a tale domanda dobbiamo introdurre il concetto di errore percentuale, definito
come il rapporto tra l’errore assoluto e la misura moltiplicato per cento.
In formule:
% 
 ass
misura
100
Abbiamo così un errore dello 0, 056% sulla statura dell’uomo e dello 0, 01% sull’altezza della
montagna.
Eseguendo i conti:
 % (uomo) 
0,001 m
100  0,056 %
1,80 m
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1m
100  0,011 %
8 800 m
Ora i due errori possono essere facilmente confrontati e appare evidente come la seconda misura
sia migliore della prima (di circa cinque volte).
 % (montagna) 
2.4
Gli errori assoluti (in misure singole e ripetute)
L’errore di sensibilità - Se di una grandezza fisica abbiamo a disposizione una sola misurazione,
non abbiamo molte possibilità di scelta: l’errore assoluto da associare a tale valore deve necessariamente essere l’errore dato dalla sensibilità dello strumento.
Nel caso in cui sia possibile ripetere più volte l’esperimento abbiamo visto che può accadere di ottenere misure tutte leggermente diverse tra loro. Si può allora dimostrare che la “miglior stima”
della grandezza studiata è semplicemente fornita dal valore medio delle misure ottenute, e che tale
valore è tanto più attendibile quanto più è elevato il numero di misure effettuate. Dobbiamo ora
capire come deve essere calcolato in questo caso l’errore assoluto che accompagna il valore medio.
La semidispersione (o semidifferenza) - Supponiamo di ripetere una misura più volte mettendoci
nelle stesse condizioni ambientali ed usando lo stesso strumento dall’elevata sensibilità.
I valori che si ottengono siano i seguenti:
0,111 m
0,112 m
0,108 m
0,108 m
0,116 m
0,109 m
0,113 m.
Definiamo semidifferenza o semidispersione SD di una serie di misure il valore
SD = (Max − min) : 2
Nel nostro caso abbiamo:
SD = (0,116 m − 0,108 m) : 2 = 0,004 m
Se la misura che abbiamo eseguito è stata ripetuta un numero non elevato di volte, la semidispersione rappresenta l’errore assoluto, di origine casuale, da associare al valore medio M = 0,111 m.
Nel nostro caso possiamo allora scrivere:
M = 0,111 m ± 0,004 m
La deviazione standard  - Se i dati a nostra disposizione sono molti e tutti ottenuti dalla ripetizione della stessa misura nelle identiche condizioni sperimentali, il concetto di semidispersione è
statisticamente troppo debole per assolvere il compito di rappresentare correttamente l’errore assoluto da associare al valor medio xm di una serie di valori x1, x2, x3, . . . xn. A tal fine bisogna introdurre la deviazione standard, definita come la radice quadrata della media del quadrato degli
scarti tra le singole misure e il valore medio.
In formule:
( xi  x m ) 2
 
N
i 1
N
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Analizziamo la definizione passo per passo per comprenderla al meglio.
Siano date, ad esempio, le seguenti misure di cui xi è la generica misura i-esima, con l’indice i che
può assumere un valore qualsiasi tra 1 e 5 (consideriamo per semplicità solo 5 misure):
x1 = 22
x2 = 24
x3 = 18
x4 = 19
x5 = 27
Il valore medio è: xm = 22.
Creiamo una tabella in questo modo:
.) nella prima colonna mettiamo la serie delle misure
.) nella seconda colonna gli scarti rispetto al valore medio, cioè le quantità (xi – xm)
.) nella terza colonna il quadrato dei singoli scarti, quindi il valore (xi – xm)2
.) nella quarta colonna scriviamo la media di tali scarti
.) nella quinta colonna, la radice quadrata di questo valore, che è la deviazione standard 
cercata.
La procedura di calcolo può essere automatizza e velocizzata utilizzando una comune calcolatrice
scientifica oppure un foglio elettronico come Microsoft Excel. In quest’ultimo caso, ad esempio,
una volta riportate le cinque misure da analizzare nelle celle A1, A2. . . A5, basta scrivere in
un’altra cella a scelta l’espressione:
= DEV.ST.POP(A1: A5)
e automaticamente, una volta confermata la procedura con il tasto RETURN, compare nella stessa
cella il valore cercato.
