lau - Istituto Avventista di Cultura Biblica

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ISTITUTO AVVENTISTA DI CULTURA BIBLICA
FACOLTÀ DI TEOLOGIA
Corso di laurea in teologia
Anno accademico 2012-2013
La seconda visita di Paolo a
Gerusalemme: Atti 11,27-30; 12,25.
Ambito disciplinare:
Nuovo Testamento
Candidato:
Salvatore Silvestro
Relatore:
Prof. Filippo Alma
“Che non siano le circostanze a fare l’uomo,
ma l’uomo a fare le circostanze”.
E.G. White
A Ellen e Carol
2
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………………………….. 5
CAP. I: CONSIDERAZIONI PRELIMINARI……………………………………… 6
1.1 Testimonianze primarie e secondarie……………………………………. 6
1.2 La storiografia degli Atti……………………………………………………. 7
1.3 L’approccio metodologico…………………………………………………. 10
CAP. II: LA SECONDA VISITA DI PAOLO A GERUSALEMME:
ATTI 11,27-30;12,25……………………………………………………… 12
2.1 Introduzione………………………………………………………………….12
2.2 Il contesto…………………………………………………………………… 13
2.2.1 La struttura letteraria degli Atti………………………………….. 13
2.2.2 Il contesto prossimo……………………………………………… 14
2.3 La carestia al tempo di Claudio…………………………………………… 15
2.4 Elementi tradizionali in Atti 11,27-30……………………………………...20
2.5 L’ipotesi del doppione: Atti 11=Atti 15……………………………………. 23
2.6 Il problema del rapporto fra Atti 11,27-30 e 12,25……………………… 26
2.6.1 I risultati della critica testuale…………………………………… 27
2.6.2 L’ipotesi di Dupont……………………………………………….. 27
2.7 Conclusioni………………………………………………………………….. 29
CAP. III: IL RESOCONTO PAOLINO DI GAL 2 E LA SUA
IDENTIFICAZIONE CON ATTI 15.…………………………………..….30
3.1 Introduzione………………………………………………………………….30
3.2 I testi e il loro contesto……………………………………………………...30
3.2.1 Atti 15: il concilio di Gerusalemme…………………………….. 30
3.2.2 Il racconto di Paolo: Galati 2……………………………………. 33
3.3 Aspetti comuni………………….…………………………………………... 35
3.4 Le differenze…………………………………………………………………36
3.4.1 Un lungo elenco………………………..………………………… 36
3.4.2 Il silenzio di Paolo sul decreto…………………………………...37
3
3.4.3 L’incidente di Antiochia………………………………………….. 38
3.5 Osservazioni conclusive……………………………..……………………. 39
CAP. IV: IL VIAGGIO PER LA COLLETTA DI ATTI 11,27-30 COME
TESTO PARALLELO A GALATI 2,1-10………………………..…..… 41
4.1 Introduzione………………………………………………………………….41
4.2 Le notizie autobiografiche dell’epistola e il racconto degli Atti………… 41
4.3 Motivi per una identificazione fra Atti 11,27-30 e Gal 2,1-10………….. 46
4.3.1 La motivazione della visita……………..……………………….. 46
4.3.2 Problemi…………………………………………………………… 46
4.3.3 Interpretazione dell’incidente di Antiochia.……………………..47
4.4 Problemi relativi all’epistola ai Galati…………………………………….. 50
4.4.1 La questione dei destinatari……………..……………………… 50
4.4.2 La data dell’epistola……………………………………………… 52
4.5 Conclusione……………………………………………………….…………53
CONCLUSIONE……………………………………………………………………...54
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………56
4
Introduzione
Scopo della presente ricerca è di indagare sul racconto di Atti 11,27-30; 12,25
che narra del viaggio di Paolo da Antiochia a Gerusalemme per l’invio della
colletta raccolta dagli antiocheni a favore
della chiesa madre e che
rappresenterebbe il secondo passaggio di Paolo a Gerusalemme da cristiano.
Il racconto viene generalmente messo in discussione dagli esegeti perché in
contrasto con la sezione autobiografica dell’epistola ai Galati (cc. 1 e 2) che non
conosce visite ulteriori di Paolo oltre quelle avvenute subito dopo la conversione e
in occasione del «concilio» di Atti 15.
Dunque, contro alle due sole visite ricordate dall’apostolo in Galati, gli Atti
invece ne indicano tre, fino al «concilio».
Come interpretare questa discordanza ?
Sono diverse le risposte date al problema e che proveremo a ripercorrere, ma
crediamo che esse possano essere ricondotte alla più generale questione della
attendibilità storica di Atti, messa oggi generalmente in discussione in favore del
resoconto paolino, ritenuto maggiormente affidabile.
La prospettiva qui adottata invece, discostandosi in ciò dalla opinione
prevalente degli esegeti, è quella di dare fiducia anche al racconto lucano. Il
nostro tentativo sarà infatti quello di provare a verificarne la plausibilità nella
convinzione che l’intento storiografico del libro sia meritevole di maggiore
considerazione di quella attualmente goduta e vada perciò certamente rivalutato.
Nel capitolo iniziale della ricerca proveremo a dare conto (sinteticamente) del
pregiudizio formatosi attorno all’opera lucana e della reazione che ne è scaturita.
Nel secondo capitolo affronteremo la pericope oggetto di studio nell’intento di
formulare un giudizio critico sulla sua plausibilità storica.
Ad esso seguirà il confronto tra la sezione autobiografica dell’epistola ai Galati e
la descrizione di Luca dell’assemblea di Atti 15 in quanto è proprio a partire da tale
identificazione che in generale gli esegeti mettono in discussione il racconto di Atti
11,27-30.
La parte finale della ricerca rappresenta invece il tentativo di formulare una
soluzione alternativa a quella generalmente adottata dagli esegeti.
5
Capitolo I - Considerazioni preliminari
1.1 Testimonianze primarie e secondarie
Nella valutazione del rapporto tra il racconto degli Atti e le lettere paoline,
l’orientamento oggi prevalente accorda decisamente la priorità alle lettere
dell’apostolo sulla base di una distinzione di principio tra testimonianze primarie e
testimonianze secondarie1.
Le lettere di Paolo vengono considerate testimonianze primarie (e quindi
maggiormente attendibili) in quanto redatte dallo stesso apostolo che ha vissuto i
fatti personalmente e ne ha scritto a breve distanza di tempo dal loro accadimento.
Gli Atti degli apostoli, invece, sono stati redatti da qualcun altro e molto tempo
dopo gli eventi narrati; ciò basta per classificarli come testimonianza secondaria e,
nel campo degli studi sull’argomento, per sciogliere i dubbi relativi alla diversità di
narrazione tra le due fonti dando la precedenza a Paolo laddove si riscontrino
divergenze2.
Da questa presa di posizione ne è scaturita inoltre tutta una letteratura che non
ha risparmiato giudizi estremamente negativi circa la storiografia degli Atti, specie
in ambiente tedesco3 (con l’eccezione di M. Hengel)4.
Non crediamo però che ciò renda giustizia alle intenzioni di Luca; fin dal prologo
al suo vangelo5 infatti scopo manifesto dell’autore è quello di voler narrare
accadimenti realmente avvenuti:
1
Cfr. L.C.A. Alexander, «Cronologia di Paolo», voce del Dizionario di Paolo e delle sue lettere, ed.
it. a cura di R. Penna, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999, pp. 408-421.
2
Secondo S. Légasse, Paolo apostolo. Biografia critica, Città Nuova, Roma 1994, p. 176: “il sano
criterio vuole che tentando di delineare i fatti si privilegi la testimonianza di Paolo e che lo si
riconosca come elemento decisivo per un giudizio equo sui dati degli Atti”.
3
Cfr. D. Marguerat, La prima storia del cristianesimo. Gli Atti degli Apostoli, Edizioni San Paolo,
Torino, 2002, pp. 12-13. Fra gli autori citati: Baur, Overbeck, Trocmè, Vielhauer, Conzelmann,
Haenchen, Lüdemann, Roloff.
4
Cfr. M. Hengel, La storiografia protocristiana, Paideia, Brescia, 1985.
5
Risulta unanime il consenso oggi fra gli esegeti circa il fatto che l’opera lucana comprenda due
libri (il terzo Vangelo e gli Atti) e che la stessa debba essere studiata nella sua unità compositiva. A
favore dell’unità letteraria di Luca-Atti militano infatti diverse ragioni; anzitutto l’incipit degli Atti è
simile a quello del secondo libro di Flavio Giuseppe «Contro Apione», che scrive: «Nel primo
volume di quest’opera, mio stimatissimo Epafrodito, ho dimostrato l’antichità della nostra stirpe
[…]»(Contra Ap. II,1). Luciano di Samosata poi, parlando delle varie parti che compongono il corpo
di un’opera di storia, dopo la prefazione raccomanda di concatenare bene le parti successive,
sovrapponendole alle estremità (Quomodo, 55). Ora, la finale di Luca (24,44-53) è concatenata a
cerniera con Atti 1,1-11; inoltre Atti 1,1 richiama Luca 1,1-4. Sembra perciò che l’evangelista
segua, almeno in parte, il modello storiografico del suo tempo. Cfr. G. Segalla, Evangelo e Vangeli,
Edizioni Dehoniane, Bologna, 1992, pp. 177-178.
6
«così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli
inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti
possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto»6.
Luca cioè, non vuole soltanto suscitare la fede; egli ha anche la pretesa di voler
fare storia7.
1.2 La storiografia degli Atti
Lo studioso Augusto Barbi ha ben rilevato come il prevalente atteggiamento di
sfiducia verso l’opera lucana sia in realtà il risultato della ricerca sugli Atti
improntata alla storia della redazione che, se da un lato ha esaltato Luca come
teologo, dall’altro però lo ha decisamente squalificato come storico. Scrive Barbi:
«Certamente i rappresentanti più qualificati di questo orientamento – Dibelius,
Haenchen, Conzelmann – hanno parlato di Luca come di uno «storico», ma di
uno storico creativo che ha interpretato le tradizioni che gli sono giunte in
forma sistematica e ordinata in modo da far risaltare per il suoi lettori il
significato teologico degli eventi. E’ chiaro che in questa prospettiva una
ricerca sui dati cronologici degli Atti non ha molto senso. Anche il tentativo di
valutazione storica degli Atti, attuato attraverso la separazione tra redazione e
tradizione (intesa come fonti o tradizioni orali utilizzate) e la selezione
dell’attendibilità storica di quest’ultima attraverso la consonanza con le fonti
profane o le lettere autentiche di Paolo, ci sembra un approccio, oltre che
problematico, già orientato scetticamente per quanto concerne la possibilità di
un quadro cronologico in qualche modo sensato, perché viene presupposto un
libero arrangiamento da parte dell’autore di tradizioni secondarie. I risultati
sembrano essere la conferma di tale pregiudiziale atteggiamento scettico,
poiché evidenziano come “tradizioni attendibili” solo singoli fatti ma non certo
la loro eventuale cronologia e la loro sequenza complessiva»8.
6
Luca 1,3-4. Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla edizione ufficiale della CEI (Conferenza
Episcopale Italiana), edizione minore del 1974.
7
Così V. Fusco, «Progetto storiografico e progetto teologico nell’opera lucana», in La storiografia
della Bibbia. Atti della XXVIII Settimana Biblica, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1986, p. 130, per il
quale “il prologo appare già sufficiente a dimostrare il carattere storiografico dell’opera; al tempo
stesso però ne rivela anche la destinazione a finalità non puramente storiografiche ma religiose,
ecclesiali […]”.
8
A. Barbi, «Le cronologie degli Atti», in Ricerche Storico Bibliche XIII/2 (2001), p. 28.
7
Spetta a W. C. van Unnik il merito di aver reagito, sul finire degli anni sessanta,
ai risultati della Redaktionsgeschichte manifestando la propria insoddisfazione per
il modo in cui il problema della storiografia lucana era stato fino a quel momento
trattato e fornendo lui stesso un contributo al riguardo dando così inizio alla
ridiscussione del problema9.
Egli ha ricordato anzitutto come l’opera di Luca dovesse essere giudicata con i
criteri dell’antica storiografia e non di quella moderna, dimostrando poi come Luca
si sia attenuto alle esigenze critiche della storiografia antica, (facendo notare
anche come imprecisioni topografiche e cronologiche siano presenti pure nei più
grandi storici dell’antichità) riportando così il lavoro di Luca all’interno dei canoni
storiografici del suo tempo e giungendo a considerare gli Atti a pieno titolo
un’opera storica.
Da allora il dibattito circa la natura storiografica degli Atti non si è più fermato né
concluso e molteplici sono state le proposte presentate 10.
Schematizzando al massimo possiamo notare come gli studi si siano divisi fra
quanti hanno cercato di sottolineare il carattere teologico dell’opera di Luca (a
scapito dell’intento storiografico) e quanti invece hanno cercato di difenderne
l’attendibilità storica.
Le posizioni di van Unnik sono state riprese e condivise anche da M. Hengel:
«Luca non è inferiore ad altri storiografi del mondo antico quanto a credibilità.
Gli si è fatto un grave torto nell’accostarlo alla letteratura edificante, in larga
misura fantasiosa e romanzata, rappresentata dai seriori Atti degli Apostoli,
che inventa liberamente i fatti secondo le necessità e il capriccio del momento.
[…] È pressoché impossibile rimproverargli l’invenzione spregiudicata di
avvenimenti col solo scopo di far sensazione, o la creazione dal nulla di scene
che sembrino colossali affreschi, o la cosciente falsificazione delle sue
tradizioni. Di certo egli non è semplicemente un pio scrittore di edificazione
che giunga perfino a sacrificare la verità, bensì è uno storico e un teologo da
9
Cfr. G. Betori, «La Storiografia degli Atti. La ricerca nel nostro secolo: rassegna e valutazioni», in
Rivista Biblica XXXIII (1985), pp. 114-115.
10
Cfr. G. Betori, art. cit., pp. 107-123.
8
prendere sul serio. Il suo resoconto si mantiene senza dubbio entro i limiti di
ciò che l’antichità considerava attendibile»11.
L’approccio fondamentalmente scettico che si è venuto a formare intorno al
lavoro di Luca sembra dunque essere viziato da un pregiudizio negativo circa il
valore storico dell’opera lucana.
Quanti si soffermano esclusivamente sul carattere teologico dell’opera sembra
infatti che precludano aprioristicamente la possibilità che possa esistere una
storiografia teologica, nonostante il riconoscimento dei tratti storiografici che
caratterizzano il libro.
Tale pregiudizio, secondo A. Barbi, va decisamente corretto:
«Gli Atti non devono essere affrontati con un pregiudiziale sospetto, ma
almeno preliminarmente con lo stesso rispetto che meritano altre fonti
storiche.
