«L`Accademia incontra» - Accademia Nazionale dei Lincei

Transcript

«L`Accademia incontra» - Accademia Nazionale dei Lincei
ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
_________
28 ‐ 04 ‐ 2016
«L’Accademia incontra»
Conferenza del
Prof. Romano Prodi
«EUROPA E MIGRAZIONI»
* * * * * *
Introduzione alla Conferenza
del Presidente della Accademia Nazionale dei Lincei
Alberto Quadrio Curzio
Il mio ringraziamento a Romano Prodi per essere con noi oggi è davvero molto
sentito perché sono consapevole che la richiesta di suoi interventi sulle tematiche
istituzionali, sociali ed economiche europee ed internazionali è fittissima sia in Italia,
che in Europa che all’estero. Non è necessario che lo presenti data la sua notorietà e
tuttavia desidero richiamare due aspetti della sua professionalità meno noti. Il primo,
che molto rileva in questo contesto, è che Romano Prodi è riconosciuto su scala
internazionale come una personalità politica europea con solide radici accademiche
ed è per questa combinazione e per le opere che sulla stessa ha realizzato che gli sono
state conferite 38 lauree honoris causa. Il secondo aspetto è che Romano Prodi non ha
1
mai cessato di dialogare con la curiosità di continuare a conoscere da ogni ambiente
frequentato portando nello stesso la sua grande esperienza. Questa sua capacità
autentica di dialogo, nella chiarezza dei rispettivi punti di vista, lo ha reso un
interlocutore politico internazionalmente affidabile anche quando egli ha cessato di
avere ruoli istituzionali.
* * * * * *
ROMANO PRODI
EUROPA E MIGRAZIONI
Prima di tutto ringrazio dell’invito che ho ricevuto: per me è un vero onore
essere qui con voi all’Accademia dei Lincei. Devo ammettere che non credo si
possano dire cose di enorme novità su questo argomento, ma ritengo comunque utile
rifletterci assieme.
Farò
un’esposizione
abbastanza
breve,
poi
aprirei
un
dibattito
di
approfondimento per chi ne ha voglia. Dobbiamo parlare delle migrazioni e della
politica europea in risposta a questo fenomeno. Prima osservazione, il contesto
mondiale delle migrazioni: è un fenomeno di una portata enorme.
In questo momento, dicono le statistiche, ci sono 240 milioni di migranti nel
mondo, cioè 240 milioni di persone che risiedono in un luogo lontano da quello in cui
sono nati: due terzi sono “sfollati”, ovvero vivono all’interno del proprio paese di
origine, e un terzo invece in nazioni diverse.
Quello che colpisce di più di queste statistiche è che nel 2014 – l’ultimo anno su
cui disponiamo di numeri precisi – abbiamo avuto quasi 60 milioni di migranti
forzati: anche qui due terzi di migrazioni all’interno di un paese e un terzo verso altri
paesi.
Quando dico migranti forzati è chiaro che non includo soltanto quelli per fatti
bellici – poi li vedremo – o per altri motivi politici. Includo evidentemente anche
quella parte di migranti che chiamiamo economici. La distinzione fra gli uni e gli altri
si fa molto sottile e in questi mesi, secondo me, è stata enfatizzata in modo esagerato;
tante volte ho cercato di distinguere gli uni dagli altri, ma è difficile.
2
Un migrante che scappa per motivi di sicurezza dalla Siria, poi rimane in un
campo per tre anni, dopodiché si trova in condizioni economiche disagiate e viene
qui: ecco voglio vedere come lo definiamo; abbiamo mille casi di questo tipo. La
distinzione, tuttavia, rimane e dunque accettiamola.
Naturalmente, è chiaro che la migrazione per motivi economici non è un fatto
temporaneo. Nonostante la diminuzione della povertà assoluta, abbiamo – sempre
secondo le statistiche ONU – tra gli 800 e 900 milioni di persone che vivono in
povertà assoluta, cioè con meno di 1,25 $ al giorno, cioè 1€ al giorno sostanzialmente.
Il che vi dice che siamo proprio di fronte a definizioni e misurazioni estremamente
severe e basse, eppure parliamo di 900 milioni.
