Approaches to Teaching Collodi`s «Pinocchio» and
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Approaches to Teaching Collodi`s «Pinocchio» and
«Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> Emanuela Piga Epica, storia e memoria. «Le Rondini di Montecassino» di Helena Janeczek Sommario I. Introduzione II. Ucronia, verità e menzogna III. La memoria multidirezionale e le rondini IV. Nelle tempeste di polvere e sangue V. Postmemoria, il viaggio dell'eroe e la verità della menzogna VI. Conclusioni aperte VII. Bibliografia Il principio costruttivo della storia universale consente di rappresentarla nelle storie parziali. È, in altri termini, un principio monadologico. W. Benjamin, Sul concetto di storia Forse bisognerebbe dire che i ricordi si distribuiscono e si organizzano in livelli di senso, in arcipelaghi, eventualmente separati da abissi. P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare I. Introduzione Ne Le Rondini di Montecassino1 di Helena Janeczek ci troviamo a percorrere un labirinto di vicende che a volte si ricongiungono altre volte corrono parallele senza mai incontrarsi, intorno allo stesso scenario e nel medesimo segmento temporale: l'Abbazia di Montecassino, teatro di guerra dell'omonima battaglia, nel lasso di tempo tra il 15 febbraio e il 18 maggio 1944.2 «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> La battaglia si svolse in Italia, ma fu una storia che travalicò i confini europei fino a riguardare i maori della Nuova Zelanda, gli americani del Texas e soprattutto coloro che ebbero un ruolo centrale nella presa di ciò che restava dell'abbazia: i "polacchi in esilio" dell'armata del generale Wladyslaw Anders. 3 Come accade nella rappresentazione epica, il romanzo in questione si confronta con un evento "eccezionale":4 la Seconda Guerra Mondiale in una delle sue battaglie più feroci, che riporta l'orologio alle trincee della Prima Guerra Mondiale con la fanteria proiettata nel cuore dello scontro a causa della natura selvaggia del territorio. Il romanzo esce un anno dopo la pubblicazione in cartaceo della raccolta di saggi dell'autore collettivo Wu Ming New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro,5 versione allargata e cartacea che nasce dal precedente saggio scritto e pubblicato in rete da Wu Ming 1, all'origine di un vasto dibattito che si diffuse in rete, in incontri pubblici, sui quotidiani, riviste e in trasmissioni radiofoniche. Il New Italian Epic, che indicheremo da qui in avanti con l'acronimo NIE, è un «nome di comodo, usato per indicare un insieme di libri, pubblicati in Italia a partire dal '93, accomunati da una certa "aria di famiglia" e dal respiro ampio delle vicende».6 Tra le "somiglianze di famiglia" individuate nella nebulosa del NIE, spiccano il punto di vista obliquo, la riflessione ucronica su ciò che sarebbe potuto accadere, la forzatura della forma romanzo a favore di «oggetti narrativi non identificati».7 In particolare su quest'ultimo aspetto, va detto che già le opere precedenti di Helena Janeczek, Cibo e Lezioni di tenebra, erano state menzionate all'interno della nebulosa.8 Anche ne Le rondini di Montecassino si possono rilevare commistioni tra narrativa, saggistica e narrazione storiografica, ma diluite in un'opera dove la forma romanzo "tiene" maggiormente. La complessa architettura dell'opera contiene la proliferazione di storie (vere e false), digressioni e prelievi da documenti storici e si cementa grazie alla sua «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> "costituzione" epica, intesa certamente come accezione tonale e non come genere letterario. «Queste narrazioni sono epiche perché riguardano imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose: guerre, anabasi, viaggi iniziatici, lotte per la sopravvivenza, sempre all'interno di conflitti più vasti che decidono le sorti di classi, popoli, nazioni o addirittura dell'intera umanità, sugli sfondi di crisi storiche, catastrofi, formazioni sociali al collasso».9 La lettura dell'opera sarà volta a interpretare il significato e la funzione della tonalità epica e la sua articolazione con temi importanti del romanzo come l'invenzione (romanzesca e non), il racconto della Storia, l'eredità e l'elaborazione della memoria, il valore terapeutico della scrittura. II. Ucronia, verità e menzogna Il mosaico di storie che costituisce Le rondini di Montecassino è incorniciato dalla voce della narratrice, simulacro testuale dell'autrice, che ci parla da un cronotopo10 localizzabile nella Milano tra il 2007 e il 2009. La narrazione autobiografica costeggia e si infiltra nella superficie del mosaico, complicato dall'incastro di scalini temporali. In esso troviamo dei piani pertinenti al passato e dei piani che rimandano al presente della narrazione, come dei punti di fuga verso l'attualità. La sezione iniziale «Prima della battaglia» (Milano 2007) è il punto d'ingresso della narrazione in prima persona, che ci proietta all'interno di un taxi animato da una conversazione tra l'io narrante e l'autista. Il dialogo, che ha per oggetto la partecipazione del padre di lei alla Battaglia di Montecassino, è fluido e condotto con piglio deciso e allegro. Distaccato da uno spazio bianco, il monologo interiore seguente è di tutt'altra tonalità «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> emotiva. Comprendiamo quindi di aver appena letto un what if, ovvero come sarebbe potuta andare la conversazione se la narratrice avesse raccontato dell'esperienza del padre nella campagna d'Italia anziché improvvisare una serie di menzogne per arginare le domande. «Così mi ci impigliavo dentro, rispondendo mezze verità e scoprendo che l'invenzione riesce male quando sgorga dalla costrizione, che le menzogne nate per caso sono brutte».11 Segue infine un'ulteriore versione, quella del "come è andata veramente": il padre, ebreo polacco, non ha mai combattuto a Montecassino né è stato un soldato del generale Anders. Veniamo a sapere che il cognome paterno è falso, dovuto a un'invenzione necessaria per sopravvivere in un'epoca in cui gli ebrei rischiavano la vita ovunque; come a Kielce, teatro del primo grande pogrom del dopoguerra e luogo di origine del ciarliero tassista. La prosa assume un andamento interrogativo, soffermandosi sul significato e sugli usi possibili del concetto di finzione. «Che cos'è una finzione quando si incarna, quando detiene il vero potere di modificare il corso della storia, quando agisce sulla realtà e ne viene trasformata a sua volta? Cosa diventa la menzogna quando è salvifica? E quali storie, mi domando infine, posso narrare io di fronte a questo? A quale invenzione posso ricorrere essendo testimone in carne e ossa che fra il vero e il falso, tra realtà e finzione, corre talvolta il confine labile che separa la vita dalla morte?»12 Come vedremo in sede di analisi, la storia di una vita salvatasi grazie a un'invenzione diventa parte di una storia più grande ma dai contorni plurali, composta di una