Pan Paniscus
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Pan Paniscus
Pan Paniscus All'irrefrenabile desiderio di ardere. Capitolo 1 Ancor prima di farla salire in macchina la sua fronte era in fiamme. Per capirlo fu sufficiente osservare lo sguardo sfinito di Gemma che si perdeva nel torpore del paesaggio fuori dal finestrino. Mentre i vetri si appannavano in quella febbre esacerbante, la bruma che circondava la strada si adattava perfettamente con il delimitare dei sempreverdi. La carreggiata era una solitudine di curve discordanti e profonde. Nei rettilinei Joseph aveva il tempo di controllare l'aggravarsi delle condizioni della moglie, mentre sui sedili posteriori, Mary e Sophia dormivano beate. Le bambine si erano addormentate all'istante perché il viaggio le aveva sfiancate. Rivedere la loro madre dopo tutti quei mesi le aveva talmente eccitate che il brivido aveva consumato le loro forze in un solo e breve pomeriggio ottobrino. Sull'asfalto bagnato si era appena riversata una debole pioggia e le poche foglie caduche svolazzavano seguendo il malvagio gioco dei copertoni delle ruote. In un mezzo turbinio dettato dall'impeto della vettura, la natura, staccatasi dal ramo della vita, era vittima di un moto artificiale ed effimero. Ora che nessuno avrebbe più nutrito quelle foglie, le poche automobili che passavano di lì si divertivano ad allontanarle dal loro luogo natio. Le colline circostanti erano attraversate da infinite distese di abeti e felci che si perdevano con la possibilità dello sguardo di sovrastarle. Immergersi in quelle salite serpeggianti che si inerpicavano per la montagna, donava ai sensi un sentimento non dissimile al riposo, condito a momenti alterni dallo spietato silenzio della natura incontrastata. Il verde e il verde scuro erano i re indiscussi del percorso che portava alla clinica psichiatrica sul delimitare dell'Olympic National Park, nel suo lato più 1 occidentale, dove pecci e abeti si ricoprivano di muschio tanto da formare fresche ed umide appendici. Il clima temperato di quei domini si era dimostrato il luogo ideale per costruire la clinica che si nascondeva nei colori più scuri dell'Hoh Rain Forest. Gemma era stata dimessa anche con la febbre. Il suo psichiatra, il dottor Gerard Foster, non era riuscito a resistere alle incessanti pressioni del marito, giunto lì con l'intera famiglia per tornare ad una vita fatta di nuovo per quattro. La felicità spropositata di Mary e Sophia aveva contribuito parecchio a garantire le dimissioni di Gemma. Le raccomandazioni maggiori furono sulle medicine da prendere ogni giorno ad orari stabiliti, alcune prima, altre dopo i pasti. Vi era un foglio riassuntivo che Joseph aveva già adocchiato e che avrebbe seguito alla lettera nell'immediato futuro. Sebbene Gemma avesse accolto le sue bambine con l'opportuno amore con cui si riabbracciano due figlie, lo sguardo coniugale che aveva rivolto a Joseph lo aveva in un certo senso gettato in un mare di sensazioni inesplorate. Le pressioni che aveva fatto alla moglie per farsi ricoverare lì erano in contrasto con la repentina voglia di riportarla a casa. Il desiderio di riavere la donna al suo fianco nel letto e quello di consumare insieme la prima colazione la mattina, erano stati più forti del bisogno di concedere a Gemma un percorso capace di contenere l'indole instabile che la donna aveva inspiegabilmente dimostrato di possedere. Qualche mese prima del ricovero la famiglia era passata proprio attraverso gli stessi boschi dove la moglie sarebbe poi stata ricoverata. L'automobile aveva turbato i medesimi nidi d'uccello che ora cinguettavano irrequieti al passaggio della vettura. Joseph era sicuro di una cosa, ossia che 2 Gemma, quel giorno, in tutto quel verde, avesse rivisto qualcosa che le aveva ricordato l'agghiacciante pazzia che il cuore segretamente tiene in catene. E per sormontare l'ostacolo dell'incontaminato deserto di colline, Joseph aveva deciso, con risoluta