«L`Accademia incontra» - Accademia Nazionale dei Lincei
Transcript
«L`Accademia incontra» - Accademia Nazionale dei Lincei
ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI _________ 28 ‐ 04 ‐ 2016 «L’Accademia incontra» Conferenza del Prof. Romano Prodi «EUROPA E MIGRAZIONI» * * * * * * Introduzione alla Conferenza del Presidente della Accademia Nazionale dei Lincei Alberto Quadrio Curzio Il mio ringraziamento a Romano Prodi per essere con noi oggi è davvero molto sentito perché sono consapevole che la richiesta di suoi interventi sulle tematiche istituzionali, sociali ed economiche europee ed internazionali è fittissima sia in Italia, che in Europa che all’estero. Non è necessario che lo presenti data la sua notorietà e tuttavia desidero richiamare due aspetti della sua professionalità meno noti. Il primo, che molto rileva in questo contesto, è che Romano Prodi è riconosciuto su scala internazionale come una personalità politica europea con solide radici accademiche ed è per questa combinazione e per le opere che sulla stessa ha realizzato che gli sono state conferite 38 lauree honoris causa. Il secondo aspetto è che Romano Prodi non ha 1 mai cessato di dialogare con la curiosità di continuare a conoscere da ogni ambiente frequentato portando nello stesso la sua grande esperienza. Questa sua capacità autentica di dialogo, nella chiarezza dei rispettivi punti di vista, lo ha reso un interlocutore politico internazionalmente affidabile anche quando egli ha cessato di avere ruoli istituzionali. * * * * * * ROMANO PRODI EUROPA E MIGRAZIONI Prima di tutto ringrazio dell’invito che ho ricevuto: per me è un vero onore essere qui con voi all’Accademia dei Lincei. Devo ammettere che non credo si possano dire cose di enorme novità su questo argomento, ma ritengo comunque utile rifletterci assieme. Farò un’esposizione abbastanza breve, poi aprirei un dibattito di approfondimento per chi ne ha voglia. Dobbiamo parlare delle migrazioni e della politica europea in risposta a questo fenomeno. Prima osservazione, il contesto mondiale delle migrazioni: è un fenomeno di una portata enorme. In questo momento, dicono le statistiche, ci sono 240 milioni di migranti nel mondo, cioè 240 milioni di persone che risiedono in un luogo lontano da quello in cui sono nati: due terzi sono “sfollati”, ovvero vivono all’interno del proprio paese di origine, e un terzo invece in nazioni diverse. Quello che colpisce di più di queste statistiche è che nel 2014 – l’ultimo anno su cui disponiamo di numeri precisi – abbiamo avuto quasi 60 milioni di migranti forzati: anche qui due terzi di migrazioni all’interno di un paese e un terzo verso altri paesi. Quando dico migranti forzati è chiaro che non includo soltanto quelli per fatti bellici – poi li vedremo – o per altri motivi politici. Includo evidentemente anche quella parte di migranti che chiamiamo economici. La distinzione fra gli uni e gli altri si fa molto sottile e in questi mesi, secondo me, è stata enfatizzata in modo esagerato; tante volte ho cercato di distinguere gli uni dagli altri, ma è difficile. 2 Un migrante che scappa per motivi di sicurezza dalla Siria, poi rimane in un campo per tre anni, dopodiché si trova in condizioni economiche disagiate e viene qui: ecco voglio vedere come lo definiamo; abbiamo mille casi di questo tipo. La distinzione, tuttavia, rimane e dunque accettiamola. Naturalmente, è chiaro che la migrazione per motivi economici non è un fatto temporaneo. Nonostante la diminuzione della povertà assoluta, abbiamo – sempre secondo le statistiche ONU – tra gli 800 e 900 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, cioè con meno di 1,25 $ al giorno, cioè 1€ al giorno sostanzialmente. Il che vi dice che siamo proprio di fronte a definizioni e misurazioni estremamente severe e basse, eppure parliamo di 900 milioni. C’è stato di certo un progresso dal momento che una generazione fa erano 2 miliardi in un mondo che aveva una popolazione inferiore: rimane, tuttavia, una situazione tragica. È chiaro che questa situazione deriva anche dall’enorme disuguaglianza che abbiamo nella distribuzione della ricchezza mondiale. Su