moltitudine di storie dimenticate, perse nel tempo e in una geografia fatta di campi di concentramento, fosse, sacrari e anfratti di montagne ricolmi di roccia, esplosivo e corpi smembrati. Ma anche di spostamenti, battaglie, resistenze, abnegazione e solidarietà. La «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> sopravvivenza di questo nome inventato, di contro a milioni di nomi inghiottiti dalla vertigine della violenza storica, merita anziché «menzogne nate per caso» e dunque «brutte» - un'invenzione di ben altro respiro, dai confini ampi e generosi, in grado di accogliere quante più storie possibili: «una storia tanto mitica13 per chi l'ascolta che troncherebbe ogni domanda».14 III. La memoria multidirezionale e le rondini Sullo sfondo di una moltitudine di esistenze dimenticate, i rivoli delle memorie confluiscono nell'alveo maggiore della Storia e danno corpo alle figure del soldato Emilio Steinwurzel e del medico Dolek Szer: entrambi sono ebrei polacchi finiti nel Secondo Corpo d'Armata polacco di Anders dopo comuni esperienze di deportazione e displacement; entrambi eroiprotagonisti del capitolo finale, in cui viene narrata l'ultima battaglia, quella che vide i soldati polacchi issare la bandiera sulle rovine di Montecassino. «Mio padre non ha mai combattuto a Montecassino, non è mai stato un soldato del generale Anders Ma per quell'imbuto di montagne e valli e fiumi della Ciociaria, forse, è passato qualcosa di mio: di me perduta e ritrovata in un punto geografico, un luogo che ci contiene tutti».15 La memoria privata si apre verso una rievocazione di più ampio respiro, che fa emergere dal passato gli oltre trentamila caduti sepolti nei sacrari militari che circondano l'abbazia. Oltre ai rammemorati soldati angloamericani, la narratrice ricorda gli italiani delle formazioni regolari dell'esercito, gli indiani, i nepalesi, i maori, gli algerini, i nippo-hawaiani, i brasiliani, i senegalesi, gli ebrei venuti dalla Palestina con la Jewish Brigade e tutti gli altri soldati del mondo intero. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> «Eppure troppo vere le loro vite e le loro morti corrose dall'oblio per non cercare di aderire il più possibile alle fonti che mappano le loro traiettorie e documentano il loro passaggio da un continente a un altro, dal tempo passato al tempo presente». 16 Il testo riflette la volontà di recuperare il racconto di vite dimenticate, che si unisce al sentimento di comunione con una storia talmente vasta da non poter essere delimitata dai confini di una memoria nazionale, ma piuttosto, da una memoria che varca confini e frontiere e parla in lingue diverse. L'istanza di fondo, che rivela una comunanza di intenti e di tecniche con parte della storiografia contemporanea,17 si manifesta anche a livello formale: il libro è configurato come un mosaico-labirinto percorso da personaggi che raccontano la guerra dal loro punto di vista. Sono personaggi dalle origini diverse, realmente esistiti o di invenzione. L'immagine del labirinto da percorrere mi sembra anche corrispondere meglio al contenuto evocato: come i sentieri scoscesi e tortuosi delle montagne intorno all'Abbazia; o le gelide e impetuose acque dei fiumi Garigliano e Rapido, che rendevano il raggiungimento della meta quasi impossibile e che sottoponevano i soldati a una serie di prove. A questo si aggiunge la dimensione dello spostamento: non solo quello causato dalla geografia dei fronti bellici, ma anche quello causato dalle persecuzioni in Europa Orientale e in Unione Sovietica e dalle diaspore di quei profughi che furono definite dalle Nazioni Unite displaced persons.18 Il romanzo è suddiviso in sezioni intitolate in funzione delle battaglie. Ogni pagina inaugurale, come un monumento funebre, riporta la data di nascita e di morte del protagonista principale e una canzone o una preghiera riconducibili all'identità nazionale dell'eroe. Le vicende sono narrate da una voce eterodiegetica e tutte hanno qualcosa in comune: un eroe19 che viene da lontano e affronta varie traversie per raggiungere il campo di battaglia in terra straniera, nel quadro della Seconda Guerra Mondiale, «unico gorgo che risucchia pressoché ogni luogo della terra, ogni animale «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> e paesaggio, e che gettandoli alla rinfusa, unisce e divide gli uomini». 20 La storia della Battaglia di Montecassino emerge anche nel dialogo con altre trasformazioni, come la creazione dell'assetto post-bellico dell'Europa e dell'Unione Sovietica e le conseguenze dell'era della decolonizzazione, attraversata da lotte per il riconoscimento delle identità politiche e l'emancipazione delle minoranze sparse nel mondo, come nel caso dei maori della Nuova Zelanda. La narrazione del tema principale, le Battaglie di Montecassino, si articola con il racconto di altre storie a essa intrecciate. Il mosaico si compone sulla spinta di una memoria che definirei, sulla scia di Michael Rotbergh, multidirezionale, opposta alla memoria competitiva che, nel lottare per il riconoscimento della memoria e della identità di un determinato gruppo sociale, esclude le memorie degli altri gruppi. «Against the framework that understands collective memory as competitive memory - as a zero-sum struggle over scarce resources - I suggest that we consider memory as multidirectional: as subject to ongoing negotiation, cross-referencing, and borrowing; as productive and not privative. [...] This interaction of different historical memories illustrates the productive, intercultural dynamic that I call multidirectional memory».21 La seconda parte del libro è dedicata al contributo di sangue texano, con il racconto della Prima Battaglia (12 gennaio - 12 febbraio 1944) dal punto di vista del sergente John "Jacko" Wilkins, della 36a Divisione "Texas". Dopo l'arruolamento nella Guardia Nazionale, Jacko abbandona il suo piccolo ranch texano per andare a finire nella 36ª Divisione dell'Esercito degli Stati Uniti. Il passaggio successivo consiste nella traversata transoceanica verso l'Algeria come tappa di addestramento per la guerra in Europa. Lo sbarco e la presa di Paestum (9 settembre 1943) corrispondono al suo ingresso vero e proprio nel teatro di guerra. Personalità disciplinata e patriottica, Jacko vede l'Italia con gli occhi di un americano e la vede «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> fredda, scura e povera. Al tempo stesso, lo sguardo sulla terra straniera si rivolge contro di sé: egli si vede dal di fuori come Flash Gordon atterrato su un altro pianeta, abitato da uomini profondamente segnati dalla guerra. La sua traiettoria di vita si conclude nel corso della prima azione volta a sfondare la linea Gustav: guadate miracolosamente le gelide acque del fiume Rapido e giunto sulla riva opposta, viene colpito in fronte e il suo corpo inghiottito dal fiume. Mentre la 5ª armata del generale Clark sbarcava ad Anzio, i ragazzi del Texas venivano mandati a morire sulla