convinzione, che Gemma avesse bisogno di superare la cosa di petto, tornando in quei luoghi dove la mente aveva preso una diversa direzione. La presenza di una clinica proprio lì, nel nulla più assoluto, fu una perfetta conferma per lui. Gemma era stata ricoverata nel luogo delle sue paure. E ciò, secondo Joseph, era l'unico modo per tornare ad una vita normale con lei. Mary e Sophia al momento della separazione con la madre fecero tante domande, ma non si lamentarono mai. Avevano sviluppato un certo timore verso di lei che aumentava con i giorni in cui Gemma si arrestava catatonica in cucina, soprattutto davanti ai fornelli. Vi erano volte in cui alzava la voce con loro, per motivi del tutto futili o casuali. Se Sophia, la più piccola, si allontanava smarrita, Mary non riusciva a gestire tutta quella crudeltà materna, e dal nulla scoppiava in pianti disperati e atroci, che si spegnevano soltanto se placati dalle coccole amorevoli del padre. Joseph con rammarico dovette portare le sue figlie da sua sorella per un po'. Inizialmente aveva cercato di affrontare quelle difficoltà senza darle un nome, ma poi aveva lentamente capito. Quando si sentì inerme davanti ai comportamenti instabili di Gemma, decise che sua moglie aveva il diritto di farsi ricoverare. E quando le disse del luogo in cui sarebbe stata per un po', Gemma mostrò una collaborazione e una comprensione che per un attimo fecero pensare ad una pronta guarigione. L'illusione si perse tuttavia durante il tragitto, quando Gemma lo supplicò di farla venire mentre lui era alla guida, tra quelle 3 curve. Fu così difficile sottrarsi a quella voglia, che più volte dovette frenare di colpo per non rotolare lungo la scarpata che dalla strada scendeva nel verde della natura selvaggia. Prima di riuscire a fermarsi, Gemma era stata capace di sbottonargli i pantaloni. E se all'inizio gli irrefrenabili e sporchi desideri della moglie lo eccitavano, dopo qualche settimana le sue voglie erano diventate pressoché insostenibili, tanto che Gemma, per sfogare il suo desiderio sessuale, aveva cominciato a picchiarlo e a provocarlo. Gli amplessi avvenivano nei luoghi più impensabili della casa, con il rischio di essere scoperti dalle loro figlie. Il desiderio della carne aveva ottenebrato lo sguardo della donna, tanto che era impossibile lasciarla sola per lunghi periodi di tempo. Un giorno, di ritorno dalla spesa, Joseph aveva scoperto che la moglie era stata capace di masturbarsi all'interno del supermercato. Lo aveva capito dalla descrizione che Sophia aveva riportato dell'accaduto, senza comprenderla appieno. La rabbia con cui Joseph prese da parte la moglie per delle spiegazioni sfociò ancora una volta in un violento rapporto sessuale. E seguito l'orgasmo sormontava la paura di ciò che stava avvenendo. Quando alla clinica si dimostrarono ben disposti ad accettare Gemma con loro, Joseph poté tirare un sospiro di sollievo. « Questa canzone... è così intensa » disse Gemma in un limbo tra il sonno e la veglia. La sua voce era cosparsa dal piacere. A Joseph tremò la schiena e un brivido lo percorse, facendogli accentuare la presa sul volante tra le mani. Quelle parole lo stavano spronando ad inchiodare di colpo e fare marcia indietro senza pensarci due volte, ma poi 4 Gemma gli prese la mano teneramente e nella beatitudine del ritorno a casa si addormentò con il volto di un infante. Wicked Game risuonava nell'abitacolo in movimento. Il volume era basso, sintonizzato su un valore pari. Joseph sorrise amaro e con nostalgia ripensò a quando aveva conosciuto Gemma. I due erano soliti gettarsi in interminabili lotte tra numeri pari e dispari con la manopola del volume dell'autoradio. Quel litigio infantile era sfociato nel loro primo bacio. Joseph comprese che senza quella piccola divergenza, l'attrazione verso quella ragazza non sarebbe mai sbocciata in lui. Da sempre aveva sposato le difficoltà di un amore contraddittorio, molto diverso da quello che