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Edizione Speciale Quesiti L'importanza della storica rubrica L’editoriale del SGN Longobardi 18 quesiti e le risposte degli esperti Formazione per i consulenti un valore per il sindacato Torna lo Speciale Quesiti in edicola virtuale REDAZIONE Bollettino ufficiale Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario Anno 2 - Numero 6 (9) Direttore responsabile Francesco Longobardi Capo redattore Diana Paola Onder Coordinatori di redazione Silvia Bradaschia Giuliana Della Bianca Redazione e impaginazione Solcom srl via Salvatore Matarrese, 2/G 70124 Bari SOMMARIO EDIZIONE SPECIALE QUESITI EDITORIALE Torna in edicola virtuale lo "speciale quesiti" pag. 3 quesiti 18 quesiti e le risposte degli esperti pag. 4 Fiesole La formazione per i consulenti del lavoro: un valore per il sindacato pag. 21 Editore Ancl - Segreteria Nazionale via Cristoforo Colombo, 456 Scala B, II piano 00145 Roma FIESOLE Corsi Fiesole, photogallery del primo appuntamento 2010 pag. 23 Contatti www.anclsu.com [email protected] [email protected] CHI SIAMO in ultima chiuso alle ore 12.37 del 25 marzo 2010 PAG. 3 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 EDITORIALE Torna in edicola virtuale lo "speciale quesiti" Dopo la fortunata edizione del 20 dicembre scorso, un'altra pubblicazione dedicata esclusivamente alla storica rubrica de "Il Consulente milleottantuno" Il successo dell'edizione "speciale quesiti" pubblicata il 20 dicembre 2009, ha spinto la redazione de "Il Consulente milleottantuno" a riproporre una pubblicazione dedicata esclusivamente alla storica rubrica della rivista ufficiale dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro - Sindacato Unitario. Una rubrica destinata (e dedicata) in particolare ai tantissimi colleghi che, con assiduità, leggono, consultano e richiedono il parere degli esperti del Centro Studi. L'unica divagazione di questo "speciale" è riservata al commento al primo appuntamento 2010 del corso di formazione per quadri dirigenziali, organizzato dallo stesso Centro Studi il 19 e 20 marzo scorso a Fiesole, in Toscana e aperto al I livello (ovvero a tutti coloro che ambiscono ad acquisire notizie sul ruolo del dirigente sindacale e sulle norme che regolano il sindacato stesso). La speranza, attraverso la predisposizione di speciali edizioni della nostra rivista e attraverso la promozione dei corsi per dirigenti, è quella di attivare processi virtuosi di comunicazione dall'alto verso il basso, affinché si sviluppi e prenda sempre maggiore consistenza il processo inverso: dal basso verso l'alto. Perché questa Segreteria è convinta che dalla base, dal territorio, dalla periferia possano esprimersi suggerimenti e spunti per dare linfa nuova alla spinta sindacale (del resto anche l'organizzazione, la promozione e la comunicazione dell'Assemblea delle Up e dei Cr del 5 e 6 marzo avevano lo stesso obiettivo). Chissà che gli speciali de "Il Consulente milleottantuno" e un'assidua frequentazione del nostro portale www. anclsu.com (che nelle ultime settimane ha ottenuto una crescita continua sia nelle visite che nelle registrazioni, vi invito a continuare su questa strada) non contribuiscano a portare nuove idee, nuove proposte, nuove tematiche. Come sempre, dalla politica sindacale alle nuove e tradizionali vie di comunicazione, il contributo delle singole realtà può essere molto importante. PAG. 4 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Computo del lavoratore intermittente, vale l'orario di lavoro effettivamente svolto a cura di Diana Paola Onder Coordinatrice Centro Studi Nazionale Ancl QUESITO Un’azienda che ha 14 dipendenti a tempo pieno più 2 lavoratori intermittenti chiamati pochissime volte al mese, secondo voi rischia di ricadere nell’ambito della tutela reale in caso di licenziamento impugnato (credo manchi giurisprudenza in merito)? Soluzione proposta. I lavoratori intermittenti dovrebbero contare in proporzione al lavoro effettivamente svolto, come per i lavoratori part-time. RISPOSTA Esperto: Chiara Giovannini L’art. 39 del D.Lgs. n. 276/2003, rubricato “Computo del lavoratore intermittente”, testualmente cita: “Il prestatore di lavoro intermittente è computato nell'organico dell'impresa, ai fini della applicazione di normative di legge, in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre.” La soluzione individuata dal collega è pertanto corretta, si tratta soltanto di applicarla facendo riferimento ad una media semestrale. Volendo fornire un esempio partendo dai dati forniti dal collega, si potrebbe ipotizzare quanto segue: - dipendenti a tempo indeterminato e pieno occupati al 30/09/09: 14 - dipendenti a chiamata al 30/09/09: 2 - orario di lavoro contrattuale mensile a tempo pieno 168 - ore di lavoro svolte dai dipendenti a chiamata dal 01/04 al 30/09: 120 + 80 200 - computo lavoratori a chiamata: 200/168/6 0.19 - forza aziendale al 30/09/09: 14.19 PAG. 5 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Operai in trasferta per montare infissi, le ore di viaggio vanno retribuite? Sono da registrare nel Libro Unico? QUESITO Gestione delle ore di viaggio / trasferta – settore legno industria. Espongo il seguente problema: Ditta con applicazione del CCNL legno industria. Operai in trasferta per montare infissi in legno Orario di lavoro praticato: orario normale - 8 ore - Ora straordinaria - 1 ora Ore di viaggio - in media 2 ore al giorno (andata e ritorno). Le due ore di viaggio finora sono state pagate al 50% (indennità al 50 % della retribuzione per le ore di viaggio effettivamente compiute per recarsi sul luogo di lavoro – in base al vecchio Art. 72 del CCNL Legno e sughero industria (data stipula 21.07.04) assoggettandole anche a contributi e Irpef - si tratta di uno specifico trattamento per il tempo di viaggio per il personale operaio inviato in trasferta – In più é stata pagata una trasferta giornaliera di 20 € Il problema é nato con l´emanazione del D. Lgs. 8/4/2003 – l´art. 1,c 2 , definisce orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro e nell´esercizio della sua attività. Quindi il primo problema che si pone é chiarire se le ore di viaggio devono essere retribuite, se si, in quale misura e se rientrano nel concetto di orario di lavoro e pertanto soggette alla registrazione sul LUL. Il secondo problema é che il rinnovo del CCNL del 28/05/2008 non prevede più il pagamento delle ore di viaggio – ma compete un´indennità di trasferta pari al 30 % della retribuzione giornaliera. Si chiede pertanto come si può regolarizzare la situazione esposta (applicata dalla ditta finora) per essere in regola sia con l´orario di lavoro, sia con le registrazioni sul LUL, eventualmente trasformando le ore di viaggio in trasferta RISPOSTA Esperto: Antonio Stella Precedentemente alla riforma dell’orario di lavoro operata con il D.Lgs. n. 66/2003, il riferimento normativo era costituito dall’art. dall’art. 3 del R.D. 692/1923, la cui nozione di orario di lavoro era basata sul principio dell’effettività: è considerato lavoro effettivo ai sensi del presente decreto ogni lavoro che richieda un'applicazione assidua e continuativa. Conseguentemente non sono comprese nella dizione di cui sopra quelle occupazioni che richiedono per la loro natura o nella specialità del caso, un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia. Nell’interpretare tale norma la giurisprudenza di legittimità ed il Consiglio di Stato erano poi costanti nell’affermare come, salvo diverse previsioni contrattuali, il tempo di viaggio necessario per raggiungere la diversa sede di lavoro necessitata dall’invio in trasferta non costituisse attività lavorativa. Il compito di ristorare il lavoratore era così affidato all’indennità di trasferta di natura contrattuale, la cui funzione era mista, in parte indennitaria (in riferimento PAG. 6 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI al disagio procurato al lavoratore) ed in parte compensativa (del tempo trascorso in viaggio dal medesimo soggetto). L’art. 1, c. 2, lett. a) del D. Lgs. n. 66/2003, nel riformare la disciplina dell’orario di lavoro in conseguenza di quanto dettato dalle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, ne