Pan Paniscus

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Pan Paniscus
Pan Paniscus
All'irrefrenabile desiderio di ardere.
Capitolo 1
Ancor prima di farla salire in macchina la sua fronte era in
fiamme. Per capirlo fu sufficiente osservare lo sguardo
sfinito di Gemma che si perdeva nel torpore del paesaggio
fuori dal finestrino. Mentre i vetri si appannavano in quella
febbre esacerbante, la bruma che circondava la strada si
adattava perfettamente con il delimitare dei sempreverdi.
La carreggiata era una solitudine di curve discordanti e
profonde. Nei rettilinei Joseph aveva il tempo di controllare
l'aggravarsi delle condizioni della moglie, mentre sui sedili
posteriori, Mary e Sophia dormivano beate. Le bambine si
erano addormentate all'istante perché il viaggio le aveva
sfiancate. Rivedere la loro madre dopo tutti quei mesi le
aveva talmente eccitate che il brivido aveva consumato le
loro forze in un solo e breve pomeriggio ottobrino.
Sull'asfalto bagnato si era appena riversata una debole
pioggia e le poche foglie caduche svolazzavano seguendo il
malvagio gioco dei copertoni delle ruote. In un mezzo
turbinio dettato dall'impeto della vettura, la natura,
staccatasi dal ramo della vita, era vittima di un moto
artificiale ed effimero. Ora che nessuno avrebbe più nutrito
quelle foglie, le poche automobili che passavano di lì si
divertivano ad allontanarle dal loro luogo natio.
Le colline circostanti erano attraversate da infinite
distese di abeti e felci che si perdevano con la possibilità
dello sguardo di sovrastarle. Immergersi in quelle salite
serpeggianti che si inerpicavano per la montagna, donava ai
sensi un sentimento non dissimile al riposo, condito a
momenti alterni dallo spietato silenzio della natura
incontrastata. Il verde e il verde scuro erano i re indiscussi
del percorso che portava alla clinica psichiatrica sul
delimitare dell'Olympic National Park, nel suo lato più
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occidentale, dove pecci e abeti si ricoprivano di muschio
tanto da formare fresche ed umide appendici. Il clima
temperato di quei domini si era dimostrato il luogo ideale
per costruire la clinica che si nascondeva nei colori più
scuri dell'Hoh Rain Forest.
Gemma era stata dimessa anche con la febbre. Il suo
psichiatra, il dottor Gerard Foster, non era riuscito a
resistere alle incessanti pressioni del marito, giunto lì con
l'intera famiglia per tornare ad una vita fatta di nuovo per
quattro. La felicità spropositata di Mary e Sophia aveva
contribuito parecchio a garantire le dimissioni di Gemma.
Le raccomandazioni maggiori furono sulle medicine da
prendere ogni giorno ad orari stabiliti, alcune prima, altre
dopo i pasti. Vi era un foglio riassuntivo che Joseph aveva
già adocchiato e che avrebbe seguito alla lettera
nell'immediato futuro.
Sebbene Gemma avesse accolto le sue bambine con
l'opportuno amore con cui si riabbracciano due figlie, lo
sguardo coniugale che aveva rivolto a Joseph lo aveva in
un certo senso gettato in un mare di sensazioni inesplorate.
Le pressioni che aveva fatto alla moglie per farsi ricoverare
lì erano in contrasto con la repentina voglia di riportarla a
casa. Il desiderio di riavere la donna al suo fianco nel letto
e quello di consumare insieme la prima colazione la
mattina, erano stati più forti del bisogno di concedere a
Gemma un percorso capace di contenere l'indole instabile
che la donna aveva inspiegabilmente dimostrato di
possedere.
Qualche mese prima del ricovero la famiglia era passata
proprio attraverso gli stessi boschi dove la moglie sarebbe
poi stata ricoverata. L'automobile aveva turbato i medesimi
nidi d'uccello che ora cinguettavano irrequieti al passaggio
della vettura. Joseph era sicuro di una cosa, ossia che
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Gemma, quel giorno, in tutto quel verde, avesse rivisto
qualcosa che le aveva ricordato l'agghiacciante pazzia che
il cuore segretamente tiene in catene. E per sormontare
l'ostacolo dell'incontaminato deserto di colline, Joseph
aveva deciso, con risoluta convinzione, che Gemma avesse
bisogno di superare la cosa di petto, tornando in quei luoghi
dove la mente aveva preso una diversa direzione. La
presenza di una clinica proprio lì, nel nulla più assoluto, fu
una perfetta conferma per lui. Gemma era stata ricoverata
nel luogo delle sue paure. E ciò, secondo Joseph, era l'unico
modo per tornare ad una vita normale con lei.
