STUDI E RICERCHE NOTA CONGIUNTURALE 4/2002 3.4
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STUDI E RICERCHE NOTA CONGIUNTURALE 4/2002 3.4
CISL STUDI E RICERCHE NOTA CONGIUNTURALE 4/2002 3.4.2002 SINTESI DELLE TENDENZE CONGIUNTURALI.................................................................................................................1 1. ECONOMIA ITALIANA..................................................................................................................................................................1 2. ECONOMIA INTERNAZIONALE...................................................................................................................................................4 TENDENZE CONGIUNTURALI ITALIANE............................................................................................................................7 PRODUZIONE INDUSTRIALE, FATTURATO , ORDINATIVI, VENDITE E FIDUCIA ..................................................................7 Indice della produzione industriale..........................................................................................................................................8 Indici generali del fatturato e degli ordinativi dell’industria.............................................................................................8 Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio a prezzi correnti...........................................................9 FORZE DI LAVORO , CCNL, R ETRIBUZIONI CONTRATTUALI E CONFLITTI DI LAVORO ...................................................9 Forze di lavoro per condizione e ripartizione geografica e occupati per settore di attività economica .................. 10 Indici generali delle retribuzioni contrattuali..................................................................................................................... 11 COMMERCIO ESTERO ED ESPORTAZIONI DELLE REGIONI................................................................................................... 11 Esportazioni, importazioni e saldi della bilancia commerciale con i paesi extra−UE, UE e in complesso ............. 12 PREZZI : CONSUMO E PRODUZIONE............................................................................................................................................ 12 Indici dei prezzi al consumo per l’intera collettività.......................................................................................................... 13 Indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali................................................................................................. 13 MERCATI MONETARI E FINANZIARI .......................................................................................................................................... 14 TENDENZE CONGIUNTURALI INTERNAZIONALI....................................................................................................... 14 EUROPA ........................................................................................................................................................................................... 14 S TATI UNITI .................................................................................................................................................................................... 17 GERMANIA ...................................................................................................................................................................................... 22 FRANCIA.......................................................................................................................................................................................... 24 GRAN BRETAGNA .......................................................................................................................................................................... 26 GIAPPONE........................................................................................................................................................................................ 27 CALENDARIO 4/2002 .................................................................................................................................................................... 29 INDICATORI ECONOMICI E FINANZIARI A CONFRONTO ...................................................................................... 24 L’analisi elabora dati acquisiti fino al 2.4.2002 La sintesi di questa Nota congiunturale è pubblicata su “Conquiste del lavoro” del 3.4.2002 Fonti: BANCA D’ITALIA/ CENSIS/ CER/ CsC/ ENEL/ ICE/ IRS(It) / ISAE/ ISTAT/ PROMETEIA/ UIC/ BCE/ BLS/ DESTATIS/ EUROSTAT/ FED/ FMI/ IFO/ INSEE/ IRS(Usa)/ OCSE/ OIL/ THE ECONOMIST (+ quelle specificamente indicate in nota) SINTESI DELLE TENDENZE CONGIUNTURALI 1. Economia italiana Il mese passato è stato molto brutto sul piano economico− − politico, profondamente segnato dal voltafaccia del governo quando, insulsamente, ha deciso di rimangiarsi la sospensione del percorso legislativo delle deleghe e l’affidamento di discussione e proposta sulla materia, per due mesi, alle parti sociali. In realtà, la sua, era stata una finta. Ha buttato all’aria il tavolo e rimesso, inopinatamente, in auge le sue proposte di modifica all’art.18. “Per non dar l’impressione di perdere la faccia”, s’è scritto autorevolmente che avrebbero spiegato insieme, a un Berlusconi ancora scottato dal ’94, il moderato Fini ed il duro Tremonti. Costringendo tutti, sul fronte sindacale, a quel punto a dirgli no e a dirgli di no insieme. Ha chiosato una delle riviste americane più diffuse al mondo (si occupa, come dice il nome, specificamente di affari) che “il magnate primo ministro ha precipitato l’Italia in crisi cercando di governarla esattamente come gestiva il suo impero: dettando il cambiamento invece di negoziarlo 1 ”. E ha colto il punto, lo stato reale dell’ “azienda Italia”.. Ma è diventato nerissimo, il mese di marzo, il 19 con l’assassinio del prof. Marco Biagi e il tentativo di soffocare nel sangue, una volta per tutte, tutte le sue idee. Stiracchiate, come purtroppo accade, poi, da molte parti come una coperta un po’ corta. Non erano tutte condivise né condivisibili le elaborazioni di Biagi. Per parte nostra, su alcune non eravamo d’accordo – ma, con lui, continuavamo a discutere – perché nella sostanza ci sembravano tendere alla formalità del far parti uguali tra disuguali l’imprenditore di qua e il singolo lavoratore di là. Il punto non è questo, però. Qui – come è successo altre, troppe, volte – sparano alle idee: col fuoco e col ferro. Che però in questo campo – ma, disgraziatamente, non nel sopprimere la vita umana – non servono a niente. Per rendere inefficaci, sul piano delle idee e su quello sociale e politico, quelle pallottole adesso, però, si tratta di “tenere” con responsabilità e con fermezza: anche, certo, per non lasciare che sia il terrorismo a dettare l’agenda sociale e politica di questo paese. E, poi, occorre “la ripresa di un dialogo serio tra le parti”. E le condizioni perché sia serio, “sono quelle note2 ”. Adesso, deplora il Resto del Carlino – che, pure, simpatizza 3 – Berlusconi “rivendica una linea di governo, facendo di Marco Biagi il suo simbolo… un intervento [che] con questo taglio non aiuterà a conciliare gli animi”. In realtà, come Biagi stesso ebbe a dire nei mesi recenti in diversi convegni – ed era tutta la sua formazione di fine giuslavorista a ribadirlo – il conflitto sociale resta sempre il sale della democrazia ed il dialogo sociale, da tessere e ritessere al di là di ogni punta di ottusità, è il catalizzatore dell’efficienza stessa: senza di esso, tutto si blocca. Del resto, lo scriveva sempre sul Carlino solo qualche giorno prima – testo ripubblicato anche se col taglio (“per motivi tipografici4 ”, si capisce) dell’ultimo capoverso – spiegando che, sul tema mercato del lavoro, “altre erano le priorità rispetto alla riforma dell’art. 18”. Stesso concetto 1 2 3 4 Business Week, 8.4.2002, Italy’s Labor Pains I dolori del lavoro in Italia. S. Pezzotta, intervista al Corriere della sera, 21.3.2002, Sì al dialogo, ma prima via le modifiche all’art.18. il Resto del Carlino, 23.3.2002, E’ difficile conciliare gli animi. Idem, Nessuna censura a Marco Biagi: “Sciuscià” indotta in errore. 1 ribadiva in un’intervista, l’ultima rilasciata prima di venire ammazzato: che “il governo non deve fare battaglie di bandiera, Confindustria non può avere tutto e subito5 ”. Poi, c’è chi rimesta e confonde. Alla constatazione nostra – che nel Libro bianco (del quale vogliamo discutere, se la discussione non è strangolata all’inizio dal diktat sull’art.18) non c’è proprio traccia di alcuna proposta tesa a negare la possibilità di ricorso al tribunale, in caso di licenziamento individuale senza giusta causa – il sottosegretario Sacconi risponde 6 che nel Libro bianco “in realtà, l’art.18 ritorna più volte”: coperta stiracchiata, appunto, perché non è vero né, del resto, lui prova a provarlo. Adesso, il contenzioso sull’art.18, e tutto quel che lo precede e lo segue, sembra quasi eclissare tutto il resto. Ma, dopo aver minacciato (spiegando, poi, per l’ennesima volta che l’hanno capito male: ormai, però, gli succede quasi sempre) di essere sempre in grado, se vuole, di dare ai sindacati ragioni “serie” di scioperare – l’art.18 è una quisquilia, ha detto; ma potrei sempre riformare le pensioni portando tutti a 65 anni, di botto – il presidente del Consiglio è tornato a dire – un po’ imprudentemente, forse, per lui che, facendo le corna, alla cabala mostra di credere – quel che aveva già detto nel ’94, aggiustando il verbo e il soggetto ma tenendo fermo il concetto. Cioè, che difendendo l’art.18, oggi “i padri scioperano contro i figl i”, così come difendendosi contro la sua riforma delle pensioni, allora, “i nonni contro i nipoti manifestavano”. Ancora una volta, non ha capito niente. Neanche i figli e i nipoti della gente “normale” – quella che vota pure per Forza Italia, magari – credono al nonsense secondo il quale diminuendo i diritti di qualcuno si allargano i diritti degli altri. Né sul lavoro né sulle pensioni. Ma, ancora una volta, bisognerà dimostrarglielo, col braccio di ferro che ci sta imponendo 7 . Intanto, vanno avanti od arrancano, molte altre cose. Alcune sempre sbattute in prima pagina, dalla forza dei fatti o dalla voglia di chi decide, molte altre nascoste nelle pieghe di un dibattito distratto anche su cose essenziali. Ad esempio, il federalismo – fiscale e non – che ci ritroviamo, così smandrappato com’è. Che comincia a combinare i guai contro i quali, pure, le mani avanti erano state messe 8 . Adesso, denuncia il presidente dell’ANCI9 , “si trasferiscono competenze e si tolgono risorse ”. In realtà “non esiste il federalismo fiscale”, perché in questo nostro benedetto paese, come al solito, si fanno le leggi di principio ma non si fanno, o si fanno solo in grande ritardo – ma è questione di organizzazione del lavoro parlamentare, oltre che di mancanza di voglia – le leggi di attuazione. 5 Aggiungeva, è vero – per ragioni di equilibrio, diciamo così – l’invito ai sindacati “a decidere cosa faranno da grandi” e lo faceva, purtroppo, anche senza distinguo. L’intervista (Il testamento del professore) è stata pubblicata postuma, il 31.3.2002, dalla rivista dei Paolini, Famiglia cristiana. 6 Cfr., La Stampa, 25.3.2002: è la disgraziata intervista a M. Sensini in cui Maurizio Sacconi pensa bene di chiedere “denunce, delazioni”, alla CGIL. Ma, a legger bene – saccente – a tutto il sindacato: “perché l’omicidio di Biagi nasce nel mondo del lavoro” e “i sindacati conoscono le nicchie anomale”... 7 Sul New York Times del 29.3.2002, un articolo di J. Tagliabue, Italy’s Unions Seem Ready for Battle I sindacati italiani sembrano pronti alla guerra, spiega che “la questione centrale dello scontro è la competitività” del paese. Al meglio, cioè se è sincero, questo è il punto di vista di Berlusconi. E non è accettabile riportarlo come se fosse verità rivelata, quando economie altrettanto se non più socialmente forti della nostra – la Francia, l’Olanda... – sono sicuramente competitive quanto quelle più liberiste. Non sarebbe stato più corretto aggiungere, almeno, che i sindacati italiani non lottano certo contro una maggiore “competitività”, quanto contro queste misure che alla competitività del paese non aggiungono nulla e lo mettono, invece, in tensione e in conflitto, seminando di scioperi i prossimi mesi? 8 Anche i Temi del XIV Congresso confederale CISL di Roma, 15.6.2001 (F. Lo sviluppo della concertazione, no. 6) avevano segnalato e messo ben in evidenza la necessità di contrastare i rischi, emergenti del “neocentralismo regionale” emergente. 9 E sindaco di Firenze, oltre che esponente dei DS, Leonardo Domenici. Ma parlava anche a nome di tanti suoi colleghi di centro−destra che hanno lo stesso problema: Corriere della Sera, 14.3.2002, intervista a Dario Di Vico, Stanno stritolando i Comuni. 