La
rilevante
presenza
di
interessi
teologici
non
deve
automaticamente indurre a trascurare o a squalificare in partenza l’interesse
storiografico, la possibilità di certa affidabilità storica […] »12.
Fede e storia insomma non si escludono; Luca può essere al tempo stesso
storico e teologo come già I. H. Marshall aveva fatto notare trasferendo nell’ambito
degli studi neotestamentari i principi delle moderne teorie storiografiche
che
mostrano come lo storico non sia disinteressato e come non esista una
storiografia senza presupposti13.
Nella stessa direzione anche il giudizio dato sulla questione da V. Fusco che
coglie ed insieme coniuga in maniera inscindibile, quelle che sono le peculiarità
dell’opera lucana:
«Si rivelano fallaci le contrapposizioni tra “Luca lo storico” e “Luca il teologo”.
Né storiografia fine a se stessa, né speculazione teologica astratta, ma
riflessione teologica che passa attraverso la narrazione, la ricostruzione di ben
determinati avvenimenti: impegno storiografico nell’orizzonte della fede»14.
1.3 L’approccio metodologico
11
M. Hengel, op. cit., pp. 88-89.
A. Barbi, art. cit., p. 29.
13
Cfr. I. H. Marshall, Luke: Historian and Theologian, Paternoster Press, Exeter, 1970, pp. 21-52.
14
V. Fusco, art. cit., p. 152 [corsivo e grassetto nostri].
12
9
E’ necessario dunque accostarsi agli Atti
con un atteggiamento privo di
valutazioni aprioristiche per poterne analizzare obiettivamente i dati contenuti.
Assumendo tale presupposto anche il metodo ne verrà influenzato con
importanti conseguenze:
«Il metodo di approccio al problema deve essere di conseguenza meno
deduttivo e più induttivo. Occorre partire dai dati offerti dagli Atti per procedere
a un confronto con altre fonti disponibili»15.
Il risultato cui Barbi giunge ci sembra decisivo: egli opera infatti un
capovolgimento metodologico che restituisce, in definitiva, all’opera di Luca quella
dignità storiografica che gli studi dominanti dell’ultimo secolo sembrano invece
averle tolto.
Anche M. Hengel aveva riconosciuto del resto tale necessità:
«Il giusto valore di Luca come primo «storico»-teologo del cristianesimo sarà
da noi riconosciuto solo se prenderemo sul serio la sua opera come fonte,
cioè se, mediante un esame critico, cercheremo di abbozzare una
ricostruzione della vicenda in essa narrata utilizzando anche altre fonti e
mettendole a confronto con essa. Un’applicazione radicale, oggi tanto in voga,
dell’indagine storico-redazionale, che in lui scorge soprattutto il teologo
liberamente producente, non coglie il suo vero intento, che è di narrare
coscientemente, come storico cristiano, quell’evento del passato che fonda e
diffonde la fede, e non di esporre in primo luogo la propria teologia»16.
Partire dai dati degli Atti costituirà dunque anche per noi il punto di partenza
della nostra ricerca.
Scegliamo cioè di trattare gli Atti come una vera fonte, annullando così
preventivamente quella distinzione di valore che si è creata negli studi
sull’argomento e che la pone in secondo piano (dal punto di vista storiografico)
rispetto alle lettere di Paolo17.
15
A. Barbi, art. cit., p. 29.
M. Hengel, op. cit., pp. 97-98.
17
Del resto, se è verosimile la pretesa di informazioni di prima mano sottesa alle “sezioni-in-noi”,
gli Atti allora vanno anch’essi considerati (almeno per quanto attiene a tali sezioni) come fonte
primaria (cfr. A. Barbi, op. cit., p. 30). Questa posizione, oggi minoritaria, è stata sostenuta da V.
16
10
Capitolo II – La seconda visita di Paolo a Gerusalemme:
Atti 11,27-30; 12,25
2.1 Introduzione
Fusco, «Le sezioni-noi degli Atti nella discussione recente», in Bibbia e Oriente 25 (1983), pp. 7386; cfr. anche V. Fusco, «Ancora sulle sezioni-noi degli Atti», in Rivista Biblica 39 (1991), pp. 231239. Lo studioso conclude così il primo dei saggi sopra ricordati: «la spiegazione tradizionale
resiste bene ai reiterati assalti e si presenta come la meglio fondata, anzi l’unica veramente
plausibile. Entrambi i suoi pilastri essenziali si rivelano solidi: primo, che il “noi” non può significare
altro se non la partecipazione personale del narratore; secondo, che quel narratore, anche in base
all’analisi del vocabolario e dello stile, coincide con l’autore dell’intera opera Lc-Atti. Ultima
alternativa resterebbe l’ipotesi di una deliberata finzione affine alla pseudo epigrafia: essa però
contrasta con il carattere anonimo dell’opera e col fatto che almeno per i primi destinatari l’autore
non poteva essere uno sconosciuto».
11
In Atti 11,27-30 Luca narra di una grave carestia avvenuta al tempo di Claudio.
Tale calamità era stata preannunciata da un profeta cristiano di nome Agabo
giunto in visita da Gerusalemme ad Antiochia insieme ad altri profeti; a seguito di
tale annuncio la comunità organizza una colletta che fa recapitare ai fratelli della
Giudea per mezzo di Barnaba e Saulo.
Il testo è il seguente:
«In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. E uno
di loro, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe
scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto
l’impero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello
che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea;
questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saulo»18.
Negli Atti tale racconto viene poi ripreso e completato in 12,25:
«Barnaba e Saulo poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme
prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco»19.
Sulla realtà del racconto lucano la gran parte degli esegeti nutre però forti dubbi
dovuti ad una serie di incongruenze di tipo storico e cronologico.
Scopo di questo capitolo è quello di analizzare nel dettaglio le perplessità
mosse e le soluzioni proposte dagli esegeti per giungere infine a formulare un
giudizio critico circa l’attendibilità dell’avvenimento descritto.
2.2 Il contesto
2.2.1 La struttura letteraria degli Atti
18
19
Atti 11,27-30.
Atti 12,25.
12
Sono diverse le strutture proposte per il libro degli Atti 20; vi sono tuttavia alcuni
criteri di strutturazione che possono dirsi ormai acquisiti e sui quali vi è dunque un
generale accordo fra gli esegeti.
E’ riconosciuta ad esempio l’importanza del comando di Gesù agli undici dato in
1,821 in quanto esso descrive l’intero progetto narrativo del libro; secondo le parole
di Gesù infatti il vangelo deve raggiungere, partendo da Gerusalemme, il mondo
intero: Luca ne narra il primo difficile ed accidentato itinerario.
Bisogna notare, tuttavia, come in realtà nel testo non sia presente ancora alcun
accenno ai pagani; l’apertura della missione alle genti verrà infatti svelata in
maniera graduale.
Sarà Dio stesso a superare inizialmente questo limite aprendo la porta della
fede anche all’eunuco etiope22 e donando a sorpresa lo Spirito a Cornelio 23; alla
conclusione degli Atti l’apertura sarà totale: «Sia dunque noto a voi che questa
salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l’ascolteranno!»24.
Altro accordo importante è sulla centralità del cap. 15, il concilio di
Gerusalemme, che regola l’apertura della missione alle genti. Liberati i convertiti
dal paganesimo dall’obbligo della circoncisione e dalla sottomissione all’intera
legge mosaica, la testimonianza degli apostoli può ora finalmente essere portata
«fino agli estremi confini della terra», accompagnata dalla potenza dello Spirito.
Ulteriore elemento strutturale che sembra scandire il libro degli Atti (cosi come il
Vangelo di Luca) è il richiamo a Gerusalemme. Negli Atti il termine ricorre 59 volte,
di cui 22 nella forma semitica (soprattutto nella prima parte) e 37 in quella
ellenistica (soprattutto nella seconda). Tutti gli esegeti moderni inoltre sono
d’accordo sull’importanza del tema definito dal «viaggio a (da) Gerusalemme»,
elemento strutturante sia del Vangelo che degli Atti.
Riguardo alla macro-struttura del libro infine, possiamo certamente concordare
con Segalla che: «dopo un breve prologo (1,1-2) ed un proemio narrativo (1,3-26)
il libro si struttura in due grandi parti (2,1-14,28 e 15,36-28,31) con al centro 15,135»25.
20
Una rassegna critica è offerta in G. Betori, «Alla ricerca di una articolazione per il libro degli Atti»,
in Rivista Biblica 37 (1989), pp. 185-205; cfr. anche Id., «Strutturazione degli Atti e storiografia
antica», in Cristianesimo nella storia 12 (1991), pp. 251-263.
21
«[…] e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria e fino agli estremi
confini della terra».
22
Cfr. Atti 8,26-40. L’eunuco, secondo il comando di Deut. 23,1, era escluso dall’assemblea.
23
Cfr. Atti 10.
24
Atti 28,28.
25
G. Segalla, op. cit., p. 205.
13
La prima parte corrisponde molto bene al comando iniziale di Gesù; essa narra
infatti l’inizio della missione apostolica con la fondazione della chiesa a
Gerusalemme (2,1-8,3), la diffusione della comunità cristiana in Samaria e nella
Giudea (8,4-12,25) ed il primo viaggio missionario a Cipro e nell’Asia Minore di
Paolo e Barnaba (13,1-14,28). Inoltre viene introdotto il problema dei pagani
convertiti che verrà affrontato nel concilio descritto al cap. 15 e che rappresenta, lo
ripetiamo, il cuore del libro degli Atti.
Nella seconda parte invece Luca racconta la progressiva attività missionaria di
Paolo (15,36-19,20), il suo viaggio alla volta di Gerusalemme dove verrà arrestato
e imprigionato (19,21-23,11) e l’invio a Roma per il processo (23,12-28,31).
2.2.2 Il contesto prossimo
All’interno della narrazione degli Atti questa breve pericope appartiene ad un
intermezzo riguardante lo sviluppo della chiesa in Antiochia (11,19-30) che Luca
inserisce in una sequenza più ampia che ha per protagonista Pietro (9,32-12,24).
La missione di Pietro raggiunge il culmine nella conversione del centurione
Cornelio (cap. 10). Accusato poi di essere entrato in casa di un pagano, Pietro
deve difendersi davanti ai giudeo-cristiani di Gerusalemme (11,1-18) raccontando
l’intervento diretto dello Spirito. La disputa si conclude con le parole degli stessi
accusatori: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché
abbiano la vita».
Il racconto della conversione di Cornelio giustifica così l’intermezzo inserito da
Luca che racconta la coraggiosa predicazione ai gentili di alcuni missionari giunti
ad Antiochia da Gerusalemme a seguito della persecuzione scoppiata a motivo di
Stefano. Dalla loro predicazione ha origine la comunità antiochena la cui
costituzione sarà ratificata da Gerusalemme attraverso Barnaba.
Intento del brano oggetto di studio è di mostrare che, nel momento del bisogno
e divenuta ormai indipendente, la comunità antiochena fa sentire la propria
vicinanza alla chiesa madre prendendosi cura dei fratelli ai quali doveva
l’esistenza.
14
2.3 La carestia al tempo di Claudio
Rispetto al dato riportato da Luca26 circa la carestia avvenuta al tempo
dell’imperatore Claudio,
una parte degli esegeti rileva alcune incongruenze e
difficoltà di tipo storico. In merito J. Zmijewski scrive infatti:
«Non si hanno prove di una carestia su tutta la terra sotto l’imperatore
Claudio. Sappiamo che durante il suo regno (41-54 d.C.) si ebbero “più
carestie in diverse regioni del suo impero, ma nessuna che si fosse estesa a
tutto il territorio. Una carestia piuttosto grave colpì Israele sotto il procuratore
Tiberio Alessandro (46-48 d.C.)”, come ricorda anche Flavio Giuseppe. Può
anche essere che Luca abbia fatto di una carestia parziale una carestia
generale, oppure che abbia semplicemente data per compiuta (sotto Claudio)
la profezia di Agabo, intesa in senso escatologico-apocalittico come una
carestia generale alla fine dei giorni. Se dovesse essere veramente la grave
carestia degli anni 46-48 d.C., Luca l’avrebbe allora datata in modo
evidentemente errato (e cioè prima della morte di Agrippa I, avvenuta già nel
44 d.C.; cfr. 12,20-23!)»27.
Anche G. Schneider muove le stesse osservazioni:
«Peraltro non si hanno altre testimonianze di una carestia mondiale in questo
periodo, ed è lecito ritenere che Luca abbia usato diverse notizie su carestie
parziali in questo periodo per dare un preciso risalto all’idea del compimento. Il
contesto fa pensare che la profezia di Agabo sia stata fatta sotto un altro
imperatore. Luca però è costretto ad anticipare la carestia mondiale, perché la
colloca prima della morte di Agrippa I, avvenuta nel 44 d.C.»28.
Una delle obiezioni mosse da entrambi gli autori riguarda il tempo in cui la
carestia si sarebbe prodotta; Luca avrebbe erroneamente posto la sua
realizzazione prima della morte di Agrippa I, mentre in realtà essa risulterebbe
successiva, dovendosi probabilmente identificare con quella ricordata da
26
Cfr. Atti 11,28.
J. Zmijewski, Atti degli Apostoli, Morcelliana, Brescia, 2006, p. 599.
28
G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli, Vol. II, Paideia, Brescia 1985, pp. 124-125.
27
15
Giuseppe Flavio e verificatasi in Giudea sotto il procuratore Tiberio Alessandro
che governò dal 46 al 48.
C.K. Barrett, pur condividendo l’idea che la carestia non fu universale 29, offre
però una risposta importante a questa osservazione sottolineando come il testo in
realtà non faccia riferimento alla realizzazione dell’avvenimento bensì solo al suo
annuncio:
«E’ un errore sostenere che Luca sbaglia nel datare la carestia perché 11,2730 precede la morte di Erode Agrippa I (12,23): in 11,27 non si narra il
prodursi della carestia ma una profezia che ne annuncia una. E’ possibile
che sia questo il motivo per cui Luca completa il racconto in 12,24.25»30.
Riguardo invece all’idea che Luca abbia esagerato la portata della carestia,
iniziamo col dire che l’espressione “su tutta la terra” (gr. ἐφ᾽ὅλην τηὴν
οἰκουμένην) correttamente intesa va circoscritta all’impero romano così come
dimostra l’utilizzo che lo stesso Luca ne fa altrove, nel vangelo 31.
Bisogna poi rilevare come non pochi siano anche gli esegeti che ritengono
verosimile e degna di fiducia l’espressione utilizzata da Luca.