gli altri erano abituati a sperare per lui. L'attrazione fisica per Gemma e la repulsione per la sua natura agrodolce avevano acceso quegli istinti che spingono la violenza a cercare la carne e dalla carne scavano fino all'anima. « The world was on fire and no one could save me but you... » canticchiò silenziosamente, mentre sua moglie si accoccolava sul sedile riscaldato accanto al suo. Mentre tutti dormivano, sulla strada del ritorno a casa, Joseph si sentì l'uomo che aveva rimesso insieme la sua famiglia. Dallo specchietto osservò come le sue figlie sonnecchiavano assorte e beate, con la serenità fanciullesca in viso. « La cascina... » mormorò Gemma, intrappolata nel sonno dei sogni. Quella parola suonò implorante e colma di desiderio. Joseph premette il piede destro sull'acceleratore e rabbioso smorzò la canzone con un gesto rapido della mano. Il silenzio macinò i chilometri che ancora li separavano dalla città in cui tornavano ad abitare tutti insieme. Quella parola risuonava incomprensibile e minacciosa nelle sue orecchie. La mente dei sogni di sua 5 moglie nascondeva qualcosa che in quel silenzio artificiale non era possibile scalfire. Circa otto mesi dopo, Gemma Moore fuggì di casa nel cuore della notte, abbandonando la sua famiglia in punta di piedi. Il figlio dei vicini, di ritorno da un sabato sera sfrenato, giurò che la donna indossava una semplice vestaglia da notte nel momento della sua fuga. 6 Capitolo 2 I sassi sarebbero stati fatali, mentre le pigne avrebbero assolto il loro compito con indubbia facilità, umide com'erano per la pioggia appena cessata. Gemma ne raccolse tre non molto grandi e uscì dal suo nascondiglio di felci per scagliarne una contro la terza finestra a sinistra, partendo con la conta dal lato ovest della clinica. Mentre lo faceva un risolino convulso si impossessò della sua bocca. Il vestito a fiori di un azzurro spento le arrivava fino alle ginocchia. Era completamente fradicia e la disordinata frangetta che si era fatta fare da Katy prima delle dimissioni si era completamente appiccicata con le gocce di pioggia e sudore che le imperlavano la fronte. Gli scarponi li aveva tolti, nascondendoli insieme ai calzettoni proprio dietro il capanno degli attrezzi. I cavalli, nel recinto poco più accanto, l'avevano riconosciuta con facilità, cominciando a nitrire sorpresi. Lei aveva accarezzato la loro lunga fronte con serenità e la tranquillità degli animali si era propagata in lei. Tra le dita formicolanti dei piedi si erano depositati fanghiglia e aghi di abeti che pizzicavano ad ogni passo sul morbido terriccio fresco. Un cardigan di un azzurro poco più scuro del vestito penzolava seguendo il suo passo felpato, mentre Gemma si rintanava nel suo nascondiglio. Katy probabilmente non era in camera, ma erano davvero buone le possibilità che stesse fumando di nascosto in bagno. Girò l'angolo per controllare e del fumo aleggiò da una piccola finestrella, danzando con le sue conferme. Moriva dalla voglia di rivederla, ma non poteva sottovalutare la possibilità di essere scoperta. Miranda, infermiera caposala della clinica, prendeva sul serio il suo 7 lavoro. Quante volte era stata capace di intercettare i piani di Gemma e Katy. Sia che si trattasse di una segreta fuga nel bosco, sia di una banale refurtiva alla dispensa: la donna era sempre stata capace di stanarle. « Schizzo! » bisbigliò Gemma con voce tagliente, tra il timore di farsi sentire e quello di non farsi udire da Katy. « Schizzo! » riprovò poco più forte, accompagnando il suo richiamo verbale con la seconda pigna. Essa si infranse sul bianco muro della struttura, lasciando un segno di terra e acqua. Miranda le avrebbe inflitto le pene dell'inferno per quella macchia. Sorrise a quell'idea e si maledì per non averci pensato prima. Dipingere le pareti con le pigne era un'idea che le era venuta in mente troppo tardi. Avrebbe dovuto pensarci prima di farsi dimettere. Stava per lanciare la terza pigna, prima