La Struttura dell`Interazione.
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La Struttura dell`Interazione.
CARATTERISTICHE DELL’ANALISI STRUTTURALE DEL COMPORTAMENTO COMUNICATIVO UMANO1 Adam Kendon Versione Italiana di Maria Graziano Original Title: “Features of the structural analysis of human communicational behavior.” Published in 1980 in Aspects of Nonverbal Communication a cura di Walburga von Raffler Engel. Lisse, Holland: Swets and Zeitlinger B.V., pp. 29-43 Se si guardano le persone negli spazi fisici in cui si trovano, si osserverà che non sono distribuite in quegli spazi in modo casuale. Si possono vedere degli insiemi di persone o dei gruppi di varie dimensioni e forme o si può vedere che, quando le persone si muovono, si può scoprire un ordine nel modo in cui lo fanno. Questo è ovvio quando le persone marciano o sfilano in parata o danzano ma c’è un ordine anche nel modo in cui le persone si muovono l’una in relazione all’altra sui marciapiedi affollati o nei parchi. Quando guardiamo i gruppi o gli insiemi di persone, molto spesso riusciamo a dire cosa stanno facendo le persone dal modo in cui sono disposte nello spazio, l’una in relazione all’altra. Una conversazione informale tra poche persone, che tende ad avere una forma circolare, è diversa da un gruppo di gente a cui si rivolge una sola persona – il gruppo si dispone in modo che tutte le persone si trovino di fronte a colui che si sta rivolgendo a loro. La spaziatura e l’orientazione di una coppia di innamorati sono molto diverse da quelle di due persone che conversano. Ma ovviamente non facciamo affidamento solo sulla spaziatura e sull’orientazione. Possiamo anche vedere che, sebbene le persone possano assumere varie posture, ne possiamo osservare solo una limitata gamma e possiamo anche vedere che i diversi tipi di raggruppamento differiscono proprio per i diversi tipi di posture. Le persone in gruppo che si rilassano su un prato possono mostrare una gran varietà di posture e possono orientarsi l’una rispetto all’altra in svariati modi. Se condividono un punto focale d’attenzione comune, come una conversazione, spesso vediamo una maggiore uniformità nella postura. Poi ci sono le azioni che compiono. 1 Articolo preparato per una conferenza interdisciplinare sui Metodi dell’Analisi Strutturale, 24-26 aprile, 1972, Dipartimento di Sociologia, Università della Carolina del Nord, Chapel Hill, N. C. 1 Possiamo osservare che i partecipanti producono dei rumori con la bocca o muovono le braccia e la testa in modi complicati, guardando le loro facce vedremo una varietà di ciò che chiamiamo “espressioni facciali”. Ma i rumori sono sistematicamente organizzati – li chiamiamo “conversazione” o “discorso”. Anche i movimenti sono strutturati. E lo stesso vale per le “espressioni facciali”. In breve, ci accorgiamo che il comportamento delle persone nei raggruppamenti è modellato o strutturato in modo complesso ed inoltre il comportamento che osserviamo in un individuo è collegato ai comportamenti degli altri. Nelle conversazioni, le persone parlano a turno. Negli incontri di boxe c’è una relazione tra le finte e i colpi dell’uno e le finte e i colpi dell’altro. Alla fine di un discorso pronunciato al termine di un ricevimento, gli ospiti applaudono. Quindi, esiste un ordine nel modo in cui le persone si comportano e vi è un ordine nel modo in cui il loro comportamento è collegato a quello degli altri. L’essere co-presente è, dunque, strutturato. Per qualche ragione il modo in cui l’essere co-presente è strutturato ha cominciato a diventare oggetto di studio sistematico solo pochi anni fa.2 Come Ervin Goffman ha affermato: “le pratiche dell’interazione sono state utilizzate per chiarire altre cose, ma sono state trattate come se non ci fosse bisogno di definirle o valga la pena di farlo” (Goffman, 1971: ix; trad. it., 1981, p. 3). In questo capitolo voglio mettere in evidenza, dal mio personale punto di vista, alcune caratteristiche di questo tipo di studio, sia le sue basi teoriche che le sue pratiche metodologiche. Lo farò usando un esempio tratto dal mio stesso lavoro. Prima di arrivare a questo, comunque, bisogna indicare alcuni punti più generici. […] Se vogliamo spiegare i sistemi di comportamento che costituiscono l’ordine delle co-presenze, dobbiamo cercare di prendere in considerazione il maggior numero di aspetti del comportamento che è possibile osservare. Dobbiamo esaminare non solo gesto e parola, ma anche i modelli di sguardo, dobbiamo considerare anche le posture che gli individui assumono, come si dispongono nello spazio, sia l’uno in relazione all’altro che in relazione alla struttura dell’ambiente circostante; potremmo anche dover considerare il loro aspetto fisico e gli abiti che indossano. 2 Le pubblicazioni in questo campo appaiono a ritmo incalzante. Si veda Sebeok, Hayes e Bateson (1964), Goffman (1963, 1971), Vine (1970), Gumperz e Hymes (1972), Hinde (1972) e Von Cranach e Vine (1972) per un’introduzione rappresentativa alla letteratura. 