Secondo G. Ricciotti il suo accenno è da riferirsi ad una situazione endemica
che ha caratterizzato quasi tutto il regno di Claudio per cui «si poteva dunque ben
dire in molte regioni dell’Impero che la fame avvenne sotto Claudio» 32.
Partendo dalla constatazione che le fonti extrabibliche, pur non parlando mai
esplicitamente di una carestia estesa a tutto l’impero menzionano però carestie
29
Cfr. C. K. Barrett, Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia 2003-2005, vol. I, p. 606. Lo studioso
sostiene che «se la carestia fosse stata davvero universale, nessuna chiesa sarebbe stata nelle
condizioni di mandare aiuti a un’altra, sicchè la soluzione migliore sembra congetturare che al v. 28
Luca abbia esagerato la portata della carestia […]». Come vedremo, la circostanza relativa alla
presenza di un anno sabbatico nel periodo in cui la carestia colpì la Palestina risponde però molto
bene all’osservazione prodotta: i cristiani di Antiochia infatti non soffrivano nello stesso grado, in
quanto le prescrizioni di Es 23,10s valevano solo per la Palestina; potevano dunque essere in
grado di aiutare i cristiani della Giudea.
30
C. K. Barrett, op. cit., vol. I, pp. 608-609.[grassetto nostro].
31
Cfr. Luca 2,1: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento
di tutta la terra ». Anche qui il greco ha τηὴν οἰκουμένην.
32
G. Ricciotti, Gli Atti degli Apostoli, Colletti Editore, Roma, 1951, p. 199.
16
più o meno gravi avvenute in vari settori 33, Ricciotti ritiene ciò sufficiente a
dimostrare la fondatezza del commento lucano.
Sulla universalità della carestia ha concordato pure J. Dupont, sebbene per lo
studioso francese il ricordo di Luca debba essere riferito ad un fatto preciso e non
ad una situazione endemica34. Egli ha notato altresì come (riprendendo in ciò un
articolo di J. Jeremias35), quando questa colpì la Palestina, essa fu resa ancora
più grave dalla presenza di un anno sabbatico:
«il governo di Tiberio Alessandro comprendeva un anno sabbatico:
dall’autunno del 47 all’autunno del 48. Per tutto l’anno i terreni dovevano
essere tenuti a prato, e pare che a quel tempo la prescrizione venisse
osservata con cura. In un periodo in cui la penuria si faceva già sentire, il
sopraggiungere di un anno sabbatico poteva significare la catastrofe. Dato
che ci fu una carestia a Gerusalemme tra il 46 e il 48, tutto porta a credere
che, se pure aveva cominciato a farsi sentire anche prima, essa raggiunse le
sue fasi più drammatiche durante l’anno sabbatico e nei mesi che lo
seguirono. […] La coincidenza dell’anno sabbatico 47-48 col governo di
Tiberio Alessandro corrisponderebbe molto bene alla notizia degli Atti che
identifica la carestia di Gerusalemme con quella che infierì su tutto l’impero
alla stessa epoca o poco dopo»36.
La tesi che vede nella carestia indicata da Luca un evento determinato è stata
sostenuta recentemente anche da Marucci 37 il quale prende le mosse dallo studio
di Gapp38 (al quale rimandano praticamente tutti coloro che si sono occupati della
questione e che, nonostante sia datato, mantiene ancora tutta la sua validità)
33
Sono varie le fonti che menzionano carestie avvenute al tempo di Claudio: ne viene ricordata
una a Roma già nel 41/42 (cf. Seneca, De brev. Vit. XVIII 5; Dione C., LX 11,1; Aurelio V., De
Caes. 4,3) e nel 51 (cf. Tacito, Ann. XII 43; Svetonio, Claud. 18,3; Orosio, Hist. VII 6,17); in Grecia
intorno al 49 (cf. Eusebii chronicorum libri duo, hg. A. Schone, Berlino, 1875, II, 152s); per la
Palestina ne parla Flavio Giuseppe (Ant. Giud. III, 320; XX,51-53; XX 101).
34
Cfr. J. Dupont, «La carestia al tempo di Claudio (Atti 11,28)», in J. Dupont, Studi sugli Atti degli
Apostoli, Edizioni Paoline, Roma, 1971, p. 276.
35
Cfr. J. Jeremias, «Sabbatjahr und neutestamentliche Chronologie», in Zeitschrift für die
Neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der Älteren Kirche , vol. XXVII, 1928, pp. 98-103.
L’articolo risulta fondamentale in quanto sulla base del trattato mišnico Sȏtṭȃ lo studioso arriva a
stabilire che nel 40/41 venne rispettato l’anno sabbatico e, secondo le prescrizioni di Es 23,10-11,
campi, vigneti e oliveti furono lasciati incolti mentre l’eventuale raccolto doveva essere dato ai
poveri o lasciato agli animali. Il successivo anno sabbatico cadeva dunque nel 47/48.
36
J. Dupont, art. cit., pp. 280-281.
37
Cfr. C. Marucci, «Storia e amministrazione romana nel Nuovo Testamento», in AA.VV. “Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt, vol. 2 Principat”, Berlino-New York 1996, pp. 2178-2220.
38
Cfr. K. Gapp, «The Universal Famine under Claudius», in Harvard Theological Review 28
(1935), pp. 258-265.
17
ricordando come «nel mondo antico, come nel moderno, la carestia era sempre
essenzialmente una carestia di classe» 39.
Lo studioso scrive in proposito:
«Tale termine perciò non implica necessariamente, anzi quasi mai una
completa mancanza di sostentamenti per tutti gli strati della società ed in tutte
le parti dell’impero in modo uniforme. E’ sufficiente infatti che nelle regioni da
cui normalmente affluiscono nelle altre le riserve di grano (ciò vale soprattutto
per l’Egitto in corrispondenza del periodico straripamento del Nilo) manchi o
diminuisca il raccolto annuale, perché nelle altre subito il prezzo dei mezzi di
primo sostentamento diventi quasi insopportabile per gli strati più poveri della
popolazione. […] è sicuro, sulla base delle informazioni di Plinio [Nat. Hist., V
58; XVIII 167ss, n.d.r.], che durante il regno di Claudio si verificò il più forte
straripamento del Nilo dell’ultimo secolo. Egli riferisce che in tale occasione il
livello delle acque raggiunse i diciotto cubiti, due in più del livello ideale.
Ancora Plinio ci informa che ogniqualvolta il Nilo supera il livello di sedici cubiti
si produce una carestia per almeno un anno. Siamo così sicuri che, in
occasione di tale straripamento del tutto eccezionale, gli effetti furono
percepibili in tutti i grandi mercati dell’impero» 40.
Dallo studio del Gapp egli ricava poi come la carestia abbia interessato l’Egitto
certamente fra l’autunno del 45 e la primavera del 46 e conclude proponendo la
successione dei fatti indicata anche dallo Jeremias: generale mancanza di raccolti
in Egitto nel 45/46, conseguente carestia con accaparramenti e speculazioni nel
46/47, per la sola Giudea ulteriore aggravamento della situazione a causa
dell’anno sabbatico (47/48), mentre nel resto dell’impero in generale la situazione
andò migliorando, cosicché la ‘grande carestia’ si prolungò per la sola Palestina
fino ai primi raccolti della primavera del 49.
Un ulteriore tassello lo aggiunge a nostro avviso la papirologa Orsolina
Montevecchi41 che, sulla scorta delle testimonianze, nota come il regno di Claudio
39
K. Gapp, art. cit., p. 261 : «In the ancient world, as in the modern, famine was always essentially
a class famine” [traduzione nostra].
40
C. Marucci, art. cit., pp. 2215-2216.
41
Cfr. O. Montevecchi, «La crisi economica sotto Claudio e Nerone: nuove testimonianze», in
Neronia III. Actes du IIIe Colloque International de la SIEN, (Centro ricerche e documentazione
sull’antichità classica), Atti Vol. XII (1982-1983), pp. 139-148. L’articolo riporta una testimonianza
scioccante degli effetti della carestia. In un piccolo villaggio egiziano di poche migliaia di abitanti
dove la schiavitù è scarsa, in quegli anni sono registrate numerose vendite fiduciarie di neonati.
Stretti dal bisogno, i genitori dei bambini, per ottenere un mutuo e superare così la crisi,
18
sia stato particolarmente segnato dalla carestia a causa di una serie di cattive
annate. La crisi, cominciando dall’Egitto, fece sentire i suoi effetti anche in
Palestina, Siria, Grecia e persino nella stessa Roma.
All’eccezionale straripamento del Nilo del 45/46 dunque, va associata la
documentata scarsità dei raccolti degli anni successivi che ebbe ripercussioni in
tutto l’impero per come si ricava dalle fonti.
Per la studiosa infine, l’espressione degli Atti «λιμοὴν μεγάλην … ἐφ᾽ὅλην τηὴν
οἰκουμένην» risulta essere pienamente giustificata.
Riassumendo, possiamo concludere che durante gli anni che vanno dal 45/46
al 50/51, il regno di Claudio fu effettivamente interessato da un eccezionale
periodo di carestia dovuto ad uno straordinario (e documentato) straripamento del
Nilo che associato ad una serie di cattive annate produsse effetti ovunque
nell’impero, al punto che neanche Roma ne fu risparmiata.
In Giudea poi la carestia fu particolarmente sentita perché aggravata dalla
presenza di un anno sabbatico.
Un periodo di crisi dunque che non ha eguali nella storia del I secolo e che
giustifica l’espressione «su tutta la terra» utilizzata da Luca, espressione che,
come abbiamo visto, è da intendersi riferita ai territori dell’impero romano.
Il riferimento di Luca alla carestia risulta pertanto a nostro avviso storicamente
fondato e cronologicamente corretto; le testimonianze offerte dalle fonti inoltre, alla
luce degli studi sopra indicati, inducono a considerarne realistica anche la portata
(universale) indicata da Luca.
2.4 Elementi tradizionali in At 11,27-30
Alcuni esegeti sono propensi a vedere in At 11,27-30 una vera creazione
lucana sulla base di tradizioni sparse.
Per Roloff42, ad esempio, Luca ha messo insieme due tradizioni in origine
indipendenti: una tradizione gerosolimitana (al v. 28) sulla profezia di Agabo ed
concludevano un contratto di baliatico (ci si impegnava cioè ad allevare il proprio figlio) con la
stessa persona che concedeva loro il mutuo. In tale contratto il bambino era dichiarato schiavo del
creditore (di chi cioè erogava il mutuo), e perciò al termine del periodo di allevamento
(normalmente due o tre anni) doveva essere consegnato al creditore qualora il debito non fosse
stato pagato. In molti casi però la speranza di risarcire il debito venne purtroppo disattesa come
testimoniano i registri di Tebtynis (il villaggio egiziano) che riportano numerose compravendite di
schiavi di tre anni di età.
42
Cfr. J. Roloff, Gli Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia, 2002, pp. 244-248.
19
un’altra (vv. 29-30) di provenienza antiochena inerente alla raccolta e consegna di
una colletta per la Giudea.
L’antichità di quest’ultima risulterebbe provata dalla menzione degli anziani
quali depositari della colletta. Se la formulazione infatti fosse lucana al posto di
«anziani» avremmo dovuto trovare «apostoli», visto che fino a quel momento Luca
aveva presentato soltanto questi quali guide della comunità 43.
Oltre a ciò egli ritiene che la notizia non possa essere considerata invenzione di
Luca in considerazione di quanto marginale sia il tema della colletta nel suo
racconto.
In ultimo, riferendo tale notizia alla tradizione antiochena su Barnaba, lo
studioso rileva come originariamente questi fosse probabilmente l’unico incaricato
della consegna della colletta: il nome di Saulo rappresenterebbe allora un’aggiunta
di Luca.
Luca avrebbe dunque combinato queste due tradizioni (senza alcuna relazione
fra loro) inserendole in una cornice narrativa creata ad hoc e rappresentata dal
viaggio di Agabo e degli altri profeti ad Antiochia.
Anche Zmijewski condivide questa ipotesi:
«Luca ha congiunto nella sua composizione i diversi elementi tradizionali, e
cioè la notizia su Agabo e quella del viaggio delle collette di Barnaba, e li ha
ampliati con elementi redazionali (in particolare con la nota sui profeti venuti
da Gerusalemme, nella prima parte, e con l’aggiunta di Paolo, nella seconda)
[…]»44.
In definitiva lo schema di composizione della pericope secondo gli esegeti citati
risulta essere il seguente:
tradizione gerosolimitana
tradizione antiochena
(profezia di Agabo di una grave carestia)
(colletta della comunità di Antiochia
consegnata da Barnaba)
43
La notizia inoltre risulta storicamente confermata anche da At 15,6: «Allora si riunirono gli
apostoli e gli anziani per esaminare questo problema». Intorno agli anni ’40 qualcosa mutò nella
organizzazione della comunità gerosolimitana: gli apostoli non hanno più la leadership assoluta
sulla vita della chiesa ma vengono affiancati da un consiglio di anziani, una istituzione derivata e
utilizzata dal giudaismo a tutti i livelli (la gestione delle sinagoghe era affidata a un consiglio di
anziani; il Sinedrio era composto da anziani …).
44
J. Zmijewski, op. cit., p. 602.
20
aggiunte redazionali
-
carestia estesa “a tutta la terra”
-
verificatasi al tempo di Claudio
aggiunte redazionali
- Saulo accompagna Barnaba
cornice narrativa creata da Luca
viaggio di Agabo e dei profeti da Gerusalemme ad Antiochia
Sulla fondatezza della notizia relativa alla carestia abbiamo già discusso nel
paragrafo precedente.
Riguardo invece alla tradizione antiochena, rileviamo anzitutto come la
menzione di Saulo accanto a Barnaba come latore della colletta non debba
rappresentare necessariamente una aggiunta redazionale. Secondo Barrett infatti:
«Il nucleo di questa pericope è stato probabilmente mutuato da una tradizione
antiochena: […] E’ senz’altro possibile che nella memoria antiochena vi fosse
il cenno a Barnaba e Saulo. Che entrambi fossero strettamente legati ad
Antiochia è provato da Gal. 2,13, e Atti 15,1-5, sia esso considerato un
resoconto di un evento distinto o un doppione di questo, conferma il quadro di
un invio dei due da Antiochia a Gerusalemme»45.
L’invio di Barnaba e Paolo risulta altresì plausibile dall’uso giudaico di inviare in
coppia gli šlјḥјm col compito di portare denaro46.
E’ anche interessante notare come secondo Roloff sia possibile ricavare degli
indizi circa la datazione del viaggio. A suo avviso la tradizione rimanda al periodo
importante dell’attività di Barnaba in Antiochia, cioè al tempo compreso tra la
fondazione della comunità e il concilio degli apostoli 47.