Se le misure da analizzare sono molte, ci sono delle profonde giustificazioni teoriche per preferire
la deviazione standard alla semidispersione. Tali motivazioni saranno trattate in un prossimo capitolo.
( xi  xm ) 2

N
i 1
N
xi
(xi – xm ) (xi – xm )2
22
0
0
24
2
2
18
-4
16
19
-3
9
27
5
25
10,8
( xi  xm ) 2
 
N
i 1
N
3,286
Tab. 1 – Calcolo della deviazione standard di 5 misure rispetto al valore medio xm = 22.
Osservazione: nella quarta e nella quinta colonna della tabella si è diviso in entrambi i casi per N,
che è il numero di misure studiate. In alcuni testi la divisione è invece effettuata per (N-1). Noi non
seguiremo questa impostazione, che pure ha delle giustificazioni matematiche di tutto rispetto per
essere utilizzata.
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2.5
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Errore assoluto e cifre significative
Consideriamo sempre una serie di misure ripetute, il loro valore medio e il corrispondente errore
assoluto. Sia, per esempio:
misura = 5,728273 cm ± 0,0479219 cm
Come possiamo esprimere il risultato nel modo corretto, tenendo conto solo delle cifre significative e non di quelle fornite dalla calcolatrice nei vari calcoli ??
Notiamo come la prima cifra diversa da zero nell’errore assoluto sia il 4: questo vuol dire che
l’errore sulla misura inizia con la seconda cifra decimale, cioè il centesimo. Come diretta conseguenza di ciò, anche le cifre della misura inizieranno a diventare incerte a partire dal secondo decimale. E’ allora ragionevole eseguire l’approssimazione in questo punto: le cifre che seguono la
seconda posizione decimale non hanno più significato perché non sono state realmente misurate.
Il risultato può essere così espresso:
misura = 5,73 cm ± 0,05 cm
dove, in questo caso, si è resa necessaria una approssimazione per eccesso sia sull’errore che sul
valore della misura.
Se invece, con un altro esempio, avessimo una scrittura del tipo:
misura = 0,6954 cm ± 0,00425 cm
dovremmo approssimare in questo modo
misura = 0,695 cm ± 0,004 cm.
Concludendo, possiamo affermare che a meno di eccezioni vale la seguente regola:
la scrittura delle cifre significative di una misura finisce dove inizia l’errore, cioè nella posizione
decimale della prima cifra diversa da zero dell’errore assoluto.
2.6
La legge di propagazione degli errori (misure indirette)
Consideriamo ora misure indirette, ottenute cioè tramite un calcolo algebrico, e proponiamoci di
calcolare l’errore assoluto sul risultato.
Calcoliamo il perimetro e l’area di un rettangolo i cui lati b e h siano, rispettivamente:
b = 12,6 cm ± 0,4 cm
h = 25,84 cm ± 0,05 cm
Un rapido conto porta ai risultati:
perimetro = 76, 88 cm ± ass
Area = 325, 584 cm2 ± ass
Come calcolare il valore assoluto associato all’area e al perimetro e con quante cifre significative
si devono esprimere i due risultati??
La risposta si basa sulla legge di propagazione degli errori che si riassume in tre semplici regole
(che qui non dimostriamo):
1) in una somma o una differenza di misure, l’errore totale associato al risultato è dato dalla
somma dei singoli errori assoluti
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2) in un prodotto o in un rapporto di misure, l’errore totale associato al risultato è la somma
dei singoli errori percentuali
3) in una potenza o in un’estrazione di radice di una misura, l’errore totale associato al risultato è dato dall’errore percentuale sulla base, moltiplicato per l’esponente.
Applichiamo quanto detto all’esempio in questione.