detta una diversa definizione: agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intende per "orario di lavoro" qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni. I criteri di conseguenza sono tre e non sono alternativi ma cumulativi (sono legati dal congiuntivo “e” e non dal disgiuntivo “o”) e, se indubbiamente nel tempo di viaggio il lavoratore si può considerare a disposizione del datore, non pare possa dirsi “al lavoro” o “nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, comportando il viaggio, se non riposo, quanto meno fatica e tensioni minori rispetto alla normale attività. Per quanto sopra, anche alla luce della rinnovata disciplina dell’orario di lavoro e di tale interpretazione della dottrina, saremmo portati ad escludere il tempo di viaggio nella trasferta dal computo dell’orario di lavoro, anche straordinario. Il breve intervallo temporale trascorso dalla riforma dell’orario di lavoro, tuttavia, non permette ancora il riscontro di una giurisprudenza di legittimità a supporto delle considerazioni ora espresse. Si ritiene comunque utile riportare un innovativo orientamento giurisprudenziale (Cass. 22-03-04, n. 5701) che, pur riferito al precedente sistema normativo, offre una diversa lettura basata non tanto sul principio di effettività quanto sul concetto di funzionalità: si tratta pertanto di un orientamento che potrebbe manifestare la sua attualità anche sotto la vigenza del D.Lgs. 66/2003. Secondo tale indirizzo il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria, e va quindi sommato al normale orario di lavoro come straordinario, quando sia funzionale rispetto alla prestazione e connaturato alla stessa; in particolare sussiste il nesso di funzionalità nel caso in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta inviato in diverse località per svolgervi la prestazione lavorativa (nel caso specifico è stato considerato quindi orario di lavoro quello impiegato per raggiungere i cantieri partendo dalla sede abituale). Per quanto sopra il tempo di viaggio, considerato come “attività preparatoria” dovrebbe essere considerato ai fini del calcolo dello straordinario. Tutto ciò premesso possiamo perciò prendere atto di come, dal punto di vista normativo, la situazione si presenti ancora sufficientemente fluida, non disponendo di indirizzi consolidati della giurisprudenza di legittimità. La materia, in molti settori, è tradizionalmente disciplinata dalla contrattazione collettiva e a questo non sembra fare eccezione il ccnl Legno e Arredamento Industria. Se nel passato il tempo di viaggio era indennizzato con un importo pari al 50% delle a retribuzione base (in coerenza con il fatto di non considerare orario di lavoro tale intervallo temporale), a decorrere dal 28-05-08 a fronte del disagio è prevista dal nuovo CCNL una indennità forfetaria pari al 30% della normale retribuzione giornaliera. Questo assunto trova conferma nell’ultimo comma dell’art. 72 del nuovo contratto che testualmente recita: “Tenuto conto della varietà delle situazioni in atto, quanto sopra assorbirà sino a concorrenza quanto già previsto aziendalmente, per gli operai trasferisti, dal trattamento in essere”. E’ chiaro che il tempo di viaggio andrebbe annotato nel LUL solo qualora si volesse considerarlo quale orario di lavoro straordinario. PAG. 7 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Contratto intermittente a tempo indeterminato, come usufruire delle ore di ferie maturate? QUESITO Il ministero del Lavoro con risposta ad istanza di interpello del 06/08/2009 prot. 25/i/0011383, lascia intendere che nei contratti di lavoro intermittente non può essere a priori quantificata la percentuale di incidenza delle ferie e quindi pagate insieme alla retribuzione oraria e ai ratei differiti, per ogni ora di lavoro effettivamente prestata. Se ciò fosse vero, in un contratto intermittente a tempo indeterminato, senza obbligo di rispondere alla chiamata, come si può pensare di chiamare il dipendente non a prestare la sua attività (in quanto si presenta la necessità di far fronte ad una maggiore richiesta), ma per svolgere le eventuali ore di ferie maturate? Se durante l’anno il datore di lavoro ha chiamato il lavoratore un paio di volte al mese e per esempio sono maturate 10 ore di ferie come decidere queste 10 ore di ferie quando e in quanti giorni farle usufruire? Soluzione proposta. Io ritengo che la soluzione migliore sull’esempio di quello che avviene per i lavoratori dello spettacolo del 1° gruppo, o OTD in agricoltura, la ferie e tutti gli istituti contrattuali differiti devono essere quantificati ad ora e pagati insieme alla retribuzione oraria. Del resto quando il lavoratore non é chiamato a svolgere attività lavorativa ha tutto il tempo necessario per recuperare le energie psico-fisiche. O ancora per parità di diritti con i lavoratori assunti a tempo pieno se il lavoratore a chiamata non svolge nell’arco nel mese più di 15 giorni lavorativi non dovrebbero neanche maturare i ratei di ferie. RISPOSTA Esperto: Renzo La Costa Nel settore dello spettacolo è definito imprenditore (cd. impresario o produttore) chi esercita un’attività economica volta alla produzione di servizi (ad es., produttori di pellicole cinematografiche, enti lirici, teatri, compagnie ed impresari di spettacoli di prosa, pubblici esercizi con orchestre o spettacoli, titolari o gestori di locali notturni, in genere chiunque assume alle proprie dipendenze personale artistico e tecnico per la produzione e realizzazione di spettacoli da tenersi in luogo pubblico o privato). Anche il lavoro nello spettacolo è uno rapporto di lavoro speciale. Sono lavoratori dello spettacolo i soggetti che pongono in essere manifestazioni volte alla rappresentazione di un testo letterario o musicale, con personale abilità degli interpreti, allo scopo di procurare divertimento, in senso culturalmente ampio, degli spettatori (Cass. 19 febbraio 1991, n. 1111). Ricorrendo entrambe le circostanze soggetti, datore di lavoro e lavoratore sono assoggettate alla contribuzione Enpals. Nel quesito proposto, non appare che ricorrano alcune delle condizioni suesposte, trattandosi di un comune datore di lavoro (associazione) e di un lavoratore non in possesso di specifica qualifica professionale artistica. Ne riviene che l’instaurando rapporto di lavoro rientri più legittimamente nella assicurazione generale Inps, invertendosi eventualmente l’onere della prova a carico Enpals nel dover dimostrare la propria competenza nell’inquadramento previdenziale del rapporto di lavoro. PAG. 8 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Contributi, l'Inps ha facoltà di chiedere la maggiorazione di 0,40? Affitto a terzi di due panifici, corretto fatturare al 20%? QUESITO QUESITO Contributi Inps a percentuale derivanti da dichiarazione redditi anno 2004 compensati con credito Irpef; F24 a "zero" presentato in luglio; Sui contributi Inps compensati non ho applicato la maggiorazione dello 0,40; ora l’Inps mi richiede l’importo dello 0,40. Chiedo se l’Inps abbia questa facoltà (dato che il debito non é uscito nemmeno dal diagnostico Agenzia Entrate) e se sì i riferimenti normativi. RISPOSTA Esperto: Giammaria Monticelli Il D.P.R. 7/12/2001 nr. 435 all’art. 17 prevede che: 1. Il versamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ed a quella dell'imposta regionale sulle attività produttive da parte delle persone fisiche e delle società o associazioni di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, compresa quella unificata, è effettuato entro il 16 giugno dell'anno di presentazione della dichiarazione stessa. 