Se con ciò si riconosce da un lato l’antichità della tradizione che vi soggiace,
dall’altro però implicitamente si ammette pure che essa risulta correttamente
collocata all’interno del quadro cronologico tracciato da Luca 48!
45
C. K. Barrett, op. cit., vol. I, pp. 603.
Cfr. Idem, p. 611.
47
Cfr. J. Roloff, op. cit., p. 246.
48
Anche secondo Barbi il racconto di una colletta antiochena intorno all’anno della morte di Erode
potrebbe risalire a informazioni attendibili (A. Barbi, art. cit., p. 28).
46
21
Rimane da considerare la cornice narrativa che risulterebbe invece esclusiva
creazione lucana.
In merito rileviamo come la presenza di profeti cristiani nelle comunità del I sec.
sia ampiamente attestata, specie dalle lettere paoline 49. Lo stesso Luca ricorderà
la presenza di profeti nella comunità di Antiochia (13,1; 15,32) e più avanti negli
Atti (21,10-11) riporterà una ulteriore profezia di Agabo nei confronti di Paolo.
Una delle obiezioni mosse da Roloff è la seguente: dato che la comunità di
Antiochia aveva i suoi profeti, essa «non necessitava dunque di rinforzi da
Gerusalemme»50.
Il fenomeno del profetismo itinerante è però ben attestato dalla Didachè 11-13.
In merito Roloff per parte sua rileva come pur non mancando allora numerosi
profeti itineranti nella Siria-Palestina, che se ne andavano di luogo in luogo
predicando, questi si presentassero in realtà individualmente.
Tale posizione non ci convince e risulta anzi sconfessata dallo stesso libro degli
Atti laddove in 15,27 presenta l’invio dalla comunità di Gerusalemme a quella di
Antiochia di due profeti (Giuda e Sila 51) perché comunicassero loro le decisioni del
concilio.
Riteniamo pertanto quantomeno probabile che l’intera pericope possa
appartenere ad un ricordo che affonda per intero le sue radici nella tradizione.
2.5 L’ipotesi del doppione: Atti 11 = Atti 15
L’ipotesi che i racconti di Atti 11 e 15 siano in qualche modo da mettere in
relazione è la spiegazione elaborata dalla cosiddetta teoria delle fonti e costituisce
la soluzione più comunemente ammessa.
Al cap. 11 e al cap. 15 degli Atti, Luca parla di due viaggi di Paolo a
Gerusalemme, ma in realtà le notizie andrebbero riferite ad una medesima visita.
49
Cfr. Rom 12,6; 1 Cor 12,10; Ef 4,11.
J. Roloff, op. cit., p. 244.
51
Cfr. Atti 15,32: «Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti …».
50
22
Secondo Jeremias52, Luca ha ripreso due fonti parallele di uno stesso evento
(una fonte antiochena per Atti 11 ed una gerosolimitana per Atti 15). Paolo
avrebbe portato la colletta al momento del concilio, coincidente con la fine
dell’anno sabbatico del 47/48. L’errore di Luca dunque sarebbe dovuto al fatto che
egli ha trovato lo stesso viaggio a Gerusalemme raccontato in due fonti differenti.
Il primo viaggio missionario inoltre deve essere posto correttamente da Luca dopo
la riunione apostolica a Gerusalemme e non prima, in quanto i capp. 13 e 14
vanno attribuiti alla fonte antiochena.
Questa soluzione pone però un grave problema di ordine cronologico. Se si
mantiene la data del 49/50 (come di norma si ammette e come fa lo stesso
Jeremias) come data dell’unico viaggio di Paolo e Barnaba a Gerusalemme, sia
per portarvi la colletta che per l’occasione del concilio, diventa impossibile
intercalarvi dopo la realtà del primo viaggio missionario descritto ai capp. 13-14.
Dato infatti che il soggiorno di Paolo a Corinto nel corso del secondo viaggio
missionario comincia probabilmente nell’autunno del 50, ci si domanda come sia
possibile collocare in uno spazio di tempo così ristretto l’intero primo viaggio
missionario di Atti 13 e 14.
Per risolvere il dilemma altri hanno proposto teorie ancor più radicali. Per Suhl 53
infatti, Luca divide un’unica tradizione in due racconti, ma l’epoca dell’unica visita
di Paolo e Barnaba andrebbe retrodatata agli anni 43-44, prima cioè della morte di
Erode. E’ salvo in questo modo il primo viaggio missionario ma evidentemente si
complica ulteriormente la cronologia che risulta eccessivamente anticipata 54.
Una soluzione diversa (e comunemente accettata) del problema l’ha ipotizzata
P. Benoit55.
Secondo lo studioso francese Luca ha composto il libro degli Atti a tappe,
inserendo nuove storie in un testo già redatto prima. In particolare nel caso
specifico Benoit propone di vedere i capp. 13 e 14 come una di tali inserzioni
(risalenti ad una fonte paolina e non antiochena) fra il cap. 12 (che terminerebbe
52
Cfr. J. Jeremias, art. cit.
Cfr. A. Suhl, Paulus und seine Briefe, G. Mohn, Gutersloh, 1975, pp. 62ss, cit. da G. Rossé, Atti
degli Apostoli, Città Nuova, Roma, 1998, p. 453.
54
Il quadro tracciato da Suhl, che anticipa il concilio di Gerusalemme al 43/44, poggia sull’ipotesi
che Giovanni, figlio di Zebedeo, venne giustiziato assieme al fratello Giacomo per mano di Erode
Agrippa. L’ipotesi è debole: in Atti 12,2 infatti si fa menzione soltanto della morte violenta di
Giacomo e non anche di quella di Giovanni.
55
Cfr. P. Benoit, «La deuxième visite de Saint Paul a Jérusalem», in Biblica 40 (1959), pp. 778792.
53
23
originariamente con il v. 24) e il cap. 15. Al momento dell’inserzione Luca avrebbe
composto delle suture rappresentate da 12,25 (per fare rientrare Paolo e Barnaba
ad Antiochia) e 15,1-2 (per farli ritornare nuovamente a Gerusalemme) 56.
Togliendo i capp. relativi al primo viaggio missionario dalla fonte cui Jeremias
assegnava anche 11,27-30, Benoit ristabilisce quello che a suo avviso deve
essere il corretto ordine cronologico: il viaggio missionario cioè deve essere inteso
come precedente al concilio e non successivo. Resta ferma dunque per lui la data
della visita (49).
L’ipotesi che Atti 11 costituisca un doppione di Atti 15 è fra quelle oggi
maggiormente sostenute.
Così ad es. pensano C. K. Barrett:
«Di un’altra visita di Paolo e Barnaba a Gerusalemme si parla in Atti 15. Che
queste due visite siano in realtà una sola lo si può credere con una certa
sicurezza, in quanto il cap. 15 corrisponde a Gal 2,1-10 e la visita narrata in
Gal 2,1-10 era solo la seconda del cristiano Paolo a Gerusalemme. […] non è
concepibile che Paolo sia stato così sciocco (per non dire insincero) da
omettere, nella lettera polemica alla Galazia, la notizia di una visita che i suoi
avversari avrebbero potuto sfruttare. Se poi l’identità di 11,27-30 e del cap. 15
sia dovuta a una rielaborazione lucana di una o più fonti […] è un’altra
questione»57.
e R. Fabris:
«Inoltre va rilevato che nella Lettera ai Galati, dove Paolo si fa premura di
segnalare i suoi contatti con la chiesa di Gerusalemme, egli non accenna per
nulla a un eventuale viaggio tra la prima visita a Cefa e quella avvenuta
quattordici anni dopo, la quale coincide sostanzialmente per i problemi trattati
e per i partecipanti con quella del cosiddetto «concilio di Gerusalemme». E’
dunque probabile che l’autore degli Atti abbia sdoppiato l’unico secondo
56
Contro l’ opinione di Benoit, Dockx fa notare come Luca scandisca le tappe della vita di Paolo
attraverso il suo andare e venire da Gerusalemme. Il testo di 12,25 che segnala uno di questi
ritorni deve dunque essere considerato, come un versetto appartenente all’ordinamento primitivo
degli Atti piuttosto che un versetto redazionale che aggiusta il testo a seguito dell’inserzione dei
capp. 13-14. Cfr. S. Dockx, «Chronologie de la vie de Saint Paul, depuis sa conversion jusqu’à son
séjour à Rome», in Novum Testamentum 13 (1971), p. 266.
57
C. K. Barrett, op. cit., vol. I, p. 604.
24
viaggio di Paolo compiuto assieme a Barnaba a Gerusalemme. In un primo
racconto di viaggio egli lo fa compagno di Barnaba per portare gli aiuti della
giovane chiesa di Antiochia alla chiesa madre di Gerusalemme e così mettere
in risalto la solidarietà fra le due chiese. Nel secondo i due protagonisti della
missione fra i pagani si recano a Gerusalemme per affrontare il problema
dell’accoglienza dei pagani convertiti nella Chiesa. […]»58.
Preme qui rilevare come in entrambi i casi a questa soluzione ci si arrivi
praticamente per via indiretta partendo dalla equivalenza (niente affatto scontata)
fra Gal 2 e Atti 15.
Dato cioè che nell’epistola ai Galati Paolo narra di due soli viaggi compiuti a
Gerusalemme e dato che il secondo deve corrispondere necessariamente a quello
di cui si parla in Atti cap. 15 (mentre il primo è da riferirsi alla visita presentata in
Atti cap. 9), allora il viaggio descritto al cap. 11 va riferito a quello menzionato al
cap. 15 e di cui sarebbe dunque un doppione.
Ritroviamo così a nostro parere il pregiudizio nei confronti del racconto degli Atti
di cui abbiamo parlato nel capitolo iniziale e che fa dire ad es. a M. Simon:
«Sarebbe vano voler risolvere le sue contraddizioni e accordare fra esse i dati
degli Atti e quelli dell’Epistola ai Galati. Dovendo scegliere, non si esiterà a
seguire Paolo, testimone oculare, piuttosto che l’autore degli Atti»59.
Affronteremo nel prossimo capitolo la questione della equivalenza o meno dei
racconti di Gal 2 e Atti 15.
Nell’insieme riteniamo di concludere che le spiegazioni fornite non siano
convincenti60, ragion per cui l’esegesi attuale tende a puntare di più l’attenzione sul
lavoro di composizione del redattore 61, lavoro che, a nostro avviso, sembra
anch’esso essere viziato dal medesimo pregiudizio circa la priorità del resoconto
paolino.
2.6 Il problema del rapporto fra Atti 11,27-30 e 12,25
58
R. Fabris, Paolo. L’apostolo delle genti, Milano, Paoline, 1997, p. 148.
M. Simon, I primi cristiani, Garzanti, Milano, 1958, p. 65.
60
Di questo avviso G. Rossé, op.cit., p. 453.
61
Vedi paragrafo precedente.
59
25
Uno dei problemi sorti intorno alla questione riguarda il versetto 25 del capitolo
12 degli Atti. I dubbi da sciogliere sono relativi sia alla natura del testo (risalente
alla tradizione oppure di impronta redazionale) che alla sua relazione con 11,2730. In greco il testo è il seguente:
Βαρνάβας δεὴ καιὴ Σαῦλος ὑπέστρεψαν εἰς ᾿Ιερουσαλήμ πληρώσαντες τηὴν
διακονίαν συμπαραλαβόντες ᾿Ιωάννην τοὴν ἐπικληθέντα Μᾶρκον. 62
Le lezioni del passo oggetto di esame sono diverse e contraddittorie; mentre
alcuni manoscritti hanno εἰς (tornarono a Gerusalemme), altri hanno invece ἐξ o
ἀποὴ (tornarono da Gerusalemme) ed altri ancora εἰς ᾈντιόχειαν (tornarono ad
Antiochia)63. La questione che ne nasce è allora quella di capire se Barnaba e
Saulo facciano ritorno ad Antiochia oppure a Gerusalemme e se la visita qui
descritta debba essere intesa come distinta o meno da quella riportata in 11,2730.
2.6.1 I risultati della critica testuale
Secondo i risultati della critica testuale la lezione εἰς rappresenterebbe la
lezione primitiva64.
L’ipotesi che Luca avesse scritto in realtà ἐξ o ἀποὴ, modificato poi in εἰς dai
copisti, è stata oggi abbandonata65.
La lezione εἰς non soltanto ha per sé il vantaggio numerico (è attestata da un
numero maggiore di codici) ma ne è indubbiamente anche la più difficile. Le
62
«Barnaba e Saulo, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme, prendendo con loro
Giovanni detto anche Marco».
63
Cfr. J. Dupont, «La missione di Paolo a Gerusalemme (Atti 12,25)», in J. Dupont, Studi sugli Atti
degli Apostoli, Edizioni Paoline, Roma, 1971, pp. 369-375.
64
Ibidem.
65
L’idea è stata sostenuta dallo Schmithals; cfr. C. K. Barrett, op. cit., vol. I, p. 642.
26
varianti ἐξ e ἀποὴ tendono a dare un significato chiaro al testo, ma proprio per
questo sono da considerarsi sospette. Esse rappresentano la correzione da parte
dei copisti e non possono essere accettate, così come anche εἰς ᾈντιόχειαν
(che se da un lato rende ancora più agevole il senso, dall’altro mira forse a
conservare l’ εἰς originario).
In definitiva, la lezione εἰς consente di spiegare le concorrenti mentre ciò non si
verifica per queste ultime; bisogna pertanto attribuirle maggiori probabilità delle
altre di essere la lezione primitiva.
2.6.2 L’ipotesi di Dupont
Secondo J. Dupont è impossibile intendere in 12,25 che Barnaba e Saulo
facciano ritorno a Gerusalemme in quanto i due si trovavano già a Gerusalemme.
Alla lezione primitiva si oppone a suo avviso l’analisi letteraria del contesto in cui il
brano è inserito che fa risaltare la funzione di Atti 12,25 come elemento di
transizione tra un racconto ambientato a Gerusalemme e una storia che si
ricollega ad Antiochia.
