Partito politico e autonomie territoriali

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Partito politico e autonomie territoriali
PARTITI POLITICI E AUTONOMIE TERRITORIALI
Alessandria, 18.11.2008
XXIII Convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti su Partiti politici e
società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione
Raffaele Bifulco
Versione provvisoria
1. La relazione partiti-autonomie territoriali nel panorama costituzionalistico e
politologico internazionale.
Il tema della relazione tra partiti e sistema dei partiti e autonomie territoriali ha ricevuto,
nonostante alcune pregevoli eccezioni (Villone, Pasquino negli studi ISAP sulla regionalizzazione,
ricerche dell’Istituto Regioni curate da Martines), scarsa o quasi nessuna attenzione da parte dei
costituzionalisti, nonostante i sessant’anni di vita della costituzione italiana. Non è certo un silenzio
casuale. Di per sé, questo silenzio è già indicativo dello stato del regionalismo italiano, almeno fino
a pochi anni fa.
Per onestà va detto che anche coloro che professionalmente studiano i partiti, i politologi,
sono stati attratti soprattutto dalle relazioni interpartitiche, il sistema dei partiti, ovvero dal rapporto
partiti-società piuttosto che dalla dimensione territoriale dei partiti.
Questa attenzione alla macrodimensione è stata in qualche maniera favorita dallo stesso
comportamento di quei partiti che rientrano tra gli oggetti di attenzione di questa relazione, i partiti
regionali, i quali tendono a proiettarsi verso il livello nazionale per realizzare quelle trasformazioni
istituzionali che spiegano le ragioni della loro esistenza. Ciò facendo, si trascinano dietro
l’attenzione degli studiosi che tendono così a concentrarsi più sul livello nazionale che non sui
livelli di azione politica regionale di questi partiti.
Anche nelle culture giuridiche federali è stata a lungo presente la situazione appena descritta.
Gli studi sui partiti e quelli sul federalismo hanno spesso percorso sentieri separati: i primi hanno
trascurato la dimensione territoriale, mentre i secondi si sono limitati a recepire dai primi la
distinzione duvergeriana tra sistemi bipartitici e multipartitici. In questi contesti culturali, come
vedremo, la scienza politica ha però reagito prima alla lacuna, muovendo da una più chiara
percezione del fatto che i partiti si organizzano non solo secondo la struttura sociale ma anche in
base alle strutture giuridico-istituzionali dell’ordinamento di riferimento.
Se guardiamo a quanto accade in Italia e in molti altri Stati composti, una migliore e più
approfondita comprensione del rapporto tra partiti/sistema dei partiti e autonomie territoriali è
quanto mai urgente. A livello interno esiste oramai da diversi anni un partito –la Lega nordclassificabile senza dubbio come regionale che svolge un ruolo di primo piano nella politica
nazionale, condizionandola e/o indirizzandola. Altri, specularmente, ne stanno sorgendo, come il
MPA siciliano, anche se la sua effettiva configurazione come partito regionale è ancora in via di
formazione e comunque abbisogna di verifiche.
La torsione dualistica che ha ricevuto il sistema partitico negli ultimi mesi spinge poi le nuove
grandi aggregazioni partitiche a interrogarsi sulla forma della propria organizzazione territoriale.
Sarà interessante capire se, a differenza di quanto accaduto al momento della regionalizzazione,
queste nuove realtà partitiche tenderanno verso forme organizzative maggiormente decentrate.
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Non va poi trascurata la circostanza che da decenni esistono partiti regionali legati alle realtà
regionali speciali, come la Südtiroler Volkspartei o l’Union Valdôtaine, per ricordare solo i più
rilevanti.
L’osservazione degli altri Stati composti ci offre poi uno spettro analitico di grande interesse.
In Europa registriamo partiti regionali che diventano spesso l’ago della bilancia dei governi
nazionali (Spagna); processi federali o di decentramento che comportano la perdita della
dimensione nazionale di partiti tradizionali e la loro riarticolazione secondo le realtà etniche (Belgio
e, sotto altri aspetti, GB); partiti regionali che si inseriscono in contesti politico-partitici federali
molto strutturati a seguito di profonde innovazioni politico-territoriali (è il caso del PDS in
Germania). Sullo sfondo rimane poi il processo di rafforzamento dell’Unione europea, legato
indissolubilmente al consolidamento di un sistema partitico europeo.
Infine gli Stati federali, dentro e fuori l’Unione europea, presentano sistemi di partito che
sono un tertium comparationis indispensabile per capire quanto avviene in Europa e da noi.
L’emersione dei partiti regionali è un fenomeno relativamente recente, sul quale vale la pena
di spendere qualche parola, perché segnala un mutamento profondo della struttura sociopolitica, e
quindi anche dei partiti politici, degli Stati europei e nordamericani.
Come dicevo, la scarsa attenzione al rapporto tra partiti/sistema dei partiti e autonomie
territoriali non è casuale; essa riflette un atteggiamento culturale giustamente egemone per gran
parte del Novecento, secondo cui la nascita dei partiti, nei paesi europei, riflette le linee di conflitto
sociale prodottesi durante il processo di costruzione dello Stato nazionale svoltosi nel corso del XIX
e XX secolo. La tesi, notoriamente e felicemente formulata prima da Rokkan e poi da Lipset
insieme a Rokkan, identifica alcune notissime linee del conflitto: lavoro-capitale, Stato-Chiesa,
città-campagna, centro-periferia. Quest’ultima, che più da vicino interessa il nostro tema, ha un
ruolo decisamente secondario nell’ambito della teoria in esame perché, a differenza delle altre, non
ha una dimensione nazionale. E invece, il processo di formazione dello Stato spinge il conflitto
politico verso il livello appunto nazionale, non certo regionale. In questa diffusissima e giustamente
apprezzata rappresentazione, anzi, le periferie appaiono quasi un ostacolo al processo di
modernizzazione nazionale.
