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Dibattito/Licenziabilità dipendenti pubblici: opinioni a confronto
La riforma può battere il precariato ma il pubblico impiego resti fuori
Il segretario della Cisl Furlan: sbagliato aver eliminato il diritto di reintegro nei licenziamenti collettivi
da Corriere della Sera – 29 dicembre 2014
Se il Jobs act vada esteso o no ai dipendenti pubblici lo deciderà il Parlamento, dice il presidente del
Consiglio Matteo Renzi. Secondo lei? «Mi pare risponde il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan
che due ministri, Poletti per il Lavoro e Madia per la Pubblica amministrazione, e il responsabile
economico del Pd Taddei siano stati chiarissimi. Tutti e tre hanno detto che il Jobs act non vale per i
dipendenti pubblici. Il cui rapporto di lavoro, del resto, ha una sua natura particolare e segue specifiche
regole, fin dall'assunzione per concorso. Quindi mi pare pacifico che la riforma non si estenda al pubblico
impiego». Ma lei come lo spiegherebbe a un operaio di una fabbrica assunto col nuovo contratto che, in
caso di licenziamento, è giusto che per lui valga una protezione minore rispetto a un dipendente pubblico?
«Glielo spiegherei con il fatto appunto che il rapporto di lavoro pubblico ha un suo percorso legislativo e
col fatto che, per stessa ammissione del governo, il Jobs ad riguarda solo il lavoro privato». Resta il fatto
ché dal punto di vista di un dipendente privato non ha senso un trattamento diverso. «Guardi credo che gli
operai abbiano altri temi in testa. Vogliono capire se l'economia finalmente si riprende. Quanto al pubblico
impiego la preoccupazione principale non è se il Jobs act si applica o no, ma come si stabilizzano le decine
di migliaia di lavoratori precari nelle pubbliche amministrazioni e nella scuola». Secondo Renzi la riforma
rappresenta una «rivoluzione copernicana» che porterà più occupazione e allargherà le tutele a chi finora
non le ha avute. È d'accordo? «L'allargamento delle tutele c'è, anche se, parlando della nuova Aspi, essa è
limitata ai co.co.co e co.co.pro. e invece, secondo noi, andrebbe estesa ulteriormente. Il punto decisivo
della riforma è se il nuovo contratto a tutele crescenti assorbirà tutte le forme di precarietà così diffuse, dai
finti collaboratori agli associati in partecipazione, dalle finte partite Iva ai lavoratori a chiamata. Se ciò
avverrà, per questi lavoratori, e stiamo parlando di circa un milione e mezzo di persone che si trovano nella
precarietà più assoluta, si tratterà di un passo in avanti. In caso contrario, avremo solo un'ulteriore
contratto precario». Sulla base di questa analisi non avete condiviso lo sciopero generale di Cgil e Uil? «Noi
abbiamo detto che il provvedimento si poteva migliorare nell'iter parlamentare. E in effetti abbiamo
scongiurato il peggio, se solo si pensa che si era prefigurata l'abolizione del diritto al reintegro sui
licenziamenti disciplinari e la possibilità che fosse l'azienda ad avere l'ultima parola, scegliendo l'indennizzo
in sostituzione del reintegro deciso dal giudice. Tutto ciò è stato ottenuto anche grazie alla mobilitazione
della Cisl, che ha fatto tre manifestazioni nazionali. E siamo convinti che altri miglioramenti si possano
avere dopo i pareri del Parlamento». Quali? «Bisogna ripristinare il valore della contrattazione nei
licenziamenti collettivi, anzi andrebbe rafforzato il ruolo degli accordi. Per questo non va bene aver
eliminato anche qui il diritto al reintegro. E dobbiamo allargare il campo di azione dei nuovi ammortizzatori
sociali». Il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, ha annunciato che il governo presenterà una
proposta di legge sulla rappresentanza sindacale. Condivide? «No. Non credo sia utile una legge, visto che i
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sindacati e la Confindustria hanno firmato un accordo sulla rappresentanza, a meno che il governo non si
voglia limitare ad assumerne i contenuti». L'accordo con la Confindustria è stato firmato un anno fa, ma è
rimasto sulla carta. «Purtroppo alla determinazione delle parti sociali ha fatto seguito la lentezza della
burocrazia, ma sono convinta che presto supereremo questi ostacoli».
