Sabato-Santo-Lodi-San-Pio-X-04.04.2015
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Sabato-Santo-Lodi-San-Pio-X-04.04.2015
Parrocchia San Pio X, 4 aprile 2015 Sabato Santo - Lodi Quando tutto tace parlano i salmi. Il Sabato Santo, esperienza in cui la Chiesa sosta in silenzio davanti al sepolcro, è illuminata dalla preghiera. Poche chiacchiere oggi sola la preghiera sulle nostre labbra. Solo la preghiera ci entrare nelle profondità di questo tempo. Come la preghiera dei salmi è stata l’unica capace di rivelarci il cuore di Gesù e in questa rivelazione scopriamo grazie alla liturgia il dono di essere quello che preghiamo «mens concordet voci» Quando tutto tace parla la profezia. Il resto sono chiacchiere. «Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» «Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati. Poiché non ti lodano gli inferi, né la morte ti canta inni; quanti scendono nella fossa nella tua fedeltà non sperano. Il vivente, il vivente ti rende grazie come io faccio quest'oggi. Il padre farà conoscere ai figli la fedeltà del tuo amore». Oggi scopriamo la pazienza. Che non ha nulla a che fare con il carattere di una persona. Con quell’atteggiamento che ad alcuni viene riconosciuto per nascita mentre ad altri no. La pazienza è il frutto maturo della fede. Gesù è stato paziente nella sua passione e morte e lo è oggi nella sua sepoltura. Perché si è affidato a Dio. Si è consegnato a lui. Si è abbandonato nelle sue mani e Dio non lascerà che il suo santo resti nella fossa della distruzione. La pazienza è entrare nei tempi di Dio che non ascolta le nostre preghiere ma mantiene sempre le sue promesse. Violento è colui che si oppone a questi tempi e che attraverso sottili ragionamenti. Papa Francesco ci chiede di non occupare luoghi ma di avviare processi. Gesù con la sua passione e morte ha avviato un processo inarrestabile. Il cristiano grazie a questo processo è una persona che ha dietro di sé la Morte, dietro di sé e non più davanti a sé, non più in sé, e che quindi non la diffonde, ma dona e trasmette la vita, anche e soprattutto quando sperimenta l’abisso dei propri inferi, perché qui vi scopre la presenza vivificante del “Primogenito di molti fratelli” (Rm 8,29), del Vivente, fratello di ogni uomo divenuto vivente. Questo è quindi il nostro mandato: proclamare e vivere quella vita nuova che il Cristo ha inaugurato portando a tutti questa speranza: il Signore ha vinto la morte e, con lui, noi pure. La Chiesa è chiamata ad avviare questi «processi» Oggi scopriamo il noi di Dio che scende nell’io dell’inferno. Quando viviamo il nostro sabato santo? Quando stiamo vicini alla solitudine e diamo speranza con il noi della Chiesa. Come si sta accanto ad un amico che vive il tempo della prova, della malattia, della solitudine, del tradimento e dello sconforto? Non stiamo facendo strategie pastorali ma stiamo cercando di vedere cosa ci comunica il Sabato santo e l’amicizia di Gesù. Il Dio Trinità non abbandona il suo santo nel sepolcro. 1 È necessario «rimanere» accanto, perseverando e resistendo alla tentazione di fuggire. A ben poco servono le giustificazioni addotte a proposito della necessità che questo amico ha di rimanere solo. Al contrario, bisogna dimorare accanto a lui, diventando piccoli segni discreti di fedeltà ad una amicizia sincera, libera da ogni ambiguità. Questo fratello e sorella devono sapere che siamo disposti a fare la strada con lui, senza abbandonarlo. È una testimonianza non ostentata. Questo ci chiede la fedeltà di Dio che è accanto al suo popolo. Ma questa è come una lunga gestazione che domanda attesa paziente, rispetto della crescita umana e spirituale, un accompagnamento nel cammino che favorisca in lui un sapiente discernimento. Al riguardo, allora, non sarà superfluo domandarsi «perché e come sto accanto ad un amico, ad un fratello o a una sorella che vivono in necessità?». Si sta accanto ad un amico senza arroganza, senza illusorie pretese di trovare per lui ostinate risposte ai suoi molteplici interrogativi. Si dimora con lui senza la fretta di indicare soluzioni alle sue difficoltà o di spargere consigli a basso prezzo. Si persevera nella sua compagnia senza la presunzione di fare da maestri, senza proporre modelli stereotipati di santità e senza vincolare a sé l'altro, ma pronti a condividere la sofferenza e la fatica di chi cerca la volontà di Dio su