Mary e Sophia al momento della separazione con la
madre fecero tante domande, ma non si lamentarono mai.
Avevano sviluppato un certo timore verso di lei che
aumentava con i giorni in cui Gemma si arrestava
catatonica in cucina, soprattutto davanti ai fornelli. Vi erano
volte in cui alzava la voce con loro, per motivi del tutto
futili o casuali. Se Sophia, la più piccola, si allontanava
smarrita, Mary non riusciva a gestire tutta quella crudeltà
materna, e dal nulla scoppiava in pianti disperati e atroci,
che si spegnevano soltanto se placati dalle coccole
amorevoli del padre.
Joseph con rammarico dovette portare le sue figlie da sua
sorella per un po'. Inizialmente aveva cercato di affrontare
quelle difficoltà senza darle un nome, ma poi aveva
lentamente capito. Quando si sentì inerme davanti ai
comportamenti instabili di Gemma, decise che sua moglie
aveva il diritto di farsi ricoverare. E quando le disse del
luogo in cui sarebbe stata per un po', Gemma mostrò una
collaborazione e una comprensione che per un attimo
fecero pensare ad una pronta guarigione. L'illusione si
perse tuttavia durante il tragitto, quando Gemma lo
supplicò di farla venire mentre lui era alla guida, tra quelle
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curve. Fu così difficile sottrarsi a quella voglia, che più
volte dovette frenare di colpo per non rotolare lungo la
scarpata che dalla strada scendeva nel verde della natura
selvaggia.
Prima di riuscire a fermarsi, Gemma era stata capace di
sbottonargli i pantaloni. E se all'inizio gli irrefrenabili e
sporchi desideri della moglie lo eccitavano, dopo qualche
settimana le sue voglie erano diventate pressoché
insostenibili, tanto che Gemma, per sfogare il suo desiderio
sessuale, aveva cominciato a picchiarlo e a provocarlo. Gli
amplessi avvenivano nei luoghi più impensabili della casa,
con il rischio di essere scoperti dalle loro figlie. Il desiderio
della carne aveva ottenebrato lo sguardo della donna, tanto
che era impossibile lasciarla sola per lunghi periodi di
tempo. Un giorno, di ritorno dalla spesa, Joseph aveva
scoperto che la moglie era stata capace di masturbarsi
all'interno del supermercato. Lo aveva capito dalla
descrizione che Sophia aveva riportato dell'accaduto, senza
comprenderla appieno.
La rabbia con cui Joseph prese da parte la moglie per
delle spiegazioni sfociò ancora una volta in un violento
rapporto sessuale. E seguito l'orgasmo sormontava la paura
di ciò che stava avvenendo.
Quando alla clinica si dimostrarono ben disposti ad
accettare Gemma con loro, Joseph poté tirare un sospiro di
sollievo.
« Questa canzone... è così intensa » disse Gemma in un
limbo tra il sonno e la veglia. La sua voce era cosparsa dal
piacere. A Joseph tremò la schiena e un brivido lo percorse,
facendogli accentuare la presa sul volante tra le mani.
Quelle parole lo stavano spronando ad inchiodare di colpo
e fare marcia indietro senza pensarci due volte, ma poi
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Gemma gli prese la mano teneramente e nella beatitudine
del ritorno a casa si addormentò con il volto di un infante.
Wicked Game risuonava nell'abitacolo in movimento. Il
volume era basso, sintonizzato su un valore pari. Joseph
sorrise amaro e con nostalgia ripensò a quando aveva
conosciuto Gemma. I due erano soliti gettarsi in
interminabili lotte tra numeri pari e dispari con la manopola
del volume dell'autoradio. Quel litigio infantile era sfociato
nel loro primo bacio. Joseph comprese che senza quella
piccola divergenza, l'attrazione verso quella ragazza non
sarebbe mai sbocciata in lui. Da sempre aveva sposato le
difficoltà di un amore contraddittorio, molto diverso da
quello che gli altri erano abituati a sperare per lui.
L'attrazione fisica per Gemma e la repulsione per la sua
natura agrodolce avevano acceso quegli istinti che
spingono la violenza a cercare la carne e dalla carne
scavano fino all'anima.