2. I versamenti di cui al comma 1 possono essere effettuati entro il trentesimo giorno successivo ai termini ivi previsti, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo. Appare pertanto legittimo che su importi dovuti con riferimento alla dichiarazione dei redditi l’INPS richieda il versamento dello 0,40 % se lo stesso è stato effettuato, pur in compensazione nel mese di luglio. Una azienda di molitura cereali e frantoio olive ha fra i beni di impresa due panifici con relative licenze che ha affittato a terze persone: i due contratti sono regolarmente registrati e l’azienda emette fattura con Iva al 20%. Si chiede se ciò è regolare o se siano dovute altre imposte di registro (esempio il 2% annuale). Soluzione proposta. Assoggettare le somme alla sola Iva. RISPOSTA Esperto: Renzo Ghiotto L'affitto di un ramo d'azienda, ai sensi dell’articolo 3 del D.P.R. 633/1972, costituisce una prestazione di servizi ed è soggetto ad IVA con applicazione dell'aliquota ordinaria (20%) ai relativi canoni. Il contratto di affitto di ramo d'azienda deve risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata ed è soggetto a registrazione entro 20 giorni dalla stipula con applicazione dell'imposta di registro in misura fissa di € 168. Per i contratti stipulati a decorrere dal 12-8-2006, a seguito delle novità introdotta dall'art. 35, comma 10-quater, D.L. 223/2006, qualora la componente immobiliare risulti prevalente (più del 50% del valore complessivo dell'azienda), all'affitto soggetto ad IVA va applicata l'imposta di registro proporzionale dell'1% (circolari Agenzia Entrate 4-8-2006, n. 27/E e 1-3-2007, n. 12/E). PAG. 9 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Tempo determinato e impugnamento del licenziamento QUESITO Un’ azienda con attività di impermeabilizzazione e coibentazione, nella lettera di assunzione a tempo determinato per n.3 mesi (dal 01/12/2008 al 28/02/2009), dell’unico dipendente in forza, ha indicato quale motivo del contratto a termine: esecuzione di opere eccezionali in rapporto alla consueta attività produttiva (il vecchio contratto dell’industria delle costruzioni edilizie ed affini del 29/01/2000 all’art.94 comma 1 riportava tra le ragioni del tempo determinato esattamente questa dicitura). Il dipendente ha svolto la sua prestazione lavorativa presso diversi cantieri, tutti di durata inferiore ai 15 giorni. Al termine del contratto il lavoratore ha impugnato il licenziamento "per palese carenza di motivi a giustificazione della determinazione temporanea del rapporto di lavoro", ovvero per eccessiva genericità del luogo di lavoro. Con quali argomentazioni si può resistere a queste assurde pretese in sede giudiziaria? Soluzione proposta. L’unica soluzione proposta dalla Direzione provinciale del lavoro é quella di sottoscrivere un nuovo contratto per ogni cantiere in cui viene inviato il dipendente con relativa accettazione dello stesso. Per attività edili, come pure nell’impiantistica, installazione, manutenzione, riparazione etc. é quanto mai oneroso, se non impossibile, stipulare preventivamente singoli contratti, dal momento che si lavora a chiamata e per interventi brevi e non programmabili. RISPOSTA Esperto: Maria Luisa Di Marco In risposta al quesito posto dal collega, ritengo si debbano utilizzare i riferimenti normativi vigenti, in merito alle assunzioni a tempo determinato, e non la normativa dei CCNL, dei settori Industria od Artigiano Edile, scaduti. Infatti, il collega indica come settore di appartenenza Artigiano Edile, poi fa riferimento all’art. 94 c. 1 del CCNL Industria Edile del 29/01/2000. In ogni modo il contratto a cui si fa riferimento, è stato rinnovato per ben due volte, il 20/05/2004 ed il 18/06/2008. Il riferimento per i contratti a termine è diventato nei CCNL Industria o Artigiano Edile vigenti l’articolo 93, il quale recita “il lavoro a tempo determinato è consentito a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, con riferimento a quanto disposto dal Decreto Legislativo 06/09/2001 n. 368. Gli stessi riferimenti normativi indicati nel CCNL dell’Industria Edile, sono richiamati anche nel CCNL Artigiano Edile del 23/07/2008, all’art. 93. Infatti, la normativa vigente per quanto riguarda le assunzioni a tempo determinato, oltre al Decreto Legislativo n. 368/2001 è stata ulteriormente modificata dalla Legge n. 247/2007 prima e dal Decreto Legge n. 112/2008 convertito in Legge n. 133/2008 poi. La Legge n.133/2008 è attualmente in vigore per le assunzioni a tempo determinato, e dispone che il rispetto delle ragioni “tecniche, produttive, organizzative o sostitutive” è in ogni modo garantito, anche se le stesse sono “riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”, modificando così l’interpretazione che considerava legittima l’apposizione del termine solo a fronte di esigenze particolari. Le norme a cui si deve far riferimento, nel caso in cui i CCNL di appartenenza non diano indicazioni specifiche in merito alle modalità di dette assunzioni, ed in questo caso né il settore artigiano né quello dell’industria edile dettano indicazioni particolari, sono le norme generali, le quali dicono che si possono effettuare assunzioni a termine oltre che per cause “tecnico, produttive, organizzative o sostitutive”, anche nel caso in cui si presentino “occasioni temporanee” di lavoro. Per cui ritengo sia sufficiente fare riferimento alla normativa inerente le assunzioni a tempo determinato, al fine di risolvere il problema, poiché essa ritiene valide le assunzioni a tempo determinato, anche a fronte di attività ordinaria del datore di lavoro, senza dovere indicare per “esecuzione di opere eccezionali in rapporto alla consueta attività produttiva”, od andare a stipulare singoli contratti per ogni unità operativa. PAG. 10 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Si può interrompere la CIGO e attivare la procedura di mobilità con licenziamento collettivo per 20 persone? QUESITO Una società ha sospeso saltuariamente in varie settimane l’attività con utilizzo della CIGO per circa 20 persone. L’azienda vorrebbe interrompere la CIGO ed aprire la procedura di mobilità con un licenziamento collettivo per 20 persone. Vorrei sapere se tale procedura é fattibile e corretta o se tale modo di agire può dare motivo all’INPS di recuperare la indennità di CIG autorizzata e non accettare quella in corso. RISPOSTA Esperto: Gabriele Giardini e Carlo Cavalleri I due ammortizzatori sociali della CIGO e della mobilità si basano su presupposti assolutamente differenti. Infatti la CIGO può essere autorizzata nei casi di situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o agli operai oppure per situazioni temporanee di mercato. Il riconoscimento della CIGO è subordinato alla valutazione a priori da parte dell’Inps della certezza della riammissione dei lavoratori sospesi nell'attività dell'impresa. Invece la mobilità va a coprire quei casi in cui un’impresa ammessa alla CIGS ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i dipendenti oppure che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro o di cessazione dell'attività, ricorra ad un licenziamento collettivo. Pertanto il ricorso alla CIGO è ammesso qualora ci sia la certezza di occupare nuovamente i dipendenti sospesi, mentre nella mobilità si è certi del contrario. E’ senz’altro possibile richiedere l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo con conseguente ricorso alla mobilità, anche durante l’effettuazione della CIGO, se si verificano nel frattempo i diversi presupposti previsti dalla legge per l’intervento di tale ammortizzatore sociale. Tuttavia ciò può determinare da parte dell’Inps una mancata autorizzazione alla CIGO già richiesta in quanto potrebbero essere ritenuti non più sussistenti i requisiti di temporaneità e transitorietà necessari per il suo intervento. Per quanto riguarda gli interventi di CIGO già autorizzati, la verifica dei requisiti oggettivi è già stata espletata dall’Inps con riferimento ad ogni singolo periodo richiesto, pertanto sembra non sussistere alcun rischio di recupero delle somme già erogate. A conferma di ciò il messaggio Inps del 27 marzo 2009, n. 6990 afferma che il giudizio della Commissione circa la certa "riammissione, entro breve periodo degli operai stessi nell'attività produttiva dell'impresa", va espresso in via preventiva e non sulla base di quanto successivamente accaduto. PAG. 11 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Cooperative, può un socio non avere ulteriore rapporto di lavoro QUESITO E’ ammissibile l’ipotesi della presenza in cooperativa di soci senza un ulteriore rapporto di lavoro di qualsiasi natura (subordinato, di inserimento, di apprendistato, ecc.)