2 Considerate, per un momento, un cliente che prende una tazza di caffè al bancone di un “coffee shop”3. Dice alla cameriera “caffè” e la cameriera prende una tazza di caffè e la mette davanti a lui. L’enunciato “caffè”, tuttavia, è solo un mediatore parziale di questa transazione. L’enunciato “caffè” è stato pronunciato solo dopo che la cameriera è arrivata di fronte al cliente con la penna e il blocchetto per le ordinazioni. Quando si è avvicinata, ha orientato la faccia verso il cliente, ha piegato la testa leggermente all’indietro, ha alzato le sopracciglia e ha dischiuso leggermente le labbra. Così la cameriera, avvicinandosi al cliente in questo modo, e fermandosi davanti a lui, ha definito il momento in cui lui poteva dire “caffè”. La sua azione ha definito una casella nell’interazione in cui era compito del cliente specificare cosa volesse. Talvolta le cameriere vanno verso i clienti, ma quando arrivano molto vicino si sporgono, portano via i piatti sporchi e puliscono il bancone; così facendo non definiscono la casella in cui il cliente può fare la sua ordinazione. Tuttavia, in questo caso, si deve notare che la cameriera si è accostata e si è rivolta al cliente dopo che il cliente si è seduto su uno sgabello rivolto verso il bancone, ha poggiato i gomiti sul bancone con le guance tra le mani, ha girato la testa verso la cameriera con lo sguardo rivolto verso di lei e le sopracciglia leggermente sollevate. Così dove si è collocato - su uno sgabello del bancone - e come si è orientato - rivolto verso il bancone serve a definirlo come cliente. Cioè, serve a definirlo come qualcuno da cui ci si può aspettare un’ordinazione, qualora qualcuno che sta dall’altro lato del bancone gli si avvicini o gli si rivolga in un certo modo. Si vedrà da questo esempio come l’ordine che possiamo osservare nelle transazioni cliente-cameriera può essere compreso pienamente solo se prendiamo in considerazione non solamente i gesti e le parole che possono essere usati, ma anche il modo in cui le persone si collocano, il modo in cui si orientano in quelle posizioni e la postura che assumono. Questo esempio è istruttivo anche in un altro modo. Si noterà come, di regola nelle transazioni cliente-cameriera, il cliente fa la sua ordinazione in un contesto specifico, generalmente molto simile a quello che ho descritto qui – il cliente seduto sullo sgabello rivolto verso il bancone, la cameriera vicino a lui, il volto orientato verso di lui, con la testa all’indietro, le sopracciglia sollevate e così via. In altre parole, possiamo notare come l’azione (in questo caso) verbale del cliente - “caffè” - è pronunciata in una specifica casella, che è stabilita solo dopo che la cameriera gli si è avvicinata in un certo modo. Similmente il cliente, 3 Il “coffee shop” è un tipico locale pubblico americano dove le persone possono sedersi al bancone e bere caffè oppure mangiare un toast o un gelato o un pezzo di torta. 3 sedendosi sullo sgabello al bancone, ha creato la casella per la mossa della cameriera. Si vedrà, dunque, che la transazione può essere analizzata in termini di una successione di caselle, contesti specifici da riempire con alcune unità di comportamento, la cui funzione è creare le condizioni per la casella successiva. Tuttavia, queste sequenze di caselle sono organizzate, e spesso si trovano in quello che possiamo chiamare un programma.4 Cioè, nel caso del cliente-cameriera che abbiamo considerato qui, una volta che il cliente fa la prima mossa – entrare e sedersi sullo sgabello, ponendosi così come cliente - ha stabilito le condizioni per il programma clientecameriera, che includerà sia quei momenti a cui mi sono riferito, come fare un’ordinazione, richiedere altro cibo, ricevere il conto e pagarlo, sia una specificazione circa l’ordine in cui queste caselle possono susseguirsi, ed anche una specificazione sul modo in cui queste caselle possono essere stabilite. Per esempio, c’è un limitato numero di modi in cui il cliente può fare la sua ordinazione nella casella a ciò dedicato. Ci sono, ovviamente, molte altre cose che potrebbe fare in questa casella, ma non farebbero parte del programma e rovinerebbero l’intera intelaiatura. Per esempio, se quando la cameriera si avvicina, il cliente, invece di dire “caffè”, le facesse una proposta o le puntasse una pistola e le chiedesse il denaro dalla cassa, si potrebbe legittimamente dire che sta interrompendo il programma. Il programma, in breve, non è solo una superficiale successione di fasi, è più come una serie di regole che determinano cosa può o non può accadere, in che ordine queste cose possono verificarsi e spesso quali unità del comportamento saranno considerate come elementi di riempimento per le caselle del programma. Nell’analisi del comportamento comunicativo, quindi, dobbiamo porre attenzione non solamente a tutte le cose che le persone fanno, ma anche alla struttura programmatica delle situazioni in cui le stanno facendo; se non è così, possiamo essere tratti in inganno sul significato delle unità del comportamento che possiamo osservare. Quindi se non sapessimo che l’enunciato “caffè” si trovava nella casella in cui si può fare un’ordinazione nella transazione cliente-cameriera, non saremmo mai in grado di dire cosa significava, quando l’abbiamo osservato. La parola “caffè”, ovviamente, ricorre abbastanza spesso in una gran varietà di caselle e il suo significato cambia di conseguenza. Per esempio, una volta che il cliente riceve la tazza di caffè, le regole del programma del cliente gli consentono di restare sullo 4 L’idea che gli eventi interazionali possano essere regolati da programmi e che non siano strutturati esclusivamente come sequenze di azione-reazione fu avanzata in modo esplicito per primo da Schelflen (1968, 1969). Un’idea molto simile era stata formulata un po’ prima da Pike (1967). 