Una volta terminato tale processo e, dunque, consolidatosi il sistema nazionale dei partiti,
questi iniziano a differenziare le proprie offerte, laddove necessario, al fine di renderle più attraenti
per l’elettorato regionale. Ciò accade, ad esempio: attraverso il cumulo dei mandati in Francia;
attraverso una struttura organizzativa decentrata e federale in Germania; attraverso trasferimenti
finanziari verso la Scozia e il Galles in Gran Bretagna.
Tuttavia, intorno agli anni ’80 del secolo scorso, per motivi differenti a seconda delle realtà
politiche statali, l’offerta politica dei partiti nazionali non appare più sufficiente. È in questo
momento che irrompono sulla scena politica molti partiti regionali.
Il fenomeno dei partiti regionali è dunque la dimostrazione che, da un lato, si è esaurito il
processo di formazione degli Stati nazionali (in una prospettiva che voglia adottare gli strumenti di
Lipset e Rokkan) e che, dall’altro, gli schemi conflittuali destra-sinistra, fondati su linee di conflitto
socioeconomiche, non riescono più a spiegare le dinamiche partitiche (e questa è una prospettiva
evidentemente esterna alla linea teorica di Lipset e Rokkan). Soprattutto negli Stati federali la
contrapposizione partitica e politica si sposta su linee di conflitto territoriali 1.
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Due politologi, Hough e Jeffery, hanno proceduto a confrontare, nell’ambito di alcuni Stati composti, i risultati delle
elezioni nazionali in una determinata regione con i risultati delle elezioni regionali più vicine nel tempo nella stessa
regione, stabilendo come indice la parte di elettorato che, a condizioni invariate del sistema partitico, è necessaria per
trasformare il risultato delle elezioni regionali in quello delle elezioni nazionali nell’ambito della stessa regione. Ne è
risultato che la disomogeneità più accentuata è in Can: nel British Columbia più del 50% dell’elettorato ha regolarmente
mutato le proprie scelte. In Europa i valori sono più ristretti. In RFG, dopo il 1990, la differenziazione è cresciuta
soprattutto all’Est. In A le differenziazioni sono cresciute negli ultimi 10-15 anni. In SP i valori sono molto alti in
alcune regioni (Catalogna), in altri sono molto più ristretti (Castilla-la-Mancha).
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2. Il punto di osservazione prescelto: il rapporto tra struttura costituzionale e partiti.
Delineato così lo scenario ideale della relazione –scarsa attenzione al rapporto partitiautonomie territoriali, declino delle classiche linee di conflitto partitico, emersione della dimensione
territoriale del conflitto partitico (ovviamente accanto ad altre che non rilevano in questa sede)
attraverso lo strumento dei partiti regionali, diversa incidenza di questo strumento a seconda della
forma di Stato- la mia relazione intende affrontare i due seguenti punti problematici:
- se e come la struttura costituzionale influenzi o determini i partiti nella loro struttura
organizzativa e il sistema dei partiti;
- se il fenomeno dei partiti regionali sia riconducibile a peculiarità della struttura
costituzionale di riferimento.
Nell’indagine mi avvarrò soprattutto delle più risalenti esperienze federali (USA, CH, CAN,
AUS, A, RFG), senza tralasciare riferimenti a regionali. Ho preferito questa opzione non solo
perché in Italia il tema del rapporto partiti-autonomie è, nonostante tutto, allo stato nascente, ma
perché credo che dall’osservazione comparatistica si ricavino importanti insegnamenti per la
comprensione dei processi politico-istituzionali in atto in Italia e soprattutto indicazioni sulla
desiderabilità di alcune riforme costituzionali di cui, da tempo, si ragiona in Italia.
La posizione dei problemi lascerebbe intendere che, all’interno del rapporto tra partiti e
autonomie, io abbia stabilito una variabile indipendente, la struttura costituzionale, vale a dire
l’insieme di norme e istituti presenti in Costituzione o in documenti di valore costituzionale che
rilevano per la forma di Stato, e una variabile dipendente, i partiti e il sistema dei partiti. Ciò è vero
ma solo a fini di portare avare l’ ipotesi teorica prescelta. Sarebbe ovviamente possibile procedere
invertendo i termini del rapporto.
Ed infatti la letteratura sul federalismo – includendo sia quella costituzionalistica che quella
politologia- presenta tre tipi di approcci metodologici allo studio dell’oggetto federalismo:
- quello sociologico, secondo cui le istituzioni federali riflettono le diversità etniche,
culturali ed economiche esistenti nella società (Livingstone);
- quello istituzionale, secondo cui le istituzioni federali sono determinate dalle
strutture giuridico-istituzionali (Wheare);
- quello partitico, secondo cui la struttura del sistema partitico è la variabile principale
per comprendere il funzionamento delle istituzioni federali (Riker).
Provando ad astrarre per un momento dalle mie specifiche conoscenze professionali, mi
verrebbe da dire che, essendo il federalismo soprattutto un principio di ordine sociale, ogni
avvicinamento all’oggetto federalismo dovrebbe, in qualche modo, inglobare i tre metodi. Tuttavia,
in questa sede mi interessa capire soprattutto se e come la struttura costituzionale eserciti
un’influenza condizionante sui partiti e sul sistema dei partiti negli Stati composti. Solo al fine di
rispondere al problema, faccio mia una prospettiva istituzionale, riconoscendo anzi la sua
falsificabilità e la necessità di una sua integrazione soprattutto attraverso l’approccio partitico.
Del resto, questa impostazione mi pare storicamente plausibile. È infatti vero che, nella gran
parte degli Stati federali tradizionali (USA, Svizzera, Canada, Australia), i partiti sono nati
successivamente all’instaurazione della forma di Stato federale (Epstein). Appare dunque legittimo
immaginare che siano stati essi ad adattarsi alla struttura costituzionale, e non viceversa.
Naturalmente questo dato storico non ha carattere fissamente univoco e generale: intendo dire che,
una volta consolidatosi il sistema partitico, questo influenza a sua volta la struttura costituzionale e
che, con particolare riferimento alla RFG e all’A, i partiti preesistevano all’attuale struttura federale,
anche se non nella loro attuale configurazione.