Licenziare nella Pa si può, ma nessuno lo fa
Lo prevede la riforma Brunetta. Che però non viene mai applicata
da Il Giornale – 29 dicembre 2014 di A. Signorini
Escludere gli statali dal Jobs Act? Si può sbianchettare il passaggio del decreto che lo prevede
espressamente, come è successo al Consiglio dei ministri della Vigilia, secondo il racconto di Pietro Ichino.
Ma l'articolo 18, sia quello vecchio sia la nuova versione, vale tanto peri dipendenti privati, quando per
quelli pubblici. È praticamente unanime il giudizio dei giuslavoristi sulle polemiche degli ultimi giorni. Le
affermazioni del ministro Marianna Madia e del responsabile economia del Pd Filippo Taddei cioè non
includere i dipendenti dello Stato e delle autonomie locali nella nuova disciplina rischiano di creare
ulteriore confusione in una situazione già troppo complicata (basti pensare ad una riforma che si applica
solo ai nuovi assunti). Si è discusso di estensione del «contratto a tutele crescenti» agli statali, quando come
hanno osservato il giuslavorista Michele Tiraboschi e Giuliano Cazzola nei decreti attuativi del Jobs Act
varati dal governo non c'è traccia di questa riforma del lavoro. Nemmeno peri privati, figuriamoci per i
pubblici. Resta la riscrittura dell'articolo 18. Quella c'è, ma non può che essere applica sia ai dipendenti
pubblici, sia a quelli privati. Unica eccezione, i licenziamenti economici (quelli che i decreti attuativi del
Jobs Act rafforzano). Nel pubblico non sono previsti, ma già ci sono procedure di mobilità specifiche,
previste dall'ultima riforma del centro destra, firmata da Renato Brunetta. Sono quelle che il governo Renzi
vuole applicare ai dipendenti in esubero delle Province. Ed è forse per questo spiegavano ieri fonti
governative che l' articolo incriminato, quello salva statali, è scomparso dai decreti del Jobs Act. Per il
resto, dire che l'articolo 18 non si applica ai pubblici significa andare contro la Costituzione e anche contro
il buon senso, visto che l'articolo 18 dello Statuto era, e resta, una norma che tutela i lavoratori. Il fatto che
nessuno si sia mai accorto che le norme sul reintegro siano applicate anche allo Stato è dovuto al fatto che
di licenziamenti pubblici cene sono pochissimi. Su circa 3,5 milioni di dipendenti pubblici, di licenziamenti
nello Stato e negli enti locali se ne contano poco più di cento all'anno. Nel privato sono circa 40mila, su una
platea di circa 11 milioni di dipendenti a tempo indeterminato. Le norme ci sarebbero. Lo ha ricordato ieri
anche la Cgil. La riforma Brunetta del 2009 rende gli statali, sia dirigenti sia dipendenti semplici,
licenziabili se no n fanno il loro lavoro. Se queste leggi non vengono applicate quasi mai è perché nessuno
si prende la responsabilità di licenziare un dipendente pubblico. Anche perché, come osservò tempo fa
proprio Pietro Ichino, i dirigenti rischiano di essere ritenuti responsabili verso l'erario. Di tentativi dimettere
sullo stesso piano lavoro pubblico e privato ce ne sono stati tanti. Dopo la riforma Fornero. Il Nuovo centro
destra, ha ricordato ieri l'ex ministro Maurizio Sacconi, ritirò «un emendamento per la omologazione del
lavoro, pubblico e privato» per introdurre l'apprendistato, come alternativa «a quel precariato dilungo
periodo che poi si stabilizza senza concorso». Contratti soggetti «alle procedure di licenziamento
individuale e collettivo »Al governo si impegnò a realizzare questi obiettivi. Con il Jobs Act non è successo.