2 Sul piano strettamente economico, in sintesi si può dire che siamo in linea con gli altri paesi dell’area euro grazie a una certa rinnovata vivacità negli indicatori congiunturali. La fase attuale è, infatti, contrassegnata da un po’ di ripresa produttiva e del fatturato. Gli ordini alle imprese sono sostanzialmente sostenuti da un mercato internazionale che sembra lentamente rivitalizzarsi con la ripresa dell’economia americana e contribuisce a mantenere in attivo l’interscambio commerciale con i paesi extra-UE. L’interscambio commerciale resta, comunque, ancora condizionato da una fase ciclica che ha prodotto una riduzione delle esportazioni superiore alla contrazione della domanda di importazioni. E’ il caso che si è realizzato con i paesi dell’area euro, anche se il buon andamento accennato dei flussi dell’export con il resto del mondo è riuscito a limitare i danni sul saldo della bilancia corrente. Sulla ripresa dell’attività produttiva, quasi tutte le stime a breve termine (ISAE, CsC ed altri) si orientano all’ottimismo, denotando un miglioramento di umore – di fiducia – sia tra gli imprenditori che tra i consumatori. E si fa un po’ più vivace anche la dinamica delle vendite al dettaglio che, in gennaio, aumentano del 2,6% dopo l’incremento di dicembre (+1,6%). Su un anno fa, mentre sul piano occupazionale rimane sempre negativo il bilancio delle grandi imprese e, in particolare, della grande industria (23 mila addetti in meno su base annua) – ma negativo lo è da molto tempo – scende il tasso di disoccupazione : −0,8% dall’ottobre 2001 a questo gennaio e al 9,2% da un anno fa (sotto la Germania, al 9,4%, e quasi come la Francia). Percentuali che, tradotte in cifre e persone, corrispondono a 371 mila unità: gente che – soprattutto nel commercio (+2,8% e nell’edilizia (+3%); regrediscono, invece, industria in senso stretto (−3,3%) ed agricoltura (−0,4) – ha trovato lavoro e, spesso, anche a tempo indeterminato. E, guarda un po’, con l’art.18 pienamente in vigore. Per merito mio, dice il governo, che sta lì da neanche un anno. No, nostro, commenta qualcuno dei predecessori. In realtà, il “merito” è dell’economia che riprende a tirare un po’ e delle flessibilità che ci sono, quelle contrattate e dovute, soprattutto, al cosiddetto “pacchetto Treu”, non certo alla deregolazione selvaggia. Prosegue la decelerazione dei prezzi alla produzione , un orientamento in senso frenante rispetto a quelli al consumo che, invece, restano alquanto vivaci (col 2,5% tendenziale di marzo): problema che condividiamo con tutti i paesi dell’area euro, imputabile essenzialmente, a fattori come una nuova ripresa dei prezzi del petrolio, qualche strascico del change−over e le componenti più volatili dei consumi che condizionano ancora l’inflazione europea. Le retribuzioni contrattuali orarie, a febbraio, restano bloccate rispetto a gennaio ma l’inflazione intanto sale dello 0,4%; e, rispetto ad un anno prima, salgono del 2,8% appena al di sopra del 2,5% del costo della vita che arriva a marzo. Sui conti pubblici, emerge qualche potenziale problema. Il rapporto deficit/PIL del 2001 è stato dell’1,7, invece che dell’1,4% programmato. Meglio di Germania e di Francia, ma ancora con uno scostamento non irrilevante, anche se contenuto, dovuto però più che ad aumenti di spesa pubblica al rallentamento economico. L’ISTAT, però, ha adesso provveduto a correggere anche i dati del 2000, quando il rapporto deficit/PIL non è stato – come diceva la rilevazione iniziale– dell’1,5 ma anche allora dell’1,7%. E la Commissione europea, predicando a tutti la stessa omelia, ha provveduto a ricordare anche all’Italia la necessità del rispetto più rigoroso del patto di stabilità (della parte del nome che menziona lo “sviluppo”, silenzio però…). Ed è anche aumentato – rispetto alle previsioni che lo davano al 107,5% del PIL – il debito pubblico, risalito a fine 2001 al 109,4%. A tutto questo si aggiungono, ora, la riduzione di effetti e anche la scadenza di tante una tantum. Il governo resta, beninteso, sicuro della ripresa economica e su di essa scommette perché, su questo 3 sfondo, le promesse elettorali di ridurre le tasse, rimandate da tempo a tempi migliori, diventerebbero – stanno diventando – incubo più che sogno dalla realizzazione improbabile. E si va rassegnando all’inevitabilità di una qualche manovra che, probabilmente, toccherà i 16 mila miliardi di € nel 2003. 2. Economia internazionale Le settimane che vengono, in una ragionata ipotesi del possibile e del probabile, vedranno svilupparsi, grosso modo, questi scenari: sul piano globale: • cambia l’indirizzo che le banche centrali intendono seguire nella gestione della moneta: insomma, vanno verso una stretta graduale delle politiche monetarie, verso il rialzo dei tassi di interesse a breve che controllano direttamente (in Europa li chiamiamo tassi di rifinanziamento; in America federal funds; in Gran Bretagna si chiamano tassi repo). Insomma, se uno deve trovare qualche finanziamento, meglio trovarlo adesso: fra qualche mese costerà sicuramente di più; • negli USA, in Europa, in Asia – in generale – cresce, apprezzabilmente, l’economia; negli USA: • la ripresa comincia (il PIL del 4° trimestre 2001è stato rivisto in aumento dall’1,4 all’1,7%, dopo la caduta secca dlel’1,3 del 3° trimestre) e il rebus non è più il quando ma il quanto ed il come: la sua forza e la sua qualità; • si fa probabile una solida crescita nel 1° trimestre: ma, forse, un po’ drogata da una primavera annunciata come particolarmente buona (un fattore che aiuta sempre); • resterà lenta, se invece come è più probabile la crescita non sarà così netta, la ripresa di occupazione e profitti: gli indicatori chiave da sorvegliare, per vedere se la ripresa si materializza forte oppure no, saranno crescita di posti di lavoro e di investimenti; • i tassi ufficiali di sconto, di riferimento o di interesse a breve – chiamateli come credete – resteranno più bassi qui che in Europa; • il finanziamento del deficit di conto corrente comincia a preoccupare la Fed e anche, forse, a pesare sul dollaro; in Europa : • dopo la caduta marcata del 4° trimestre, i dati indicano possibile un buon rimbalzo nel PIL della zona euro; • l’inflazione calerà nuovamente sotto il 2% di media: ma non per molto; • tutte le banche centrali, a cominciare dalla BCE, seguiranno la Riksbank (da +3,75 a +4%) in svedese e alzeranno i tassi di sconto; • gli unici effetti buoni della manovra saranno sull’euro (forse) e sulla borsa (ma poco): non sull’economia reale; in Giappone : • ci sono segnali di stabilizzazione dell’economia: ma il PIL calerà ancora, quest’anno, e sarà quasi impercettibile l’incremento dell’anno prossimo; • gli indicatori cruciali, qui, saranno produzione industriale ed occupazione; • le misure antideflazionistiche finora assunte – non coerenti e non sufficienti – hanno messo il dito nel buco della diga, per qualche tempo; ma i mercati – come si dice – aspettano un seguito più solido (strutturale); • che difficilmente otterranno, almeno nella misura sperata: e, qui, gli eventi politici chiave del prossimo futuro si annunciano nella scadenza della garanzia pubblica sui depositi bancari e nei risultati delle ispezioni bancarie (tutt’e due in aprile); sui mercati, cosiddetti, emergenti: 4 • va peggio la congiuntura in Polonia e Ungheria; • molto peggio in Argentina, che nessuno sa dove stia andando, col peso che sembra in caduta libera e una politica economica che vorrebbe affrancarsi ma non ce la fa; • resta solido, invece, il quadro in Brasile, anche se crescono le ansietà dei mercati sulle elezioni presidenziali per le quali sembra guadagnare terreno la candidatura che meno amano, quella di Lula; • l’economia turca risentirà pesantemente di qualsiasi nuovo attacco punitivo americano all’Iraq; e il Sud Africa delle turbolenze politiche, finanziarie ed economiche che squassano lo Zimbabwe al tramonto dell’era Mugabe; • i rapporti russo−americani tendono al miglioramento con un qualche accordo – non certo convinto ma di sicuro obbligato – raggiungibile forse a maggio, con la visita a Putin di Bush, sui desiderata americani di uscire dal trattato antimissilistico; • il Messico resta nei guai, con una situazione politica che si appesantisce e le promesse democratiche dell’amministrazione Fox che si annebbiano; • in Asia, per tigri e tigrotti, molto dipende dalla ripresa di investimenti in Information Technology a livello mondiale e da quello che succede allo yen; inflazione e tassi di sconto rimarranno tendenzialmente bassi, però, in tutto il continente; • la Cina continua a crescere, impetuosamente: ma con problemi inediti nelle relazioni industriali che si fanno convulse e non più sporadicamente, in mancanza di misure regolatorie di sindacati capaci di contrattare e negoziare almeno un embrione di rete di protezione sociale a fronte, ormai, di padroni privati che proprio da padroni cominciano a fare: licenziano, tagliano in un paese dove l’unico tabù economico era un posto fisso per tutti. Il rapporto semestrale di previsioni dell’FMI (che uscirà ad aprile, ma i cui dati sono sfuggiti ancora in bozza all’embargo 10 ) prevede ora un aumento dello 0,8% del PIL americano nel 2002 più di quanto avesse pronosticato l’ultima volta, ad un tasso del 2,2% e non dell’1,4. Cresce, grazie all’apporto statunitense in aumento, anche il PIL mondiale (al 2,7%, piuttosto che al 2,5), mentre la crescita nella zona euro resta dov’era (1,2%). Per il 2003, e per contro, viene ridimensionata la previsione sul PIL americano (da +3,8 a +3,4%) e appena accresciuta quella sull’area euro (+2,9 dal +2,8%). Nel tentativo, finora non coronato da gran successo, di ancorare il prezzo del petrolio che i suoi aderenti esportano nell’arco dei $22−28 al barile, l’OPEC ha deciso 11 di mantenere il tetto alla produzione (21,7 milioni di barili al giorno tra i suoi 10 membri) ancora per tre mesi: nella speranza che, intanto, questo alzi un po’ i prezzi (e, in effetti, lo sta facendo: a marzo è salito del 20%; ma soprattutto per la ripresa e per i timori sulle conseguenze di un eventuale attacco americano all’Iraq 12 ) e sia, poi, proprio una ripresa robusta a tirare la domanda di greggio e consentire così di estrarne di più senza deprezzarlo. Sempre che la politica petrolifera russa – vendere comunque, anche a prezzi quasi stracciati, per acquisire nuove fette di mercato – glielo consenta: il primo ministro Kasyanov si è impegnato adesso a cooperare con l’OPEC per ridurre l’estrazione nel secondo trimestre; ma il fatto è che, malgrado le precedenti promesse, nel primo trimestre le esportazioni russe sono aumentate. E sempre che Arabia saudita ed Iran, innervositi da quest’offensiva, non aprano i rubinetti già nella seconda metà di quest’anno. 10 E’ il World Economic Outlook : di alcune “indiscrezioni” hanno riferito molte agenzie di stampa (cfr., ad esempio, l’Agenzia ANSA, 28.3.2002, delle ore 18.04.51). 11 Agenzia Reuters, 15.3.2002, OPEC Keeps Cap on Oil Output L’OPEC tiene il tappo sulla produzione di petrolio. 12 Al 25 marzo, secondo l’Indicatore delle materie prime, stilato regolarmente dall’Economist (30.3.2002), il costo del barile è sceso in un anno (a $ 25 al barile per la qualità denominata West Texas Intermediate) dell’8,9%: che parla di un forte recupero sulla media di perdita di qualche settimana fa. E il costo medio in dollari di tutte le materie prime, sempre nel corso degli ultimi 12 mesi, ha recuperato praticamente le perdite. 5 Intanto Grecia e Turchia hanno firmato un accordo da 500 milioni d $ per costruire un oleodotto che, attraverso i loro porti, trasporti il greggio iraniano e quello dell’Asia centrale in Europa. Non ne sono stati proprio felici gli americani, ma ne è felicissima l’industria petrolifera americana che quel petrolio lo estrae. Visti i rapporti sempre tesi, anche se di recente un po’ migliorati, tra Atene ed Ankara, non c’è però da fidarsi che l’accordo poi tenga. La guerra dell’acciaio è ormai alle prime manovre: c’è stato il ricorso dell’Unione europea all’OMC e la difesa d’ufficio americana, spudoratamente contraddittoria rispetto alle proclamazioni di fede liberista reiterate 13 , ma del tutto inefficace nel merito perché la colpa del costo più alto del mondo dell’acciaio USA, in realtà, è tutta del superdollaro e di nient’altro. Ma c’è stata anche, intanto, la decisione particolarmente, come dire?, maligna presa a Bruxelles di cominciare ad applicare subito, senza aspettare le decine di mesi necessarie alla sentenza OMC, dazi puntivi grosso modo equivalenti ai prodotti degli Stati americani che portano più voti per Bush: una legge del taglione politico selettivo, dettata dal sì della Casa Bianca ai produttori d’acciaio suoi grandi contribuenti elettorali. Il nodo va sciolto, però, e da come gli USA, alla fine, valuteranno la reazione europea verrà impostata buona parte delle future relazioni euro−americane: si tratta in sostanza di stabilire se le regole del gioco valgono, devono valere, per tutti alla pari o no. E’ questo, al fondo, il contenzioso commerciale (e non solo) tra Stati Uniti ed Unione europea che si viene appena arricchendo di un altro dossier. Il Commissario ai Trasporti, Loyola de Palacio, e quello al Commercio, Pascal Lamy, vogliono imporre tariffe aeroportuali e limiti agli atterraggi alle compagnie aeree americane: perché le sovvenzioni pubbliche del dopo−11 settembre (una quindicina di miliardi di $) le utilizzano per praticare riduzioni di tariffe fuori mercato, insomma un vero e proprio dumping sui biglietti in violazione degli accordi IATA. Intervenendo a Monterrey, in Messico, al vertice ONU sul finanziamento dello sviluppo, il presidente Bush ha annunciato che, tra il 2004 e il 2006, aumenterà di 5 miliardi di $ il pacchetto di aiuti americani ai paesi in via di sviluppo. Ma non ha impressionato nessuno, visto che l’Europa nel suo complesso dedica a questo fine lo 0,39% del PIL. Molto meno del necessario, cioè, di quanto da anni, come tutti i paesi industrializzati, anche quelli europei s’erano impegnati a fare (ci sono naturalmente eccezioni, soprattutto fra i nordici), non foss’altro in un’ottica di contenimento, altrimenti impossibile, di un’immigrazione non regolata che si va facendo di massa. Gli USA, su questa voce, spendono tre volte meno dell’Europa, appena lo 0,1%. E nello stesso triennio Bush – ma questo a Monterrey non l’ha ricordato – intende aumentare la spesa americana per la difesa di 200 miliardi di $. Inoltre, il presidente americano ha condizionato l’erogazione effettiva degli aiuti statunitensi all’adozione di riforme approvate e monitorate dalla Banca mondiale 14 . Il che, alla luce del fatto che negli ultimi vent’anni di diretto coinvolgimento di Banca mondiale e FMI nella definizione e nella gestione delle politiche economiche dei PVS – anni di progresso drasticamente inferiore ai venti precedenti – non promette proprio gran che. Come, del resto, conferma il fatto che, sotto la tutela della Banca mondiale, l’economia russa, in transizione da quella sovietica, nel corso degli ultimi 10 anni si sia contratta del 50%. 13 Ma anche largamente fasulle: gli Stati Uniti proteggono nel settore della sanità con mille intralci – tipo iscrizione all’ordine dei medici, ecc.: cioè, non sul merito e la qualità – l’ingresso di medici stranieri nel paese, proteggendo così la più lucrosa professione liberale d’America dalla concorrenza straniera; proteggono con la massima determinazione, e cercano continuamente di estendere, brevetti e copyrights: due forme di protezionismo particolarmente costose che aumentano il costo di vendita delle merci prodotte di diverse centinaia di punti percentuali (quando il massimo di tariffa imposta adesso sulle importazioni d’acciaio è del 30%)... 