Torna lo Speciale Quesiti in edicola virtuale

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Torna lo Speciale Quesiti in edicola virtuale
Edizione Speciale Quesiti
L'importanza della
storica rubrica
L’editoriale del
SGN Longobardi
18 quesiti
e le risposte
degli esperti
Formazione per
i consulenti
un valore per
il sindacato
Torna lo
Speciale Quesiti
in edicola virtuale
REDAZIONE
Bollettino ufficiale
Associazione Nazionale
Consulenti del Lavoro
Sindacato Unitario
Anno 2 - Numero 6 (9)
Direttore responsabile
Francesco Longobardi
Capo redattore
Diana Paola Onder
Coordinatori di redazione
Silvia Bradaschia
Giuliana Della Bianca
Redazione e impaginazione
Solcom srl
via Salvatore Matarrese, 2/G
70124 Bari
SOMMARIO
EDIZIONE
SPECIALE QUESITI
EDITORIALE
Torna in edicola virtuale
lo "speciale quesiti"
pag. 3
quesiti
18 quesiti e le risposte
degli esperti
pag. 4
Fiesole
La formazione per i
consulenti del lavoro:
un valore per il sindacato
pag. 21
Editore
Ancl - Segreteria Nazionale
via Cristoforo Colombo, 456
Scala B, II piano
00145 Roma
FIESOLE
Corsi Fiesole, photogallery
del primo appuntamento 2010
pag. 23
Contatti
www.anclsu.com
[email protected]
[email protected]
CHI SIAMO
in ultima
chiuso alle ore 12.37
del 25 marzo 2010
PAG. 3 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
EDITORIALE
Torna in edicola virtuale
lo "speciale quesiti"
Dopo la fortunata edizione del 20 dicembre scorso,
un'altra pubblicazione dedicata esclusivamente alla
storica rubrica de "Il Consulente milleottantuno"
Il successo dell'edizione "speciale quesiti"
pubblicata il 20 dicembre 2009, ha spinto la
redazione de "Il Consulente milleottantuno" a
riproporre una pubblicazione
dedicata esclusivamente alla
storica rubrica della rivista
ufficiale
dell'Associazione
Nazionale
Consulenti
del
Lavoro - Sindacato Unitario.
Una rubrica destinata (e
dedicata) in particolare ai
tantissimi colleghi che, con
assiduità, leggono, consultano
e richiedono il parere degli
esperti del Centro Studi.
L'unica divagazione di
questo "speciale" è riservata
al
commento
al
primo
appuntamento 2010 del corso
di formazione per quadri
dirigenziali, organizzato dallo
stesso Centro Studi il 19 e 20
marzo scorso a Fiesole, in
Toscana e aperto al I livello
(ovvero a tutti coloro che
ambiscono ad acquisire notizie
sul ruolo del dirigente sindacale
e sulle norme che regolano il sindacato stesso).
La speranza, attraverso la predisposizione di
speciali edizioni della nostra rivista e attraverso
la promozione dei corsi per dirigenti, è quella
di attivare processi virtuosi di comunicazione
dall'alto verso il basso, affinché si sviluppi
e prenda sempre maggiore consistenza il
processo inverso: dal basso
verso l'alto. Perché questa
Segreteria è convinta che
dalla base, dal territorio,
dalla
periferia
possano
esprimersi suggerimenti e
spunti per dare linfa nuova
alla spinta sindacale (del resto
anche l'organizzazione, la
promozione e la comunicazione
dell'Assemblea delle Up e dei
Cr del 5 e 6 marzo avevano lo
stesso obiettivo).
Chissà che gli speciali de
"Il Consulente milleottantuno"
e un'assidua frequentazione
del nostro portale www.
anclsu.com (che nelle ultime
settimane ha ottenuto una
crescita continua sia nelle visite
che nelle registrazioni, vi invito
a continuare su questa strada)
non contribuiscano a portare
nuove idee, nuove proposte,
nuove tematiche.
Come sempre, dalla politica sindacale alle
nuove e tradizionali vie di comunicazione, il
contributo delle singole realtà può essere molto
importante.
PAG. 4 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Computo del lavoratore
intermittente, vale
l'orario di lavoro
effettivamente svolto
a cura di
Diana Paola Onder
Coordinatrice Centro Studi
Nazionale Ancl
QUESITO
Un’azienda che ha 14 dipendenti a tempo pieno più 2 lavoratori intermittenti chiamati pochissime
volte al mese, secondo voi rischia di ricadere nell’ambito della tutela reale in caso di licenziamento
impugnato (credo manchi giurisprudenza in merito)?
Soluzione proposta. I lavoratori intermittenti dovrebbero contare in proporzione al lavoro
effettivamente svolto, come per i lavoratori part-time.
RISPOSTA
Esperto:
Chiara Giovannini
L’art. 39 del D.Lgs. n. 276/2003, rubricato
“Computo
del
lavoratore
intermittente”,
testualmente cita: “Il prestatore di lavoro
intermittente
è
computato
nell'organico
dell'impresa, ai fini della applicazione di
normative di legge, in proporzione all'orario di
lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun
semestre.” La soluzione individuata dal collega
è pertanto corretta, si tratta soltanto di applicarla
facendo riferimento ad una media semestrale.
Volendo fornire un esempio partendo dai dati
forniti dal collega, si potrebbe ipotizzare quanto
segue:
- dipendenti a tempo indeterminato e pieno
occupati al 30/09/09: 14
- dipendenti a chiamata al 30/09/09: 2
- orario di lavoro contrattuale mensile a tempo
pieno 168
- ore di lavoro svolte dai dipendenti a chiamata
dal 01/04 al 30/09: 120 + 80 200
- computo lavoratori a chiamata: 200/168/6 0.19
- forza aziendale al 30/09/09: 14.19
PAG. 5 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Operai in trasferta per
montare infissi, le ore di viaggio
vanno retribuite? Sono
da registrare nel Libro Unico?
QUESITO
Gestione delle ore di viaggio / trasferta – settore legno industria. Espongo il seguente
problema: Ditta con applicazione del CCNL legno industria. Operai in trasferta per montare
infissi in legno Orario di lavoro praticato: orario normale - 8 ore - Ora straordinaria - 1 ora Ore di viaggio - in media 2 ore al giorno (andata e ritorno).
Le due ore di viaggio finora sono state pagate al 50% (indennità al 50 % della retribuzione
per le ore di viaggio effettivamente compiute per recarsi sul luogo di lavoro – in base al
vecchio Art. 72 del CCNL Legno e sughero industria (data stipula 21.07.04) assoggettandole
anche a contributi e Irpef - si tratta di uno specifico trattamento per il tempo di viaggio per il
personale operaio inviato in trasferta – In più é stata pagata una trasferta giornaliera di 20
€ Il problema é nato con l´emanazione del D. Lgs. 8/4/2003 – l´art. 1,c 2 , definisce orario
di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro e nell´esercizio della sua
attività.
Quindi il primo problema che si pone é chiarire se le ore di viaggio devono essere retribuite,
se si, in quale misura e se rientrano nel concetto di orario di lavoro e pertanto soggette alla
registrazione sul LUL.
Il secondo problema é che il rinnovo del CCNL del 28/05/2008 non prevede più il pagamento
delle ore di viaggio – ma compete un´indennità di trasferta pari al 30 % della retribuzione
giornaliera. Si chiede pertanto come si può regolarizzare la situazione esposta (applicata
dalla ditta finora) per essere in regola sia con l´orario di lavoro, sia con le registrazioni sul
LUL, eventualmente trasformando le ore di viaggio in trasferta
RISPOSTA
Esperto:
Antonio Stella
Precedentemente alla riforma dell’orario
di lavoro operata con il D.Lgs. n. 66/2003, il
riferimento normativo era costituito dall’art.
dall’art. 3 del R.D. 692/1923, la cui nozione
di orario di lavoro era basata sul principio
dell’effettività: è considerato lavoro effettivo
ai sensi del presente decreto ogni lavoro
che richieda un'applicazione assidua e
continuativa.
Conseguentemente non sono comprese
nella dizione di cui sopra quelle occupazioni
che richiedono per la loro natura o nella
specialità del caso, un lavoro discontinuo o
di semplice attesa o custodia.
Nell’interpretare
tale
norma
la
giurisprudenza di legittimità ed il Consiglio
di Stato erano poi costanti nell’affermare
come, salvo diverse previsioni contrattuali, il
tempo di viaggio necessario per raggiungere
la diversa sede di lavoro necessitata
dall’invio in trasferta non costituisse attività
lavorativa. Il compito di ristorare il lavoratore
era così affidato all’indennità di trasferta
di natura contrattuale, la cui funzione era
mista, in parte indennitaria (in riferimento
PAG. 6 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
al disagio procurato al lavoratore) ed in
parte compensativa (del tempo trascorso in
viaggio dal medesimo soggetto).