di passare al rude utilizzo di sassi e pietre, quando Katy aprì la finestrella per buttare il mozzicone con un broncio sul viso. La sua pelle butterata e perennemente abbronzata si distese in una risata starnazzante. Mise la mano davanti alla bocca quando cominciò a tossire per la felicità. Continuava a fissare Gemma ridendo sommessamente. La saliva le era andata di traverso ed era diventata tutta rossa. E mentre trachea e faringe si impegnavano a rimediare al danno, la donna continuava a ridere instancabilmente. Anche Gemma cominciò a farlo, stando comunque attenta ad occhi ed orecchie indiscrete nei dintorni. Il verde cristallino della foresta si rifletteva acceso sulle finestre della struttura. A piano terra, lunghe ed alte vetrate circondavano l'edificio, rendendo la clinica una serra di malati, annaffiati e curati dalla dedita pazienza di psichiatri e infermiere. Katy nei momenti di rabbia, quando si metteva ad insultare il personale, ripeteva sempre alla fine del discorso: « Ogni mattina i matti hanno bisogno di essere annaffiati 8 da pillole e camici bianchi se vogliono crescere folli e problematici! » Ma in quel momento, con Gemma proprio sotto la sua finestra, tutta fradicia e inzuppata, riuscì a smettere di ridere e si limitò ad urlare, forse troppo incurante: « Frigida! » « Schizzo! » rispose Gemma, facendo piccoli saltelli sul posto e mettendo il dito davanti alle labbra vermiglie. Le due si erano date quel soprannome nello stesso giorno. Visto che il dottor Foster non comunicava mai ai suoi pazienti la loro diagnosi e non la scriveva nemmeno fra il più segreto dei suoi diari, le due compagne di stanza si erano scelte qualcosa che per lo meno si avvicinasse alla loro principale problematica. « Giusto ieri sono scoppiata a ridere nel bel mezzo del pranzo, in mensa. Mi hanno guardata tutti come se fossi una matta. Ma cazzo, cosa diavolo dovrei essere io se non una matta? Dio santo indicatemi un posto dove i matti possono fare i matti, ve ne prego! E' tutta colpa di quella sega che facesti a Jack durante il suo turno di notte. Manco fu capace di pulire il bel lavoretto che gli facesti! E niente, ho cominciato a ridere, rivedendolo lì tutto inerme, mentre io scassinavo l'armadietto delle sigarette in punta di piedi ». Gemma saltellò sul posto estasiata e ridendo silenziosamente. Ripensò divertita a quel movimento artistico e al suo bianco dipinto. Si strinse la vagina con le mani, come se dovesse trattenere la pipì. « Devo urinare, torno subito! » esclamò Gemma, precipitandosi dietro un albero. Utilizzò una pianta dalla foglia larga per pulirsi. Tornò sul posto con la voglia di rivedere Katy e trovò la finestra ancora aperta, ma della sua amica nessuna traccia. La voce di Miranda giunse perfettamente alle sue orecchie. Era intenta a sgridare Katy 9 per aver rubato le sue sigarette e per averne fumato metà pacchetto in bagno. Se c'era una cosa che faceva letteralmente impazzire la sua compagna di stanza erano le sigarette. Senza di esse tuttavia la sua pazzia quadruplicava, quindi, in fin dei conti, fumare era la sua condanna, ma anche la sua salvezza. Una volta il dottor Foster aveva provato a privarla della nicotina per più di un giorno e come risultato, Katy aveva strappato a morsi metà orecchio a Paul, il cuoco della mensa. Da quel giorno le sigarette venivano attentamente razionate ed erano distribuite con la terapia. Quando poteva però, Katy ne sgraffignava sempre dalle borse incustodite di parenti in visita, oppure dagli armadietti del personale. Alcune combinazioni dei lucchetti le aveva trovate nei primi giorni e ancora oggi esse erano rimaste tali. Gemma ben sapeva della debolezza dell'amica e più volte era riuscita a ricevere da lei favori in cambio di sigarette. Con Katy era facile comportarsi come una pazza, anche se non vi era ragione di fingere. Le due avevano ammesso a vicenda che certi giorni essere pazze era la cosa più bella del mondo. E si impegnavano in