14 Lo aveva già annunciato da prima, come riporta il New York Times, 15.3.2002, E. Bumiller, Bush Plans to Raise Foreign Aid and Tie It to Reforms Bush intende aumentare gli aiuti all’estero e condizionarli alle riforme . 6 In Cina sta esplodendo il problema, relativamente nuovo, dei senza lavoro di massa: fabbriche meno labor e più capital intensive di quanto mai fossero state, apertura ai mercati esteri (l’entrata nell’OMC: e la necessità, ormai, di aprirsi per esportare di più anche alle importazioni dall’estero, anche se gradualmente) stanno scremando il numero dei lavoratori e aprono la questione di un forte scontento: dimostrazioni importanti di massa che il potere non governa davvero. Sono milioni e milioni gli operai e gli impiegati di mezz’età a trovarsi per la prima volta senza lavoro. Prima – col vecchio sistema comunista, la negazione di tantissime libertà e l’economia di comando – avevano pochissima paga ma un lavoro sicuro e una certa, garantita, considerazione sociale 15 : perché il sistema funzionava sulla premessa che tutti dovevano avere, e avevano dunque, un lavoro. Adesso – col nuovo comunismo revisionato, la negazione delle stesse libertà e l’avanzare di una certa economia di mercato, ma senza neanche una minima rete di protezione sociale – si trovano a decine e decine di milioni (qui i numeri sono colossali), appunto, senza lavoro. E protestano, anche con grandi dimostrazioni che cominciano ad essere davvero di massa. Ma senza grande efficacia, separati gli uni dagli altri, nell’impossibilità di farsi il sindacato che vogliono e sotto la repressione occhiuta e dura di una polizia che impedisce ogni collegamento tra regione e regione. TENDENZE CONGIUNTURALI ITALIANE Produzione industriale, Fatturato, Ordinativi, Vendite e Fiducia I dati sulla produzione industriale a gennaio 2002, elaborati sulla base degli elementi disponibili, evidenziano un calo dell’indice, del 3,4% rispetto al gennaio 2001: un po’ più contenuto della diminuzione del 4,1% che si era avuta un mese prima rispetto al dicembre dell’anno precedente: il che indicherebbe, ma è un dato ancora certo da verificare, che la decelerazione non marcia più a tassi crescenti. A gennaio poi – nel dato che meglio fotografa il rallentamento generale – la produzione media giornaliera ha registrato una diminuzione tendenziale (cioè, sullo stesso mese dell’anno scorso e a parità di giorni lavorativi) per l’identica percentuale, del 3,4%, anche qui in riduzione minore però (ma con 3 giorni lavorativi allora di meno, solo 18) sul dato di riduzione tendenziale che era, a dicembre, dell’8,2% sul dicembre del 2000. Sale, per contro, dello 0,2% sul dicembre 2001, l’indice di produzione destagionalizzato. Una crescita modesta che si conferma, però, per il secondo mese consecutivo dopo il +1,5% di dicembre sul mese precedente. Bisogna, comunque, considerare che il settore manifatturiero in senso stretto riporta ancora, in ambito congiunturale (da mese a mese), contrazioni vistose: meccanica e lavorazione dei metalli (flessioni superiori al 4%), legno, produzione di apparecchi elettrici e di precisione, pelli e calzature (contrazioni superiori, addirittura, al 10%), con aumenti di qualche consistenza relativi solo alla produzione di energia elettrica, gas e acqua. Gli indici destagionalizzati presentano, sul mese precedente, variazioni negative per la produzione di beni finali di consumo (-0,7%) e di investimento (-0,1%), mentre una variazione positiva è concentrata sui beni intermedi (+1%). Un quadro, dunque, ancora incerto, dove gli indicatori negativi restano vistosi e omogenei ma dove si comincia a notare qualche – tiepido – segnale di risveglio. 15 “Dignità, sicurezza anche se pochi soldi”, dice sul New York Times, 19.3.2002, E. Eckholm, Leaner Factories, Fewer Workers Bring More Labor Unrest to China Fabbriche più smilze e meno lavoratori aumentano i conflitti sociali in Cina. 7 Le prospezioni più recenti, stimate dall’ISAE, sembrano intravvedere un recupero nel mese di febbraio e anche le stime IRS prevedono un recupero di produzione industriale per il mese di marzo: +0,9% l’incremento mensile dell’indice destagionalizzato, con l’indice grezzo però che continua a mantenere una variazione negativa su base annua del 6,7%. Anche se, poi, per aprile l’ISAE prevede già una nuova flessione nell’indice destagionalizzato della produzione industriale: un’incertezza che si dovrebbe protrarre almeno fino alla seconda parte dell’anno. Indice della produzione industriale (base 1995=100)(a) Gennaio 2002 INDICI Produzione industriale Produzione industriale media giornaliera VARIAZIONI % Gen 2002 Gen 2002 Gen 2001 Gen 2002 Dic 2001 Gen-Dic 2001 200120002000 Gen-Dic 2000 104,2 -3,4 - -0,6 99,8 -3,4 - -1,2 - +0,2 - Produzione industriale: dati 105,4 destagionalizzati (a) Industria in senso stretto, con esclusione delle costruzioni A gennaio 2002, l’indice del fatturato dell’industria, calcolato sul valore delle vendite espresse a prezzi correnti, ha segnato un leggerissimo aumento, dello 0,1%, sul mese corrispondente del 2001: esclusivamente per l’incremento del fatturato, +0,5%, sul mercato estero perché, per il mercato interno, non c’è stata alcuna variazione. L’indice degli ordinativi, sempre a gennaio, ha fatto registrare un aumento tendenziale del 2,9%: +2,2% sul mercato interno e +3,7% dall’estero. Infine, a gennaio rispetto al dicembre 2001, l’indice congiunturale destagionalizzato del fatturato aumenta del 3,4%; e, il secondo, diminuisce dello 0,5%. E’ una situazione ancora non consolidata: non tutti i settori riportano variazioni positive di vendite e fatturato ma sembra archiviata la fase decelerativa che ha contrassegnato gran parte dello scorso anno. Indici generali del fatturato e degli ordinativi dell’industria (base 1995=100) DATI GREZZI INDICI Fatturato Totale Gennaio 2002 DATI DESTAGIONALIZZATI VARIAZIONI % INDICI VARIAZIONI % Gen 2002 Gen 2002 Gen 2001 Anno 2001 Anno 2000 Gen 2002 Gen 2002 Dic 2001 110,1 +0,1 +1,2 122,4 +3,4 Nazionale 106,5 0,0 +1,2 117,8 +3,2 Estero 119,3 +0,5 +1,0 134,0 +3,7 Ordinativi Totali 113,3 +2,9 -3,5 115,2 -0,5 Nazionali 106,2 +2,2 -2,8 108,9 -2,3 Esteri 125,2 +3,7 -4,7 125,9 +2,3 A gennaio, rispetto al dato sia congiunturale che tendenziale di un mese fa, migliora l’indice di sintesi che riflette la performance delle vendite al dettaglio delle grandi imprese della distribuzione e di quelle che operano su piccola superficie: +0,4 su dicembre e +2,6% rispetto al gennaio 2001 (+2,8 a Nord, +2,7 al Centro e + 2,4% al Sud). Si tratta del valore corrente delle vendite che incorpora 8 la dinamica sia di quantità che di prezzi. E che non è granché, se dal quel 2,6 scorporiamo il 2,4% dell’inflazione. Aumentano le vendite di prodotti alimentari (congiunturale: +0,3%, tendenziale: +3) e non alimentari (rispettivamente: +0,5 e +2,4%) col solito vantaggio, ormai strutturale, per la grande distribuzione (+4,3 in un anno) rispetto alla piccola (+2,2%) e alla piccolissima (fino a 2 addetti: +2%). E nei 12 mesi che vanno dal gennaio 2001 a questo gennaio il volume delle vendite al dettaglio è cresciuto dello 0,2%. Insomma, ha ragione il presidente di Confcommercio, Billè: dal 2001 esce confermata, e adesso, all’inizio del 2002, riconfermata la scarsa propensione ai consumi delle famiglie 16 . Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio a prezzi correnti (base 1995=100) per settore merceologico DATI GREZZI SETTORI INDICI MERCEOLOGICI VARIAZIONI % Gennaio 2002 DATI DESTAGIONALIZZATI INDICI VARIAZIONI % Gen 02 Gen 02 Dic 01 Gen 02 Gen 02 Gen 01 Alimentari Non alimentari 114,9 95,0 +3,0 +2,4 122,6 115,6 +0,3 +0,5 Totale delle vendite 102,0 +2,6 118,0 +0,4 L’indagine di marzo dell’ISAE17 segnala un brusco peggioramento del clima di fiducia dei consumatori. L’indice cala da 127,1 a 122,4 in un mese e, in particolare, sono due i fattori che influiscono in negativo: • le attese a breve sul mercato del lavoro, per cui il 33% del campione vede salire la disoccupazione (un mese fa era il 30%) e solo il 17% la vede calare e, qui, la diatriba imposta dal governo al paese sulla cancellazione di parte dell’art.18 dello Statuto qualcosa a che fare con questa percezione ce l’ha. Lo sospetta anche e proprio l’ISAE con termini, si capisce, più anodini, rilevando tra l’altro che il pessimismo è più diffuso al Sud: teoricamente, là dove la “promessa” della riforma dovrebbe contare di più…; • e le attese sulla congiuntura economica, che peggiorano anch’esse col saldo netto delle risposte a −29 a marzo dal −26 di febbraio; ma peggiorano, specialmente sul tempo più lungo, cioè sull’anno prossimo, col saldo positivo che scende da +12 addirittura a +4. Poi – misteri delle rilevazioni statistiche – neanche una settimana dopo, sempre l’ISAE sottolinea 18 come invece migliori, e non poco, il clima di fiducia delle imprese, le attese delle quali – ma misurate specificamente sulle prospettive di produzione ed ordinativi – recuperano, riportandosi appena al di sotto dei livelli di fine agosto 2001, subito prima dell’11 settembre. E’ aspettativa di una ripresa tangibile che si fa sentire. Forze di lavoro, CCNL, Retribuzioni contrattuali e Conflitti di lavoro Al fine di rilevare l’entità complessiva delle forze di lavoro, nella settimana che va dal 7 al 13 gennaio 2002, l’ISTAT ha condotto la sua rilevazione campionaria trimestrale. Cfr., Il Sole 24Ore, 27.3.2002 A gennaio si risvegliano in consumi… ma per Confcommercio e Confesercenti la ripresa piena è lontana. 17 Comunicato ISAE, 20.3.2002 e cfr. Il Sole 24Ore, 21.3.2002 La fiducia torna in calo. 18 E questa è la consueta indagine mensile di cui parla il comunicato ISAE del 26.3.2002 e cfr. Il Sole 24Ore, 27.3.2002 E in Italia imprese più ottimiste su produzione e ordinativi. 16 9 I risultati, illustrati in tabella (tutti al netto dei fattori stagionali) rimarcano che l’offerta di lavoro ha registrato in gennaio, rispetto allo stesso mese del 2001, un aumento dello 0,8% (cioè, +190.000 unità) e, rispetto ad ottobre 2001 (la data della precedente rilevazione trimestrale e sempre al netto dei fattori stagionali) un misurato aumento congiunturale dello 0,3%. In definitiva, a gennaio, il numero di occupati è risultato pari a 21.644.000 unità, il ritmo di crescita su base annua è stato pari all’1,7% (+371.000 unità), riflettendo nel periodo soprattutto la dinamica positiva di costruzioni e servizi, interessando tutte le aree del paese e, rispetto a tre mesi prima, registrando in termini destagionalizzati un aumento di occupazione dello 0,5% Il numero delle persone in cerca di occupazione è diminuito a gennaio, rispetto a un anno prima, del 7,6% (-181.000 unità) e ha riguardato, in diversa misura – quella illustrata chiaramente in tabella – tutto il territorio nazionale. Il tasso di disoccupazione si è ridotto dal 10,1% del gennaio 2001 all’attuale 9,2 (-0,1% rispetto a tre mesi fa), mentre, al netto dei fattori stagionali, il numero delle persone in cerca di occupazione è diminuito rispetto a tre mesi fa dell’1,4%. Forze di lavoro per condizione e ripartizione geografica e occupati per settore di attività economica (migliaia di unità) Gennaio 2002 DATI NON DESTAGIONALIZZATI Condizione e settore di attività economica DATI DESTAGIONALIZZATI * Valori Variazioni su Gennaio 01 Valori Variazioni su Ottobre 01 assoluti Assolute Percentuali assoluti Assolute Percentuali 23.842 +190 +0,8 ITALIA 23.916 +68 +0,3 21.644 +371 +1,7 21.744 +99 +0,5 Agricoltura 1.062 -37 -3,3 1.100 -13 -1,1 Industria in senso stretto 5.144 -20 -0,4 5.138 +28 +0,5 Costruzioni 1.709 +50 +3,0 1.725 -1 0,0 Servizi 13.729 +378 +2,8 13.781 +84 +0,6 2.198 -181 -7,6 2.172 -31 -1,4 9,2 -0,8 -0,2 11.578 +136 9,1 NORD 11.658 +1,2 +45 +0,4 11.132 +172 +1,6 11.218 +51 +0,5 Persone in cerca di occupazione 446 -36 -7,5 440 -6 -1,4 Tasso di disoccupazione 3,9 -0,4 3,8 -0,1 Forze di lavoro 4.726 +43 CENTRO 4.709 +0,9 +4 +0,1 Occupati 4.395 +85 +2,0 4.383 +9 +0,2 Persone in cerca di occupazione 331 -41 -11,1 326 -6 -1,7 Tasso di disoccupazione 7,0 -0,9 6,9 -0,1 Forze di lavoro 7.539 +10 MEZZOGIORNO 7.549 +0,1 +19 +0,3 Occupati 6.118 +114 +1,9 6.143 +38 +0,6 Persone in cerca di occupazione 1.421 -104 -6,8 1.406 -19 -1,3 Tasso di disoccupazione 18,8 -1,4 18,6 -0,3 Forze di lavoro Occupati Persone in cerca di occupazione Tasso di disoccupazione Forze di lavoro Occupati 10 L’indagine mensile di fine febbraio 2002 sui contratti collettivi nazionali di lavoro (numero di quelli vigenti, monte retribuzioni e conflitti), riferita al dicembre ’95 (data del cosiddetto “ribasamento” degli indici =100), rileva una copertura nettamente peggiore perché sono, nel frattempo, andati sotto rinnovo più della metà dei CCNL. A fine febbraio, i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore coprivano 5,2 milioni di lavoratori dipendenti (erano 11 milioni, a fine 2001) per una quota, in termini di retribuzioni complessive (monte retributivo), pari al 43,3% (dal 95,3% a fine dicembre) del totale dei contratti sotto osservazione. Le retribuzioni contrattuali orarie erano aumentate a gennaio dello 0,4% su fine dicembre e del 3% su fine gennaio 2001. A febbraio 2002 la variazione sul mese precedente è nulla con l’inflazione che intanto sale dello 0,4%; e quella tendenziale è a +2,8% appena al di sopra del 2,5% del costo della vita. L’ISTAT anticipa che, a fine 2002, le retribuzioni dell’intera economia – calcolate soltanto sulla base del limitato numero di contratti in vigore alla fine di questo febbraio – avranno un incremento del 2% (1,1, di trascinamento dal 2001 e 0,9% dai miglioramenti previsti). Sopra, cioè, il tasso di inflazione programmato. Ma sotto quello reale. Quanto ai conflitti di lavoro, in tutto il 2001 non sono state lavorate a causa di conflitti (per vertenze di lavoro e anche cause conflittuali esterne al rapporto di lavoro) 7,2 milioni di ore: +16% rispetto al 2000. Tra gennaio e febbraio 2002, sono 3,7 milioni le ore di lavoro “perse”, + 1.450% rispetto allo stesso periodo del 2001: l’ISTAT le definisce in gran parte (per l’87,2%) dovute a “vertenze estranee al rapporto di lavoro”. Ma, a dire il vero, la ragione estranea è l’offensiva scatenata dal governo e da Confindustria sull’art.18. Come dire che, senza di essa e l’obbligo che ci ha imposto di reagire, la conflittualità sarebbe invece calata, drasticamente. Indici generali delle retribuzioni contrattuali (base: dicembre 1995=100) INDICI Febbraio 2001 VARIAZIONI % Gen. 2002 Gen. 2002 Feb. 2002 Feb. 2002 Gen.Feb. 2002 Dic. 2001 Gen. 2001 Gen. 2002 Feb. 2001 Gen.Feb. 2001 118,0 0,4 3,0 0,0 2,8 2,9 117,8 0,4 3,0 0.0 2,8 2,9 Gen. 2002 Feb. 2002 Retribuzioni orarie 118,0 Retribuzioni per dipendente 117,8 Commercio estero ed Esportazioni delle regioni I dati disponibili sull’interscambio commerciale si riferiscono, come sempre, al mese di gennaio per tutti i paesi cui l’Italia vende e da cui acquista prodotti, servizi e materie prime. Ma anche al mese di febbraio per i soli paesi extra Unione europea, mese per il quale i dati, come di consueto, sono invece già disponibili. Allora, a gennaio 2002, l’interscambio complessivo (paesi UE ed extra-UE) registra un saldo negativo per € 1.643 milioni, contro un valore sempre negativo ma inferiore, per € 1.143 milioni nello stesso mese del 2001: con esportazioni diminuite da allora di un pesante 9,3% ed importazioni scese del 6,4%: risultati che peggiorano nettamente rispetto a quelli di un mese prima. Nel confronto coi dati destagionalizzati del mese prima, dicembre 2001, il congiunturale di gennaio mette in evidenza un calo – preoccupante – del 4,3% dell’export ed un aumento dello 0,1% dell’import. 