L’art. 1, c. 2, lett. a) del D. Lgs. n. 66/2003,
nel riformare la disciplina dell’orario di
lavoro in conseguenza di quanto dettato
dalle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, ne
detta una diversa definizione: agli effetti
delle disposizioni di cui al presente decreto
si intende per "orario di lavoro"
qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al
lavoro, a disposizione del datore di lavoro
e nell'esercizio della sua attività o delle
sue funzioni. I criteri di conseguenza sono
tre e non sono alternativi ma cumulativi
(sono legati dal congiuntivo “e” e non
dal disgiuntivo “o”) e, se indubbiamente
nel tempo di viaggio il lavoratore si può
considerare a disposizione del datore, non
pare possa dirsi “al lavoro” o “nell’esercizio
della sua attività o delle sue funzioni”,
comportando il viaggio, se non riposo,
quanto meno fatica e tensioni minori rispetto
alla normale attività.
Per quanto sopra, anche alla luce della
rinnovata disciplina dell’orario di lavoro e di
tale interpretazione della dottrina, saremmo
portati ad escludere il tempo di viaggio nella
trasferta dal computo dell’orario di lavoro,
anche straordinario.
Il breve intervallo temporale trascorso
dalla riforma dell’orario di lavoro, tuttavia,
non permette ancora il riscontro di una
giurisprudenza di legittimità a supporto
delle considerazioni ora espresse.
Si ritiene comunque utile riportare un
innovativo orientamento giurisprudenziale
(Cass. 22-03-04, n. 5701) che, pur riferito
al precedente sistema normativo, offre
una diversa lettura basata non tanto sul
principio di effettività quanto sul concetto
di funzionalità: si tratta pertanto di un
orientamento che potrebbe manifestare
la sua attualità anche sotto la vigenza del
D.Lgs. 66/2003.
Secondo tale indirizzo il tempo impiegato
per raggiungere il luogo di lavoro rientra
nell’attività lavorativa vera e propria, e va
quindi sommato al normale orario di lavoro
come straordinario, quando sia funzionale
rispetto alla prestazione e connaturato
alla stessa; in particolare sussiste il
nesso di funzionalità nel caso in cui il
dipendente, obbligato a presentarsi presso
la sede aziendale, sia poi di volta in volta
inviato in diverse località per svolgervi la
prestazione lavorativa (nel caso specifico
è stato considerato quindi orario di lavoro
quello impiegato per raggiungere i cantieri
partendo dalla sede abituale).
Per quanto sopra il tempo di viaggio,
considerato come “attività preparatoria”
dovrebbe essere considerato ai fini del
calcolo dello straordinario.
Tutto ciò premesso possiamo perciò
prendere atto di come, dal punto di vista
normativo, la situazione si presenti ancora
sufficientemente fluida, non disponendo di
indirizzi consolidati della giurisprudenza di
legittimità.
La
materia,
in
molti
settori,
è
tradizionalmente
disciplinata
dalla
contrattazione collettiva e a questo non
sembra fare eccezione il ccnl Legno e
Arredamento Industria.
Se nel passato il tempo di viaggio era
indennizzato con un importo pari al 50%
delle a retribuzione base (in coerenza con
il fatto di non considerare orario di lavoro
tale intervallo temporale), a decorrere dal
28-05-08 a fronte del disagio è prevista dal
nuovo CCNL una indennità forfetaria pari al
30% della normale retribuzione giornaliera.
Questo
assunto
trova
conferma
nell’ultimo comma dell’art. 72 del nuovo
contratto che testualmente recita: “Tenuto
conto della varietà delle situazioni in atto,
quanto sopra assorbirà sino a concorrenza
quanto già previsto aziendalmente, per gli
operai trasferisti, dal trattamento in essere”.
E’ chiaro che il tempo di viaggio
andrebbe annotato nel LUL solo qualora si
volesse considerarlo quale orario di lavoro
straordinario.
PAG. 7 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Contratto intermittente a tempo
indeterminato, come usufruire
delle ore di ferie maturate?
QUESITO
Il ministero del Lavoro con risposta ad istanza di interpello del 06/08/2009 prot. 25/i/0011383,
lascia intendere che nei contratti di lavoro intermittente non può essere a priori quantificata la
percentuale di incidenza delle ferie e quindi pagate insieme alla retribuzione oraria e ai ratei differiti,
per ogni ora di lavoro effettivamente prestata. Se ciò fosse vero, in un contratto intermittente a
tempo indeterminato, senza obbligo di rispondere alla chiamata, come si può pensare di chiamare
il dipendente non a prestare la sua attività (in quanto si presenta la necessità di far fronte ad una
maggiore richiesta), ma per svolgere le eventuali ore di ferie maturate? Se durante l’anno il datore
di lavoro ha chiamato il lavoratore un paio di volte al mese e per esempio sono maturate 10 ore di
ferie come decidere queste 10 ore di ferie quando e in quanti giorni farle usufruire?
Soluzione proposta. Io ritengo che la soluzione migliore sull’esempio di quello che avviene
per i lavoratori dello spettacolo del 1° gruppo, o OTD in agricoltura, la ferie e tutti gli istituti
contrattuali differiti devono essere quantificati ad ora e pagati insieme alla retribuzione oraria.
Del resto quando il lavoratore non é chiamato a svolgere attività lavorativa ha tutto il tempo
necessario per recuperare le energie psico-fisiche. O ancora per parità di diritti con i lavoratori
assunti a tempo pieno se il lavoratore a chiamata non svolge nell’arco nel mese più di 15 giorni
lavorativi non dovrebbero neanche maturare i ratei di ferie.
RISPOSTA
Esperto:
Renzo La Costa
Nel settore dello spettacolo è definito
imprenditore (cd. impresario o produttore)
chi esercita un’attività economica volta alla
produzione di servizi (ad es., produttori di
pellicole cinematografiche, enti lirici, teatri,
compagnie ed impresari di spettacoli di prosa,
pubblici esercizi con orchestre o spettacoli,
titolari o gestori di locali notturni, in genere
chiunque assume alle proprie dipendenze
personale artistico e tecnico per la produzione
e realizzazione di spettacoli da tenersi in luogo
pubblico o privato).
Anche il lavoro nello spettacolo è uno
rapporto di lavoro speciale. Sono lavoratori dello
spettacolo i soggetti che pongono in essere
manifestazioni volte alla rappresentazione di
un testo letterario o musicale, con personale
abilità degli interpreti, allo scopo di procurare
divertimento, in senso culturalmente ampio,
degli spettatori (Cass. 19 febbraio 1991, n.
1111). Ricorrendo entrambe le circostanze
soggetti, datore di lavoro e lavoratore sono
assoggettate alla contribuzione Enpals. Nel
quesito proposto, non appare che ricorrano
alcune delle condizioni suesposte, trattandosi
di un comune datore di lavoro (associazione)
e di un lavoratore non in possesso di specifica
qualifica professionale artistica. Ne riviene
che l’instaurando rapporto di lavoro rientri più
legittimamente nella assicurazione generale
Inps, invertendosi eventualmente l’onere della
prova a carico Enpals nel dover dimostrare
la propria competenza nell’inquadramento
previdenziale del rapporto di lavoro.
PAG. 8 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Contributi, l'Inps ha
facoltà di chiedere la
maggiorazione di 0,40?
Affitto a terzi di
due panifici, corretto
fatturare al 20%?
QUESITO
QUESITO
Contributi Inps a percentuale derivanti da
dichiarazione redditi anno 2004 compensati
con credito Irpef; F24 a "zero" presentato
in luglio; Sui contributi Inps compensati
non ho applicato la maggiorazione dello
0,40; ora l’Inps mi richiede l’importo dello
0,40. Chiedo se l’Inps abbia questa facoltà
(dato che il debito non é uscito nemmeno
dal diagnostico Agenzia Entrate) e se sì i
riferimenti normativi.
RISPOSTA
Esperto:
Giammaria Monticelli
Il D.P.R. 7/12/2001 nr. 435 all’art. 17
prevede che:
1. Il versamento del saldo dovuto con
riferimento alla dichiarazione dei redditi
ed a quella dell'imposta regionale sulle
attività produttive da parte delle persone
fisiche e delle società o associazioni di cui
all'articolo 5 del testo unico delle imposte
sui redditi, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,
compresa quella unificata, è effettuato entro
il 16 giugno dell'anno di presentazione della
dichiarazione stessa.
2. I versamenti di cui al comma
1 possono essere effettuati entro il
trentesimo giorno successivo ai termini ivi
previsti, maggiorando le somme da versare
dello 0,40 per cento a titolo di interesse
corrispettivo.
Appare pertanto legittimo che su importi
dovuti con riferimento alla dichiarazione dei
redditi l’INPS richieda il versamento dello
0,40 % se lo stesso è stato effettuato, pur in
compensazione nel mese di luglio.