C’è stato di certo un progresso dal momento che una generazione fa erano 2
miliardi in un mondo che aveva una popolazione inferiore: rimane, tuttavia, una
situazione tragica. È chiaro che questa situazione deriva anche dall’enorme
disuguaglianza che abbiamo nella distribuzione della ricchezza mondiale. Su questo
tema possiamo citare le statistiche della Oxfam (che se volete sono non esagerate,
perché comunque rigorose, ma un po’ troppo “da film”): ci dicono che il 48% della
ricchezza mondiale è assegnata all’1% della popolazione e che il resto dell’80% meno
ricco, diciamo così, possiede solo il 5,5% della ricchezza mondiale. In altre parole, la
povertà e la distribuzione spaventosamente sproporzionata della ricchezza spingono
naturalmente i popoli a migrare, a dispetto del miglioramento nella lotta contro la
povertà assoluta.
Il problema dei tipi di migrazioni diventa molto difficile da distinguere in
queste situazioni. Abbiamo però un caso eclatante negli ultimi anni, ovvero la Siria
con circa 4 milioni di migranti (3,9 milioni per la precisione) nel 2014: anche in questo
caso con una quantità di migranti interni estremamente significativa, ma con un
numero elevatissimo di migranti verso altri paesi.
Questi numeri ci toccano da vicino, ma è necessario sottolineare che i dati
relativi all’Italia sono molto diversi da quelli percepiti della popolazione. Se noi
chiediamo chi sono i migranti, come ho fatto con dei ragazzi della scuola media, la
risposta è: “Libici”. Come sappiamo però non c’è praticamente un libico che viene in
Italia. Il che significa che i media forniscono una descrizione delle migrazioni molto
diversa dal fenomeno reale.
E se andiamo a vedere le cifre, vediamo una situazione italiana che sotto
questo aspetto, dal punto di vista quantitativo, è abbastanza simile a quella di altri
3
paesi europei, cioè noi abbiamo circa 5,4/5,5 milioni di stranieri residenti in Italia, una
percentuale simile a quella britannica, simile a quella tedesca (7/8 milioni ma con una
popolazione maggiore) e simile anche a quella spagnola.
Ma di questi migranti, oltre il 50% sono europei, cioè la grande maggioranza di
questi sono europei! Solo il 20% arriva dall’Asia e un altro 20% dall’Africa, mentre si
pensa che larga parte dei migranti sia di origine africana; la Romania è il paese
d’origine da dove proviene il maggiore numero di migranti con 1.200.000 residenti in
Italia, poi l’Albania con 490.000 (dunque un altro paese europeo), poi il Marocco con
480.000 (solo terzo) e poi la Cina con 260.000. Si, siamo il paese con la più alta
migrazione cinese d’Europa, simile alla Gran Bretagna, ma la migrazione cinese si è
spostata fortissimamente verso l’Italia.
Poi abbiamo 250.000 ucraini, o meglio ucraine, dal momento che sono quasi
tutte donne. Altri paesi da cui vengono i migranti sono Filippine, Egitto, Senegal,
Nigeria e altri paesi con numeri inferiori, ma il grande blocco di origine è l’Europa e
poi, come dicevo, il 20% proviene dall’Asia e un altro 20% dall’Africa.
Un’altra tipica e importante caratteristica è che abbiamo sia in Italia sia negli
altri paesi europei una sorta di specializzazione per professione dei diversi migranti.
E su questo punto non mi dilungo dal momento che voi conoscete benissimo come
stanno le cose.
L’altra caratteristica, questa solo italiana tra i grandi paesi europei, è che
abbiamo più emigranti che immigrati: un rovesciamento impressionante. Gli ultimi
dati statistici precisi del 2014 ci forniscono la seguente fotografia: 150.000 emigranti e
92.000 immigrati. Se da un lato non ci dovremmo allarmare poiché il 2014 era un
anno di crisi, dall’altro lato l’Italia si “distingue” in questo grande movimento dagli
altri grandi paesi europei.
E la situazione appare ancora più preoccupante se analizziamo le
caratteristiche dei migranti in ingresso, che hanno un basso livello professionale, e
un’uscita invece caratterizzata da un elevato livello professionale. I problemi
economici e i danni conseguenti non hanno bisogno di commento. Basti notare che
l’Italia spende dalla scuola materna fino al diploma di PhD tra i 300.000 e i 500.000€,
un laureato fino a 300.000€, ovvero la perdita di queste capacità produce un danno
economico enorme.
Le proiezioni future su queste migrazioni suggeriscono che gli attuali flussi
continueranno certamente ancora per qualche anno. Per quanto riguarda l’Europa,
4
mettiamo che la crisi economica si assesti verso una crescita continua ma lenta,
dovremmo avere ancora emigrazione economica con un ruolo crescente dell’Africa.