4 sgabello, davanti alla tazza di caffè, per un certo periodo di tempo, ma in quel periodo il cliente ha una serie di opzioni, a seconda delle circostanze. Se la cameriera non è impegnata, il cliente può attirare la sua attenzione e dirle “una tazza di caffè molto buona!” Qui “caffè” si trova in un tipo di casella molto diversa e svolge un ruolo comunicativo molto diverso. Esattamente la stessa considerazione si applicherà, ovviamente, agli elementi cinesici. L’insieme delle unità cinesiche osservate per la cameriera, cioè testa all’indietro-sopracciglia sollevate-labbra leggermente dischiuse, che qui facevano parte del modo in cui è costituita la casella in cui è possibile fare l’ordinazione, si possono osservare anche in circostanze molto diverse. Per esempio, le si può vedere, o qualcosa di molto simile, nelle persone che pongono delle domande durante le conversazioni, o quando le persone alzano gli occhi con uno sguardo indagatore guardando ciò che sta accadendo intorno a loro quando ne vogliono sapere di più. La funzione di quest’insieme di unità è diversa per ciascuna di queste caselle. Nello studiare la transazione cliente-cameriera, potremmo elencare tutti i diversi elementi del comportamento che sembrano funzionare nelle varie caselle nel programma. Alcuni di questi elementi saranno vocali e appartengono a ciò che può essere definito lo strumento linguistico. Alcuni saranno elementi del movimento strutturato del corpo, come testa all’indietro-sopracciglia alzate-labbra leggermente dischiuse a cui mi sono riferito parlando della cameriera. Questi elementi appartengono allo strumento cinesico. Altre caratteristiche, come gli abiti indossati dalla cameriera (spesso un’uniforme che svela la sua funzione all’interno del coffee shop), o quelli del cliente, potrebbero essere chiamati strumento dell’apparenza. Si può vedere, dunque, che molto del comportamento attinge dagli elementi che gli individui possono usare nell’interazione, e si può vedere che questi appartengono ad una serie di sistemi più o meno distinti. La lingua è altamente distinguibile e, ovviamente, è stata studiata per anni come sistema a sé. Più recentemente si è tentato di fare lo stesso per i movimenti del corpo – abbiamo così la cinesica; per lo spazio e l’orientazione – abbiamo così la prossemica; e per il tatto – abbiamo così la tattilica (tacesics).5 Da un certo punto di vista, dunque, possiamo vedere che lo studio del comportamento comunicativo si scompone in una serie di sotto-discipline, il cui interesse è centrato su uno di questi strumenti separabili. Sarà chiaro dall’esempio del cliente-cameriera, tuttavia, che gli 5 R. L. Birdwhistell diede origine al termine cinesica. Si veda Birdwhistell (1952, 1970). Prossemica fu introdotto da Hall (1965). Tattilica (tacesics) fu introdotto da Kaufman (1971). Quest’ultima area, lo studio del tatto, è chiamata forse più correttamente “haptics” (si veda Westcott, 1964). 5 strumenti distinguibili funzionano in modo interdipendente in una situazione interazionale reale. Così, mentre bisogna sapere quali sono gli elementi del linguaggio e bisogna sapere quali sono gli elementi della cinesica o degli altri sistemi, se vogliamo capire come funzionano, dobbiamo focalizzare la nostra attenzione su come essi ricorrono negli eventi interazionali. La strategia, allora, sarà quella di esaminare delle situazioni specifiche. Nel fare ciò, ovviamente, dovremo avere dei modi per distinguere le situazioni e dei modi per classificarle, al fine di fare delle affermazioni generiche. Il tipo di situazioni di cui mi sono occupato sono quelle che qui chiamerò “eventi interazionali”, di cui la transazione clientecameriera è un esempio. In un evento interazionale due o più persone sono impegnate insieme in uno scambio di atti comunicativamente specializzati, come gli enunciati o i gesti. Ci sono, ovviamente, svariati tipi di eventi interazionali, che sono molto diversi per il grado di complessità del modo in cui sono organizzati. Non intendo offrire qui nessuno schema per classificare gli eventi interazionali, tuttavia, ci sono due punti generici che vorrei evidenziare. Prima di tutto, gli eventi interazionali tendono ad avere confini definiti. Una conversazione, un saluto, una lezione, una funzione religiosa, una partita a carte, hanno tutti un punto d’inizio ed una fine definita. Uno dei modi in cui un osservatore esterno può riconoscere che un evento interazionale è terminato, è che questi eventi sembrano essere delimitati da un’alterazione della relativa posizione spaziale e dell’orientazione dei partecipanti. Così, ciascuna delle unità che ho appena menzionato si verifica in un certo luogo o sito. Lo possiamo chiamare “dominio”6 dell’evento. Una partita di carte si svolge intorno ad un tavolo, per esempio, ed una delle cose che bisogna fare per fare le cose che servono per essere un giocatore, normalmente, è sedersi al tavolo. Una volta che la partita è terminata, i giocatori si alzano e sebbene essi restino insieme per un’ulteriore interazione, questa avrà luogo in una zona diversa della stanza, o in un’altra stanza. Sappiamo che la lezione sta per cominciare perché l’uditorio si è riunito in un certo posto e in un certo modo. Sappiamo che la lezione è finita perché i partecipanti lasciano la stanza in cui si è svolta. Quando le persone conversano, bisogna notare che lo fanno in luoghi particolari, che poi abbandonano una volta conclusa la conversazione. Nel caso del saluto, lo scambio degli atti di saluto, l’abbraccio, la stretta di mano o l’inchino, o qualunque cosa sia, ha anch’esso un posto distintivo. 