Una azienda di molitura cereali e frantoio
olive ha fra i beni di impresa due panifici
con relative licenze che ha affittato a terze
persone: i due contratti sono regolarmente
registrati e l’azienda emette fattura con Iva al
20%. Si chiede se ciò è regolare o se siano
dovute altre imposte di registro (esempio il
2% annuale).
Soluzione proposta. Assoggettare le
somme alla sola Iva.
RISPOSTA
Esperto:
Renzo Ghiotto
L'affitto di un ramo d'azienda, ai sensi
dell’articolo 3 del D.P.R. 633/1972,
costituisce una prestazione di servizi
ed è soggetto ad IVA con applicazione
dell'aliquota ordinaria (20%) ai relativi
canoni.
Il contratto di affitto di ramo
d'azienda deve risultare da atto
pubblico o scrittura privata autenticata
ed è soggetto a registrazione entro 20
giorni dalla stipula con applicazione
dell'imposta di registro in misura fissa
di € 168.
Per i contratti stipulati a decorrere
dal
12-8-2006,
a
seguito
delle
novità introdotta dall'art. 35, comma
10-quater, D.L. 223/2006, qualora
la componente immobiliare risulti
prevalente (più del 50% del valore
complessivo dell'azienda), all'affitto
soggetto ad IVA va applicata l'imposta
di
registro
proporzionale
dell'1%
(circolari Agenzia Entrate 4-8-2006, n.
27/E e 1-3-2007, n. 12/E).
PAG. 9 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Tempo determinato e impugnamento del licenziamento
QUESITO
Un’ azienda con attività di impermeabilizzazione e coibentazione, nella lettera di assunzione
a tempo determinato per n.3 mesi (dal 01/12/2008 al 28/02/2009), dell’unico dipendente in forza,
ha indicato quale motivo del contratto a termine: esecuzione di opere eccezionali in rapporto alla
consueta attività produttiva (il vecchio contratto dell’industria delle costruzioni edilizie ed affini del
29/01/2000 all’art.94 comma 1 riportava tra le ragioni del tempo determinato esattamente questa
dicitura). Il dipendente ha svolto la sua prestazione lavorativa presso diversi cantieri, tutti di durata
inferiore ai 15 giorni. Al termine del contratto il lavoratore ha impugnato il licenziamento "per palese
carenza di motivi a giustificazione della determinazione temporanea del rapporto di lavoro", ovvero
per eccessiva genericità del luogo di lavoro. Con quali argomentazioni si può resistere a queste
assurde pretese in sede giudiziaria?
Soluzione proposta. L’unica soluzione proposta dalla Direzione provinciale del lavoro é quella
di sottoscrivere un nuovo contratto per ogni cantiere in cui viene inviato il dipendente con relativa
accettazione dello stesso. Per attività edili, come pure nell’impiantistica, installazione, manutenzione,
riparazione etc. é quanto mai oneroso, se non impossibile, stipulare preventivamente singoli contratti,
dal momento che si lavora a chiamata e per interventi brevi e non programmabili.
RISPOSTA
Esperto:
Maria Luisa Di Marco
In risposta al quesito posto dal collega, ritengo
si debbano utilizzare i riferimenti normativi vigenti,
in merito alle assunzioni a tempo determinato, e
non la normativa dei CCNL, dei settori Industria
od Artigiano Edile, scaduti. Infatti, il collega
indica come settore di appartenenza Artigiano
Edile, poi fa riferimento all’art. 94 c. 1 del CCNL
Industria Edile del 29/01/2000. In ogni modo il
contratto a cui si fa riferimento, è stato rinnovato
per ben due volte, il 20/05/2004 ed il 18/06/2008.
Il riferimento per i contratti a termine è
diventato nei CCNL Industria o Artigiano Edile
vigenti l’articolo 93, il quale recita “il lavoro a
tempo determinato è consentito a fronte di ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo”, con riferimento a quanto disposto
dal Decreto Legislativo 06/09/2001 n. 368.
Gli stessi riferimenti normativi indicati nel
CCNL dell’Industria Edile, sono richiamati anche
nel CCNL Artigiano Edile del 23/07/2008, all’art.
93. Infatti, la normativa vigente per quanto
riguarda le assunzioni a tempo determinato,
oltre al Decreto Legislativo n. 368/2001 è stata
ulteriormente modificata dalla Legge n. 247/2007
prima e dal Decreto Legge n. 112/2008 convertito
in Legge n. 133/2008 poi.
La Legge n.133/2008 è attualmente in
vigore per le assunzioni a tempo determinato,
e dispone che il rispetto delle ragioni “tecniche,
produttive, organizzative o sostitutive” è in
ogni modo garantito, anche se le stesse sono
“riferibili alla ordinaria attività del datore di
lavoro”, modificando così l’interpretazione che
considerava legittima l’apposizione del termine
solo a fronte di esigenze particolari.
Le norme a cui si deve far riferimento, nel
caso in cui i CCNL di appartenenza non diano
indicazioni specifiche in merito alle modalità di
dette assunzioni, ed in questo caso né il settore
artigiano né quello dell’industria edile dettano
indicazioni particolari, sono le norme generali, le
quali dicono che si possono effettuare assunzioni
a termine oltre che per cause “tecnico, produttive,
organizzative o sostitutive”, anche nel caso in cui
si presentino “occasioni temporanee” di lavoro.
Per cui ritengo sia sufficiente fare riferimento
alla normativa inerente le assunzioni a tempo
determinato, al fine di risolvere il problema,
poiché essa ritiene valide le assunzioni a tempo
determinato, anche a fronte di attività ordinaria
del datore di lavoro, senza dovere indicare per
“esecuzione di opere eccezionali in rapporto
alla consueta attività produttiva”, od andare a
stipulare singoli contratti per ogni unità operativa.
PAG. 10 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Si può interrompere la CIGO e attivare la
procedura di mobilità con licenziamento
collettivo per 20 persone?
QUESITO
Una società ha sospeso saltuariamente in varie settimane l’attività con utilizzo della CIGO
per circa 20 persone.
L’azienda vorrebbe interrompere la CIGO ed aprire la procedura di mobilità con un
licenziamento collettivo per 20 persone. Vorrei sapere se tale procedura é fattibile e corretta
o se tale modo di agire può dare motivo all’INPS di recuperare la indennità di CIG autorizzata
e non accettare quella in corso.
RISPOSTA
Esperto:
Gabriele Giardini e Carlo Cavalleri
I due ammortizzatori sociali della CIGO
e della mobilità si basano su presupposti
assolutamente differenti. Infatti la CIGO
può essere autorizzata nei casi di situazioni
aziendali dovute ad eventi transitori e non
imputabili all'imprenditore o agli operai
oppure per situazioni temporanee di
mercato.
Il riconoscimento della CIGO è subordinato
alla valutazione a priori da parte dell’Inps
della certezza della riammissione dei
lavoratori sospesi nell'attività dell'impresa.
Invece la mobilità va a coprire quei
casi in cui un’impresa ammessa alla CIGS
ritiene di non essere in grado di garantire
il reimpiego a tutti i dipendenti oppure
che, in conseguenza di una riduzione o
trasformazione di attività o di lavoro o
di cessazione dell'attività, ricorra ad un
licenziamento collettivo.
Pertanto il ricorso alla CIGO è ammesso
qualora ci sia la certezza di occupare
nuovamente i dipendenti sospesi, mentre
nella mobilità si è certi del contrario.
E’
senz’altro
possibile
richiedere
l’apertura di una procedura di licenziamento
collettivo con conseguente ricorso alla
mobilità, anche durante l’effettuazione
della CIGO, se si verificano nel frattempo i
diversi presupposti previsti dalla legge per
l’intervento di tale ammortizzatore sociale.
Tuttavia ciò può determinare da parte
dell’Inps una mancata autorizzazione alla
CIGO già richiesta in quanto potrebbero
essere ritenuti non più sussistenti i requisiti
di temporaneità e transitorietà necessari
per il suo intervento.
Per quanto riguarda gli interventi di
CIGO già autorizzati, la verifica dei requisiti
oggettivi è già stata espletata dall’Inps
con riferimento ad ogni singolo periodo
richiesto, pertanto sembra non sussistere
alcun rischio di recupero delle somme già
erogate.
A conferma di ciò il messaggio Inps
del 27 marzo 2009, n. 6990 afferma che
il giudizio della Commissione circa la
certa "riammissione, entro breve periodo
degli operai stessi nell'attività produttiva
dell'impresa", va espresso in via preventiva
e non sulla base di quanto successivamente
accaduto.
PAG. 11 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Cooperative, può un
socio non avere ulteriore
rapporto di lavoro
QUESITO
E’ ammissibile l’ipotesi della presenza in
cooperativa di soci senza un ulteriore rapporto
di lavoro di qualsiasi natura (subordinato, di
inserimento, di apprendistato, ecc.)?
