Comunicazione a cerchi concentrici: una proposta per gli uffici di

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Comunicazione a cerchi concentrici: una proposta per gli uffici di
 Pontifical University of the Holy Cross - School of Church Communications
10th Professional Seminar for Church Communication Offices
Participation and sharing: managing Church communication in a digital environment
Rome, April 26-28, 2016
Comunicazione a cerchi concentrici: una proposta per gli uffici di comunicazione della Chiesa
Marc Carroggio
Professor of Communication Management,
Pontifical University of the Holy Cross
Sono passati 20 anni dalla prima edizione di questo Seminario professionale. La trasformazione
più rilevante della comunicazione pubblica in questo periodo è stata l’universalizzazione di Internet
e la conseguente generalizzazione — a partire dal 2005 — dei social media. La tecnologia digitale
ha favorito un cambiamento gigantesco nel nostro lavoro. Perciò ci è sembrato logico incentrare la
decima edizione del Seminario su alcune conseguenze della cultura digitale nella gestione degli
uffici di comunicazione della Chiesa.
Nella prima parte di questa presentazione vorrei sintetizzare in 5 parole alcuni tratti
significativi del nuovo paradigma comunicativo, in contrasto con quello che ha prevalso fino agli
inizi del secolo XXI1. Nella seconda, accennerò diverse conseguenze per la comunicazione
istituzionale. Nella terza cercherò di offrire 3 spunti sulla cultura comunicativa della Chiesa. Il
proposito di questa introduzione è di illustrare il filo forse invisibile che da unità alle sessioni dei
prossimi giorni.
1. Il nuovo paradigma della comunicazione pubblica
a) Dalla mediazione alla disintermediazione. Quando molti di noi abbiamo cominciato a
lavorare, la comunicazione pubblica girava attorno ai mezzi di comunicazione. Il concetto chiave
era mediazione: l’intermediario — il giornale, l’emittente televisiva, ecc. — decideva ciò che
meritava di essere prodotto, distribuito e usufruito dal pubblico. Questa preponderanza dei media ci
serve per definire l’antico paradigma con il termine “mediale” o “broadcast”. Nella cultura digitale
si sciolgono le frontiere fra fonti informative, mezzi di comunicazione e pubblico. Si è prodotta una
disintermediazione che fa nascere nuove intermediazioni.
Quando il Papa pubblica “Amoris Laetitia” siamo attenti ai titoli dei giornali, ma andiamo
subito alla fonte o ai nuovi intermediatori più vicini: il website vaticano, o altri specialisti che ci
offrono subito il testo completo e qualche spunto interpretativo.
Figura 1. Il paradigma della comunicazione digitale: 5 parole
PARADIGMA MEDIALE
(broadcast)
mediazione
discorso
tecnologia
auditorio
ciclo
PARADIGMA DIGITALE
(conversazione)
disintermediazione
dialogo
contenuto
piazza
flusso
1
Per questa sintesi si usano principalmente i testi di José Luis Orihuela (Los medios después de internet, Editorial UOC, Barcelona 2015) e di Anne Gregory e Paul Willis (Strategic Public Relations Leadership, Routledge, Oxon 2013). -­‐ 1/11 -­‐ Oggi il pubblico non è più solo “pubblico”. Un acronimo inglese lo esemplifica bene: ormai
non ci sono solo utenti dei media (users) ma utenti con capacità di produrre: produsers. Ciascuno di
noi, nelle reti sociali, è un po’ fonte e un po’ mezzo per i suoi amici, per gli amici degli amici e
tante volte per altri grandi mediatori. Se ho interesse in un film, non vado più alla sua pagina web,
ma mi rivolgo ad un sito collaborativo (ad esempio, www.imdb.com) per vedere per prima cosa il
voto e i commenti della gente. È la stessa dinamica che s’impone nel fare un acquisto, scegliere un
albergo o prenotare un ristorante: non ci interessa tanto quello che l’albergo o il ristorante dicono di
sé stesso, quanto il punteggio e i commenti degli utenti sulla base dei fatti da loro esperimentati. In
un ambiente caratterizzato dall’inquinamento informativo – spiega Orihuela – “hanno più senso le
funzioni di prescrizione e raccomandazione delle reti sociali”2.
Si moltiplicano gli influencers che sono normali cittadini. La media di tre ore che i giovani
europei passavano davanti alla televisione negli anni 90, le passano oggi guardando i loro youtubers
di riferimento, che a volte raggiungono audience milionarie3.
Nel nuovo paradigma, le istituzioni non sono più solo fonti informative. Con l’avvento del
digitale, le organizzazioni hanno una voce pubblica indipendente dai media tradizionali, con canali
a costo ridotto come i website diocesani o le diverse finestre nei social.