? Soluzione proposta. Non può esistere una cooperativa dove vi siano soci con apporto solo societario. Il termine successivamente di cui al comma 3 dell’art, 1 della l. 142/2001 deve avere una interpretazione di fuggevole durata. Il socio deve necessariamente lavorare; non può esistere una figura di socio che apporti la propria opera solo con il contratto societario. RISPOSTA Esperto: Renzo La Costa La ragione e causa per la quale un soggetto aderisce ad una cooperativa di lavoro è il reperimento di occasioni di lavoro e conseguente stabilità occupazionale. Lo stesso art. 1 comma 3 della legge 142/2001 prevede che “ il socio lavoratore di cooperativa stabilisce – ( e non può stabilire ) un ulteriore rapporto di lavoro. Già da tale previsione normativa si desume che il rapporto del socio lavoratore con la cooperativa deve essere necessariamente duale, e non unicamente sussistente solo quello sociale. Si aggiunga che il rapporto mutualistico tra socio e cooperativa nel caso rappresentato ha ad oggetto specificatamente la prestazione lavorativa del socio ai fini del perseguimento dello scopo sociale. Ne consegue - nelle cooperative di lavoro che il socio è tenuto ad instaurare un rapporto di lavoro con la società, essendo inammissibile la presenza di un socio con il solo rapporto associativo. In tale ultimo caso, infatti, il socio non attuerebbe lo scambio mutualistico suddetto, in ovvio contrasto con lo statuto sociale. Pertanto il socio che rifiuta l’opportunità occupazionale offerta dalla cooperativa può legittimamente essere oggetto di provvedimento di esclusione, previa deliberazione dell’assemblea sociale. Badante non convivente, quale calcolo per l'orario? QUESITO La situazione: ad una badante non convivente con inquadramento BS ed orario ridotto pari a 30 ore settimanali, vengono richieste prestazioni lavorative eccedenti l’orario previsto dal contratto. Visto che l’art. 15 prevede un orario concordato tra le parti con un massimo di 8 ore per i non conviventi, l’art. 16 comma 4 sempre per i non conviventi, stabilisce una percentuale del 10% per le ore eccedenti le ore 40 e fino alle 44 ore settimanali, non sono previste maggiorazioni per le ore supplementari, come calcolare e con che percentuale le ore prestate dalla 31 alla 40? La medesima situazione si potrebbe profilare per una colf a 24 ore settimanali. RISPOSTA Esperto: Cristina Michieli Come già anticipato nel quesito, l'art. 15 del CCNL sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico stabilisce che la durata normale dell'orario di lavoro sia quella concordata tra le parti. La norma contrattuale, poi, prevede un limite massimo alla prestazione giornaliera che, per i lavoratori non conviventi, è di 8 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 40 ore settimanali. Posta l'assoluta libertà delle parti di determinare un qualsiasi orario lavorativo, anche inferiore alle 40 ore settimanali, le stesse hanno solo l'obbligo di rispettare i limiti massimi giornalieri e settimanali. Quindi, le ore che, per accordi tra le parti, eccedano l'orario di lavoro previsto all'atto dell'assunzione saranno retribuite senza alcuna maggiorazione fino al raggiungimento delle 40 ore settimanali, oltre saranno retribuite con le maggiorazioni previste dall'art. 16 del CCNL. PAG. 12 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Mancato preavviso, quali e quanti giorni è corretto trattenere? QUESITO Si dimette un impiegato il quale dovrebbe effettuare un preavviso di 15 giorni decorrenti dal primo di ottobre 2009. Il giorno stesso che presenta la lettera di dimissioni (20 settembre 2009) lo stesso interrompe il rapporto di lavoro in tronco. E’ corretto trattenere i 15 giorni per il mancato preavviso o sarebbe corretto trattenere i 15 giorni + i 9 giorni decorrenti dal 21 al 30 settembre 2009 visto che comunque il periodo che avrebbe dovuto rimanere in forza era fino al 15 di ottobre 2009? RISPOSTA Esperto: Anna Maistro Il contratto di lavoro subordinato è regolamentato dalle leggi speciali in materia e dalla normativa di diritto comune. L’art. 1372 cod. civ. dispone che il contratto ha forza di legge tra le parti e “non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Tra le cause previste, l’art. 2118 cod. civ. sancisce la facoltà di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto, verso l’altra parte, ad erogare un’indennità equivalente alla retribuzione che sarebbe spettata per il periodo del preavviso. Il recesso dal contratto di lavoro costituisce, quindi, un atto unilaterale recettizio e la possibilità di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, con l’onere del preavviso, costituisce una causa di estinzione del contratto. Tuttavia, per vedere le corrette modalità dell’attuazione del preavviso, è necessario far riferimento a quanto contenuto nella legge e, salvo diverso accordo tra le parti, nei contratti collettivi. Nel caso in specie, nel contratto dell’Autotrasporto Industria, il periodo del preavviso decorre dal primo o dal sedicesimo giorno del mese. Da questo momento va computato il periodo del preavviso o l’arco di tempo necessario al fine di calcolare la corretta indennità di mancato preavviso. Considerando che il recesso è avvenuto in tronco e che il CCNL applicato in azienda prevede che, nel caso in cui una parte risolva il rapporto senza l’osservanza dei termini di preavviso, la parte recedente deve corrispondere all’altra una indennità pari all’importo della retribuzione per mancato preavviso, compete al datore di lavoro la facoltà di trattenere l’indennità di mancato preavviso prevista dal CCNL applicato in azienda, la quale, pertanto, sarà pari ai 15 giorni lavorativi decorrenti dal giorno di cessazione in tronco del rapporto di lavoro. PAG. 13 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Licenziamento di un apprendista assunto con contratto professionalizzante, ma senza alcuna formazione QUESITO Problematiche legate al licenziamento di un apprendista assunto con contratto professionalizzante che non ha effettuato per i due anni di lavoro alcuna formazione esterno per mancanza ell’istituzione dei corsi da parte degli enti formatori e comunque l’azienda non è mai stata invitata a far frequentare il corso se istituito. RISPOSTA Esperto: Renzo La Costa La problematica rappresentata non è rara nel variegato panorama delle organizzazioni regionali della formazione. Tuttavia si osserva che la normativa nazionale ha da tempo previsto che pur in presenza di recepimento dell’apprendistato professionalizzante nel CCNL applica, la mancanza di offerta formativa sul territorio da parte degli enti preposti secondo la disciplina regionale, l’apprendistato professionalizzante non è applicabile, facendosi quindi ricorso alla previdente disciplina (Legge 196/97). Se quindi l’ente formatore preposto risultava ufficialmente disponibile alla formazione esterna e se è stata osservata la procedura di richiesta di formazione dell’apprendista, appare evidente che la mancata formazione è ascrivibile alla responsabilità dell’ente. Ciò però non assolve il datore di lavoro dal mancato avvio a formazione dell’apprendista. In caso di verifica, infatti, potrebbe essere disconosciuto il rapporto di apprendistato per mancanza della formazione professionalizzante, con facoltà successivamente del datore di lavoro di rivalersi sull’ente inadempiente. Se invece alla data di assunzione si può dimostrare che non vi era concreta offerta formativa sul territorio, il rapporto di lavoro è qualificato professionalizzante solo dal nomen juris dato al contratto, non essendo materialmente così eseguibile. In tal caso sarà il datore di lavoro a dover dimostrare di aver espletato il ciclo di apprendistato secondo i percorsi formativi indicati dalla legge 186/87 e successivi decreti attuativi. Corretta interpretazione dei permessi retribuiti in azienda con più di 15 dipendenti QUESITO Un parere in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 140 "Permessi retribuiti" del vigente CCNL del Commercio/Terziario - Confcommercio. L’art. 140 del CCNL del Commercio/Terziario Confcommercio dispone che "per le aziende con più di 15 dipendenti i permessi individuali retribuiti PAG. 14 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI sono incrementati di 16 ore". Tale norma contrattuale non aggiunge ulteriori considerazioni in ordine alle modalità di computo per il superamento della soglia di 15 dipendenti. In buona sostanza, sono interessato a conoscere il Vs. qualificato parere in ordine alla corretta interpretazione di: 1. il superamento della soglia dei 15 dipendenti deve avvenire con riferimento alla dimensione occupazionale della singola unità produttiva ovvero alla dimensione occupazionale dell’impresa complessivamente considerata (come sommatoria dei dipendenti delle unità produttive)? 