Stock option: la nuova disciplina fiscale
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Stock option: la nuova disciplina fiscale
Stock option: la nuova disciplina fiscale Sommario: 1) Cosa sono le stock option; 2) L’evoluzione della disciplina fiscale in materia di stock option; 3) La Prassi; 4) Le critiche alla disciplina e la recente riforma; 5) Conclusioni Cosa sono le stock option Le stock option sono opzioni che danno il diritto di acquistare azioni di una società (quotata) ad un determinato prezzo d'esercizio (detto strike). Azioni e opzioni vengono distribuite come incentivo ad aumentare la produttività. Le azioni vengono valorizzate ad un prezzo inferiore al prezzo di mercato (la quotazione di borsa al momento della vendita) contro la legge di concentrazione che prevede che qualsiasi scambio di azioni da parte di qualunque soggetto economico, non possa avvenire al di fuori della borsa. Il conferimento però è legittimo poiché il dipendente non paga le azioni/opzioni. Le azioni in quanto sono un frazionamento della proprietà dell'impresa, come qualunque proprietà, possono essere infatti cedute gratuitamente o contro un prezzo e la legge di concentrazione impone lo scambio in Borsa solo in caso di vendita, ma non dà limiti alla donazione. Tale meccanismo consente un'opportunità di guadagno mediante la rivendita o l’esercizio delle stesse opzioni in Borsa, quando il prezzo d'esercizio fissato è inferiore al valore al quale è quotato il titolo il giorno del conferimento dell'opzione, o nei giorni precedenti. Fino al 25 giugno 2008, data di entrata in vigore del D.L. 112/2008, il plusvalore realizzato non doveva essere inserito nella dichiarazione dei redditi con il sistema della tassazione ordinaria e progressiva per scaglioni, ma era assoggettato ad un'imposta sostitutiva del 12,50% secondo il regime del capital gain. L’evoluzione della disciplina fiscale in materia di stock option Questo trattamento fiscalmente favorevole era subordinato però alla sussistenza di varie condizioni ed era comunque il frutto finale di varie modifiche normative succedutesi nel tempo. La lettera g-bis dell’articolo 51, comma 2 del Tuir prevedeva infatti in origine l’esenzione di una parte del reddito di lavoro dipendente pari alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione del diritto di pozione e l’ammontare corrisposto dal dipendente per l’esercizio dell’opzione, a condizione che l’importo pagato dal lavoratore fosse almeno pari al valore delle azioni alla data dell’offerta e che le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentassero una quota superiore al 10%. L’articolo 36, comma 25 del DL 223/2006 (legge 248/2006), con valenza tra il 04 luglio 2006 e il 02 ottobre 2006, era poi intervenuto ad aggiungere altre condizioni in mancanza delle quali la differenza costituiva comunque reddito di lavoro dipendente. Le azioni offerte infatti, a seguito della citata modifica normativa, non dovevano essere cedute, né costituite in garanzia prima di cinque anni dall’assegnazione e il valore delle azioni assegnate non doveva essere complessivamente superiore, nel periodo di imposta, alla retribuzione lorda annua del dipendente relativa al periodo di imposta precedente. L’articolo 3, comma 12, del decreto legge n. 262 del 3 ottobre 2006 ha poi sostituito le previsioni introdotte dal comma 25 dell’articolo 36 del Dl “Visco-Bersani”. Tale ultima norma, peraltro, nel testo iniziale, aveva già previsto l’eliminazione della disciplina agevolativa in materia di stock options e l’abrogazione della citata letteera g-bis) dell’articolo 51). Tale eliminazione era però poi stata accantonata a favore di un’integrazione del comma 2-bis dell’articolo 51 del Tuir, mediante l’aggiunta delle condizioni prima citate. Il collegato fiscale alla Finanziaria 2007 (articolo 3, comma 12 del Dl 262/2006 convertito in legge 286/06) ha dunque eliminato il parametro retributivo e ha introdotto nuove condizioni ai fini del diritto all’esenzione, stabilendo che l’opzione doveva essere esercitabile non prima di tre anni dall’attribuzione, che, al momento dell’esercizio dell’opzione, la società fosse quotata in mercati regolamentati e, infine, che il beneficiario mantenesse, per almeno cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione, un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente. Tali disposizioni, come detto, hanno esplicato la loro efficacia tra il 03 ottobre 2006 e il 24 giugno 2008. La Prassi In data 19.01.2007 era stata peraltro emanata una Circolare applicativa dell’Agenzia, la n. 1/2007[1], che spiegava gli effetti della disciplina in materia di stock options. In particolare, come la Circolare, con riferimento alla prima condizione (che l'opzione fosse esercitabile non prima che fossero scaduti tre anni dalla sua attribuzione), spiegava che la norma intendeva incentivare il processo di fidelizzazione dei destinatari dei piani di stock option e che tale condizione andava comunque verificata in concreto secondo le specifiche previsioni contenute nei piani deliberati dalle societa'. A tal fine, secondo la Circolare, i piani in corso, gia' deliberati prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, ove non prevedevano un termine per l'esercizio dell'opzione, oppure ove prevedevano un termine inferiore ai tre anni, potevano essere adeguati per poter usufruire dell'agevolazione, senza che tali modifiche costituissero fattispecie novative. Per quanto riguardava poi la seconda condizione posta dalla norma (che