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Anticipando una delle conclusioni della presente analisi, mi sentirei di affermare che la
plausibilità dell’impostazione prescelta si giustifica anche laddove non sia riscontrabile il
menzionato rapporto di precedenza temporale della struttura costituzionale rispetto al sistema di
partiti. I partiti regionali, infatti, stanno prendendo forma e rilievo proprio in quegli ordinamenti
statali privi di una forma federale: i casi di Gran Bretagna, Italia e Spagna (senza prendere in
considerazione il Belgio) stanno a dimostrare a contrario che la struttura costituzionale federale
esercita una chiara influenza sul sistema dei partiti, nel senso di frenare la nascita e l’espansione di
partiti regionali (come vedremo il caso del Canada è spiegabile attraverso altri strumenti concettuali
sui quali mi soffermerò più avanti).
3. I fattori condizionanti della struttura costituzionale: a) La distribuzione delle
competenze.
La struttura costituzionale condiziona i partiti e il sistema dei partiti attraverso due suoi
elementi portanti: la distribuzione delle competenze e il modo in cui gli interessi regionali sono
portati al centro per essere rappresentati e ‘contrattati’.
Una reale distribuzione di competenze legislative, più in genere di potere decisionale, su
diversi livelli di governo incide sul sistema dei partiti nel momento in cui l’elettore -consapevole
che, oltre a quello nazionale, anche altri livello di governo hanno potere decisionale effettivo- a
questi rivolgerà domande e richieste; conseguentemente i partiti saranno più sensibili alle richieste
locali, tenderanno a diversificare la loro ‘offerta’ politica, potranno lasciare maggiore autonomia
alle proprie organizzazioni periferiche, potranno sviluppare o conservare collegamenti deboli o
creare organizzazioni collegate ma separate (‘split organizations’) (Thorlakson).
Prima di provare a capire come misurare l’effettività della distribuzione delle competenze,
conviene inserire fin da subito una conosciuta e determinante categoria analitica degli ordinamenti
territorialmente composti, vale a dire la distinzione tra federalismo duale e cooperativo (o, nella
terminologia anglosassone, tra dual/jurisdictional federalism e joint/functional federalism). Tengo a
precisare che l’osservazione di questi ordinamenti obbliga a una constatazione che da un lato
relativizza, dall’altro enfatizza la suddetta distinzione: in tutti gli Stati federali, anche in quelli dove
più forti sono le tendenze alla separazione, esistono forme e meccanismi consolidati di
cooperazione (Scharpf, Bothe).
Il compito dello studioso, in particolare del costituzionalista, non è più quello di studiare i
sistemi federali separandoli in applicazione di questi due modelli, quanto quello di studiarli
mostrando, da un lato, come essi si intreccino tra loro e, dall’altro, se, in alcune esperienze, uno dei
due modelli prevalga più decisamente sull’altro. Mi sentirei di dire che lo stesso Kenneth Wheare, il
quale, come è noto, ha fornito la più nota rappresentazione del federalismo come insieme di poteri
tra loro coordinati ma separati, riconoscerebbe l’impossibilità di conservare integra tale
rappresentazione con riferimento agli odierni sistemi federali. Ciò precisato, è però vero che alcuni
Stati federali sono maggiormente orientati all’intreccio dei poteri decisionali e dei livelli di governo
rispetto ad altri (lo spettro, per limitarsi agli Stati federali, potrebbe essere delimitato, da un lato,
dalla RFG e, dall’altro, dal Can).
Ciò premesso, per poter esprimere una valutazione sul grado di influenza sui partiti e sul
sistema dei partiti del modo in cui sono distribuite le competenze, dobbiamo procedere a una
misurazione di tale distribuzione. Se a tal fine adottassimo il riparto delle competenze legislative,
andremmo incontro a risultati non corrispondenti alla realtà perché ogni costituzionalista sa bene
quanta distanza ci sia tra il quadro formale delle competenze e la realtà istituzionale in ragione di
fattori istituzionali molto diversi (come, ad esempio, le interpretazioni del riparto da parte delle
Corti supreme).
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Piuttosto che il quadro formale del riparto delle competenze legislative conviene allora
esaminare la c.d. costituzione finanziaria la quale, per quanto anch’essa vada letta collegando testo
costituzionale e implementazioni legislative, fornisce un parametro più realistico della distribuzione
del potere decisionale tra i livelli di governo.
Una sintesi delle costituzioni finanziarie degli Stati federali, applicando la coppia analitica
cooperazione-separazione, ci mostra uno spettro che va dalla limitata autonomia dei Länder
austriaci a quella molto ampia delle Province canadesi. L’Austria presenta una costituzione
finanziaria fortemente centralizzata, non avendo i Länder effettive competenze sul lato delle entrate.
La RFG presenta un forte intreccio sul lato delle entrate, in ragione del fatto che la Legge
fondamentale prevede un riparto concorrente delle più importanti imposte, mentre l’intreccio è
molto meno intenso sul lato della spesa, dove i contributi federali sono minori rispetto ad altri
sistemi federali. È questo appunto il caso degli USA, della CH e dell’AUS, in cui l’intreccio è sul
lato della spesa, in quanto, pur essendovi un impianto dualista, gli Stati membri non riescono a
fronteggiare le spese e necessitano di contributi federali. Più forte è invece la tendenza a
decentralizzare i poteri finanziari in Can, per effetto del potere di opting out di Québec e Ontario.
b) La rappresentanza degli interessi regionali al centro.
Il secondo fattore di condizionamento esercitato dalle strutture costituzionali federali è dato
dal modo in cui gli interessi regionali sono rappresentati o comunque riescono ad entrare
nell’agenda politica centrale.