linea Gustav. Il brano della petizione firmata dai veterani sopravvissuti contro il generale Mark Wayne Clark inserito all'interno della diegesi acquista un sovraccarico di senso grazie alle linee forza, motivate dalla spinta etica autoriale, che sottintendono le scelte di montaggio. Charles Maui Hira, del 28° battaglione maori, e suo nipote Rapata Sullivan, in volo dalla Nuova Zelanda verso l'Italia, sono al centro della terza parte, dedicata alla Seconda e Terza battaglia (15 febbraio - 24 marzo 1944). Nel 2004 la memoria privata di Rapata, che porta in tasca la medaglia del nonno, si alterna a quella pubblica e commemorata a Montecassino in occasione della sessantesima ricorrenza della battaglia. Il racconti del nonno che rivivono nei pensieri di Rapata rimandano al passato neozelandese delle lotte dei maori con i coloniali. L'alternanza dei piani temporali genera un movimento narrativo che vede la storia dei maori nella lontana Nuova Zelanda confluire nella storia della seconda guerra mondiale nella vecchia Europa. Il nonno di Rapata, appartenente alla tribù maori dei Waikato, decise di arruolarsi e partecipare alla guerra per pagare il diritto di cittadinanza e per questo venne chiamato kupapa, cioè venduto ai pākehā22. Dalle memorie di Rapata emerge la divisione interiore tra l'eroismo militare del nonno e il ribellismo del padre, leader del movimento per i diritti dei maori. L'identità di Rapata è quella di un uomo diviso a metà, tra le periferie di «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> Auckland e il villaggio nativo sul Waikato. I maori, come altre truppe di provenienza non europea o nordamericana, furono utilizzati come testa di ponte per le azioni di guerra, in modo da lasciare il campo alle truppe anglo-americane per le azioni conclusive. «Serviva a questo aver dominato per secoli su mezzo mondo con l'impero: mandare avanti a farsi massacrare il buon soldato indigeno».23 Durante il viaggio in aereo si fa strada l'idea di un'altra via, quella di evitare le commemorazioni ufficiali e cercare i frammenti sommersi della vita del nonno, come per esempio, quel che restava della miniera in Polonia dove il nonno era stato imprigionato. «Adesso le parole lette nei libri sul 28° battaglione e su Montecassino che portava nello zaino, sembravano portarsi dentro il rischio di cancellare i racconti di Charles Maui Hira».24 Rapata ha l'impulso di disertare la commemorazione e «tradire la memoria, ma per salvarlo»25, nel timore che la memoria ufficiale possa confliggere con la memoria privata. Nondimeno vi si reca e, una volta sul luogo, il presente del ristorante in compagnia degli ex-combattenti maori che avevano combattuto a fianco di Charles Maui Hira si alterna al passato della sua infanzia con il nonno. La quarta parte del romanzo, «Prima e dopo l'ultima battaglia», combina due narrazioni differenti per contenuti e forma narrativa: da una parte il racconto in prima persona del viaggio compiuto dalla narratrice in Israele per incontrare Irena Levick (Irka), la moglie del cugino Zygmunt; dall'altra le vicende di due ragazzi romani legati da profonda amicizia, Edoardo Bielinski e Anand Gupta, entrambi italiani, ma di origine polacca il primo e indiana il secondo. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> La storia di Irka, originaria di Vilna, si unisce a quella dei tanti ebrei polacchi sopravvissuti alla Shoah "grazie" alla deportazione nei Gulag sovietici. Nella sua testimonianza, i ricordi sono come le isole di un arcipelago separate da acque di oblio, che velano l'indicibilità del senso di colpa per non aver potuto proteggere la giovane madre morta a Treblinka. La consapevolezza e il rispetto del significato delle alterazioni della memoria spinge la narratrice a integrare la testimonianza con altre ricerche: la consultazione degli archivi nel museo di Yad Vashem e la lettura dell'autobiografia di Gustaw Herling Un mondo a parte. Il frutto di questa combinazione di testimonianza e ricerca confluisce nel capitolo "Irka nel Gulag", preceduto dalla vicenda di Edoardo e Anand: all'ingresso del cimitero polacco di Montecassino, situato sul versante della collina tra Quota 445 e il monastero, i due sono intenti a diffondere volantini informativi sui polacchi scomparsi in Italia. L'episodio è centrato sul tema dell'identità multiculturale: se l'attivismo di Edoardo e il suo interesse per Montecassino deriva da una genealogia famigliare che - come dice Anand - li immerge nella storia fino al collo e li spinge a «lottare da nonno a nipote», l'interesse di Anand per la storia del generale Anders si risveglia attraverso altri canali che non hanno niente a che fare con questioni etnico-nazionali ma, piuttosto, appartengono al sentimento del creaturale. La sua comprensione della violenza storica passa attraverso l'osservazione di una rondine e dei suoi piccoli al sicuro nel nido alloggiato tra sottotetto e cornicione del monastero. L'immaginazione di Anand, che si interroga sul destino delle rondini sfollate nella primavera del 1944 dall'abbazia e disperse nel cielo sconvolto dai bombardamenti, genera l'allegoria di quanto avveniva in tutti i fronti della Seconda Guerra Mondiale: gorghi infernali che rigettavano «stormi di poveri uccelli neri impazziti, in tutto il mondo».26 «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> IV. Nelle tempeste di polvere e sangue I dimenticati non figurano solo nelle storie dei vinti, ma anche nelle file dei vincitori, funestate in misura non minore da razzismi e gerarchie. L'opera di Janeczek riporta alla luce le strategie belliche adottate in guerra, all'interno delle quali le truppe coloniali - in grado di scalare gli strapiombi più ripidi dei Monti Aurunci e conquistare le quote più rischiose - venivano utilizzate come "truppe puniche", inviate come avanguardia e al macello, nel quadro di una strategia ad ampio raggio ignorata dai soldati. Ai fini del risultato finale, poco importavano alle gerarchie militari alcuni effetti collaterali della tattica bellica: ad esempio lo stupro di massa delle donne in Ciociaria, marchiate come "marocchinate" e poi private anche dell'elaborazione collettiva del trauma a causa del manto di silenzio calato su quel crinale della storia. Come ricorda la narratrice, non fu certo l'armata d'Africa di Alphonse Juin, protagonista della conquista dei Monti Aurunci, a sfilare nella parata trionfale a Parigi. La storia dei polacchi, particolarmente cara per ragioni biografiche a Helena Janeczek, intercetta le altre storie minori narrate in precedenza, come quelle dei maori, dei soldati della 4ª Divisione indiana o dei Gurkha nepalesi. Questi ultimi, ignari della decisione del generale Freyberg27 di bombardare il monastero, furono fatti avanzare verso la montagna e perirono sotto il fuoco amico. Nel romanzo, il precipitare delle bombe sul monastero è narrato dal punto di vista di chi è assediato e inerme: i rifugiati e gli sfollati riparati nell'abbazia, nelle grotte, nei