questo tema possiamo citare le statistiche della Oxfam (che se volete sono non esagerate, perché comunque rigorose, ma un po’ troppo “da film”): ci dicono che il 48% della ricchezza mondiale è assegnata all’1% della popolazione e che il resto dell’80% meno ricco, diciamo così, possiede solo il 5,5% della ricchezza mondiale. In altre parole, la povertà e la distribuzione spaventosamente sproporzionata della ricchezza spingono naturalmente i popoli a migrare, a dispetto del miglioramento nella lotta contro la povertà assoluta. Il problema dei tipi di migrazioni diventa molto difficile da distinguere in queste situazioni. Abbiamo però un caso eclatante negli ultimi anni, ovvero la Siria con circa 4 milioni di migranti (3,9 milioni per la precisione) nel 2014: anche in questo caso con una quantità di migranti interni estremamente significativa, ma con un numero elevatissimo di migranti verso altri paesi. Questi numeri ci toccano da vicino, ma è necessario sottolineare che i dati relativi all’Italia sono molto diversi da quelli percepiti della popolazione. Se noi chiediamo chi sono i migranti, come ho fatto con dei ragazzi della scuola media, la risposta è: “Libici”. Come sappiamo però non c’è praticamente un libico che viene in Italia. Il che significa che i media forniscono una descrizione delle migrazioni molto diversa dal fenomeno reale. E se andiamo a vedere le cifre, vediamo una situazione italiana che sotto questo aspetto, dal punto di vista quantitativo, è abbastanza simile a quella di altri 3 paesi europei, cioè noi abbiamo circa 5,4/5,5 milioni di stranieri residenti in Italia, una percentuale simile a quella britannica, simile a quella tedesca (7/8 milioni ma con una popolazione maggiore) e simile anche a quella spagnola. Ma di questi migranti, oltre il 50% sono europei, cioè la grande maggioranza di questi sono europei! Solo il 20% arriva dall’Asia e un altro 20% dall’Africa, mentre si pensa che larga parte dei migranti sia di origine africana; la Romania è il paese d’origine da dove proviene il maggiore numero di migranti con 1.200.000 residenti in Italia, poi l’Albania con 490.000 (dunque un altro paese europeo), poi il Marocco con 480.000 (solo terzo) e poi la Cina con 260.000. Si, siamo il paese con la più alta migrazione cinese d’Europa, simile alla Gran Bretagna, ma la migrazione cinese si è spostata fortissimamente verso l’Italia. Poi abbiamo 250.000 ucraini, o meglio ucraine, dal momento che sono quasi tutte donne. Altri paesi da cui vengono i migranti sono Filippine, Egitto, Senegal, Nigeria e altri paesi con numeri inferiori, ma il grande blocco di origine è l’Europa e poi, come dicevo, il 20% proviene dall’Asia e un altro 20% dall’Africa. Un’altra tipica e importante caratteristica è che abbiamo sia in Italia sia negli altri paesi europei una sorta di specializzazione per professione dei diversi migranti. E su questo punto non mi dilungo dal momento che voi conoscete benissimo come stanno le cose. L’altra caratteristica, questa solo italiana tra i grandi paesi europei, è che abbiamo più emigranti che immigrati: un rovesciamento impressionante. Gli ultimi dati statistici precisi del 2014 ci forniscono la seguente fotografia: 150.000 emigranti e 92.000 immigrati. Se da un lato non ci dovremmo allarmare poiché il 2014 era un anno di crisi, dall’altro lato l’Italia si “distingue” in questo grande movimento dagli altri grandi paesi europei. E la situazione appare ancora più preoccupante se analizziamo le caratteristiche dei migranti in ingresso, che hanno un basso livello professionale, e un’uscita invece caratterizzata da un elevato livello professionale. I problemi economici e i danni conseguenti non hanno bisogno di commento. Basti notare che l’Italia spende dalla scuola materna fino al diploma di PhD tra i 300.000 e i 500.000€, un laureato fino a 300.000€, ovvero la perdita di queste capacità produce un danno economico enorme. Le proiezioni future su queste migrazioni suggeriscono che gli attuali flussi continueranno certamente ancora per qualche anno. Per quanto riguarda l’Europa, 4 mettiamo che la crisi economica si assesti verso una crescita continua