« The world was on fire and no one could save me but
you... » canticchiò silenziosamente, mentre sua moglie si
accoccolava sul sedile riscaldato accanto al suo. Mentre
tutti dormivano, sulla strada del ritorno a casa, Joseph si
sentì l'uomo che aveva rimesso insieme la sua famiglia.
Dallo specchietto osservò come le sue figlie
sonnecchiavano assorte e beate, con la serenità fanciullesca
in viso.
« La cascina... » mormorò Gemma, intrappolata nel
sonno dei sogni. Quella parola suonò implorante e colma di
desiderio. Joseph premette il piede destro sull'acceleratore e
rabbioso smorzò la canzone con un gesto rapido della
mano. Il silenzio macinò i chilometri che ancora li
separavano dalla città in cui tornavano ad abitare tutti
insieme. Quella parola risuonava incomprensibile e
minacciosa nelle sue orecchie. La mente dei sogni di sua
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moglie nascondeva qualcosa che in quel silenzio artificiale
non era possibile scalfire.
Circa otto mesi dopo, Gemma Moore fuggì di casa nel
cuore della notte, abbandonando la sua famiglia in punta di
piedi. Il figlio dei vicini, di ritorno da un sabato sera
sfrenato, giurò che la donna indossava una semplice
vestaglia da notte nel momento della sua fuga.
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Capitolo 2
I sassi sarebbero stati fatali, mentre le pigne avrebbero
assolto il loro compito con indubbia facilità, umide
com'erano per la pioggia appena cessata. Gemma ne
raccolse tre non molto grandi e uscì dal suo nascondiglio di
felci per scagliarne una contro la terza finestra a sinistra,
partendo con la conta dal lato ovest della clinica. Mentre lo
faceva un risolino convulso si impossessò della sua bocca.
Il vestito a fiori di un azzurro spento le arrivava fino alle
ginocchia. Era completamente fradicia e la disordinata
frangetta che si era fatta fare da Katy prima delle
dimissioni si era completamente appiccicata con le gocce di
pioggia e sudore che le imperlavano la fronte. Gli scarponi
li aveva tolti, nascondendoli insieme ai calzettoni proprio
dietro il capanno degli attrezzi. I cavalli, nel recinto poco
più accanto, l'avevano riconosciuta con facilità,
cominciando a nitrire sorpresi. Lei aveva accarezzato la
loro lunga fronte con serenità e la tranquillità degli animali
si era propagata in lei. Tra le dita formicolanti dei piedi si
erano depositati fanghiglia e aghi di abeti che pizzicavano
ad ogni passo sul morbido terriccio fresco. Un cardigan di
un azzurro poco più scuro del vestito penzolava seguendo il
suo passo felpato, mentre Gemma si rintanava nel suo
nascondiglio.
Katy probabilmente non era in camera, ma erano
davvero buone le possibilità che stesse fumando di
nascosto in bagno. Girò l'angolo per controllare e del fumo
aleggiò da una piccola finestrella, danzando con le sue
conferme.
Moriva dalla voglia di rivederla, ma non poteva
sottovalutare la possibilità di essere scoperta. Miranda,
infermiera caposala della clinica, prendeva sul serio il suo
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lavoro. Quante volte era stata capace di intercettare i piani
di Gemma e Katy. Sia che si trattasse di una segreta fuga
nel bosco, sia di una banale refurtiva alla dispensa: la
donna era sempre stata capace di stanarle.
« Schizzo! » bisbigliò Gemma con voce tagliente, tra il
timore di farsi sentire e quello di non farsi udire da Katy. «
Schizzo! » riprovò poco più forte, accompagnando il suo
richiamo verbale con la seconda pigna. Essa si infranse sul
bianco muro della struttura, lasciando un segno di terra e
acqua. Miranda le avrebbe inflitto le pene dell'inferno per
quella macchia. Sorrise a quell'idea e si maledì per non
averci pensato prima. Dipingere le pareti con le pigne era
un'idea che le era venuta in mente troppo tardi. Avrebbe
dovuto pensarci prima di farsi dimettere.