11 Analizzando, invece, i soli dati relativi ai paesi dell’Unione europea, relativi quindi sempre soltanto a gennaio 2002, rispetto allo stesso mese del 2001, le esportazioni verso i paesi UE sono diminuite dell’8,3% e le importazioni del 6,2: con un saldo commerciale in rosso per € 314 milioni (era sempre negativo, ma meno della metà, per € 107 milioni, nello stesso mese del 2001). Coi saldi maggiormente negativi verso Olanda, Irlanda, Germania e Belgio. E, qui, il dato congiunturale destagionalizzato, nel confronto col dicembre 2001, registra a gennaio diminuzioni dello 0,6% delle esportazioni e dello 0,9% delle importazioni. Quanto al febbraio 2002, con i dati già disponibili invece per i paesi che sono fuori dell’Unione europea, c’è diminuzione delle esportazioni, rispetto allo stesso mese del 2001, dell’1,6% e delle importazioni del 3,7%. Saldo commerciale di febbraio con i paesi extra UE ancora positivo, fortunatamente, per € 362 milioni, rispetto a quello sempre positivo, ma ridotto qui alla metà, ad € 168 milioni, registrato nello stesso mese dell’anno precedente. Rispetto al mese precedente, gennaio 2002, al netto della stagionalità, il dato congiunturale registra esportazioni in aumento del 2,6% ed importazioni in diminuzione per lo 0,5%. I maggiori incrementi dell’export sono verso Russia e Cina. Una contrazione è ancora riscontrata verso gli Stati Uniti che, tuttavia, in assoluto offrono un contributo considerevole al saldo positivo con oltre 1.000 milioni di €. Esportazioni, importazioni e saldi della bilancia commerciale con i paesi extra− − UE, UE e in complesso Gennaio e Febbraio 2002 DATI GREZZI DATI MILIONI DI VARIAZIO VARIAZIONI % MILIONI DI EURO EURO NI % Gen-feb.02 Feb.2002 Feb.2002 Feb.2002 Gen-feb.02 Feb.02 Feb.01 Gen-feb.01 Gen2002 PAESI EXTRA UE Esportazioni Importazioni Saldi 9.400 9.038 362 17.669 18.635 -966 Gen.2002 Esportazioni Importazioni Saldi 9.542 9.856 -314 Esportazioni Importazioni Saldi 17.810 19.453 -1.643 -1,6 -3,7 -6,0 -5,2 Gen.02 Gen.01 PAESI UE -8,3 -6,2 SCAMBI COMMERCIALI IN COMPLESSO -9,3 -6,4 10.170 9.098 1.072 2,6 -0,5 Gen.2002 Gen.2002 Dic.2001 11.746 12.029 -283 -0,6 -0,9 21.661 21.173 488 -4,3 0,1 Prezzi: consumo e produzione I dati provvisori sull’inflazione di marzo, anticipati oggi per le cosiddette città campione (ma non ancora controllati e convalidati: saranno confermati, più avanti in marzo) che l’indice nazionale per l’intera collettività – però, già attendibile – presenta, rispetto a febbraio, una variazione pari a +0,1% (a febbraio, su gennaio 2002, era +0,4%) e di +2,5% (esattamente come un mese fa) in un anno. L’armonizzazione europea del dato sui prezzi al consumo è calcolata con parametri diversi che aumentano, in particolare, le percentuali nei mesi in cui sono concentrati saldi di fine stagione e vendite promozionali ed in quello immediatamente successivo: per cui, nel congiunturale rispetto a febbraio, stavolta l’indice armonizzato per l’Italia è +0,9% invece che + 0,1. Resta, invece, al 2,5% di aumento quello tendenziale – meno influenzabile dal singolo mese – rispetto, cioè, a un anno prima. Rispetto a febbraio, adesso, a marzo l’anticipazione degli indici provvisori dice che aumentano soprattutto le spese per alberghi, ristoranti e pubblici esercizi (+0,4%), per trasporti, abbigliamento, ricreazione e cultura (+0,3%), per la salute (+0,7%), quelle per e mobili e servizi per la casa 12 (+0,4%), prodotti alimentari e bevande analcoliche (+0,3%). Diminuisce la spesa per abitazioni, acqua, gas ed elettricità (-0,2%) e quella per le comunicazioni (−0,1%). In ragione d’anno, aumenta soprattutto il prezzo di alberghi e ristoranti (+4,5%), di alimentari e bevande analcoliche (+4,2), di bevande alcoliche e tabacchi (+3,2). Calano solo comunicazioni (per -1,7%) e abitazione, gas, acqua e luce (−0,2%). Indici dei prezzi al consumo per l’intera collettività Marzo 2002 INDICI Marzo 2001 INDICI DEI PREZZI AL CONSUMO VARIAZIONI % Marzo 2002 Mar.02 Feb.02 Mar.02 Mar.01 Per l’intera collettività (base 1995=100) con tabacchi 115,1 118,0 +0,1 +2,5 Armonizzato (base 2001=100) comprensivo delle riduzioni temporanee di prezzo 99,2 101,7 +0,9 +2,5 A febbraio 2002, e sulla base dei dati finora pervenuti dalle imprese, l’indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali è diminuito dello 0,1% rispetto al mese precedente (quando era aumentato della stessa percentuale sul dicembre 2001) ed è diminuito dell’1,4% rispetto al febbraio del 2001 (il mese scorso, era diminuito dell’1,2% sul gennaio 2001). Si accentua, dunque, la flessione dei prezzi alla produzione senza, per questo, alcun accenno di pericolo verso la deflazione. Al netto di prodotti petroliferi, energia elettrica, gas ed acqua la variazione congiunturale è nulla, ma quella tendenziale (dunque, sul febbraio 2001) indica un +0,3%. A febbraio, sul precedente mese di gennaio (dato congiunturale: in un mese), le variazioni più marcate riguardano, in diminuzione, i prezzi alla produzione di energia, gas ed acqua (−0,6%: per il calo del prezzo del gas), di prodotti chimici e fibre sintetiche (−0,4%) e di prodotti alimentari, bevande e tabacco (−0,2%: soprattutto, cala un po’ il prezzo della carne). Aumentano i prezzi dei prodotti di miniere e cave (+0,9%), di carta e prodotti di carta, stampa e editoria (+0,6%) e della lavorazione di minerali non metalliferi (+0,4%). In termini tendenziali (da questo febbraio, cioè, al precedente: dunque, in un anno) le diminuzioni più marcate sono per i prezzi di energia elettrica, gas e acqua (−10,9%), dei prodotti petroliferi raffinati (−8,1%), di quelli chimici e delle fibre sintetiche (−3,4%). Aumentano, invece, soprattutto prodotti di miniere e cave (+3,6%), quelli della lavorazione di minerali non metalliferi (+3,1%) e i prodotti del cuoio (+2,6%). La variazione media dell’indice negli ultimi 12 mesi rispetto a quella dei 12 precedenti è stata pari a più 0,8%: assai contenuta. Indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali (base 1995=100) VARIAZIONI % INDICE (a) Febbraio 2002 Febbraio 2002 Feb 02 Feb 02 Mar 01-Feb 02 (a) Gen 02 Feb 01 Mar 00-Feb 01 (a) 110,4 -0,1 -1,4 +0,8 Media degli indici relativi ai 12 mesi 13 Mercati monetari e finanziari La ripresa, in particolare negli Stati Uniti, si comincia a far sentire anche in borsa. Ma molteplici indicatori restano disomogenei e voci autorevoli (quella dello stesso presidente della Fed, Greenspan, per prima) invitano alla cautela. Di fatto, sono molti gli operatori ad osservare come la Fed stia mettendo termine – abbia messo termine ormai – alla manovra espansiva sui tassi di interesse e che potrebbe adesso apprestarsi ad invertire la tendenza con una pressione sui tassi tesa a pilotare, a governare, la ripresa: probabilmente, però, non prima dell’estate. In generale, sui mercati finanziari la situazione resta confusa, contraddittoria, sempre sul tira e molla. Nonostante la ripresa degli indici azionari ad inizio mese, molti operatori ne prevedono a breve una caduta che potrebbe anche rivelarsi consistente (dato che la bolla speculativa s’è sgonfiata, ma non si è esaurita). L’opinione di consenso registrata da Il Sole 24Ore – gli esperti, i professori, meno gli operatori – è tuttavia più positiva. Il parere degli esperti non prevede grossi margini di miglioramento per la dinamica degli utili, almeno entro la fine di aprile, ma parlano di una forte ripresa per fine dicembre. Anche altre variabili macroeconomiche e di mercato (liquidità, fondamentali) trovano forte consenso tra gli operatori sulla previsione di un netto miglioramento dopo l’estate, in particolare sempre a fine anno. Di fatto, dopo l’estate il quadro congiunturale sarà sicuramente più chiaro e probabilmente migliore e con esso potrebbero, dovrebbero, migliorare anche i conti economici di molte società che firmano ancora i listini. In questo senso vanno anche le previsioni di molte banche e società di investimento, che prospettano una ripresa sicura sia delle borse europee che di quella statunitense. Ripresa limitata, però, soprattutto per via delle quotazioni troppo alte di molte società: il famoso rapporto tra costo gonfiato di molti titoli e i loro rendimenti. TENDENZE CONGIUNTURALI INTERNAZIONALI Europa Si spera, e si punta, sul futuro, anche quello prossimo venturo. Anche se si registra che, nel 4° trimestre del 2002, il PIL dell’area euro è calato dello 0,8% 19 , le analisi congiunturali della Commissione europea e dell’OCSE si mostrano ottimiste. L’indicatore composito OCSE aumenta, a gennaio, da 113,4 a 114,5. Indice particolarmente positivo per gli Stati Uniti, con incremento di oltre 2 punti, ridotto per l’area euro allo 0,7% e per la Gran Bretagna allo 0,6. Con un incremento anche per il Giappone dello 0,2%. Gli indicatori dell’area euro sono altrettanto positivi. Il purchasing manager’s index (l’indice dei managers addetti agli acquisti) riporta in febbraio il quarto aumento consecutivo portandosi a 48,6 dal 46,3 di gennaio. L’indicatore relativo al settore manifatturiero è, però, ancora sotto la soglia 50, cioè segnala ancora un’economia in contrazione, anche se più rallentata. L’indice relativo ai servizi riporta, sempre a febbraio, un aumento superiore alla soglia 50 (51,5), anche se sempre inferiore alle attese degli operatori. La BCE è convinta che la ripresa sia ormai iniziata, anche se i consumi non riescono a decollare davvero, grazie alla produzione industriale che sembra stabilizzarsi – però non ha ancora recuperato i livelli del pre−11 settembre –, cresce anche un po’ in Francia e Germania e per cui viene stimata una crescita complessiva nell’area euro vicino al 2-2,5%: ma a fine anno. Più cauto il 19 Era inevitabile, con la contrazione delle tre economie maggiori, tedesca, francese e italiana. Tra loro, informa EUROSTAT il 21.3.2002, assommano nel 2001 un PIL che è oltre il 73,7% di quello di tutta l’area euro: su 6.813.825 di €, ben 4.754.783 (suddiviso tra Italia, 1.216.583; Francia, 1.466.200; Germania: 2.063.000). 14 rapporto trimestrale della Commissione europea che prevede una crescita dei paesi dell’area euro dell’1,5% per l’anno in corso, anche per l’effetto contrazione lasciata in eredità dagli ultimi mesi del 2001. Sono dati comunque positivi, rispetto alle attese più recenti, e hanno subito generato aspettative di rialzo dei tassi, al momento “raffreddate” da una situazione congiunturale ancora incerta, almeno nell’evoluzione temporale, ma che trovano qualche elemento di riscontro negli ultimi dati sulla crescita dello stock monetario, in riduzione rispetto alla variazione registrata in gennaio (l’M3, l’aggregato monetario, è salito in febbraio su base annua del 7,4% contro il 7,9% del mese di gennaio). La BCE, del resto, rimane preoccupata per i conti pubblici dei paesi dell’area euro, temendo in particolare che, con l’approssimarsi delle tornate elettorali in molti paesi dell’Unione possa andare in tilt il processo di rientro degli squilibri di finanza pubblica. E, nell’area euro, resta anche qualche pressioni sui prezzi, con un’inflazione che è scesa dal 2,7% annuale a gennaio (con qualche aiuto dal concambio con l’euro e da un pizzico di speculazione al dettaglio che sembra rientrata) al 2,6 di febbraio. Anche il nocciolo duro dell’inflazione (indice al netto delle componenti maggiormente volatili, prodotti alimentari e energetici), calcolato della Deutsche Bank, è salito in gennaio al 2,4%. Ma è un allarme esagerato e chiaramente pilotato a fare quanto si vuole fare sui tassi: perché è vero che l’inflazione rimane superiore al tasso del 2% voluto dalla Banca, ma è anche vero che sembra del tutto sotto controllo. Però, di fatto, gli ultimi dati sui prezzi in Germania a marzo non sono positivi. In molti Lnder, si rileva, i prezzi crescono fino al 2,1%. E anche le quotazioni del greggio non lasciano molto spazio, almeno per ora, all’ottimismo visto che si muovono verso l’alto in maniera decisa. Qualche problema, nei paesi dell’area euro, denotano anche i dati dell’interscambio commerciale. Le esportazioni contano, a gennaio, su una nuova flessione (-5,1% rispetto a dicembre e -5 nel tendenziale). Ma la riduzione altrettanto forte delle importazioni (-11% il tendenziale) tiene in positivo il saldo congiunturale, che scende però da 5,8 miliardi a 0,6 miliardi di €. Nei 12 mesi da gennaio 2001 a gennaio 2002, il saldo tendenziale è comunque salito a 46,6 miliardi di $ e il deficit di conto corrente è diminuito a 6,5 miliardi di $. A Barcellona, al vertice europeo di apertura – quasi – della presidenza spagnola è passata, una certa qual liberalizzazione del mercato dell’energia. Con qualche imbarazzo iniziale, la Francia – Chirac e Jospin alleati, sia nel dire il no secco iniziale che il ni finale, malgrado le asprezze anche personali della campagna presidenziale che li contrappone già in corso: il 21 aprile, la prima tornata, il 5 maggio quella decisiva – non è riuscita a bloccare ma ad annacquare soltanto e a rinviare di un po’ – “al 2004”: quando esattamente poi si vedrà – la liberalizzazione del mercato sia del gas che dell’elettricità destinata alle imprese (60−70% del mercato). Per il consumo delle famiglie, il mercato dovrà aprirsi alla concorrenza dei fornitori e alla libera scelta dei consumatori a data che sarà determinata “prima del Consiglio europeo di primavera 2003”. Insomma, a data da destinarsi e, di qui ad allora, gli “statalisti” francesi che oggi, da soli, hanno fatto barriera a difesa del monopolio EDF (anche con buone ragioni: guardate a quel che la vostra liberalizzazione ha fatto del mercato dell’energia in California…), sperano di trovare nuovi alleati. Intanto, hanno impegnato il Consiglio a varare una direttiva−quadro entro quest’anno (cioè, prima) “a difesa del servizio pubblico”. Bisogna pur capire, ha commentato maligno, un rappresentante tedesco non meglio identificato, “le necessità della campagna elettorale francese 20 ”. 