Infatti le proiezioni demografiche – su questo mi soffermerò più a lungo poi –
l’Africa sarà l’area con maggiori migrazioni verso l’Europa.
E già oggi l’importanza economica dei flussi migratori africani o della
migrazione in generale è enorme. Nessuno riflette abbastanza sul fatto che
nell’ultimo anno – i dati si riferiscono al 2014 – abbiamo avuto, nel mondo, 436
miliardi di rimesse degli emigranti e sono usciti dall’Italia 6 miliardi di euro netti per
la nostra migrazione: un fenomeno, dunque, di grande portata. Inoltre, da due anni
le rimesse in Africa hanno superato il volume degli aiuti pubblici e privati all’Africa.
In altre parole, le rimesse stanno diventando la molla di sviluppo numero uno del
continente africano.
L’Africa diventerà il punto più delicato del nostro sistema di immigrazione
perché la struttura demografica è agli antipodi di quella europea: in una generazione
o poco più – entro la metà del secolo – l’Europa perderà circa 60 milioni di abitanti e
quindi – oggi nell’Unione Europea ne abbiamo 497 – il problema dell’aggiustamento
si pone come un problema molto importante.
I paesi che più perdono popolazione sono tre: la Germania, l’Italia e la Spagna,
in cui abbiamo un livello di natalità molto basso. Avevano un tasso di fecondità
dell’1,29 per donna senza gli emigranti e dell’1,39 contando gli immigrati perché
dopo quattro o cinque anni i comportamenti demografici degli immigrati diventano
identici a quelli degli italiani, quindi abbiamo una curva leggera ma che poi non
rimane più anomala come nel primo periodo.
Ora voi capite che 1,29 o anche 1,39 per ogni donna significa un calo vorticoso
della popolazione e quindi la Germania perderà entro la metà del secolo un 10-12
milioni di abitanti e se continua così e i flussi migratori rimangono stabili avrà una
popolazione non lontana da quella della Francia. L’Italia perderà circa gli abitanti del
Lazio, a dire il vero un po’ di più: insomma perderà 6 milioni di abitanti. Siamo
dunque in una situazione demografica molto delicata.
L’Africa invece ha la situazione opposta: passerà da poco più di 1 miliardo (1
miliardo e 100) a 2,2 miliardi di abitanti.
Ci sono però importanti distinzioni in questa area del mondo su cui mi vorrei
soffermare. L’Africa mediterranea si sta adattando ai comportamenti europei, per cui
5
alcuni paesi del Mediterraneo sono abbastanza vicini agli indici demografici
scandinavi. L’Africa subsahariana ha invece ancora tassi di fertilità impressionanti.
Un dato solo per non annoiarvi: l’età mediana italiana è 46 anni, quindi metà
italiani hanno più di 46 anni e metà meno; in Mali, Ciad, Senegal, Mauritania, sono
tra i 17 e i 18 anni, leggermente meno dei 18 anni.
Ora, la differenza tra 46 e 18 anni è impressionante; in mezzo ci sono gli Stati
Uniti a 33 o 34 e molti altri paesi. Ma tra Spagna, Italia e Germania da un lato – a cui
possiamo aggiungere il Giappone – e i paesi subsahariani c’è una differenza abissale.
Due anni fa quando incontrai il Presidente del Niger mi disse: “La nostra
popolazione raddoppia in diciott’anni, o si fa qualcosa di nuovo oppure vengono da
voi”. Naturalmente non tutti, perché c’è una grande migrazione verso il Sudafrica.
Noi dovremmo preoccuparci dei nostri muri, ma è giusto sottolineare che il Sudafrica
sta costruendo dei muri sui suoi confini. E forse più in generale c’è una tendenza
globale a costruire muri. Non parliamo poi dei flussi migratori nei paesi del Golfo e
della politica di questi paesi sulle migrazioni perché sotto certi aspetti è un capitolo
veramente drammatico.
L’Africa dal punto di vista economico ha avuto negli ultimi dieci anni uno
sviluppo molto superiore al previsto: si è parlato infatti di “miracolo africano”. Negli
ultimi anni però la crescita è in leggero calo. Ma il vero problema è che questo
sviluppo è dovuto soprattutto al settore delle materie prime e dell’energia, e assai
meno ad un processo di industrializzazione.