6 Questo termine è stato suggerito da R. McMillan del Teachers College, Columbia. 6 Secondo, bisogna notare che l’unità “evento interazionale” non è in alcun modo un’unità assoluta. Vale a dire, che una volta che si è deciso di considerare qualcosa come un’unità, si vedrà che essa contiene, ed è a sua volta contenuta da altre unità. Per esempio, una particolare conversazione tra P e Q può essere vista come unità, i suoi confini possono essere delimitati dal punto in cui P e Q si incontrano al punto in cui P e Q si separano. Questa conversazione può essere vista come un’unità che è contenuta da un’unità più grande, come la pausa caffè durante una conferenza. Ma la conversazione conterrà essa stessa delle unità interazionali. Per esempio, la conversazione si apre con l’avvicinarsi di P a Q e con il salutarlo. A questo segue l’annuncio dello scopo di P: ottenere delle informazioni specifiche da Q. P, allora, pone una serie di domande a Q e Q dà delle risposte. Poi Q ha qualcosa da dire a P ed infine i due si separano. Dunque, la conversazione contiene le seguenti fasi: il salutarsi, il porre domande di P a Q, il parlare di Q con P, il separarsi. Ciascuna di queste fasi potrebbe essere trattata come un’unità. Ogni unità, tuttavia, contiene altre unità. Per esempio, l’unità in cui P fa delle domande a Q conterrà una serie di unità parlante-ascoltatore, ciascuna consistente di un turno del parlante e il suo complemento, un turno dell’ascoltatore. All’interno del turno del parlante possiamo identificare ancora altre unità, di cui le unità in cui il flusso di parole potrebbe essere segmentato sarebbe illustrativo: combinazione di parole simili al paragrafo, combinazione di parole simili alla frase, frasi prosodiche e sillabe. Tuttavia, bisognerebbe osservare che una volta arrivati all’unità “turno-del-parlante:turno-dell’ascoltatore” stiamo considerando delle sotto-unità di eventi interazionali.7 Un evento interazionale, quindi, è qualsiasi occasione in cui due o più persone sono impegnate insieme. Si scoprirà che esso ha una particolare organizzazione. Questi eventi devono essere avviati, devono essere mantenuti per mezzo di qualche programma e devono essere terminati. Un evento interazionale potrebbe consistere, come minimo, in uno scambio di sguardi, un’unità “turno-del-parlante:turno-dell’ascoltatore” o una stretta di mano; al massimo, in una conversazione di quattro ore, una conferenza o un seminario. Per rendere più concreti i punti che ho sollevato, vorrei passare ora all’analisi di una particolare classe di eventi interazionali: lo scambio di saluti. In uno scambio di saluti due individui si rivolgono l’uno all’altro, o simultaneamente o in tandem, un’unità caratteristica del comportamento 7 La struttura del comportamento a “scatole cinesi” a cui abbiamo fatto riferimento qui è stata notata da molti scrittori. Si veda, per esempio, Pike (1967) ). Per un’idea simile sviluppata però da una prospettica molto diversa si veda Welford (1958). 7 comunicativamente specializzato, e normalmente lo fanno in una posizione spaziale particolare e con un’orientazione, l’uno rispetto all’altro, particolare. Le unità di comportamento comunicativamente specializzato che ricorrono in questo scambio sono estratte da una grande, e ciononostante ristretta, classe di elementi. Non sembra possibile, in questo momento, dare una definizione formale di questa classe, ma essa include enunciati come, “ciao”, “come stai?”, “mi fa piacere vederti”; include vari tipi di cenni con le mani, certi tipi di sorrisi, l’abbraccio, il bacio, la stretta di mano, l’inchino. Una volta che si è deciso un certo tipo di evento interazionale, si può procedere in varie direzioni, la mia è quella di esaminarne l’organizzazione interna. Prima di arrivare a questo, comunque, mi si lasci indicare che si potrebbe anche esaminare la relazione tra il verificarsi dell’evento interazionale in questione ed altri eventi interazionali. Cioè, nel caso degli scambi di saluto, ci si chiede: quali sono i contesti in cui si verificano? Si vede che gli scambi di saluto normalmente ricorrono o quando le persone si incontrano o quando si separano, laddove l’essere l’uno in presenza dell’altro significa in qualche modo essere “con” l’altro, o quando le persone partecipano allo stesso evento interazionale, alla stessa occasione sociale o, in alcuni casi, quando si trovano nello stesso ambiente. Ad esempio, i saluti ricorrono quando le persone si incontrano per pranzare insieme e poi quando il pranzo è terminato. L’ospite che arriva alla festa saluterà il padrone di casa o gli altri che conosce, e saluterà anche quando andrà via. Osserviamo anche che ci si saluta anche quando si entra e si esce da un ambiente che è condiviso, come quando la moglie, nell’uscire per le compere, dice a voce alta “A dopo” a suo marito che sta lavorando al piano di sopra nel suo studio; dirà anche “Ciao” al suo ritorno. I saluti ricorrono, dunque, nei luoghi in cui le persone cambiano ciò che Goffman ha chiamato il loro “accesso sociale”8. Possiamo anche notare, tuttavia, che i saluti ricorreranno tra persone che si conoscono, anche quando passano semplicemente l’uno accanto all’altro senza restare l’uno in presenza dell’altro. Questi “saluti di passaggio” sembrano marcare, non un cambio nell’accesso sociale, quanto il fatto che esiste uno speciale accesso sociale tra i due individui, che potrebbe essere realizzato ma che non si realizza. Si noterà che le persone non si salutano necessariamente ogni volta che si incontrano o che si separano. Se si condivide un ufficio con qualcuno non si dice “Ciao” o “A dopo” tutte le volte che si entra o che si esce. Un’analisi più raffinata mostrerà che alcuni tipi di cambi in co-presenza sono marcati da un saluto, mentre altri non lo sono. Se osserviamo poi 8 Devo a Goffman (1971) questa formulazione. 