20 ANSA, 14.3.2002. 15 In ogni caso, Barcellona s’è mossa sulla premessa – praticamente accettata come verità rivelata – che bisogna deregolare l’economia europea – di più chi ce l’ha ancora più regolata degli altri – per promuovere una crescita maggiore. Quando l’unica verità, rilevata davvero questa e non rivelata, è che il freno tirato che blocca in Europa la crescita è, anzitutto, la politica monetaria della BCE coi tassi di interesse a breve congelati al 3,5%, mentre quelli USA sono all’1,75%, e a fronte di un tasso di inflazione più basso e di un livello di disoccupazione più elevato di quelli americani. A dirla chiara, semplicemente non è ipotizzabile pensare a una Federal Reserve che freni deliberatamente la crescita tanto e quanto ha fatto da anni, e fa ancora, la BCE. Solo una malriposta concezione dell’indipendenza dell’autorità monetaria – in Europa non rende conto a nessuno; in America deve rispondere, regolarmente, al Congresso: in Europa la BCE lavora in segreto; in America i verbali delle riunioni Fed sono pubblici: tutti – glielo consente e, prima o poi, bisognerà pur porlo il problema. Se non altro perché se – o, meglio, quando – il Regno Unito adotterà l’euro, non è certo pensabile che gli inglesi rinuncino facilmente alla trasparenza cui sono adusi: i verbali della seduta di marzo della Commissione tassi della BoE sono stati pubblicati dopo quindici giorni a fine mese, rivelando ad esempio che la decisione di lasciare il tasso repo invariato, individualmente motivata da ciascuno dei 9 commissari, è stata adottata all’unanimità. Ecco, se non altro, la trasparenza con l’adesione della Gran Bretagna all’euro – a meno di un improbabile calabraghe britannico – farebbe un passo avanti non da poco. Anche se difficilmente digeribile per governanti e dirigenti nostrani del tutto disabituati a quella specifica virtù. Questo sul metodo. Sul merito, però, Francoforte ha ragione ad osservare che la differenza la fa, in buona parte, anche la diversa formulazione del mandato delle due banche centrali: quella europea, che legalmente è obbligata a far tornare tutti sotto il tasso di inflazione che ha definito essa stessa (meno del 2% di media: quello core, il nocciolo duro meno legato a contingenze e fluttuazioni, è già al 2,4%); e quella statunitense che invece ha lo scopo di tenere d’occhio, insieme, inflazione e crescita. La BCE, per ora, ha deciso comunque di non toccare i tassi, di non alzarli cioè. Ma dà segnali chiari di volerlo farlo a breve – cercando probabilmente di battere sul traguardo il probabile aumento americano di giugno – perché l’economia, dice, tanto si sta riprendendo. Intanto, i tassi li ha alzati la Riksbank svedese, la prima banca centrale europea di qualche rilievo, a deciderlo nella convinzione che ormai la ripresa globale è iniziata davvero. Il fatto è che sul piano economico, come su quello politico, l’Europa non c’è o, al meglio e in buona sostanza, continua a restare impotente. Se ne sta occupando la Convenzione, si sa, ma intanto da una parte c’è lo strapotere unilaterale nel campo monetario specifico della BCE, non bilanciato da politiche altrettanto uniche negli altri campi economici; e, dall’altra c’è il dramma del silenzio europeo su un possibile intervento americano contro l’Iraq, possibilità della quale Prodi si dichiara “estremamente preoccupato21 ”, come preoccupato è perché l’Europa è lasciata all’oscuro. D’altra parte, con gli USA, per contare o anche solo “per aprire un dialogo, si deve essere uniti e non può dire che noi siamo uniti”. Di tanto in tanto, c’è un sussulto di orgoglio, di volontà comune, come quando i ministri dei Trasporti hanno dato adesso via libera al sistema satellitare Galileo (costo sopra i 3 milioni di €), la versione europea del GPS americano che sfugge però alle sue servitù militari: e per questo è malvista e attivamente avversata oltreoceano. 21 Dichiarazione all’Agenzia Italia, Londra, 27.3.2002. 16 Stati Uniti Anche se sono molti i dati ad indicare che il 2002 è partito con un abbrivio più sostenuto di quello che si considerava possibile, ancora una volta, l’NBER, il National Bureau of Economic Research – arbitro ufficioso, ma universalmente riconosciuto, dello stato dell’economia – si è rifiutato di dichiarare, come gli chiedevamo in molti, che la recessione “è finita”. Ha ripetuto, prudentemente, che “può essere che s’avvicini la fine” 22 . Del resto, anche il Conference Board ha reso noto 23 che il superindice (l’indice combinato dei principali indicatori) è piatto a febbraio, a livello 112,4, dopo una crescita dello 0,8% a gennaio e dell’1,3% – la maggiore degli ultimi 6 anni – a dicembre. Però, la revisione dei dati relativi al PIL del 4° trimestre del 2001 mostra che la produzione di ricchezza del paese è cresciuta più di quanto stimato: +1,7% (invece dell’1,4% annunciato solo un mese fa e tanto più del minuscolo +0,2% stimato inizialmente dal Tesoro) e, a questo punto, le stime sul PIL del 1° trimestre 2002 si fanno più robuste: secondo diversi osservatori, sulla spinta degli 11 tagli ai tassi di interesse sforbiciati dalla Fed l’anno scorso e che stanno producendo il loro effetto pieno sull’economia proprio ora, potrebbe crescere ad un livello vicino al 4% 24 . E’ l’NBER stesso, del resto che malgrado la grande cautela con cui si pronuncia, certifica che i segnali di ripresa si vanno già facendo consistenti. E fa lo stesso la Fed 25 , rilevando – oltre al fatto che a febbraio aumenta al 74,8% dal 74,5 (rivisto) di gennaio il tasso di utilizzo degli impianti – che a febbraio la produzione industriale ha riportato il balzo in avanti più lungo dal giugno 2000, con un aumento dello 0,4%, al di là di tutte le previsioni. E’ un buon +0,4% di produzione – dei settori sia privato che pubblico: ce ne sono, ce ne sono, e non solo nell’industria per gli armamenti che resta la più colossale al mondo – quasi tutta (lo 0,3) nel manifatturiero e, insieme al +0,2% (corretto all’insù, stavolta) di gennaio, questo è il primo bimestre di crescita della produzione dall’agosto−settembre 2000. Riparte forte, a febbraio, anche la costruzione di nuove case, al livello più alto da 3 anni, pur se resta fiacca, ancora, l’edilizia commerciale 26 . E cresce, a marzo, l’indice dei direttori di acquisto delle imprese compilato dall’associazione industriale di Chicago: con attività in crescita per percentuali consistenti (invece del livello 54 previsto, contro il 53,1 registrato a febbraio, l’indice ha attinto quota 55,7)27 . Anche se, poi, il livello delle vendite al dettaglio (escluse le auto) sale solo dello 0,3% a febbraio (prevedevano un +1%; dal −0,3 di gennaio, però) denotando una maggiore cautela dei consumatori, quando le aspettative erano ben superiori e puntavano a una crescita dell’1%. Cresce, in particolare, la spesa per beni non durevoli e quella relativa ai servizi. In febbraio, però, la crescita dei consumi è risultata inferiore alle previsioni (+0,3% contro l’1% previsto) inducendo Greenspan, presidente della Federal Reserve – insieme a profitti netti del 4° trimestre che scendono di 50,4 miliardi di $ e, in tutto il 2001, del 15,9%: che è la prima caduta dopo il 17,1 dell’82 – ad invitare tutti gli operatori economici ad una maggiore moderazione di previsioni su prossimità e forza della ripresa: perché, coi profitti in declino, le imprese riluttano ad investire, almeno finché non sono sicure di una ripresa forte. 22 ANSA, 13.3.2002 e il Rapporto dell’11.3.2002 dell’NBER (cfr., www.nber.org/cycles/recessions.html). Bloomberg e New York Times, 21.3.2002 24 La Merrill Lynch si spinge a pronosticare un tasso di crescita nientemeno che del 5−6% in questo primo trimestre: sul New York Times, 28.3.2002, AP, Government Now Says Economy Grew 1.7% in 4th Quarter of 2001 Il governo ora dice che l’economia è cresciuta dell’1,7% nel 4° trimestre del 2001. 25 Informa la Reuters citandola, il 15.3.2002. 26 New York Times, 20.3.2002, Housing Starts in February Highest Since 1998 A febbraio, il numero di case iniziate è il più elevato dal ’98. 27 ANSA, 28,3,2002. 23 17 Sulla scia, anche Moody’s – la più nota, forse, tra le agenzie di valutazione del credito – ha invocato prudenza in nome della possibilità di una ricaduta della congiuntura. Anche se, poi, viene a sorpresa la notizia che le scorte all’ingrosso salgono dello 0,2% a gennaio (la flessione minore da cinque mesi), quando gli analisti scommettevano invece su una riduzione forte, almeno dello 0,4%28 per questo dato – le giacenze invendute ed accumulate – considerato indicativo di un incremento di produzione e, più in là, forse, di occupazione per far fronte agli ordini che comunque sono in arrivo. E anche se Greenspan, due giorni prima, tornando un po’ al suo ruolo di Cassandra, aveva detto 29 che il tasso di risparmio delle famiglie è troppo scarso: un freno agli investimenti e alla produttività; che gli americani fanno pochi figli e la generazione dei baby boomers sta andando in pensione: e calerà la forza lavoro, facendo salire i salari; che il sistema bancario non prepara abbastanza il futuro; che, in definitiva, non bisogna pensare lontanamente al 3,5−4% di tassi di crescita degli anni ’90. E, testualmente, ha concluso – ma non è suonato affatto come un grande incoraggiamento – che “anche una ripresa fiacca andrebbe giudicata come uno straordinario exploit, viste le perdite di Borsa e le conseguenze del terrorismo nel 200 e nel 2001”… Salgono, invece, ma in misura modesta a febbraio i prezzi alla produzione (+0,2%, dopo il +0,1 di gennaio), spinti dalla non irrilevante ripresa, in particolare, di quelli della benzina 30 : +4,5% in un mese. Attenzione, però: questo non è l’aumento del costo del petrolio all’origine, è il costo del prodotto raffinato finale che poi arriva al consumo. E, in ogni caso, i prezzi all’ingrosso restano in netta flessione negli ultimi 12 mesi: con -2,6%. Salgono anche i prezzi al consumo a febbraio, per il secondo mese consecutivo, ma anche qui di un modesto 0,2% e dello 0,3 per il nocciolo duro, esclusi i dati dei consumi maggiormente volatili (alimentari e energia). Negli ultimi 12 mesi l’aumento è stato ben contenuto, dell’1,1%. Con una netta dicotomia, però, tra prezzi dei servizi, che al meglio sono lì fissi se non aumentano (compresa l’energia), e dei manufatti, che invece scendono. Insomma, non c’è nessuna preoccupazione vera per l’inflazione , considerato che alla fine il tasso attuale (all’1,1%) è sotto del −2,6% a quello dell’anno scorso: flessione che non si vedeva da 50 anni, dai tempi della presidenza Truman. E che, dunque, non ha fornito ragione alcuna di rialzare i tassi, anche se lo avesse voluto, alla riunione del 19 marzo dell’Open Market Committee della Federal Reserve, cioè del Comitato collegiale rappresentativo delle banche dei singoli Stati degli USA che, riunito intorno alla Fed nazionale, ha il compito di fissarli. Però, già molti analisti mettono le mani avanti, prevedendo che, se non lo farà stavolta, la Fed rialzerà i tassi alla prossima: per prudenza, visto che ormai si attenuano i rischi di debolezza economica e l’inflazione è sì, certo, calata ma che, alla produzione, i prezzi sembrano accendersi un po’. E, in effetti, la decisione presa è stata quella di annunciare ufficialmente che il cosiddetto bias della Fed – la propensione, il pregiudizio letteralmente – si sposta adesso sulla parità di rischio – fra 28 Agenzia Bloomberg (quella omonima del sindaco di New York che ne è il proprietario, specializzata in notizie economico−finanziarie), 11.3.2002. 29 Parlando in teleconferenza, il 13.3.2002, all’Associazione bancaria americana riunita a Honolulu, Hawaii, aveva – è stato subito detto a Wall Street – “rifatto il pendolo”: due settimane prima era apparso assai cauto sulla forza della ripresa in arrivo; una settimana prima, agli osservatori era sembrato entusiasta; stavolta è sembrato di nuovo tiepido (sono gli aggettivi che, nel riferire, utilizza sul Corriere della Sera, 14.3.2002, Ennio Caretto: Il numero uno della Fed: la portata del rilancio resta incerta. Il Dow Jones ha perso l’1,23%. 30 Comunica il Dipartimento del Lavoro, e riporta sempre la Reuters, altro dispaccio del 15.3.2002. 