Va fatto un avvertimento preliminare: non bisogna sovrapporre tout court questo secondo
fattore con le seconde camere. La configurazione di questo secondo segmento istituzionale deve
essere molto più ampia e complessa. Se infatti ci limitassimo a identificare la rappresentanza degli
interessi regionali al centro con l’istituzione delle seconde camere, dovremmo escludere dallo
spettro d’analisi fenomeni di estremo rilievo per il nostro tema: da un lato, alcuni Stati federali che,
pur in mancanza di un’effettiva seconda camera, presentano livelli di autonomia molto sviluppati (il
riferimento è al Can); dall’altro, esperienze statali che, pur non essendo federali e pur prive di una
seconda camera, danno forma all’autonomia regionale attraverso meccanismi diversi dalla seconda
camera federale (il riferimento è alla Sp, alla GB, all’I). Anzi, anticipando uno dei risultati di questa
ricerca, dobbiamo riconoscere che a rappresentare una forma alternativa di rappresentanza degli
interessi regionali sono proprio le più recenti formazioni di partiti regionali.
Ricollegandomi all’esigenza che ho espresso poco sopra a proposito della necessità di
riconoscere che i federalismi contemporanei sono tutti, più o meno, intrisi di elementi di
cooperazione, vorrei provare a introdurre in questa sede –la più autorevole per il costituzionalismo
italiano- una distinzione che, al di fuori dei confini italiani, è considerata fondamentale nell’analisi
del concreto modo di funzionamento degli Stati composti: quella tra intrastate e interstate
federalism. Con il primo termine della distinzione, di origine canadese (Smiley e Watts), si allude a
quei sistemi federali in cui gli interessi regionali sono direttamente rappresentati nelle istituzioni
federali direttamente (nel governo e/o nel parlamento); con il secondo a quei sistemi in cui gli
interessi regionali sono rappresentati a livello federale indirettamente, attraverso contrattazioni di
tipo intergovernativo, tra esecutivi. Anche dalla particolare commistione di questi due sistemi
emergono le specificità dei singoli Stati federali.
Come è evidente, la distinzione mira a una considerazione dei meccanismi di rappresentanza
degli interessi regionali al centro molto più ampia di quella fondata esclusivamente sull’esistenza di
una seconda camera a ciò preposta. Da un punto di vista teorico questa distinzione può essere di una
certa utilità –almeno credo- per i sostenitori italiani del sistema delle Conferenze.
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Volendo per ora limitare l’analisi al ruolo delle seconde camere negli Stati federali, in
particolare alla loro idoneità a rappresentare gli interessi regionali all’interno dei circuiti decisionali
nazionali, possiamo dire che solo in quattro tra i sei Stati federali presi in considerazione si
registrano seconde camere con un effettivo potere di veto sulla prima camera. Il giudizio prescinde
dal modo effettivo di funzionamento, dalla loro concreta configurazione e guarda all’effettività.
Questi Stati sono notoriamente USA, CH, RFG e AUS, mentre A e CAN presentano seconde
camere prive di incidenza sul circuito decisionale. In quest’ultimo ordinamento, pure caratterizzato
dalla forte autonomia politica delle Province, la rappresentanza degli interessi regionali avviene
appunto attraverso le forme dell’interstate federalism.
c) Considerazioni riassuntive.
A questo punto, mettendo insieme i due indicatori prescelti –distribuzione delle competenze e
forme di rappresentanza degli interessi regionali al centro- , arriviamo alla seguente situazione:
- la RFG presenta una seconda camera forte con intreccio finanziario sul lato
dell’entrata e autonomia sul lato spesa;
- l’AUS presenta una seconda camera forte con autonomia finanziaria solo sul lato
entrata;
- gli USA presentano una seconda camera forte con autonomia finanziaria solo sul lato
entrata;
- la CH presenta una seconda camera forte con autonomia finanziaria solo sul lato
entrata.
- Il CAN, invece, possiede una seconda camera debole ma un forte decentramento
finanziario, mentre l’A una seconda camera debole con scarsa autonomia finanziaria.
I primi quattro ordinamenti sono anche quelli che la dottrina costituzionalistica e quella
politologica considerano meglio funzionanti, perché meglio degli altri coniugano il principio di
autonomia con quello di efficienza.
4. I sistemi partitici negli Stati federali: il livello di congruenza tra sistemi di partito e
l’organizzazione interna dei partiti
Possiamo ora procedere alla verifica dell’ipotesi di partenza relativa all’influenza della
struttura costituzionale sui partiti e sul sistema dei partiti negli ordinamenti territorialmente
composti di tipo federale. Più precisamente la questione è: al dato che emerge dall’analisi
precedente, costruita su elementi di valutazione prettamente costituzionalistici, corrisponde una
particolare configurazione del sistema dei partiti e della loro organizzazione?
Per rispondere dobbiamo avvalerci degli strumenti analitici messi a punto dalla scienza
politica: il livello di congruenza nei sistemi fondati su più livelli di governo e il più noto criterio
dell’organizzazione interna dei partiti.
Per livello di congruenza (potremmo anche dire di simmetria) si intende la tendenziale
corrispondenza esistente tra sistema di partiti a livello nazionale e a livello regionale. Negli Stati
federali, infatti, i sistemi partitici possono presentare partiti regionali che agiscono secondo logiche
differenti da quelle nazionali e che, in alcuni casi, sono differenti da quelli nazionali: in questo caso
si parla di sistemi partitici incongruenti. Se i due livelli presentano invece un identico o
tendenzialmente identico sistema partitico, si parla di sistemi congruenti.
A proposito del livello di congruenza vorrei provare a svolgere una prima incidentale
considerazione, che lega insieme strumenti analitici più prettamente costituzionalistici e strumenti
di scienza politica. Negli Stati federali a forte impronta cooperativa spostamenti elettorali del livello
regionale hanno conseguenze sul livello partitico-politico nazionale. Da questo punto la RFG è un
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esempio paradigmatico in ragione del forte intreccio politico prodotto dal modo di funzionamento
della seconda camera. Negli Stati a tendenza duale, invece, l’eventuale incongruenza serve a dare
risalto ai problemi locali, sicché uno spostamento di voti a livello regionale non produce riflessi sul
livello partitito-politico nazionale. Da questo punto di vista è paradigmatico il Can, ma anche USA,
CH e AUS (Chandler).