Stava per lanciare la terza pigna, prima di passare al rude
utilizzo di sassi e pietre, quando Katy aprì la finestrella per
buttare il mozzicone con un broncio sul viso. La sua pelle
butterata e perennemente abbronzata si distese in una risata
starnazzante. Mise la mano davanti alla bocca quando
cominciò a tossire per la felicità. Continuava a fissare
Gemma ridendo sommessamente. La saliva le era andata di
traverso ed era diventata tutta rossa. E mentre trachea e
faringe si impegnavano a rimediare al danno, la donna
continuava a ridere instancabilmente. Anche Gemma
cominciò a farlo, stando comunque attenta ad occhi ed
orecchie indiscrete nei dintorni. Il verde cristallino della
foresta si rifletteva acceso sulle finestre della struttura. A
piano terra, lunghe ed alte vetrate circondavano l'edificio,
rendendo la clinica una serra di malati, annaffiati e curati
dalla dedita pazienza di psichiatri e infermiere. Katy nei
momenti di rabbia, quando si metteva ad insultare il
personale, ripeteva sempre alla fine del discorso:
« Ogni mattina i matti hanno bisogno di essere annaffiati
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da pillole e camici bianchi se vogliono crescere folli e
problematici! »
Ma in quel momento, con Gemma proprio sotto la sua
finestra, tutta fradicia e inzuppata, riuscì a smettere di
ridere e si limitò ad urlare, forse troppo incurante:
« Frigida! »
« Schizzo! » rispose Gemma, facendo piccoli saltelli sul
posto e mettendo il dito davanti alle labbra vermiglie. Le
due si erano date quel soprannome nello stesso giorno.
Visto che il dottor Foster non comunicava mai ai suoi
pazienti la loro diagnosi e non la scriveva nemmeno fra il
più segreto dei suoi diari, le due compagne di stanza si
erano scelte qualcosa che per lo meno si avvicinasse alla
loro principale problematica.
« Giusto ieri sono scoppiata a ridere nel bel mezzo del
pranzo, in mensa. Mi hanno guardata tutti come se fossi
una matta. Ma cazzo, cosa diavolo dovrei essere io se non
una matta? Dio santo indicatemi un posto dove i matti
possono fare i matti, ve ne prego! E' tutta colpa di quella
sega che facesti a Jack durante il suo turno di notte. Manco
fu capace di pulire il bel lavoretto che gli facesti! E niente,
ho cominciato a ridere, rivedendolo lì tutto inerme, mentre
io scassinavo l'armadietto delle sigarette in punta di piedi ».
Gemma saltellò sul posto estasiata e ridendo
silenziosamente. Ripensò divertita a quel movimento
artistico e al suo bianco dipinto. Si strinse la vagina con le
mani, come se dovesse trattenere la pipì.
« Devo urinare, torno subito! » esclamò Gemma,
precipitandosi dietro un albero. Utilizzò una pianta dalla
foglia larga per pulirsi. Tornò sul posto con la voglia di
rivedere Katy e trovò la finestra ancora aperta, ma della sua
amica nessuna traccia. La voce di Miranda giunse
perfettamente alle sue orecchie. Era intenta a sgridare Katy
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per aver rubato le sue sigarette e per averne fumato metà
pacchetto in bagno. Se c'era una cosa che faceva
letteralmente impazzire la sua compagna di stanza erano le
sigarette. Senza di esse tuttavia la sua pazzia
quadruplicava, quindi, in fin dei conti, fumare era la sua
condanna, ma anche la sua salvezza. Una volta il dottor
Foster aveva provato a privarla della nicotina per più di un
giorno e come risultato, Katy aveva strappato a morsi metà
orecchio a Paul, il cuoco della mensa. Da quel giorno le
sigarette venivano attentamente razionate ed erano
distribuite con la terapia. Quando poteva però, Katy ne
sgraffignava sempre dalle borse incustodite di parenti in
visita, oppure dagli armadietti del personale. Alcune
combinazioni dei lucchetti le aveva trovate nei primi giorni
e ancora oggi esse erano rimaste tali.
Gemma ben sapeva della debolezza dell'amica e più
volte era riuscita a ricevere da lei favori in cambio di
sigarette. Con Katy era facile comportarsi come una pazza,
anche se non vi era ragione di fingere. Le due avevano
ammesso a vicenda che certi giorni essere pazze era la cosa
più bella del mondo. E si impegnavano in questo.
Desideravano confermare le paure del dottor Foster o i
timori della caposala. In episodi di spropositata follia erano
persino riuscite a defecare sulle pareti della stanza delle
infermiere. I giorni che seguivano queste punte di malattia
venivano ampiamente tamponati con una terapia più
consistente, o con sovrabbondanti gocce al bisogno.
