Il viaggio dei magi

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Il viaggio dei magi
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14 dicembre 2014
Via Scipione Dal Ferro 4 - 40138 Bologna
Periodico settimanale
tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A. P.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art.1, comma 1, DCB Bologna
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44
attualità pastorale
Il viaggio
dei magi
Commentando alcune strofe della lirica di T.S. Eliot “Il viaggio dei magi”, l’autore ci introduce nel
cuore di questa avventura, alla ricerca di un “dove” e soprattutto di un “chi”, che dia senso alla vita
di ogni uomo. Scopriamo così che i sentimenti dei magi sono gli stessi nostri sentimenti.
Un lungo viaggio
I magi, però, si diceva, venivano da molto
più lontano, e affrontarono un viaggio ben più
carico di incognite e pericoli. «“Fu un freddo
avvento per noi,/ Proprio il tempo peggiore
dell’anno/ Per un viaggio, per un lungo viaggio
come questo:/ Le vie fangose e la stagione rigida,/ Nel cuore dell’inverno”» (T.S. Eliot, Il
viaggio dei magi, vv. 1-5).
Se veramente venivano dalla Persia, almeno duemila chilometri li separavano dalla
meta: mesi e mesi di cammino, ovviamente
senza i nostri mezzi: «E i cammelli piagati, coi
piedi sanguinanti, indocili, / Sdraiati nella
neve che si scioglie./ Vi furono momenti in cui
rimpiangemmo/ I palazzi d’estate sui pendii,
le terrazze,/ E le fanciulle seriche che portavano il sorbetto./ Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano/ E disertavano, e volevano donne e liquori,/ E i fuochi notturni
s’estinguevano, mancavano ricoveri,/ E le città
ostili e i paesi nemici/ Ed i villaggi sporchi e
tutto a caro prezzo:/ Ore difficili avemmo» (ivi,
vv. 6-16). Ci si può facilmente scoraggiare, di
fronte a tutte queste difficoltà; non sorprende
la tentazione di pensare che tutto sia insipiente follia: «Preferimmo alla fine viaggiare
di notte,/ Dormendo solo a tratti,/ Con le voci
che cantavano agli orecchi, dicendo/ Che questo era tutta follia» (ivi, vv. 17-20).
Mettersi in viaggio verso la grotta di Betlemme non è semplice neppure oggi, seppure
sotto aspetti diversi. È facile pensare che anche per noi questo sia «il tempo peggiore dell’anno», il tempo reso grigio, inospitale, dal
continuo succedersi di previsioni pessimistiche, dall’incalzare di statistiche contrassegnate
da un outlook costantemente negativo, di notizie raccapriccianti di ciò che succede in giro
per il mondo (compresi, in particolare, i paesi
che, con ogni probabilità, i magi attraversarono nel loro difficile itinerario verso Gerusalemme e Betlemme, perché la loro strada non
poteva non passare per quelle regioni che oggi
chiamiamo Iran e Iraq e Siria…), di informazioni che offrono un panorama desolante sul
piano dell’etica o prospettano scenari inquietanti per ciò che ci aspetta nel futuro. Da
quando papa Francesco ha parlato di una
«terza guerra mondiale» strisciante, diffusa,
pervasiva – proprio a un secolo esatto di distanza dalla “grande guerra” e dalle sue innominabili stragi – si è acuita in noi la sensazione di essere presi in una morsa implacabile
e, al tempo stesso, inafferrabile e, dunque, ancor più temibile.