ma lenta, dovremmo avere ancora emigrazione economica con un ruolo crescente dell’Africa. Infatti le proiezioni demografiche – su questo mi soffermerò più a lungo poi – l’Africa sarà l’area con maggiori migrazioni verso l’Europa. E già oggi l’importanza economica dei flussi migratori africani o della migrazione in generale è enorme. Nessuno riflette abbastanza sul fatto che nell’ultimo anno – i dati si riferiscono al 2014 – abbiamo avuto, nel mondo, 436 miliardi di rimesse degli emigranti e sono usciti dall’Italia 6 miliardi di euro netti per la nostra migrazione: un fenomeno, dunque, di grande portata. Inoltre, da due anni le rimesse in Africa hanno superato il volume degli aiuti pubblici e privati all’Africa. In altre parole, le rimesse stanno diventando la molla di sviluppo numero uno del continente africano. L’Africa diventerà il punto più delicato del nostro sistema di immigrazione perché la struttura demografica è agli antipodi di quella europea: in una generazione o poco più – entro la metà del secolo – l’Europa perderà circa 60 milioni di abitanti e quindi – oggi nell’Unione Europea ne abbiamo 497 – il problema dell’aggiustamento si pone come un problema molto importante. I paesi che più perdono popolazione sono tre: la Germania, l’Italia e la Spagna, in cui abbiamo un livello di natalità molto basso. Avevano un tasso di fecondità dell’1,29 per donna senza gli emigranti e dell’1,39 contando gli immigrati perché dopo quattro o cinque anni i comportamenti demografici degli immigrati diventano identici a quelli degli italiani, quindi abbiamo una curva leggera ma che poi non rimane più anomala come nel primo periodo. Ora voi capite che 1,29 o anche 1,39 per ogni donna significa un calo vorticoso della popolazione e quindi la Germania perderà entro la metà del secolo un 10-12 milioni di abitanti e se continua così e i flussi migratori rimangono stabili avrà una popolazione non lontana da quella della Francia. L’Italia perderà circa gli abitanti del Lazio, a dire il vero un po’ di più: insomma perderà 6 milioni di abitanti. Siamo dunque in una situazione demografica molto delicata. L’Africa invece ha la situazione opposta: passerà da poco più di 1 miliardo (1 miliardo e 100) a 2,2 miliardi di abitanti. Ci sono però importanti distinzioni in questa area del mondo su cui mi vorrei soffermare. L’Africa mediterranea si sta adattando ai comportamenti europei, per cui 5 alcuni paesi del Mediterraneo sono abbastanza vicini agli indici demografici scandinavi. L’Africa subsahariana ha invece ancora tassi di fertilità impressionanti. Un dato solo per non annoiarvi: l’età mediana italiana è 46 anni, quindi metà italiani hanno più di 46 anni e metà meno; in Mali, Ciad, Senegal, Mauritania, sono tra i 17 e i 18 anni, leggermente meno dei 18 anni. Ora, la differenza tra 46 e 18 anni è impressionante; in mezzo ci sono gli Stati Uniti a 33 o 34 e molti altri paesi. Ma tra Spagna, Italia e Germania da un lato – a cui possiamo aggiungere il Giappone – e i paesi subsahariani c’è una differenza abissale. Due anni fa quando incontrai il Presidente del Niger mi disse: “La nostra popolazione raddoppia in diciott’anni, o si fa qualcosa di nuovo oppure vengono da voi”. Naturalmente non tutti, perché c’è una grande migrazione verso il Sudafrica. Noi dovremmo preoccuparci dei nostri muri, ma è giusto sottolineare che il Sudafrica sta costruendo dei muri sui suoi confini. E forse più in generale c’è una tendenza globale a costruire muri. Non parliamo poi dei flussi migratori nei paesi del Golfo e della politica di questi paesi sulle migrazioni perché sotto certi aspetti è un capitolo veramente drammatico. L’Africa dal punto di vista economico ha avuto negli ultimi dieci anni uno sviluppo molto superiore al previsto: si è parlato infatti di “miracolo africano”. Negli ultimi anni però la crescita è in leggero calo. Ma il vero problema è che questo sviluppo è dovuto soprattutto al settore delle materie prime e dell’energia, e assai meno ad un processo di industrializzazione. Un processo di industrializzazione diffuso si è verificato solo in pochissimi paesi. A parte l’Egitto, l’unico grande paese