18 inflazione, che cresce, ed economia, che si indebolisce – e tende, nuovamente, al rialzo. I mercati si chiedono, ora, di quanto 31 e diversi osservatori dicono di aspettarsi che la stretta cominci a fine primavera, in giugno possibilmente, e che per la fine dell’anno la Fed finirà col rialzare i tassi di 1 punto base o anche di 1,25. In realtà, il livello di equilibrio raggiunto significa che la Fed è convinta di non dover più spendersi, sui tassi, per combattere una recessione che sta scomparendo, o è scomparsa, ma ormai si deve preoccupare quasi soltanto di gestire una ripresa ancora un po’ indefinita e un po’ incerta. Esattamente questo è stato, del resto, il comportamento della Fed nel ’99 e nel 2000 quando, prima di abbatterli precipitosamente per tutto il 2001, i tassi li tenne alti e contribuì, così, con un costo del denaro elevato, ad innescare essa stessa il rallentamento. L’economia americana, dal marzo 2001, quando venne dichiarato l’inizio della recessione, ha perso 1 milione e 400 mila posti di lavoro, di cui l’80% dopo il 9−11, come qui chiamano l’11 di settembre. In febbraio, comunque, la disoccupazione, è calata dal 5,6% al 5,5%, con i servizi che ricominciano, lentamente, a ricreare posti (97 mila) ma l’industria manifatturiera che ne perde (50 mila), anche a fronte di una produzione che mostra, l’abbiamo visto, segnali di ripresa. Questo, dell’occupazione, è forse il dato attualmente più fiacco nella ripresa e, in effetti, nella terza settimana di marzo, le richieste iniziali di sussidio sono parecchio aumentate rispetto alle attese. La media delle retribuzioni orarie di febbraio, aggiustata per tener conto dell’inflazione, ha registrato un calo reale dello 0,1%32 . Ma le entrate di persone e famiglie: tutte – non solo retribuzioni da lavoro dipendente, cioè, ma stipendi, salari, interessi e rendite pubbliche – e spese per i consumi (i 2 /3 di tutta l’attività economica) sono cresciute dello 0,6% su gennaio (quando erano aumentate già dello 0,5%), più dello 0,4 previsto e con un incremento che non si registrava ormai da 14 mesi. Aumenta anche il reddito disponibile (quello che resta in tasca ai singoli dopo le tasse): dello0,7% a febbraio dopo l’incremento ancor più cospicuo, lo 0,8%, a gennaio 33 . E a marzo, si rafforza la fiducia dei consumatori – il consumer sentiment, come lo chiama la misurazione preliminare dell’Università del Michigan rilasciata solo agli abbonati34 –: sale in un mese quasi del 5% e al livello più alto ormai da 15 mesi. E’ un segnale cui i mercati prestano grande attenzione perché indicativo dei prossimi livelli di consumo: 2 /3 dell’economia, dicevamo, e anche il fattore primario che ha aiutato ad attenuare – più sul mercato dei capitali, però, che su quello del lavoro – gli effetti della recessione, fino a renderla la più “mite” da molti decenni. Ma proprio questa sua mitezza, adesso, è una delle ragioni principali per cui gli stessi analisti che la proclamano tale dicono anche che la ripresa sarà faticosa e lenta: perché, avendo mantenuta la New York Times, 21.3.2002, Fed’s Dilemma: How High Should Rates Go? Il dilemma della Fed: ma di quanto dovrebbe rialzare quei tassi? 32 Dipartimento del lavoro, comunicato del 21.3.2002. 33 New York Times, 29.3.2002, AP, Consumer Spending Rose Sharply in FebruaryLa spesa per i consumi è salita forte a febbraio. 34 E’ un’indagine di portata ridotta, a dire il vero: condotta telefonicamente su un campione di 500 americani e volta a sondare stato delle finanze personali degli intervistati, loro impressioni sulla situazione degli affari e sulle condizioni di spesa relative al mercato (inflazione, qualità dei prodotti, concorrenza, ecc.). Viene fornita solo agli abbonati, ma per ragioni pubblicitarie trova sempre il modo di trapelare praticamente in tempo reale e regolarmente. L’analisi concorrente più autorevole, quella del Conference Board, aveva drasticamente tagliato a febbraio le aspettative, cancellando l’avanzamento di gennaio e dicembre. Ma, adesso, a marzo sostanzialmente conferma i dati dell’università del Michigan. Cfr., Reuters, 26.3.2002, Consumer Confidence Roars Higher in March La fiducia dei consumatori si impenna più in alto a marzo. 31 19 domanda a livelli buoni nel corso del rallentamento, non è che ora, con la ripresa, ci sia tanto accumulo di domanda insoddisfatta e pronta a scattare. Si è leggermente contratto, nel calcolo finale e definitivo per il 2001, a 417,4 miliardi di $ il deficit dei conti correnti degli USA (quello dell’ultimo trimestre è a 98,8 miliardi di $): ma resta – con l’unica eccezione dell’anno prima, il 2000 – il più elevato di sempre (e corrisponde a una grossa fetta, più o meno il 4%, del PIL: che è il record per un paese industrializzato). E, con il riavviarsi della ripresa, sale un allarme di fondo sui conti correnti. C’è ormai chi, fra gli specialisti, riferisce di proiezioni sul buco dei conti correnti che si spingono al 6 o anche al 7% del PIL e si chiede se gli investimenti esteri, ancora disposti ed inclini a finanziarlo, lo resteranno quando dovesse continuare a salire. Perché, se prendessero anche soltanto qualche cautela, e qualche distanza, sarebbero guai grossi per il dollaro: che calerebbe di brutto, aumentando con le importazioni inflazione indotta e squilibrio dei conti commerciali (che, in effetti, a gennaio si attestano a 27,1 miliardi di $, +2,4 miliardi rispetto a dicembre, riflettendo con un po’ di ripresa in atto l’import che è già in aumento). Ma, soprattutto, sarebbero guai per i tassi di interesse in America: frenerebbero bruscamente affari e consumi e, dunque, l’economia reale di questo paese. Ma Lehman Brothers – che da buon istituto bancario transnazionale disegna questo scenario ma, in fondo, poi è americano – si chiede se “questo scenario da giorno del giudizio è realistico, visto che in fondo è per anni che il deficit dei conti correnti è stato uno spaventapasseri”. Il punto è che però “il livello elevato attuale del deficit comporta una vigilanza attenta”: finora, non era mai arrivato al 4% e, adesso, potrebbe arrivare 35 anche al 7… Sempre sul fronte finanziario, per evitare di chiedere al Congresso un voto, sempre politicamente controverso e difficile, che alzi di altri 750 miliardi di $ il tetto di debito pubblico fissato dalla legge, si prevedono ormai, da parte del Tesoro, manovre un po’ ardite sui fondi pensione dei dipendenti federali. Pena il default, l’inadempienza degli Stati Uniti d’America e il loro non poter più onorare il servizio dei loro debiti: come una qualunque Argentina… Attualmente, quel tetto è fissato dalla legge 5.950 miliardi di $ (trilioni, li chiamano loro): relativamente modesto, come si vede, con un rapporto sul PIL sopra al 50% ma che, in cifra assoluta, fa impressione comunque. Le procedure parlamentari statunitensi – bizzarre anzicheno – consentirebbero di allegare il voto a quello di un Atto legislativo qualsiasi, che non c’entri niente magari ma che riguardi la spesa e che sarà sicuramente approvato. Come la legge che stanzia i fondi per la guerra in Afghanistan, ad esempio, che è popolare e renderebbe difficile ai democratici votare contro (chi potrebbe mai osare il rischio di lasciare i “ragazzi”, laggiù, senza difesa perché senza soldi?). Il problema è che la legislazione di finanziamento per la guerra al terrorismo (Afghanistan, domani Iraq e quant’altro…) è una legislazione che, per ragioni tecniche, non potrà essere votata prima di fine aprile o addirittura maggio, quando il tetto, al passo attuale di crescita dell’indebitamento, sarebbe già largamente sorpassato e tutto si bloccherebbe. Ma, adesso, è diventato politicamente molto più rischioso che nel ‘95 anche il prestito forzoso sul fondi federali di pensione che consiste, poi, nello spostarli dall’investimento dei fondi su un conto bancario senza interessi e li fa uscire così, contabilmente, dal computo del debito federale. E’ legale. Ma quando, per superare lo stallo imposto alla legislazione sul tetto da un Congresso allora controllato dai repubblicani, il segretario al Tesoro di Clinton, Rubin, fece ricorso alla manovra – per quattro giorni, fino allo sblocco del voto, nel ’95 – sull’Amministrazione non pesava alcuno scandalo finanziario e, a quel momento, nessun altro scandalo. 35 Lehman Brothers, Global Monitor, 15.3.2002. 20 Adesso, sullo sfondo, c’è la faccenda petrolio che emerge dal passato recente di Bush e dei suoi (la più alta concentrazione di ex petrolieri mai vista in un’Amministrazione americana) e c’è la faccenda Enron che, all’energia, è sempre strettamente legata. Sul petrolio, sta venendo fuori che l’idea di Bush – di aprire allo sfruttamento petrolifero l’Arctic National Wildlife Refuge, il parco nazionale naturale dell’Artico – non sembra funzionare 36 . A parte tutte le riserve di ordine ambientale, emergono adesso riserve di ordine pratico proprio dei petrolieri: pensano, e dicono, come possa non valerne la pena visto il rapporto tra spesa e impresa: tra entità stimata del petrolio che si potrebbe effettivamente trovare e costo della trivellazione sotto il permafrost, miliardi di tonnellate di ghiaccio, cioè, che coprono quei potenziali giacimenti. E sta emergendo un altro fatto una coincidenza forse, però un po’ imbarazzate, sintetizzata nel titolo del servizio giornalistico che l’ha rivelata 37 : fior di documenti ufficiali, per quanto pieni di omissis, che la Casa Bianca è stata costretta a rendere pubblici dalla minaccia dei tribunali, confermano come, quando e quanto l’anno scorso l’amministrazione – il vice presidente Cheney in particolare – si sia fatta dettare la politica energetica (“miliardi di $ di sussidio all’industria e l’eliminazione all’ingrosso di salvaguardie cruciali per la salute e l’ambiente”) dagli amici petrolieri. Quanto alla faccenda Enron e, in particolare, alle carenze di controllo non proprio casuali e le connivenze politiche (mezzo gabinetto, il vicepresidente Dick Cheney e…) che, a un’impresa che stava fallendo, hanno consentito, insieme, di falsificare i bilanci, di arricchire in segreto, e per miliardi di $ a testa, i dirigenti e di mangiarsi tutto il fondo pensione di decine di migliaia di suoi dipendenti. George W. Bush padre, nella campagna elettorale per le primarie repubblicane del 1980 contro Reagan, in cui alla fine si dovete accontentare della vicepresidenza e aspettare otto anni, aveva definito quel disegno economico (aumento di spese, specie militari, e taglio di tasse) come l’economia del vodoo: quella che funzionerebbe solo per stregoneria. Su Reagan presidente, il giudizio è alla storia. Ed è vero che l’economia voodoista che preconizzava fu possibile solo moltiplicando per quattro il debito pubblico. E’ anche assodato, però, che indebitando l’America fu lui a rompere la spina dorsale all’Unione sovietica. Adesso il figliolo sembra farsi più voodoista di Reagan. Per esempio, per il modo tutto suo di fare i conti sulle pensioni. Ha calcolato in Tv che un lavoratore dipendente a reddito medio – là dove il contratto gli garantisca (e non capita a tutti, neanche alla maggioranza) una copertura pensionistica – avrebbe ala fine un reddito assai maggiore se avesse potuto investire i suoi soldi in azioni invece che nei fondi della sicurezza sociale. Ma è, appunto, una aritmetica tutta sua, commenta il NYT 38 , che provvede ad aggiustare molte delle sue asserzioni sulla base di quelle che chiama le “pratiche standard di investimento”: applicando le quali, secondo il giornale, l’ammontare del reddito di borsa sarebbe meno della metà di quello garantito dal presidente, ma ancora considerevolmente al di sopra di quello fornito comunque dalla previdenza sociale. New York Times, 10.3.2002, N. Banerjee, Oil Industry Hesitates Over Moving Into Arctic Refuge L’industria petrolifera esita a andare sfruttare la riserva dell’Artico. 37 New York Times, 28.3.2002, D. van Natta e N. Banerjee, Energy Industry’s Recommendations to Bush Became National Policy Come le raccomandazioni dell’industria del petrolio a Bush sono diventate politica energetica nazionale. 38 New York Times, 3.3.2002, E. Wyatt, Bush Uses Own Brand of Math on Social Security Bush usa una matematica tutta sua sulla sicurezza sociale. 36 21 Però anche questa è un’asserzione assai generosa. Perché neanche questi calcoli utilizzano presunzioni di utili azionari coerenti con il valore reale di mercato, né con le proiezioni stilate proprio dalla commissione istituita da Bush per riconsiderare il sistema di welfare americano. L’unica elaborazione che di esse è stata effettivamente condotta dimostra che, secondo i calcoli della commissione stessa la differenza tra quanto renderebbero domani i buoni del Tesoro cui si affida il sistema e quanto renderebbero, domani, le possibili/probabili aspettative di ritorno da azioni investite in borsa, “non coprirebbe neanche i costi amministrativi dei conti individuali” 39 . In America ha fatto certo piacere ai tanti pensionandi, che un po’ dappertutto – e non solo lì, si capisce – vedono a rischio il loro futuro per la mania dei governi di tagliare la spesa pensionistica con ristrutturazioni e riforme spinte, apprendere che almeno qualche dipendente loro collega sfugge regolarmente alla regola. Infatti, adesso viene fuori, sull’onda dello scandalo Enron, che molti tra i dirigenti ed i managers di più alto livello – dipendenti anche loro, no? – godono di quelle che gli americani chiamano “large defined benefit pensions”: pensioni elevate ed a benefici definiti, cioè, fissi, acquisiti e che nessuno può mai toccare 40 . Questo, delle pensioni, è un fronte bollente del futuro, come sta diventando la sanità. E sul welfare che, in effetti, si arriva allo scontro tra la forza irresistibile dei costi crescenti e l’oggetto irremovibile della determinazione con cui i conservatori – e non solo in America: succede un po’ dappertutto, no? – vogliono tagliare le spese sociali. E’ il nodo su cui chi non sia d’accordo con loro – qui come altrove, appunto – dovrà lavorare: la contraddizione fra promesse di aiutare chi è povero, promesse di tagli alle tasse e ideologia del piccolo governo che si concretizza nell’altra promessa, quella di tagliare le spese sociali. Perché insieme, semplicemente, non tengono. E si vede. Qui, ma anche altrove. Solo che spetta poi a loro, a chi contrasta la destra, da sinistra o dal centro, dimostrare che si può – e dimostrare come si può – aiutare chi sta indietro ridistribuendo meglio quanto si spende. Germania Anche la Buba, la Bundesbank, analizzando i dati in dettaglio, conclude 41 che il peggio per l’economia è ormai passato. E sono molte le previsioni a farsi un poco più fauste su un’imminente ripresa. Alcuni indicatori volgono al meglio, lo ZEW è salito nel mese di marzo in maniera inattesa per il quinto aumento consecutivo. E anche l’indice DAX della borsa ha ormai recuperato completamente le perdite intervenute dopo gli attacchi a New York. L’IFO prevede42 che la ripresa potrebbe cominciare a farsi sentire per bene già nel 2° trimestre di quest’anno. Ma gli istituti di previsione non sembrano, però, concordare sulle stime di crescita del PIL che, come è nella natura loro – insondabile, inaffidabile, epperò anche inevitabile – oscillano, in media, del 100%: da un +0,6% ad un +1,2% per l’anno in corso e tra il 2,1 e il 2,7% per il prossimo anno. 39 Cfr. www.cepr.net/Social Security/letter to feldstein2.htm. La stessa conclusione a cui arrivava, già il 10.11.2001, sul Washington Post, A. Goldstein, Social Security Panel Unable to Agree–– La commissione sulla sicurezza sociale non è in grado di trovare l’accordo. New York Times, 5.3.2002, D. Leonhardt, For Executives, Nest Egg Is Wrapped in a Security Blanket Per i dirigenti, il gruzzolo del futuro è confezionato dentro una coperta di sicurezza [alla Linus]. 