2. nel computo dei 15 dipendenti, sono esclusi gli apprendisti e i lavoratori di inserimento? I lavoratori parttime vanno computati in proporzione all’orario effettuato? Il Dirigente é escluso dal computo? Soluzione proposta. Si propone tale interpretazione di detto passaggio normativo: - l’art. 140 fa riferimento ad "azienda" e non ad "impresa" (nel suo complesso), avvalorando la tesi che il superamento del limite dei 15 dipendenti debba essere considerato con riferimento al superamento di detta soglia dimensionale per ciascuna unità produttiva e non considerando l’impresa unitariamente; il che equivale a dire che le 16 ore di permessi aggiuntivi competano solo nel caso di superamento dei 15 dipendenti in ciascuna unità produttiva e solo per i dipendenti di tale sede. Tale soluzione sembrerebbe più plausibile anche in considerazione del fatto che l’aumento dei permessi é correlato, nel testo contrattuale, all’aumento delle dimensioni occupazionali, tali da consentire una migliore gestione delle assenze dei singoli lavoratori per la fruizione dei permessi; - fra il numero dei dipendenti non vanno calcolati gli apprendisti, gli stagisti, gli eventuali lavoratori di inserimento ed i lavoratori interinali; i lavoratori part-time (idem i lavoratori a chiamata) sono calcolati in proporzione all’orario svolto. La computabilità dei Dirigenti é esclusa. RISPOSTA Esperto: Cristiana Michieli Non ritengo corretta l'interpretazione proposta circa l'applicazione dell'articolo 140 del CCNL del settore commercio in relazione all'incremento di 16 ore per le aziende con più di 15 dipendenti. In effetti, la norma contrattuale fa genericamente riferimento all'azienda e non all'impresa. Anche se da un punto di vista giuridico esiste una distinzione tra i due termini, differenza spesso eccessivamente enfatizzata, una buona parte della dottrina riconosce la piena fungibilità dell'uno o dell'altro sostantivo, poiché li considera sinonimi. Del resto, se le parti sociali avessero voluto effettivamente distinguere i due concetti avrebbero usato l'espressione più semplice di “unità produttiva”. Tuttavia restringere il campo di applicazione della suddetta norma alle sole unità produttive con più di 15 dipendenti determinerebbe una sicura discriminazione tra lavoratori all'interno di una stessa azienda. Si pensi, ad esempio, al caso di un supermercato che occupi 28 lavoratori e decida di suddividere l'attività aprendo due distinti punti vendita, uno con 10 e l'altro con 18 lavoratori. Secondo la tesi proposta, alcuni lavoratori si vedrebbero ridotto il monte ore dei permessi per il solo fatto di essere stati trasferiti in un punto vendita piuttosto che in un altro e, in caso di un successivo trasferimento, ipotesi non inusuale nel settore della distribuzione, si vedrebbero riconosciuti nuovamente i permessi prima tolti. In merito, infine, ai lavoratori da prendere a base per il computo, sicuramente i lavoratori part time e i lavoratori intermittenti vanno considerati in proporzione all'orario di lavoro svolto. Gli stagisti e i lavoratori interinali, ovviamente, non devono essere considerati, poiché i primi non sono dipendenti e i secondi non sono dipendenti diretti dell'azienda utilizzatrice. Dal momento che la norma contrattuale non prevede eccezioni in merito ai lavoratori assunti con contratto di inserimento, questi ultimi devono considerarsi esclusi dal computo ai sensi dell'art. 59, comma 2, D. Lgs. n. 276/2003. Anche per i lavoratori assunti con contratto di apprendistato, vale il medesimo ragionamento appena fatto (art. 53, comma 2, Dlgs n. 276/2003, che sul punto ha ripreso di fatto quanto stabilito dall'art. 21, comma 7, legge n. 56/1987). Per quanto riguarda, invece, il computo dei dirigenti va precisato che questi lavoratori, salvo diversa espressa previsione di legge o di contratto collettivo, devono sempre essere computati nell'organico aziendale. PAG. 15 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI CIG di due mesi concordata con RSU ma respinta dall'Inps, come fare per le retribuzioni? QUESITO Questa società ha concordato con RSU un periodo di cassa Integrazione per due mesi. L’Inps ha respinto la domanda per un errore tecnico in quanto sostiene che la domanda é arrivata oltre il periodo stabilito. Io ritengo che non é così, spero di poterlo dimostrare in sede di ricorso. Ma il mio quesito é questo: Se la CIGO é stata respinta ed ammettendo che sia vero, cosa devo fare per sistemare le retribuzioni? e precisamente: 1) i lavoratori nel periodo hanno percepito la retribuzione per CIG va integrata al 100 della retribuzione? 2) i contributi vanno versati sugl’importi corrisposti ed anticipati come CIG? 3) Vi sono altre implicazioni? RISPOSTA Esperto: Anna Maistro Partendo dal presupposto che la CIGO non sia stata autorizzata in toto, la Giurisprudenza è concorde nel ritenere che il provvedimento di concessione della Cassa integrazione guadagni abbia natura costitutiva e il suo rilascio sia subordinato ad una valutazione discrezionale dell’Ente cui la domanda è rivolta. In mancanza di autorizzazione, pertanto, viene meno il diritto al lavoratore di ottenere il trattamento di integrazione salariale e viene meno, altresì, come ribadito dall’INPS, il diritto del datore di lavoro di ottenere il rimborso di quanto eventualmente anticipato per conto dell’INPS. In mancanza di autorizzazione dell’INPS, quindi, permane il dovere, da parte del datore di lavoro, di corrispondere l’intera retribuzione, cosicchè l’eventuale anticipo di CIGO erogato al lavoratore non costituisce null’altro che l’80% della retribuzione, al cui pagamento il datore di lavoro resta integralmente obbligato. Una possibile deroga, al principio sopra enunciato, potrebbe essere prevista in sede sindacale, dove i lavoratori conferiscono uno specifico incarico al sindacato circa la stipulazione di un particolare accordo, ovvero ne ratificano il contenuto, nel quale le parti vengono reciprocamente esonerate, durante il periodo di sospensione lavorativa e in assenza di autorizzazione amministrativa, rispettivamente all’esecuzione della prestazione e all’erogazione della relativa retribuzione. In mancanza di autorizzazione della CIGO, quindi, il datore di lavoro può sospendere l’attività lavorativa e la retribuzione soltanto in presenza di un accordo sindacale validamente costituito: contrariamente, infatti, si realizzerebbe un inadempimento dei doveri contrattuali del datore di lavoro. Quindi, nel caso in cui non fosse stato stipulato un accordo sindacale della portata sopra descritta, il datore di lavoro dovrà integrare la retribuzione per il periodo non lavorato e per il quale non è stata autorizzata la cassa integrazione. Dovranno essere integrati, altresì, i contributi sulle retribuzioni, poiché non si potrà assolutamente parlare di CIGO, considerando che manca l’atto costitutivo della stessa. Evidentemente, quindi, dovranno essere erogati gli arretrati retributivi e tutto quanto corrisposto per il periodo di tempo in cui c’è stata la sospensione lavorativa sarà assoggettato a normale contribuzione e imposizione fiscale. Il conguaglio in oggetto dovrà essere evidenziato anche nel libro unico. Inoltre, sarebbe consigliato fare una comunicazione alle RSU coinvolte, circa la necessità di operare il conguaglio in oggetto, stante il respingimento della domanda autorizzativa di CIGO. L’analisi sopra esposta, tuttavia, parte dal presupposto che la domanda sia stata presentata e rigettata in toto. Un diverso discorso, infatti, dovrebbe essere fatto nell’ipotesi di omissione o di ritardato invio della domanda: in questi casi si applicherebbe la disposizione contenuta nell’art. 7 L. 164/75. PAG. 