UNA BUSSOLA PER LA VALUTAZIONE DEI BISOGNI FORMATIVI
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UNA BUSSOLA PER LA VALUTAZIONE DEI BISOGNI FORMATIVI
UNA BUSSOLA PER LA VALUTAZIONE DEI BISOGNI FORMATIVI Questo breve paper ha l’obiettivo di illustrare il significato, le necessità ed alcune caratteristiche specifiche della fase che sta a monte del processo formativo: la valutazione dei bisogni formativi. Un corso (o un percorso) di formazione che si rivolge agli adulti deve basarsi su una premessa assai diversa rispetto a quella ispiratrice dell’insegnamento tradizionale, nel quale l’esigenza di standardizzare contenuti e metodi per l’apprendimento atteso produce come conseguenza la trascuratezza di una puntuale e rigorosa valutazione dei bisogni dei partecipanti coinvolti nel processo formativo. Capire se l’intervento formativo è opportuno e prioritario, quale relazione esiste fra organizzazione e competenze da sviluppare, i bisogni percepiti e le autentiche necessità, quali partecipanti devono essere coinvolti rispetto a quali obiettivi di sviluppo: questa fase è cruciale e propedeutica alla realizzazione operativa di qualsiasi attività formativa. Per sviluppare questa tematica è necessario focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti principali: 1. gli obiettivi e le modalità di approccio nella valutazione dei bisogni formativi 2. il coinvolgimento della committenza (chi promuove, finanzia, riceve l’impatto organizzativo dell’intervento formativo) 3. il coinvolgimento dei partecipanti all’azione formativa GLI OBIETTIVI E LE MODALITA’ DI APPROCCIO Il tema della valutazione dei bisogni formativi è da sempre complicato. Sia per la concreta difficoltà di tradurre nella pratica approcci teorici e metodologici per loro natura complessi, sia per la perdurante resistenza a considerare la formazione come un processo che non si esaurisce tout court con la realizzazione del corso. Sulla scia di queste considerazioni cerchiamo di dare una definizione sistematica a questo problema. La valutazione dei bisogni viene abitualmente identificata come la fase di rilevazione delle necessità formative preliminare alla progettazione di un qualsiasi percorso formativo. Se questa definizione risulta sufficientemente chiara e condivisa, non lo sono altrettanto le opinioni correnti ad essa associate. 1 Se interpellassimo un ipotetico campione di addetti ai lavori (imprenditori, formatori, responsabili del personale) chiedendo loro di esprimere il proprio giudizio sul tema/problema della valutazione dei bisogni, ci troveremmo a raccogliere valutazioni differenti e talvolta contraddittorie: “è un fatto estremamente importante” “è un’attività che si fa raramente” “ se si potesse standardizzare sarebbe meglio” “si fa soprattutto (o esclusivamente) per la formazione su misura” “ è un’attività molto complessa” “ un’ errata rilevazione dei bisogni pregiudica i risultati di un corso” La principale contraddizione che emerge consiste da un lato nel riconoscimento del ruolo essenziale della valutazione dei bisogni rispetto all’efficacia dell’intero processo formativo, dall’altro nella percezione di incertezza e insicurezza diffusa rispetto all’effettiva traduzione di questo obiettivo sul piano operativo e concreto. Come chiarire dunque questa contraddizione fra il grado di rilevanza dichiarato ed attribuito a questa fase e l’ammissione di inadeguatezza e incertezza nella pratica? In primo luogo può aiutare qualificare questa attività come una attività di ricerca finalizzata all’acquisizione di dati e informazioni utili ed attendibili, per proseguire o meno nelle fasi successive del processo formativo: la progettazione di dettaglio ovvero l’individuazione degli obiettivi didattici e conseguentemente dei contenuti e dei metodi più coerenti con gli obiettivi dichiarati. In secondo luogo occorre affrontare alcuni problemi. 1) di tipo metodologico>>>> Gli strumenti e le tecniche più congruenti rispetto allo specifico oggetto di indagine. 2) di tipo classificatorio>>>> la definizione precisa dell’oggetto di indagine: Cosa intendiamo per bisogno di formazione? 3) di tipo istituzionale>>> Entro quale contesto relazionale l’indagine non solo si svolge ma contribuisce essa stessa a definire. Contesto che vede coinvolti parallelamente gli esperti (formatori, progettisti, HR specialist), i partecipanti (o un loro “campione rappresentativo”) e i committenti (i referenti aziendali). 