GIUSEPPE CAPOGRASSI Nacque a Sulmona il
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GIUSEPPE CAPOGRASSI Nacque a Sulmona il
ABRUZZESI ILLUSTRI GIUSEPPE CAPOGRASSI (1889 – 1956) filosofo giurista "Il mondo chiama spesso uomo fortunato colui che ha molte fortune. Come sempre il mondo è in errore. Fortunato è colui che riesce a trovare rispecchiato il proprio essere nell'essere di un altro spirito..." Nacque a Sulmona il 21 marzo 1889 da Vincenzo e da Concetta Faraglia, ultimo esponente di un’antica famiglia baronale di origine salernitana. Il cognome Capograssi è già presente su un sarcofago databile intorno alla metà del IV sec. nella cattedrale di Salerno; documenti di archivio parlano di un Capograssi vissuto nel XI sec. al seguito di Roberto il Guiscardo (1025 – 1085) duca di Puglia, Calabria e Sicilia; nel XV sec. un Paolo Capograssi aveva tenuto la cattedra di decretali nell'università di Bologna; nel 1319 troviamo la famiglia Capograssi a Sulmona al seguito di Andrea che fu vescovo della città peligna dal 1319 al 1330. In questi anni essa si legò alla potente famiglia sulmonese dei Meliorati dalla quale nacquero due papi: Innocenzo VII (1336 – 1406) e Benedetto XV (1854 – 1922) a riprova dell’alto lignaggio della famiglia Capograssi. Nonostante fosse una figura contemporanea, è praticamente impossibile avere una biografia compiuta del filosofo abruzzese poiché l’ampia documentazione è sparsa in troppe pagine dei tanti studiosi benemeriti della figura del Capograssi e mai nessuno l’ha raggruppata in una raccolta organica. Ebbe, Giuseppe, un apprendistato scolastico regolare ed una crescita comunque segnata indelebilmente dalle intervenute difficoltà economiche della famiglia che accrebbero la sua malinconia e il suo pessimismo da cui non si libererà per tutta la vita. Ancor di più lo avrebbero segnato le vicende dell’adolescenza, quando, terminati con ottimo profitto gli studi ginnasiali a Sulmona, fu costretto a faticosi studi liceali a Macerata, lontano dalla famiglia per lunghi periodi e solo con la propria crisi di identità culturale e religiosa. Anche la scelta dell’indirizzo universitario non fu senza traumi, sentendo in sé fortemente la disposizione alle lettere e alla filosofia e invece costretto alla pratica della giurisprudenza. Giuseppe Capograssi (1889-1956) filosofo giurista ABRUZZESI ILLUSTRI La vocazione e la disposizione agli studi letterari gli veniva dal ramo materno della sua famiglia, originario di Pescocostanzo: uno zio della madre, Liborio De Padova era stato uno storico locale, autore di pregevoli saggi sulla storia del proprio paese, monaco a Montecassino, dopo il 1861 fu infaticabile sostenitore della conciliazione della Chiesa con lo Stato; il dotto sacerdote Nunzio Federigo Faraglia (1841–1920), fratello della madre, autore del “Codice diplomatico sulmonese”, tutto dedito al ministero e agli studi storici e per lungo tempo sovrintendente all’Archivio di Stato di Napoli; Fausto Faraglia (1856– 1940) altro fratello della madre, avvocato civilista e storiografo. Furono loro più di altri ad aver influito sulla formazione umanistica e spirituale del giovane Giuseppe che ebbe dagli zii anche i necessari aiuti economici, indispensabili per la prosecuzione dei suoi preziosi studi. Terminato il liceo nel 1907, cedette alle pressioni dei familiari e optò per la facoltà di Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, con la segreta speranza che la laurea in giurisprudenza non volesse dire necessariamente esercitare l’avvocatura ispirandosi al suo concittadino Ovidio che si liberò dalla carriera alla quale era stato avviato per darsi tutto ai prediletti studi classici. All’università ebbe professori di indubbio valore e di levatura nazionale come l’abruzzese Francesco Filomusi Guelfi, Dionisio Anzilotti, Napoleone Colajanni e Vittorio Emanuele Orlando al quale dedicò l’edizione a stampa della sua tesi di laurea “Saggio sullo Stato” del 1911. Si avviò così, dopo la laurea, alla pratica dell’avvocatura iniziando come praticante nello studio romano dell’avv. Carlo Santucci, vi rimase fino al 1915 quando decise di aprire uno studio legale col collega e amico di sempre, Salvatore Pugliese, vecchio compagno di scuola sin dal ginnasio a Sulmona. Lo studio conobbe ben presto una buona affermazione nella capitale e diede modo a Capograssi di conoscere molti personaggi dell’aristocrazia, della cultura, della politica e del mondo forense, di parecchi dei quali conservò per sempre una reciproca amicizia, la sua clientela infatti era costituita sia da nobili romani come i Ferraioli, i Torlonia e gli Aldobrandini sia da uomini di spicco dell’ambiente