Gemma amava le gocce al bisogno. Secondo lei alcune
sapevano di fragola, mentre Katy le definiva tutte al gusto
di prugne marce.
« Adesso hai rotto il cazzo Miranda, ti ho chiesto scusa
già tre volte. Non mi ascolti, non mi ascolti tu! » urlava
Katy, facendo avanti e indietro nei due metri che il bagno le
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concedeva.
« Non parlarmi così, non sono tua madre o tua sorella! »
« Tutte puttane quelle due » rispose lei, mettendo le mani
nei capelli e tirandoli da parte a parte, sollevandoli verso
l'alto. « Tutte puttane quelle, non come te Miranda, tu sì
che la tieni tra le gambe dove dovrebbe stare. Proteggila!
Proteggila sempre dal Dottor Foster! Lui la brama, la
desidera! Rimanga frigida! » esclamò con toni crescenti e
convinti.
« Piantala una buona volta di dire queste cafonerie e di
fare la deficiente. La tua amica Gemma se n'è andata da un
po', è inutile che cerchi di imitarla. Questo sporco
linguaggio non ti si addice signorina » la rimproverò
Miranda, ponendo fine alla discussione. Gemma sentendo il
suo nome batté divertita i piedi a terra. Katy le era mancata
parecchio. Attese altri interminabili minuti, prima che la
donna riapparve alla finestra.
« Frigida che fai qui? » chiese Katy con una certa
impellenza. Il fumo l'aveva resa irrequieta. Un tic nervoso
trovava spazio tra le sue labbra, che venivano addentate e
rilasciate in continuazione.
« Ho bisogno di un favore! » esclamò speranzosa. Era
davanti all'unica persona che avrebbe potuto aiutarla.
« Ti ascolto bella, ma conosci le regole » la ragguagliò
Katy, lavandosi i denti mentre la discussione proseguiva.
Aprì la bocca per sputare saliva e dentifricio fuori dalla
finestra. La bianca colata sporcò le finestre sottostanti. «
Ops... » disse poi.
« Che sborrata! » esclamò Gemma, compiacendosi e
saltellando di nuovo. « Ad ogni modo stammi a sentire
bellissima, c'è una stecca delle tue preferite dietro il
capanno, proprio sotto la cesta del mangime. L'ho messa in
una busta di plastica per non farla bagnare » disse ridendo
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estasiata. Sapeva di aver in pugno l'amica. Katy smise di
lavare i denti e divenne frenetica. Stava già pensando
all'istante in cui si sarebbe impossessata di quel ben di Dio.
Si sarebbe fumata qualcosa come tre sigarette alla volta
prima di farsi scoprire.
« Svegliati e dimmi che ti serve » disse con voce rauca,
pronta ad assecondare Gemma per qualsiasi richiesta.
« Ho deciso » disse la donna, mentre Katy cominciava a
fiutare l'impossibile. Nella mente aveva già capito. Gemma
alzò la gonna del vestito e mostrò alla compagna che non
indossava le mutande. « Schizzo, devi procurarmi le chiavi
del paziente zero! » esclamò Gemma con occhi vivaci.
L'azzurro delle sue iridi era un concerto suonato dal verde
tutt'attorno. Katy rimase a bocca aperta, poi divenne tutta
rossa, tossì un po' e riprese a ridere. Richiuse la finestrella
tutta divertita, mentre Gemma saltellava allegra verso il
pozzo, da sempre il loro luogo d'incontro fuori dalla clinica.
Ora che non era più al cospetto della sua amica poteva
smettere di apparire così stramba. Si ricompose e si mise in
attesa. Rubare quelle chiavi significava una sola cosa, ossia
farsi sorprendere. Katy sarebbe finita in guai grossi, ma
questo non le importava. Le sigarette per lei significavano
attimi di paradiso. L'estasi di introdurre aria sporca nei suoi
polmoni marci le accendeva dentro un fuoco di inesauribile
piacere. Le due amiche probabilmente andavano molto
d'accordo per questo, entrambe all'eterna ricerca del
godimento.
I problemi a quel punto erano fondamentalmente due,
anche se, volendo essere poetici, potevano ridursi ad uno
soltanto, ossia la non esistenza di un paziente zero, nonché
la non presenza delle chiavi della sua stanza. Tale
inesistenza corrispondeva perfettamente con la non
presenza della stecca di sigarette che aveva appena
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promesso a Katy.