Soluzione proposta. Non può esistere una
cooperativa dove vi siano soci con apporto
solo societario. Il termine successivamente di
cui al comma 3 dell’art, 1 della l. 142/2001 deve
avere una interpretazione di fuggevole durata.
Il socio deve necessariamente lavorare; non
può esistere una figura di socio che apporti la
propria opera solo con il contratto societario.
RISPOSTA
Esperto:
Renzo La Costa
La ragione e causa per la quale un
soggetto aderisce ad una cooperativa di
lavoro è il reperimento di occasioni di lavoro e
conseguente stabilità occupazionale. Lo stesso
art. 1 comma 3 della legge 142/2001 prevede
che “ il socio lavoratore di cooperativa stabilisce
– ( e non può stabilire ) un ulteriore rapporto
di lavoro. Già da tale previsione normativa si
desume che il rapporto del socio lavoratore con
la cooperativa deve essere necessariamente
duale, e non unicamente sussistente solo quello
sociale. Si aggiunga che il rapporto mutualistico
tra socio e cooperativa nel caso rappresentato
ha ad oggetto specificatamente la prestazione
lavorativa del socio ai fini del perseguimento
dello scopo sociale.
Ne consegue - nelle cooperative di lavoro che il socio è tenuto ad instaurare un rapporto
di lavoro con la società, essendo inammissibile
la presenza di un socio con il solo rapporto
associativo. In tale ultimo caso, infatti, il socio non
attuerebbe lo scambio mutualistico suddetto, in
ovvio contrasto con lo statuto sociale. Pertanto
il socio che rifiuta l’opportunità occupazionale
offerta dalla cooperativa può legittimamente
essere oggetto di provvedimento di esclusione,
previa deliberazione dell’assemblea sociale.
Badante non convivente,
quale calcolo per l'orario?
QUESITO
La situazione: ad una badante non convivente
con inquadramento BS ed orario ridotto
pari a 30 ore settimanali, vengono richieste
prestazioni lavorative eccedenti l’orario
previsto dal contratto. Visto che l’art. 15
prevede un orario concordato tra le parti con
un massimo di 8 ore per i non conviventi, l’art.
16 comma 4 sempre per i non conviventi,
stabilisce una percentuale del 10% per le
ore eccedenti le ore 40 e fino alle 44 ore
settimanali, non sono previste maggiorazioni
per le ore supplementari, come calcolare e
con che percentuale le ore prestate dalla 31
alla 40? La medesima situazione si potrebbe
profilare per una colf a 24 ore settimanali.
RISPOSTA
Esperto:
Cristina Michieli
Come già anticipato nel quesito, l'art. 15 del
CCNL sulla disciplina del rapporto di lavoro
domestico stabilisce che la durata normale
dell'orario di lavoro sia quella concordata tra
le parti.
La norma contrattuale, poi, prevede un
limite massimo alla prestazione giornaliera
che, per i lavoratori non conviventi, è di 8 ore
giornaliere non consecutive, per un totale di
40 ore settimanali.
Posta l'assoluta libertà delle parti di
determinare un qualsiasi orario lavorativo,
anche inferiore alle 40 ore settimanali, le
stesse hanno solo l'obbligo di rispettare i limiti
massimi giornalieri e settimanali.
Quindi, le ore che, per accordi tra le parti,
eccedano l'orario di lavoro previsto all'atto
dell'assunzione saranno retribuite senza
alcuna maggiorazione fino al raggiungimento
delle 40 ore settimanali, oltre saranno
retribuite con le maggiorazioni previste
dall'art. 16 del CCNL.
PAG. 12 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Mancato preavviso,
quali e quanti giorni
è corretto trattenere?
QUESITO
Si dimette un impiegato il quale dovrebbe effettuare un preavviso di 15 giorni decorrenti dal
primo di ottobre 2009.
Il giorno stesso che presenta la lettera di dimissioni (20 settembre 2009) lo stesso interrompe
il rapporto di lavoro in tronco.
E’ corretto trattenere i 15 giorni per il mancato preavviso o sarebbe corretto trattenere i 15
giorni + i 9 giorni decorrenti dal 21 al 30 settembre 2009 visto che comunque il periodo che
avrebbe dovuto rimanere in forza era fino al 15 di ottobre 2009?
RISPOSTA
Esperto:
Anna Maistro
Il contratto di lavoro subordinato è
regolamentato dalle leggi speciali in materia
e dalla normativa di diritto comune.
L’art. 1372 cod. civ. dispone che il contratto
ha forza di legge tra le parti e “non può essere
sciolto che per mutuo consenso o per cause
ammesse dalla legge”.
Tra le cause previste, l’art. 2118 cod. civ.
sancisce la facoltà di recedere dal contratto
di lavoro a tempo indeterminato, dando il
preavviso nel termine e nei modi stabiliti.
In mancanza di preavviso, il recedente
è tenuto, verso l’altra parte, ad erogare
un’indennità equivalente alla retribuzione che
sarebbe spettata per il periodo del preavviso.
Il recesso dal contratto di lavoro costituisce,
quindi, un atto unilaterale recettizio e la
possibilità di recedere dal contratto di lavoro
a tempo indeterminato, con l’onere del
preavviso, costituisce una causa di estinzione
del contratto. Tuttavia, per vedere le corrette
modalità dell’attuazione del preavviso, è
necessario far riferimento a quanto contenuto
nella legge e, salvo diverso accordo tra le
parti, nei contratti collettivi.
Nel caso in specie, nel contratto
dell’Autotrasporto Industria, il periodo del
preavviso decorre dal primo o dal sedicesimo
giorno del mese.
Da questo momento va computato il
periodo del preavviso o l’arco di tempo
necessario al fine di calcolare la corretta
indennità di mancato preavviso.
Considerando che il recesso è avvenuto
in tronco e che il CCNL applicato in azienda
prevede che, nel caso in cui una parte
risolva il rapporto senza l’osservanza dei
termini di preavviso, la parte recedente deve
corrispondere all’altra una indennità pari
all’importo della retribuzione per mancato
preavviso, compete al datore di lavoro la
facoltà di trattenere l’indennità di mancato
preavviso prevista dal CCNL applicato in
azienda, la quale, pertanto, sarà pari ai 15
giorni lavorativi decorrenti dal giorno di
cessazione in tronco del rapporto di lavoro.
PAG. 13 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Licenziamento di un apprendista assunto con contratto
professionalizzante, ma senza alcuna formazione
QUESITO
Problematiche legate al licenziamento di un apprendista assunto con contratto professionalizzante
che non ha effettuato per i due anni di lavoro alcuna formazione esterno per mancanza ell’istituzione
dei corsi da parte degli enti formatori e comunque l’azienda non è mai stata invitata a far frequentare il
corso se istituito.
RISPOSTA
Esperto:
Renzo La Costa
La problematica rappresentata non è rara nel
variegato panorama delle organizzazioni regionali
della formazione. Tuttavia si osserva che la
normativa nazionale ha da tempo previsto che
pur in presenza di recepimento dell’apprendistato
professionalizzante nel CCNL applica, la
mancanza di offerta formativa sul territorio da
parte degli enti preposti secondo la disciplina
regionale, l’apprendistato professionalizzante
non è applicabile, facendosi quindi ricorso alla
previdente disciplina (Legge 196/97).
Se quindi l’ente formatore preposto risultava
ufficialmente disponibile alla formazione esterna
e se è stata osservata la procedura di richiesta
di formazione dell’apprendista, appare evidente
che la mancata formazione è ascrivibile alla
responsabilità dell’ente. Ciò però non assolve il
datore di lavoro dal mancato avvio a formazione
dell’apprendista. In caso di verifica, infatti, potrebbe
essere disconosciuto il rapporto di apprendistato per
mancanza della formazione professionalizzante,
con facoltà successivamente del datore di lavoro
di rivalersi sull’ente inadempiente. Se invece alla
data di assunzione si può dimostrare che non
vi era concreta offerta formativa sul territorio, il
rapporto di lavoro è qualificato professionalizzante
solo dal nomen juris dato al contratto, non
essendo materialmente così eseguibile. In tal
caso sarà il datore di lavoro a dover dimostrare
di aver espletato il ciclo di apprendistato secondo
i percorsi formativi indicati dalla legge 186/87 e
successivi decreti attuativi.