Un processo di industrializzazione diffuso si è verificato solo in pochissimi
paesi. A parte l’Egitto, l’unico grande paese che si è mosso in questa direzione è
l’Etiopia, che con imprese industriali, con un basso livello di valore aggiunto, ha
intrapreso la strada dello sviluppo in maniera simile a quella dell’Italia all’inizio del
proprio processo di industrializzazione.
Il resto dell’Africa invece sperimenta una forte e a tratti terribile
urbanizzazione senza fondamenta economiche sane.
È cresciuto anche il reddito e infatti qualcuno parla di “rinascimento africano”.
Ora, “rinascimento” è una parola decisamente forte: c’è sì una fermentazione, ma è
pur sempre vero che la percentuale di PIL dell’Africa rispetto al PIL mondiale è oggi
simile a quella del 1980. Pertanto ciò che è accaduto è un calo della crescita fino al
2002-2003 e poi un incremento significativo, ma è necessario notare che siamo ancora
a livelli di estrema povertà: la metà degli estremamente poveri nel mondo vive infatti
6
in Africa. Ed è proprio questa l’altra ragione per cui, come vi dicevo all’inizio, i flussi
migratori dall’Africa saranno quelli più forti.
Di fronte a questo fenomeno non c’è stata un’autentica politica europea per il
Mediterraneo e per l’Africa. L’Europa resta il primo donatore verso l’Africa, ma non
ha una politica e una strategia comune. Quando emerge un problema in qualche
paese africano – mi sono trovato anch’io in queste condizioni – l’Unione Europea
preferisce delegarlo alle ex potenze coloniali: in parte perché queste ultime
conoscono meglio le ex-colonie e in parte perché c’è una sorta di regola non scritta
che stabilisce una specie di diritto d’intervento o di responsabilità di agire.
Non sorprende dunque che i drammi della Costa d’Avorio li ha finiti per
gestire la Francia, quelli dello Zimbabwe la Gran Bretagna e così via. Questo tipo di
approccio costituisce un errore enorme perché si perpetua l’idea di una specie di
protezione indiretta e di un proseguimento del passato.
Il risultato di questa assenza di politica europea è l’allontanamento del Nord
Africa dall’Europa, che è vista sempre più lontana nell’immagine e nella vita
quotidiana dei cittadini. In questo modo il Nord Africa invece di legarsi all’Italia
meridionale è diventato sempre più Africa, anche su questioni politiche e di
sicurezza come il terrorismo.
Io stesso mi sono trovato di fronte a fatti che hanno quasi dell’incredibile: non
solo l’assenza di una politica di investimenti in Africa, ma anche la bocciatura di
alcuni progetti elementari come le Università miste. Nel 2003 l’idea era di
organizzare alcuni corsi di studio, ad esempio a Catania e Tunisi, che
comprendevano due anni di studio nel “sud” e due al “nord” con un numero eguale
di professori del “sud” e del “nord”. Un progetto, peraltro, con una spesa
estremamente limitata. Purtroppo, alcuni paesi del Nord Europa hanno detto che era
denaro buttato via, così come hanno detto per la Banca del Mediterraneo. È vero che
c’è già la BEI (la Banca Europea degli investimenti) ed essa è certamente efficiente,
però una cosa è una banca europea che investe nel Mediterraneo, un’altra cosa è una
banca mista con membri del consiglio di amministrazione che provengono sia dal
sud che dal nord.
Numerose volte mi sono chiesto se la Primavera araba non sarebbe stata
diversa nel caso avessimo avuto questi progetti “tipo Erasmus”, questi scambi di
nuova generazione, che sono piccola cosa dal punto di vista finanziario, ma che
7
hanno un enorme impatto sulla società: è mancata una visione politica riguardo a
questi problemi.
In relazione all’Africa poi abbiamo avuto nello stesso tempo una politica
americana distratta, rivolta più che altro ai paesi petroliferi e ai paesi amici e anche
un’assenza totale della Russia. Dopo la Guerra fredda, quando l’Africa era un’area di
grande interesse anche per l’Unione Sovietica, la Russia ha totalmente abbandonato
l’Africa. Non esiste infatti alcuna influenza russa in Africa, quando invece è
aumentata la presenza cinese, che è l’unica Potenza ad avere una vera e propria
politica continentale.