che si è mosso in questa direzione è l’Etiopia, che con imprese industriali, con un basso livello di valore aggiunto, ha intrapreso la strada dello sviluppo in maniera simile a quella dell’Italia all’inizio del proprio processo di industrializzazione. Il resto dell’Africa invece sperimenta una forte e a tratti terribile urbanizzazione senza fondamenta economiche sane. È cresciuto anche il reddito e infatti qualcuno parla di “rinascimento africano”. Ora, “rinascimento” è una parola decisamente forte: c’è sì una fermentazione, ma è pur sempre vero che la percentuale di PIL dell’Africa rispetto al PIL mondiale è oggi simile a quella del 1980. Pertanto ciò che è accaduto è un calo della crescita fino al 2002-2003 e poi un incremento significativo, ma è necessario notare che siamo ancora a livelli di estrema povertà: la metà degli estremamente poveri nel mondo vive infatti 6 in Africa. Ed è proprio questa l’altra ragione per cui, come vi dicevo all’inizio, i flussi migratori dall’Africa saranno quelli più forti. Di fronte a questo fenomeno non c’è stata un’autentica politica europea per il Mediterraneo e per l’Africa. L’Europa resta il primo donatore verso l’Africa, ma non ha una politica e una strategia comune. Quando emerge un problema in qualche paese africano – mi sono trovato anch’io in queste condizioni – l’Unione Europea preferisce delegarlo alle ex potenze coloniali: in parte perché queste ultime conoscono meglio le ex-colonie e in parte perché c’è una sorta di regola non scritta che stabilisce una specie di diritto d’intervento o di responsabilità di agire. Non sorprende dunque che i drammi della Costa d’Avorio li ha finiti per gestire la Francia, quelli dello Zimbabwe la Gran Bretagna e così via. Questo tipo di approccio costituisce un errore enorme perché si perpetua l’idea di una specie di protezione indiretta e di un proseguimento del passato. Il risultato di questa assenza di politica europea è l’allontanamento del Nord Africa dall’Europa, che è vista sempre più lontana nell’immagine e nella vita quotidiana dei cittadini. In questo modo il Nord Africa invece di legarsi all’Italia meridionale è diventato sempre più Africa, anche su questioni politiche e di sicurezza come il terrorismo. Io stesso mi sono trovato di fronte a fatti che hanno quasi dell’incredibile: non solo l’assenza di una politica di investimenti in Africa, ma anche la bocciatura di alcuni progetti elementari come le Università miste. Nel 2003 l’idea era di organizzare alcuni corsi di studio, ad esempio a Catania e Tunisi, che comprendevano due anni di studio nel “sud” e due al “nord” con un numero eguale di professori del “sud” e del “nord”. Un progetto, peraltro, con una spesa estremamente limitata. Purtroppo, alcuni paesi del Nord Europa hanno detto che era denaro buttato via, così come hanno detto per la Banca del Mediterraneo. È vero che c’è già la BEI (la Banca Europea degli investimenti) ed essa è certamente efficiente, però una cosa è una banca europea che investe nel Mediterraneo, un’altra cosa è una banca mista con membri del consiglio di amministrazione che provengono sia dal sud che dal nord. Numerose volte mi sono chiesto se la Primavera araba non sarebbe stata diversa nel caso avessimo avuto questi progetti “tipo Erasmus”, questi scambi di nuova generazione, che sono piccola cosa dal punto di vista finanziario, ma che 7 hanno un enorme impatto sulla società: è mancata una visione politica riguardo a questi problemi. In relazione all’Africa poi abbiamo avuto nello stesso tempo una politica americana distratta, rivolta più che altro ai paesi petroliferi e ai paesi amici e anche un’assenza totale della Russia. Dopo la Guerra fredda, quando l’Africa era un’area di grande interesse anche per l’Unione Sovietica, la Russia ha totalmente abbandonato l’Africa. Non esiste infatti alcuna influenza russa in Africa, quando invece è aumentata la presenza cinese, che è l’unica Potenza ad avere una vera e propria politica continentale. La Cina ha rapporti diplomatici con 51 dei 54 paesi africani. Anche se l’Unione Europea eroga più aiuti della Cina, quest’ultima ha una politica di investimenti