Corretta interpretazione dei permessi retribuiti
in azienda con più di 15 dipendenti
QUESITO
Un parere in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 140 "Permessi retribuiti" del vigente
CCNL del Commercio/Terziario - Confcommercio. L’art. 140 del CCNL del Commercio/Terziario Confcommercio dispone che "per le aziende con più di 15 dipendenti i permessi individuali retribuiti
PAG. 14 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
sono incrementati di 16 ore". Tale norma contrattuale non aggiunge ulteriori considerazioni in
ordine alle modalità di computo per il superamento della soglia di 15 dipendenti. In buona sostanza,
sono interessato a conoscere il Vs. qualificato parere in ordine alla corretta interpretazione di:
1. il superamento della soglia dei 15 dipendenti deve avvenire con riferimento alla dimensione
occupazionale della singola unità produttiva ovvero alla dimensione occupazionale dell’impresa
complessivamente considerata (come sommatoria dei dipendenti delle unità produttive)? 2. nel
computo dei 15 dipendenti, sono esclusi gli apprendisti e i lavoratori di inserimento? I lavoratori parttime vanno computati in proporzione all’orario effettuato? Il Dirigente é escluso dal computo?
Soluzione proposta. Si propone tale interpretazione di detto passaggio normativo: - l’art. 140
fa riferimento ad "azienda" e non ad "impresa" (nel suo complesso), avvalorando la tesi che il
superamento del limite dei 15 dipendenti debba essere considerato con riferimento al superamento di
detta soglia dimensionale per ciascuna unità produttiva e non considerando l’impresa unitariamente;
il che equivale a dire che le 16 ore di permessi aggiuntivi competano solo nel caso di superamento
dei 15 dipendenti in ciascuna unità produttiva e solo per i dipendenti di tale sede. Tale soluzione
sembrerebbe più plausibile anche in considerazione del fatto che l’aumento dei permessi é correlato,
nel testo contrattuale, all’aumento delle dimensioni occupazionali, tali da consentire una migliore
gestione delle assenze dei singoli lavoratori per la fruizione dei permessi; - fra il numero dei dipendenti
non vanno calcolati gli apprendisti, gli stagisti, gli eventuali lavoratori di inserimento ed i lavoratori
interinali; i lavoratori part-time (idem i lavoratori a chiamata) sono calcolati in proporzione all’orario
svolto. La computabilità dei Dirigenti é esclusa.
RISPOSTA
Esperto:
Cristiana Michieli
Non ritengo corretta l'interpretazione
proposta circa l'applicazione dell'articolo 140
del CCNL del settore commercio in relazione
all'incremento di 16 ore per le aziende con più
di 15 dipendenti. In effetti, la norma contrattuale
fa genericamente riferimento all'azienda e non
all'impresa.
Anche se da un punto di vista giuridico esiste
una distinzione tra i due termini, differenza
spesso eccessivamente enfatizzata, una
buona parte della dottrina riconosce la piena
fungibilità dell'uno o dell'altro sostantivo, poiché
li considera sinonimi. Del resto, se le parti sociali
avessero voluto effettivamente distinguere i
due concetti avrebbero usato l'espressione più
semplice di “unità produttiva”.
Tuttavia restringere il campo di applicazione
della suddetta norma alle sole unità produttive
con più di 15 dipendenti determinerebbe una
sicura discriminazione tra lavoratori all'interno
di una stessa azienda. Si pensi, ad esempio, al
caso di un supermercato che occupi 28 lavoratori
e decida di suddividere l'attività aprendo due
distinti punti vendita, uno con 10 e l'altro con
18 lavoratori. Secondo la tesi proposta, alcuni
lavoratori si vedrebbero ridotto il monte ore dei
permessi per il solo fatto di essere stati trasferiti
in un punto vendita piuttosto che in un altro e,
in caso di un successivo trasferimento, ipotesi
non inusuale nel settore della distribuzione, si
vedrebbero riconosciuti nuovamente i permessi
prima tolti.
In merito, infine, ai lavoratori da prendere a
base per il computo, sicuramente i lavoratori part
time e i lavoratori intermittenti vanno considerati
in proporzione all'orario di lavoro svolto. Gli
stagisti e i lavoratori interinali, ovviamente, non
devono essere considerati, poiché i primi non
sono dipendenti e i secondi non sono dipendenti
diretti dell'azienda utilizzatrice.
Dal momento che la norma contrattuale
non prevede eccezioni in merito ai lavoratori
assunti con contratto di inserimento, questi
ultimi devono considerarsi esclusi dal computo
ai sensi dell'art. 59, comma 2, D. Lgs. n.
276/2003. Anche per i lavoratori assunti con
contratto di apprendistato, vale il medesimo
ragionamento appena fatto (art. 53, comma
2, Dlgs n. 276/2003, che sul punto ha ripreso
di fatto quanto stabilito dall'art. 21, comma 7,
legge n. 56/1987).
Per quanto riguarda, invece, il computo dei
dirigenti va precisato che questi lavoratori,
salvo diversa espressa previsione di legge o
di contratto collettivo, devono sempre essere
computati nell'organico aziendale.
PAG. 15 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
CIG di due mesi concordata con RSU ma
respinta dall'Inps, come fare per le retribuzioni?
QUESITO
Questa società ha concordato con RSU un periodo di cassa Integrazione per due mesi. L’Inps ha
respinto la domanda per un errore tecnico in quanto sostiene che la domanda é arrivata oltre il periodo
stabilito. Io ritengo che non é così, spero di poterlo dimostrare in sede di ricorso. Ma il mio quesito é
questo: Se la CIGO é stata respinta ed ammettendo che sia vero, cosa devo fare per sistemare le
retribuzioni? e precisamente:
1) i lavoratori nel periodo hanno percepito la retribuzione per CIG va integrata al 100 della
retribuzione?
2) i contributi vanno versati sugl’importi corrisposti ed anticipati come CIG?
3) Vi sono altre implicazioni?
RISPOSTA
Esperto:
Anna Maistro
Partendo dal presupposto che la CIGO non sia
stata autorizzata in toto, la Giurisprudenza è concorde
nel ritenere che il provvedimento di concessione
della Cassa integrazione guadagni abbia natura
costitutiva e il suo rilascio sia subordinato ad una
valutazione discrezionale dell’Ente cui la domanda
è rivolta.
In mancanza di autorizzazione, pertanto, viene
meno il diritto al lavoratore di ottenere il trattamento
di integrazione salariale e viene meno, altresì,
come ribadito dall’INPS, il diritto del datore di lavoro
di ottenere il rimborso di quanto eventualmente
anticipato per conto dell’INPS. In mancanza di
autorizzazione dell’INPS, quindi, permane il dovere,
da parte del datore di lavoro, di corrispondere l’intera
retribuzione, cosicchè l’eventuale anticipo di CIGO
erogato al lavoratore non costituisce null’altro che
l’80% della retribuzione, al cui pagamento il datore
di lavoro resta integralmente obbligato.
Una possibile deroga, al principio sopra enunciato,
potrebbe essere prevista in sede sindacale, dove i
lavoratori conferiscono uno specifico incarico al
sindacato circa la stipulazione di un particolare
accordo, ovvero ne ratificano il contenuto, nel
quale le parti vengono reciprocamente esonerate,
durante il periodo di sospensione lavorativa e
in assenza di autorizzazione amministrativa,
rispettivamente all’esecuzione della prestazione
e all’erogazione della relativa retribuzione. In
mancanza di autorizzazione della CIGO, quindi, il
datore di lavoro può sospendere l’attività lavorativa
e la retribuzione soltanto in presenza di un accordo
sindacale validamente costituito: contrariamente,
infatti, si realizzerebbe un inadempimento dei
doveri contrattuali del datore di lavoro. Quindi, nel
caso in cui non fosse stato stipulato un accordo
sindacale della portata sopra descritta, il datore di
lavoro dovrà integrare la retribuzione per il periodo
non lavorato e per il quale non è stata autorizzata la
cassa integrazione.
Dovranno essere integrati, altresì, i contributi
sulle retribuzioni, poiché non si potrà assolutamente
parlare di CIGO, considerando che manca l’atto
costitutivo della stessa. Evidentemente, quindi,
dovranno essere erogati gli arretrati retributivi e tutto
quanto corrisposto per il periodo di tempo in cui c’è
stata la sospensione lavorativa sarà assoggettato
a normale contribuzione e imposizione fiscale. Il
conguaglio in oggetto dovrà essere evidenziato
anche nel libro unico. Inoltre, sarebbe consigliato
fare una comunicazione alle RSU coinvolte, circa
la necessità di operare il conguaglio in oggetto,
stante il respingimento della domanda autorizzativa
di CIGO. L’analisi sopra esposta, tuttavia, parte dal
presupposto che la domanda sia stata presentata
e rigettata in toto. Un diverso discorso, infatti,
dovrebbe essere fatto nell’ipotesi di omissione o
di ritardato invio della domanda: in questi casi si
applicherebbe la disposizione contenuta nell’art. 7
L. 164/75.
PAG. 16 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Fusione di due aziende
e assunzione disabili
QUESITO
Dovendo gestire la fusione di due aziende:
la prima con 10 dipendenti di cui 1 disabile
assunto con richiesta nominativa tramite l’ufficio
categorie protette in previsione di superamento
dei 15 dipendenti; la seconda con 28 dipendenti
di cui 1 disabile assunto nominativamente. Si
chiede se sia corretto non effettuare la seconda
assunzione, in questo caso numerica (poiché
la nuova società si troverebbe nella 2 fascia
delle aziende da 35 a 50 ) atteso che la nuova
società ha in carico già due dipendenti disabili.