2 Quest’ ultimo punto viene spesso sottovalutato ma rappresenta un aspetto cruciale, che risulta soprattutto dal riconoscimento che il processo formativo non avviene in un vuoto sociale. L’attività formativa infatti è promossa e propiziata in larga misura da soggetti (aziende, associazioni, agenzie formative) che guardano alla formazione come strumento per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei processi lavorativi, per risolvere problemi connessi con il livello di preparazione professionale delle persone. Indipendentemente dal fatto che la rilevazione dei bisogni sia condotta o meno da specialisti, essa è ciò che le organizzazioni (o parti di esse) implicitamente o esplicitamente fanno o hanno già fatto nel momento in cui pensano di rivolgersi ad una agenzia formativa:: in termini di costi, impegni finanziari, budget. Se è vero che la formazione va inquadrata sul piano del processo di apprendimento per gli adulti, essa è anche e soprattutto un fatto di investimenti, politiche del personale, di accompagnamento a fasi di cambiamento. Da ciò risulta chiaro ed evidente che il problema della valutazione dei bisogni formativi non può essere affrontato unicamente sul piano della definizione degli obiettivi di indagine o degli strumenti da utilizzare. Deve essere esplorata a partire dal complesso contesto di relazioni organizzative che fa da sfondo al processo formativo. E’ tuttavia indispensabile far precedere a questa disamina qualche considerazione sul concetto di bisogno formativo. Bisogno è la discrepanza fra ciò che è ciò che dovrebbe essere, perciò non può essere definito in modo preciso se non sono noti e chiari lo stato attuale e quello auspicabile. Una volta stabiliti i due termini, è fondamentale porsi la domanda se la discrepanza possa essere effettivamente rimossa attraverso l’attività formativa. I bisogni formativi si riferiscono a competenze o performance carenti che non consentono alle persone di rispondere adeguatamente alle richieste di ruolo. Possono essere percepite e segnalate direttamente dalle persone così come dai loro diretti interlocutori (i capi in primis). I bisogni formativi percepiti dalle persone tuttavia possono essere reali o in parte mescolati ad aspirazioni (ancorchè legittime) di riconoscimento, di crescita. Al tempo stesso quelli espressi dal committente possono a volte risentire di una volontà gerarchico/ istituzionale tendente ad uniformare i comportamenti. 3 Spetta allo specialista (interno od esterno) indipendentemente dalle parti in causa, essere in grado di applicare metodi obiettivi per stabilire quali sono gli effettivi bisogni delle persone e dell’organizzazione che possono essere soddisfatti dall’attività formativa. Per non creare confusione e frustrazione e soprattutto per non sprecare tempo e denaro, è fondamentale saper scorporare dal processo formativo in via di definizione i bisogni che le persone percepiscono ed esprimono ma che non dipendono da lacune o gap di competenze. E’ facile riconoscere e documentare come questi bisogni non formativi siano da attribuire a deficit di risorse, di ambiente, di controllo o più in generale da un insieme di fattori che costituiscono l’assetto di lavoro visto nel suo complesso. La formazione è adeguata solo se sono carenti o inadeguate le conoscenze, le abilità, gli atteggiamenti. In assenza di alcuni fondamentali presupposti di natura organizzativa (es: chiarezza degli ambiti di responsabilità, deficit di procedure, frammentarietà della comunicazione interna) l’attività formativa potrà risultare comunque efficace sul piano dello sviluppo del “patrimonio” individuale ma poco risolutiva sul piano dei processi aziendali e della creazione di valore. LA DIAGNOSI A MONTE Come tutti gli strumenti la formazione presuppone una diagnosi a monte sulle ragioni e le cause che ne rendono utile, se non indispensabile, il ricorso. La diagnosi può essere molto semplice o molto complessa. Ad esempio può essere molto semplice stabilire che chi ricopre il ruolo di assistant nell’ufficio commerciale estero debba possedere una conoscenza dell’inglese di tipo tecnico che, qualora si rivelasse insufficiente, dovrà essere migliorata. Al tempo stesso è semplice valutare che un operaio addetto ad una macchina operatrice a controllo numerico dovrà possedere certe abilità e conoscenze tecniche ed addestrarlo di conseguenza. La diagnosi diventa più complessa man mano che ci si muove lungo varie dimensioni 1) Se l’apprendimento non riguarda solo aspetti cognitivi di tipo tecnico operativo ma coinvolge atteggiamenti e modi di affrontare i problemi, di agire con e verso gli altri 2) Quando i compiti che compongono il ruolo sono sempre meno routinari e ripetitivi, standardizzati e prevedibili ed occorre fare crescere non solo la complessità delle conoscenze ma si deve mobilitare abilità 4 di tipo emotivo, la creatività. 