costoni, nei bunker. «Si muore di una morte sorda e assordante, si vive respirando polvere col panico, ingoiando affreschi sgretolati in sabbia, cercando di muoversi, di spostarsi».28 «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> I loro punti di vista vanno a convergere in un unico punto di vista descrivibile come "obliquo":29 un occhio che sorvola l'interno dell'abbazia, sorta di cinepresa volante che riprende la distruzione della cupola, il crollo del chiostro del Bramante su un centinaio di profughi e il rovinare delle colonne; ma anche l'incrociarsi per aria di frammenti di cose e corpi ad ogni deflagrazione e il crescere degli ammassi di detriti e calcinacci. La narrazione trasmette il rumore assordante che copre le grida dei feriti e gli spostamenti di polvere e di sabbia che rendono confusa la visione degli assediati. Nel corso dell'ultima battaglia, all'armata di Anders venne affidato il compito più difficile della prima fase: la conquista delle alture intorno a Montecassino e Piedimonte, tra le quali la Cresta del Fantasma e la famigerata Quota 593, detta il Calvario.30 In questo punto della storia si innesta la vicenda di Emilio Steinwurzel, sbarcato sul versante meridionale dell'Adriatico dopo essere stato di stanza in Iraq e in Palestina. Emilio viene raffigurato in marcia sulla montagna verso il primo obiettivo, la Cresta del Fantasma. La situazione narrata ricorda la guerra di fanteria, con le stesse terribili prove che tormentavano i soldati nelle trincee della Grande Guerra, ma la connotazione che ne scaturisce è ben lontana dalle tonalità di Ernst Jünger nel suo diario di guerra In Stahlgewittern (Le tempeste di acciaio). «Le leggi stesse della natura sembravano non aver più valore. L'aria tremava come nei giorni ardenti dell'estate e la sua varia densità faceva ballare di qua e di là oggetti assolutamente immobili. Strisce d'ombra nera filtravano attraverso le nuvole di fumo. Il fragore era diventato assoluto: non lo si sentiva più». 31 In queste pagine, il racconto epico delle battaglie, pur nel testimoniare l'orrore che dilagò nelle pianure della Somme e nelle trincee dello «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> Champagne, riflette anche la visione ludica del combattimento e la fascinazione che la guerra esercitava sull'autore combattente. «Un'impressione soffocante d'irrealtà mi prese, allorché lo sguardo andò a posarsi su una forma umana orribilmente insanguinata; una gamba pendeva da quel corpo con un'angolazione innaturale. Con voce rauca, come se la morte la tenesse ancora stretta alla gola, quella forma invocava incessantemente aiuto. [...] Cos'era avvenuto? La guerra aveva mostrato gli artigli e gettato via di colpo la sua maschera di bonomia. Come era misterioso e irreale tutto ciò!»32 Nel romanzo di Janeczek, la tonalità epica della prosa, dovuta alla natura della materia narrata e al lavoro sulla connotazione che catapulta il lettore nel mezzo degli eventi, non manca di testimoniare le difficoltà visive dei soldati, insieme al frastuono delle artiglierie, al freddo, al cibo scadente, ai pidocchi, l'impossibilità di lavarsi e, soprattutto, lo squallore dell'attesa. Non c'è niente di razionale e geometrico nel divampare della battaglia che, vissuta dall'interno, manca di centro e prospettiva. «Vola di tutto sopra: razzi, obici, granate, schegge di ogni genere e materia - ferro, roccia, legno spaccato, legno in fiamme e pure roba che è meglio non capire».33 Per i soldati è impossibile comprendere quanto succede sul campo e la natura stravolta partecipa della violenza della guerra: «Le pietre dei ripari vibrano come elettriche, la montagna sotto i corpi appiattiti trasmette un brontolio profondo, arrabbiatissimo, che però monta in qualcosa di indefinibile quando parte la risposta dell'artiglieria nemica». 34 La vera consapevolezza dello sfacelo in corso è appannaggio di chi cerca di rimediare gli orrori in corso, come i medici impegnati a «segare un «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> braccio o una gamba» o a «estrarre schegge conficcate ovunque assieme a frammenti ossei». Ecco qui comparire un'altra figura sgorgata dalla memoria privata: Dolek, il cugino della madre di Helena Janeczek, anche lui sul celebre fronte di Montecassino. La ristrettezza della visuale di chi combatte, oltre a giocarsi nell'immanenza della battaglia e riguardare la dimensione dello spazio, si estende alla dimensione temporale del destino. I soldati sono giocatori di una partita di cui ignorano la regia, privi di una visione d'insieme e ignari della loro funzione: è il caso delle truppe polacche utilizzate come parafulmine delle artiglierie tedesche sulla Cresta del Fantasma, mentre i "protagonisti designati della battaglia" fanno retrocedere i tedeschi a valle.35 Alla fine dello scontro, Anders sale sul campo e vede ciò che resta del baluardo della fede cristiana nell'Occidente: «mucchi di mine terrestri» e «cadaveri di soldati tedeschi e polacchi», tra brandelli di uniformi alleate e tedesche incorniciate dai papaveri. La vertigine di macerie, corpi e rovine nella quale ci precipita la narrazione si chiude nell'immagine assente dello splendido Monastero. V. Postmemoria, il viaggio dell'eroe e la verità della menzogna Il capitolo finale del romanzo è dedicato alla Quarta Battaglia di Montecassino, (11-18 maggio 1944). Nella pagina di apertura sono indicate le coordinate temporali che lo attraversano: il presente della narratrice (Milano, settembre-ottobre 2009) e la direttrice temporale della vita di Samuel Steinwurzel (Leopoli, settembre 1939 - Milano, gennaio 1965), che partecipò alla battaglia con il 52° Battaglione Fucilieri di Vilna, del Secondo Corpo d'Armata polacco. L'eroe appare in una fotografia del 1943 nella casa milanese del figlio Gianni: «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> «L'uomo nella foto è all'origine di tutto. L'uomo è lo zampillo della sorgente che mi ha portato a scoprire i rivoli sgorgati fra i continenti e confluiti nel fiume di queste pagine, a seguirne i meandri fino a che raggiunge la Valle del Liri e sfocia nella battaglia. Ma poi, come spesso accade alle sorgenti, quella prima fonte sembrava essersi persa, inabissata».36 La partecipazione alla battaglia di Montecassino di Samuel Steinwurzel, amico di famiglia divenuto in Italia "Emilio", è un dato tanto acquisito quanto misterioso per la memoria della narratrice. Il ricordo di questo soldato polacco, protagonista di una storia eroica ma smarrita nella geografia della vecchia Europa e dell'Unione Sovietica, la conduce alla casa di Gianni. Ricordi e attualità si mescolano in queste pagine, nelle quali le vicende di Emilio prendono forma via via nel corso della conversazione e si diluiscono nelle riflessioni interiori sul mutamento della circostante Chinatown milanese a partire dai ricordi di infanzia. La Chinatown odierna, «dilagata ben oltre via Paolo Sarpi, centrale di smistamento della mercanzia cinese