Egli scrive in proposito:
«Nel c. 12 la scena è a Gerusalemme: al c. 13 passa ad Antiochia. Non è
nelle abitudini di Luca trasportare bruscamente il suo lettore da un luogo
all’altro. Ci vuole una transizione; la più naturale è quella di un viaggio ed è
precisamente di un viaggio che si tratta in 12,25. Dal punto di vista letterario,
questo viaggio non avrebbe alcun senso, se dovesse trasportarci da Antiochia
a Gerusalemme, dato che siamo già a Gerusalemme e si tratta di trasferirci ad
Antiochia; la transizione di 12,25 deve riportare la scena da Gerusalemme ad
Antiochia, diversamente non raggiunge lo scopo che Luca si prefigge. La
presenza
di
Giovanni-Marco
in
questa
notizia
conferma
la
nostra
supposizione. Ci si informa che Paolo e Barnaba “lo condussero con sé”. […]
queste osservazioni sul carattere e la funzione letteraria del nostro versetto
portano a una conclusione che pare molto sicura: o si deve ammettere che
questo versetto parla del ritorno di Paolo e Barnaba da Gerusalemme ad
Antiochia, oppure confessare che non ha alcun senso»66.
66
Idem, pp. 382-384.
27
Come coniugare allora i dati della critica testuale con quelli dell’analisi letteraria
che vanno in direzione opposta ?
Per lo studioso francese εἰς ᾿Ιερουσαλήμ (a Gerusalemme) va riferito a ciò
che segue: πληρώσαντες τηὴν διακονίαν (compiuta la loro missione):
«Poiché bisogna attenersi alla lezione εἰς ᾿Ιερουσαλήμ, il senso esige che si
riferiscano queste parole alla proposizione participiale. Che l’ordine delle
parole non sia normale importa poco. Le inversioni sono troppo frequenti in
Luca per meravigliarci di trovarne una in più. C’è da notare inoltre che questa
libertà nell’ordine delle parole è una caratteristica generale degli scrittori della
koinè; le regole classiche sulla costruzione dei periodi avevano ormai perso
molto della loro rigorosità»67.
Egli individua dunque una interpretazione alternativa del testo greco che
conserva la lezione originaria εἰς, mettendo d’accordo i dati della critica testuale e
quelli della critica letteraria a spese della grammatica:
«Resta sempre una certa difficoltà a costruire il nostro testo: ὑπέστρεψαν, εἰς
᾿Ιερουσαλήμ πληρώσαντες τηὴν διακονίαν […] Però la difficoltà dell’interpretazione
che ci viene proposta non sembra tale da dover rinunciare a comprendere la
frase in questa maniera. Al contrario, si deve dire che questa interpretazione è
possibile, tenuto presente lo stile di Luca. E, dato che la spiegazione di 12,25
urta in ogni caso contro qualche difficoltà, possiamo pensare che quella che
incontriamo sul terreno della grammatica è meno grave di quelle cui si va
incontro passando sopra ai dati della critica testuale o alle esigenze del
contesto»68.
La soluzione di Dupont prevede dunque che il ritorno debba essere riferito alla
città di Antiochia69. Non si introduce allora una visita ulteriore in Atti 12,25 ma si
tratta invece del medesimo viaggio di cui Luca ha voluto narrare inizio (11,27-30) e
fine (12,25).
67
Idem, pp. 401-402.
Idem, pp. 408-409.
69
Così anche C. K. Barrett, op. cit., pp. 641-642 e G. Schneider, op. cit., p. 143.
68
28
2.7 Conclusioni
Dall’analisi delle varie posizioni assunte dagli esegeti circa il testo che in 11,2730 e 12,25 narra il secondo viaggio di Paolo a Gerusalemme, crediamo di poter
riassumere le seguenti conclusioni:
a) lo scetticismo circa la notizia lucana relativa alla carestia non sembra essere
giustificato in quanto la stessa risulta storicamente plausibile;
b) la teoria delle fonti che giunge a considerare il racconto parallelo a quello del
cap. 15 (il concilio) presenta in realtà delle incongruenze importanti.
c) l’analisi degli elementi tradizionali del testo rivela come in realtà l’intera
pericope può affondare le sue radici nella tradizione ed essere pertanto
considerata attendibile;
A nostro avviso dunque, la negazione del viaggio per la consegna della colletta
descritto in 11,27-30 e 12,25 (o la sua equiparazione ad Atti 15), in mancanza di
elementi decisivi, non può essere affermata con certezza, dovendosi riconoscere
almeno la plausibilità storica della narrazione lucana.
Capitolo III: Il resoconto paolino di Gal 2 e la sua
identificazione con Atti 15
3.1 Introduzione
L’ipotesi che considera il cosiddetto “Concilio di Gerusalemme” di Atti 15,1-21
come la versione lucana dell’incontro di cui rende conto Paolo in Gal 2,1-10 è
quella che gode oggi di maggior consenso fra gli esegeti.
29
Il rapporto fra i due testi non è però semplicissimo e lascia aperte diverse
questioni. Se da una parte infatti vi sono delle somiglianze innegabili, dall’altra vi
sono anche differenze importanti che impediscono una facile identificazione delle
due narrazioni.
Nel presente capitolo, partendo dalla comparazione dei testi, proveremo ad
analizzare aspetti comuni e divergenze fra i due resoconti per giungere infine a
formulare un giudizio critico sulla loro identificazione.
3.2 I testi e il loro contesto
3.2.1 Atti cap. 15: il concilio di Gerusalemme
Iniziamo dunque la nostra analisi partendo dalla lettura dei testi.
Il resoconto degli Atti è il seguente:
«Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: - Se
non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi - .
Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano
animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di
loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale
questione. Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la
Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando
grande gioia in tutti i fratelli. Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla
Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva
compiuto per mezzo loro. Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che
erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro
di osservare la legge di Mosè. Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per
esaminare questo problema. Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse: Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi,
perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero
alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore
concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto nessuna
discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. Or dunque,
perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo
30
che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che
per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro
- . Tutta l'assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che
riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo
loro. Quand'essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: - Fratelli,
ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra
i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. Con questo si accordano le
parole dei profeti, come sta scritto: Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la
tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, perché
anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato
invocato il mio nome, dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute
dall'eternità. Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si
convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure
degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue 70. Mosè infatti,
fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni
sabato nelle sinagoghe - . Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la chiesa
decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia, insieme a Paolo e
Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande
considerazione tra i fratelli. E consegnarono loro la seguente lettera: - Gli
apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono
dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non
avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi
sconvolgendo i vostri animi. Abbiamo perciò deciso tutti d’accordo di eleggere
alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo,
uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo.
Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi queste
70
Accanto al testo alessandrino, che conserva tutti e quattro i divieti, emergono all’interno della
tradizione manoscritta testimoni testuali che eliminano uno dei divieti, o il terzo, relativo agli animali
soffocati, o il quarto relativo alla πορνεία. Il principale testimone del testo occidentale, il Codex
Bezae (D), seguito da alcuni manoscritti delle antiche versioni latine, omette il divieto relativo agli
animali soffocati in tutti e tre i passi degli Atti dove è attestato il decreto (15,20.29; 21,25). Questa
omissione propria del testo occidentale è significativamente documentata da molti autori cristiani,
tra i quali Ireneo, Tertulliano e Cipriano. Inoltre, in Atti 15,20 e 15,29 (ma non in 21,25), il testo
occidentale, insieme ad alcuni manoscritti delle versioni latine, alla versione copto-sahidica e alla
versione etiopica, introduce un’ulteriore variante, aggiungendo in ambedue i casi al termine del
versetto la regola d’oro di Mt 7,12 e Lc 6,31 formulata al negativo («non fare agli altri quello che
non vorrebbero fosse fatto loro»), anch’essa attestata da diversi padri della chiesa tra i quali Ireneo
e Cipriano. L’eliminazione del divieto relativo agli animali soffocati restituiva omogeneità alle norme
del decreto, aprendo la strada ad una loro interpretazione in senso etico-moralistico: gli idolotiti
simbolo dell’idolatria; il sangue simbolo dell’omicidio e la πορνεία simbolo della prostituzione e dei
comportamenti sessuali sconvenienti. L’aggiunta della regola d’oro alla fine non faceva che
confermare e consolidare l’interpretazione in senso etico. Cfr. C. Gianotto, «L’interpretazione di Atti
15 nei primi secoli cristiani», in Annali di storia dell’esegesi, 13/1 (1996) pp. 124-128.
31
stesse cose a voce. Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi
nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni
offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete
quindi cosa buona a guardarvi da queste cose. State bene -. Essi allora,
congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la
lettera. Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che
infondeva. Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, parlarono molto per
incoraggiare i fratelli e li fortificarono. Dopo un certo tempo furono congedati
con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati»71.
Il racconto del concilio apostolico si trova al centro del libro degli Atti; la
sua collocazione ne rivela la posizione cardine che Luca ha voluto riservargli.
Da un lato il racconto chiude la prima parte del libro, concludendo così la
fase iniziale della evangelizzazione alle genti; dall’altro, esso segna il
passaggio ad una fase nuova: a seguito delle deliberazioni finali che
regolano l’entrata dei pagani, viene aperta la strada ad una missione capace
finalmente di giungere fino ai confini della terra.
La narrazione dell’avvenimento di Gerusalemme è incorniciata dalle
relazioni sui fatti antecedenti e seguenti in Antiochia e dai viaggi tra i due
centri (vv. 1-3; 30-33). La grande parte centrale, preparata ai vv. 4-5,
comprende poi altre tre sezioni: vv. 6-11 (assemblea, disputa e discorso di
Pietro), vv. 12-21 (relazione di Barnaba e Paolo, discorso di Giacomo), vv.
22-29 (decisione e lettera dell’assemblea) 72.
L’importanza della pericope è data dalla questione dibattuta: la necessità
o meno della circoncisione e della sottomissione all’intera legge mosaica per
i convertiti dal paganesimo.
L’assemblea, resa necessaria a causa dei contrasti sorti nella comunità di
Antiochia, si pronuncia solennemente non ritenendo necessario tale obbligo
per i nuovi convertiti e legittimando così l’operato di Paolo e Barnaba.
3.2.2 Il racconto di Paolo: Galati 2
Il resoconto di Paolo nell’epistola ai Galati è invece il seguente:
71
72
Atti 15,1-33
Cfr. R. Pesch, Atti degli Apostoli, Cittadella editrice, Assisi, 1992, pp. 582-589.
32
«Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di
Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una
rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi
privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di
correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene
fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei
falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo
Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo 73, per
riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a
rimanere salda tra di voi. Da parte dunque delle persone più ragguardevoli quali fossero allora non m'interessa, perché Dio non bada a persona alcuna a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto
che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello
per i circoncisi - poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo
dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani - e riconoscendo la grazia
a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e
a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i
pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri:
ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.
Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché
evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di
Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta,
cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli
altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si
lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano
rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se
tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come
puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”»74
73
A. Pitta, Lettera ai Galati, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996, p. 115, ricorda la variante testuale
del v. 5 per cui alcuni testimoni (D*, Ireneo lat, Tertulliano, Mario Vittorino e l’Ambrosiaster) omettono
la negazione οἷς οὐδεὴ, facendo intendere che per un attimo Paolo cedette nel far circoncidere Tito.
B. Corsani, Lettera ai Galati, Marietti, p. 125, pur dissentendo, ammette che questa ricostruzione è
possibile ed offre un’interpretazione del testo D* che non è in contrasto col v. 3. Essa attribuisce a
Paolo uno spirito di conciliazione di cui egli avrebbe dato prova in un’altra occasione, quando
circoncise Timoteo (Atti 16,3). I sostenitori della tesi dell’avvenuta circoncisione di Tito asseriscono
che questa lectio difficilior sarebbe stata modificata con l’aggiunta della negazione οἷς οὐδεὴ. La
lezione che si è imposta è però quella maggiormente attestata nei codici (P 46 S B C A DC G K P 33
81) e da numerosi altri mss., dalla massa delle versioni antiche e dei Padri.
74
Galati 2,1-14
33
Il racconto di Paolo appartiene alla cosiddetta sezione autobiografica
dell’epistola ai Galati (1,11-2,21), la prima delle consuete tre parti 75 in cui lo scritto
viene generalmente diviso.
L’occasione per l’invio della lettera è indicata subito dopo il saluto: Paolo si
meraviglia perché i Galati stanno passando ad un altro vangelo (1,6). Alcuni infatti,
giunti da Gerusalemme, hanno screditato Paolo e la sua predicazione presso i
Galati sostenendo la necessità della circoncisione per i convertiti dal paganesimo.
La loro predicazione inoltre sembra avere avuto successo.
L’apostolo risponde allora con questa lettera appassionata nella quale da un
lato difende l’evangelo da lui predicato, che egli afferma avere ricevuto non dagli
uomini ma da Dio stesso, mentre dall’altro lotta con forza contro l’adesione dei
Galati ad un altro evangelo.
Nel brano in oggetto distinguiamo inoltre due pericopi: la prima (2,1-10) ha lo
scopo di dimostrare come le autorità gerosolimitane (in occasione del suo
secondo passaggio in città dopo la conversione) si siano schierate dalla sua parte
e non da quella dei suoi avversari; esse infatti hanno riconosciuto ufficialmente sia
l’evangelo da lui predicato che la sua attività missionaria fra i pagani. La seconda
pericope (2,11-14), nota come «l’incidente di Antiochia», narra invece di come
Paolo abbia dovuto riprendere addirittura Pietro (al quale pure forse i suoi
avversari si richiamavano) quando ciò si rese necessario.
3.3 Aspetti comuni
Comparando i due brani possiamo evidenziare i seguenti punti comuni:
a) in entrambi i resoconti Paolo sale a Gerusalemme insieme a Barnaba (Atti
15,2 e Gal 2,1);
b) la questione di fondo è la medesima: alcuni vogliono imporre l’obbligo della
circoncisione per i cristiani venuti dal paganesimo (Atti 15,1 e Gal 2,3-5);
c) alla risoluzione della questione intervengono anche Pietro e Giacomo (Atti
15,7.13 e Gal 2,9);
75
La seconda parte (3,1-5,12) è una sezione dottrinale nella quale Paolo dimostra l’inefficacia della
legge ai fini della salvezza affermando «che l’uomo non viene giustificato in base alle opere della
legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù». La terza parte (5,13-6,10) è invece una sezione
esortativa con lo scopo di difendere il vangelo da false conseguenze pratiche. Cfr. A. Vanhoye,
Lettera ai Galati, Paoline, Milano, 2000, pp. 13-14.
34
d) la decisione finale è favorevole alla posizione di Paolo e Barnaba, che non
imponevano l’obbligo di farsi circoncidere (Atti 15,19-21 e Gal 2,6-9).
Secondo C. L’Eplattenier «si può affermare che, per quanto riguarda il nocciolo
della questione, il racconto di Luca corrisponde alla testimonianza di Paolo nella
lettera ai Galati, poiché l’essenziale è che l’obbligo di essere circoncisi non è stato
imposto ai pagani che sanno di “aver la salvezza per grazia del Signore Gesù”, e
Pietro e Giacomo si sono fatti garanti per questa opzione decisiva»76.