8 quelli che sono generalmente marcati da un saluto, e esaminiamo le occasioni in cui, ciononostante, un saluto non si verifica e vediamo quali tipi di comportamento possiamo osservare normalmente in tali occasioni, possiamo ulteriormente capire quali potrebbero essere le funzioni dei saluti. Senza entrare nei dettagli, vorrei presentare le mie attuali conclusioni, e cioè che in un saluto è come se P e Q sigillassero o riaffermassero un patto, che prevede che essi siano uniti da un’esplicita relazione interazionale che per loro è distintiva. Sigillando o affermando questo patto, rendono sicura l’uno la presenza dell’altro. Per cui, quando uno scambio di saluti non si verifica laddove lo si attendeva, ne può conseguire notevole rabbia o ansia. Lasciamo ora da parte la questione di dove si verificano gli scambi di saluto e di quali sono le sue funzioni in questi luoghi, e esaminiamo gli esempi di scambi di saluto da un punto di vista che ci permetta di svelare qualcosa della loro struttura interna. Limiterò la mia attenzione agli scambi di saluto che occorrono quando le persone si incontrano – cioè quelli che si verificano nei saluti. In questa parte dell’articolo attingerò al materiale che è stato raccolto appositamente per lo studio dei saluti i cui dettagli sono disponibili altrove (Kendon e Feber, 1973). Molti degli esempi a cui farò riferimento sono tratti da un filmato registrato ad una grande festa di compleanno all’aperto, tenutasi nel luglio del 1969 per un bambino di cinque anni. La festa si svolse nel giardino e sulla spiaggia privata attigua alla casa del bimbo, i cui genitori erano professionisti appartenenti alla classe medio alta, che vivevano a Westchester, N. Y. A questa festa parteciparono circa 40 persone, incluso parecchi parenti adulti del bambino e molti dei suoi amici di scuola, accompagnati dai genitori. Nel corso della registrazione di questo evento, furono registrati circa 70 esempi di saluto, che includevano i saluti tra gli ospiti che arrivavano e i padroni di casa (i genitori del bambino), ed anche saluti tra gli ospiti adulti mentre si univano sulla spiaggia. Possiamo cominciare con due uomini che si stringono la mano quando si incontrano. Come è tipico di questo tipo di scambio, i due uomini erano l’uno di fronte all’altro, ciascuno ha afferrato la mano destra dell’altro per un breve momento, le mani si incontrano ad un livello approssimativamente piano alla vita di ciascun uomo, e poi l’ha lasciata andare. Affinché questa azione sia compiuta, i due uomini devono essere abbastanza vicini da far sì che le loro mani vengano in contatto, e che possano adeguatamente orientarsi l’uno verso l’altro. I due che si stringono la mano devono, dunque, impegnarsi in una manovra comune per creare una cornice spaziale ed orientazionale all’interno della quale l’azione dello stringersi la mano può avere luogo. Se esaminiamo molti esempi di strette di mano, vedremo che questa cornice spaziale ed orientazionale nella quale 9 P e Q si stringono la mano non è mai mantenuta oltre la fine della stretta di mano. I due individui camminano l’uno verso l’altro e si stringono la mano e poi uno dei due, ma più normalmente entrambi, si allontanano dal luogo in cui si sono stretti la mano e, inoltre, si ri-orientano l’uno in relazione all’altro. La stretta di mano, in breve, è compiuta in un’apposita cornice spaziale e orientazionale. Questa manovra comune di “raggiungere” l’altro, poi allontanarsi non è specifica della stretta di mano, ovviamente; ricorre anche quando le persone si inchinano l’uno verso l’altro, quando si abbracciano, anzi, quando compiono una gran varietà di scambi di saluto. Chiameremo i saluti che sono compiuti in questa particolare cornice saluti intimi, perché occorrono quando le persone sono l’una vicino all’altra, spesso abbastanza vicine da toccarsi. Se torniamo indietro nel tempo, al momento prima che la stretta di mano sia compiuta, possiamo trovare il punto in cui è iniziata la manovra che ha portato alla cornice spaziale e orientazionale distintiva. Cioè, possiamo trovare il punto in cui gli individui coinvolti nella stretta di mano, iniziano ad orientarsi e ad avvicinarsi l’uno all’altro. Possiamo identificare, quindi, un’unità al livello del movimento spaziale e dell’orientazione che contiene, come se fosse una cornice, l’azione della stretta di mano. La manovra complessiva, dunque, dal punto in cui entrambi si orientano verso l’altro e si avvicinano, fino a ed incluso il luogo in cui si fermano e compiono il saluto intimo, dovunque sia, può essere considerata come un evento interazionale. In termini, dunque, delle unità di orientazione e di collocazione nello spazio, possiamo identificare i confini di un evento interazionale, la cui più ovvia caratteristica è che esso consiste di due individui che si avvicinano e si stringono le mani (o che si scambiano qualche altro saluto intimo). Tuttavia, poiché quest’unità è un’unità interazionale, per comprenderla dobbiamo vedere come viene avviata, come sono determinate le manovre comuni