verso le bancarelle e i negozi di non so quanta parte d'Italia»,37 rappresenta per la narratrice non uno snaturamento, ma una possibilità in più: la lontana Cina è a disposizione qui, nel perimetro di alcune strade milanesi. Il presente degli attuali flussi migratori che attraversano il globo si verticalizza in una profondità temporale dalla quale affiorano interrogativi sull'eredità della memoria. «Che cosa restava della presenza di un ebreo polacco in questo lembo annesso alla Cina, in questa mappa che restituiva le ultime grandi migrazioni cancellando quelle più remote e minoritarie? Persino i nostri sopravvissuti sono quasi tutti morti, e non c'è coltivazione della memoria, né singola, né collettiva, che possa farci nulla. Ora ci siamo solo noi, i figli, in via Bramante».38 Nell'osservarsi reciprocamente, nella comune somiglianza di ognuno con il proprio genitore - il padre per Gianni, la madre per la narratrice - si annida «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> il timore di un mutamento nel senso inverso alla progressione del tempo. Un mutamento rivolto al passato, senza un punto di rottura generazionale, ma con l'eredità di un «patrimonio invisibile che ci modella dal di dentro quando è tardi, quando le tracce che cominciamo a rincorrere sono scarse e parzialmente indecifrabili». Come la narratrice,39 anche Gianni fece un "viaggio della memoria" alla ricerca delle origini della famiglia paterna: prima in Israele per cercare nella sala archivi del museo Yad Vashem i nomi dei famigliari sterminati, successivamente in Ucraina. Entrambi sono «testimoni di seconda generazione», con alle spalle una genealogia famigliare interrotta dalla violenza della Shoah. Insieme tentano di ritrovare l'uomo della fotografia: ricostruiscono le sue possibilità esistenziali attraverso carte geografiche e materiale documentario, mescolando eventi possibili ed eventi storici. La storia di Emilio si fa strada dal fondo oscuro del passato, all'interno di una storia più grande, quella dei «prigionieri di guerra polacchi mandati nel Gulag»:40 Samuel/Emilio nacque nel 1914 a Radziechow (oggi Radehiv), terra di confine abitata da polacchi, ucraini, ebrei, cattolici e minoranze varie e si trasferì con la famiglia nella vicina Leopoli (Lwów); soldato polacco durante l'invasione tedesca, fu fatto in seguito prigioniero dai russi e deportato in Siberia; da lì riuscì a raggiungere l'armata di Anders e con quella giunse in Italia. Le vicende private si inseriscono in uno scenario storico segnato da eventi come le negoziazioni sui confini della Polonia tra Stalin e gli alleati, l'antisemitismo diffuso nelle armate alleate e la difficile opera di costituzione dell'armata polacca compiuta da Anders. Nel ricostruire le tappe principali della sua vita, la narratrice rivela la materia e la tecnica che compone il racconto. Ad esempio, il palazzo «solido e borghese» dell'abitazione di famiglia a Leopoli, visibile nella foto, la spinge a dedurre che Emilio frequentò, «probabilmente», una scuola ebraica non ortodossa. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> «E se dico "probabile" non è soltanto perché era la scelta più comune per la gran parte degli ebrei polacchi e perché a Leopoli ce n'erano in abbondanza, ma anche perché sto cercando di giocarmi le mie quattro carte, leggere i pochi elementi che posseggo».41 La ricostruzione biografica si dipana all'interno di una prosa metanarrativa, che dichiara e riflette incessantemente sulle fonti e sul punto di vista di chi ricostruisce il divenire storico. Anche la trasformazione del nome del profeta biblico nel polacco Milek, diventa spunto di riflessione e di ipotesi interpretativa su come la famiglia Steinwurzel avesse potuto vivere la questione dell'identità ebraica in una città allora polacca. Il passaggio da Samuel a Milek (e da qui, successivamente, all'italiano Emilio) la induce a pensare a uno stemperamento dell'identità ebraica in quella polacca, dovuto senz'altro all'ambiente che lo circondava. Diverse ragioni vengono immaginate, tra le quali la perdita dell'uso dell'Yiddish in casa e il desiderio degli Steinwurzel di essere considerati cittadini polacchi. «Forse è solo questo che, facendo a meno di troppe smancerie borghesi serate a teatro, delikatessen non kasher, lezioni di tennis e pianoforte, concorsi di bellezza per bambini -, vorrebbero davvero per se stessi e i propri figli: essere riconosciuti cittadini».42 Il racconto si trova a riflettere sui propri dispositivi e si fa testimonianza della ricerca compiuta negli archivi della memoria, come nel caso delle ricerche su Dolek, (il mai conosciuto cugino della madre), che inducono l'autrice a includere Franciszek Kulakowski43 nel racconto e a ricordare la sua storia attraverso una finzione verosimile, facendone un compagno d'armi di Milek. «Ma dato che del soldato Kulakowski non so nulla tranne quelle date [di nascita e di morte], dovrei scusarmi in anticipo con la sua famiglia della licenza che mi sono presa in suo nome. Se però preferisco non cambiarlo «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> con uno di fantasia, è perché fino a quando di qualcuno restano anche solo date e nomi, qualunque persona al mondo potrà rendersi conto che è esistito. Ridisegnare un corpo immaginario quale tributo alla sua vera vita: vorrei pervenisse a questo il potere simbolico dell'invenzione».44 La struttura complessa del romanzo, con il suo intreccio di finzione e materiale documentale, il decentramento della narrazione su vari "fronti", il gioco tra i livelli temporali e la presenza di enunciati metanarrativi, implica un'alta consapevolezza della posta in gioco implicita nell'elaborare la materia incandescente della storia e della memoria privata. L'atteggiamento verso il passato mira non solo a riportare alla luce le storie sommerse, ma anche a far sconfinare lo sguardo osservante al di là del proprio recinto nazionale, inserendo la propria storia collettiva in una storia dai contorni più estesi, nella quale vicende private e lotte collettive sono brani di una stessa partitura. Hainsworth ricorda che l'arte tradizionale, in quanto arte collettiva, possedeva una funzione sociale: «In termini molto generali, una comunità vede riflessa nella poesia eroica una immagine di sé che le è cara e da cui trae coraggio. Il coraggio ha ovunque la stessa matrice, ma è più naturale ammirare i propri antenati, i propri amici e se stessi, piuttosto che qualche modello di virtù lontano ed estraneo».45 Analogamente, l'eroe di un romanzo può avere un portato di immaginario che travalica la sua identità individuale. La sua immagine può accogliere e ristorare un numero infinito di lettori-protagonisti di vicende analoghe o contigue per identità, luoghi e tempi. Le vicende di Samuel Steinwurzel sono emblematiche dei tortuosi percorsi del displacement ebraico durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, a partire dagli stermini di massa e deportazioni nei campi che