Quanto al più noto strumento di analisi costituito dall’organizzazione interna dei partiti, la
scienza politica distingue tra partiti integrati e non integrati: i primi possono contare su un
programma identico, un programma di coalizioni unitario, risorse comuni, carriere permeabili tra i
vari livelli organizzativi. I partiti integrati possono poi essere distinti in partiti centralizzati e
decentralizzati: centralizzati se l’autonomia dell’organizzazione partitica regionale è ridotta e se il
confronto tra partiti si determina comunque a livello nazionale; decentralizzati se l’organizzazione
partitica regionale dispone di autonomia decisionale in maniera considerevole.
4.1. Analisi dei singoli ordinamenti
Possiamo a questo punto procedere ad un sintetico esame del livello di congruenza del
sistema dei partiti e dell’organizzazione interna dei partiti negli Stati federali considerati.
Austria
Ad oggi il sistema partitico è ancora congruente e integrato.
A livello federale c’è stato a lungo un equilibrio tra i due grossi partiti, ÖVP e SPÖ, che
hanno raccolto fino a metà degli anni ’80 circa l’80 % dei voti. Accanto ad essi, per lungo tempo, vi
sono stati due piccoli partiti, il Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), a destra dello spettro, e il
Kommunistische Partei Österreichs (KPÖ), alla sinistra. Entrambi non sono stati ritenuti
“koalitionswürdig”, con la conseguenza che i due grandi partiti sono stati costretti alla coalizione.
Il conflitto socioeconomico, che una volta era costitutivo dei partiti, è stato reso sempre meno
acuto attraverso la prassi consociativa e i governi di coalizione. Nel 1998 ancora cinque costituzioni
dei Länder prescrivono governi proporzionali.
Nella dimensione verticale il sistema partitico è completamente congruente e fortemente
centralizzato. I partiti regionali in Austria non giocano alcun ruolo. La forte congruenza ha favorito
l’integrazione dei grandi partiti in senso centralistico.
A partire dagli anni ’80 il sistema partitico comincia a cambiare. I due grandi partiti sono
oggetto di un processo di erosione che li porta a raccogliere, nelle elezioni del 1999, solo il 60% dei
voti. La concorrenza tra partiti si accentua di molto e di ciò beneficiano in particolare il GrünAlternative Partei, rappresentato in Parlamento dal 1986, nonché l’FPÖ, che negli anni ’90 è
riuscito a rompere il dominio dei due partiti. La coalizione di governo tra l’ÖVP e FPÖ, successiva
alle elezioni del 1999, ha creato un pluralismo partitico asimmetrico, in quanto l’FPÖ è rimasto per
il Partito Socialdemocratico non “koalitionswürdig”, con la conseguenza che le possibilità di
coalizione sono unilaterali, e cioè solo tra ÖVp e FPÖ.
Repubblica federale di Germania
Ad oggi il sistema partitico è ancora congruente e integrato.
Il sistema partitico registrava fino a poco tempo fa la presenza di due grandi partiti nazionali,
la CDU e l’SPD, e quella di un unico partito regionale, la CSU, da sempre alleato della CDU.
Essenziale per il funzionamento del sistema è stato un terzo partito, l’FDP, indispensabile per la
formazione di coalizioni di governo con uno dei due grandi partiti.
Nella dimensione verticale il sistema è stato fortemente congruente, se si fa eccezione per la
CSU, che, fino a poche settimane fa, ha goduto della maggioranza assoluta nel Land bavarese. Con
la riunificazione, però, è nato ad est un nuovo partito regionale, il PDS. Anche la riforma della SPD
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del Nordrhein-Westafalen (NRWSPD), vigente dall’1.1.2002, mostra segni di un federalismo più
orientato alla competizione.
Per quanto la realtà organizzativa dei due grandi partiti sia differenziata al suo interno, nel
confronto con altre realtà partitiche attive in ordinamenti federali il sistema partitico tedesco risulta
fortemente integrato.
Australia
Ad oggi il sistema dei partiti è congruente e integrato.
Anche dal punto di vista finanziario la Federazione raccoglie il 75-80% delle entrate, pur
essendo competenze per il 55% delle uscite statali. Questa ‘vertical fiscal imbalance’ ha creato una
dipendenza degli Stati membri dai contributi federali (grants). La Federazione elargisce molti dei
suoi contributi in campi come l’educazione, la salute, l’edilizia, rientranti nelle competenze
legislative e amministrative statali. Un opting out degli Stati è possibile solo in teoria, non in
pratica.
L’originaria struttura duale, in ciò molto simile a quella degli USA, ha quindi ceduto il posto
a un intreccio interfederale dei livelli. I processi di coordinamento e di trattative scorrono
soprattutto a livelli interstatale, in particolare nella ‘Premiers Conference’ dei capi di governo
ovvero nei ‘Ministerial Councils’ dei diversi settori. I singoli Stati non hanno accesso diretto
intrafederale alla legislazione della Federazione. Il Senato, infatti, non ha mai funzionato come una
‘State House’ e non può essere considerata come rappresentante dei governi nei processi nazionali
dello Stato federale.
Nonostante questo retroterra interfederale il confronto partitico si esprime attraverso partiti
integrati, e cioè l’Australian Labour Party (ALP) da un lato e la coalizione anti-Labour, composta
dal Liberal Party e dal National (Country) Party. Ciò vale sia per il livello federale che statale.
Prevale la linea di conflitto sociopolitica rispetto a quella territoriale. La relativa omogeneità
culturale e il sistema elettorale maggioritario per la Camera dei rappresentanti (alternative vote)
rafforzano la tendenza verso una competizione bipolare.