questo. Desideravano confermare le paure del dottor Foster o i timori della caposala. In episodi di spropositata follia erano persino riuscite a defecare sulle pareti della stanza delle infermiere. I giorni che seguivano queste punte di malattia venivano ampiamente tamponati con una terapia più consistente, o con sovrabbondanti gocce al bisogno. Gemma amava le gocce al bisogno. Secondo lei alcune sapevano di fragola, mentre Katy le definiva tutte al gusto di prugne marce. « Adesso hai rotto il cazzo Miranda, ti ho chiesto scusa già tre volte. Non mi ascolti, non mi ascolti tu! » urlava Katy, facendo avanti e indietro nei due metri che il bagno le 10 concedeva. « Non parlarmi così, non sono tua madre o tua sorella! » « Tutte puttane quelle due » rispose lei, mettendo le mani nei capelli e tirandoli da parte a parte, sollevandoli verso l'alto. « Tutte puttane quelle, non come te Miranda, tu sì che la tieni tra le gambe dove dovrebbe stare. Proteggila! Proteggila sempre dal Dottor Foster! Lui la brama, la desidera! Rimanga frigida! » esclamò con toni crescenti e convinti. « Piantala una buona volta di dire queste cafonerie e di fare la deficiente. La tua amica Gemma se n'è andata da un po', è inutile che cerchi di imitarla. Questo sporco linguaggio non ti si addice signorina » la rimproverò Miranda, ponendo fine alla discussione. Gemma sentendo il suo nome batté divertita i piedi a terra. Katy le era mancata parecchio. Attese altri interminabili minuti, prima che la donna riapparve alla finestra. « Frigida che fai qui? » chiese Katy con una certa impellenza. Il fumo l'aveva resa irrequieta. Un tic nervoso trovava spazio tra le sue labbra, che venivano addentate e rilasciate in continuazione. « Ho bisogno di un favore! » esclamò speranzosa. Era davanti all'unica persona che avrebbe potuto aiutarla. « Ti ascolto bella, ma conosci le regole » la ragguagliò Katy, lavandosi i denti mentre la discussione proseguiva. Aprì la bocca per sputare saliva e dentifricio fuori dalla finestra. La bianca colata sporcò le finestre sottostanti. « Ops... » disse poi. « Che sborrata! » esclamò Gemma, compiacendosi e saltellando di nuovo. « Ad ogni modo stammi a sentire bellissima, c'è una stecca delle tue preferite dietro il capanno, proprio sotto la cesta del mangime. L'ho messa in una busta di plastica per non farla bagnare » disse ridendo 11 estasiata. Sapeva di aver in pugno l'amica. Katy smise di lavare i denti e divenne frenetica. Stava già pensando all'istante in cui si sarebbe impossessata di quel ben di Dio. Si sarebbe fumata qualcosa come tre sigarette alla volta prima di farsi scoprire. « Svegliati e dimmi che ti serve » disse con voce rauca, pronta ad assecondare Gemma per qualsiasi richiesta. « Ho deciso » disse la donna, mentre Katy cominciava a fiutare l'impossibile. Nella mente aveva già capito. Gemma alzò la gonna del vestito e mostrò alla compagna che non indossava le mutande. « Schizzo, devi procurarmi le chiavi del paziente zero! » esclamò Gemma con occhi vivaci. L'azzurro delle sue iridi era un concerto suonato dal verde tutt'attorno. Katy rimase a bocca aperta, poi divenne tutta rossa, tossì un po' e riprese a ridere. Richiuse la finestrella tutta divertita, mentre Gemma saltellava allegra verso il pozzo, da sempre il loro luogo d'incontro fuori dalla clinica. Ora che non era più al cospetto della sua amica poteva smettere di apparire così stramba. Si ricompose e si mise in attesa. Rubare quelle chiavi significava una sola cosa, ossia farsi sorprendere. Katy sarebbe finita in guai grossi, ma questo non le importava. Le sigarette per lei significavano attimi di paradiso. L'estasi di introdurre aria sporca nei suoi polmoni marci le accendeva dentro un fuoco di inesauribile piacere. Le due amiche probabilmente andavano molto d'accordo per questo, entrambe all'eterna ricerca del godimento. I problemi a quel punto erano fondamentalmente due, anche se, volendo essere poetici, potevano ridursi ad uno soltanto, ossia la non esistenza di un paziente zero, nonché la non presenza delle chiavi della sua stanza. Tale inesistenza corrispondeva perfettamente con la non presenza della stecca di sigarette che aveva appena 12 promesso a Katy. Gemma quella volta aveva così tanta confusione in testa che il suo piano, così nitido nel nido familiare, andava ora dissolvendosi con la selvaggia natura che la circondava. 