Soluzione proposta. Alcun riferimento
normativo ma sembra ragionevole non
effettuare la seconda assunzione numerica
poiché la società ha 2 disabili assunti.
RISPOSTA
Esperto:
Cristiana Michieli
La soluzione prospettata dal collega è
sicuramente condivisibile. Infatti, il nuovo
soggetto societario, nato dalla fusione di due
aziende, ha già adempiuto all'obbligo previsto
dalla legge n. 68/99 per il diritto al lavoro
dei disabili. Ovviamente, è difficile trovare
il riferimento normativo per un caso così
particolare in cui un'azienda, pur non avendo
l'obbligo di adempiere al dettato normativo in
questione, ha comunque ritenuto opportuno
procedere all'assunzione in vista del
superamento della soglia dei 15 dipendenti.
In questo caso si è data piena attuazione allo
spirito della norma che non è tanto quello di
imporre un obbligo al datore di lavoro, ma
quello, invece, di promuovere l'inserimento
e l'integrazione lavorativa di persone disabili
nel mondo del lavoro attraverso servizi di
sostegno e di collocamento mirato. Resta
inteso che sarà cura del nuovo soggetto
giuridico informare gli uffici competenti della
dimensione aziendale e dei disabili già
occupati.
Ricorso all'ente
bilatelare, quale
allocazione territoriale?
QUESITO
Ci si trova ad assistere un´impresa, che applica il
CCNL commercio e terziario - Confcommercio,
che ha due diverse allocazioni territoriali: Milano e Pesaro nella eventualità che la ditta
debba trovarsi nella necessità di ricorrere all'ente
bilaterale, a quale ente dovrebbe ricorrere atteso
che la parte d'impresa allocata a Milano ha in
loco, come ente bilaterale, l'Ebiter che applica il
CCNL commercio e terziario - Confcommercio,
quando il complesso aziendale é iscritto all'ente
bilaterale provinciale distribuzione e servizi
della provincia di Pesaro e Urbino (che applica il
CCNL commercio e terziario - Confcommercio).
Va aggiunto che a Milano trovasi disponibile
anche l'Enbil che però osserva il CCNL
commercio - Confesercenti. Si vorrebbe
conoscere l'avviso di codesta Associazione
a fronte delle problematiche insorgenti dalla
duplicità dei riferimenti contrattuali collettivi
(Confcommercio - Confesercenti).
RISPOSTA
Esperto:
Giuseppe Bizzarro
Il quesito proposto riguarda la "presunta"
questione dell'iscrizione all'Ebiter anche in
provincia di Milano stante che l'azienda stessa
versa la contribuzione a detto Ente alla sede
territoriale di Pesaro ma riguardante anche i
dipendenti assunti e operanti in Milano.
La soluzione da suggerire potrebbe essere
quella di contattare (o scrivere) alla sede Ebiter
di Milano e segnalare che il versamento viene
fatto nella sua interezza a Pesaro offrendo la
disponibilità di una eventuale nuova iscrizione
ed il relativo pagamento a Milano. Meraviglia
la richiesta inoltre per l' eventuale iscrizione
anche (oppure) all'Enbil che però "osserva"
il Ccnl Commercio - Confesercenti, mentre
l'azienda de quo applica "il Ccnl Commercio
Confcommercio".
PAG. 17 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Emittente radiofonica con
lavoratori autonomi, sono
da versare i contributi
per maternità e malattie?
QUESITO
Una emittente radiofonica che si avvale di lavoratori autonomi per lo svolgimento dell’attività,
iscrive i lavoratori all’Enpals per Ivs. Per quanto concerne i contributi minori si chiede se vanno
versati i contributi per la maternità e per la malattia solo se quest’ultima è stata pattuita nell’accordo
tra le parti. I pareri degli istituti previdenziali è discorde.
Soluzione proposta. Attualmente abbiamo iscritto all’Inps contributi minori i lavoratori autonomi,
solo per il contributo di maternità esponendo su dm10 il codice P400.
RISPOSTA
Esperto:
Roberto Morini
Le aziende esercenti attività di trasmissione
radiofoniche sono considerate aziende dello
spettacolo ai sensi del D.P.R. 24/09/1963
n.2053. A seguito dell’entrata in vigore del
D.M.15/03/2005 del Ministero Lavoro e
Politiche Sociali, recante “Adeguamento delle
categorie dei lavoratori obbligatoriamente
assicurati presso l’Enpals”, la relativa
elencazione aggiornata mantiene le imprese
radiotelevisive, quali imprese dello spettacolo.
L’emittente radiofonica è considerata
impresa dello spettacolo ed i lavoratori
autonomi che prestano attività per essa, ai fini
pensionistici, sono obbligatoriamente iscrivibili
all’Enpals. Verso l’INPS sussiste l’obbligo di
versamento del contributo per l’indennità di
maternità.
Mentre l’obbligo di versamento del
contributo per l’indennità di malattia dipende
esclusivamente
dall’accordo
contrattuale
individuale o collettivo. Qualora il datore
di lavoro non sia tenuto al versamento del
contributo per l’indennità di malattia, egli deve
chiedere all’INPS l’attribuzione del codice
di autorizzazione 8G. Ai fini del versamento
deve essere aperta presso l’INPS apposita
posizione alla quale viene attribuito il c.a. 1M
( circ. 21/05/1980 n. 134363, circ. 11/02/1981
n. 1853, circ. 14/01/1987 n. 31095). I dati
contributivi devono essere esposti sul DM
secondo le modalità previste per la generalità
dei datori di lavoro e precisamente:
P 300 per l’esposizione del contributo per
l’indennità economica di malattia;
P 400 per l’esposizione del contributo per
l’indennità economica di maternità (come nel
caso del quesito).
Concludendo, si ricorda la circolare del
Ministero del Lavoro n. 62 del 17/05/1983,
secondo la quale l’esonero dalle assicurazioni
minori deve intendersi stabilito solo per i casi in
cui il lavoratore operi nella più ampia autonomia
di organizzazione dei compiti assunti o la
prestazione costituisca espressione talmente
personalistica del soggetto che in essa non
concorra l’apporto e l’opera dell’imprenditore.
PAG. 18 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Come va intesa l'impossibilità
dell'imprenditore artigiano?
Può essere aiutato da un
parente per necessità
temporanea e indispensabile?
QUESITO
Come va inteso il comma 6 ter del D.Lgs. 269/03 quando parla di impossibilità dell’imprenditore
artigiano. Deve essere malato o può anche avere necessità temporanea e indispensabile
dell’aiuto di un parente?
RISPOSTA
Esperto:
Giammaria Monticelli
Si riporta innanzitutto il testo del comma
6 ter dell’art 21 del Decreto Legge del
30/09/2003 n. 269 attualmente in vigore:
6-ter. Gli imprenditori artigiani iscritti nei
relativi albi provinciali possono avvalersi, in
deroga alla normativa previdenziale vigente,
di collaborazioni occasionali di parenti entro il
terzo grado, aventi anche il titolo di studente,
per un periodo complessivo nel corso
dell'anno non superiore a novanta giorni.
Le collaborazioni suddette devono avere
carattere di aiuto, a titolo di obbligazione
morale e perciò senza corresponsione di
compensi ed essere prestate nel caso di
temporanea impossibilità dell'imprenditore
artigiano all'espletamento della propria
attività lavorativa. E' fatto, comunque, obbligo
dell'iscrizione all'assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali.
Analizziamo il testo: gli artigiani iscritti
nei relativi albi provinciali possono avvalersi
di collaboratori occasionali senza pagare
i contributi previdenziali alle seguenti
condizioni:
- il collaboratore deve essere parente entro il
terzo grado (anche studente),
- occasionalità della prestazione,
- per un periodo complessivo nell’anno
massimo 90 giorni,
- le prestazioni devono avere carattere di
aiuto, a titolo di obbligazione morale - gratuite,
- obbligo di assicurazione INAIL,
- prestate nel caso di temporanea impossibilità
dell’imprenditore.
Quest’ultimo punto è l’oggetto del quesito.
La legge parla di temporanea impossibilità
pertanto il titolare non deve essere presente e
impossibilitato all’espletamento della propria
attività lavorativa. La legge non indica le cause
di temporanea impossibilità pertanto tale
impossibilità può essere causata da malattia,
infortunio, gravidanza, ferie, partecipazione a
fiere o mostre ecc.