È davvero questo un tempo adatto per mettersi in viaggio verso il Bambino che nasce a
Betlemme? Chissà quanti avranno deriso la
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Comunicare
È una bella stagione per i preti di strada, i
pretacci, i preti delle periferie. Il vento di
papa Francesco li ha sdoganati dalle micragnose riduzioni dei chierici inamidati che li
considerano assistenti sociali, presbiteri a
intermittenza. Dalla CEI è arrivato l’invito a
quattro di loro (L. Ciotti, G. Rigoldi, M. Patriciello, V. Albanesi) di commentare il Vangelo alla trasmissione televisiva A sua immagine (cf. Sett. 43/2014 p. 2). Guardati con
simpatia dalla società civile, tre di essi
hanno ricevuto la laurea honoris causa all’Università degli studi di Milano (Ciotti, Rigoldi, V. Colmegna). Al di là delle fatiche e
dei limiti, da decenni garantiscono alla
Chiesa italiana un consenso e una simpatia
ben oltre i confini dei frequentanti, impegnandosi quotidianamente sul versante
della legalità (Gruppo Abele – Libera), dell’educazione (carcere Beccaria – Comunità
nuova), dell’accoglienza (Casa della carità).
Il titolo accademico è per la «comunicazione
di impresa»; in realtà, per la comunicazione
del Vangelo.
attualità
2o Rapporto ONU sulla tratta
p. 3
dialogo
Incontro Balcani-Europa p. 6
società
Prosciolti. Perché? p. 11
intervista
A colloquio con il card. Vlk p. 12
settimana 14 dicembre 2014 | n° 44
T
radizioni antiche e studiosi moderni
propendono per l’idea che i magi di
cui parla il vangelo di Matteo (2,1-11)
venissero dalla Persia. Complice forse
anche un recente viaggio in Iran, questa ipotesi mi sta benissimo: e con questi sapienti –
senza esserlo io stesso – mi metto in cammino
verso il Bambino che nasce a Betlemme. Perché i magi stanno al limite del presepio, quasi
fuori campo, e solo poco alla volta li si vede
entrare nella scena, fino al giorno in cui arrivano alla stalla sormontata dalla stella; ma
sono in viaggio da tempo, e il loro cammino
diventa proposta per accostarci anche al nostro Natale.
Bisogna camminare, per arrivarci: la cosa
non vale solo per loro, che venivano da lontano. Anche Giuseppe, «dalla città di Nazareth,
salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme… Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc 2,4-5). E anche i pastori dovranno mettersi in viaggio,
benché fosse questione, nel loro caso, di un
tragitto assai più breve: ma non poterono sottrarsi alla necessità di partire, di camminare:
«“Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo
questo avvenimento che il Signore ci ha fatto
conoscere”. E andarono, senza indugio…» (Lc
2,16-17).
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scelta avventata di quei sedicenti
sapienti di Persia – o di dove che
fossero – che, tutt’altro che sapientemente, si mettevano in
viaggio seguendo il pallido indizio di una stella lontana che per
giunta, dopo aver brillato nel suo
sorgere (cf. Mt 2,9), sembrava essersi subito spenta, come troppo
spesso accade alle speranze
dell’uomo. In altri modi, la sfida
si ripropone anche per il credente deciso a rimettersi in viaggio per andare a Betlemme: perché solo accettando questa sfida,
solo volendo andare verso il Signore Gesù, il suo Natale può essere qualcosa di più che l’ennesimo ritornare di una ricorrenza
ormai tante volte attraversata
senza che ne rimangano tracce
consistenti.
L’ingresso del Figlio di Dio nel
nostro mondo, nella nostra carne,
si radica – oltre che nel «beneplacito» di Dio, nella sua benevolenza a favore degli uomini (cf. Lc
2,14) – anche nel «sì» del Figlio,
in quel suo ecce venio, con il quale
egli accoglie dal Padre il «corpo»
che per lui è stato preparato: «Entrando nel mondo, Cristo dice:
“Tu non hai voluto né sacrificio
né offerta, un corpo invece mi hai
preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo –
poiché di me sta scritto nel rotolo
del libro – per fare, o Dio, la tua
volontà”» (Eb 10,5, che cita il testo greco del Salmo 40). Ma è impossibile riconoscere e accogliere
questa venuta, l’ecce venio del Figlio nel nostro mondo, se non ci si
mette in cammino verso di lui, al
di là di tutti i deserti e gli inverni
che la nostra esistenza e il nostro
tempo possono conoscere. Ecce
magi ab oriente venerunt, dice il
testo latino del vangelo di Matteo:
ed è così che all’ecce venio di Cristo ha risposto il loro venire verso
di lui.