al momento in cui l'opzione era esercitabile, la societa' risultasse quotata in mercati regolamentati), la Circolare osservava “come non sia sufficiente il fatto che la quotazione delle azioni sia stata semplicemente disposta, essendo necessario che le azioni risultino effettivamente negoziate nei mercati regolamentati al momento in cui l'opzione e' esercitabile”. Infine per quanto riguardava la terza condizione (il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi all'esercizio dell'opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente), a differenza della norma previgente che imponeva un vincolo di indisponibilita' delle azioni assegnate per un periodo quinquennale, la nuova norma prevedeva che il beneficiario dovesse mantenere per almeno i cinque anni successivi all'esercizio dell'opzione non tutte le azioni ricevute, bensi' un "investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente". Le critiche alla disciplina e la recente riforma Tale disciplina era stata però criticata per alcune sue incongruenze, essendo stato infatti evidenziato come l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 51, comma 2, lettera b-bis) del Testo unico delle imposte sui redditi, come modificata dal decretolegge n. 223 del 2006 e, successivamente, dal decreto-legge n. 262 del 2006, potesse comportare fenomeni di doppia imposizione fiscale. In tal caso l'imposta pagata in più, come anche confermato dalla citata Circolare, poteva essere chiesta a rimborso, ai sensi dell'articolo 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Qualora poi i termini per esperire l'istanza di rimborso fossero scaduti il contribuente poteva' attivare la procedura di cui all'articolo 21, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ossia presentare domanda di restituzione dell'imposta entro due anni dal giorno in cui si era verificato il presupposto per la restituzione (cioè dal momento della cessione delle azioni prima dello scadere del quinquennio). Forse anche per eliminare tali tipi di problemi e incongruenze l'art. 82, commi 23 e 24 del d.l. n. 112/2008 ha infine stabilito che “23. Nel comma 2 dell’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1986, n. 917, la lettera g-bis) è abrogata. 24. La disposizione di cui al comma 23 si applica in relazione alle azioni assegnate ai dipendenti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, cancellando così l’agevolazione sulle stock option. Il DL 112/08 ha infatti eliminato ogni regime di favore, prevedendone la tassazione integrale. Con un emendamento previsto dal Governo è stato però all’ultimo stabilito che, pur restando la tassazione progressiva (al posto dell’imposizione al 12,5%), vi sia comunque un’esenzione (totale) contributiva (come già accade per il TFR). L’abrogazione dell’agevolazione per le stock option riguarda del resto non solo i “nuovi” piani, ma anche a quelli già deliberati per i quali, alla data di entrata in vigore del DL n. 112/08 (25 giugno 2008), le opzioni non siano state ancora esercitate. L’agevolazione continuerà, pertanto, a produrre i propri effetti solo con riferimento ai diritti di opzione esercitati (“azioni già assegnate”) prima dell’entrata in vigore del provvedimento[2]. D’ora in poi, dunque, all’esercizio delle opzioni, la differenza fra il valore normale delle azioni assegnate e il corrispettivo pagato concorrerà a formare il reddito imponibile del dipendente. La successiva cessione delle azioni determinerà poi, come detto, la tassazione dell’eventuale capital gain. Ex articolo 68 comma 6 del Tuir, però il valore normale delle azioni assegnate costituirà costo fiscalmente riconosciuto, da sottrarre dal corrispettivo della successiva vendita delle azioni. Le novità riguardano in ogni caso solo le stock option e non i piani di azionariato promossi a favore dei lavoratori. In tal caso infatti vale ancora quanto disposto dalla lettera g) dell’articolo 51 del Tuir che esenta da tassazione il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo fino a 2.065,83 nel periodo di imposta. Sempre che le stesse azioni non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano passati almeno tre anni dalla percezione. Conclusioni L’agevolazione prevista per le stock option rispondeva al contempo ad esigenze di premio fiscale per una forma di retribuzione variabile e ad esigenze imprenditoriali, laddove in particolare la disposizione di esenzione di cui alla lett. g-bis mirava a creare valore d’impresa e a trattenere i dipendenti più capaci. Agevolazioni di natura tributaria e contributiva sono del resto in linea con i principi costituzionali di cui all’art. 46 Cost., che stabilisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende e 47, comma 2, Cost., che riconosce l’accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario. O, almeno, sono in linea con tali principi fino a che rappresentano una sorta di premio aggiuntivo a fronte dell’impegno profuso da un imprenditore-manager per il bene dell’azienda. Agevolazioni fiscali in tal senso non erano invece più giustificate in un contesto in cui non vi era più un rapporto chiaro fra impegno profuso, risultati conseguiti e stock options stesse. Giovambattista Palumbo [1] In Servizio Documentazione economica e tributaria http://dt.finanze.it. [2] Questa decorrenza immediata non sembra rispettare però il principio di tutela dell’affidamento per chi ha aderito ai piani confidando che, rispettando le condizioni previste, avrebbe conseguito l’agevolazione all’esercizio delle opzioni)