In questo contesto, i mezzi di comunicazione continuano ad avere un ruolo dominante nella
comunicazione pubblica, ma sono consapevoli che la loro sopravvivenza richiede cambiamenti e
trasformazioni continue: ora le “audience” parlano ai media, e si aspettano che i media le ascoltino
e le rispondano4.
b) Dal discorso al dialogo. Il paradigma mediale ha delle analogie con l’atto di comunicazione
linguistica rappresentato dal discorso, che evoca l’idea di unidirezionalità: da uno a molti. È la
logica del sistema broadcast, dove un’emittente, attraverso i ripetitori, invia lo stesso segnale alle
varie riceventi. Il nuovo paradigma è più vicino all’atto di comunicazione conosciuto come
conversazione, che presuppone cooperazione tra i partecipanti, come succede nei social media, che
solo esistono come tali se fatti da interazioni collaborative. Nel contesto digitale, “la conversazione
sull’informazione è tanto importante quanto l’informazione in sé stessa”5.
c) Dalla tecnologia ai contenuti. Paradossalmente, un cambiamento tecnologico (il passaggio
del sistema analogico a quello digitale) sposta l’attenzione dalle questioni tecnologiche, che sono
diventate “ambientali”, a quelle editoriali. Oggi, grazie ai social media, milioni di cittadini fanno
l’esperienza della pubblicazione senza frontiere di contenuti propri: sembra scontato, ma è qualcosa
di nuovo con conseguenze rivoluzionarie. Nel paradigma della comunicazione digitale, il mezzo è il
contenuto. E la leadership dei media tradizionali non è più conseguenza del monopolio di
tecnologie costose che permettono di raggiungere una grande audience, ma consiste nella capacità
di produrre contenuti in modo regolare, professionale e soprattutto credibile: essere ricercatori e
garanti dei fatti veri.
d) Dall’auditorio alla piazza. Nell’antico paradigma, la comunicazione avveniva in spazi più o
meno chiusi. I mezzi del broadcast erano come degli auditori, con dei limiti fisici insormontabili:
numero di copie, barriera linguistica e così via. Oggi, la comunicazione avviene in una sorta di
piazza aperta, dove chiunque ha il diritto di prendere il microfono o di affacciarsi ad ascoltare.
2
José Luis Orihuela, Los medios después de internet, Editorial UOC, Barcelona 2015, p. 81. Cf. Juan Meseguer: “El increíble éxito de los youtuber”, Aceprensa, Madrid, 25.4.2016. 4
Cf. José Luis Orihuela: Los medios después de internet, Editorial UOC, Barcelona 2015, pp. 44-­‐45. 5
Id., p. 44. 3
-­‐ 2/11 -­‐ Spariscono i limiti dello spazio e delle lingue: i principali motori di ricerca traducono in diretta un
testo in arabo, in russo, in cinese. Allo stesso tempo, si sono sfumate le barriere fra pubblico e
privato: se ora io facessi una dichiarazione razzista, molto probabilmente non rimarrebbe in
quest’aula, ma uscirebbe in pochi secondi in forma di tweet, con la potenzialità di creare scandalo e
di mettere a rischio la reputazione del centro dove insegno. In questa piazza pubblica, l’uso di una
parola inappropriata è sufficiente per fare scoppiare una crisi.
e) Dal ciclo al flusso. Il tradizionale ciclo della notizia è morto, e “i professionisti della
comunicazione devono capire come fare fronte 24 ore al giorno, e 7 giorni alla settimana, a
speculazioni, commenti ed analisi”6. Con l’universalizzazione delle reti sociali – nelle quali i mezzi
di comunicazione sono attori principali – si passa al flusso continuo di notizie che diventano
mondiali nel giro di pochi secondi. È la logica della timeline: si produce un’accelerazione che
riduce in modo significativo il tempo per la riflessione e la deliberazione.
2. Alcune conseguenze per la comunicazione istituzionale
Queste cinque contrapposizioni configurano un panorama comunicativo più partecipativo e
aperto dove la triade media, istituzioni e persone è interconnessa. Implica trasformazioni sia nel
giornalismo, sia nella comunicazione istituzionale, fra cui quella fondamentale riportata nel titolo di
uno dei workshop del seminario: il passaggio dal portavoce unico alla pluralità di voci.
a) Dal solista al coro
Nel paradigma del broadcast, la comunicazione istituzionale viene rappresentata con grafici
che mostrano il dipartimento di comunicazione come centro unico dal quale partono le relazioni
informative con ogni tipo di interlocutore. Nel caso di una eventuale diocesi, ad esempio: la
comunicazione con i propri dipendenti, con gli operatori pastorali (sacerdoti, religiosi, catechisti),
con i fedeli, con i giornalisti, con le autorità locali, con i fedeli delle altre religioni, e così via. Ogni
gruppo viene rappresentato come un cerchio autonomo. L’ufficio di comunicazione usa messaggi e
contenuti diversi a seconda del pubblico a cui si rivolge, valendosi frequentemente di scorciatoie
linguistiche quando comunica con interlocutori interni, che capiscono anche ciò che è implicito
(figura 2).