Nel Senato eletto col proporzionale (single transferable vote) a partire dagli anni ’50, i terzi
partiti, -come il Democratic Labour Party (tra il 1955 e il 1975), i Verdi o gli Australian Democrats
(un partito di centro attivo dagli anni ‘70)- hanno avuto maggiore possibilità di affermarsi. In Aus i
partiti regionali non hanno attecchito anche se la forza dei partiti nazionali è differentemente
distribuita.
Può dunque parlarsi di un sistema partitico congruente, in cui i partiti regionali non svolgono
un ruolo determinante. A ciò concorrono due condizioni: la forte persistenza del conflitto di classe,
che ha dominato il confronto politico e che produce una forte compattezza interna, e la minore
intensità dei conflitti territoriali in una società nella quale le differenze socioculturali e
socioeconomiche non si sono radicate in senso territoriale.
Il sistema partitico riflette questa struttura sociale. I due grandi partiti presentano un forte
legame tra conduzione federale e statale della politica, pur essendo fortemente decentralizzato. Le
organizzazioni regionali partitiche, soprattutto dei Liberal e del National (Country) Party, poggiano
soprattutto sul livello statale. Queste strutture mostrano una forte cooperazione tra i differenti livelli
territoriali, nonché una somiglianza tra l’impostazione dei problemi a livello federale e statale. Il
National Party mostra una più forte tendenza centralistica.
Nel complesso i partiti australiani appaiono meno decentralizzati di quelli degli Usa, ma più
decentralizzati di quelli europei.
Stati Uniti d’America
Ad oggi il sistema dei partiti è congruente e fortemente decentralizzato.
Il sistema partitico è omogeneo, fondato su due partiti –partito democratico e partito
repubblicano- che si alternano al governo con logica concorrenziale.
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Il sistema partitico dualistico risale alla fine del ‘700, con la classica divisione tra federalisti e
antifederalisti. L’attuale contrapposizione tra Repubblicani e Democratici comincia a configurarsi
all’epoca della guerra di secessione.
I partiti statunitensi non sono partiti caratterizzati ideologicamente o programmaticamente,
bensì mettono insieme interessi economici, sociali ed etnici non caratterizzati, appunto, da ideologie
o programmi. Ciò fa sì che ben difficilmente nascano nuovi partiti; i mutamenti nel sistema politico
si producono, piuttosto che con la fondazione di nuovi partiti, attraverso spostamenti della base
sociale all’interno dei partiti esistenti (realignment).
Dal punto di vista organizzativo i partiti sono verticalmente omogenei. Nonostante le
differenze regionali, etniche e confessionali, i partiti regionali non hanno avuto finora un rilievo
politico. Questa forte capacità d’integrazione dei partiti è legata anche al forte decentramento di
entrambi: i partiti nazionali e statali sono infatti indipendenti. Il centro dei partiti si trova a livello
comunale e regionale.
Svizzera
Il sistema partitico è orizzontalmente frammentato e caratterizzato da linee di conflitto tra i
diversi partiti. Il sistema ha quindi una struttura multipolare e una logica di confronto pluralistico.
Negli ultimi venti anni, nella prima camera, Nationalrat, sono stati rappresentati circa una dozzina
di partiti, nella seconda, Ständerat, circa sei. Il sistema proporzionale introdotto alla fine della
seconda guerra mondiale ha fatto emergere quattro grandi partiti: la Christlichdemokratische
Volkspartei (CVP), la Schweizerische Volkspartei (SVP), la Freisinnig-Demokratische Partei
(FDP), la Sozialdemokratische Partei (SP). Questi quattro partiti raccolgono nella prima camera
l’80-85% dei voti e danno vita, dal 1959, a una stabile forma di governo, che, in ragione della forma
di governo, non può essere considerata una coalizione di governo.
Nella dimensione verticale il sistema è leggermente incongruente e decentrato.
L’incongruenza, tuttavia, non è provocata dall’esistenza di partiti regionali, ma dal fatto che, in
ragione delle differenze confessionali, linguistiche e socioeconomiche, i partiti hanno forza e
presenza differenti nei diversi cantoni. I partiti e il sistema dei partiti è quindi differente da cantone
a cantone; i partiti presentano una struttura organizzativa decentrata, il peso dei quali poggia sul
livello locale e cantonale.
Canada
Ad oggi il sistema dei partiti è fortemente incongruente e molto decentralizzato.
Originariamente il sistema politico canadese non presentava le attuali caratteristiche. Fin dalla
prima guerra mondiale due grandi partiti –il Liberal Party e il Progressive Conservative Party- si
sono fronteggiati con un forte livello di congruenza del sistema partitico.
Negli anni ‘80-‘90 del secolo scorso il sistema cambia: per rispondere alle crescenti richieste
dei territori alcuni partiti sviluppano anche livelli provinciali, come il Liberal Party; i terzi partiti
riprendono forza, come il socialdemocratico New Democratic Party; altri sorgono ex novo, come il
Reform Party di orientamento populista o il Canadian Alliance; prende vita infine con il Bloc
Québécois un grande partito regionale ad orientamento secessionista. Le elezioni del parlamento
nazionale del 1993 hanno evidenziato una fortissima crisi: i partiti tradizionali (conservatori e NDP)
hanno subito forti perdite mentre nuovi partiti (il Reform Party e il Canadian Alliance) e un partito
regionale (Bloc Québécois) hanno avuto una chiara affermazione.
Tra il livello nazionale e quello provinciale si è sviluppata quindi una forte incongruenza
dovuta a diverse ragioni. All’interno delle singole province il confronto rimane dualistico, ma i
partiti e le costellazioni partitiche sono differenti da quelle che si confrontano a livello nazionale. La
ragione di ciò è almeno duplice.
In primo luogo i grossi partiti nazionali hanno un peso molto differente nelle diverse province
a causa delle differenze etniche e socioeconomiche: i liberali sono più forti nelle province agrarie
dell’ovest, i conservatori in quelle industriali centrali (Ontario, Quebec). Accade quindi che, a
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livello delle singole Province, il confronto partitico si svolga tra uno dei due grandi partiti e un
partito regionale o un terzo partito con base regionale. Nessun partito è oramai in grado di ottenere
un considerevole numero di seggi in tutte le regioni del paese. In secondo luogo l’incongruenza si è
prodotta a seguito dell’affermazione di un forte partito regionale con tendenze secessioniste, come il
Bloc Québécois.