Gemma quella volta aveva così tanta confusione in testa
che il suo piano, così nitido nel nido familiare, andava ora
dissolvendosi con la selvaggia natura che la circondava.
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Capitolo 3
Gemma non si era definita pazza nemmeno una volta
nella sua vita. Al massimo erano stati gli altri ad attribuirle
quel titolo. Quel che riusciva a fare tuttavia, e che le veniva
davvero bene, era guidare la mente attraverso un percorso
che di folle aveva moltissimo. Il pensiero a ruota libera,
instabile e ballerino, era la perfetta ruota del carro che
metteva in funzione la sua mente brillante. Con lo stesso
metodo riusciva perfettamente a svolgere il triage nel
pronto soccorso dove aveva lavorato per dieci anni. Le
bastava cominciare a citare diagnosi, problematiche e
complicazioni, che subito era in grado di attribuire un
codice di gravità alla situazione, un colore, una stanza e un
personale adeguato a qualsiasi persona che giungesse lì.
Respirò a pieni polmoni, si tuffò nel fienile e rimase in
silenzio. Niente, se non il nitrire stanco di Luna, la cavalla
con cui usciva spesso a fare brevi passeggiate. Si diresse ai
confini della foresta, calpestando con incantevole
leggerezza i vegetali sotto i suoi piedi. Le bianche caviglie
infangate venivano accarezzate dal sottobosco come regine.
Con le mani librò le dita all'altezza delle felci.
« Felci, solo felci, felci e licheni, muschi e licheni. Abeti
e pecci, pecci e abeti, aghi di pecci, pecci di abeti, pigne di
bosco, se giungo al suo fosso le scimmie sapranno. Le
scimmie! » urlò per sbaglio. Il suo ultimo pensiero aveva
lasciato la sede della mente per gettarsi in quello della
natura. Si guardò attorno preoccupata, aspettandosi quella
platea di occhi selvaggi e oscuri. Cominciò a correre
costeggiando il fiume Hoh.
« Le scimmie! » pianse disperata, vedendole ovunque.
Fu la volta della loro faccia pelosa, il naso schiacciato con
larghe narici, i denti bianchi e gli occhi abissali. Un
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groviglio di piante le imprigionò un piede e la fece rotolare
per pochi metri fino a raggiungere la riva. Lì si rialzò
subito, proprio come vi era arrivata.
Scese l'oscurità, improvvisamente, senza una ragione.
Riaprì gli occhi nella notte, sebbene prima fosse giorno.
Mise i due indici davanti ai suoi occhi e li separò dalla vista
come un sipario aperto. Si immaginò le sue pupille. Toccò
la testa cercando tracce di sangue. La regione posteriore,
sulla sinistra, le doleva un poco. Ripensò all'anno corrente,
provò a fare qualche rapida moltiplicazione e recitò una
piccola poesia d'infanzia. Si ricordò delle scimmie e riprese
a correre, controllando che non tornassero ad osservarla. In
quell'ennesima corsa si strappò la gonna della veste,
depositando un umido drappo tra i sassi melmosi.
La luna appariva rara, filtrando bianca dalle fronde degli
alberi e specchiandosi vanesia nelle placide pozze dove
l'acqua trovava riposo. Il flutto coccolava sinistro il sonno
di uccelli e predatori. I rapaci notturni svolazzavano tra gli
alberi facendola sobbalzare ogni singola volta.
Si rannicchiò sopra una distesa di sassolini curvi. I piedi
le dolevano per i piccoli traumi subiti. Le caviglie erano
gonfie e livide, mentre le gambe erano tutte graffi e sangue
secco. Si annusò le unghie e le allontanò disgustata.
Le sinapsi si calmarono. Lavò la sua pelle con acqua
notturna e si mosse con più calma, stando comunque
attenta alle scimmie.
Ripensò al paziente zero. In verità non esisteva, ma
desiderava comunque avere una conferma da Katy. Se la
donna avesse trovato le chiavi, allora lei avrebbe trovato
lui.
Era così sicura della sua esistenza che riuscì persino ad
immaginarselo catatonico nella sua stanza. Con sentimenti
vicini allo zero si sarebbe avvicinata per scovargli il
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membro. Avrebbe testato la sua pericolosità con ingenua
arroganza e avrebbe costretto all'erezione ogni sua più
tenace inerzia virile.