cattolico. Se l’attività di uomo di legge non appagava Capograssi, proprio quell’ambiente di lavoro, però, lo portò a conoscere amici di fede non comune che si rivelarono preziosissimi per il sostentamento morale e spirituale del giovane Giuseppe che viveva un tempo di grave turbamento interiore per l’impossibilità di uscire dalla morsa di una professione sgradita e noiosa. Parimenti fu determinante la fraterna e antica amicizia con Salvatore Pugliese, si erano conosciuti ragazzi nel 1899 al ginnasio di Sulmona ed il loro rapporto si era consolidato poi al tempo del liceo a Macerata e all’università a Roma. Introverso, amante delle letture, privo di senso pratico, problematico rispetto al futuro l’uno, Capograssi, pieno di vita, sicuro, allegro e gioviale l’altro, Pugliese. Per intercessione della madre, il giovane avvocato Capograssi, negli anni romani, fu ospite in casa Pugliese che nel frattempo aveva contratto matrimonio e avuto due figli gemelli. Così dal 1915 Capograssi visse in casa dell’amico Pugliese in amicizia mai offuscata da alcuno screzio o incomprensione a tal punto che Pugliese, portato alle Giuseppe Capograssi (1889-1956) filosofo giurista ABRUZZESI ILLUSTRI pubbliche relazioni e agli affari, delegò all’amico ospite Giuseppe la formazione dei suoi figli che ebbero in Capograssi un eccezionale maestro per i loro studi e un’esemplare figura morale. Era ritenuto “l’avvocato dei poveri” per la sua abitudine di istruire cause senza compenso ma con il massimo impegno per vincerle. Anni dopo ricorderà come lieta esperienza, la difesa delle Piccole Suore dei Poveri, «…un lavoro perfetto, perché secondo verità e senza parcella…». Fu un grande avvocato dotato di alta professionalità unita ad una preparazione che non aveva uguali, patrocinò con successo anche in Cassazione e in Consiglio di Stato ma restava in lui quella profonda insoddisfazione di chi è inappagato per insopprimibile tormento dell’anima che lo accompagnava sin dalla giovinezza. Sempre nel 1915 abbandonò quasi del tutto la professione forense dopo aver vinto un concorso come Segretario del Consorzio Generale dei Consorzi Idraulici dell’Agro Romano. La sicurezza dell’impiego gli dette sicuramente una tranquillità economica, problema che si trascinava dalla giovinezza, ma non certo quella esistenziale, la crisi ormai conviveva con lui. Il ruolo di segretario di un consorzio sicuramente non era il massimo per quello che sarebbe diventato di lì a poco il “filosofo dello spirito” ma ancora una volta proprio quell’attività a lui inadeguata, grigia e ripetitiva, così come era avvenuto con l’attività forense, rappresentò la svolta della sua intera esistenza. Tra le stanze burocratiche e le noiose pratiche amministrative del Consorzio incontrò la donna della sua vita: Giulia Ravaglia. Uno squarcio di sereno nella buia malinconia del mal di vivere di Capograssi, a lei affidò quotidianamente uno o più biglietti, in tutto circa duemila, contenenti pensieri, riflessioni, idee scaturite dalle molte letture, che oggi costituiscono il monumentale e poeticissimo carteggio dei “Pensieri a Giulia”, capolavoro assoluto di prosa d’amore ma anche di profondissima indagine introspettiva dell’animo umano e serbatoio ricchissimo di bilanci e approfondimenti culturali. Giuseppe sposò Giulia nel 1924 che gli stette accanto in ogni occasione della loro convivenza e lo sostenne quando tentò la carriera universitaria, all’inizio con qualche insuccesso e delusione. Iniziò in questo stesso periodo una non intensa ma neppure sporadica attività giornalistica che offrì al suo spirito ben altre possibilità di espressione che non il lavoro ordinario da segretario. Pubblicò su giornali nazionali come “Il Corriere d’Italia”, “Rassegna contemporanea”, “La settimana sociale” e “Il Tempo” e su riviste locali come “Rassegna d’Arte degli Abruzzi e Molise” e “Coenobium”. Erano intanto usciti lavori fondamentali come “Riflessioni sull'autorità e la sua crisi” nel 1921 e “La nuova democrazia diretta”nel 1922. Nel 1933, vinse la cattedra di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Sassari, fu l’inizio di una carriera universitaria autorevole che lo vide prima a Sassari poi a Macerata come rettore, quindi a Padova nel 1938, poi nel 1940 a Roma, a Napoli per un decennio ed infine ancora a Roma, presso la facoltà di Scienze Politiche. Giuseppe Capograssi (1889-1956) filosofo giurista ABRUZZESI ILLUSTRI La consorte Giulia condivise con lui la cura, nelle varie sedi universitarie, di una cerchia di discepoli riuniti intorno al maestro "Socrate cattolico", secondo la definizione di Arturo Carlo Jemolo, un "sodalizio che educò molti futuri giuristi