16 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Fusione di due aziende e assunzione disabili QUESITO Dovendo gestire la fusione di due aziende: la prima con 10 dipendenti di cui 1 disabile assunto con richiesta nominativa tramite l’ufficio categorie protette in previsione di superamento dei 15 dipendenti; la seconda con 28 dipendenti di cui 1 disabile assunto nominativamente. Si chiede se sia corretto non effettuare la seconda assunzione, in questo caso numerica (poiché la nuova società si troverebbe nella 2 fascia delle aziende da 35 a 50 ) atteso che la nuova società ha in carico già due dipendenti disabili. Soluzione proposta. Alcun riferimento normativo ma sembra ragionevole non effettuare la seconda assunzione numerica poiché la società ha 2 disabili assunti. RISPOSTA Esperto: Cristiana Michieli La soluzione prospettata dal collega è sicuramente condivisibile. Infatti, il nuovo soggetto societario, nato dalla fusione di due aziende, ha già adempiuto all'obbligo previsto dalla legge n. 68/99 per il diritto al lavoro dei disabili. Ovviamente, è difficile trovare il riferimento normativo per un caso così particolare in cui un'azienda, pur non avendo l'obbligo di adempiere al dettato normativo in questione, ha comunque ritenuto opportuno procedere all'assunzione in vista del superamento della soglia dei 15 dipendenti. In questo caso si è data piena attuazione allo spirito della norma che non è tanto quello di imporre un obbligo al datore di lavoro, ma quello, invece, di promuovere l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Resta inteso che sarà cura del nuovo soggetto giuridico informare gli uffici competenti della dimensione aziendale e dei disabili già occupati. Ricorso all'ente bilatelare, quale allocazione territoriale? QUESITO Ci si trova ad assistere un´impresa, che applica il CCNL commercio e terziario - Confcommercio, che ha due diverse allocazioni territoriali: Milano e Pesaro nella eventualità che la ditta debba trovarsi nella necessità di ricorrere all'ente bilaterale, a quale ente dovrebbe ricorrere atteso che la parte d'impresa allocata a Milano ha in loco, come ente bilaterale, l'Ebiter che applica il CCNL commercio e terziario - Confcommercio, quando il complesso aziendale é iscritto all'ente bilaterale provinciale distribuzione e servizi della provincia di Pesaro e Urbino (che applica il CCNL commercio e terziario - Confcommercio). Va aggiunto che a Milano trovasi disponibile anche l'Enbil che però osserva il CCNL commercio - Confesercenti. Si vorrebbe conoscere l'avviso di codesta Associazione a fronte delle problematiche insorgenti dalla duplicità dei riferimenti contrattuali collettivi (Confcommercio - Confesercenti). RISPOSTA Esperto: Giuseppe Bizzarro Il quesito proposto riguarda la "presunta" questione dell'iscrizione all'Ebiter anche in provincia di Milano stante che l'azienda stessa versa la contribuzione a detto Ente alla sede territoriale di Pesaro ma riguardante anche i dipendenti assunti e operanti in Milano. La soluzione da suggerire potrebbe essere quella di contattare (o scrivere) alla sede Ebiter di Milano e segnalare che il versamento viene fatto nella sua interezza a Pesaro offrendo la disponibilità di una eventuale nuova iscrizione ed il relativo pagamento a Milano. Meraviglia la richiesta inoltre per l' eventuale iscrizione anche (oppure) all'Enbil che però "osserva" il Ccnl Commercio - Confesercenti, mentre l'azienda de quo applica "il Ccnl Commercio Confcommercio". PAG. 17 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Emittente radiofonica con lavoratori autonomi, sono da versare i contributi per maternità e malattie? QUESITO Una emittente radiofonica che si avvale di lavoratori autonomi per lo svolgimento dell’attività, iscrive i lavoratori all’Enpals per Ivs. Per quanto concerne i contributi minori si chiede se vanno versati i contributi per la maternità e per la malattia solo se quest’ultima è stata pattuita nell’accordo tra le parti. I pareri degli istituti previdenziali è discorde. Soluzione proposta. Attualmente abbiamo iscritto all’Inps contributi minori i lavoratori autonomi, solo per il contributo di maternità esponendo su dm10 il codice P400. RISPOSTA Esperto: Roberto Morini Le aziende esercenti attività di trasmissione radiofoniche sono considerate aziende dello spettacolo ai sensi del D.P.R. 24/09/1963 n.2053. A seguito dell’entrata in vigore del D.M.15/03/2005 del Ministero Lavoro e Politiche Sociali, recante “Adeguamento delle categorie dei lavoratori obbligatoriamente assicurati presso l’Enpals”, la relativa elencazione aggiornata mantiene le imprese radiotelevisive, quali imprese dello spettacolo. L’emittente radiofonica è considerata impresa dello spettacolo ed i lavoratori autonomi che prestano attività per essa, ai fini pensionistici, sono obbligatoriamente iscrivibili all’Enpals. Verso l’INPS sussiste l’obbligo di versamento del contributo per l’indennità di maternità. Mentre l’obbligo di versamento del contributo per l’indennità di malattia dipende esclusivamente dall’accordo contrattuale individuale o collettivo. Qualora il datore di lavoro non sia tenuto al versamento del contributo per l’indennità di malattia, egli deve chiedere all’INPS l’attribuzione del codice di autorizzazione 8G. Ai fini del versamento deve essere aperta presso l’INPS apposita posizione alla quale viene attribuito il c.a. 1M ( circ. 21/05/1980 n. 134363, circ. 11/02/1981 n. 1853, circ. 14/01/1987 n. 31095). I dati contributivi devono essere esposti sul DM secondo le modalità previste per la generalità dei datori di lavoro e precisamente: P 300 per l’esposizione del contributo per l’indennità economica di malattia; P 400 per l’esposizione del contributo per l’indennità economica di maternità (come nel caso del quesito). Concludendo, si ricorda la circolare del Ministero del Lavoro n. 62 del 17/05/1983, secondo la quale l’esonero dalle assicurazioni minori deve intendersi stabilito solo per i casi in cui il lavoratore operi nella più ampia autonomia di organizzazione dei compiti assunti o la prestazione costituisca espressione talmente personalistica del soggetto che in essa non concorra l’apporto e l’opera dell’imprenditore. PAG. 18 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Come va intesa l'impossibilità dell'imprenditore artigiano? Può essere aiutato da un parente per necessità temporanea e indispensabile? QUESITO Come va inteso il comma 6 ter del D.Lgs. 269/03 quando parla di impossibilità dell’imprenditore artigiano. Deve essere malato o può anche avere necessità temporanea e indispensabile dell’aiuto di un parente? RISPOSTA Esperto: Giammaria Monticelli Si riporta innanzitutto il testo del comma 6 ter dell’art 21 del Decreto Legge del 30/09/2003 n. 269 attualmente in vigore: 6-ter. Gli imprenditori artigiani iscritti nei relativi albi provinciali possono avvalersi, in deroga alla normativa previdenziale vigente, di collaborazioni occasionali di parenti entro il terzo grado, aventi anche il titolo di studente, per un periodo complessivo nel corso dell'anno non superiore a novanta giorni. Le collaborazioni suddette devono avere carattere di aiuto, a titolo di obbligazione morale e perciò senza corresponsione di compensi ed essere prestate nel caso di temporanea impossibilità dell'imprenditore artigiano all'espletamento della propria attività lavorativa. E' fatto, comunque, obbligo dell'iscrizione all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Analizziamo il testo: gli artigiani iscritti nei relativi albi provinciali possono avvalersi di collaboratori occasionali senza pagare i contributi previdenziali alle seguenti condizioni: - il collaboratore deve essere parente entro il terzo grado (anche studente), - occasionalità della prestazione, - per un periodo complessivo nell’anno massimo 90 giorni, - le prestazioni devono avere carattere di aiuto, a titolo di obbligazione morale - gratuite, - obbligo di assicurazione INAIL, - prestate nel caso di temporanea impossibilità dell’imprenditore. Quest’ultimo punto è l’oggetto del quesito. La legge parla di temporanea impossibilità pertanto il titolare non deve essere presente e impossibilitato all’espletamento della propria