rapidi, che sono quelli di cui oggi c’è più bisogno. A questo proposito voglio citarvi un aneddoto: a un G8 a cui ho partecipato, il Presidente Senegalese Wade mi ha detto: “Ho fatto più affari in mezz’ora di colloqui con il Primo Ministro Cinese che con tutti voi nei lunghi anni della mia presidenza”. Se vogliamo affrontare questi problemi in modo efficace, è necessario un piano di dimensioni dieci volte superiori al Piano Juncker per l’Europa. Un piano che deve fondarsi su una serie di investimenti rapidi ma di lungo periodo, e che a mio parere sarebbe – anche dal punto di vista strettamente economico – un grande affare per l’Europa. Tuttavia, non vedo onestamente le condizioni politiche che permettano la creazione di un progetto di questa portata. Non volendo dilungarmi troppo, farò solo una breve introduzione riguardo ai nostri problemi più attuali. È chiaro che la guerra in Libia ha complicato la natura dei flussi migratori africani verso l’Europa. Prima dell’intervento della NATO c’era un modo – a volte conflittuale e a volte consensuale – su come regolare questi flussi. Quante volte Gheddafi mi ha minacciato dicendomi che avrebbe mandato i “barconi” in Italia; e immagino che minacce simili siano state fatte al governo Berlusconi. Alla fine non li ha mai mandati, perché ci sono sempre stati strumenti con cui si poteva trattare con Gheddafi. La tragica guerra di Libia ha fatto mancare un qualsiasi interlocutore sul posto; dopodiché è cominciata la fase della migrazione che oggi spaventa le opinioni pubbliche europee. Anche prima del conflitto militare, le migrazioni erano considerevoli: la Germania, per esempio, aveva accolto più migranti prima degli anni 8 della crisi economica che nell’ultimo periodo. Ma tutto veniva gestito in modo ragionevole e senza allarmismi. Con la guerra di Siria e di Libia il problema del controllo dei flussi è saltato ed è arrivata la paura dell’invasione migratoria: una paura collettiva. Non solo le tensioni esistenti in alcune aree urbane, che qualcuno chiamerebbe ghetti, in tanti quartieri, ma proprio una paura collettiva che ha cambiato l’anima profonda dell’Europa. La crisi dei partiti tradizionali e il trionfo del populismo in Europa è avvenuta proprio per questo motivo. Il caso della crisi economica e finanziaria greca – un caso di enorme importanza – ha toccato solo i governi e non ha toccato la sensibilità dei popoli. È invece l’immigrazione che ha cambiato l’atteggiamento, perché ha generato paura; ha generato un senso di estraneità e di mancanza di protezione; ha rotto in modo radicale la solidarietà tra i diversi paesi europei. Intendiamoci, una rottura all’interno dell’Unione Europea era già presente, come è chiaro dal passaggio del potere dalla Commissione al Consiglio, ovvero ai singoli Stati. Le tensioni tra i diversi paesi erano già dunque esistenti e il caso greco ne è solo un esempio. I recenti flussi migratori hanno portato poi i governi a una politica che segue la paura: invece di comportarsi da leader veri, sono stati obbligati a comportarsi come “leader barometrici”, cioè a seguire in modo quasi passivo l’elettorato. Si prenda il caso interessantissimo dell’Austria. In questo paese oggi più o meno tutti i partiti vogliono chiudere il Brennero. Il primo a suggerire questa politica non è stata l’estrema destra, bensì il Cancelliere socialista a ridosso delle elezioni presidenziali. È vero che in molti altri paesi le chiusure dei confini sono iniziate a Destra, ma oggi risposte simili arrivano da tutto lo spettro politico. In altre parole, la politica della chiusura e della frammentazione è diventata una caratteristica comune, proprio in conseguenza dei flussi migratori visti come il primo, grande problema che colpisce le popolazioni europee. Le altre grandi questioni invece sembravano rimanere nell’ambito della classe dirigente. Un tale sviluppo è molto preoccupante perché queste reazioni quando emergono possono cambiare il corso della storia. L’Italia si è trovata e si trova in una situazione estremamente anomala non del tutto colta dagli osservatori: larga parte dei confini italiani sono marittimi e dunque 9 la politica