ebbero luogo nei territori del cosiddetto "Occidente Sovietico".46 «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> «Samuel Steinwurzel è quel che un numero infinito di ebrei polacchi hanno rimpianto per tutta la vita non essere stati. Non dovrà mai rimproverarsi di averla scampata fuggendo sotto falsa identità [...] O aver avuto l'immeritatissima fortuna di sopravvivere da schiavi, meno che schiavi, involucri di pelle e ossa obbedienti alle norme del ghetto e alla legge del lager. Per cui rimane questo tarlo, il tarlo della loro impotenza, della loro umiliazione come uomini [...]».47 Come è stato rilevato altrove,48 l'utilizzo delle caratteristiche dell'epica per far riemergere la memoria di eventi storici traumatici è una delle caratteristiche riscontrate nella nebulosa del NIE. In questo caso, le vicende di Emilio Steinwurzel fanno riemergere di pari passo tante altre storie di lotta dimenticate dalla Tradizione: le rivolte nei ghetti polacchi, i gruppi di resistenza armata a Leopoli, le formazioni di partigiani ebrei nei boschi di Galizia, Bielorussia e Lituania. La sua storia privata si intreccia, nel filo delle analogie, a quella più pubblica di Israel Gutman 49, anch'egli attivo nella resistenza perfino a Birkenau e confluito nella Jewish Brigade dopo essere scampato al campo di concentramento di Mathausen. Al tempo stesso, nonostante il suo passato eroico, Emilio Steinwurzel non ha mai voluto raccontare nulla della sua vita, così come il padre della narratrice ha preferito raccontare una storia diversa. Perché non volle mai raccontare una storia che poteva essere invece fonte di ossigeno per la memoria collettiva di un gruppo sociale così tanto bersagliato dalla storia? La risposta a cui giunge la narratrice parte dal senso di colpa e insensatezza inevitabile in ogni sopravvissuto: non basta aver partecipato a una guerra di liberazione e aver reagito contro l'oppressione e la violenza storica per cancellare l'orrore della guerra. Tuttavia, la "piccola epopea", probabilmente fonte di sofferenza per l'eroe che l'aveva vissuta, veniva considerata preziosa da altri, come il padre della narratrice. Perché la lotta armata pone «un argine alla percezione di non aver vissuto altro «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> che orrore» e, all'interno di questo orizzonte, è possibile andare oltre l'orrore con gesti di solidarietà e di aiuto che si imprimono nella memoria. «Perché mio padre quella storia la invidiava. Perché mio padre, con gli altri suoi amici italiani che erano stati in Jugoslavia o addirittura in Val d'Ossola con i partigiani, aveva raccontato che anche lui era stato da qualche parte nei boschi, con i russi o i polacchi a combattere contro i nazisti. Però non era vero. L'ho scoperto per caso un giorno, dopo che era già morto, come ho scoperto poco prima del suo funerale che era falsa tutta la sua identità: nome e cognome, data di nascita corrispondente a quella in cui avevamo sempre festeggiato il suo compleanno».50 Ritorna in questi brani il tema della menzogna, legato a doppia mandata al tema del desiderio, delle possibilità esistenziali che sfrondate dall'inesorabilità del divenire storico si riducono a delle scelte che non sono vere scelte, e che spesso sono compiute per amore di persone care, come nel caso del padre. Resta tuttavia la verità dell'invenzione, del what if, di quello che sarebbe stato possibile, di un'altra parte di noi che avrebbe potuto manifestarsi in circostanze diverse. Quel desiderio che ci fa amare persone con una storia diversa dalla nostra perché riconosciamo in loro un'essenza che comprendiamo, ammiriamo e che avrebbe potuto anche, in circostanze diverse, fare parte di noi. «Milek o Emilio era quel che mio padre avrebbe voluto essere, il suo doppio immaginario a cui tutto questo libro è dedicato. Ma è strano che sia arrivata in fondo per capire che mio padre avrebbe potuto compiere un'altra scelta».51 Così le fotografie di Emilio Steinwurzel e del padre si fondono in un'unica immagine che contiene il vissuto di coloro che hanno scelto di sopportare in solitudine il peso del passato, avvolgendolo con il silenzio o con la verità di una storia inventata. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> «Credo di aver fatto bene a non chiedergli mai niente, e so che farò sempre di tutto per non dire mai niente di come è riuscito veramente a salvarsi e alla fine diventare quel padre che ho amato e che amo per tutto quel che è stato, così come pure per tutto quel che avrebbe voluto essere».52 VI. Conclusioni aperte I protagonisti del romanzo, nel loro convergere verso l'abbazia di Montecassino, sembrano far propria un'idea di memoria che aderisce a quello che Terdiman chiama Making Present e che si basa su due importanti corollari: la memoria come fenomeno contemporaneo, qualcosa che riguarda il passato ma avviene nel presente, e la memoria come forma di lavoro (Working through) e azione. Questo processo riguarda tanto il personaggio finzionale di Rapata quanto l'io-testimone di seconda generazione della narratrice, entrambi posti di fronte alle responsabilità dell'eredità del passato. La relazione con il passato, che determina in larga parte la nostra identità nel presente, non si svolge lungo una linea retta, bensì attraverso un percorso a spirale, fatto di avanzamenti e momenti di arresto. La problematicità della memoria della figura paterna era già emersa in un precedente libro di Helena Janeczek, Cibo, nel quale è scritto «non mi sarei aspettata, rispetto a questo avvenimento, tanti vuoti, lacune, cedimenti e ottusità della memoria».53 Marianne Hirsch chiama Postmemory la relazione dei bambini agli eventi traumatici sperimentati dai genitori. Si tratta di una relazione che si riverbera nei testi, come nel caso dell'autrice, sia per Lezioni di tenebra, pervaso dal lacerante rapporto con la memoria della Shoah trasmessa per via materna,54 sia per Le Rondini di Montecassino, dominato dalla domanda «Che cosa resta del padre»? «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> «And yet postmemory is not a movement, method or idea; I see it, rather as a structure of inter- and trans-generational transmission of traumatical knowledge and experience. It is a consequence of a traumatic recall but (unlike post-traumatic stress disorder) at a generational remove».55 A sua volta, il carattere differito e mediato della postmemoria instaura dei punti di ingresso per la confluenza multidirezionale di altri immaginari storici. Il prestare attenzione alle dinamiche che coinvolgono posti e tempi diversi nella storia, incarnati in una politica della memoria, genera momenti di solidarietà nei quali la memoria storica serve come mezzo per la creazione di identità politiche e comuni. Il romanzo illustra come la condivisione di storie, di percorsi dimenticati di guerra e segnati da esperienze comuni di fame e freddo, crea i presupposti per nuove forme di collettività, che vanno oltre la cornice tramandata