La Cina ha rapporti diplomatici con 51 dei 54 paesi africani. Anche se l’Unione
Europea eroga più aiuti della Cina, quest’ultima ha una politica di investimenti
rapidi, che sono quelli di cui oggi c’è più bisogno. A questo proposito voglio citarvi
un aneddoto: a un G8 a cui ho partecipato, il Presidente Senegalese Wade mi ha
detto: “Ho fatto più affari in mezz’ora di colloqui con il Primo Ministro Cinese che
con tutti voi nei lunghi anni della mia presidenza”.
Se vogliamo affrontare questi problemi in modo efficace, è necessario un piano
di dimensioni dieci volte superiori al Piano Juncker per l’Europa. Un piano che deve
fondarsi su una serie di investimenti rapidi ma di lungo periodo, e che a mio parere
sarebbe – anche dal punto di vista strettamente economico – un grande affare per
l’Europa. Tuttavia, non vedo onestamente le condizioni politiche che permettano la
creazione di un progetto di questa portata.
Non volendo dilungarmi troppo, farò solo una breve introduzione riguardo ai
nostri problemi più attuali. È chiaro che la guerra in Libia ha complicato la natura dei
flussi migratori africani verso l’Europa.
Prima dell’intervento della NATO c’era un modo – a volte conflittuale e a volte
consensuale – su come regolare questi flussi. Quante volte Gheddafi mi ha
minacciato dicendomi che avrebbe mandato i “barconi” in Italia; e immagino che
minacce simili siano state fatte al governo Berlusconi. Alla fine non li ha mai
mandati, perché ci sono sempre stati strumenti con cui si poteva trattare con
Gheddafi.
La tragica guerra di Libia ha fatto mancare un qualsiasi interlocutore sul posto;
dopodiché è cominciata la fase della migrazione che oggi spaventa le opinioni
pubbliche europee. Anche prima del conflitto militare, le migrazioni erano
considerevoli: la Germania, per esempio, aveva accolto più migranti prima degli anni
8
della crisi economica che nell’ultimo periodo. Ma tutto veniva gestito in modo
ragionevole e senza allarmismi. Con la guerra di Siria e di Libia il problema del
controllo dei flussi è saltato ed è arrivata la paura dell’invasione migratoria: una
paura collettiva.
Non solo le tensioni esistenti in alcune aree urbane, che qualcuno chiamerebbe
ghetti, in tanti quartieri, ma proprio una paura collettiva che ha cambiato l’anima
profonda dell’Europa. La crisi dei partiti tradizionali e il trionfo del populismo in
Europa è avvenuta proprio per questo motivo. Il caso della crisi economica e
finanziaria greca – un caso di enorme importanza – ha toccato solo i governi e non ha
toccato la sensibilità dei popoli. È invece l’immigrazione che ha cambiato
l’atteggiamento, perché ha generato paura; ha generato un senso di estraneità e di
mancanza di protezione; ha rotto in modo radicale la solidarietà tra i diversi paesi
europei.
Intendiamoci, una rottura all’interno dell’Unione Europea era già presente,
come è chiaro dal passaggio del potere dalla Commissione al Consiglio, ovvero ai
singoli Stati. Le tensioni tra i diversi paesi erano già dunque esistenti e il caso greco
ne è solo un esempio. I recenti flussi migratori hanno portato poi i governi a una
politica che segue la paura: invece di comportarsi da leader veri, sono stati obbligati a
comportarsi come “leader barometrici”, cioè a seguire in modo quasi passivo
l’elettorato.
Si prenda il caso interessantissimo dell’Austria. In questo paese oggi più o
meno tutti i partiti vogliono chiudere il Brennero. Il primo a suggerire questa politica
non è stata l’estrema destra, bensì il Cancelliere socialista a ridosso delle elezioni
presidenziali.
È vero che in molti altri paesi le chiusure dei confini sono iniziate a Destra, ma
oggi risposte simili arrivano da tutto lo spettro politico. In altre parole, la politica
della chiusura e della frammentazione è diventata una caratteristica comune, proprio
in conseguenza dei flussi migratori visti come il primo, grande problema che colpisce
le popolazioni europee. Le altre grandi questioni invece sembravano rimanere
nell’ambito della classe dirigente.
Un tale sviluppo è molto preoccupante perché queste reazioni quando
emergono possono cambiare il corso della storia.