che culminano nella creazione della cornice spaziale-orientazionale in cui il saluto intimo ha luogo. L’esame di una serie di questi eventi suggerisce che esso può essere analizzato in termini di una successione di fasi, ciascuna delle quali crea le condizioni per quella successiva. Una volta che le fasi dell’evento sono formulate, ciò può essere usato come modello in base al quale esaminare diversi esempi di eventi di saluto. Appare allora evidente come, a seconda delle circostanze, una o più fasi può essere omessa. Arriviamo anche a vedere come i diversi tipi di elementi comportamentali possono funzionare all’interno di una certa fase. Alcuni di questi elementi hanno funzioni equivalenti. Alcuni elementi serviranno per 10 completare più di una fase per volta. Talvolta vedremo come il programma può essere interrotto. Prima che un qualsiasi saluto intimo si possa realizzare tra due individui, almeno uno della coppia deve avvistare l’altro e identificarlo come un individuo da salutare. Questo è un evento pre-interazionale e P può rendersi conto della presenza di Q con la coda dell’occhio, con uno sguardo di sfuggita o udendolo per caso, poi può attendere il momento opportuno prima di compiere qualsiasi altra mossa nella sequenza. Come passo successivo P deve annunciarsi all’altro e Q deve dare u n riconoscimento positivo di questo annuncio. Quando P si annuncia a un altro non solo si fa notare, ma segnala anche che è aperto ad un contatto sociale con una persona specifica. Quando P bussa alla porta di Q, sta facendo un annuncio. Se la porta di Q è aperta, P può semplicemente restare all’entrata e guardare Q, e anche questo costituirebbe un annuncio. Alla festa di compleanno, gli ospiti dovevano scendere un vialetto per arrivare al prato. Nella maggioranza dei casi, la loro comparsa su questo vialetto fungeva da annuncio. Tuttavia, quando in seguito, gli ospiti erano vicino alla spiaggia, se uno voleva salutare un altro, il semplice essere visibile all’altro non sarebbe stato sufficiente. In molti casi la persona si sarebbe annunciata guardando l’altro, ma in alcuni casi, lo avrebbe fatto avvicinandoglisi. In altri casi, prima dello scambio di saluti, l’individuo avrebbe coordinato i suoi movimenti con quelli dell’altro, per esempio cambiando la sua posizione o la sua postura nello stesso momento in cui lo faceva l’altro, o modificando la direzione dello sguardo sincronicamente al cambiamento della direzione dello sguardo dell’altro. Sembrerebbe che agganciando, per così dire, il proprio comportamento a quello dell’altro, uno può creare le condizioni in cui è facile per l’altro rivolgersi a lui con un’azione esplicitamente comunicativa. Infatti, sincronizzare i propri movimenti con quelli di un altro, sembra essere un potente mezzo per ottenere l’altrui attenzione.9 L’annuncio deve essere seguito da un riconoscimento positivo. Qui Q fa qualcosa che indica che ha ricevuto l’annuncio di P e che anche lui è disponibile per un esplicito contatto sociale con lui. In molti casi Q riconosce l’annuncio di P chiamandolo, con un cenno o un sorriso, o qualche altro tipo di saluto. Qui sembrerebbe appropriato dire che Q fa coincidere il riconoscimento e il saluto, mentre in altri casi si può osservare che il riconoscimento è una fase distinta. Nel caso in cui P bussa alla porta di Q, P deve aspettare che Q gli dica “avanti”, e in questo caso “avanti” 9 Per gli studi sulla sincronizzazione del movimento nell’interazione si veda Condon e Ogston (1966) e Kendon (1970, 1972). 11 rappresenta il riconoscimento. Se P si è annunciato a Q girandosi verso di lui e guardandolo, possiamo osservare che P può allora porgere un saluto a Q, ma solo dopo che Q ha guardato P. Nel materiale della festa di compleanno c’erano molti esempi di questa forma di riconoscimento. Q può anche riconoscere l’annuncio di P semplicemente disimpegnandosi dall’attività in corso e iniziando ad avvicinarsi a P. Alla festa di compleanno, laddove la mera comparsa degli ospiti mentre scendevano il vialetto verso il prato costituirebbe il loro annuncio, l’azione della padrona di casa di lasciare il gruppo con cui stava parlando e attraversare il prato per andare incontro gli ospiti potrebbe costituire il suo riconoscimento. In un altro esempio, uscito dalla scuola, un bambino è tornato a casa, apparentemente vuota. Ha chiamato a voce alta, annunciando così il suo arrivo. Suo padre, che stava lavorando nel suo ufficio al terzo piano, lo ha chiamato in risposta – questo è il riconoscimento – e poi è sceso. Il padre e il bambino si sono salutati una volta che si sono visti. Tuttavia, i saluti non sempre seguono direttamente il riconoscimento, perché in alcune circostanze si può osservare un’ulteriore fase in cui ciascuno dichiara la sua identità. In verità penso che questo accada sempre. Il ruolo situazionale di un individuo, se non la sua identità personale, deve sempre essere stabilito prima che il saluto possa essere scambiato. In molte situazioni l’identità, personale o situazionale, è stabilita a vista. L’hostess può salutare tutte le persone che entrano nell’aereo perché, dal contesto in cui si trovano, giustamente le riconosce tutte come passeggeri. Alla festa di compleanno la maggior parte delle persone si conoscevano di vista e la dichiarazione dell’identità non era una fase distinta, eccetto in alcuni esempi di saluti preceduti da un’introduzione, eseguiti da una terza persona. La dichiarazione dell’identità avviene come fase distinta al telefono. Una sequenza come quella che segue non è per niente insolita: Il telefono squilla (annuncio). P alza la cornetta e dice “Pronto” (riconoscimento). Chi chiama chiede “C’è (nome)?”; P risponde “Sono io”. Chi chiama dice “Sono (nome)”; P allora dice “Ciao” e dopo dice lo stesso Q. Lo scambio di saluti, il “ciao” ricorre solo dopo che P e Q sanno chi è l’altro.10 Osserviamo che in molti esempi il saluto ricorre due volte, una volta come saluto a distanza, poi come saluto intimo. Nel saluto a distanza 10 Si confronti il lavoro Schegloff sulle conversazioni telefoniche (Schegloff, 1968). 