Anche per C. K. Barrett il racconto di Atti 15 invita ad un confronto con Gal 2:
«Vi sono paralleli così stretti fra i due passi che è difficile avere dubbi che ad
ambedue soggiaccia in qualche modo un unico evento […] » 77.
Nonostante le concordanze bisogna però evidenziare che le differenze che ci
apprestiamo a rilevare non sono di poco conto e rendono a parer nostro difficile
l’ equiparazione senza rinunciare all’attendibilità di uno dei due resoconti. Ed è
proprio questo il punto: l’attendibilità dei testi, in questo caso degli Atti, dato che
abbiamo già visto come venga attribuita a Paolo la preferenza.
3.4 Le differenze
3.4.1 Un lungo elenco
Come abbiamo anticipato, la comparazione dei due brani mette in risalto
numerose differenze:
a) Paolo afferma di essere salito a Gerusalemme «in seguito a una rivelazione»
(Gal 2,2), mentre per Luca il motivo della sua visita a Gerusalemme è la decisione
della chiesa di Antiochia di consultare gli apostoli e gli anziani sulla questione
sorta tra Paolo e Barnaba da un lato e i giudeo-cristiani arrivati ad Antiochia dalla
Giudea dall’altro; Paolo cioè mette all’origine del viaggio una rivelazione, Luca una
discussione;
76
77
C. L’Eplattenier, Atti degli Apostoli, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, p. 188.
C. K. Barrett, op. cit., p. 871.
35
b) Paolo riferisce di aver esposto privatamente il proprio vangelo ai «notabili»
mentre Luca parla di una assemblea alla quale partecipano gli apostoli, gli anziani
e tutta la comunità;
c) in Galati sembra che il problema della circoncisione venga sollevato dopo
l’arrivo di Paolo a Gerusalemme, mentre in Atti 15 il problema è sollevato prima
dell’arrivo di Paolo;
d) Paolo parla di Tito78 e di Giovanni che invece Luca non menziona mai;
e) in Atti 15 il risultato dell’assemblea è la promulgazione del «decreto
apostolico» che Paolo però sembra completamente ignorare, e questa è la
maggiore difficoltà nell’accordare i due resoconti. Stando al racconto lucano infatti,
Giacomo
aveva
certamente
proposto
di
prescindere
dalla
circoncisione
conservando però determinate imposizioni della Legge: la rinuncia alle carni
offerte nei sacrifici agli idoli, all’impudicizia, agli animali soffocati e al sangue (At
15,20.29; 21,25). Questo compromesso fu approvato e, secondo quanto comunica
Luca, fu annunciato e osservato anche nelle comunità paoline (At 16,4). Nella
lettera ai Galati invece Paolo sottolinea che i notabili, a parte l’assistenza ai poveri
(Gal 2,10), non gli avevano invece «imposto nulla» (v. 6).
f) Una ulteriore difficoltà proviene dal fatto che, secondo il racconto di Atti, la
venuta di Paolo a Gerusalemme per il concilio non era il suo secondo passaggio in
città, come Paolo fa intendere in Gal 2,1, ma il suo terzo passaggio. Il primo è
riferito in Atti 9,26-30; un secondo, come abbiamo visto, viene accennato in At
11,30 e 12,25; quello di At 15,2 diventa quindi il terzo.
Come interpretare queste discordanze ?
Gli esegeti si sono divisi fra quanti hanno tentato di armonizzare in qualche
modo i brani e quanti invece hanno rinunciato a farlo.
Per W. Schneemelcher, «Una armonizzazione tra Gal 2 e Atti 15 risulta
fuorviante»79. Dello stesso parere C. L’Eplattenier: «Piuttosto che tentare sottili
concordanze, bisogna prendere atto di divergenze difficilmente riducibili…» 80.
78
Ricordiamo qui una ipotesi a cui U. Borse, Lettera ai Galati, Morcelliana, Brescia 2000, p. 123132, ha dato tutto il suo sviluppo. Egli ha provato ad assimilare Tito e Timoteo in un’unica persona.
Non ha ricevuto però grandi consensi. Da S. Légasse, op. cit., p. 177 questa ipotesi è stata
considerata infatti “di alta fantasia”. La sua critica è la seguente: «Supponendo che Luca rispetti la
storia fissando il suo secondo viaggio missionario e la circoncisione di Timoteo dopo il sinodo (cf
Gal 2,3), resterebbe da spiegare come usi Paolo i due nomi nel medesimo scritto (2 Cor 1,1.19) e
perché chiami «greco» il figlio di una ebrea (Gal 2,3; cf. At 16,1-3). Bisogna aggiungere che Titus
non è un diminutivo (di Timoteo o di un altro nome) e che non c’è alcun esempio che permetta di
pensare che questo nome sia servito da succedaneo o da abbreviazione di Timoteo».
79
W. Schneemelcher, Il cristianesimo delle origini, Bologna, il Mulino, 1987, p. 194.
80
C. L’Eplattenier, op. cit., p. 187.
36
Siamo d’accordo con queste conclusioni.
Non condividiamo però le conseguenze che i molti nonostante tutto ne hanno
tratto: nell’insieme infatti i punti comuni sono parsi agli esegeti più sostanziosi
delle divergenze e pertanto la maggior parte di essi ritiene che Paolo e Luca si
riferiscano ad uno stesso evento.
Da parte nostra riteniamo invece le divergenze abbastanza significative da
permettere di avanzare l’ipotesi che le due narrazioni possano anche riferirsi ad
eventi diversi.
3.4.2 Il silenzio di Paolo sul decreto
Il problema del decreto apostolico di Atti 15,20 e del perché Paolo non ne faccia
riferimento nell’epistola ai Galati rappresenta forse l’ostacolo maggiore. Se infatti
la questione della circoncisione era già stata dibattuta e decisa attraverso le
clausole del decreto nell’assemblea di Gerusalemme perché allora Paolo non ne
fa menzione ? I tentativi di spiegarne il silenzio sono stati diversi 81.
Le soluzioni che si sono imposte sono sostanzialmente due:
a) da un lato vi è l’idea che il decreto sia stato effettivamente emanato
nell’ambito dell’incontro gerosolimitano e di esso Paolo ne è perfettamente a
conoscenza. Il suo silenzio sarebbe dato dal fatto che per lui quelle norme non
sarebbero un’aggiunta all’evangelo della salvezza per grazia perché lui stesso le
approvava. Senza dubbio egli infatti condannava l’idolatria, i comportamenti
sessuali diversi da quelli del giudaismo e, in campo alimentare, raccomandava di
astenersi piuttosto che urtare la coscienza del fratello o scandalizzare la comunità.
Paolo dunque non avrebbe considerato affatto le clausole di Giacomo un peso
aggiunto alle coscienze dei convertiti dal paganesimo, e perciò avrebbe scritto
tranquillamente «non mi aggiunsero niente»82.
b) l’altra posizione ritiene invece che Paolo taccia sul decreto perché,
contrariamente alla presentazione lucana che lo pone alla conclusione
dell’assemblea, la sua formulazione sarebbe avvenuta successivamente al
Concilio di Gerusalemme. Si tratterebbe cioè di due eventi diversi che Luca
81
Una sintesi è offerta in B. Corsani, op. cit., pp. 135-136.
E’ la tesi ad es. di Dibelius e Haenchen (cfr. B. Corsani, op. cit., p. 136), ripresa anche da U.
Borse, op. cit., pp. 152-153.
82
37
avrebbe fuso in un unico episodio. Paolo non poteva menzionare il decreto
semplicemente perché non lo conosceva83.
3.4.3 L’incidente di Antiochia
Il cosiddetto «incidente di Antiochia» di cui Paolo riferisce ai vv. 11-14 del cap.
2 della lettera ai Galati rappresenta una ulteriore questione.
Paolo riferisce che Pietro, giunto ad Antiochia, in un primo momento non ha
avuto difficoltà nel sedere a mensa con i convertiti dal paganesimo. Quando però
nella comunità giungono alcuni giudei, egli se ne separa 84, causando il disappunto
ed il richiamo pubblico di Paolo.
Secondo la maggioranza dei commentatori tale diverbio per Paolo sarebbe
avvenuto dopo l’incontro di Gerusalemme, e questo è un problema, perché il
“concilio” allora non sarebbe stato affatto risolutivo.
E’ questa una delle ragioni che porta gli esegeti a postulare che il decreto sia
stato formulato successivamente all’Assemblea85 come reazione di Giacomo e dei
giudeocristiani a lui legati alla crisi antiochena. Le clausole avrebbero dovuto
costituire così una specie di misura protettiva per i giudeocristiani che vivevano in
comunità miste, al fine di impedirne l’impurità cultuale.
Di tale decreto Paolo ne sarebbe venuto a conoscenza solo nel corso della sua
ultima visita a Gerusalemme, informatone da Giacomo come di cosa per lui nuova
fino a quel momento86.
La lontananza dal racconto lucano diventa però a questo punto incolmabile.
83
B. Corsani, op. cit., p. 136, cita per questa ipotesi fra gli altri Cullmann, Conzelmann, Hengel,
Pesch, Lüdemann, Strobel. E’ sicuramente l’ipotesi maggiormente in voga fra gli esegeti.
84
Per i giudei infatti il contatto con i non-giudei era fonte di impurità. Cfr. ad es. Atti 10,28: «E disse
loro: voi sapete come non sia lecito ad un Giudeo di aver relazioni con uno straniero o d’entrare da
lui […]».
85
Cfr. ad es. J. Roloff, op. cit., pp. 300-303. Anche F. Mussner, La lettera ai Galati, Paideia,
Brescia, 1987, p. 220, la pensa in questo modo: «la cosa più probabile è che il decreto apostolico
si sia avuto solo qualche tempo dopo il concilio apostolico e sia stato introdotto da Luca nel
racconto che ne ha fatto». L’esegeta tedesco pensa che forse esso sia frutto del conflitto di Paolo
con Pietro in Antiochia, raggiunto allo scopo di rendere possibile in avvenire una buona convivenza
nelle comunità miste. Le disposizioni del decreto non rappresenterebbero alcun onere per gli etnico
cristiani, ma piuttosto un’accondiscendenza nei riguardi dei giudeocristiani, quand’essi sedevano a
mensa con gli etnico cristiani e viceversa.
86
Cfr. Atti 21,25.
38
E’ impossibile infatti conciliare queste deduzioni con l’informazione di Atti 16,4:
«Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli
anziani di Gerusalemme, perché le osservassero».
Secondo Luca, infatti, nel corso del suo secondo viaggio missionario Paolo
stesso trasmise le decisioni dell’assemblea nelle comunità che visitò.
3.5 Osservazioni conclusive
L’analisi dell’ipotesi oggi maggiormente accreditata che identifica il racconto di
Gal 2 con il concilio di Atti 15 rivela l’esistenza di contraddizioni marcate fra le due
narrazioni che non è possibile armonizzare.
La maggioranza degli esegeti dunque ha avanzato ipotesi risolutive che si
muovono tutte nell’ambito di una presentazione lucana che altera, in un modo o
nell’altro, il corretto svolgimento dei fatti.
Alcune di esse sono sicuramente radicali.
Per Baur ad esempio, non ci sono dubbi sul fatto che «la presentazione degli
Atti degli apostoli debba essere considerata nient’altro che una deformazione
intenzionale della verità storica nell’interesse della tendenza particolare che gli è
propria»87.
Più di un secolo fa il grande studioso tedesco giungeva alla conclusione che
l’opera di Luca persegue un fine al quale egli ha deciso di sacrificare la storia.
Oggi le posizioni, come abbiamo visto, sono più sfumate e si sta anche
affermando la tendenza a ridare dignità al racconto di Luca, ma la identificazione
del cap. 15 degli Atti con Gal 2 rimane l’ostacolo maggiore perché si possa
giungere a guardare con piena fiducia allo scritto lucano.
Nella maggior parte dei casi, infatti, il resoconto di Atti 15 è considerato
composizione di Luca, che ha messo insieme tradizioni diverse fondendole in un
racconto unitario. Fra queste tradizioni vi sarebbero anche le clausole di Giacomo,
approvate però solo più tardi a Gerusalemme e che Luca avrebbe inserito
indebitamente nel racconto.
Date le importanti divergenze riscontrate e coerentemente con le premesse
metodologiche qui adottate, riteniamo allora che sia quantomeno doveroso tentare
una pista diversa.
87
Cit. in D. Marguerat, op. cit., p. 12.
39
Abbiamo già notato come negli Atti il viaggio per l’invio della colletta del cap. 11
costituisca il secondo passaggio di Paolo a Gerusalemme dopo la conversione e
ne abbiamo concluso nel capitolo precedente che lo stesso può essere ritenuto
storicamente plausibile.
Vogliamo quindi compiere ora un passo ulteriore, nella volontà di dare fiducia ai
ricordi di Luca, provando a verificare l’ipotesi che vede in tale viaggio di Atti 11
(anziché Atti 15) l’equivalente di Gal 2.
Capitolo IV – Il viaggio per la colletta di Atti 11,27-30
come testo parallelo a Galati 2,1-10
4.1 Introduzione
L’ipotesi che ci apprestiamo a descrivere è oggi nettamente minoritaria, ma
essa non manca comunque di essere sostenuta da illustri esegeti 88 che si
muovono tutti a partire dal riconoscimento che negli Atti ci troviamo di fronte ad
un’opera storica di valore e attendibilità considerevole.
Si tratta sicuramente della posizione più semplice fra tutte quelle individuate 89
ma, nella sua semplicità, essa risolve diversi problemi decisivi.
88
Citiamo fra gli altri Ramsey, I. H. Marshall, F. F. Bruce, C.H. Talbert, e B. Whiterington III.
C.H. Talbert, «Again: Paul’s Visits to Jerusalem», Novum Testamentum, n. 9 (1967) 26-40, ne
individua sette: (1) Gal 2 = Atti 15; (2) Gal. 2 = Atti 11; (3) Gal 2 = Atti 11 = Atti 15; (4) Gal 2 = Atti
18; (5) Gal 2 = Atti 15,1-4.12; (6) Gal 2 = Atti 11 + Atti 15; (7) Gal 2 è una visita che non è
menzionata negli Atti. Così anche R. Trevijano, «El contrapunto lucano (Hch 9,26-30; 11,27-30;
12,25 y 15,1-35 a Gal 1,18-20 y 2,1-10», in Salmanticensis 44 (1997), pp. 295-339.
89
40
Crediamo allora sia da condividere il principio già espresso dal prof. Ramsey e
secondo cui le teorie semplici che riescano a tenere insieme i dati in modo
adeguato vadano preferite ad ipotesi più complesse 90.