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Gerusalemme
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L’inverno non può, peraltro,
durare per sempre: «Poi all’alba
giungemmo a una valle più tiepida,/ Umida, sotto la linea della
neve, tutta odorante di vegetazione;/ Con un ruscello in corsa
ed un molino ad acqua che batteva il buio,/ E tre alberi contro il
cielo basso,/ E un vecchio cavallo
bianco al galoppo sul prato» (Il
viaggio dei magi, vv. 21-25). Il
cammino di chi si mette in movimento verso il luogo dove è nato
il Bambino attraversa anche le
oasi. Bisogna imparare a riconoscerle, accettando anche, se il
caso, di non sapere bene di che
cosa si tratta.
Si resero conto i magi, arrivati
a Gerusalemme, che venivano
aperte per loro le pagine di quelle
Scritture che la tradizione così
ebraica come cristiana tante volte
paragona a una vera oasi, al giardino del Paradiso in mezzo al deserto del mondo? Forse no: del resto, per quanto sapienti, erano
estranei al popolo di Dio. Ma non
è detto che i credenti di oggi ne
siano più consapevoli. Come custodire la certezza che «abbiamo
anche, solidissima, la parola dei
profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada
che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non
sorga nei vostri cuori la stella del
mattino» (2Pt 1,19)?
Gerusalemme, dove le Scritture sono aperte anche per chi
viene da lontano; Betlemme,
«casa del pane», dove troverà
compimento il viaggio di chi
vuole andare a incontrare colui
che è nato, ricordano ai credenti
che questo viaggio si sostiene con
mezzi umanamente fragili – la parola, i sacramenti – ma nell’orizzonte dei quali occorre anche imparare a leggere l’inverno del
mondo e ad attraversarlo offrendo speranza e contrastando
ogni avvilimento. Del resto, i
magi arrivano a Gerusalemme
non per chiedere se il Re dei giudei è nato, ma per informarsi sul
dove lo si possa incontrare e adorare: essi sanno che è nato, ne
hanno l’intima certezza: la stella
del mattino è già accesa nei loro
cuori; per questo essi potranno
poi vederla risplendere di nuovo
sul loro cammino.
Ma è indispensabile ridestare,
e mantenere vigile, una sensibilità spirituale: i luoghi che rinviano alla possibilità dell’incontro
con Colui che viene nel mondo
non si individuano solo sulla base
di informazioni – delle quali disponiamo oggi in abbondanza
(«Poi arrivammo a una taverna
con l’architrave coperta di pampini,/ Sei mani ad una porta
aperta giocavano a dadi monete
d’argento,/ E piedi davano calci
agli otri vuoti./ Ma non avemmo
alcuna informazione, e così proseguimmo/ Ed arrivati a sera non
un solo momento troppo presto/
Trovammo il posto; cosa soddisfacente voi direte»: Il viaggio dei
magi, vv. 26-31).
Si tratta, invece, di assumere
quell’attitudine all’incontro con
Dio che si dischiude ai sensi spirituali: «È necessario un atteggiamento contemplativo: è il sentire
che si va per il buon cammino
della comprensione e dell’affetto
nei confronti delle cose e delle situazioni. Il segno che si è in questo buon cammino è quello della
pace profonda, della consolazione
spirituale, dell’amore di Dio, e di
vedere tutte le cose in Dio». E per
questo occorre mettersi in cammino, appunto come i magi e,
prima di loro, i nostri padri nella
fede: «La nostra vita non ci è data
come un libretto d’opera in cui c’è
tutto scritto, ma è andare, cam-
minare, fare, cercare, vedere… Si
deve entrare nell’avventura della
ricerca dell’incontro e del lasciarsi
cercare e lasciarsi incontrare da
Dio».