3) Quando occorre aumentare la consapevolezza dell’interdipendenza e delle connessioni fra ruoli e funzioni, per facilitare l’acquisizione di nuove conoscenze e atteggiamenti di maggiore collaborazione ed integrazione 4) Se diventa necessario analizzare e leggere il proprio ruolo in una cornice più ampia, nelle sue interazioni con l’ambiente esterno all’organizzazione (clienti, concorrenti, fornitori, stakeholders), per capire quali spinte, richieste, tendenze lo solleciteranno nel futuro. Fig. 1: L’evoluzione delle dimensioni dell’apprendimento , al crescere della varietà/complessità del ruolo INTERAZIONE CON L’AMBIENTE ESTERNO CONSAPEVOLEZZA ORGANIZZATIVA AUTONOMIA E FLESSIBILITA’ CAPACITA’ RELAZIONALI BASIC 5 Se alla base di ogni intervento formativo si pone un problema di adeguamento degli atteggiamenti individuali al ruolo richiesto dall’organizzazione, un’attenzione diagnostica particolare va riservata ad esaminare le variabili principali che influiscono sul comportamento di chi è chiamato a svolgerlo: variabili strutturali, tecnologiche, sociali, economico-finanziarie, operative. Appare perciò cruciale saper leggere il funzionamento dell’organizzazione, attraverso una diagnosi che sia non tanto finalizzata ad un cambiamento organizzativo, bensì a consentire e identificare il sistema di riferimento in cui si sviluppa l’attività formativa. I SOGGETTI COINVOLTI Come detto l’efficacia della fase di valutazione dei bisogni formativi dipende fortemente dal grado di sinergia che si verrà a costruire fra i 3 attori principali: specialisti (formatori), committenti e partecipanti. Nella dialettica che si snoda all’interno di questo “triangolo”, la valutazione dei bisogni dovrebbe fare emergere in modo chiaro e realistico quelli effettivamente collocabili all’interno di una attività formativa. Il risultato di questa negoziazione dovrebbe concretizzarsi nelle definizione degli obiettivi generali dell’attività. Se ad ogni step del processo formativo vengono sollecitate capacità professionali specifiche, nella fase di valutazione dei bisogni dal punto di vista dei contenuti sono fondamentali strumenti di analisi organizzativa e di analisi dei bisogni professionali. Da un punto di vista di processo sono necessarie abilità negoziali. In questa fase di reperimento dati i soli strumenti dell’ascolto organizzato (questionario, interviste) non sono sufficienti perché supportano la raccolta di informazioni provenienti solo dai committenti e dai partecipanti. I committenti possono unire alla propria analisi soggettiva dei bisogni formativi, altre letture improprie, legate a bisogni personali: comando, controllo, immagine. Un intervento formativo si origina sempre un iniziativa di una figura committente, la cui richiesta di base si compone sempre di 2 elementi di natura psicologica. 6 Il primo consiste nella rappresentazione mentale di un bisogno generico, di una carenza non ben precisata rispetto a problemi di tipo organizzativo. Il committente prova una sensazione dolorosa che tende a celare attraverso reazioni difensive che vanno da una sorta di onnipotenza ad una totale abdicazione. Accanto ad esso esiste un secondo elemento, un assunto di speranza, dai contorni vaghi, che “una soluzione esiste”. Indubbiamente chi si pone all’interno del triangolo nel ruolo di specialista deve fare leva su questo secondo elemento per cercare di gestire il primo, ricordando che l’obiettivo prioritario della formazione non è sostituirsi ai soggetti presenti nell’organizzazione, ma potenziarli. Questo lavoro parte dal rapporto con la committenza che rappresenta la prima fase del processo diagnostico. Il potenziamento del committente passa attraverso l’accettazione concreta della sua diagnosi, da parte dell’esperto. E’ nella maturità professionale dell’esperto rendersi conto che per quanto la diagnosi del committente sia parziale, precaria, spesso proiettiva, essa è estremamente importante per lui, perché è il mezzo con cui governa il proprio senso di bisogno. Avere la percezione di un bisogno generico genera ansia da perdita di controllo della situazione. Identificare una causa, anche se generica o parziale, consente di stare meglio. Occorre elaborare insieme al committente la sua diagnosi, fornendogli un quadro di riferimento metodologico e concettuale che gli consenta di accettare la parzialità di questa, In un certo senso è opportuno fare con il committente un lavoro preliminare di identificazione del campo di diagnosi del sistema, centrato proprio sulla sua diagnosi implicita. Se siamo riusciti a far accettare al committente la parzialità delle