Figura 2. Un esempio: la comunicazione istituzionale di una diocesi nel paradigma “broadcast”
6
Anne Gregory e Paul Willis: Strategic Public Relations Leadership, Routledge, Oxon 2013, p. 132. -­‐ 3/11 -­‐ L’idea del portavoce unico – che in molti casi conserva una sua valenza7 – assegna all’ufficio
comunicazione la funzione di riordinamento dei flussi informativi in entrata e in uscita. Quando c’è
un portavoce unico, le offerte informative partono dalla stessa fonte e le richieste tendono verso lo
stesso punto di riferimento. In questo modo, si cerca di assicurare l’unitarietà del messaggio, la
coerenza informativa, la chiarezza e la visione d’insieme8. L’accento è sul controllo del messaggio9.
Nel paradigma digitale, invece, ogni membro dell’istituzione – volendo o no – diventa un
portavoce istituzionale, senza dover passare da quel centro. Ogni cattolico diventa, di fatto (per il
bene o per il male), portavoce della Chiesa. Si è passato dalla logica del solista alla logica del coro.
In questo moltiplicarsi delle voci, si sfumano i limiti fra comunicazione personale e
istituzionale. E a volte il problema si genera proprio nel vertice: è il caso del tweet de Tim Cook,
presidente di Apple, inviando una foto sfuocata dalla finale della Super Bowl, che ha generato una
crisi non piccola nella campagna pubblicitaria dell’iPhone 6, che puntava precisamente sulla qualità
della fotocamera. La catena è stata: il tweet di Cook, centinaia di migliaia di reazioni sui social
(molte di esse scherzose, come i fotomontaggi della finta pubblicità “shot on iPhone 6” con la foto
della Super Bowl), notizie su media statunitensi, notizie sui media globali, e finalmente i commenti
sulla crisi di reputazione e il modo in cui è stata chiusa. A volte i problemi possono essere più seri.
b) La comunicazione a cerchi concentrici
Nel contesto aperto e intercomunicato creato dalla cultura digitale, i diversi tipi di pubblico non
possono essere più rappresentati a forma di cerchi autonomi. La comunicazione istituzionale attuale
avrebbe piuttosto una rappresentazione grafica a forma di cerchi concentrici sfumati: l’istituzione,
tramite il suo dipartimento di comunicazione, stabilisce relazioni con i diversi interlocutori, più o
meno intense a seconda della vicinanza con il centro: prima i partecipi (quelli che “fanno
7
Questa necessità è particolarmente sentita nei momenti delle crisi informative. Cf. Marc Carroggio, Bruno Mastroianni e Francesco Gagliardi: La relazione con i media, Arance, Roma 2012, p. 78. 9
A volte, lo stesso processo viene rappresentato interponendo fra l’ufficio comunicazione e i diversi tipi di pubblico, quello fondamentale dei media, gestito dall’ufficio stampa. La ragione è che la relazione con i giornalisti si ripercuote anche sugli altri pubblici. Seguendo con l’esempio della diocesi, si ripercuote sui fedeli, sui catechisti e le catechiste, sui dipendenti delle scuole diocesane, e su tutti gli altri tipi di pubblico che si riesca ad immaginare. Gli si dà una rilevanza superiore perché si tratta di un canale per arrivare a tutti. E, di fatto, ancora oggi, forse per inerzia, in molte istituzioni ecclesiali, l’ufficio comunicazione tende a ridursi ai rapporti con i media. 8
-­‐ 4/11 -­‐ l’istituzione”, e che risulta strano chiamare “pubblico”); poi gli interlocutori primari, e così via
(figura 3).
In questo contesto intercomunicante, l’impostazione dell’ufficio comunicazione non può essere
principalmente quella del controllo del messaggio, ma dovrebbe consistere piuttosto nell’ispirare
contenuti e atteggiamenti. Non può essere un ufficio rivolto solo ai giornalisti. Nemmeno una unità
che reagisce alle allerta che arrivano dalla rete: il flusso è talmente costante e frantumato che il
controllo diverrebbe inutile.