PAG. 19 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
Assunzione di lavoratori in mobilità,
l'azienda può usufruire delle
agevolazioni contributive previste?
QUESITO
Si formula il seguente quesito al fine di poter applicare in modo corretto le agevolazioni previste dalla
legge per l´assunzione di lavoratori posti in mobilità: un'azienda, d'ora in poi indicata come azienda
A, licenzia n. 11 lavoratori per riduzione di personale per messa in liquidazione. I lavoratori cessano il
rapporto di lavoro in data 21/07/2009 e fanno domanda di disoccupazione e di iscrizione nelle liste di
mobilità ai sensi dell´art. 4 della Legge 236/93.
L´azienda A, a seguito di intimazione di sfratto, rilascia i locali ad uso industriale alla società
proprietaria dell´immobile. In data 25/09/2009, un gruppo di persone costituisce una nuova società,
che presenta assetti societari completamente distinti e diversi dalla società che ha collocato i lavoratori
in mobilità, quindi con denominazione, codice fiscale, partita IVA, domicilio fiscale diversi. Questa
nuova società, che d´ora in poi viene indicata come azienda B, stipula con la società proprietaria
dell´immobile, un nuovo contratto di locazione; stipula con il liquidatore dell´azienda A un contratto di
affitto d´azienda di mesi 12; da tale contratto di affitto restano tassativamente esclusi i debiti ed i crediti
aziendali. Le parti si danno reciprocamente atto che l´azienda A viene affittata senza dipendenti.
Il contratto d´affitto d´azienda prevede che, in caso di restituzione alla scadenza del contratto,
ovvero prima nei casi previsti, l´azienda debba essere restituita: a) senza debiti o crediti, b) senza
dipendenti. Quanto al punto b) le parti convengono che, per l´ipotesi in cui l´affittuario (azienda B)
abbia assunto dipendenti, questi verranno utilizzati dall´affittuario medesimo per l´esercizio di proprie
altre attività aziendali. Ora l´azienda B, pur non essendovi affatto tenuta, intende assumere alcuni
lavoratori collocati in mobilità dalla ditta A (4 o 5 lavoratori) con contratto a tempo pieno, determinato di
12 mesi. Ciò premesso si chiede se l´azienda B può usufruire, per questi lavoratori, delle agevolazioni
contributive previste per l´assunzione di lavoratori collocati in mobilità non essendo, nè al momento
del licenziamento nè tutt´ora, presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, nè si possono
configurare tra le stesse aziende rapporti di collegamento e controllo.
RISPOSTA
Esperto:
Anna Maistro
Un primo problema essenziale da risolvere
consiste nel definire cosa si intenda per “impresa
dello stesso o di diverso settore di attività che,
al momento del licenziamento, presenta assetti
proprietari sostanzialmente coincidenti con
quelli dell'impresa che assume ovvero risulta
con quest'ultima in rapporto di collegamento o
controllo” (art. 8 co. 4bis L.223/91).
Invero, la Cassazione (sent. 8742/2004) tende
ad escludere che il mutamento della ragione
sociale, della sede legale o dei dati formalmente
identificativi di un soggetto giuridico possano
escludere a priori un certo legame tra i soggetti
coinvolti.
Al contrario, la Cassazione sottolinea come il
mantenimento della stessa forza lavoro (seppur
assunta dopo il licenziamento e la messa in
mobilità da parte di altra azienda), degli stessi
macchinari, dello stesso sostanziale luogo
di lavoro e dello stesso settore merceologico
PAG. 20 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
QUESITI
rappresentano elementi che convergono nel
considerare come sostanzialmente coincidente
l’azienda intesa in senso oggettivo, con la
logica conseguenza che si configurerebbe un
trasferimento d’azienda, con esclusione della
possibilità di fruire degli sgravi contributivi
derivanti per l’assunzione di lavoratori in mobilità.
In una recente pronuncia, la Cassazione
ribadisce che il beneficio contributivo non spetta
al datore di lavoro, il quale, essendo affittuario
dell’azienda del precedente datore di lavoro,
che abbia collocato in mobilità i suoi dipendenti,
proceda alla riassunzione di questi ultimi, atteso
che, in tal caso, la riassunzione risulta essere
avvenuta nella medesima azienda (Cass.
2472/2008).
Peraltro, la Suprema Corte si era già
pronunciata in tal senso, sottolineando che,
qualora l'azienda originaria, intesa nel suo
complesso, abbia continuato o riprenda ad
operare, non importando né se titolare sia
lo stesso imprenditore o altro subentrante,
né lo strumento negoziale attraverso cui
si sia verificata la cessione dell'azienda, la
prosecuzione del rapporto di lavoro o la sua
riattivazione presso la nuova impresa non
costituiscono la manifestazione di una libera
volontà del datore di lavoro, ma rappresentano
un preciso obbligo normativo e come tale non
meritevole dei benefici della decontribuzione
(Cass. 7352/2003; Cass. 26391/2008).
Posto quanto sopra, sembra chiaro che
l’intento di far fruire dei benefici contributivi
l’azienda affittuaria, oggetto del quesito,
potrebbe essere intesa come una manovra non
del tutto genuina e con forti lacune alla base.
Non a caso, il principio cardine su cui
si basano tutte le pronunce della Suprema
Corte, in materia di riconoscimento dei benefici
contributivi previsti dall’art. 8 co. 4 L. 223/91,
poggia sulla necessità di accertare che la
situazione di esubero del personale posto in
mobilità sia effettivamente sussistente e che
l'assunzione di detto personale, da parte di
una nuova impresa, risponda a reali esigenze
economiche, non realizzando, invece, una
condotta elusiva, finalizzata al solo godimento
degli incentivi.
Ovviamente, come più volte ribadito anche dal
Ministero, una volta che venissero a trascorrere i
sei mesi successivi al licenziamento, i lavoratori
potrebbero venir assunti con la fruizione dei
benefici contributivi connessi.Peraltro, a questo
punto, alla luce delle pronunce giurisprudenziali
citate, potrebbe sorgere un ulteriore problema
connesso all’identificazione dell’istituto del
trasferimento d’azienda nella manovra oggetto
del quesito, con la conseguente applicazione
della tutela prevista dalla legge nei confronti dei
lavoratori coinvolti.
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FIESOLE
scrive
David Trotti
Coordinatore della Commissione
Formazione Ancl - Up Roma
La formazione per i consulenti del
lavoro: un valore per il sindacato
Il 19 e 20 marzo scorso
si è svolto a Fiesole il primo
appuntamento 2010 del corso
di formazione per quadri
dirigenziali riservato al I livello
(ruolo del dirigente sindacale,
conoscenza delle norme in
ambito sindacale, conoscenza
del sindacato, primi rudimenti
in tema di comunicazione
verbale
e
meta-verbale).
Il prossimo appuntamento
(corso II livello), in calendario
il 16 e 17 aprile, è riservato
esclusivamente a coloro che
hanno frequentato il I livello
per un perfezionamento delle
materie che ne sono state
oggetto.
Di seguito riportiamo l’intero
calendario
suddiviso
per
categorie e per appuntamenti:
- Corso I livello: 17 e 18
settembre - Corso II livello: 16
e 17 aprile 2010
e 15 e 16
ottobre
- Corso III livello: 27 - 28
- 29 maggio e 25 - 26 - 27
novembre.
Sicuramente quello che
ha sempre caratterizzato e
caratterizza una professione è il
patrimonio intellettuale ovvero
l’insieme delle conoscenze e
delle competenze accumulate
nel corso degli anni. I
consulenti del lavoro sono
sicuramente tra i più qualificati
lavoratori della conoscenza,
probabilmente gli antesignani
di quello che ora americani e
inglesi chiamano “Knolowdge
worker”.
La qualificazione per un
Consulente del
Lavoro è
un elemento assolutamente
importante
cercato
e
sviluppato da sempre e va
dato atto al sindacato ed
all’ordine dell’impegno profuso
su questo versante in tutta la
loro storia; impegno che per
il sindacato parte con l’inizio
del suo esistere, a questo
riguardo il consiglio mio
personale per capire è quello
di partecipare alle giornate di
Fiesole organizzate da Diana
Onder e dal Centro Studi per
scoprire la nostra storia e che
vi faranno sentire orgogliosi
di essere nell’Ancl - SU. Il
primo corso per dirigente di
Fiesole “ti impone” la rilettura
delle tue radici di consulente
e ti da la dimensione di una
professione che ha visto negli
anni i suoi protagonisti farsi
“sempre nuovi”.
E questo frutto della storia
è anche la radice del futuro
che impone innovazione e
creatività soprattutto in una
professione che tutti i giorni
cambia.
Innovazione che vuol dire
rendere le cose nuove e cioè
proporre nuove visuali per
le cose vecchie,
vederle
da un diverso punto di vista
e creatività che significa
proporre “intuizioni” che non
esistevano prima.