della tradizione degli Alleati e superano i confini della storia nazionale. Il legame tra l'esperienza individuale vissuta e incarnata e la memoria collettiva riflessa nei processi di memorializzazione interseca la rappresentazione e la percezione delle identità. I confini della memoria seguono parallelamente i confini dell'identità di gruppo, ma la memoria individuale e collettiva di un dato gruppo può ricondurre alle esperienze di altri gruppi. Cosa significa porre delle storie a contatto in un sito della memoria? L'abbazia di Montecassino diventa una proprietà comune, una risorsa pubblica per una riflessione che oltrepassa le diverse appartenenze nazionali e che crea delle possibilità di alleanza e solidarietà tra i vari gruppi. Ad esempio, quando Rapata si ritrova di fronte al sacrario militare, lo colpisce il numero ridotto di tombe riservate alla divisione indiana in confronto alla prevalenza dei nativi britannici. Questa osservazione nasce dal ricordo dei racconti del nonno sulla cospicua presenza dei battaglioni indiani mandati all'Abbazia e dei Gurkha senza gambe. Ripensare la relazione tra memoria e identità significa affrontare la questione della «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> distribuzione del riconoscimento: oltre a che cosa viene riconosciuto, la domanda deve volgere anche su "chi" deve essere riconosciuto dalla storia e dalla cultura, poiché senza rappresentazione non vi è riconoscimento. In un caso come questo, seppur rappresentato dalla verità della finzione romanzesca, la memoria privata di Rapata non solo entra in collisione con quella ufficiale, ma serve a riportare alla luce memorie altrui, seguendo una logica, come già detto in precedenza, multidirezionale e non competitiva. La testimonianza e il riconoscimento delle memorie dei dimenticati, anziché chiudere lo spazio residuo lasciato vacante dalla memoria ufficiale, illumina l'emergere di altre memorie intrecciate alla matassa della Storia. Analogamente, lo spazio della letteratura può offrire ospitalità alle storie degli altri. Ed è verso questo orizzonte che guarda Le rondini di Montecassino, con la sua «collezione di piccole epopee» ottenuta con l'incastro di materiale documentale, testimonianze, autobiografia e finzione. La forte componente metanarrativa, la tensione verso la storia come desiderio situato di ricostruzione dei coni d'ombra e il respiro epico come strategia di superamento del trauma proiettano il romanzo nell'orbita del NIE e, su scala più allargata, del romanzo metastorico contemporaneo.56 La forma del mosaico, sfaccettata nel gioco costante tra un presente e un passato plurali, dislocati geograficamente a seconda del punto di vista, rimanda al Working through della memoria multidirezionale, le cui pratiche di valorizzazione delle contiguità e similitudini delle lotte generano empatia storica. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> VII. Bibliografia Anders, Wladyslaw - An Army in Exile, Macmillan, London, 1949; trad. it. Un'armata in esilio, Bologna, Cappelli, 1950. Bachtin, Michail - L'autore e l'eroe. Teoria letteraria e scienze umane, Torino, Einaudi, 1988. Id., Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979. 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Sulla battaglia di Montecassino si veda M. Parker, Montecassino 15 gennaio - 18 maggio 1944. Storia e uomini di una grande battaglia, Milano, Il Saggiatore, 2003. 3 Il generale Anders fu a capo dei soldati del II Corpo d'Armata polacco, i primi a sfondare le linee tedesche nella Quarta battaglia di Montecassino. La maggior parte di quei soldati sbarcò in Italia dopo essere stati liberati dai campi staliniani e aver transitato per il Medio Oriente. Dopo la guerra, con l'occupazione Sovietica della Polonia, Anders si stabilì a Londra dove fu membro del Governo polacco in esilio. Gran parte di loro non tornò in una patria che non esisteva più. 4 Sul legame tra la prosa epica e la dimensione eccezionale di un evento, riporto un passo di C.M. Bowra tratto da From Virgil to Milton: «Un poema epico si definisce, per comune consenso, come opera narrativa di una certa lunghezza che ha per argomento fatti di una qualche grandiosità e importanza ispirati ad esempi di vita d'azione, specialmente d'azione violenta come la guerra. Procura un piacere speciale perché gli eventi e le figure che vi sono rappresentate accrescono la nostra fede nel valore delle imprese umane, nella dignità e nella nobiltà dell'uomo», cit. in J. B. Hainsworth, Epica, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p.2. Fermo restando che in questa sede non si discute di poema epico ma di romanzo storico contemporaneo, il termine "epico" va inteso come accezione tonale e non genere narrativo. Sull'analisi del rapporto tra romanzo e racconto «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> dell'"eccezionale" quale può essere il racconto della Seconda Guerra Mondiale, ma in una chiave rivolta a ricavare i tratti essenziali del realismo, si vedano le riflessioni di A. Casadei in Il romanzo del secondo Novecento e i problemi del realismo, in A. Casadei (a cura di), Spazi e confini del romanzo. Narrative tra Novecento e Duemila, Bologna, Pendragon, 2002, p. 242. 5 Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009. 6 Wu Ming 2, Il dibattito sul New Italian Epic: ricapitoliamo?, in «Carmilla», 16/06/2009, <http://www.carmillaonline.com/archives/2009/06/003085.html#003085> 7 Per una sintesi teorica e del dibattito cfr. Wu Ming 2 , cit. 8 Wu Ming 1, New Italian Epic 3.0. Memorandum 1993-2008, in Wu Ming (a cura di), New Italian Epic, Torino, Einaudi, 2009, p. 12. 9 Ibidem, p. 14. 10 «L'interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente». M. Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979, p. 230. 11 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 12. 12 Ibidem. 13 Corsivo mio. 14 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 14. 15 Ivi, p. 15. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> 16 Ibid. 17 Per nominare alcune importanti tendenze, penso alla microstoria (Carlo Ginzburg, Giovanni Levi), alla storia dal basso (Jim Sharpe), alla storia delle donne (Joan Scott) e d'oltremare (Henk Wesseling). Per un'autorevole rassegna in materia si veda P. Burke, La storiografia contemporanea, Bari-Roma, Laterza, 2007. 18 «Nell'aprile del 1945 gli Alleati definiscono displaced persons (DPs) "tutti i civili che si trovano fuori dai confini del proprio paese per motivi legati alla guerra"», Silvia Salvatici, Le "displaced persons", un nuovo soggetto collettivo, in G. Crainz, R. Pupo, S. Selvatici (a cura di), Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d'Europa , Roma, Donzelli, 2008, p. 94. 