Quello che serve oggi, piuttosto, è un ufficio comunicazione che sia come un cuore pulsante
dell’istituzione, in sintonia con chi governa (primo cerchio), perché comunicazione e governo sono
processi strategici indissolubilmente legati10. La comunicazione è competenza di base nella
leadership delle istituzioni contemporanee. Perciò, risulta fondamentale coltivare una relazione
simbiotica: rafforzare la mentalità comunicativa dei dirigenti e fortificare la mentalità dirigenziale
dei comunicatori. I dirigenti e i comunicatori istituzionali hanno le stesse preoccupazioni e, insieme,
possono rendere un grande servizio a tutti.
Quello che si chiede oggi all’ufficio di comunicazione è diventare una sorta di leader culturale
interno. Un unità di lavoro che guardi l’insieme dell’istituzione con gli occhi della comunicazione,
che preservi e promuova i suoi valori fondamentali e che eserciti una sorta di funzione formativa.
Per dirla con La Porte, un ufficio che sappia “entusiasmare la propria organizzazione”11.
In questa nuova configurazione risulta chiave l’attenzione ai propri valori: la distanza fra i
valori dichiarati e l’esperienza vissuta creano un grande vuoto di legittimità nelle istituzioni. È
perciò che Anne Gregory si riferisce al direttore di comunicazione come “fixer in chief”, cioè capo
delle riparazioni di quelle cose che si distanziano dai valori essenziali e che avranno un impatto
sulle relazioni e sulla reputazione dell’istituzione.
L’azione dell’ufficio comunicazione sarà sempre più culturale e meno tecnica. Sempre più di
pensiero e non solo di azione, anche se è nelle azioni — in ogni comunicato, in ogni evento
comunicativo — dove spesso si guadagna la propria credibilità. La dimostrazione periodica delle
capacità tecnico-comunicative aiuta a mostrare agli altri che la squadra di comunicazione è davvero
“uno di loro”, a servizio dell’insieme12.
Figura 3. La comunicazione istituzionale nel paradigma digitale13
10
Cf. Anne Gregory e Paul Willis, cit., pp. 17 e 21. Cf. José María La Porte: Entusiasmar a la propia institución. Gestión y comunicación interna en las organizaciones sin ánimo de lucro, Ediciones Internacionales Universitarias, Madrid 2001, 365 pp. 12
Cf. Anne Gregory e Paul Willis, cit., p. 126. 13
Elaborazione propria. In un’eventuale diocesi, i partecipi sarebbero i vescovi della diocesi e le altre persone che lavorano nella curia diocesana, gli operatori pastorali (sacerdoti e religiosi, catechisti, educatori), i media cattolici, ecc. Fra gli interlocutori primari si troverebbero fondamentalmente i fedeli della diocesi. E fra i secondari: i giornalisti e i mezzi di comunicazione, le autorità locali, i leader delle confessioni religiose, le istituzioni culturali e sociali presenti sul territorio, ecc. 11
-­‐ 5/11 -­‐ Come la pietra o la goccia che cade in acqua, una comunicazione di qualità che parte dal centro
produce una serie di increspature concentriche che allargano il raggio e diffondono gli effetti
positivi sui pubblici più lontani. Investire di più su chi è più vicino è il modo più sicuro di
potenziare gli effetti comunicativi su tutti. Perché i cerchi, come le increspature dell’acqua, si
contagiano l’un l’altro. Un buon messaggio – che evita gli elementi impliciti – viaggia lontano e
non ha frontiere: la condivisione è assicurata.
Comunicare a cerchi concentrici sembra, fra l’altro, molto adatto per le istituzioni cristiane, che
da sempre hanno apprezzato il valore della corresponsabilità nella comunicazione dei valori del
Vangelo: non una voce ma tante. Non un portavoce, ma tutti portatori della voce del Vangelo. È lo
stesso fondatore della Chiesa a chiederlo: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni
creatura” (Mc, 16-15). E così ce lo chiede Francesco: comunicare il Vangelo “in tutti i luoghi, in
tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il
popolo, non può escludere nessuno”14.
La comunicazione a cerchi concentrici implica almeno tre conseguenze:
Prima. In un’epoca in cui ogni persona è un potenziale influencer, la comunicazione tenderà ad
essere meno medio-centrica e più incentrata sulle persone. Gli uffici di comunicazione saranno
sempre più impegnati nel dotare a tutti i livelli dell’istituzione, a tutte le persone, di quella saggezza
comunicativa che Anne Gregory chiama “intelligenza contestuale”15. Quando tutti siamo
interconnessi, gli effetti positivi dell’espansione comunicativa sono in crescita esponenziale.
Seconda. In un paradigma in cui sono saltate le barriere tecnologiche, la comunicazione sarà
meno condizionata da aspetti tecnici e più incentrata sui contenuti. Si torna alle fondamenta della
comunicazione: la capacità di trovare storie e di raccontarle; scrivere, parlare. Concentrarsi sui
contenuti, sulle argomentazioni e sulle narrative. La parola fondamentale è qualità: se i contenuti
sono utili e professionali, nel paradigma digitale la condivisione è quasi assicurata, si diffonderanno
anch’essi a cerchi concentrici.