attività lavorativa. La legge non indica le cause di temporanea impossibilità pertanto tale impossibilità può essere causata da malattia, infortunio, gravidanza, ferie, partecipazione a fiere o mostre ecc. PAG. 19 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI Assunzione di lavoratori in mobilità, l'azienda può usufruire delle agevolazioni contributive previste? QUESITO Si formula il seguente quesito al fine di poter applicare in modo corretto le agevolazioni previste dalla legge per l´assunzione di lavoratori posti in mobilità: un'azienda, d'ora in poi indicata come azienda A, licenzia n. 11 lavoratori per riduzione di personale per messa in liquidazione. I lavoratori cessano il rapporto di lavoro in data 21/07/2009 e fanno domanda di disoccupazione e di iscrizione nelle liste di mobilità ai sensi dell´art. 4 della Legge 236/93. L´azienda A, a seguito di intimazione di sfratto, rilascia i locali ad uso industriale alla società proprietaria dell´immobile. In data 25/09/2009, un gruppo di persone costituisce una nuova società, che presenta assetti societari completamente distinti e diversi dalla società che ha collocato i lavoratori in mobilità, quindi con denominazione, codice fiscale, partita IVA, domicilio fiscale diversi. Questa nuova società, che d´ora in poi viene indicata come azienda B, stipula con la società proprietaria dell´immobile, un nuovo contratto di locazione; stipula con il liquidatore dell´azienda A un contratto di affitto d´azienda di mesi 12; da tale contratto di affitto restano tassativamente esclusi i debiti ed i crediti aziendali. Le parti si danno reciprocamente atto che l´azienda A viene affittata senza dipendenti. Il contratto d´affitto d´azienda prevede che, in caso di restituzione alla scadenza del contratto, ovvero prima nei casi previsti, l´azienda debba essere restituita: a) senza debiti o crediti, b) senza dipendenti. Quanto al punto b) le parti convengono che, per l´ipotesi in cui l´affittuario (azienda B) abbia assunto dipendenti, questi verranno utilizzati dall´affittuario medesimo per l´esercizio di proprie altre attività aziendali. Ora l´azienda B, pur non essendovi affatto tenuta, intende assumere alcuni lavoratori collocati in mobilità dalla ditta A (4 o 5 lavoratori) con contratto a tempo pieno, determinato di 12 mesi. Ciò premesso si chiede se l´azienda B può usufruire, per questi lavoratori, delle agevolazioni contributive previste per l´assunzione di lavoratori collocati in mobilità non essendo, nè al momento del licenziamento nè tutt´ora, presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, nè si possono configurare tra le stesse aziende rapporti di collegamento e controllo. RISPOSTA Esperto: Anna Maistro Un primo problema essenziale da risolvere consiste nel definire cosa si intenda per “impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume ovvero risulta con quest'ultima in rapporto di collegamento o controllo” (art. 8 co. 4bis L.223/91). Invero, la Cassazione (sent. 8742/2004) tende ad escludere che il mutamento della ragione sociale, della sede legale o dei dati formalmente identificativi di un soggetto giuridico possano escludere a priori un certo legame tra i soggetti coinvolti. Al contrario, la Cassazione sottolinea come il mantenimento della stessa forza lavoro (seppur assunta dopo il licenziamento e la messa in mobilità da parte di altra azienda), degli stessi macchinari, dello stesso sostanziale luogo di lavoro e dello stesso settore merceologico PAG. 20 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 QUESITI rappresentano elementi che convergono nel considerare come sostanzialmente coincidente l’azienda intesa in senso oggettivo, con la logica conseguenza che si configurerebbe un trasferimento d’azienda, con esclusione della possibilità di fruire degli sgravi contributivi derivanti per l’assunzione di lavoratori in mobilità. In una recente pronuncia, la Cassazione ribadisce che il beneficio contributivo non spetta al datore di lavoro, il quale, essendo affittuario dell’azienda del precedente datore di lavoro, che abbia collocato in mobilità i suoi dipendenti, proceda alla riassunzione di questi ultimi, atteso che, in tal caso, la riassunzione risulta essere avvenuta nella medesima azienda (Cass. 2472/2008). Peraltro, la Suprema Corte si era già pronunciata in tal senso, sottolineando che, qualora l'azienda originaria, intesa nel suo complesso, abbia continuato o riprenda ad operare, non importando né se titolare sia lo stesso imprenditore o altro subentrante, né lo strumento negoziale attraverso cui si sia verificata la cessione dell'azienda, la prosecuzione del rapporto di lavoro o la sua riattivazione presso la nuova impresa non costituiscono la manifestazione di una libera volontà del datore di lavoro, ma rappresentano un preciso obbligo normativo e come tale non meritevole dei benefici della decontribuzione (Cass. 7352/2003; Cass. 26391/2008). Posto quanto sopra, sembra chiaro che l’intento di far fruire dei benefici contributivi l’azienda affittuaria, oggetto del quesito, potrebbe essere intesa come una manovra non del tutto genuina e con forti lacune alla base. Non a caso, il principio cardine su cui si basano tutte le pronunce della Suprema Corte, in materia di riconoscimento dei benefici contributivi previsti dall’art. 8 co. 4 L. 223/91, poggia sulla necessità di accertare che la situazione di esubero del personale posto in mobilità sia effettivamente sussistente e che l'assunzione di detto personale, da parte di una nuova impresa, risponda a reali esigenze economiche, non realizzando, invece, una condotta elusiva, finalizzata al solo godimento degli incentivi. Ovviamente, come più volte ribadito anche dal Ministero, una volta che venissero a trascorrere i sei mesi successivi al licenziamento, i lavoratori potrebbero venir assunti con la fruizione dei benefici contributivi connessi.Peraltro, a questo punto, alla luce delle pronunce giurisprudenziali citate, potrebbe sorgere un ulteriore problema connesso all’identificazione dell’istituto del trasferimento d’azienda nella manovra oggetto del quesito, con la conseguente applicazione della tutela prevista dalla legge nei confronti dei lavoratori coinvolti. PAG. 21 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 FIESOLE scrive David Trotti Coordinatore della Commissione Formazione Ancl - Up Roma La formazione per i consulenti del lavoro: un valore per il sindacato Il 19 e 20 marzo scorso si è svolto a Fiesole il primo appuntamento 2010 del corso di formazione per quadri dirigenziali riservato al I livello (ruolo del dirigente sindacale, conoscenza delle norme in ambito sindacale, conoscenza del sindacato, primi rudimenti in tema di comunicazione verbale e meta-verbale). Il prossimo appuntamento (corso II livello), in calendario il 16 e 17 aprile, è riservato esclusivamente a coloro che hanno frequentato il I livello per un perfezionamento delle materie che ne sono state oggetto. Di seguito riportiamo l’intero calendario suddiviso per categorie e per appuntamenti: - Corso I livello: 17 e 18 settembre - Corso II livello: 16 e 17 aprile 2010 e 15 e 16 ottobre - Corso III livello: 27 - 28 - 29 maggio e 25 - 26 - 27 novembre. Sicuramente quello che ha sempre caratterizzato e caratterizza una professione è il patrimonio intellettuale ovvero l’insieme delle conoscenze e delle competenze accumulate nel corso degli anni. I consulenti del lavoro sono sicuramente tra i più qualificati lavoratori della conoscenza, probabilmente gli antesignani di quello che ora americani e inglesi chiamano “Knolowdge worker”. La qualificazione per un Consulente del Lavoro è un elemento assolutamente importante cercato e sviluppato da sempre e va dato atto al sindacato ed all’ordine dell’impegno profuso su questo versante in tutta la loro storia; impegno che per il sindacato parte con l’inizio del suo esistere, a questo riguardo il consiglio mio personale per capire è quello di partecipare alle giornate di Fiesole organizzate da Diana Onder e dal Centro Studi per scoprire la nostra storia e che vi faranno sentire orgogliosi di essere nell’Ancl - SU. Il primo corso per dirigente di Fiesole “ti impone” la rilettura delle tue radici di consulente