I 400 colpi François Truffaut
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I 400 colpi François Truffaut
I 400 colpi François Truffaut scheda La prima scena del film è ambientata in un aula scolastica, attraverso la punizione di Antoine, Truffaut denuncia sin dall’inizio i limiti di un istituzione che piuttosto che facilitare l’adattamento dei bambini alla realtà sociale ne boccia l’intraprendenza in favore dell’omologazione e della subordinazione. È infatti l’iniziativa di Antoine, colpevole non meno dei compagni, a procurargli la “messa al muro” sul quale comporrà uno sgangherato proposito di vendetta che sarà la prima causa delle sue disavventure. La scrittura gioca un ruolo fondamentale nel percorso di caduta di Antoine, ogni volta che egli prende in mano una penna infatti, va incontro ad un disastro, come dimostra anche l’episodio del tema di francese per il quale sarà accusato di plagio; in questo contesto l’assurda decisione di rubare una macchina da scrivere ha un suo fondamento logico. Attraverso l’espressione scritta Antoine vorrebbe affermare la propria identità ma questa forma di comunicazione e di creatività gli è interdetta sin dall’inizio. La vitalità di Antoine è dimostrata anche da un’altra attività: il furto. Citato per la prima volta all’uscita della scuola quando Antoine e René chiedono a Moricet a chi abbia rubato i soldi per comprare i suoi occhiali viene in seguito costantemente praticato dai due ragazzi che vedremo in diverse occasioni impegnati nei furti di penne, sveglie, foto, soldi dei genitori e della più volte citata Guida Michelin. Questa attività sarà espressione del bisogno latente di affetto ed amore materno. La seconda sequenza ambientata all’interno dell’appartamento deserto dei genitori ci rivela l’origine dei problemi di Antoine, egli infatti dapprima apre la stufa lasciando uscire alte fiamme all’interno della stanza, dopo asciuga le sue mani sulle tende sporcandole e infine ruba dei soldi. Dopo queste manifestazioni di violenza, la scena che segue esprime la nostalgia per l’assenza della madre, egli infatti ne odora i profumi e gioca con gli “strani” attrezzi da lei usati per farsi bella. All’interno della camera da letto tre specchi riflettono l’immagine del bambino per dimostrare il fatto che Antoine desidera essere visto, essere preso in considerazione, ma gli sguardi per lui saranno sempre ostili e gli frutteranno solo schiaffi e punizioni. Quando la signora Doinel rientrerà in casa infatti, non dedicherà nemmeno uno sguardo al figlio ma esibirà le sue gambe e poi si soffermerà sulla propria immagine riflessa sullo specchio. Oltre all’opposizione binaria Antoine / mondo adulto, un altro conflitto percorre l’intera messa in scena de “i 400 colpi”: si tratta del contrasto fra gli interni, filmati prevalentemente in piani ravvicinati e statici, e gli esterni, nei quali dominano campi lunghi e movimenti di macchina. Un esempio del primo caso si può facilmente rintracciare nella sequenza in cui la madre di Antoine, dopo avergli fatto il bagno, gli propone un patto: ciascuno ha i suoi piccoli segreti, e se Antoine non rivelerà il suo (Antoine aveva in precedenza sorpreso per la strada la madre in compagnia dell’amante) e otterrà un buon voto nel compito di francese, avrà in premio del denaro. Si tratta di una sequenza carica di tensione, che Truffaut organizza attraverso una rigorosa alternanza di campi e controcampi ravvicinati che enfatizzano la tensione del momento e la reciproca diffidenza. Madre e figlio sono vicini, ma divisi: così la scelta di messa in scena diviene il corrispettivo visivo dello stato psicologico dei personaggi e del loro rapporto. Questa scelta di messa in scena sottilmente claustrofobica è tanto più significativa quanto più vivo è il contrasto con la sequenza immediatamente seguente, nella quale vediamo Antoine e i suoi compagni di scuola sottrarsi uno dopo