4.2 Le notizie autobiografiche dell’epistola e il racconto degli Atti
Attraverso un confronto in parallelo dei testi, in questo paragrafo vogliamo
evidenziare la sostanziale convergenza tra il resoconto della vita dell’apostolo fatto
dallo stesso nell’epistola ai Galati e la narrazione che ne fa Luca a partire dal cap.
9 degli Atti.
Dopo aver difeso l’evangelo da lui predicato, affermando di averlo ricevuto
direttamente per rivelazione di Gesù Cristo e non dagli uomini 91, Paolo
nell’epistola ricorda anzitutto il suo passato vissuto nel giudaismo da persecutore
della chiesa:
«Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel
giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi,
superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali,
accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri92».
L’attività persecutoria di Paolo nei confronti delle prime comunità trova
conferma anche nel racconto degli Atti. L’apostolo viene introdotto infatti
ricordando la sua presenza (nonché la sua approvazione) al martirio di Stefano:
«lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero
il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. […] Saulo era fra
coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta
persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli
apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria. Persone
pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. Saulo intanto
90
C.H. Talbert, art. cit., p. 40 riporta le parole di Ramsey che esprimono tale assunto: «Sir William
Ramsey once said: it is “a recognized principle of criticism that, where a simple theory … can be
shown to hold together properly, complicated theories must give way to it”».
91
Cfr. Gal 1,12: «infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù
Cristo».
92
Gal 1,13-14.
41
infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e
li faceva mettere in prigione93».
Continuando nel suo racconto, Paolo narra della rivelazione ricevuta da Dio e
del successivo soggiorno a Damasco:
«Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la
sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in
mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a
Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e
poi ritornai a Damasco94».
Alla rivelazione seguono dunque un viaggio in Arabia e il ritorno a Damasco (il
“ritorno” presuppone che
lì Paolo si trovasse quando ebbe luogo la visione).
Anche in questo caso gli Atti sembrano concordare con i ricordi dell’apostolo
affermando che la rivelazione avvenne nei pressi di Damasco:
«E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco,
all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce
[…]95».
Del viaggio in Arabia non vi è cenno negli Atti; troviamo però il racconto della
fuga da Damasco:
«Trascorsero così parecchi giorni e i Giudei fecero un complotto per ucciderlo;
ma i loro piani vennero a conoscenza di Saulo. Essi facevano la guardia
anche alle porte della città di giorno e di notte per sopprimerlo; ma i suoi
discepoli di notte lo presero e lo fecero discendere dalle mura, calandolo in
una cesta96».
episodio confermato dall’apostolo nella 1 Lettera ai Corinzi:
93
Atti 7,58-8,3.
Gal 1,15-17.
95
Atti 9,3-4.
96
Atti 9,23-25.
94
42
«A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei
Damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato per il muro in una
cesta e così sfuggii dalle sue mani97».
Nell’epistola ai Galati, Paolo passa poi a raccontare la sua prima visita a
Gerusalemme dopo la conversione, durante la quale incontrò Pietro e Giacomo:
«In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi
presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non
Giacomo, il fratello del Signore98».
La visita viene riportata anche dagli Atti :
«Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano
paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. Allora Barnaba lo
prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio
aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva
predicato con coraggio nel nome di Gesù99».
A questo punto Paolo aggiunge un particolare geografico importante:
«Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia100».
del quale Luca a nostro avviso dà ragione nel corso della sua narrazione.
«Così egli potè stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando
apertamente nel nome del Signore e parlava e discuteva con gli Ebrei di
lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. Venutolo però a sapere i
fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso101».
97
2 Corinzi 11,32-33.
Gal 1,18-19.
99
Atti 9,26-27.
100
Gal 1,21. Desta impressione qui la mancata menzione del primo viaggio missionario descritto ai
cc. 13 e 14 di Atti. Se Gal 2,1-10 è da riferirsi ad Atti 15 infatti, Paolo avrebbe allora dovuto
ricordarlo.
101
Atti 9,28-30.
98
43
Giunto a Gerusalemme dunque, Paolo dovette ben presto lasciare la città
partendo alla volta di Tarso (nella Cilicia). Lì venne raggiunto da Barnaba (non
sappiamo dopo quanto tempo) che lo portò con lui ad Antiochia (in Siria):
«Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e trovatolo lo
condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella comunità
e istruirono molta gente; ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono
chiamati Cristiani102».
Bisogna però rilevare come qui l’ordine delle località appaia invertito rispetto
all’epistola. Negli Atti Paolo si reca prima a Tarso e poi ad Antiochia, mentre
nell’epistola viene prima la Siria e poi la Cilicia. Probabilmente Paolo «vuole
soltanto sottolineare che egli, dopo la visita alla prima comunità, menzionata in
1,18 s. [Gal], si è allontanato da Gerusalemme. Per questo motivo egli ricorda il
tempo trascorso ad Antiochia (Act. 11,26 ss.) e richiama solo in un secondo
momento il soggiorno in Cilicia, che in ordine di tempo era avvenuto prima (9,30;
11,25), perché la Cilicia si trova ancora più distante da Gerusalemme. Quindi la
successione degli avvenimenti in 1,21 è orientata geograficamente 103».
Successivamente Paolo ricorda l’occasione della sua seconda visita a
Gerusalemme, dove andò in compagnia di Barnaba e Tito e dove ricevette
l’approvazione delle “colonne”: è il testo, già visto, di Galati 2,1-10.
«Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di
Barnaba, portando con me anche Tito […]104».
102
Atti 11,25-26.
F. Mussner, op. cit., p. 47.
104
Gal 2,1.
103
44
Se continuiamo a prestar fede alla narrazione lucana, il parallelo deve essere
individuato necessariamente (in quanto si tratta del secondo passaggio 105 di Paolo
a Gerusalemme) nel viaggio per la colletta di Atti 11,27-30:
«In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. E uno
di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito
che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto
avvenne sotto l'impero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono, ciascuno
secondo quello che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti
nella Giudea; questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba
e Saulo106».
Fin qui, dunque, le due testimonianze ci sembra siano sostanzialmente
concordi.
4.3 Motivi per una identificazione fra Atti 11,27-30 e Gal 2,1-10
4.3.1 La motivazione della visita
Vi è una significativa convergenza fra la motivazione addotta da Paolo per il
viaggio (v. 2: «…in seguito ad una rivelazione…») ed il riferimento di Luca alla
profezia di Agabo.
Secondo Paolo il motivo principale della sua visita a Gerusalemme non fu
propriamente la discussione avuta lì con gli apostoli ma una rivelazione (non
meglio specificata), che ben si accorda però con la predizione fatta da Agabo circa
105
Nell’ambito di altre ipotesi, segnaliamo la tesi sostenuta ad es. da J. B. Lightfoot, The Epistle of
St. Paul to the Galatians, Macmillan and co., London-Cambridge, 1866, pp. 123-127 e D. Guthrie,
The Pauline Epistles, Intervasity Press, Chicago, 1961, pp. 80-87, e per i quali l’intento di Paolo
non è affatto quello di enumerare la totalità delle visite da lui compiute a Gerusalemme dal
momento della conversione al momento della redazione della lettera. Queste infatti comprendono
anche il viaggio per la colletta di Atti 11,27-30 che però è stato omesso da Paolo nel suo resoconto
di Galati 1 e 2. L’apostolo dunque parlerebbe qui soltanto della sua prima e terza visita a
Gerusalemme omettendone la seconda; è salva in questo modo la storicità del viaggio di Atti 11.
La tesi non ha riscosso molta fortuna: in generale infatti i commentatori tendono a negare la
possibilità che Paolo abbia omesso altre visite. Secondo S. Legasse, op. cit., p. 105, «se tale
viaggio fosse stato fatto realmente, Paolo non l’avrebbe passato sotto silenzio. La cura con cui
dispone in serie i suoi viaggi a Gerusalemme, notando ogni volta il loro rapporto cronologico con i
fatti anteriori, si oppone all’ipotesi che egli abbia trascurato di ricordare questo viaggio intermedio».
Così anche C. K. Barrett, op. cit., p. 604, il quale è ancor più categorico: «la visita narrata in Gal
2,1-10 era solo la seconda del cristiano Paolo a Gerusalemme […] non è concepibile che Paolo sia
stato così sciocco (per non dire insincero) da omettere, nella lettera polemica alla Galazia, la
notizia di una visita che i suoi avversari avrebbero potuto sfruttare».
106
Atti 11,27-30.
45
l’imminente carestia che l’impero avrebbe dovuto fronteggiare. Lo scopo della
visita dunque può essere ricondotto a quello indicato da Luca: a seguito della
profezia, Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme per recapitarvi la colletta
raccolta dai fratelli della comunità di Antiochia.
L’appello a ricordarsi dei poveri del v. 10 dell’epistola («soltanto ci pregarono di
ricordarci dei poveri…») sembrerebbe inoltre darne ulteriore conferma. L’invito
infatti si comprende maggiormente alla luce della donazione ricordata negli Atti e
di esclusiva iniziativa antiochena. Invito al quale Paolo aveva già cominciato a
rispondere al tempo in cui scrive l’epistola («ciò che mi sono proprio preoccupato
di fare») organizzando la successiva (e più ampia) colletta fra le comunità che
aveva fondato e che i Galati conoscevano bene perché anche a loro aveva dato
istruzioni in merito107.
4.3.2 Problemi
Il problema più grande alla identificazione con l’incontro di Galati 2,1-10 è dato
dalla mancanza totale del motivo centrale del racconto di Paolo: la discussione
con gli apostoli circa l’evangelo da lui predicato.
Crediamo che ciò possa essere ricondotto alla diversità di intenti delle due
narrazioni.
Premesso che, come abbiamo sopra ricordato, secondo l’apostolo non fu quella
discussione il motivo della sua visita a Gerusalemme, per Paolo era comunque
importante sottolineare come in quella occasione le «colonne» avevano
riconosciuto, seppur privatamente, la giustezza della sua predicazione svincolata
dall’obbligo della circoncisione108. Il concilio, a nostro avviso, non si era ancora
107
Cfr. 1 Corinzi 16,1: «Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho
ordinato alle chiese della Galazia».
108
La coerenza di Paolo è stata spesso messa in dubbio dall’episodio della circoncisione di
Timoteo riportato in Atti 16,1-5. Per alcuni l’episodio è stato inventato da Luca perché è
impossibile pensare che Paolo accondiscendesse a qualcosa che invece combatteva così
radicalmente dato che egli riteneva la circoncisione come cosa di nessun valore ai fini della
salvezza. Le circostanze qui però sono diverse. Timoteo era figlio di madre ebrea e padre greco.
Teoricamente era proibito ai membri d’ Israele di unirsi in matrimonio con i pagani, ma quando
questo avveniva i figli di madre giudea erano comunque considerati ebrei e dovevano perciò
essere circoncisi (cfr. G. Rossè, op. cit., p. 594). Ciò non era evidentemente avvenuto per Timoteo,
che godeva di buona reputazione tra i cristiani di Listra e Iconio e che Paolo aveva intenzione di
prendere come compagno di viaggio. La missione avrebbe per forza messo Timoteo in contatto
con gli ebrei, ed era cosa ben nota che egli non era stato circonciso. Diventava allora
«assolutamente essenziale dargli una condizione sociale irreprensibile agli occhi degli ebrei fra i
46
tenuto e quell’incontro privato dunque rappresentava per Paolo il migliore
argomento da far valere nei confronti di chi aveva difficoltà a riconoscere il suo
apostolato rifacendosi solo alla comunità gerosolimitana e alle sue guide.
Luca invece, narrando l’episodio, vuole semplicemente ricordare l’aiuto
spontaneo profuso in quella occasione dalla comunità di Antiochia per i cristiani di
Gerusalemme in difficoltà. Nel tempo in cui egli scrive (lontano, nella migliore delle
ipotesi, almeno un ventennio dall’episodio narrato), gli accordi privati lì raggiunti
perdevano infatti di significato dopo che la questione della circoncisione richiesta
ai convertiti pagani era stata affrontata e risolta in una assemblea successiva alla
quale avevano partecipato tutte le parti coinvolte e a cui egli ha voluto riservare il
capitolo centrale del suo libro.
4.3.3 Interpretazione dell’incidente di Antiochia
Abbiamo già visto come il racconto dell’incidente di Antiochia diventi poco
comprensibile se lo si pone dopo il concilio. Se la questione era stata infatti
affrontata e discussa ufficialmente a Gerusalemme perché vi erano ancora
tentennamenti, e soprattutto da parte di Pietro che tanta parte aveva avuto nella
definizione della controversia ? Chi parte dalla identificazione fra Gal 2 e Atti 15
generalmente mette in dubbio qui il resoconto lucano e le norme che ne
seguirono.
«Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché
evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di
Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta,
cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli
altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si
lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano
rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come
puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?109».
quali avrebbe dovuto lavorare. Non era coinvolta nessuna questione di principio» (I. H. Mashall, Gli
Atti degli Apostoli, Roma, Edizioni G.B.U., 1990, pp. 363-364). Paolo quindi prese la decisione di
circonciderlo risultando ciò utile allo svolgimento della missione, coerentemente con quanto
leggiamo in 1 Cor. 9,20: «mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei».
109
Gal 2,11-14.
47
Gli Atti non riportano il diverbio che Paolo ebbe con Pietro, ma crediamo che
esso si inserisca all’interno della più ampia contesa descritta da Luca ai primi versi
del cap. 15.
«Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: - Se
non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi. Poiché
Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente
contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero
a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione110».
Il luogo della disputa è lo stesso: Antiochia. Qui, in entrambi i racconti, Paolo si
oppone ad
alcuni provenienti dalla Giudea che affermano la necessità della
circoncisione per i pagani111.
Riteniamo che l’incidente di Antiochia debba essere visto come precedente il
concilio, rappresentandone probabilmente la causa.
Un ulteriore (e a nostro avviso importante) particolare è che secondo Paolo
questi giudaizzanti erano stati inviati nientemeno che da Giacomo ed è probabile
che essi pretendessero di ricondurre a lui i propri ragionamenti; è probabile che
Paolo, non avendo possibilità di verificare nell’immediato la correttezza delle loro
asserzioni, ne presumette a torto la veridicità, così come anche Pietro, davanti a
indicazioni che furono spacciate per decisioni di Giacomo, probabilmente ritenne
di avere un “valido” motivo per adeguarvisi.
Potrebbe essere stata tale errata supposizione che ha portato Paolo a
formulare una critica così dura nei confronti delle «persone più ragguardevoli» 112).
110
Atti 15,1-2.