41 Bollettino del mese di marzo 2002. 42 A fine marzo lo sottolinea, a Francoforte, il capoeconomista dell’Istituto, Gernot Nerb, aggiungendo a cautela che però “ci sono ancora fattori di rischio”: cfr., ANSA, 26.3.2002. 40 22 Il governo non intende correggere le sue, di stime ufficiali di crescita, per il 2002: solo +0,75%43 . Insomma, la valutazione più probabile è per una stagnazione del PIL nel 1° trimestre, un aumento leggero nel secondo ed una maggiore accelerazione (tra il 2 ed il 3%) man mano che si va verso la fine dell’anno. E sembra una valutazione realistica. I dati sulla produzione industriale a gennaio mostrano una flessione tendenziale, sullo stesso mese del 2001, del 4,3% e un incremento destagionalizzato, su dicembre, dello 0,4% 44 : risultato modesto ma che acquista, tuttavia, la sua rilevanza se si tiene conto della brusca caduta del settore edile in variazione pesantemente negativa. Il solo dato relativo alla produzione dei settori manifatturieri evidenzia, infatti, un incremento dell’1,5%. Anche l’indice sulla fiducia delle imprese calcolato dall’IFO è salito a marzo 45 : da 88,7 punti a febbraio a 91,8. Il quinto mese consecutivo di crescita è di fatto il più consistente, addirittura, da 11 mesi: oltre tre punti in più del livello registrato in febbraio. Dunque, le aspettative di imprenditori e managers sul breve periodo sono decisamente orientate all’ottimismo. Qualche problema invece proviene dalla dinamica dei prezzi 46 . A gennaio era salita dello 0,3% su dicembre e, in ragione d’anno, dell’1,7%: un tasso ben moderato. Che, in marzo, dai primi dati – in arrivo da quattro Lnder – va appena al di sopra di quella soglia, a + 1,8%. Nel complesso, l’inflazione – che anche nei 12 mesi da marzo 2001 a marzo 2002 ha toccato un più che ragionevole 1,8% – con un qualche aumento per lo più correlato al costo crescente dei prodotti petroliferi. A febbraio, continuano poi a salire i prezzi all’ingrosso, per il terzo mese consecutivo: dopo l’aumento forte di gennaio, +1,2% congiunturale, a febbraio è un più contenuto +0,2. Ma il dato tendenziale, questo febbraio rispetto a quello dell’anno scorso, è a scendere: dello 0,5%47 . A gennaio, in termini reali di fatturato, le vendite al dettaglio aumentano sul dicembre dell’1,4%, ma continuano a calare nel tendenziale, sul gennaio 2001: −1,8% 48 . E aumentano anche le vendite all’ingrosso, +2,2% in un mese e −4,1% in un anno. Ma, a febbraio, le vendite all’ingrosso calano: −0,8% sul mese prima e −3,2% in un anno 49 . Mentre vanno avanti, con difficoltà non piccole, i negoziati per i rinnovi contrattuali di chimici e metalmeccanici (chiedono molto, troppo, dicono le imprese 50 ) e partono i primi scioperi di avvertimento contro le resistenze imprenditoriali, è partita anche la contrattazione del Ver.di, il maggiore sindacato di categoria, quello dei servizi. Per questa possente federazione, non sarà il salario però l’argomento al centro dei rinnovi di primavera che ora cominciano, ma le 35 ore: “al più presto51 ” che il sindacato vuole, e farà “restare sul tappeto”: per combattere la disoccupazione che resta problema assai serio. Qui, la durata della settimana lavorativa – quella media attuale è di 37,4 ore nell’ex Germania ovest e di 39,1 nella ex Germania dell’est – è stabilita dalla contrattazione nazionale di categoria. I servizi sono a una media più alta, 39 ore all’ovest e 40 all’est, mentre metalmeccanici e tipografi hanno le 35 ore. 43 Dichiarazione del ministro delle Finanze, Hans Eichel, prima a Parigi nella conferenza stampa di chiusura dell’incontro coi tedeschi, il 13.3.2002 e, poi, il giorno dopo, al salone dell’informatica di Hannover. 44 Reuters, 28.3.2002. 42 45 Cfr., sopra Nota . 46 Agenzia Italia, 25.3.2002. 47 Comunicato del DESTATIS, l’Ufficio federale di statistica di Francoforte, 15.3.2002. 48 Idem. 49 Reuters, 28.3.2002. 50 Cfr., Note congiunturali 3 e 2, di questo 2002. 51 Die Welt, 12.3.2002, intervista al suo presidente Frank Bsirske. 23 Il cancelliere, preoccupato che il conflitto finisca col frenare, o proprio bloccare, i segnali di ripresa economica fa appello alla “moderazione”, specie sulle rivendicazioni salariali. Auspicando, al contempo, però – e contrariamente ad altri suoi colleghi primi ministri – che anche da parte imprenditoriale si cerchi l’accordo. Ma, ormai, siamo quasi alla vigilia delle elezioni politiche. E mentre la vice presidente del Ver.di (ma il presidente non parla…) annuncia che, contrariamente a quattro anni fa, stavolta non appoggerà la rielezione del cancelliere socialdemocratico, il presidente dell’IG−Metall Klaus Zwickel dice che invece Schr der è “per i lavoratori sicuramente un partner più affidabile di un governo con le sue politiche rivolte all’indietro su tematiche come licenziamenti, statuto aziendale part−time e salari” 52 . La bilancia dei pagamenti di gennaio segna un attivo sull’anno passato, stesso mese, di 1,3 miliardi di €. Fa un grande botto il crollo del colosso edilizio Holzmann. Qui non c’è uno scandalo alla Enron, non ce n’è ragione, ma tutti ricordano bene come due anni fa il cancelliere in persona avesse organizzato un salvataggio da 2,2 milioni di € finanziato, in parte, anche con fondi pubblici ma giustificato dalle decine di migliaia di posti di lavoro a rischio alla Holzmann. Adesso, però, i negoziati con in creditori sono falliti e non sembra proprio esserci scampo, stavolta. All’orizzonte si affaccia una possibile crisi istituzionale. Con il deficit pubblico del 2001 salito, nelle ultime revisioni, a 49,1 miliardi di € – più prossimo al 2,8, cioè, che al 2,7 di rapporto deficit/PIL – era stato appena siglato un patto di stabilità interno tra Stato federale, Lnder e comuni. Da tutti considerato essenziale per facilitarne, appunto, la riduzione 53 , consentendo anche così il risanamento dei conti chiesto con insistenza a Berlino dalla Commissione europea – ricorderete la recentissima diatriba sull’ammonizione poi risparmiata dall’Unione al governo tedesco – quando in parlamento è scoppiato il caso immigrazione. Il governo federale s’è avvalso della sua maggioranza e ha fatto approvare, prima al Bundestag e poi anche al Bundesrat, la Camera alta delle regioni, una nuova legge 54 sulla manodopera immigrata che ne potrà aumentare, ma regolandolo, il flusso. Legge assai contrastata dal centro−destra e che è passata per un solo voto, quello del Brandeburgo. Solo che il presidente del Bundesrat (socialdemocratico) ha giudicato valido quel voto anche se espresso non all’unanimità – come vuole la Costituzione – ma a maggioranza dai delegati stessi del Land in questione. E’ chiaro che la Corte costituzionale casserà la decisione. Ma il fatto importante, sul piano economico, è che la ritrovata unità del patto istituzionale sembra subito andata a carte quarantotto. Francia Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Laurent Fabius, parla a metà marzo di “un 1° trimestre assai lento, un 2° trimestre che segna ripresa e, poi, accelerazione netta con ritmo, a fine 2002, del 3%” (e sembra di leggere parola per parola le dichiarazioni del suo collega tedesco, citate sopra55 ). E lascia la previsione di crescita del PIL 2002, nel complesso, più o meno dove l’ha pronosticata l’ultima volta, un mese fa: a +1,5%. Due settimane più tardi, il rapporto sull’economia dell’INSEE 56 apre un po’ di più: le stime relative alla crescita del 1° trimestre sono infatti al rialzo, +0,8% invece del +0,5 anticipato a dicembre. E, 52 Intervista al quotidiano di Lipsia, Leipziger Volkszeitung, 29.3.2002. ANSA, 21.3.2002. 54 SdDeutsche Zeitung, 25.3.2002. 43 55 Del resto parlava accanto a lui, alla stessa conferenza stampa di Nota . 56 Diffuso e citato da Agenzia Italia/Reuters, 29.3.2002. 53 24 adesso, di conseguenza, anche il ministro Fabius opta per una visione più fiduciosa: “in Francia, vi sono le condizioni per una ripresa dell’industria e per l’avvio di una nuova fase di forte crescita”. Il rapporto deficit/PIL del 2001 si attesta all’1,4%57 : elevato, rispetto agli impegni del patto di stabilità (e di sviluppo: parte questa che, lamenta finalmente qualcuno, nessuno ricorda). La produzione industriale di gennaio cresce dello 0,6% sul mese precedente, contro attese che indicavano una variazione di intensità dimezzata. E nel settore manifatturiero la crescita segna un buon 0,9% 58 . L’auto, in questo risultato, ha fatto la parte del leone segnando il record di sempre, con 5,5 milioni di vetture (il 10% della produzione mondiale) fabbricate dai costruttori francesi59 : tutto l’aumento si è concentrato negli stabilimenti sul territorio francese, mentre la produzione degli stabilimenti francesi all’estero è rimasta stabile. E resta attivo il saldo dei conti correnti degli ultimi 12 mesi, per un po’ più di 9 miliardi di €. Anche i consumi delle famiglie, dopo il dato negativo – inatteso – di gennaio, sono saliti in febbraio sul febbraio di un anno fa dell’1%, aumento considerato insoddisfacente in dodici mesi. Ma, rispetto a un mese prima, l’aumento è stato di uno 0,4%, superiore alle attese. Considerazioni che hanno indotto un certo ottimismo sulle prospettive a breve dell’economia, anche se i dati più recenti sull’interscambio commerciale mostrano una riduzione d’attivo con caduta delle esportazioni ed una più accentuata caduta delle importazioni (che, così, proprio come da noi, ha preservato l’attivo: a gennaio, 1,3 miliardi di €. I dati sull’occupazione mostrano un incremento dello 0,3% nel quarto trimestre del 2001 per il settore privato: dato incoraggiante specie in quanto ottenuto in un trimestre caratterizzato da una flessione del PIL e anche se la disoccupazione rimane ad un livello ancora elevato (9-9,1% della forza lavoro). E il numero dei disoccupati è sceso, a febbraio, dello 0,2% (sono 2.406.000 dai 2.410.000 che erano a gennaio): la prima volta che succede da otto mesi. Il tasso di disoccupazione resta invariato, al 9%. I prezzi al consumo, a febbraio, salgono dello 0,1% su gennaio e, rispetto al febbraio 2001, del 2,2%. E i prezzi alla produzione , che restano fermi rispetto al gennaio 2001, scendono dell’1,3% a confronto col febbraio 2001. L’indice dell’INSEE che “cattura” la fiducia delle imprese, riporta in marzo un chiaro segnale di risveglio, aumentando di due punti sul livello riscontrato a febbraio. Nel mese si è aperto, insieme al tunnel sotto il Monte Bianco, anche il contenzioso con l’Italia che ancora non si è chiuso. La Francia mantiene il divieto di transito dei TIR sopra le 19 tonnellate (quasi tutti) nella nuova galleria e intende prolungare il diniego – è il sospetto italiano – almeno fin dopo le elezioni politiche (qui i verdi sono dentro la maggioranza). Non è così – risponde Parigi – è solo necessario essere proprio sicuri: dopo quel che è successo, bisogna “rodare la circolazione a senso unico alternato” e controllare “i mezzi pesanti più inquinanti, quelli etichettati ‘euro zero’ 60 ”. Si è mossa anche la Commissione europea, a mediare ma, in realtà, a spingere – anche se discretamente – per la posizione italiana. Del resto, erano andati a premere direttamente a Bruxelles ben quattro ministri: Lunardi, trasporti, Alemanno, agricoltura, Buttiglione, politiche europee, e Marzano, attività produttive. Ma era chiaro che la Francia (non solo qui: anche col taglio dei treni merci tra Calais e Dover, ad esempio) stava violando così l’impegno a non intralciare la libera circolazione delle merci tra Stati dell’Unione. 57 Dato, presumibilmente definitivo, comunicato il 12.3.2002 dal ministro dell’Economia. Informa l’INSEE, il 14.3.2002. 59 Lo comunica, l’11.3.2002, la loro Associazione a Parigi. 60 Dichiarazione del ministro dei Trasporti, Jean−Claude Gaysssot, 29.3.2002. 58 25 Principio sacrosanto: dopotutto le merci non sono persone e, dunque, alle merci non va messo intralcio. Gran Bretagna L’evoluzione congiunturale è contrassegnata da alti e da bassi. La produzione industriale scende ancora a gennaio (e, stavolta, gli analisti non se l’aspettavano proprio) dello 0,5% e, su base annua, del 5,2%. Nel settore manifatturiero (in crisi perenne: rappresenta l’80% della produzione e adesso, con la ripresa annunciata, attende un qualche significativo sollievo) il calo è stato dello 0,4% mensile (concentrato però quasi esclusivamente nella produzione di elettricità e nel settore ottico) ma del 6,1% annuo 61 . Contrazione minore del −6,6% del dicembre 2001 ma ben più forte delle previsioni. Le stime future sull’output rimangono positive ma, ormai, concentrate tutte sulla seconda parte dell’anno. Per intanto, anche i dati depurati di crescita del PIL nel quarto trimestre del 2001 danno variazione nulla (ed è la prima volta da 10 anni) e, rispetto allo stesso periodo del 2000, si assestano all’1,6%. Così che il dato relativo al PIL complessivo del 2001 viene ridimensionato da +2,4% a +2,2%62 . I consumi sono scesi sia a dicembre che a gennaio, ma sembra si siano un po’ ripresi a febbraio: si segnala un incremento delle vendite su gennaio dell’1,5% che porta il tasso di crescita annuo quasi al 6%. Buone notizie, invece, dagli investimenti. Calano sempre, ma il dato trimestrale recupera da −3,2 a −0,3%. E il cancelliere dello scacchiere, Brown, ha annunciato una serie di misure a favore delle imprese, in particolare sgravi fiscali per chi effettua investimenti in ricerca e sviluppo. Notizie non male anche dai dati sulla disoccupazione . A febbraio il tasso ufficiale resta stabile al 5,1%, registrando un incremento di circa 8 mila nuovi occupati. E la nuova dinamica della domanda di lavoro non sembra provocare al momento pressioni salariali rilevanti. A febbraio, prezzi alla produzione stabili, a +0,1% su base mensile, ed in calo, −0,3%, su base annua. E’ stata la discesa del prezzo dei prodotti petroliferi ad avere inciso di più: nel mese, −0,1%; ma nell’anno 63 è −10,3. Di fatto la dinamica dell’inflazione è sotto il target definito dalla Banca centrale: in febbraio, è scesa al 2,2% mentre molte previsioni la indicavano al 2,4-2,5%: appunto al limite. Buona notizia, considerato il balzo dei prezzi a gennaio, saliti d’un colpo dall’1,9 di dicembre al 2,6%. Scende anche l’inflazione calcolata escludendo le componenti più volatili (energia e prezzi alimentari): dal 3% di gennaio, al 2,7% del mese di febbraio. E’ una tendenza che andrà avanti nell’anno ma che, dicono diversi osservatori, a partire dalla nuova articolazione, e dall’aumento, della tassazione indiretta nel prossimo aprile, corre il rischio di venir rovesciata, portando l’inflazione al 3% per fine anno. Diventa più che probabile a questo punto – a fronte di questo timore, di una prossima ripresa più robusta e del suo effetto sulla dinamica inflazionistica, anche se a marzo la BoE ha lasciato il livello dei tassi là dov’erano – un rialzo dei tassi di interesse già a maggio al 4% e, a fine 2002, anche sopra al 5%. Peggiora seriamente quasi quattro volte) il deficit delle partite dei conti correnti: dai 2 miliardi 386 milioni di sterline del 3° trimestre ai 7 miliardi e 572 milioni del 4° 64 . La bilancia commerciale di 61 Comunicato dell’ONS (Office for National Statistics), 12.3.2002. Bloomberg, 27.3.23002. 