Poiché il perimetro è la somma dei quattro lati del triangolo, l’errore assoluto sul totale sarà semplicemente uguale alla somma degli errori assoluti dei quattro lati:
perimetro = 76, 88 cm ± (0,4 + 0,4 + 0,05 + 0,05) cm
perimetro = 76,88 cm ± 0,9 cm
perimetro = 76,9 cm ± 0,9 cm
(scritto con la corretta approssimazione).
Per quanto riguarda l’area, il procedimento è un po’ più complicato perché al risultato si perviene
attraverso una moltiplicazione. Dovremo quindi calcolare gli errori percentuali su ogni misura di
partenza e poi sommarli per ottenere l’errore percentuale totale.
Quindi:
0,4
 100  3,17 %
12,6
0,05
 %h 
 100  0,19 %
25,84
 %TOT  3,17 %  0,19 %  3,36 %
 %b 

Area  325,584 cm 2  3,36 %
A questo punto dobbiamo trasformare l’errore percentuale in errore assoluto per eseguire correttamente le approssimazioni sul risultato. Otteniamo:
 ass 
%
 misura  10,6140384 cm 2
100
Area  326 cm 2  11cm 2
(approssimando correttamente il risultato )
Si noti come il risultato, di per sé, potrebbe essere lasciato con l’errore percentuale, ma così facendo non sarebbe poi possibile eseguire le indispensabili approssimazioni sul totale.
2.7
Misure uguali: l’intervallo di confidenza
Se ogni misura di laboratorio è, per sua natura, sempre accompagnata da un errore sperimentale,
come possiamo regolarci per sapere se due valori sono uguali?
Facciamo l’esempio di oggetti apparentemente identici che siano stati pesati con lo stesso strumento e nelle stesse condizioni ambientali. Le misure delle loro masse sono le seguenti:
A = 250 g ± 6 g
B = 247 g ± 4 g
Come possiamo capire se le masse sono identiche?
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Per dare una risposta, dobbiamo considerare il cosiddetto intervallo di confidenza, cioè un intervallo centrato sul valore medio e di raggio pari all’errore assoluto in cui “si confida”, in termini
statistici, che sia compreso il “valore vero” della grandezza fisica studiata.
Nel caso di A tale intervallo parte da 244 g ed arriva fino a 256 g.
Nel caso di B, invece, l’intervallo inizia a 243 g e finisce a 251 g.
Introduciamo ora la seguente ragionevole regola:
due misure sperimentali possono essere ritenute uguali se i loro intervalli di confidenza si sovrappongono almeno in parte.
Nel nostro caso la sovrapposizione esiste: le due masse possono quindi essere considerate uguali
(in senso statistico).
Se si usa come errore assoluto il valore fornito dalla deviazione standard , ci sono delle profonde
motivazioni matematiche (che affronteremo nel prossimo paragrafo parlando della Curva di
Gauss) in base alle quali bisogna porre l’ampiezza dell’intervallo di confidenza pari a 2.
2.8
La curva di Gauss
Prendiamo dieci monete e per ognuna di esse individuiamo la faccia che presenta una “testa” e
quella che riporta una “croce” (oppure due simboli analoghi). Mettiamo le monete in un bicchiere,
agitiamole e riversiamole su un tavolo. Prendiamo nota di quante sono le monete che presentano il
simbolo che abbiamo identificato con “testa”. Ripetiamo la procedura un centinaio di volte, sempre prendendo nota del numero di monete che dopo il lancio presentano il simbolo “testa” e raccogliamo i risultati in una tabella come la seguente:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
numero di “teste”
frequenza dell’evento 2 2 9 17 27 21 12 5 4 1
Istogramma
5
4,5
4
Frequenza
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
13
11
9
7
0
Classe
Fig. 3 – Curva di gauss e deviazione standard
Fig. 2 – Istogramma delle frequenze
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Se ora, a partire da questi dati, ne costruiamo l’istogramma (cioè il diagramma a barre che esprime
quante volte una misura si è ripetuta), otteniamo il grafico di Fig. 2.