E’ questa la motivazione esplicita che conduce al Concilio secondo Luca e alla cui confutazione
è dedicata anche la lettera ai Galati. Gli «avversari» di Paolo infatti richiedevano espressamente
la circoncisione: «Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla» (Gal
5,2); «Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere…» (Gal
6,12). Bisogna ritenere che anche gli agitatori di Antiochia condividessero la stessa pretesa e che il
loro separarsi dai pagani convertiti (ma non circoncisi) ne fosse la logica conseguenza.
Va altresì rilevato però come nel racconto dell’incidente di Antiochia l’ipocrisia che Paolo contesta
a Pietro (e nella quale cade anche Barnaba) sia in realtà solo quella di evitare la comunione di
mensa con i gentili e non anche la presa di posizione a favore della loro circoncisione. Ciò
potrebbe spiegare la apparente diversità dei due resoconti quanto all’atteggiamento dimostrato
nell’occasione da Barnaba. Se infatti Barnaba potrebbe aver ritenuto utile (allo stesso modo di
Pietro) evitare la comunione di mensa con i gentili alla presenza dei giudeocristiani (Gal 2,13), ciò
non significa che egli condividesse completamente le idee di questi ultimi; in particolare quella
relativa alla necessità della loro circoncisione, alla quale invece si opponeva risolutamente (Atti
15,2).
112
Cfr. Gal 2,6: «[…] quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna».
111
48
Pensiamo che a ciò faccia eco la successiva lettera con le decisioni adottate al
concilio la quale ebbe lo scopo di chiarire anche questa vicenda: questi agitatori,
pur provenendo da Gerusalemme, non avevano ricevuto da Giacomo (né dagli
altri) alcun mandato113.
E’ questo uno dei nodi centrali intorno a cui poggia la nostra argomentazione:
se infatti il concilio era già avvenuto, come potevano i giudaizzanti appellarsi a
Giacomo ?
4.4 Problemi relativi all’epistola ai Galati
4.4.1 La questione dei destinatari
Il nostro studio incrocia a questo punto alcuni problemi relativi all’epistola ai
Galati.
Anzitutto, chi sono i destinatari dell’epistola ? La questione, ancora aperta,
diventa infatti assai rilevante.
Vi sono a riguardo due possibilità, in quanto il termine Galazia designava a quel
tempo due aree geografiche differenti114.
La gran parte dei commentatori vi ha identificato gli abitanti della regione galata,
che si estendeva dagli altipiani dell’Anatolia al Mar Nero (con centro in Ancira, nel
113
Cfr. Atti 15,24: «Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato
nessun incarico [grassetto nostro], sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri
animi».
114
Per una presentazione estesa delle due ipotesi cfr. F. Mussner, op.cit., pp. 42-50.
49
nord dell’Asia Minore), che Paolo avrebbe evangelizzato nel corso del suo
secondo e terzo viaggio missionario115.
L’ altra possibilità è invece quella che Paolo si rivolga ai convertiti della
provincia romana di Galazia, situata più a sud e comprendente la Licaonia,
l’Isauria, la Frigia e una parte della Pisidia, dove ricadevano le città oggetto della
prima evangelizzazione di Paolo: Iconio, Listra, Derbe ed Antiochia di Pisidia.
I sostenitori dell’ipotesi nord galatica portano in genere le seguenti ragioni:
a) Era impossibile che Paolo chiamasse «galati» (3,1) gli abitanti delle città
ellenizzate della Pisidia e della Licaonia. Questa designazione va sicuramente
riferita agli abitanti della regione galata; Paolo non poteva apostrofare
direttamente con l’appellativo di «galati» gli abitanti di altre regioni per il solo
motivo che erano state aggregate alla provincia galata.
b) I Galati a cui si rivolge Paolo provenivano dal paganesimo, mentre nelle
comunità fondate durante il primo viaggio vi era, secondo gli Atti, una forte
componente giudeo-cristiana. Non è da supporre che nel frattempo questi fossero
diventati avversari dell’apostolo.
c) Gal 4,13116 presuppone che Paolo abbia compiuto due visite distinte che
vanno identificate con i due passaggi ricordati negli Atti. Inoltre, l’impedimento
fisico di Paolo che fu causa della evangelizzazione della regione galata va riferito
al divieto dello Spirito di predicare nella provincia d’Asia di Atti 16,6 117.
Per parte nostra non riteniamo tali argomenti decisivi.
Relativamente infatti al primo motivo, F. Mussner, pur sostenendo l’ipotesi nordgalatica, rileva però molto onestamente come debba essere necessariamente
corretta l’idea che l’uso linguistico di «galati» come denominazione degli altri
abitanti della provincia di Galazia non sia documentato nelle fonti antiche. Lo
stesso commentatore infatti ne porta a riprova una testimonianza tratta dagli
Annali di Tacito118.
115
Cfr. Atti 16,6 e 18,23.
Gal 4,13: «Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il
vangelo».
117
Atti 16,6: «Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo
vietato loro di predicare la parola nella provincia d’Asia».
118
Cfr. F. Mussner, op.cit., p. 49, nota 38a: «[…] occorre richiamare l’attenzione su Tac., ann. 15,6,
dove si parla di truppe ausiliarie del Ponto, della Galazia e della Cappadocia (simul Pontica et
Galatarum Cappadocumque auxilia). Il genitivo Galatarum si riferisce agli abitanti della provincia o
della regione della Galazia ? Interprellato per lettera H. Bengtson mi ha dato questa risposta
(15.2.1967): - Tac., ann. 15,6 è da me inteso nel senso che si tratta di truppe ausiliarie provenienti
dalle province Ponto, Galazia e Cappadocia. In questo passo la risposta da dare mi sembra del
tutto evidente. […]»
116
50
Che poi nelle comunità fondate nel corso del primo viaggio missionario fosse
presente una componente giudeocristiana questo non impedisce che altrettanto e
forse più numerosa doveva essere la parte pagana. Il tema principale del
resoconto degli apostoli alla comunità di Antiochia (in Siria) una volta rientrati è
infatti il racconto di come Dio «aveva aperto ai pagani la porta della fede 119».
Inoltre è più probabile che gli agitatori provenissero dall’esterno e non dall’interno
delle comunità.
Il fatto poi che nell’epistola Paolo riferisca di avere visitato i galati più di una
volta può ancor meglio essere riferito alle comunità sud-galatiche che più volte
furono visitate dall’apostolo120.
Infine è da ricordare come Barnaba (che aveva accompagnato Paolo nel corso
del primo viaggio) fosse personaggio conosciuto ai destinatari dell’epistola.
Secondo F. F. Bruce121 il peso delle prove propende chiaramente a favore
dell’ipotesi sud-galatica. Lo studioso inoltre pensa anche che i due riferimenti che
troviamo negli Atti alla regione galata possono significare soltanto il territorio in cui,
secondo Luca, Paolo ha svolto il suo primo viaggio missionario.
Da Listra, infatti, dove Paolo si trovava nel corso del secondo viaggio, le città
del nord della Galazia non erano facilmente accessibili e per raggiungerle avrebbe
dovuto percorrere vie non agevoli perdendo ogni contatto con la vita delle città.
Inoltre, è certamente significativo che Luca non racconti nulla di una eventuale
missione evangelistica che l’apostolo avrebbe svolto in questa terra.
Paolo in definitiva non si sarebbe mai recato in quelle regioni.
Un argomento ulteriore sarebbe costituito poi dal fatto che, secondo Atti 20,4,
quando Paolo si recherà infine a Gerusalemme con il denaro della colletta, egli
avrà con sé Gaio di Derbe e Timoteo di Listra, mentre nessun rappresentante
della Galazia settentrionale viene menzionato.
4.4.2 La data dell’epistola
119
Atti 14,27.
E’ questa la motivazione del secondo viaggio missionario infatti. Atti 15,36: «Dopo alcuni giorni
Paolo disse a Barnaba: - Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo
annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». Ma già nel corso del primo viaggio le
stesse comunità erano state oggetto di più visite. Dopo la fondazione delle comunità infatti, Paolo
li visitò nuovamente durante la via del ritorno (Atti 14,21-26).
121
Cfr. F. F. Bruce, «Galatian Problems. 2. North or South Galatians ?», in Bulletin of the Rylands
Library Manchester, 52.2 (Spring 1970), pp. 243-266.
120
51
La questione dei destinatari determina anche la data di redazione della lettera.
Nell’ipotesi settentrionale l’epistola presenterebbe una datazione tardiva perché
andrebbe posta probabilmente nel corso del terzo viaggio missionario di Paolo,
dopo la sua seconda visita nella regione galatica di Atti 18,23, presumibilmente
intorno all’anno 56. E’ l’ipotesi preferita dagli esegeti: il cap. 2 della lettera va allora
riferito al concilio di Gerusalemme.
Nell’ipotesi meridionale invece, la lettera può essere situata in un periodo più
precoce, qualche tempo dopo la fine della prima spedizione missionaria di Atti 13
e 14, e prima del concilio di Gerusalemme122, intorno cioè all’anno 49.
A favore di quest’ultima ipotesi si può rilevare che Gal 2,11 sembra implicare
che l’epistola fu scritta da Antiochia123, mentre Gal 1,6 lascia supporre che le
comunità della Galazia erano state fondate poco prima della redazione della
lettera124.
Le due visite di Paolo alle comunità presupposte da Gal 4,13, possono essere
spiegate poi col fatto che Paolo e Barnaba nel corso del loro primo viaggio
missionario, dopo aver fondato le comunità, tornarono nuovamente a visitarle nel
fare ritorno ad Antiochia125.
4.5 Conclusione
La posizione che abbiamo qui provato a sostenere crediamo possa essere
ritenuta plausibile: vi sono infatti significativi punti di contatto fra le due narrazioni.
D’altra parte il problema principale alla identificazione dato dalla mancanza in
Atti della discussione presente invece nell’epistola può trovare spiegazione nel
differente intento dei racconti.
Fra i punti forti dell’ipotesi vanno certamente segnalati i seguenti:
1) essa risolve il problema del numero di visite fatte da Paolo a Gerusalemme:
la visita a Gerusalemme di Atti 15 non viene nominata in Galati perché l’epistola,
pensiamo, fu scritta prima di quella occasione;
122
Cfr. Idem, «Galatian Problems. 4. The date of the epistle», in Bulletin of the Rylands Library
Manchester, 54.2 (1972) , pp. 250-267.
123
Cfr. D. R. De Lacey, «Paul in Jerusalem», in New Testament Studies, 20.1 (1973), pp. 82-86.
124
Cfr. Gal 1,6: «Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo
passiate ad un altro vangelo».
125
Cfr. Atti 14,21-26.
52
2) viene così spiegata la diversità fra Atti 15 e Galati 2, e cioè: vi si descrivono
due avvenimenti diversi;
3) si spiega pure come fosse stato possibile l’episodio dell’incidente di
Antiochia: il concilio ed il relativo decreto che regolava l’ammissione dei pagani
non aveva probabilmente ancora avuto luogo.
Corollario importante infine è che l’ipotesi sembra prendere posizione anche
intorno ad alcune problematiche legate all’epistola: i destinatari infatti, in questa
ottica, non possono che essere le comunità del primo viaggio missionario di Atti 13
e 14. Con l’epistola ai Galati allora, potremmo trovarci davanti al primo scritto del
Nuovo Testamento126.
Conclusione
La seconda visita di Paolo a Gerusalemme da cristiano secondo gli Atti coincide
con il viaggio di cui si narra in 11,27-30; 12,25 e che descrive l’invio di una colletta
fatta dagli antiocheni a favore della chiesa madre di Gerusalemme.
Tale visita è stata variamente interpretata, ma la posizione principale degli
esegeti è oggi sostanzialmente quella di negarla. Generalmente infatti si ammette
che Luca avrebbe qui descritto in realtà la medesima visita raccontata più avanti al
capitolo 15: egli ne avrebbe trovato il racconto in due fonti diverse e da qui l’errore
di considerarle distinte.
Questa posizione si fonda sull’assunto che il «concilio» narrato in Atti 15
corrisponda necessariamente al racconto di Galati 2,1-10, che la maggior parte
degli esegeti infatti ritiene essere il resoconto paolino dell’assemblea e che
126
Cfr. anche B. Witherington III, Grace in Galatia. A Commentary on Paul’s Letter to the
Galatians, Londra, T&T Clark International, 1998, pp. 1-20.
53
presenta in realtà delle divergenze che non è possibile armonizzare con la
narrazione di Luca.
Davanti a ciò l’opinione prevalente degli studiosi ha in genere ritenuto di dover
accordare
maggior
credito
al
ricordo
dell’apostolo,
ridimensionando
per
conseguenza l’attendibilità storica degli Atti.
Questo atteggiamento riflette, crediamo, la forte influenza esercitata negli studi
teologici dalla scuola di critica delle forme prima e da quella di critica della
redazione poi, il cui apporto alla questione in esame è stato quello di
ridimensionare fortemente l’accuratezza storica di Luca, sottolineando soprattutto
il carattere teologico delle sue opere.
Nel primo capitolo della nostra ricerca abbiamo provato a rendere conto di tale
impostazione dominante e di come ad essa si sia reagito nel corso del secolo
appena trascorso tentando di riaffermare anche l’intento storiografico degli Atti.
Accogliendo quest’ultima proposta abbiamo deciso di accordare fiducia ai
ricordi di Luca, muovendo dal suo racconto i primi passi per una diversa soluzione
della questione indagata e concludendo, col secondo capitolo della ricerca, che in
realtà la pericope che ricorda il viaggio per l’invio della colletta di Atti 11 sembra
affondare le radici nella tradizione e può essere dunque considerata plausibile.
A ciò va aggiunto che il confronto fra la descrizione dell’assemblea di Atti 15 e
la visita ricordata da Paolo nell’epistola, oggetto del terzo capitolo, ha evidenziato
l’esistenza di contraddizioni marcate fra le due narrazioni, generalmente
interpretate come portato della alterazione lucana dei fatti.
Nell’ultima parte della ricerca, abbandonando la pista della equivalenza Gal
2=Atti 15, abbiamo provato a verificare invece l’ipotesi che Paolo possa aver fatto
riferimento in Galati 2 proprio al viaggio di cui Luca narra in Atti 11, rilevando
motivi sufficienti per ritenere possibile l’identificazione dei due resoconti.
L’ipotesi non costituisce una novità nell’ambito degli studi sull’argomento ma è
stata sostenuta (e continua ad esserlo) da una parte (minore) degli specialisti.
Nella sua semplicità essa si è rivelata coerente con il quadro degli avvenimenti
narrati e capace di tenere insieme i dati in maniera adeguata; riteniamo pertanto
che possa rappresentare una valida alternativa esegetica alla questione indagata.
54
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