Terza. In questa epoca delle disintermediazioni, il destino comunicativo delle organizzazioni è
un poco meno dipendente dai media e più incentrato sull’autodeterminazione e l’iniziativa
istituzionale. È sempre più difficile trasferire la responsabilità dei nostri mali agli altri (“i media non
14
Papa Francesco: Evangelii Gaudium, Roma 24.11.2013, n. 23. Cf. Anne Gregory e Paul Willis, cit., p. 54. 15
-­‐ 6/11 -­‐ mi capiscono”). Perché, come abbiamo detto, oggi i media siamo un po’ anche noi: il nostro
website, la nostra bacheca di Facebook, la nostra radio digitale. Spiegare noi stessi il senso e le
intenzioni delle nostre azioni, prima che siano gli altri ad interpretarle.
Insieme a queste tre conseguenze, il contesto della cultura digitale presenta, fra gli altri, tre
rischi o malattie, che colpiscono anche le istituzioni della Chiesa e tanti altri che promuovono cause
e valori positivi.
D’una parte, la polarizzazione nelle conversazioni, favorita dalla distanza fisica e del certo
anonimato della rete che, come dice Mastroianni, creano “continue contrapposizioni, che lasciando
le persone impermeabili al confronto”16. Una forma di polarizzazione è dedicarsi quasi
esclusivamente alla denuncia. Spesso si arriva ad un linciaggio dell’altro che è il peggior
ambasciatore della causa che s’intende promuovere.
D’altra parte, la sordità nelle relazioni. Molte organizzazioni rimangono folgorate dalla
possibilità di emettere messaggi a basso costo, e si dimenticano del contesto e degli interessi altrui;
così, i loro messaggi diventano irrilevanti. Finiscono per non comunicare perché “la trasmissione
del messaggio, in sé stessa non è niente di più che un tentativo di comunicazione”17 ma non un
evento comunicativo vero e proprio.
In terzo luogo, la dispersione nelle iniziative e nei contenuti. Uno studio della University of
California ha mostrato che, in media, i lavoratori attuali passano da un’attività ad un’altra ogni 3
minuti18: a volte forse non sarà possibile fare in altro modo, ma diciamo che quello non è lo
scenario ideale per la generazione di valore. L’accelerazione del flusso rende oggettivamente
difficile la concentrazione su ciò che è essenziale.
3. Una cultura comunicativa a misura della Chiesa
In questi 20 anni di seminari professionali, abbiamo concepito la comunicazione come fattore
strategico, di appoggio alla missione evangelizzatrice della Chiesa: la comunicazione come modo
di favorire una “cultura dell’incontro” che è, prima di niente, poter “incontrare” Dio nei dibattiti e
nelle conversazioni in ogni tipo di media. La comunicazione è anche fattore strategico che aiuta a
limitare danni, a superare malintesi, a levare ostacoli nella missione catechetica.
In questo contesto strategico, la comunicazione non dovrebbe essere più capita soltanto come
“un dipartimento” dell’istituzione ma come una cultura condivisa19. Come dice la professoressa
Anne Gregory, la comunicazione è istituzione, non semplicemente su una istituzione20. Oggi, i
dipartimenti di comunicazione della Chiesa sono chiamati a diventare promotori di una cultura
comunicativa che impregni tutti nell’istituzione e che sia all’altezza della propria missione.
In questo processo, i valori forniscono una guida nelle decisioni e rendono possibile che le voci
agiscano e comunichino con un carattere proprio21. E fra i valori della cultura comunicativa del
“soggetto” Chiesa, ce n’e uno fondamentale, che è alla base: la predisposizione naturale alla
partecipazione e alla condivisione, che dà titolo alla decima edizione del seminario. Come afferma
16
Bruno Mastroianni: “Un terreno da arare”, Vita Pastotale, Milano, maggio 2016, p. 38. Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di Blas, Sara Rubinelli e Stefano Tardini: Pensare e comunicare, Apogeo, Milano 2008, p. 172 18
Gloria Mark: “No Task Left Behind? Examining the Nature of Fragmented Work”, School of Information and Computer Science University of California, Irvine 2015 (http://www.ics.uci.edu/~gmark/CHI2005.pdf). 19
Cf. Anne Gregory e Paul Willis: cit. 20
Anne Gregory e Paul Willis, cit., p. 12. 21
Id., p. 62. 17
-­‐ 7/11 -­‐ Papa Francesco, “l’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi”22. A
noi, responsabili di comunicazione, tocca risvegliare in tutti i fedeli una sorta di pregiudizio positivo
verso la partecipazione nei dibattiti e nelle conversazioni pubbliche, tanto facilitate dal paradigma
digitale.