Vita o morte?
Dove conduce, alla fine, il viaggio che il credente può di nuovo
intraprendere, mescolandosi alla
presumibilmente variopinta carovana dei magi? «Tutto questo
fu molto tempo fa, ricordo,/ E lo
farei di nuovo, ma considerate/
Questo considerate/ Questo: ci
trascinammo per tutta quella
strada/ Per una Nascita o per una
Morte? Vi fu una Nascita, certo,/
Ne avemmo prova e non
avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,/ Ma le avevo pensate differenti: per noi questa Nascita fu/ Come un’aspra ed amara
sofferenza, come la Morte, la nostra morte» (Il viaggio del magi,
vv. 32-39).
Viaggio verso una nascita,
viaggio verso una morte? Una lettura tradizionale dei doni offerti
dai magi a Gesù collega il terzo
dono, la mirra, alla morte; del resto, la vicenda immediatamente
successiva al ritorno dei sapienti
(persiani?) nella loro terra non lascia spazio al dubbio: la nascita di
quel bambino è anche un
dramma di morte (cf. Mt 2,16-18),
preannuncio di quell’altra nascita
drammatica che si compirà sul
Golgota.
Il viaggio verso il bambino è
anche viaggio verso un “tornare
bambini”, che forse troppo spesso
confondiamo semplicemente con
un vago intenerimento sentimentale. Questo viaggio, in realtà,
non approda a nulla se non si lascia attraversare dal mistero della
croce come solo luogo possibile di
una nuova nascita: e la fede cristiana lo sa da sempre. Il rischio,
diversamente, è che il cammino
che conduce il credente a Be-
tlemme si confonda con l’inganno di una “speranza” infantilistica.
Nessun viaggio, se è veramente tale, se nasce da un autentico sradicamento dalle proprie
abitudini e conduce a un vero incontro con l’altro, lascia immutato chi lo compie: nel mettersi in
cammino si accetta un rischio, si
mette in conto l’imprevisto – e
non è quello del cammello che si
accascia o, per noi, della foratura
della gomma o del ritardo dell’aereo che ti fa perdere la coincidenza…
È l’imprevisto, il rischio dell’incontro: che sempre propone
un “esodo” diverso, un “trapasso”
verso una vita altra. Come non
pensare che sarà così quel viaggio
che, attraverso deserti e montagne, nel freddo inverno, ti conduce davanti alla luce di Colui che
è nato, sotto il segno della stella
che arde nei cuori e poi di nuovo
risplende sul cammino dei magi?
«Tornammo ai nostri luoghi, ai
nostri Regni,/ Ma ormai non più
tranquilli, nelle antiche leggi,/ Fra
un popolo straniero che è rimasto
aggrappato ai propri idoli./ Io sarei lieto di un’altra morte» (Il
viaggio dei magi, vv. 40-44).
Daniele Gianotti
1 Sono i primi versi di Journey of the
magi, la lirica (poi inclusa negli Ariel Poems) che T.S. Eliot pubblicò a Londra nel
1927, anno della sua conversione alla
Chiesa d’Inghilterra (cito la traduzione italiana di T.S. Eliot, Opere, a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano 1986, 152-155). Le
parole iniziali della poesia alludono a un
passo di un sermone di Lancelot Andrewes
(1555-1626), vescovo anglicano di Winchester, dal quale riprenderemo qualche suggestione.
2 Riprendo questo accostamento dal sermone di L. Andrewes citato alla nota precedente.
3 Cf. ad es. Origene, Om. sull’Esodo, 7,3.
4 Francesco, in “Intervista del direttore
a papa Francesco”, La Civiltà Cattolica 164
(2013), quad. 3918, 468-469.
ATTUALITÀ
n. 44 - 14 dicembre 2014
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