Con questa procedura abbiamo simulato il processo di misura di una variabile che può assumere
valori da 1 a 10 (il numero di teste) con valore medio pari a 5 (5 è il valore più probabile, quello
per il quale le probabilità di ottenere testa o croce sono equivalenti).
La situazione descritta è perfettamente simile al caso in cui si considerino i valori assunti da una
grandezza fisica misurata sperimentalmente. L’unica differenza è che nella realtà la variabile fisica
può assumere un qualsiasi valore compreso tra 0 e 10 e non solo valori interi: quindi anche risultati
pari a 1,77 oppure 8,7654 sono possibili. In tale situazione, se ripetiamo la misura un numero infinitamente grande di volte, le barre dell’istogramma tendono ad assottigliarsi perché gli intervalli in
cui raccogliere le misure diminuiscono di ampiezza. Il grafico viene ad assumere l’aspetto di una
curva continua dalla caratteristica forma a campana: la curva di Gauss. L’approssimazione è tanto
migliore quanto più sono i punti utilizzati (vedi Fig. 3).
La curva così ottenuta, detta anche gaussiana oppure curva degli errori, ha le seguenti importanti
proprietà:
1) ogni punto della curva individua una singola misura e quante volte il suo valore si è ripetuto
2) il vertice rappresenta il valore che si è ottenuto più frequentemente: si può dimostrare matematicamente che tale valore coincide con il valore medio della serie delle misure
3) se gli errori sono solo di tipo casuale, e non sistematico, la gaussiana è simmetrica rispetto al
vertice. Ciò significa che si ha la stessa probabilità di avere misure in eccesso che in difetto rispetto al valore medio
4) la larghezza della gaussiana è un indice di precisione delle misure effettuate, essendo in ovvia
relazione con la dispersione casuale delle misure attorno al valore medio. Se abbiamo due serie di
misure della stessa grandezza fisica, la serie a cui corrisponde una gaussiana più stretta è quella più
precisa
5) Si può dimostrare che la larghezza della curva di Gauss a metà della sua altezza coincide con il
doppio della deviazione standard 
6) se il numero di misure è estremamente elevato (in teoria tendente all’infinito), si dimostra che:
.) il 50% delle misure è maggiore di xm , il 50% minore
.) il 68,3% di esse cade nell’intervallo (xm ± 
.) il 95,5% di esse cade nell’intervallo (xm ± 2 )
.) il 99,7% di esse cade nell’intervallo (xm ± 3 )
E’ importante non dimenticare il significato esclusivamente statistico di queste affermazioni: la
concordanza tra teoria e pratica sarà perfetta solo nel caso di un numero infinito di misure, condizione impossibile da ottenere nella realtà.
Possiamo però capire, adesso, perché la deviazione standard sia il miglior indicatore degli errori
casuali: la giustificazione risiede nella curva di Gauss. La deviazione standard ne rappresenta il
parametro di larghezza, e quindi il miglior indice della dispersione delle misure ad opera degli errori casuali.
Inoltre, un intervallo di confidenza ampio ± 2 abbraccia di fatto quasi tutta la curva e ad esso
corrisponde una probabilità del 95,5% di comprendere il valore “vero” della grandezza fisica stu- 22 -
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diata. Se invece dovesse capitare che anche costruendo intervalli di confidenza di ampiezza pari a
tutta la gaussiana, cioè di larghezza ± 3, questi NON dovessero sovrapporsi, allora vorrebbe dire che le due misure analizzate sono da considerarsi diverse.
Si può realizzare anche un caso ambiguo: gli intervalli di confidenza di larghezza pari a ± 2
NON si sovrappongono, ma quella calcolati a ± 3danno sovrapposizione: in una situazione critica come questa, purtroppo, non possiamo essere sicuri né dell’uguaglianza né della diversità delle
misure. L’esperimento dovrebbe essere ripetuto cercando di ottenere risultati più precisi, migliorando, ad esempio, le procedure seguite o la qualità degli strumenti usati.