alla scienza giuridica, ai valori cristiani (sant'Agostino, Pascal, Vico e Rosmini) e alla civile religione della libertà". All’Università di Roma il magistero di Giuseppe Capograssi ebbe modo di rivelarsi in tutta la sua capacità di organizzatore di una didattica fortemente promozionale di indagini innovative ed originali che lo portarono a studi e ricerche concluse mirabilmente con “Introduzione alla vita etica” del 1953. Nel luglio del 1943 prese parte ai lavori che portarono alla redazione del “Codice di Camaldoli”, documento programmatico di politica economica stilato da esponenti delle forze cattoliche italiane. Funse da ispirazione e linea guida per la politica economica della futura Democrazia Cristiana; con Capograssi parteciparono, tra gli altri, alla stesura definitiva del documento: Mario Ferrari Aggradi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giorgio La Pira, Aldo Moro e Giulio Andreotti. Dal 1948 fu membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e il 3 dicembre del 1955 venne nominato giudice della Corte Costituzionale dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e giurò il 15 dicembre insieme agli altri quattordici giudici. Di fatto non partecipò, però, ai lavori della Corte in quanto morì il giorno della seduta inaugurale, il 23 aprile 1956, dopo lunga degenza in una clinica di Roma, tra le mani il libro dei “Promessi Sposi” che le aveva regalato la madre da giovinetto. Papa Paolo VI dopo la sua morte, confidò alla vedova Giulia, il suo desiderio di vedere iniziato il processo canonico di beatificazione di un “così esemplare servitore di Dio, dell'uomo e dello Stato". Carlo Maria d’Este (Centro reg.le Beni Culturali) Hanno detto di lui: "La vera individualità di Capograssi, la verità della sua vita, tutta intima e nascosta, fu quella di umanista cattolico e uomo di riflessione e di preghiera; se non si considera a fondo questa sua anima segreta, non restano sufficientemente illuminate le sue qualità di finissimo giurista e originale filosofo, di penetrante moralista e prosatore vigoroso. Anche chi leggesse i sette volumi delle sue opere, tra le quali Introduzione alla vita etica, Analisi dell'esperienza comune e Il problema della scienza del diritto, conoscerebbe il meno di lui, se contemporaneamente ignorasse la sua interiorità, il suo continuo anelito all'unione con Cristo vissuta nei Sacramenti, nutrita di Scrittura, sostenuta dai prediletti Dante e Manzoni". (padre Giandomenico Mucci S.I.) La vita di Capograssi deve essere il racconto di una vita da scrivere, quando serenamente sarà possibile, con analisi attenta a non lasciarsi sfuggire nessuna apparente minuzia, perché sono i dettagli che hanno valore nelle vite come queste, povere di eventi esteriori e ricche di intimità […]. Se è vero, secondo l’espressione manzoniana, che ‘la vita è il paragone delle parole’, poche parole di un uomo e di un’opera sono riuscite a paragonarsi Giuseppe Capograssi (1889-1956) filosofo giurista ABRUZZESI ILLUSTRI ad una vita così degna, facendo testimonianza della propria verità, della verità dello spirito in cui sono state concepite e vissute. (Pietro Piovani) Quella di Giuseppe Capograssi è una delle forme più originali e autonome della filosofia contemporanea italiana, e non solo italiana, elaborata con desta partecipazione ai grandi problemi della società europea del Novecento, in contatto diretto con le dominanti esperienze di pensiero di quel mondo, dall’idealismo hegeliano, gentiliano e crociano, all’esistenzialismo, dalla filosofia cristiana nelle sue forme più alte, dall’agostinismo al tomismo, da Dante Alighieri a Blaise Pascal, a Maurice Blondel e al modernismo (Fulvio Tessitore) OPERE: Fede e scienza, 1912 Saggio sullo Stato (tesi di laurea) 1918 Riflessioni sull'autorità e la sua crisi, 1921 La nuova democrazia diretta, 1922 Analisi dell'esperienza comune, 1930 Studi sull'esperienza giuridica, 1932 Introduzione alla vita etica, 1953 Il problema della scienza del diritto, 1937 Incertezze sull'individuo, 1969 Pensieri a Giulia (postumo) 1918-1924 BIBLIOGRAFIA E FONTI: Giandomanico Mucci e Raffaele Paciocca: la biografia di Giuseppe Capograssi fino al 1938. La giovinezza e gli studi in La Civiltà Cattolica vol.3 quaderno 3506 del 20.07.1996 Vittorio Frosini: Capograssi Giuseppe in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1975, vol.18 Giuseppe Papponetti: Capograssi Giuseppe in Gente d’Abruzzo Dizionario Biografico Castelli, Andromeda, 2006, vol.2 Gabrio Lombardi: premessa a Pensieri a Giuliadi Giuseppe Capograssi Milano Giuffrè 1978 Aggiunto in Sulmona l’11 novembre 2014 Giuseppe Capograssi (1889-1956) filosofo giurista