sue diagnosi, sarà il committente stesso a riconoscere da solo che i suoi obiettivi possono eventualmente essere modificati e questa fase può ritenersi conclusa. La seconda fase del processo diagnostico è il coinvolgimento dei partecipanti. In un rapporto professionale deontologicamente corretto è opportuno non rovesciare sui possibili utenti le eventuali carenze identificate dalla committenza, ma rilevare i loro problemi e confrontarli con la diagnosi fatta dalla committenza. Occorre in sostanza realizzare un passaggio delicato ma indispensabile: 7 la trasformazione dell’utenza in committenza. Difficilmente una attività formativa riesce se prima non abbiamo conquistato un certo grado di consenso dai fruitori diretti. La terza fase del processo diagnostico è l’ipotesi diagnostica provvisoria, il momento in cui le varie parti riconoscono l’altro come portatore di una visione realistica, anche se parziale, dell’organizzazione. Questo è il momento in cui presentare le diverse percezioni della realtà anche se il processo di assunzione della committenza e dell’utenza dovrebbe aver consentito di assorbire i conflitti in una dimensione di progettualità, in cui tutti possono trovare una risposta ai loro problemi formativi. Perchè sia possibile il riconoscimento reciproco occorre tener conto di un altro aspetto rilevante: la accettabilità della diagnosi. La diagnosi deve essere accettata perché solo il consenso abilita la formazione. In sintesi la (buona) valutazione dei bisogni formativi dipende non solo da tecniche o strumenti ma da una più vasta dimensione e cultura professionale, fatta di consapevolezza, sensibilità e capacità che consente di padroneggiare le tecniche esprimendo, attraverso il loro impiego, ciò che è funzionale agli obiettivi che si intendono perseguire PUNTI CRITICI Il processo formativo si può dire ben curato quando non si perdono per strada i fili che collegano i bisogni, gli obiettivi, i modelli di apprendimento e gli indicatori di verifica, aspetti diversi di uno stesso percorso formativo in costruzione. Vediamo alcune possibili criticità 1. Un processo di analisi lacunoso e superficiale rischia di identificare “falsi bisogni” o solo i più apparenti. 2. Il mancato coinvolgimento di committenti e/o partecipanti rischia di spostare in avanti la negoziazione, in altre fasi del processo dove è più difficile recuperare la situazione 3. La gestione implicita dei bisogni lascia nel “non detto” conflitti non risolti che possono scoppiare nel momento più impensabile, magari mascherati da falsi problemi 4. Una negoziazione “di parte”, nella quale i formatori o gli esperti si alleano con i possibili partecipanti o si lasciano “sponsorizzare” eccessivamente dal committente. 5. Elaborare come formativi dei bisogni prevalentemente organizzativi, con il rischio di realizzare attività inconcludenti sui sintomi. 8 6. Un improprio passaggio di consegne da chi ha operato la valutazione dei bisogni a chi deve progettare l’attività formativa nel dettaglio 7. La forzatura intenzionale della progettazione attuata dal formatore, centrato più sui propri modelli di lavoro che sui bisogni emersi. CONLUSIONI Ciò che è largamente condiviso e consolidato è un modo di pensare e di rappresentare l’insieme delle operazioni che designano il campo della formazione rispetto ad una sequenza di momenti o tappe rigorosamente determinate. La formazione deve necessariamente prendere avvio da necessità ed esigenze specifiche, dunque da una valutazione puntuale, precisa, approfondita ma comunque sufficientemente aderente alla realtà dei bisogni da soddisfare, di carenze da colmare, in riferimento ad aree e requisiti professionali correttamente identificati. Così detto sembra tutto al tempo stesso chiaro ed ovvio. Nella pratica invece molte cose diventano meno scontate. Ad esempio l’identificazione tout court della formazione con il corso; una scarsa attenzione alla valutazione degli effettivi risultati di un processo di apprendimento, una valutazione dei bisogni troppo generica, una progettazione didattica autoreferenziale e troppo distante dalla realtà. Perdere di vista il legame sottile che lega tutte queste fasi significa ingigantirne le distanza. Così la formazione tende inevitabilmente a riprodursi attraverso i corsi che fa, ad auto confermarsi e di conseguenza a distanziarsi progressivamente dalla realtà che al contrario continua, per conto suo, ad evolvere e trasformarsi. Ed è ovvio che uno dei modi per essere per rimanere aderenti alla realtà è quello da un lato di investigarne i bisogni, dall’altro di misurarsi con i risultati ottenuti. Federico Bencivelli Marzo 2014 9