12 vediamo certe forme, come i cenni con la mano, il richiamo, il cenno della testa, l’abbassare la testa e l’alzare la testa. Questi possono essere combinati con parole come “Ciao” e con alcune espressioni facciali come il sorriso e il rapido movimento delle sopracciglia che sono sollevate e subito abbassate. Il saluto a distanza è chiamato così perché avviene ad una distanza maggiore di quella usata in un saluto intimo, dove gli individui si trovano almeno abbastanza vicini per impegnarsi in un’interazione mediata da enunciati, e spesso molto più vicini, come nelle strette di mano e negli abbracci. In molti esempi, il saluto a distanza avviene ad una distanza abbastanza considerevole – a 12 metri in alcuni degli esempi tratti dal materiale della festa di compleanno. È dunque seguito da una fase durante la quale gli interagenti si avvicinano e durante questo approccio spesso osserviamo che gli individui distolgono lo sguardo – spesso voltando bruscamente la testa altrove – e talvolta osserviamo altri comportamenti che hanno le caratteristiche delle azioni tipiche del ritirarsi o del disimpegnarsi. In alcuni degli esempi esaminati, osserviamo che un braccio può essere accostato al corpo, talvolta incrociandolo in ciò che io chiamo “corpo incrociato”, come se la persona si isolasse prima di raggiungere l’altro. Quando i due individui arrivano ad essere un po’ più vicini si “reimpegnano”, cioè, si guardano, cominciano a sorridere, spesso assumono una postura della testa distintiva e possiamo vedere anche che cominciano a prepararsi per qualsiasi forma debba assumere il saluto intimo. Proprio prima di questo re-impegno, si osserva spesso un’improvvisa rotazione della testa altrove, in uno e occasionalmente in entrambi gli individui, che forse serve ad indicare che la persona che sta compiendo l’azione sta entrando in una zona che può essere usata per le attività comunicative che si possono compiere quando si è più vicini (come parlare), in contrasto con le azioni comunicative che invece sono compiute a distanza (come i cenni con la mano), che erano state usate prima di essere vicini. La distanza che separa i due individui quando iniziano questo re-impegno è molto variabile. Dipende in parte da quanto erano lontani gli individui all’inizio del programma di saluto, ma sembra che dipenda anche da alcuni fattori, come il tipo di rapporto esistente tra i due individui, da quanto tempo non si vedevano ed anche, forse, da ciò che potrebbero cercare di trasmettere agli astanti circa la loro relazione. I saluti, dopo tutto, sono un evento pubblico e la loro esibizione potrebbe non essere a beneficio soltanto di coloro che si stanno salutando. Ciò che sarebbe interessante osservare, sarebbe come è iniziata la fase del re-impegno ed anche come si arriva ad assumere effettivamente la forma del saluto intimo. In molti casi riusciamo a vedere che uno dei membri della coppia che si saluta inizia un’azione che è parte 13 della forma del saluto intimo - per esempio, si può osservare che come approccio P può stendere il braccio come offerta per una stretta di mano. Tra le persone che si conoscono molto bene, tuttavia, possiamo osservare un movimento virtualmente simultaneo verso una forma di saluto intimo, come se ciascuno sapesse esattamente cosa aspettarsi dall’altro. Il saluto intimo stesso può assumere una varietà di forme, di cui una è la stretta di mano, ma vediamo anche varie forme di abbraccio, il bacio, l’inchino e molte altre. In verità, se prendiamo in considerazione altre culture oltre alla nostra, osserviamo che esiste una grande varietà di saluti intimi. Tuttavia, come ho già indicato, almeno per il corpus di esempi che ho esaminato, quando gli individui si impegnano in un saluto intimo si fermano e quando è terminato entrambi si allontanano dalla posizione che avevano assunto quando si sono salutati, come se il saluto intimo avesse una cornice spaziale e orientazionale distintiva all’interno della quale verificarsi. Il mio suggerimento, allora, è che quando le persone stabiliscono l’un con l’altro un accesso sociale esplicito, attraversano una serie di fasi per farlo, e ciò è quello che ho definito un programma astratto comprendente l’annuncio, il riconoscimento positivo, la dichiarazione dell’identità, il saluto a distanza, il saluto intimo. Ognuna di queste fasi, o caselle come potrebbero essere chiamate, può avere o non avere esponenti. Che una casella avrà un esponente dipenderà da se la situazione, in cui il programma è collocato, contiene degli aspetti che possono assumere la funzione di uno o più di queste caselle. Nei saluti alla festa di compleanno, la dichiarazione dell’identità non era espressa separatamente perché tutti potevano riconoscere tutti. In molti esempi, anche il saluto a distanza fungeva da riconoscimento. In molti casi, l’annuncio e il riconoscimento erano