13 Capitolo 3 Gemma non si era definita pazza nemmeno una volta nella sua vita. Al massimo erano stati gli altri ad attribuirle quel titolo. Quel che riusciva a fare tuttavia, e che le veniva davvero bene, era guidare la mente attraverso un percorso che di folle aveva moltissimo. Il pensiero a ruota libera, instabile e ballerino, era la perfetta ruota del carro che metteva in funzione la sua mente brillante. Con lo stesso metodo riusciva perfettamente a svolgere il triage nel pronto soccorso dove aveva lavorato per dieci anni. Le bastava cominciare a citare diagnosi, problematiche e complicazioni, che subito era in grado di attribuire un codice di gravità alla situazione, un colore, una stanza e un personale adeguato a qualsiasi persona che giungesse lì. Respirò a pieni polmoni, si tuffò nel fienile e rimase in silenzio. Niente, se non il nitrire stanco di Luna, la cavalla con cui usciva spesso a fare brevi passeggiate. Si diresse ai confini della foresta, calpestando con incantevole leggerezza i vegetali sotto i suoi piedi. Le bianche caviglie infangate venivano accarezzate dal sottobosco come regine. Con le mani librò le dita all'altezza delle felci. « Felci, solo felci, felci e licheni, muschi e licheni. Abeti e pecci, pecci e abeti, aghi di pecci, pecci di abeti, pigne di bosco, se giungo al suo fosso le scimmie sapranno. Le scimmie! » urlò per sbaglio. Il suo ultimo pensiero aveva lasciato la sede della mente per gettarsi in quello della natura. Si guardò attorno preoccupata, aspettandosi quella platea di occhi selvaggi e oscuri. Cominciò a correre costeggiando il fiume Hoh. « Le scimmie! » pianse disperata, vedendole ovunque. Fu la volta della loro faccia pelosa, il naso schiacciato con larghe narici, i denti bianchi e gli occhi abissali. Un 14 groviglio di piante le imprigionò un piede e la fece rotolare per pochi metri fino a raggiungere la riva. Lì si rialzò subito, proprio come vi era arrivata. Scese l'oscurità, improvvisamente, senza una ragione. Riaprì gli occhi nella notte, sebbene prima fosse giorno. Mise i due indici davanti ai suoi occhi e li separò dalla vista come un sipario aperto. Si immaginò le sue pupille. Toccò la testa cercando tracce di sangue. La regione posteriore, sulla sinistra, le doleva un poco. Ripensò all'anno corrente, provò a fare qualche rapida moltiplicazione e recitò una piccola poesia d'infanzia. Si ricordò delle scimmie e riprese a correre, controllando che non tornassero ad osservarla. In quell'ennesima corsa si strappò la gonna della veste, depositando un umido drappo tra i sassi melmosi. La luna appariva rara, filtrando bianca dalle fronde degli alberi e specchiandosi vanesia nelle placide pozze dove l'acqua trovava riposo. Il flutto coccolava sinistro il sonno di uccelli e predatori. I rapaci notturni svolazzavano tra gli alberi facendola sobbalzare ogni singola volta. Si rannicchiò sopra una distesa di sassolini curvi. I piedi le dolevano per i piccoli traumi subiti. Le caviglie erano gonfie e livide, mentre le gambe erano tutte graffi e sangue secco. Si annusò le unghie e le allontanò disgustata. Le sinapsi si calmarono. Lavò la sua pelle con acqua notturna e si mosse con più calma, stando comunque attenta alle scimmie. Ripensò al paziente zero. In verità non esisteva, ma desiderava comunque avere una conferma da Katy. Se la donna avesse trovato le chiavi, allora lei avrebbe trovato lui. Era così sicura della sua esistenza che riuscì persino ad immaginarselo catatonico nella sua stanza. Con sentimenti vicini allo zero si sarebbe avvicinata