2.9
… in conclusione
Abbiamo detto nel paragrafo 2.2 che il modo corretto per esprimere una misura sperimentale è il
seguente:
risultato = misura ± errore.
Abbiamo poi visto nei paragrafi successivi che, per determinare l’errore, si possono presentare vari
casi:
Misura singola
l’errore assoluto è la sensibilità dello strumento
Misure ripetute (poche)
l’errore assoluto è la semidispersione
Misure ripetute (molte)
l’errore assoluto è la deviazione standard 
l’errore assoluto è calcolato con il procedimento della propagazione degli errori (nel caso di
misure sperimentali di laboratorio), oppure con
le regole veloci delle cifre significative (nel caso della risoluzione di esercizi e problemi).
Misure indirette (formule)
In tutti questi casi l’errore, trattandosi di un errore assoluto, è fondamentale per una corretta approssimazione del risultato finale.
2.10 Tipi diversi di media
Uno studente ha preso i seguenti voti nella stessa disciplina:
7
6
6
9
8
4
5
5
7
7
6
7
3
Se si vuole calcolare la media, il procedimento è noto: bassa sommare tutti i valori tra loro e dividere per il numero delle misure: 13, nel nostro caso. Si ha, quindi:
media = (7+6+6+9+8+4+5+5+7+7+6+7+3) / 13 = 80/13 = 6,15
Procedendo in questo modo, lo studente ha ottenuto la cosiddetta media aritmetica dei suoi voti.
Ci sono altri modi di eseguire una media. Supponiamo che dei 13 voti considerati i primi 5 siano
relativi a prove scritte (che il professore considera più importanti) e gli ultimi 8 a prove orali. Il
professore di questa materia attribuisce un’importanza 1,5 volte superiore alle prove scritte: in statistica si dice che questi numeri hanno un “peso” maggiore, e nel nostro caso il loro peso è 1,5
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mentre il “peso” delle prove orali è 1. Nel calcolare la media dello studente bisogna allora tenere
conto che i voti da analizzare NON hanno tutti la stessa importanza. Per far ciò si deve eseguire
quella che si chiama media pesata, così costruita:
media pesata = (x1 ∙ peso1 + x2 ∙ peso2 + x3 ∙ peso3 + ……….. xN ∙ pesoN ) / (somma dei pesi)
Otteniamo quindi:
(7∙1,5 + 6∙1,5 + 6∙1,5+ 9∙1,5 + 8∙1,5 + 4∙1 + 5∙1 + 5∙1 +7∙1 + 7∙1 + 6∙1 + 7∙1 + 3∙1) / (15,5) = 6,32
media = 6,32
Si può notare facilmente come i risultati ottenuti NON siano identici, ancorché simili.
Si definisce media geometrica la radice ennesima del prodotto dei valori considerati. Ad esempio, la media geometrica di 7 e 8 è:
media geometrica = √(7 ∙8) = √56 = 7,48
valore ancora molto vicino alla media aritmetica (7,5).
Un altro importante indicatore statistico è la moda, definito come il valore che compare più frequentemente. Riprendiamo in esame i voti dello studente e mettiamoli per comodità in ordine crescente:
3
4
5
5
6
6
6
7
7
7
7
8
9
La moda di questo insieme numerico è il numero 7 perché compare con maggiore frequenza. La
moda rappresenta così il valore più probabile della distribuzione numerica.
L’ultimo indicatore statistico che trattiamo è la mediana, definita come il valore centrale di un insieme ordinato di elementi.
Consideriamo ancora i voti del nostro studente e, anche in questo caso, ordiniamoli dal minore al
maggiore: questo passaggio, però, è ora obbligatorio. Il valore “centrale” è rappresentato dal terzo
6 della serie perché questo elemento ha sei numeri sia alla sua destra che alla sua sinistra. Esso è la
mediana cercata.
Nel caso in cui i valori considerati siano in numero pari (14 invece che 13, ad esempio), esistono
“due” elementi centrali, non uno solo: la mediana sarà comunque facilmente calcolabile eseguendo
la media di questi due elementi.
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