dell’Italia non può essere la stessa di chi ha confini di terra. Infatti, a prescindere da questioni di giustizia e morali, i muri per essere costruiti hanno bisogno di poggiare a terra: sull’acqua invece i muri non possono essere costruiti e dunque “l’emigrante di acqua” non si può fare altro che accoglierlo. Non lo si può di certo buttare in mare. Ricordavo proprio oggi, ne parlavo prima con il Generale Cucchi, quello che successe quando, era il Venerdì Santo del ’97, la nave della nostra Marina urtò la nave albanese che si chiamava “Katër i Radës” e ci furono 84 morti. Fu una tragedia immane, un tragico incidente che scatenò giustamente forti reazioni emotive. Queste sono le sciagure del mare di ieri e di oggi. Siamo stati l’unico paese europeo – fino a che la Grecia non è entrata in gioco, e poi vedremo anche questo aspetto – che ha dovuto affrontare questo problema. Perché l’unico? Perché la Spagna ha di fronte a sé paesi che, per ora, sono stabili. Dico per ora perché l’Algeria mi preoccupa molto; il Marocco è più sicuro, però ci sono problemi di ordine pubblico e sicurezza che finora sono stati tenuti sotto controllo molto bene, ma la situazione è complicata. Noi italiani ci siamo trovati, prima che scoppiasse il conflitto siriano, ad essere l’unico paese del Mediterraneo ad avere questo problema, e siamo stati sostanzialmente abbandonati. Avremo anche fatto degli errori, può darsi che la nostra statura burocratica non abbia performato al cento per cento. Ma il vero punto è che finché la questione dell’immigrazione non ha toccato da vicino il nord Europa, noi siamo stati sostanzialmente abbandonati. Ed è interessante che alla fine, con tutta la fatica e con tutti i problemi ancora sul tavolo, il caso dei migranti siriani è stato affrontato politicamente, mentre la gestione dei flussi dalla Libia non ha trovato ancora una soluzione. Intendiamoci, nessuno di noi è felice per l’accordo-baratto greco-turco sui rimpatriati, però è anche un segno di realpolitik. Dobbiamo, infatti, ricordare che la Turchia è l’unico paese al mondo che possiede e può fare scoppiare “l’arma nucleare demografica” perché ha più di 1 milione e mezzo di rifugiati. Questo baratto, chiamiamolo così, che da un punto di vista umano è ripugnante, è stato però quasi obbligatorio nella situazione in cui ci si è trovati. Quindi il grande problema attuale è di avere una politica europea comune, dal momento che nelle condizioni attuali gli interessi divergono profondamente. 10 L’unico rimedio – e con questo concludo e poi se volete apriamo il dibattito – è proprio una politica europea unitaria e di grande sviluppo dell’Africa. Per dare un messaggio di sicurezza ai cittadini, si sta costruendo molto gradualmente un corpo di guardie di frontiera, però con grande lentezza e senza inviare il messaggio che la sicurezza è un fatto collettivo, è il prodotto della reciprocità. Quindi l’efficacia di questi passi è tuttora molto scarsa. In altre parole, i provvedimenti attuali non stanno dando il messaggio di tranquillità e di sicurezza che è necessario dare in un periodo come questo. Se pensiamo infatti ai problemi demografici europei, ci sarebbero anche delle opportunità da cogliere oggi, naturalmente risolvendo prima molte questioni legate alle scuole, alle politiche del lavoro, della lingua, degli alloggi: ma la possibilità di affrontare con successo le sfide attuali c’è. Nella frammentazione di oggi tutto è molto più difficile, perché ogni paese si ritiene soggetto a un peso eccessivo rispetto agli altri e perché ognuno pensa di sborsare risorse più degli altri. Non sorprende dunque l’assenza di accordo tra i paesi europei: un disaccordo che non riguarda soltanto le migrazioni, ma tutta la politica europea. Abbiamo assistito anche negli ultimi giorni a degli strani scambi di scortesie in ambito europeo. La mancanza di accordo su una politica comune nei confronti della questione dell’immigrazione rivela un problema molto più ampio. Oggi però sono i flussi migratori a costituire la priorità, ed è a questo problema che dobbiamo dare risposte se vogliamo ricominciare la ricostruzione dell’Europa. Grazie. 11