per scovargli il 15 membro. Avrebbe testato la sua pericolosità con ingenua arroganza e avrebbe costretto all'erezione ogni sua più tenace inerzia virile. La strada proseguì tortuosa in ricordi più sbiaditi. Pianse amara, senza troppa convinzione. Era sì capace di fare la pazza, ma non di sopravvivere nel bosco di notte. La sua vagina cominciava ad ingrandirsi. L'avvertiva inospitale ed arida. Percepiva il desiderio irrefrenabile di riempirla con membra carnose. Quella era la sua sola e vera malattia. Il bisogno incessante di essere colmata le aveva fatto crollare addosso anche i comportamenti e le buone cortesie che un malato psichiatrico deve attentamente seguire. Ma frenato quell'orgasmo, Gemma sarebbe stata pronta a ritornare alla vita di sempre, persino a lavorare. Voleva bene alle sue figlie e si sentiva appagata quando le vedeva sorridere. Suo marito l'amava e lei amava lui. Era un uomo pulito, spinoso e fiero. Con lui aveva avuto un matrimonio da favola. Si ricordò di avere una casa da qualche parte, una cucina e una famiglia. D'estate partiva con loro per andare al mare e d'inverno scivolava sopra le piste da sci per poi concludere le giornate con una cioccolata calda tra le mani. Tutti quei sorrisi erano lì e non se ne sarebbero mai andati. Ma nella foresta, altro non si poteva fare che costeggiare il fiume, fino all'alba del giorno successivo. La cascina le perforò i pensieri, tanto che dovette sorreggere la testa con ambo le mani. Le chiacchierate con Katy prima di dormire le piombarono addosso inondandola. « La porta che non è una porta, quella sigillata nell'ufficio del dottor Foster, nasconde il vero ufficio del dottor Foster » spiegò Katy con serietà, scendendo dal suo letto e sdraiandosi in quello di Gemma, accovacciandosi 16 addosso al suo corpo caldo. « Puzzi di fumo » si lamentò lei, cercando debolmente di scacciarla. « Fatti più in là Frigida, non puoi avere tutto il letto per te » disse facendosi spazio con la forza. « Che palle che sei! » « Devo smettere? » « La porta che non è una porta... no, devi continuare. Continua » sbuffò Gemma, mostrandosi antipaticamente curiosa. « Prima che capisse che sarei stata in grado di essere una sua perfetta paziente, il dottor Foster aveva di me un più profondo rispetto. Dopo tutto ero entrata qui dentro come persona normale, poco diversa da quella che sono ora » disse Katy, gracchiando con una risata macabra che vomitò dalla gola abbrustolita. « Sei matta da legare tu, altro che fingere » sospirò Gemma, fissando il soffitto. « Ma nel tuo letto proprio non ci puoi stare, non è vero? Devo andarci io per caso? » « La storia non è intima se non siamo vicine. E poi chi è quella che la prima notte sotto questo tetto è venuta sotto le mie coperte dicendo che fuori vi erano le scimmie? » chiese Katy con una punta di tenebrosa soddisfazione. « Non ricordarmelo ti prego. Non parliamo più di loro » la pregò Gemma, tremando per un brivido di freddo. « Continua la storia Schizzo » la implorò strattonandola debolmente. « Il dottor Foster, reputandomi poco pericolosa e poco compromessa mentalmente, ebbe la brillante idea di lasciarmi indisturbata nel suo studio. L'infermiera di turno giunse infatti a chiamarlo per aiutarla con un paziente in piena crisi. Così tentai di aprire la finta porta. E in effetti finta lo era sul serio, perché non vi era nemmeno una 17 maniglia. Io però ci avevo visto dentro la sagoma di una porta, allora bussai tre volte con queste mie belle nocche » disse Katy, zittendosi improvvisamente. « Beh? » « Attimo di suspense... » disse Katy a mezza voce. « Sai che paura » brontolò Gemma. « Un urlo animalesco giunse dall'altra stanza! » esclamò Katy dal nulla, riprendendo la storia di scatto. Gemma le tirò un colpo tra le costole che l'amica incassò ridendo, per poi ritornare subito seria. « Spaventata da quel verso caddi all'indietro, facendo cascare con me metà dei libri presenti nella libreria del dottore. Cercando di