l’altro alla guida dell’insegnante di ginnastica. Il punto di vista in questo caso è del tutto inatteso: la gag è proposta con un’inquadratura dall’alto. Si tratta di una scelta espressiva che stabilisce un rapporto di forte contrapposizione con la sequenza che la precede immediatamente: se al chiuso Antoine e i suoi coetanei sono costretti a subire le pressioni dell’autorità parentale, all’aperto se ne fanno allegramente beffe. La sequenza nella quale Truffaut esplicita il suo personale rapporto con il giovanissimo protagonista è certamente quella in cui Antoine viene condotto in riformatorio su un furgoncino della polizia. Questa si apre con una soggettiva di Antoine attraverso le sbarre del cellulare e prosegue alternando tre lunghe inquadrature oggettive di Antoine in primo piano a due inquadrature nelle quali la macchina da presa è collocata alle spalle di Antoine, proponendo un punto di vista analogo, ma non coincidente, con quello della soggettiva di apertura. È in queste due inquadrature semisoggettive che percepiamo con forza una presenza dietro e accanto ad Antoine: è la presenza di Truffaut, angelo custode e osservatore partecipe. L’importanza della sequenza è indubbia: essa segna il traumatico distacco di Antoine da Parigi, e non a caso è l’unica occasione nella quale vediamo Antoine piangere. Il dramma del distacco si consuma infatti in quelle stesse strade che lo avevano accolto nel suo vagabondare solitario. Significativa a questo proposito la contrapposizione tra la scena in cui Antoine aiuta una donna in cerca del suo cane e la soggettiva dall’interno del cellulare della polizia, durante la quale si vede un’auto con all’interno un cane. Il destino di Antoine è quello del recluso, ben lontano da quella libertà che sembrava aver trovato nelle sue peregrinazioni notturne per Parigi: la contrapposizione tra libertà e prigionia trova nell’alternanza di campi e controcampi il suo corrispondente formale. Sarà l’incontro con la psicologa del riformatorio a segnare la conclusione del film: Antoine fugge durante una partita di calcio (“non gli piace lo sport, preferisce rinchiudersi nei cinema a rovinarsi gli occhi…”) e, dopo una lunga corsa, raggiunge la spiaggia. Nell’immaginazione di Antoine il mare, precedentemente evocato nel corso del film, rappresenta lo spazio utopico della libertà, ma non solo: l’oceano rappresenta una meta misteriosa e simbolica, metafora del desiderio di affrancarsi dal peso di un’esistenza infelice, è l’oggetto di un desiderio indefinito e sconosciuto. Il ritmo dato alla sequenza in fase di montaggio (sei stacchi in cinque minuti) offre allo spettatore la possibilità di correre accanto ad Antoine, di leggere sul suo volto prima la stanchezza, poi la rabbia, la disperazione, infine lo sconcerto. Le lunghe carrellate che propongono la corsa di Antoine verso la battigia esaltano la tensione al movimento e alla libertà del protagonista, mettendolo in rapporto con il paesaggio. La sequenza potrebbe essere collocata all’interno di quella dialettica chiuso/aperto o prigionia/libertà che abbiamo individuato come operante in tutto l’arco del film se a questa sensazione di libertà e movimento non si contrapponesse in questo caso un commento musicale malinconico, che dà alla corsa di Antoine una valenza diversa da quella di altre sequenze in esterni. La sequenza, infatti, non prelude a un definitivo affrancamento di Antoine: giunto in prossimità del mare e attraversata sempre più lentamente, quasi con incertezza, la spiaggia, Antoine si bagna i piedi per poi indietreggiare. La macchina da presa inquadra Antoine ormai fermo e si avvicina a riprenderlo in primo piano. E "sul primo piano perplesso e raggelato del ragazzo l’immagine si arresta, fissando in un lungo frame stop il suo sguardo disperato, che invade lo schermo per interrogare gli spettatori. Il film si conclude, l’avventura ideale di Antoine no".