Anche nell’amministrazione
del personale innovazione
e creatività devono essere
elementi essenziali anzi detto
con
linguaggio
aziendale
competenze distintive di una
famiglia professionale.
Se questo è valido per la
professione lo è ancor più per
il sindacato che si pone come
parte sociale e come soggetto
che legge e interpreta i
bisogni dei suoi associati alla
luce di una società che muta
e che interpreta le norme
e propone eventi formativi
per innovare la legge e
stimolarne la creazione. Qui
è necessario fare un distinguo
con il ruolo dell’ordine, con
una sottolineatura
frutto
della mia piccola esperienza.
La formazione per l’ordine è
eminentemente istituzionale
ed in relazione con lo scopo
di garantire un altissimo
livello di qualità “della fede
pubblica” e di far in modo che
il patrimonio di conoscenze
venga distribuito (per questo
viene definita formazione
permanente).
Il
sindacato
invece,
dovrebbe
essere
capace
di proporre innovazione e
creatività (proprio per la sua
PAG. 22 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
vocazione di forza sociale)
cercando di manifestare le
istanze
del
cambiamento
che la società vive nel qui e
nell’ora storico; in altre parole
voglio dire che il sindacato
percependo la storia che
cambia
dovrebbe
essere
precognitore e propositore
delle cose che verranno.
Un prisma è sempre un
prisma ma, assume significati
diversi se lo si vede con la
prospettiva della faccia o con
quella dello spigolo.
Le persone nella storia
debbono adattare al qui ed
all’ora ciò che essi sono e le
istanze di cui sono portatori.
Il
sindacato
dovrebbe
essere un centro di ricerca,
una fucina che propone una
visione del futuro.
In questo la formazione è
elemento indispensabile ed
il campus di Fiesole è un
laboratorio importante perché
da forma e prepara il futuro
spingendosi al limite delle
conoscenze e competenze
necessarie alla professione
oggi.
Nella mia attività specifica
di progettista della formazione
della Up di Roma (che ho fatto
in partnership con la collega
Rossella Quintavalle che è una
eccezionale
organizzatrice)
ho incontrato tanti colleghi
che mi hanno stimolato e
presentato riflessioni.
Ho fatto tante discussioni
ed affrontato tanti problemi
da più punti vista e mi sono
reso conto che in ciò sta la
ricchezza di quello che siamo.
Una volta parlando con un
collega ci siamo detti: “siamo
come le poste, presenti in
ogni angolo d’Italia” e questo
FIESOLE
La formazione per i consulenti del
lavoro: un valore per il sindacato
ci permette di dire che
conosciamo i problemi di ogni
datore di lavoro italiano, che
abbiamo una conoscenza ed
un patrimonio distribuito che
però è specialistico perché è
incardinato nel territorio.
In questo periodo negli
incontri a Roma che abbiamo
chiamato del Martedì del
Consulente ci siamo accorti
che lo scambio delle idee e
la costruzione di contributi
comuni è la ricchezza del
sindacato perché teso a
risolvere i problemi della
categoria che sono i problemi
dei datori di lavoro e dei
lavoratori.
Credo che in questo
contesto il ruolo del centro
studi come luogo di formazione
alla “ricerca”, sia essenziale
e fondamentale perché se
riuscissimo a tradurre le
istanze di datori di lavoro e
lavoratori in leggi e regolamenti
avremmo realizzato la nostra
naturale vocazione di esperti
del settore.
Permettetemi,
a
conclusione,
una
piccola
riflessione “filosofica”.
Come il nostro segretario
ha più volte detto e come la
nostra presidente ha anche
indicato nel forum lavoro che
si è tenuto mercoledì, una
delle nostre specificità è la
conciliazione e lo sarà sempre
più in futuro divenendo ancor
più una competenza distintiva.
Il nostro futuro ci dovrà vedere,
usando
delle
definizioni
sintetiche
e
simboliche,
pontefici ed interfacce.
Molti staranno sorridendo
leggendo queste righe, come
è successo a me quando per
la prima volta ho pensato
questa cosa.
Parole
che
sembrano
esagerate od astruse, ma che
in realtà incarnano la nostra
doppia vocazione, umanistica
e tecnica. Perché pontefice
e perché interfaccia? Perché
l’etimologia ci dice che il
pontefice è
costruttore di
ponti, mentre interfaccia è
una parola della terminologia
informatica
che
richiama
i concetti di strumento
di
contatto e di interscambio e
traduzione tra due realtà che
non potrebbero comunicare
tra loro; in maniera del tutto
simile al sistema operativo
del computer che mette in
relazione l’operatore e la
macchina permettendo di far
esistere l’informatica “user
friendly”.
Potremo
forse
essere
in
futuro
costruttori
di
comunicazione e conciliatori,
un futuro che se verrà
realizzato renderà la nostra
generazione, una generazione
che è valsa la pena di vivere
come professionisti.
Fiesole con i corsi sulla
comunicazione
è
anche
preparatoria a questo.
PAG. 23 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
Corsi Fiesole, photogallery
del primo appuntamento 2010
FIESOLE
PAG. 24 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
FIESOLE
Ultima - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010
CHI SIAMO
Dirigenti e sedi Associazione Nazionale
Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario
GIUNTA ESECUTIVA NAZIONALE
Da chi è composta la Giunta
Segretario Generale Nazionale Francesco Longobardi - Vice Segretario Generale Nazionale Vicario Stefano
Sassara - Vice Segretario Generale Nazionale Franco Dolli - Segretario Tesoriere Giammaria Monticelli
Segretario Amministrativo Guido Sciacca - Coordinatore Centro Studi Paola Diana Onder
ALTRI COMPONENTI GIUNTA ESECUTIVA
Tutti i componenti della Giunta
Claudio Baldassari, Giovanni Besio, Adele Borelli, Marina Canavesio, Nestore D’Alessandro, Roberto
Morini, Danilo Notarnicola, Leonardo Pascazio, Roberto Sartore, Rossano Zanella,
Collegio Nazionale Sindaci Revisori
Dario Montanaro (presidente), Renato Boscutti e Giovanni Gherzi (revisori)
Collegio Nazionale Probiviri
Patrizia Gagliardi (presidente), Luciano Ognissanti e Andrea Pozzatti (probiviri)
CONSIGLIO NAZIONALE
Da chi è composto il Consiglio
Consiglieri di estrazione congressuale
Agostini Walter, Alborno Mario, Arteritano Pasquale, Baldassari Claudio, Besio Giovanni, Biscarini Paolo,
Borelli Adele, Bravi Bruno, Bruno Luciana, Canavesio Marina, Cocchi Maria Rosaria, Cocorullo Fernando,
D’Alessandro Nestore, D’Angelo Franco, De Febe Giulia, Della Bianca Giuliana, Di Paolo Mauro, Dolli Franco,
Eleonori Guglielmo R., Faggiotto Claudio, Fanfani Antonio, Formentin Giovanna, Furlan Debora,
Giacomin Antonietta, Giarola Zeno, Granata Annamaria, Graziano Alessandro, Izzo Alfonso, Maffiotti
Manuela, Mirtoni Annamaria, Monticelli Giammaria, Morini Roberto, Nicoli Loredana, Notarnicola Danilo,
Onder Paola Diana, Paone Luca Andrea, Pascazio Leonardo, Pasquini Roberto, Piceci Roberto, Rama
Valeria, Rota Porta Alessandro, Sanna Mauro, Sartore Roberto, Sassara Stefano, Schiavello Antonio,
Sciacca Guido, Scoglio Stefania, Sighinolfi Roberta, Spalletti Antonella, Tonegutti Stefano, Umbaldo
Massimiliano, Vannicola Enrico, Zanella Rossano, Zeppi Leonardo, Zimmile Calogero
PRESIDENTI CONSIGLI REGIONALI ANCL
I presidenti dei Consigli Regionali dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro
Crocifisso Baldari (Puglia), Elisabetta Battistella (prov. aut. Bolzano), Pier Luigi Begliuomini (Valle
d'Aosta), Alessandro Bonzio (Veneto), Filippo Carrozzo (Piemonte), Galileo Casimiro (Molise), Giuseppe
Corrias (Sardegna), Giulio Dapelo (Liguria), Nicola De Laurentis (Abruzzo), Maria Rosaria Cocchi
(Lombardia), Anna Maria Granata (Campania), Giovanna Manca (Basilicata), Carlo Marcucci (Marche),
Pasquale Mazzuca (Calabria), Luca Piscaglia (Emilia Romagna), Paolo Rossi (Lazio),
Nunzio
Scribano
(Sicilia),
Alessandro
Signorini
(Toscana),
Marinella
Tinonin
(Friuli Venezia Giulia), Bruno Toniolatti (Umbria), Mauro Zanella (prov. aut. Trento).