La strada proseguì tortuosa in ricordi più sbiaditi. Pianse
amara, senza troppa convinzione. Era sì capace di fare la
pazza, ma non di sopravvivere nel bosco di notte. La sua
vagina cominciava ad ingrandirsi. L'avvertiva inospitale ed
arida. Percepiva il desiderio irrefrenabile di riempirla con
membra carnose. Quella era la sua sola e vera malattia. Il
bisogno incessante di essere colmata le aveva fatto crollare
addosso anche i comportamenti e le buone cortesie che un
malato psichiatrico deve attentamente seguire. Ma frenato
quell'orgasmo, Gemma sarebbe stata pronta a ritornare alla
vita di sempre, persino a lavorare.
Voleva bene alle sue figlie e si sentiva appagata quando
le vedeva sorridere. Suo marito l'amava e lei amava lui. Era
un uomo pulito, spinoso e fiero. Con lui aveva avuto un
matrimonio da favola.
Si ricordò di avere una casa da qualche parte, una cucina
e una famiglia. D'estate partiva con loro per andare al mare
e d'inverno scivolava sopra le piste da sci per poi
concludere le giornate con una cioccolata calda tra le mani.
Tutti quei sorrisi erano lì e non se ne sarebbero mai andati.
Ma nella foresta, altro non si poteva fare che costeggiare il
fiume, fino all'alba del giorno successivo.
La cascina le perforò i pensieri, tanto che dovette
sorreggere la testa con ambo le mani. Le chiacchierate con
Katy prima di dormire le piombarono addosso inondandola.
« La porta che non è una porta, quella sigillata
nell'ufficio del dottor Foster, nasconde il vero ufficio del
dottor Foster » spiegò Katy con serietà, scendendo dal suo
letto e sdraiandosi in quello di Gemma, accovacciandosi
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addosso al suo corpo caldo.
« Puzzi di fumo » si lamentò lei, cercando debolmente di
scacciarla.
« Fatti più in là Frigida, non puoi avere tutto il letto per
te » disse facendosi spazio con la forza.
« Che palle che sei! »
« Devo smettere? »
« La porta che non è una porta... no, devi continuare.
Continua » sbuffò Gemma, mostrandosi antipaticamente
curiosa.
« Prima che capisse che sarei stata in grado di essere una
sua perfetta paziente, il dottor Foster aveva di me un più
profondo rispetto. Dopo tutto ero entrata qui dentro come
persona normale, poco diversa da quella che sono ora »
disse Katy, gracchiando con una risata macabra che vomitò
dalla gola abbrustolita.
« Sei matta da legare tu, altro che fingere » sospirò
Gemma, fissando il soffitto. « Ma nel tuo letto proprio non
ci puoi stare, non è vero? Devo andarci io per caso? »
« La storia non è intima se non siamo vicine. E poi chi è
quella che la prima notte sotto questo tetto è venuta sotto le
mie coperte dicendo che fuori vi erano le scimmie? »
chiese Katy con una punta di tenebrosa soddisfazione.
« Non ricordarmelo ti prego. Non parliamo più di loro »
la pregò Gemma, tremando per un brivido di freddo. «
Continua la storia Schizzo » la implorò strattonandola
debolmente.
« Il dottor Foster, reputandomi poco pericolosa e poco
compromessa mentalmente, ebbe la brillante idea di
lasciarmi indisturbata nel suo studio. L'infermiera di turno
giunse infatti a chiamarlo per aiutarla con un paziente in
piena crisi. Così tentai di aprire la finta porta. E in effetti
finta lo era sul serio, perché non vi era nemmeno una
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maniglia. Io però ci avevo visto dentro la sagoma di una
porta, allora bussai tre volte con queste mie belle nocche »
disse Katy, zittendosi improvvisamente.
« Beh? »
« Attimo di suspense... » disse Katy a mezza voce.
« Sai che paura » brontolò Gemma.
« Un urlo animalesco giunse dall'altra stanza! » esclamò
Katy dal nulla, riprendendo la storia di scatto. Gemma le
tirò un colpo tra le costole che l'amica incassò ridendo, per
poi ritornare subito seria. « Spaventata da quel verso caddi
all'indietro, facendo cascare con me metà dei libri presenti
nella libreria del dottore. Cercando di rimetterli a posto
prima del suo arrivo trovai qualcosa. Fu la prima volta che
lessi il suo nome » disse silenziosa, mentre Gemma
cominciava ad eccitarsi. Non le succedeva da quel giorno
alle superiori in cui si era scopata il professore di
educazione fisica e subito dopo Taylor, un ragazzo più
grande di lei di quattro anni.