e ti da la dimensione di una professione che ha visto negli anni i suoi protagonisti farsi “sempre nuovi”. E questo frutto della storia è anche la radice del futuro che impone innovazione e creatività soprattutto in una professione che tutti i giorni cambia. Innovazione che vuol dire rendere le cose nuove e cioè proporre nuove visuali per le cose vecchie, vederle da un diverso punto di vista e creatività che significa proporre “intuizioni” che non esistevano prima. Anche nell’amministrazione del personale innovazione e creatività devono essere elementi essenziali anzi detto con linguaggio aziendale competenze distintive di una famiglia professionale. Se questo è valido per la professione lo è ancor più per il sindacato che si pone come parte sociale e come soggetto che legge e interpreta i bisogni dei suoi associati alla luce di una società che muta e che interpreta le norme e propone eventi formativi per innovare la legge e stimolarne la creazione. Qui è necessario fare un distinguo con il ruolo dell’ordine, con una sottolineatura frutto della mia piccola esperienza. La formazione per l’ordine è eminentemente istituzionale ed in relazione con lo scopo di garantire un altissimo livello di qualità “della fede pubblica” e di far in modo che il patrimonio di conoscenze venga distribuito (per questo viene definita formazione permanente). Il sindacato invece, dovrebbe essere capace di proporre innovazione e creatività (proprio per la sua PAG. 22 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 vocazione di forza sociale) cercando di manifestare le istanze del cambiamento che la società vive nel qui e nell’ora storico; in altre parole voglio dire che il sindacato percependo la storia che cambia dovrebbe essere precognitore e propositore delle cose che verranno. Un prisma è sempre un prisma ma, assume significati diversi se lo si vede con la prospettiva della faccia o con quella dello spigolo. Le persone nella storia debbono adattare al qui ed all’ora ciò che essi sono e le istanze di cui sono portatori. Il sindacato dovrebbe essere un centro di ricerca, una fucina che propone una visione del futuro. In questo la formazione è elemento indispensabile ed il campus di Fiesole è un laboratorio importante perché da forma e prepara il futuro spingendosi al limite delle conoscenze e competenze necessarie alla professione oggi. Nella mia attività specifica di progettista della formazione della Up di Roma (che ho fatto in partnership con la collega Rossella Quintavalle che è una eccezionale organizzatrice) ho incontrato tanti colleghi che mi hanno stimolato e presentato riflessioni. Ho fatto tante discussioni ed affrontato tanti problemi da più punti vista e mi sono reso conto che in ciò sta la ricchezza di quello che siamo. Una volta parlando con un collega ci siamo detti: “siamo come le poste, presenti in ogni angolo d’Italia” e questo FIESOLE La formazione per i consulenti del lavoro: un valore per il sindacato ci permette di dire che conosciamo i problemi di ogni datore di lavoro italiano, che abbiamo una conoscenza ed un patrimonio distribuito che però è specialistico perché è incardinato nel territorio. In questo periodo negli incontri a Roma che abbiamo chiamato del Martedì del Consulente ci siamo accorti che lo scambio delle idee e la costruzione di contributi comuni è la ricchezza del sindacato perché teso a risolvere i problemi della categoria che sono i problemi dei datori di lavoro e dei lavoratori. Credo che in questo contesto il ruolo del centro studi come luogo di formazione alla “ricerca”, sia essenziale e fondamentale perché se riuscissimo a tradurre le istanze di datori di lavoro e lavoratori in leggi e regolamenti avremmo realizzato la nostra naturale vocazione di esperti del settore. Permettetemi, a conclusione, una piccola riflessione “filosofica”. Come il nostro segretario ha più volte detto e come la nostra presidente ha anche indicato nel forum lavoro che si è tenuto mercoledì, una delle nostre specificità è la conciliazione e lo sarà sempre più in futuro divenendo ancor più una competenza distintiva. Il nostro futuro ci dovrà vedere, usando delle definizioni sintetiche e simboliche, pontefici ed interfacce. Molti staranno sorridendo leggendo queste righe, come è successo a me quando per la prima volta ho pensato questa cosa. Parole che sembrano esagerate od astruse, ma che in realtà incarnano la nostra doppia vocazione, umanistica e tecnica. Perché pontefice e perché interfaccia? Perché l’etimologia ci dice che il pontefice è costruttore di ponti, mentre interfaccia è una parola della terminologia informatica che richiama i concetti di strumento di contatto e di interscambio e traduzione tra due realtà che non potrebbero comunicare tra loro; in maniera del tutto simile al sistema operativo del computer che mette in relazione l’operatore e la macchina permettendo di far esistere l’informatica “user friendly”. Potremo forse essere in futuro costruttori di comunicazione e conciliatori, un futuro che se verrà realizzato renderà la nostra generazione, una generazione che è valsa la pena di vivere come professionisti. Fiesole con i corsi sulla comunicazione è anche preparatoria a questo. PAG. 23 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 Corsi Fiesole, photogallery del primo appuntamento 2010 FIESOLE PAG. 24 - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 FIESOLE Ultima - Edizione Speciale Quesiti - n. 9 - VI del 2010 CHI SIAMO Dirigenti e sedi Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario GIUNTA ESECUTIVA NAZIONALE Da chi è composta la Giunta Segretario Generale Nazionale Francesco Longobardi - Vice Segretario Generale Nazionale Vicario Stefano Sassara - Vice Segretario Generale Nazionale Franco Dolli - Segretario Tesoriere Giammaria Monticelli Segretario Amministrativo Guido Sciacca - Coordinatore Centro Studi Paola Diana Onder ALTRI COMPONENTI GIUNTA ESECUTIVA Tutti i componenti della Giunta Claudio Baldassari, Giovanni Besio, Adele Borelli, Marina Canavesio, Nestore D’Alessandro, Roberto Morini, Danilo Notarnicola, Leonardo Pascazio, Roberto Sartore, Rossano Zanella, Collegio Nazionale Sindaci Revisori Dario Montanaro (presidente), Renato Boscutti e Giovanni Gherzi (revisori) Collegio Nazionale Probiviri Patrizia Gagliardi (presidente), Luciano Ognissanti e Andrea Pozzatti (probiviri) CONSIGLIO NAZIONALE Da chi è composto il Consiglio Consiglieri di estrazione congressuale Agostini Walter, Alborno Mario, Arteritano Pasquale, Baldassari Claudio, Besio Giovanni, Biscarini Paolo, Borelli Adele, Bravi Bruno, Bruno Luciana, Canavesio Marina, Cocchi Maria Rosaria, Cocorullo Fernando, D’Alessandro Nestore, D’Angelo Franco, De Febe Giulia, Della Bianca Giuliana, Di Paolo Mauro, Dolli Franco, Eleonori Guglielmo R., Faggiotto Claudio, Fanfani Antonio, Formentin Giovanna, Furlan Debora, Giacomin Antonietta, Giarola Zeno, Granata Annamaria, Graziano Alessandro, Izzo Alfonso, Maffiotti Manuela, Mirtoni Annamaria, Monticelli Giammaria, Morini Roberto, Nicoli Loredana, Notarnicola Danilo, Onder Paola Diana, Paone Luca Andrea, Pascazio Leonardo, Pasquini Roberto, Piceci Roberto, Rama Valeria, Rota Porta Alessandro, Sanna Mauro, Sartore Roberto, Sassara Stefano, Schiavello Antonio, Sciacca Guido, Scoglio Stefania, Sighinolfi Roberta, Spalletti Antonella, Tonegutti Stefano, Umbaldo Massimiliano, Vannicola Enrico, Zanella Rossano, Zeppi Leonardo, Zimmile Calogero PRESIDENTI CONSIGLI REGIONALI ANCL I presidenti dei Consigli Regionali dell'Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Crocifisso Baldari (Puglia), Elisabetta Battistella (prov. aut. Bolzano), Pier Luigi Begliuomini (Valle d'Aosta), Alessandro Bonzio (Veneto), Filippo Carrozzo (Piemonte), Galileo Casimiro (Molise), Giuseppe Corrias (Sardegna), Giulio Dapelo (Liguria), Nicola De Laurentis (Abruzzo), Maria Rosaria Cocchi (Lombardia), Anna Maria Granata (Campania), Giovanna Manca (Basilicata), Carlo Marcucci (Marche), Pasquale Mazzuca (Calabria), Luca Piscaglia (Emilia Romagna), Paolo Rossi (Lazio), Nunzio Scribano (Sicilia), Alessandro Signorini (Toscana), Marinella Tinonin (Friuli Venezia Giulia), Bruno Toniolatti (Umbria), Mauro Zanella (prov. aut. Trento).