È molto incoraggiante che, proprio in questi anni di passaggio verso la cultura digitale, siano
sorte tante iniziative rivolte alla formazione e alla consolidazione di voci con competenza
comunicativa ed ecclesiale. Qui sono presenti i fondatori di Catholic Voices (che oggi opera in più
di 20 paesi), di iMission (che allena voci per le reti digitali), di Arguments (specialista nelle voci di
giovani), di Catholic Comment (in Irlanda), del Projeto Comunicação Aberta (in Brasile) e tante
altre simili realtà in diversi paesi. Moltiplicare le voci della fede e dei valori umani è dunque una
grande opportunità che ci viene offerta dal contesto attuale.
Oltre a questo valore che è alla base (la partecipazione e la condivisione) vorrei menzionare
altri tre aspetti che sono centrali nell’ethos cristiano e che fungono da terapia di quelle tre malattie o
rischi che ho menzionato prima. Come fa spesso Papa Francesco, useremo il linguaggio medico.
a) Per superare la polarizzazione e negatività nelle interazioni digitali, l’ufficio comunicazione
della Chiesa deve promuovere una sorta di affettoterapia permanente.
Lo Spirito Santo guida la Chiesa e i cristiani come conviene in ogni momento. E non è un caso
che gli ultimi tre pontificati si siano concentrati in modo evidente sulla comunicazione della carità,
nucleo del Vangelo. Benedetto XVI l’ha espresso in maniera nitida nella sua prima enciclica Deus
Caritas Est. Ora, Papa Francesco, usa quell’espressione della projimidad e la cultura dell’incontro,
che porta a capire ogni leadership — anche quella della comunicazione — in chiave di servizio agli
altri.
Per gli uffici di comunicazione, questa chiamata si traduce nell’impostare il lavoro di
comunicazione istituzionale a partire dal tratto fondamentale dell’identità cristiana: la carità. “La
carità — ha scritto Mora — è il contenuto, il metodo e lo stile della comunicazione della fede”23. Il
che presuppone, evidentemente, mettere la carità al centro del nostro operato, perché la
comunicazione non si fa tanto con il parlare o il dire, quando con l’essere e il fare. Un discorso “ha
più peso quando poggia su azioni specifiche che lo supportano”24.
Poi, bisogna prendere atto che “la carità, l’amore retto, non è solo il centro della vita cristiana,
ma anche dell’esistenza umana tout court”25, ed è molte volte la strada che spinge i nostri
contemporanei verso un nuovo interesse, una nuova simpatia, una nuova riscoperta degli elementi
essenziali del messaggio cristiano. A partire dalla carità è possibile pensare la società umana come
casa o famiglia dove le porte sono aperte e ci si accoglie a vicenda26.
Ogni comunicazione è ancora più profonda quando, per usare il termine del linguista John
Austin, diventa non solo espressiva o dichiarativa, ma performativa: porta ad eseguire o trasformare
qualcosa27. E qua, la strada dell’amabilità e dell’affetto sincero non ha paragoni.
22
Papa Francesco: “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, Roma 24.1.2016. Juan Manuel Mora: “10 claves para comunicar la fe”, Osservatore Romano, 18.8.2011. 24
Juan Pablo Cannata: Los valores en el discurso público, Logos, Argentina 2014, 159 pp. 25
Javier Echevarría: “El corazón cristiano, motor del desarrollo social”, Boletín Romana, Roma, diciembre 2012, n. 55, pp. 312. 26
Cf. Papa Francesco: “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, Messaggio per la 50ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Roma 24.1.2016. 27
Cf. John L. Austen: Come fare cose con le parole, Marietti, Genova 1987. 23
-­‐ 8/11 -­‐ Un esempio lo esprime meglio. Dopo la prima Messa in Coena Domini che Papa Francesco ha
celebrato in un carcere giovanile, all’uscita, uno dei ragazzi cui Francesco aveva lavato i piedi
(Michele, si chiama) disse al giornalista del Corriere della Sera che l’aveva intervistato: “È la
prima volta in vita mia che mi sono sentito amato!”. L’affetto autentico per la persona è di solito
l’atto di comunicazione più vero, e quello più performativo.