« La cascina... » disse Gemma, anticipando il racconto di
Katy.
« Esatto! La cascina! Come lo sai? »
« Ripeti quel nome nel sonno tutte le notti da quando ti
conosco ».
« Ah... ad ogni modo sì, la cascina, la stessa che è
rappresentata sulla parete nord della mensa, in quella
fotografia tutta sbiadita mangiata dal sole. Soltanto a
guardarla da lontano mi si sciolgono le gambe dalla paura »
bisbigliò Katy con voce tagliente, accendendo una
sigaretta.
« Non qui cazzo! » disse Gemma, mettendosi seduta per
non respirare il fumo a pochi centimetri da lei. Scavalcò
Katy e aprì la finestra della stanza. « Dove l'hai trovata
questa? »
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« Riserva speciale, sigaretta numero sette. Le fumo
soltanto in occasioni speciali » disse con serietà.
« E cosa festeggiamo questa sera? » chiese Gemma
confusa.
« Il paziente zero » rispose Katy, fissandola negli occhi.
La pelle di Gemma si ricoprì di un leggero strato di sudore.
La donna davanti a lei si alzò in piedi e le venne vicina.
Buttò la sigaretta ancora accesa fuori dalla finestra e la
richiuse di scatto. Quello era un evento che Gemma non
avrebbe mai immaginato in cento vite. Katy era capace di
fumarsi anche le dita, pur di fare ancora un tiro.
La donna oltrepassò Gemma, dandole un colpo con la
spalla. Si mise nel letto e coprì la testa con il cuscino,
dondolandosi. Non disse più niente. Poco dopo la sigaretta
avanzata produsse degli incubi terribili a Katy.
Gemma aveva così paura che era tentata di bussare alla
porta per farsi portare a casa. Non la divertiva più essere
pazza. Avrebbe fatto a meno anche della completa ricerca
dell'erotismo pur di non passare la notte lì, accanto a Katy.
Per un solo istante aveva intravisto della lucidità in lei e
questo non era riuscita a sopportarlo. Il disegno della
cascina, nel cuore della mensa, pareva fissarla, sia nella
veglia che nel sonno. La mattina si risvegliò con lacrime
secche sugli occhi. Si era addormentata nella doccia, con la
porta del bagno chiusa a chiave.
« Frigida apri o butto giù la porta, mi serve il bagno! »
esclamò Katy con voce roca. Era tornata quella di sempre.
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Capitolo 4
Fu soltanto quando dissi a Joseph quella cosa, che lui capì
di essere malato tanto quanto me, sebbene prima non lo
sapesse ancora. A sua discolpa vorrei tuttavia aggiungere
che lui fu più debole, perché rimase calmo nel suo dolore.
Gli umani hanno come principale difetto la potenza
assoluta delle parole che pronunciano. Al contrario delle
scimmie, loro sono capaci di ascoltare con convinzione
una voce, piuttosto che la verità fisica che hanno davanti
agli occhi.
Detto questo, per correttezza, non riporterò le sue misure,
essendo forse più buona su questo diario che nella vita.
L'ingenuità più assurda di mio marito era dettata dalla
credenza che io avessi smesso di masturbarmi. In verità
ero semplicemente diventata più veloce e più brava. Per
una forma di rispetto nei suoi confronti che ancora oggi
non mi riconosco, decisi di non spiegargli mai il concetto
di orgasmo multiplo.
Il primo giorno a casa fu la favola che Joseph aveva
sempre desiderato, quel lieto fine che sempre era presente
nelle storie che leggeva alla sue bambine prima che si
addormentassero. Credeva di possedere una voce flautata e
ci metteva impegno quando teneva il libricino tra le sue
grandi mani. Mary e Sophia lo guardavano tutte eccitate,
infilando i piedini sotto le coperte e poi fissandolo
nascostamente. Ogni tanto lui gettava delle occhiate rapide
per vedere a che punto erano le loro palpebre cadenti. I
primi due capitoli erano sufficienti per calarle dolcemente
nel pozzo dei sogni. Colto tuttavia dalla pacifica tranquillità
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