Tutto ciò si riflette sull’organizzazione dei partiti, che sono poco integrati e molto
decentralizzati. In particolare i due grandi partiti hanno un’organizzazione di tipo confederale. Di
conseguenza la politica provinciale è determinata autonomamente dai livelli regionali dei partiti;
d’altro lato i vertici nazionali del partito non possono contare sull’appoggio di quelli provinciali.
4.2. Conclusione su rapporto tra struttura costituzionale e sistema dei partiti, estesa alla
considerazione della forma di governo.
Estrapolando i dati fondamentali dell’analisi finora condotta possiamo giungere alla seguente
sintesi, ottenuta collegando le due variabili del livello di congruenza e dell’organizzazione interna
dei partiti e procedendo dal sistema più integrato e centralizzato a quello opposto:
- L’A presenta un sistema partitico congruente e integrato;
- La RFG presenta un sistema partitico congruente e integrato;
- L’AUS presenta un sistema partitico congruente e integrato, lievemente
decentralizzato;
- Gli USA presentano un sistema partitico congruente e integrato ma
decisamente decentralizzato;
- La CH presenta un sistema partitico integrato ma fortemente decentralizzato,
lievemente incongruente per la forte autonomia dei partiti a livello cantonale;
- Il CAN presenta infine un sistema partitico non congruente per presenza di
partiti regionali e non integrato.
La conclusione è di immediata evidenza e, mi pare, rilevanza. Vi è infatti piena
corrispondenza tra la griglia analitica elaborata con riferimento alla struttura costituzionale e quella
appena elaborata sulla base di strumenti analitici propri della scienza politica. Agli Stati federali più
equilibrati, caratterizzati da una seconda camera forte e da un certo grado di autonomia finanziaria,
corrisponde un sistema partitico congruente e integrato. All’interno di questa fascia alcuni sistemi
partitici sono centralizzati, mentre altri sono decentralizzati.
Non solo. Possiamo notare che, in un rapporto di causa-effetto, gli Stati con più forte
propensione alla cooperazione tra i livelli di governo favoriscono la congruenza del sistema politico
e l’integrazione organizzativa dei partiti, mentre quelli a più forte propensione duale tendono
maggiormente all’incongruenza del sistema o comunque a un’organizzazione decentrata del partito
Ciò vale, oltre che per il Canada, per gli USA e per la CH.
È possibile ora –dopo avere trattato delle seconde camere e del sistema dei partiti- introdurre
anche un ulteriore ordine di considerazione, anch’esso attinente all’influenza della struttura
costituzionale, in particolare al versante forma di governo, in grado di contribuire a spiegare il
grado di maggiore compattezza organizzativa di alcuni tra i sistemi partitici considerati.
Senza entra nella ben nota polemica sulla scarsa compatibilità tra Stato federale e governo
parlamentare (Lijphardt), si può provare a sostenere che, poiché nei governi di gabinetto operanti
all’interno di Stati federali il governo è responsabile nei confronti della prima camera, questa
assume un ruolo preponderante rispetto alla seconda. È probabile che tale caratteristica strutturale
della forma di governo spinga i partiti, nell’ambito degli Stati federali con governo parlamentare, ad
essere più integrati dal punto di vista organizzativo, al fine di mantenere il controllo sulla prima
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camera. Tale tendenza è in effetti presente in A, RFG e, in misura minore rispetto ai paese europei
ma maggiore rispetto a quelli anglosassoni, in Aus.
Inoltre, come ho provato a mostrare in altra sede, il governo di tipo parlamentare all’interno
degli Stati federali favorisce lo sviluppo di forme di rappresentanza degli interessi regionali al
centro –in particolare le conferenze tra vertice del governo federale e vertici dei livelli di governo
regionale- alternativi (è il caso in particolare dell’Italia) a o paralleli alla seconda camera (è il caso
in particolare della RFG e dell’AUS).
5. Il fenomeno del partito regionale.
Rispetto alle conclusioni appena raggiunte si staglia in posizione distaccata e certamente
peculiare il caso del Can, un ordinamento federale che presenta, soprattutto a partire dal 1993, un
sistema partitico fortemente incongruente e non integrato. Tuttavia ciò che colpisce l’osservatore
interessato al rapporto tra partiti e autonomie territoriali è che la tendenza all’incongruenza è
presente non solamente in questo Stato federale ma anche e soprattutto in Stati regionali, come la
Spagna e di recente l’Italia, o comunque con forte tradizione unitaria e solo di recente interessati da
processi di decentramento, come il Belgio e il Regno unito.
5.1. Analisi dei singoli ordinamenti
Belgio
Ad oggi il sistema dei partiti è fortemente incongruente e decentrato.
Fino agli anni ’60 il Belgio aveva un sistema di partiti composto da 2 partiti e mezzo:
Cattolici (dal ’45 Cristiano-democratici), Socialisti e in mezzo il partito liberale. Le linee di
confronto erano quelle tradizionali: lavoro-capitale, Stato-Chiesa. Fino a questo periodo la divisione
in fiamminghi e valloni si svolge all’interno dei partiti. Il partito Cristiano-democratico era diviso in
due correnti regolate dal principio proporzionale.
A partire dagli anni ’70 la linea di divisione etnico-territoriale assume rilievo primario nella
politica nazionale. La riforma dello Stato in senso federale crea un sistema interfederale
tendenzialmente duale. Le quattro riforme costituzionali (1970, 1980, 1988/89, 1993/4) hanno
prodotto tre comunità linguistico-culturali e tre regioni geografiche, ciascuna con un proprio
legislativo ed esecutivo. Di conseguenza i tre partiti si sono divisi secondo il cleavage linguistico,
con la conseguenza che oggi non c’è più un partito con dimensione nazionale. Oggi ci sono due
arene politiche, quella fiamminga e quella vallone, abitate da partiti che entrano solo in una delle
due, ma che ricevono mandato per i livelli nazionale e infranazionale e agiscono quindi come
rappresentanti dei rispettivi interessi in relazioni interfederali.