L’Italia si è trovata e si trova in una situazione estremamente anomala non del
tutto colta dagli osservatori: larga parte dei confini italiani sono marittimi e dunque
9
la politica dell’Italia non può essere la stessa di chi ha confini di terra. Infatti, a
prescindere da questioni di giustizia e morali, i muri per essere costruiti hanno
bisogno di poggiare a terra: sull’acqua invece i muri non possono essere costruiti e
dunque “l’emigrante di acqua” non si può fare altro che accoglierlo. Non lo si può di
certo buttare in mare.
Ricordavo proprio oggi, ne parlavo prima con il Generale Cucchi, quello che
successe quando, era il Venerdì Santo del ’97, la nave della nostra Marina urtò la
nave albanese che si chiamava “Katër i Radës” e ci furono 84 morti. Fu una tragedia
immane, un tragico incidente che scatenò giustamente forti reazioni emotive. Queste
sono le sciagure del mare di ieri e di oggi.
Siamo stati l’unico paese europeo – fino a che la Grecia non è entrata in gioco,
e poi vedremo anche questo aspetto – che ha dovuto affrontare questo problema.
Perché l’unico? Perché la Spagna ha di fronte a sé paesi che, per ora, sono stabili.
Dico per ora perché l’Algeria mi preoccupa molto; il Marocco è più sicuro, però ci
sono problemi di ordine pubblico e sicurezza che finora sono stati tenuti sotto
controllo molto bene, ma la situazione è complicata.
Noi italiani ci siamo trovati, prima che scoppiasse il conflitto siriano, ad essere
l’unico paese del Mediterraneo ad avere questo problema, e siamo stati
sostanzialmente abbandonati. Avremo anche fatto degli errori, può darsi che la
nostra statura burocratica non abbia performato al cento per cento. Ma il vero punto
è che finché la questione dell’immigrazione non ha toccato da vicino il nord Europa,
noi siamo stati sostanzialmente abbandonati. Ed è interessante che alla fine, con tutta
la fatica e con tutti i problemi ancora sul tavolo, il caso dei migranti siriani è stato
affrontato politicamente, mentre la gestione dei flussi dalla Libia non ha trovato
ancora una soluzione.
Intendiamoci, nessuno di noi è felice per l’accordo-baratto greco-turco sui
rimpatriati, però è anche un segno di realpolitik. Dobbiamo, infatti, ricordare che la
Turchia è l’unico paese al mondo che possiede e può fare scoppiare “l’arma nucleare
demografica” perché ha più di 1 milione e mezzo di rifugiati. Questo baratto,
chiamiamolo così, che da un punto di vista umano è ripugnante, è stato però quasi
obbligatorio nella situazione in cui ci si è trovati.
Quindi il grande problema attuale è di avere una politica europea comune, dal
momento che nelle condizioni attuali gli interessi divergono profondamente.
10
L’unico rimedio – e con questo concludo e poi se volete apriamo il dibattito – è
proprio una politica europea unitaria e di grande sviluppo dell’Africa. Per dare un
messaggio di sicurezza ai cittadini, si sta costruendo molto gradualmente un corpo di
guardie di frontiera, però con grande lentezza e senza inviare il messaggio che la
sicurezza è un fatto collettivo, è il prodotto della reciprocità. Quindi l’efficacia di
questi passi è tuttora molto scarsa.
In altre parole, i provvedimenti attuali non stanno dando il messaggio di
tranquillità e di sicurezza che è necessario dare in un periodo come questo. Se
pensiamo infatti ai problemi demografici europei, ci sarebbero anche delle
opportunità da cogliere oggi, naturalmente risolvendo prima molte questioni legate
alle scuole, alle politiche del lavoro, della lingua, degli alloggi: ma la possibilità di
affrontare con successo le sfide attuali c’è.
Nella frammentazione di oggi tutto è molto più difficile, perché ogni paese si
ritiene soggetto a un peso eccessivo rispetto agli altri e perché ognuno pensa di
sborsare risorse più degli altri. Non sorprende dunque l’assenza di accordo tra i paesi
europei: un disaccordo che non riguarda soltanto le migrazioni, ma tutta la politica
europea.
Abbiamo assistito anche negli ultimi giorni a degli strani scambi di scortesie in
ambito europeo. La mancanza di accordo su una politica comune nei confronti della
questione dell’immigrazione rivela un problema molto più ampio. Oggi però sono i
flussi migratori a costituire la priorità, ed è a questo problema che dobbiamo dare
risposte se vogliamo ricominciare la ricostruzione dell’Europa.
Grazie.
11