A tutti ci rattrista, e allo stesso tempo ci edifica, la testimonianza dei cristiani perseguitati in
questi anni. Contemplando le loro reazioni (a volte di fronte al martirio) uno capisce molto bene che
la carità è il marchio di fabbrica del cristiano. Perciò, non mi resisto a mettere un minuto
dell’intervista che molti di voi conoscete e che vorrei lasciare come icona di questa prima terapia
(l’affettoterapia) che costruisce ponti fra le persone e supera la negatività e la polarizzazione. Si
tratta dell’intervista della Sat7 a Myriam, una bambina di 10 anni — originaria di Qaraqoush, nel
nord dell’Iraq – che vive in un campo profughi, e che spiega all’intervistatore i sentimenti che la
invadono, di perdono verso i terroristi e di gratitudine verso Dio28.
b) In secondo luogo, per superare la sordità e arrivare ad una vera conversazione, abbiamo
bisogno di una sorta di ascoltoterapia.
Le reti sociali “sono la società che parla ad alta voce”29, ma dobbiamo imparare ad ascoltarla.
Ho trovato stimolante un libro del sociologo statunitense Richard Sennet intitolato Together
(Insieme), che tratta sull’arte della collaborazione e del dialogo. La tesi è che imparare certe abilità
dialogiche risulta cruciale per migliorare la qualità della vita sociale. Ma la comunicazione “si
affievolisce se dall’altra parte non c’è un vero desiderio d’ascoltare” 30.
L’ascolto e l’accompagnamento sono qualcosa di essenziale nella tradizione comunicativa del
cristianesimo: “percorrere un cammino fianco a fianco”31. È quello che fanno da secoli i confessori,
gli accompagnatori spirituali, i genitori e gli educatori cristiani. Ascoltare non è stato mai semplice,
perché richiama attenzione, comprensione, rispetto, oltre a rinunciare a quella sorta di eccesso di
enfasi.
L’ascolto – anche l’ascolto della società che parla – è qualcosa di essenziale per costruire una
cultura dell’incontro, ed è la chiave dei dibattiti proficui perché, come descrive Mastroianni, “un
dibattito non è un semplice scambio di messaggi e contenuti ma anzitutto un modo di entrare in
relazione con gli altri”32. Comunicare la fede — aggiunge Mora — “non è discutere per vincere, ma
dialogare per convincere su messaggi rilevanti”33.
In questo momento di fascino per la tecnologia, penso sia bene concepire il digitale come
preambolo e come continuità, ma non come sostituzione di un tipo più profondo di ascolto che
avviene nelle relazioni personali.
Nel Messaggio di Francesco per la 50 Giornata delle Comunicazioni Sociali, vengono messi in
risaltato sei aspetti che, se portati al nostro terreno, diventano una sorta di piccola guida per
convivere da cristiani nei social. Riflettono quanto abbiamo detto sull’affettoterapia e
l’ascoltoterapia.
28
Vedere, per esempio, in: https://www.youtube.com/watch?v=_ige6CcXuMg. José Luis Orihuela, cit., p. 52. 30
Richard Sennett: Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Roma 2012, 336 pp. 31
Papa Francesco: “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, Messaggio per la 50ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Roma 24.1.2016. 32
Bruno Mastroianni: “Un terreno da arare”, Vita Pastotale, maggio 2016, p. 38. 33
Juan Manuel Mora: “10 claves para comunicar la fe”, Osservatore Romano, 18.8.2011. 29
-­‐ 9/11 -­‐ Vivere da cristiani nei social media: 6 spunti di Papa Francesco
1.
2.
3.
4.
5.
6.
34
Ricorda che “l’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità”. Ascolta gli altri e pensa che “ascoltare significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui”. Prima di postare, impegnati a “scegliere con cura parole e gesti per (…) guarire la memoria ferita e costruire pace”. Deciditi a “non spezzare mai la relazione”. Nelle reti digitali “possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato (…) ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore”. Non dimenticare che “solo parole pronunciate con amore (…) toccano i cuori”. c) Infine, per superare la dispersione, il rimedio da applicare potrebbe essere descritto come una
sorta di studioterapia.
Il cristianesimo è la religione della carità e dell’amicizia (affetto e ascolto), ma la fede cristiana
si è anche auto-intesa da sempre come la religione “secondo la ragione”, la religione dello studio.
Come affermava il Cardinale Ratzinger, “noi cristiani dobbiamo stare molto attenti (…) a vivere
una fede che proviene dal logos, dalla ragione creatrice”35.
Perciò una parte fondamentale della cultura comunicativa dei cristiani consiste nell’apportare
una narrativa che dia ragione e senso, e non solo emotività. Nell’ambito specifico del digitale si
tratta di “aggiungere valore” versando contenuti di qualità, capaci di illuminare la vita di molte
persone e destinati a perdurare.
Si tratta di ricuperare il valore della studiositas, termine latino che Sant’Agostino oppone alla
curiositas, una sorta di enciclopedismo banale, un desiderio incontrollato di sapere cose che esplode
in tutte le direzioni, e che a volte non coglie le questioni fondamentali. La studiositas nel senso
agostiniano, invece, comprende metodo e passione per il vero36.