Ma anche se si dovesse tentare come annunciato da Madia con una riforma ad hoc, resta il ragionevole
dubbio che anche questa si trasformerà nell' ennesima legge inapplicata. Perché lavoro pubblico e privato
in Italia restano due pianeti lontanissimi.
Suicida separare i lavoratori così si spaventano i privati
da Il Messaggero – 29 dicembre 2014
Includere i dipendenti pubblici nella nuova disciplina sui licenziamenti, possibilmente senza attendere lo
specifico provvedimento sulla pubblica amministrazione. È la posizione, netta, di Enrico Zanetti,
sottosegretario all'Economia e deputato di Scelta Civica: lo stesso partito di cui fa parte Pietro Ichino. Sul
tema pubblico impiego Scelta Civica è andata all'attacco con decisione. Qual è il vostro obiettivo?
«Separerei l'aspetto tecnico da quello politico. Sul primo, mi pare che siano solide le argomentazioni di
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Pietro Ichino, in base alle quali i dipendenti pubblici sono inclusi nel nuovo regime. Ora c'è l'esame
parlamentare del decreto: si potrebbe inserire una clausola per escludere gli statali e rinviare al
provvedimento sulla pubblica amministrazione. Ma secondo noi sarebbe un errore. Meglio definire le
regole tutte insieme, per í pubblici e per i privati. Prendiamo comunque atto dell'apertura del presidente del
Consiglio, che cerca di fare una sintesi delle varie anime della maggioranza, mentre i ministri Poletti e
Madia avevano fatto una chiusura netta». Dove hanno sbagliato Poletti e Madia, dal suo, punto di vista?
«Se noi presentiamo una novità che è positiva per la generalità dei lavoratori, ma poi rassicuriamo una
categoria tenendola fuori, il messaggio che diamo agli altri è che si devono preoccupare. Politicamente mi
pare una scelta suicida. E poi andrebbe contro lo spirito stesso della riforma che è eliminare steccati e
barriere tra lavoratori». Loro difendono il pubblico impiego, voi pensate invece agli altri? «No, non è il
vecchio e patetico derby tra pubblico e privato, tra chi dice che i lavoratori statali sono tutti fannulloni e
chi ribatte sostenendo che gli autonomi sono tutti evasori. Questa è la vecchia Italia che va superata. Anzi,
sono convinto che la parte innovativa della pubblica amministrazione sia favorevole a questa evoluzione.
Chi vuole congelare la situazione esistente in realtà vuole anche continuare a bloccare le retribuzioni dei
pubblici, ferme da sette anni: invece bisogna premiare l'efficienza». Vanno assunti con contratto a tutele
crescenti anche i precari della scuola? «Nel settore della scuola, di cui si occupa come ministro Stefania
Giannini di Scelta Civica, c'è un piano di stabilizzazione dei precari che può andare bene in una situazione
di emergenza. Anche qui si tratta di avvicinare tra di loro i lavoratori». Lei parla di avvicinamento, però
anche per i privati c'è un solco tra chi conserva le vecchie regole e i nuovi assunti. Sarà gestibile? «Un certo
dualismo indubbiamente permane, sarebbe stato preferibile applicare le nuove regole all'intera platea. Ma è
un compromesso che abbiamo accettato perché si tratta di una situazione ad esaurimento e non a regime.
Progressivamente tutti i lavoratori confluiranno verso le tutele crescenti». A proposito di mediazione, Renzi
l'ha fatta anche sulla delega fiscale. Vi soddisfa? «Il decreto appena approvato nell'insieme è buono.
Sull'abuso di diritto è positivo aver delimitato meglio la fattispecie, poi sarà decisiva la gestione concreta
che ne farà l'Agenzia delle Entrate. Quanto alle sanzioni, va bene la soglia del penale a 150 mila euro per la
dichiarazione infedele, anche se si poteva arrivare a quota 200 mila. Sulla soglia per l'omesso versamento
Iva, sempre a 150 mila, siamo invece perplessi perché c'era un impegno politico già del precedente
esecutivo per la totale depenalizzazione. Ci batteremo per ripristinarla».
Copyright © 2014 Di.S.A.L.
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