simultanei e gli individui passavano direttamente al saluto. Oltre al punto che le varie fasi nel programma possono contenere o non contenere esponenti a seconda di come il contatto sociale è stabilito in relazione alla situazione che lo contiene, vorrei anche evidenziare come ogni casella nel programma può essere riempita da uno dei vari esponenti. Ho cominciato con la stretta di mano, ma ho indicato che questo è solo uno dei modi in cui due persone possono compiere un saluto intimo. Bisognerebbe anche chiarire, tuttavia, che ci si può scambiare un saluto intimo non solo con uno scambio di inchini, con un abbraccio, con un bacio e così via, ma anche con qualche forma di scambio di enunciati. Cioè, le alternative di esponenti per ogni data fase nel programma includono vari strumenti di comportamento comunicativo. Come ha detto Goffman: “le sequenze interazionali stabiliscono una casella, ed essa può essere riempita con qualsiasi cosa sia disponibile: se non si ha una frase, andrà benissimo 14 anche un grugnito, se non si ha un grugnito, andrà bene una smorfia” (Goffman, 1971: 149, n. 38; adattato dalla trad. it., 1981, p. 278, n. 37). Tuttavia, le caselle variano per la gamma di frasi, grugniti o smorfie che possono essere inseriti. Infatti, mentre ci possono essere circostanze in cui qualsiasi cosa sarà ritenuto un saluto a distanza, in molte circostanze sembra non essere così, e un individuo è certamente limitato nella gamma di alternative che può scegliere. Quindi, ciò che interessa è, primo: qual è la gamma di alternative disponibili e secondo, se si possono stabilire le condizioni in cui si sceglie un’alternativa piuttosto che un’altra. Spero che ciò che ho detto chiarirà almeno alcune delle caratteristiche del metodo che seguo nel tentativo di analizzare la struttura del comportamento comunicativo. Le affermazioni metodologiche sono sempre ex post facto, e raramente si può essere sicuri che la procedura che si dice di aver seguito in un’indagine è quella che si è realmente seguita. In questo caso, dopo aver scelto i saluti come possibile unità di analisi, ho in seguito specificato più precisamente cosa fosse quell’unità, in termini di ciò che si fa quando ci si saluta. Poi è stato importante sviluppare un’intelaiatura in base alla quale poter analizzare i saluti. Il programma delle fasi che ho delineato costituiva l’intelaiatura. Questo programma è stato sviluppato nel corso di una sorta di dialogo continuo con gli esempi registrati che avevo a disposizione, ma infine è diventato una guida in base alla quale confrontare i vari saluti. Ora che ho una mappa degli eventi di saluto, posso procedere, e chiaramente ci sono molteplici direzioni in cui si può andare. Si potrebbe, per esempio, focalizzare l’attenzione sulle fasi del programma di saluto nel tentativo di elencare tutte le unità comportamentali che possono ricorrere. Confrontando gli eventi di saluto in cui tutte le fasi che seguono sono presenti con quelle in cui non lo sono, si potrebbero sviluppare delle idee sulla funzione delle diverse forme che è possibile usare in una data fase del programma. Per esempio, in alcuni saluti il programma non va mai oltre la fase del saluto a distanza. C’è una differenza nel tipo di elementi di saluto che occorrono in quel caso e quelli che occorrono negli eventi di saluto in cui c’è anche un saluto intimo? Ovviamente, dovremo anche continuare a ricercare le condizioni in cui appaiono una serie di alternative, confrontandole con altre. Perché in alcuni saluti intimi vediamo le strette di mano, in altri gli abbracci e così via? La risposta a questa domanda dovrà includere un esame dei contesti in cui è racchiuso un evento di saluto. Questi includono non soltanto la posizione del saluto rispetto all’ambiente circostante, l’occasione o gli eventi interazionali che precedono o seguono; dovrà anche includere uno studio su chi sono gli individui che si stanno salutando e il rapporto che c’è tra il saluto e gli altri eventi interazionali in 15 cui gli individui possono essere stati coinvolti nel tempo. Quindi l’analisi strutturale degli eventi interazionali può portarci molto rapidamente oltre quegli eventi. Nel modo in cui strutturiamo gli eventi a cui partecipiamo, nei tipi di elementi comportamentali che usiamo, facciamo riferimento per tutto il tempo ad altre dimensioni, presenti nella situazione, ma tuttavia non pienamente realizzate nel programma comportamentale che possiamo osservare. Questo, ovviamente, è parte della complessità che rende questa linea di indagine affascinante. Riferimenti Birdwhistell, R. L. Introduction to Kinesics. Foreign Service Institute, Louisville: University of Louisville Press, 1952 [Trad. it. in parte in N. Lamedica (a cura di) Gesto e comunicazione. Napoli: Liguori Editore, 1987]. Birdwhistell, R. L. Kinesics and Context. Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1970. Condon, W. C. and W.D.Ogston (1966). Soundfilm analysis of normal and pathological behavior patterns. Journal of Nervous and Mental Disease, 143: 338-347. Duncan, S. Nonverbal communication. Psychological Bulletin, 1969, 72:118-137. Goffman, Erving (1988). Il rituale dell’interazione. Bologna: Il Mulino. Goffman, Erving (1981). Relazioni in pubblico. Milano: Bompiani. Goffman, Erving (1971). Il comportamento in pubblico. Torino: Einaudi. Goffman, Erving (2003). Espressione e identità. Bologna: Il Mulino. Greenberg, J. (1969). 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