Come diceva Leclercq nel suo Elogio della pigrizia, ogni “sforzo deve partire da un riposo e
portare ad un riposo”37. Alle persone con incarichi di governo (serve anche a noi comunicatori),
ricordava: “una delle prime condizioni per il buon governo è quello di avere dei governanti con lo
spirito agile, l’anima serena e il cuore in pace”, e si domandava: “Come volete che possa funzionare
il mondo con tutti questi ipertesi frenetici?”38.
La studioterapia è una chiamata a valutare i nostri progetti di comunicazione a partire dal
primato della qualità sulla quantità; dell’importante sull’urgente; dell’essenziale sull’accidentale.
Fare in modo che le allerte di Google — che dovremmo certamente seguire e valutare nel suo giusto
termine — non siano la guida del nostro lavoro.
34
Tutti i virgolettati provengono dal messaggio di Papa Francesco per la 50ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”, Roma 24.1.2016. 35
Joseph Ratzinger: Discorso al Monastero di Santa Scolastica, Subiaco 1.4.2005. 36
Cfr. Marcello Tempesta: Lo studio come problema di educazione: fenomenologia e pedagogia dell’esperienza studiosa, Armando Editore, Roma 2008, p. 67. 37
Jacques Leclercq: Elogio de la pereza, Rialp, Madrid 2014, p. 14. 38
Id., pp. 24-­‐25. -­‐ 10/11 -­‐ La rete ha trasformato il modo di fare comunicazione istituzionale. Da una parte, abbiamo
appena il tempo di reagire con immediatezza alle sfide che ci arrivano a forma di flusso; ci rende
molto difficile il governo del presente, dove tutto accade a una grande velocità, e dove alcune
decisioni importanti vanno prese in questioni di minuti. Ma un grande vantaggio della rete è che ci
permette di lavorare sul passato, lasciando contenuti di qualità per il futuro: un video, un testo, una
serie, un corso.
Lo spiego con un esempio che ho potuto verificare personalmente. Ricorderete che dieci anni fa
c’è stato il lancio di un libro intitolato “Il Codice Da Vinci”. Poneva delle questioni sulla figura di
Gesù che generarono distorsioni notevoli. Un’indagine inglese fra i lettori del libro, ad esempio,
rivelava che per il 36% dei lettori, la Chiesa cattolica stava coprendo le supposte verità storiche su
Cristo39. Poco tempo dopo, varie persone conosciute (una è presente nella sala) hanno preparato un
elenco delle 50 principali domande su Gesù travisate dal libro, e hanno chiesto ad alcuni teologi lo
sforzo di rispondere con fondamento scientifico ma con un linguaggio divulgativo, in modo da
poterlo offrire gratis nella rete. Dieci anni dopo, se uno scrive “Jesucristo” su Google, le 50
domande su Gesù appaiono ancora oggi come il secondo risultato, e il documento continua a essere
condiviso da milioni di utenti. Da allora, si sono moltiplicate le pubblicazioni online e offline, non
per ultimo, la settimana scorsa, nella rivista di un’abazia benedettina del Sud Italia. Un contenuto di
qualità preparato 10 anni fa si posiziona sempre meglio in Internet. È la logica del tempo sullo
spazio. Il libro che diede origine a questo piccolo progetto, non appare nemmeno nelle ricerche su
Gesù.
La logica della partecipazione di qualità (fondata sulla studiositas) favorisce e potenzia la
condivisione.
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Il nuovo paradigma digitale sottolinea il ruolo attivo di ciascun membro della Chiesa (ogni
diocesi o realtà ecclesiale) nella creazione di un discorso pubblico che sia proiezione della propria
identità e dei propri valori. L’ufficio stampa ha un ruolo fondamentale nel dialogo con i media, ma i
tempi odierni richiamano più che mai una comunicazione a tutto campo che, a partire dal primo
cerchio, possa arrivare fino all’ultimo.
La promozione di una cultura forte della comunicazione — fondata nella carità, nella verità, nel
dialogo e nella riflessione — sembra la risposta giusta al nuovo scenario fatto con la partecipazione
di molti. Vedere sempre di più l’ufficio di comunicazione della Chiesa come propulsore culturale
che diffonde questa cultura in cerchi concentrici, a partire dai più vicini, per arrivare ai più lontani.
A percorrere questa strada ci aiuteranno i tanti relatori e i più di 400 partecipanti in questo
decimo seminario. Mi auguro che possiamo fare un buon viaggio e che l’esperienza romana sia
molto bella per tutti. E adesso, mi applico il principio dell’ascoltoterapia. Grazie.
39
Cf. MSNBC News Services, “Da Vinci undermines faith, survey claims”, Londra 16.5.2006. -­‐ 11/11 -­‐