Spagna
Ad oggi il sistema partitico è incongruente, anche se integrato.
Il sistema partitico è centrato sui due grossi partiti del Partito popolare (PP) e del Partito
socialista (PSOE) ed è integrato con il piccolo partito di sinistra (IU) e da molti partiti regionali. I
grandi partiti nazionali hanno convissuto con alcuni di essi, in particolare col partito catalano: UCD
(1977-1982), PSOE (1989-1996), PP (1996-2000).
Vi è una incongruenza tra sistema partitico nazionale e regionale. In Catalogna e nei Paesi
baschi il sistema partitico è frammentato in diversi partiti regionali e l’elettorato si differenzia tra
livello regionale e nazionale. Nelle altre Comunità normalmente è presente sia un partito regionale,
che concorre anche nelle elezioni nazionali, sia gli altri tre partiti nazionali, che hanno forze
differenti nelle Comunità.
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Quanto all’organizzazione, il PSOE, nonostante la tradizionale tendenza centralistica, ha
favorito un’organizzazione regionale. Il PP, invece, al momento non ha favorito tale sviluppo.
Gran Bretagna
Ad oggi il sistema dei partiti è ancora congruente e integrato, anche se vi sono segnali che
spingono verso l’incongruenza.
A lungo il sistema partitico britannico è stato l’esempio di un duopolio partitico senza
differenziazioni regionali, nel quale due partiti, il Conservative Party e il Labour Party,
concorrevano per la maggioranza assoluta. Una certa erosione del duopolio si produce tra il 1974 e
il 1992: i due partiti cadono dal 90% al 75% del totale dei voti, anche se a livello parlamentare, in
ragione del sistema elettorale maggioritario, il duopolio rimane con circa il 94%. In questo periodo
il Conservative Party vince soprattutto al Sud e perde al Nord, mentre il Labour Party vince
soprattutto in Scozia e in Galles, proprio dove si rafforzano i due partiti regionali (Scottish National
Party e Plaid Cymru).
Tra il 1997-1998, a seguito di referendum, inizia il processo della c.d. devolution, attraverso il
quale vengono trasferite competenze a Galles e Scozia in maniera differenziata. Mentre la Scozia
riceve una forte autonomia nei campi della politica interna, il Galles si muove solo all’interno della
legislazione di cornice britannica. La differenza è da ricondurre alla diversa spinta verso
l’autonomia. Formalmente la devoluzione è revocabile da parte del Parlamento inglese, anche se, di
fatto, un tale atto appare politicamente irrealizzabile.
La devoluzione potrà avere effetti rilevanti sul processo politico britannico. I conflitti
vengono ancora risolti a livello ministeriale e, quindi, ad oggi, all’interno del Labour Party.
Tuttavia ciò non sarà più possibile nel momento in cui diversi partiti avranno la maggioranza a
Londra, Edinburgo e Cardiff. E i presupposti di questo sviluppo sono stati posti nel momento in cui
sono stati previsti parlamenti e governi regionali.
Con la devoluzione è stata creata una arena politica regionale, che produce un sistema politico
parzialmente incongruente: in Scozia e in Galles c’è infatti un sistema quadripartitico, mentre a
Westminster c’è ancora un duopolio. Questo sistema asimmetrico poggia su una logica
interfederale, che può condurre a un mutamento dei rapporti di maggioranza politica di forte
intensità. Partiti verticalmente integrati come il Labour potrebbero essere sottoposti a tensioni simili
a quelle che si sono presentate in Canada e Belgio.
5.2.Considerazioni conclusive.
L’esame svolto ci consente un’osservazione preliminare. Non tutti gli Stati composti a
struttura sociale disomogenea -quelli che Lijphardt chiama federalismi disomogenei- registrano
incongruenze nel sistema di partiti e quindi la presenza di partiti regionali. Perché ciò avvenga vi
deve essere una precondizione socio-istituzionale: il cleavage, la frattura che porta alla creazione di
una forza politica regionale non deve essere trasversale rispetto ai confini territoriali, bensì deve
essere delimitato, coincidente con i confini territoriali di un determinato territorio. Se così non
fosse, non potremmo spiegarci come mai la CH, e cioè il più pluralistico tra i paesi federali per tipo
di cleavages, non conosca partiti regionali. In questo Stato, infatti, le linee di divisione non sono
confinate ad un preciso territorio o Cantone, ma sono trasversali, oblique rispetto a più territori.
Ciò premesso, sono soprattutto due le conclusioni che si possono trarre dal modo di
funzionamento degli Stati con forte presenza di partiti regionali.
La prima deriva dalla comparazione tra questi ultimi e gli Stati federali che abbiamo definito
più equilibrati e bilanciati. In altri termini sembra di poter affermare che l’esistenza della struttura
costituzionale di tipo federale faccia da freno rispetto a sviluppi asimmetrici del sistema dei partiti.
La seconda riguarda in particolare il ruolo dei meccanismi di rappresentanza degli interessi
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regionali. Infatti, in presenza di istituzioni capaci di mediare il conflitto tra interessi regionali e
interessi nazionali –come è appunto nel caso di seconde camere che permettano ai livelli regionali
di partecipare effettivamente alle decisioni del centro ovvero nel caso di efficaci conferenze
interistituzionali) (intrastate federalism)-, i partiti e i sistemi di partiti rimangono tendenzialmente
congruenti e integrati; se tali istituzioni mancano, e quindi il confronto/conflitto si gioca tra parti
contrapposte, in contrattazioni spesso bilaterali ovvero con possibilità di ‘chiamarsi fuori’, di opting
out, i partiti e i sistemi di partito tendono a essere incongruenti e non integrati.
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