63 Bloomberg, 11.3.2002. 64 Lo riferisce l’ONS il 27.3.2002. 62 26 gennaio invece è, finalmente, positiva: segna un +4,1% per le esportazioni ed un +0,3 dell’import e riduce il deficit 2002 – che per ora naturalmente è solo quello di gennaio… – a 3,7 miliardi di $ (a fine 2001, il buco era stato ingente: per 48,4 miliardi di $) 65 . Un segnale in controtendenza sull’euro, rispetto a quasi tutti gli ambienti economici – sindacati compresi e, anzi, quasi alla testa – viene dall’associazione dei managers britannici che si è espressa apertamente contro la decisione laburista – sempre non definita nel tempo – di un’adesione all’euro anche del Regno Unito. Però, adesso la popolarità calante del Labour, e segnatamente di Tony Blair (specificamente, proprio del suo stile “presidenziale”), rende meno probabile un referendum a breve sull’adesione all’UEM: nei sondaggi, hanno ancora un margine di 9 punti sui conservatori; ma è un margine che s’è ridotto di ben 7 punti, −3 per Blair e +4 per i Tories. Che, con le cautele del caso, alla Conferenza annuale del partito stanno prendendo le distanze dalla filosofia thatcheriana convinti in maggioranza, pare, che il suo approccio sia in contrasto coi tempi e li allontani dagli elettori. Così la smentiscono, adesso, quando chiede 66 di far uscire il paese dall’Unione europea: loro non vogliono l’euro, ma dentro ci vogliono rimanere. E, spostandosi al centro, in controtendenza rispetto alla destra di parecchi altri paesi europei, parlano – alla signora fischieranno le orecchie – del dovere di “migliorare i servizi pubblici” e di far cadere le barriere del razzismo e del maschilismo dall’immagine del partito. Giappone La contrazione record del PIL nel 4° trimestre del 2001 (−4,5%: contrazione, poi, per tre trimestri consecutivi) è stata dovuta essenzialmente, dicono oggi le rilevazioni, agli investimenti, crollati al tasso annualizzato del 40%. E adesso, a gennaio, le ordinazioni di macchinari – indicatore principale degli investimenti – sono è cadute del 15,6% in termini tendenziali: dato che non è certo di grande auspicio per il restio dell’anno. Ma, dopo aver raggiunto il fondo, con un forte calo – anche ed anch’esso negli ultimi mesi del 2001– delle componenti interne della domanda, qualche segnale di ripresa inizia a manifestarsi. Per la prima volta da quasi due anni – ancora a febbraio diceva che l’economia “continuava a deteriorasi” – adesso il governo dice di vedere un “miglioramento”. Più esattamente, il gabinetto del primo ministro comunica 67 che, adesso, “stiamo cominciando a vedere il fondo del fondo del barile”. E, in effetti, il Giappone andrà meglio se andrà meglio, come sembra, l’economia americana. Anche perché – soprattutto perché – proprio la ripresa oltremare (cioè, negli Stati Uniti) potrebbe “forse” – come aggiunge cautamente il governo – convincere le imprese ad incrementare la produzione, promuovere una moderata ripresa ciclica e rendere così anche più facile al premier Koizumi far fronte ai tanti che, nel suo partito liberal−democratico di governo continuano a chiedere più fondi pubblici per aiutare l’economia. 65 Sempre l’ONS, 11.3.2002. M. Thatcher, Statecraft L’arte del governare: il suo nuovo libro, di cui il quotidiano The Times pubblica in anticipo diversi stralci il 19.3.2002. Lady Thatcher ha annunciato in questi giorni la decisione di abbandonare l’attività politica per ragioni di salute. E il New York Times, 25.3.2002, in un articolo laudatorio firmato W. Hoge, la saluta scrivendo che “riducendo le tasse e riformando economia e mercato del lavoro ha fatto della Gran Bretagna la quarta economia del mondo”. Peccato solo che non sia vero. Quando fu dimissionata dal suo partito, nel 1990, il Regno Unito era l’ottava economia al mondo, non la quarta – dopo USA, Giappone, Germania occidentale, URSS, Francia, Cina ed Italia – e durante la sua occupazione di Downing Street l’economia britannica era stata superata in tromba da quelle di Cina e di Italia. 67 Agenzia Associated Press, Japan Says Economy Improving Il Giappone dice che l’economia va migliorando. 66 27 Flette ancora a febbraio l’indice dei prezzi al consumo, dell’1,6% su un anno fa: è ancora deflazione, insomma – in questo mese si registra il 29° mese di flessione dei prezzi – e, coi profitti, taglia la volontà delle imprese. Però, i dati più recenti di inizio marzo sui consumi sembrano in qualche leggerissimo miglioramento, anche se a febbraio la spesa dei lavoratori dipendenti – l’indicatore più importante dei consumi personali – è scesa dell’1,9% da gennaio e del 2,9% dal febbraio precedente. L’occupazione resta al tasso di gennaio, al 5,3%, dopo aver toccato a dicembre, col 5,5, il record da quando nel 1953 s’è cominciata a tenere questa statistica. I disoccupati nelle liste di collocamento – che vengono artificiosamente tenute in giù giocando sugli strumenti di rilevazione – sono 3 milioni e 560 mila, 380 mila in più di un anno fa e aumentano da 11 mesi. Calano le assunzioni in generale nel settore manifatturiero, nell’edilizia e nei trasporti, ma l’occupazione va in crisi anche in un settore che ne era obiettivamente gonfio, come il commercio al dettaglio. Si intravvede anche una qualche decelerazione di un indicatore importante finora in costante flessione, come la produzione industriale che adesso, a febbraio, aumenta dell’1,3%: meno, però, di quanto dicessero le previsioni e senza neanche recuperare appieno l’1,5% di flessione a gennaio 68 . Intanto, si impenna a gennaio il surplus della bilancia dei conti correnti: del 224,3% sullo stesso mese dell’anno prima e per il quarto mese consecutivo (fino a settembre, nove mesi di declino, però). La componente di bilancia commerciale in questo computo è stata, addirittura del 424,4%. Però il dato è dovuto quasi esclusivamente, come il risultato complessivo in sostanza, al crollo delle importazioni e ad esportazioni che sono calate ma restando, relativamente, robuste (esempio: proprio a gennaio, l’export è sceso del 2,9%; ma l’import è scivolato giù dell’11%) 69 . A febbraio, in ogni caso, il surplus commerciale è sceso dell’11,3%. La “sensazione” di una ripresa, o almeno di una ripresina, in arrivo è stata confermata dai mercati finanziari nell’ultima parte di febbraio e anche a marzo. A gennaio, c’era stato il crollo ma adesso l’indice di borsa Nikkei ha messo a segno – e, come sempre capita in questi campo, anche provveduto, poi, un po’ a moderare – una performance senza uguali. Inoltre il governo, con l’intenzione di fronteggiare la congiuntura, ha annunciato di voler ricercare – poi, certo, bisognerà vedere… – “una nuova definizione” dei suoi rapporti con la Banca centrale. Che può voler dire tutto, messa così, e il contrario di tutto. Più probabilmente, che non intende procedere ormai rapidamente a nessuna riforma strutturale – specie sui crediti inesigibili delle banche – ma chiede alla Banca di allentare ancora le redini monetarie 70 . Malgrado le pressioni, però, i banchieri centrali nipponici hanno rifiutato di abbassare ancora, come chiedevano industrie e governo, un tasso di sconto che del resto è già ai minimi. Il primo ministro aveva condotto la campagna elettorale del luglio scorso con lo slogan “Cambiamo il partito liberaldemocratico. Cambiamo il Giappone”. Non è che sia cambiato un gran che e se ne accorgono sia la gente che lo stesso primo ministro. 68 Tutti questi dati sono stati pubblicati a fine marzo e qui li riprendiamo dal New York Times, 29.3.2002, AP, Japan Unemployment Rate Holds Steady Il tasso di disoccupazione giapponese resta fermo. 69 Dati del ministero delle Finanze, Agenzia Associated Press, 13.3.2002. 70 Ha dichiarato il ministro di Stato (capo del gabinetto del primo ministro) Takenaka (v. Global Research, 15.3.2002. della Bank of America) che “da una parte, lo yen si sta apprezzando [poi, però, solo 3 giorni dopo ha registrato la piùà precipitosa caduta da sei mesi]; ma, dall’altra, non si può sostenere certo che siano state le redini lasche della BoJ a far salire la borsa”: il che, nei corridoi della Banca, viene interpretato – e sembra corretto – come un segnale esplicito di pressione crescente. 28 E le cose sembrano peggiorare. Il più forte alleato riformista di Koizumi dentro l’LDP – alcuni qui dicono addirittura l’unico che al vertice del partito avesse qualche influenza – Koichi Kato, ha dovuto dimettersi a metà marzo per l’arresto (evasione fiscale) del suo segretario personale. Ed è ripartita la politica delle correnti interne che si paralizzano, sul piano decisionale, l’una con l’altra. E oggi l’uomo politico – bè, la donna politica – giapponese più popolare (ma anche più populista) è l’ex ministro degli Esteri, Makiko Tanaka, che Koizumi ha licenziato qualche mese fa perché non era sufficiente rispettosa delle “sensibilità” (letteralmente) della burocrazia ministeriale e che ora minaccia di spaccare lo stesso partito liberaldemocratico. L’altra figura politica che sale è quella dell’ultraconservatore ed ultranazionalista governatore di Tokyo, Mineo Ishikawa. In queste condizioni, ovviamente, sempre più difficile diventa per Koizumi spingere la piattaforma di rinnovamento economico – lasciare che le banche facciano i conti con le regole del mercato, anzitutto – e politico – sbaraccare i cacicchi dell’LDP e tutti i loro conflitti di interesse – sulla quale era stato eletto. E, al di là spesso del merito delle sue proposte, era la novità che aveva attirato, prima, una maggioranza di voti e, poi, una grande popolarità. Che ora appare sperperata quasi del tutto. Ulteriore complicazione è che se poi l’economia inizia davvero a migliorare, o dà l’impressione di migliorare, parallelamente cala il senso di crisi incombente e, dunque, la spinta a cambiare. CALENDARIO 4/2002 • Elezioni politiche in Ungheria. • Primo turno delle presidenziali (Chirac v. Jospin) domenica 21 in Francia. Il secondo, decisivo, il 5 maggio. Il mandato non è più, comunque, di 7 anni ma solo di 5. • In Giappone , da questo mese, la riforma scolastica abbassa l’età di inizio dello studio dell’inglese da 13 a 6 anni. • E, da questo mese, la riforma della scuola, mette fine in India, nelle superiori, alla dissezione animale obbligatoria nelle lezioni di biologia. • A Washington, Vertici del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. • Prima conferenza americano− − vietnamita sugli effetti dell’Agente Orange, il defoliante tossico con cui, a milioni di tonnellate, gli USA annaffiarono l’Indocina durante la guerra del Vietnam e che ha comportato innumerevoli guai e deformazioni a diverse generazioni di vietnamiti e, ormai, anche non pochi tra i GIs americani. • Da questo aprile ogni nuova auto venduta sul territorio dell’Unione europea dovrà essere, alla fine della sua “vita”, riciclata dal fabbricante. 29 INDICATORI ECONOMICI E FINANZIARI A CONFRONTO % PIL di variazione PRODUZIONE VENDITE AL INDUSTRIALE DETTAGLIO su base annua 1° trim 1 anno 1 anno (volume) 1 anno DISOCCUPAZ. % Ultimo dato 1 anno fa SALARI RENDIMENTI TITOLI DECENNALI 1 anno DI STATO fa INFLAZIONE Ultimo Dato 1 anno fa Ultimo dato [al 26. RENDIMENTI DI MERCATO DEI TITOLI TRIMESTRALI 3. 2002] BORSA: % DI CAMBIAMENTO rispetto al 31.12.2001 in val. loc. In $ 3,7 2,1 ITALIA -0,8 0,7 ♣ - 3,4 Gen 0,2 Gen 9,1 Gen 9,8 2,5 Feb 3,0 2,8 Dic 1,7 STATI UNITI 1,4 0,4 ♣ - 4,1 Feb 5,4 Gen 5,5 Feb 4,2 1,1 Feb 3,5 3,7 Feb 4,1 GERMANIA -1,0 -0,1 ♣ - 5,1 Dic -1,8 Gen 9,6 Feb 9,3 1,8 Mar 2,5 2,3 Gen 2,5 4,5 2,9 -0,6 0,9 ♣ - 1,3 Gen -2,8 Gen 9,0 Gen 8,9 2,0 Feb 1,4 4,1 ♦ 5,3 2,1 0,5 0,1 1,6 ♣ - 5,2 Gen 5,9 Feb 5,1 Gen 5,2 1,0 Feb 2,7 2,7 Gen 4,6 GIAPPONE -4,5 -1,9 ♣ - 11,5 Gen -3,8 Gen 5,3 Gen 4,8 -1,4 Gen - 0,3 SPAGNA 0,7 2,3 ♣ - 0,1 Gen nd 12,8 Gen 13,4 3,1 Feb 3,8 EURO-12 -0,8 0,6 ♣ - 4,1 Dic 8,4 Gen 8,5 2,4 Feb 2,3 FRANCIA GRAN BRETAGNA 0,4 Dic - 3,4 Gen 3,6 2,9 ♦ 0,2 5,34 1,91 – – 5,30 4,16 - 0,4 -2,4 1,44 0,05 6,3 4,9 - 0,9 - 2,4 - 0,4 - 1,9 n.d. ♦ 2,5 3,3 u - 6,5 b 5,16 3,45 24 PAESI BILANCIA COMMERCIALE ($ miliardi) CONTI CORRENTI $ mldi in % del PIL ultimi 12 mesi previsioni 12 mesi ITALIA STATI UNITI ( in val. loc.) al 26.3.2002 1 anno fa 2002 3,2 Dic 0,2 -1,4 1,14 – -421,2 Gen -417,4 ♣ - 4,1 0,6 – 0,88 87 ,9 Gen 15,4 Gen 0,1 -2,5 1,14 – Gen 25,6 Gen 1,7 -1,5 1,14 – Gen -25,1 ♣ - 2,0 1,1 0,70 0,62 4,2 - 46,7 GIAPPONE EURO-12 ( per $) Gen FRANCIA SPAGNA 2001 VALORE DEL CAMBIO 8,4 GERMANIA GRAN BRETAGNA RAPPORTO DEFICIT PIL - 72,2 Gen 91,1 Gen 2,3 - 6,4 133 117 38,5 Dic - 15,2 Dic -2,2 − 1,14 – 46,6 Gen - 6,5 Gen 0,2 - 1,2 1,14 – [Dove non indicata con -, la percentuale di cambiamento è +] ♣ 4° trimestre 2001 ♦ 3° trimestre 2000 dal gennaio 1999, tra i paesi dell’euro e dell’Unione monetaria governata dalla Bce, non ci sono più differenti “prime rates” né tassi diversi sui titoli pubblici sia a breve che a lungo. Quelli qui riportati per l’Euro-11 valgono, infatti, dal 4 gennaio 1999, per tutti i paesi europei della nostra lista consueta eccetto la Gran Bretagna che è restata fuori (cioè per Germania, Francia, Spagna e Italia) u Indice Dow Jones b Indice Nasdaq FONTE: The Economist, 30.3.2002 Economic and Financial Indicators 25