di sé e il senso dell'esistenza. Vivere accanto ai fratelli che sono nella prova o nella necessità chiede di rinunciare ad intessere discorsi conditi di moralismo nei loro confronti. È moralismo e spiritualità doloristica dichiarare all'altro che la sofferenza e la malattia avvicinano maggiormente a Dio. Di fatto i vangeli, al contrario, documentano che Gesù ha sempre combattuto contro il male in tutte le sue espressioni, ha curato e guarito. Sia ben chiaro che non è la sofferenza che salva, ma l'amore libero e gratuito che Dio ha manifestato a noi in Cristo Gesù crocifisso e risorto. Ciò che Gesù domanda non è l'offerta della nostra sofferenza o delle tribolazioni nostre e dei fratelli che amiamo, bensì l'offerta del dono di sé nell'amore, anche quando siamo segnati dalla prova e dalla fatica della fede. A questo riguardo, la narrazione della vicenda di Giobbe e la presunta sapienza dei suoi amici, che disquisiscono teologicamente sulla sua sventura, sono una lezione da apprendere. Essi stanno accanto a Giobbe, ma in realtà non lo incontrano, perché troppo preoccupati di approfittare della sua disgrazia e della sua debolezza per abbandonarsi a ragionamenti superflui. Questi sedicenti amici, potenziali consolatori di Giobbe, in realtà si tramutano ben presto in accusatori profondamente ostili. Accanto ad un amico si rimane facendo proprio il rischio del silenzio. Esso non è sconfitta, non equivale al non sapere che cosa dire, ma significa ascoltare per essere nella condizione di cogliere nell'amico una persona, prima ancora della necessità in cui si trova, un mistero più grande della sua prova, della sua solitudine e della sua desolazione. E davanti a questo mistero grande è necessario tacere, perché in tal caso il silenzio di ascolto e di ricerca di amore verso l'amico precede sempre ogni parola umana. Il fratello e la sorella che vivono nella prova o nella necessità chiedono di essere ascoltati da chi gli si fa vicino; essi domandano di essere compresi in ciò che realmente sono, anche laddove quanto essi dicono non incontra il nostro consenso e la nostra condivisione. In un'ottica cristiana non si può disattendere che il fratello o la sorella che vivono nella necessità sono presenza stessa di Cristo, con i quali egli stesso si è identificato. Ascoltare il fratello o la sorella, che vivono nella fatica della prova, significa lasciarli essere presenti nella loro identità di persone e non semplicemente scorgendo in essi dei destinatari della nostra compassione o di strategiche beneficenze risolutrici. L'atteggiamento richiesto dall'ascolto del fratello è proprio quello di fargli spazio in noi e non di occupare il suo spazio, magari con consigli non richiesti. Accanto ad un amico che vive il tempo della prova, si sta nella fede e nella medesima fatica della ricerca di Dio in questo oggi segnato dal dolore e dalla solitudine. Nella fede, per un amico, siamo un germe di speranza del futuro che ci attende e che ci è aperto in Cristo: un futuro di risurrezione, di lacrime asciugate sul volto degli afflitti, di un amore più forte del male e della morte. Allora, ciò significa che stare accanto a un amico nella fede diverrà per lui motivo per non fuggire a sua volta rimuovendo la situazione di prova che sta vivendo o abbandonandosi alla rassegnazione, alla rivolta o alla disperazione. 2 E finalmente la fede che ci fa star accanto ad un amico con amore, si fa preghiera, implorazione per lui e con lui, in una lotta senza desistere e senza stancarsi; solo questo ci conduce a cogliere che lui non è un estraneo per noi, ma un fratello, una sorella e compagni di viaggio. Questo ministero di consolazione e compassione, porta ad intravedere la vita più grande di ogni prova; conduce a scorgere la verità di noi stessi più grande della tribolazione che sperimentiamo perché tutto è stato assunto nella croce di Gesù, profezia e annuncio di resurrezione. Questa è la consolazione l'umanità oggi attendono e invocano nella speranza e senza stancarsi, cercando ovunque fratelli e sorelle disposti ad incontrarli e a compiere, in loro compagnia, il pellegrinaggio della crescita umana e spirituale. Questa è Maria, la Chiesa che sosta in silenzio, nell’attesa, che, solo per la fede, possiamo chiamare operosa. Entriamo nel sabato Santo delle relazioni nuove perché ogni uomo si possa dire «vivente» e «ogni vivente dia lode al Signore». 3