rimetterli a posto prima del suo arrivo trovai qualcosa. Fu la prima volta che lessi il suo nome » disse silenziosa, mentre Gemma cominciava ad eccitarsi. Non le succedeva da quel giorno alle superiori in cui si era scopata il professore di educazione fisica e subito dopo Taylor, un ragazzo più grande di lei di quattro anni. « La cascina... » disse Gemma, anticipando il racconto di Katy. « Esatto! La cascina! Come lo sai? » « Ripeti quel nome nel sonno tutte le notti da quando ti conosco ». « Ah... ad ogni modo sì, la cascina, la stessa che è rappresentata sulla parete nord della mensa, in quella fotografia tutta sbiadita mangiata dal sole. Soltanto a guardarla da lontano mi si sciolgono le gambe dalla paura » bisbigliò Katy con voce tagliente, accendendo una sigaretta. « Non qui cazzo! » disse Gemma, mettendosi seduta per non respirare il fumo a pochi centimetri da lei. Scavalcò Katy e aprì la finestra della stanza. « Dove l'hai trovata questa? » 18 « Riserva speciale, sigaretta numero sette. Le fumo soltanto in occasioni speciali » disse con serietà. « E cosa festeggiamo questa sera? » chiese Gemma confusa. « Il paziente zero » rispose Katy, fissandola negli occhi. La pelle di Gemma si ricoprì di un leggero strato di sudore. La donna davanti a lei si alzò in piedi e le venne vicina. Buttò la sigaretta ancora accesa fuori dalla finestra e la richiuse di scatto. Quello era un evento che Gemma non avrebbe mai immaginato in cento vite. Katy era capace di fumarsi anche le dita, pur di fare ancora un tiro. La donna oltrepassò Gemma, dandole un colpo con la spalla. Si mise nel letto e coprì la testa con il cuscino, dondolandosi. Non disse più niente. Poco dopo la sigaretta avanzata produsse degli incubi terribili a Katy. Gemma aveva così paura che era tentata di bussare alla porta per farsi portare a casa. Non la divertiva più essere pazza. Avrebbe fatto a meno anche della completa ricerca dell'erotismo pur di non passare la notte lì, accanto a Katy. Per un solo istante aveva intravisto della lucidità in lei e questo non era riuscita a sopportarlo. Il disegno della cascina, nel cuore della mensa, pareva fissarla, sia nella veglia che nel sonno. La mattina si risvegliò con lacrime secche sugli occhi. Si era addormentata nella doccia, con la porta del bagno chiusa a chiave. « Frigida apri o butto giù la porta, mi serve il bagno! » esclamò Katy con voce roca. Era tornata quella di sempre. 19 Capitolo 4 Fu soltanto quando dissi a Joseph quella cosa, che lui capì di essere malato tanto quanto me, sebbene prima non lo sapesse ancora. A sua discolpa vorrei tuttavia aggiungere che lui fu più debole, perché rimase calmo nel suo dolore. Gli umani hanno come principale difetto la potenza assoluta delle parole che pronunciano. Al contrario delle scimmie, loro sono capaci di ascoltare con convinzione una voce, piuttosto che la verità fisica che hanno davanti agli occhi. Detto questo, per correttezza, non riporterò le sue misure, essendo forse più buona su questo diario che nella vita. L'ingenuità più assurda di mio marito era dettata dalla credenza che io avessi smesso di masturbarmi. In verità ero semplicemente diventata più veloce e più brava. Per una forma di rispetto nei suoi confronti che ancora oggi non mi riconosco, decisi di non spiegargli mai il concetto di orgasmo multiplo. Il primo giorno a casa fu la favola che Joseph aveva sempre desiderato, quel lieto fine che sempre era presente nelle storie che leggeva alla sue bambine prima che si addormentassero. Credeva di possedere una voce flautata e ci metteva impegno quando teneva il libricino tra le sue grandi mani. Mary e Sophia lo guardavano tutte eccitate, infilando i piedini sotto le coperte e poi fissandolo nascostamente. Ogni tanto lui gettava delle occhiate rapide per vedere a che punto erano le loro palpebre cadenti. I primi due capitoli erano sufficienti per calarle dolcemente nel pozzo dei sogni. Colto tuttavia dalla pacifica tranquillità 20