19 Nell'uso della parola «eroe» mi riferisco alla caratterizzazione di Christopher Vogler nel suo libro Il viaggio dell'eroe, Roma, Dino Audino, 1999. Qui l'autore, partendo dalla critica mossa al viaggio dell'eroe come manifestazione della cultura maschile violenta dominante, puntualizza che malgrado la prevalenza di guerrieri tra gli eroi leggendari e storici, e la frequente strumentalizzazione del viaggio dell'eroe per scopi di propaganda e reclutamento, il guerriero è solo una delle facce dell'eroe, che può essere anche pacifista, madre, pellegrino, vagabondo, ribelle, tragico, codardo ecc. (p. 11). Nel contesto della narrazione presa in esame, la dimensione del viaggio, declinata in chiave contemporanea, si confà particolarmente agli eroi del racconto, che giungono sul fronte bellico da luoghi lontani che vanno dal Texas alla Nuova Zelanda senza dimenticare la Siberia, seguendo rotte talvolta volontarie talvolta determinate dalla necessità di fuga dalla deportazione o dall'annientamento. A questa accezione si aggiunge quella più inerente al campo dell'estetica di Michail Bachtin, dove l'autore e l'eroe sono poli di «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> una relazione di tensione, caratterizzata dall'extralocalità dell'autore «rispetto a tutti i momenti dell'eroe, extralocalità di spazio, tempo, valore e senso, che permette di raccogliere tutto l'eroe». Questo vale anche quando «l'eroe nella vita coincide con l'autore, cioè quando esso è sostanzialmente autobiografico», caso nel quale l'autore «deve situarsi fuori di sé e diventare altro rispetto a se stesso» (M. Bachtin, L'autore e l'eroe, Torino, Einaudi, 1988, p.14). 20 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p.15. 21 M. Rothberg, Multidirectional Memory. Remembering the Holocaust in the Age of Decolonization, Stanford University Press, 2009, p. 3. Rotberg nel suo libro, muovendo da un articolo del critico letterario Walter Benn Michaels sulle dinamiche del rapporto tra la memoria collettiva della Shoah e la memoria della schiavitù dei neri in America, affronta la questione del come articolare la relazione tra le memorie dei diversi gruppi sociali oggetto di violenza storica. Lo studioso sviluppa il discorso e argomenta come l'emergere della memoria dell'Olocausto su scala globale abbia contributo all'articolazione di altre storie, come la schiavitù dei neri d'America, la Guerra di indipendenza dell'Algeria (1954-62) o il genocidio in Bosnia negli anni Novanta. Contro un frame diffuso che comprende la memoria collettiva come memoria competitiva, all'interno della quale le diverse memorie lottano per la preminenza, in un articolazione del passato che ripropone la divisione tra vincitori e vinti, Rotbergh propone di considerare la memoria come multidirezionale, soggetta a negoziazioni in corso, riferimenti incrociati e prestiti. 22 Pākehā è una parola della lingua maori che indica i cittadini neozelandesi di sangue non maori, per maggiore parte di origine britannica, ma anche irlandesi, olandesi, tedeschi ed europei in generale. 23 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 41. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> 24 Ibid. 25 Ivi, p. 42. 26 Cfr. il capitolo «Le rondini e l'abbazia», pp. 248-274. 27 A capo del nuovo corpo d'armata neozelandese. 28 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 59. 29 Sull'uso del termine, si veda il capitolo "Sguardo obliquo. Azzardo del punto di vista" in New Italian Epic di Wu Ming 1: «Nel corpus del New Italian Epic si riscontra un'intensa esplorazione di punti di vista inattesi e inconsueti, compresi quelli di animali, oggetti, luoghi e addirittura flussi immateriali. [...] Lo spostamento del punto di vista rende l'epica "eccentrica", in senso letterale». Wu Ming 1, New Italian Epic, cit., pp. 2631. 30 «Il compito forse più duro di tutti sarebbe stato assolto dai corpi polacchi, al comando del generale di Corpo d'Armata Wladyslaw Anders. La 3ª divisione dei fucilieri dei Carpazi e la 5ª divisione di fanteria Kresowa, sostenute dalla 2ª brigata corazzata polacca avrebbero dovuto isolare il monastero assumendo il controllo delle alture adiacenti e poi spingersi nella Valle del Liri per entrare in contatto con il XIII Corpo d'armata britannico in avanzata». Matthew Parker, Montecassino 15 gennaio - 18 maggio 1944. Storia e uomini di una grande battaglia , Milano, Il Saggiatore, 2003, p. 331. 31 E. Jünger, Le tempeste di acciaio, Parma, Guanda, 1990, p. 264. 32 Ivi, p. 7. 33 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 323. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> 34 Ibid. 35 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 334. 36 Ivi, p 277. 37 Ivi, p. 280. 38 Ivi, pp. 281-282. 39 Nel suo libro Lezioni di tenebra (Parma, Guanda, 1997) Helena Janeczek narra il "viaggio della memoria", intrapreso insieme alla madre sopravvissuta ad Auschwitz, che la portò in Polonia alla ricerca delle sue origini e a visitare il campo di concentramento. 40 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 283. 41 Ivi, p. 288. 42 Ibid., p. 289. 43 Fuciliere di prima classe del 15º battaglione e sepolto nel cimitero antistante l'Abbazia. 44 Ibid., p. 343. 45 H.J. Hainsworth, Epica, cit., p. 9. 46 Cfr. A. Ferrara, Il displacement degli ebrei nell'Occidente Sovietico, in G. Crainz, R. Pupo, S. Selvatici (a cura di), Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d'Europa, cit. 47 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., pp. 308-309. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> 48 Cfr. C. Boscolo, The Idea od Epic, in C. Boscolo (a cura di), Overcoming Postmodernism: the debate on New Italian Epic, «Journal of Romance Studies», Vol. 10, N.1 (spring 2010), p. 21. 49 Storico, direttore del centro di ricerca di Yad Vashem e curatore dell'Enciclopedia dell'Olocausto, consulente del governo polacco per le questioni ebraiche. 50 H. Janeczek, Le rondini di Montecassino, cit., p. 361. 51 Ibid. 52 Ivi, p. 362. 53 H. Janeczek, Cibo, Milano, Mondadori, 2002, p. 214. 54 «Io, già da un pezzo, vorrei sapere un’altra cosa. Vorrei sapere se è possibile trasmettere conoscenze e esperienze non con il latte materno, ma ancora prima, attraverso le acque della placenta o non so come, perché il latte di mia madre non l’ho avuto e ho invece una fame atavica, una fame da morti di fame, che lei non ha più». H. Janeczeck, Lezioni di tenebra, cit., p. 10. 55 M. Hirsch, The Generation of Postmemory, in «Poetics Today» 29, N.1 (spring 2008), p.106. 56 Su questo duplice orizzonte di appartenenza si veda di C. Boscolo The Idea of Epic and New Italian Epic e di chi scrive Metahistory, Microhistories and Mythopoeia in Wu Ming, in C. Boscolo (a cura di), Overcoming Postmodernism: the debate on New Italian Epic, cit. «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/> Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2011-2012 <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/Piga.html> Giugno-dicembre 2012, n. 1-2 Questo articolo può essere citato così: E. Piga, Epica, storia e memoria. «Le Rondini di Montecassino» di Helena Janeczek, in «Bollettino '900», 2012, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2012-i/Piga.html>.