Il brigantaggio e la guardia nazionale

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Il brigantaggio e la guardia nazionale
Informatutti
Bollettino d’Informazione del Comune di Viggiano
Il brigantaggio
e la guardia nazionale
Un progetto per l’archivio
storico comunale
a cosa che colpisce di più
lo studioso straniero che
comincia ad interessarsi al
cosiddetto brigantaggio
post-unitario, quasi sconosciuto del tutto all’estero, è
senza dubbio la polemica
vivissima che si sviluppa ancora
oggi, e oggi più di ieri, intorno
a questi primi dolorosi anni di
vita unitaria.
Quasi centocinquanta anni dopo,
dopo due guerre mondiali, il
brigantaggio meridionale e la
sua repressione rimangono
capaci di suscitare una proliferazione di libri, di essere il tema
di numerose mostre e manifestazioni e addirittura del famoso
cinespettacolo La Storia bandita.
Queste manifestazioni e questi
numerosi studi, purtroppo non
sempre molto seri, hanno fatto
e fanno probabilmente molto
perché sia ritrovato il passato
della gente meridionale.
Hanno fatto e fanno probabilmente molto perché sia ritrovata
(o creata) un’identità propria,
forse ancora più necessaria oggi
in un’Europa allargata ed in un
momento di relativa crisi dello
Stato unitario italiano, simbolizzata dalla presenza al governo
di partiti che rimettono appunto
L
in questione la forma, se non
l’esistenza, di un’Italia unita. Ed
è altrettanto vero che molti libri
scritti in questi ultimi trenta anni
sul brigantaggio, il più spesso da
parte di persone meridionali e
raramente storici di professione,
non parlano d’unità nazionale.
Infatti, insistendo sulle violenze,
vere, della truppa piemontese
possono addirittura suscitare nelle
anime meridionali rancore verso
i settentrionali. Però se cerchiamo
di ritrovare il passato, di scrivere
finalmente la storia del brigantaggio e della sua repressione, bisogna studiarne tutti gli attori e
cercare di fuggire tutta generalizzazione. E’ vero che i metodi
usati dall’Esercito piemontese,
poi italiano, contro le bande
armate meridionali negli anni
1860, fanno pensare più ad un
conflitto coloniale, alla pacificazione francese dell’Algeria (quella
degli anni 1840 come quella
degli anni 1950) che alla santa
storia di un’unificazione voluta
da tutti. Però se accettiamo questa
lettura coloniale del brigantaggio
e della sua repressione, bisogna
cercarne gli “harkis”, i suppletivi
dell’Esercito italiano. Orbene la
truppa piemontese non è affatto
stata sola contro i briganti. Anzi,
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specialmente in Basilicata dove
l’esercito è arrivato più tardi
rispetto alle province del confine
pontificio, molti elementi locali
hanno combattuto i loro fratelli
briganti, nelle milizie private
organizzate dai proprietari, nei
corpi di volontari come la famosa
Cavalleria di Davide Mennuni di
Genzano, e soprattutto nella
Guardia nazionale. La mancanza
assoluta di soldati e soprattutto
il fatto presto scoperto che i
militari, ignoranti del terreno e
delle popolazioni, erano spesso
incapaci di combattere efficacemente i briganti, spinsero, infatti,
le autorità civili e militari ad
appoggiarsi sui Meridionali, e
prima di tutto sulla Guardia
Nazionale.
Creata da Francesco II nel giugno
1860, riorganizzata più volte
prima e dopo l’annessione del
regno delle Due Sicilie, la
Guardia Nazionale si sostituiva
alle Guardie Urbane.
Ufficialmente ne facevano parte
soltanto chi pagavano qualche
tassa. Costituiva così una milizia
borghese, comandata dai proprietari e di cui i militi si reclutavano nel popolo degli artigiani
ma di cui braccianti, contadini,
nullatenenti, in altre parole i veri
“fratelli” dei briganti da un punto
di vista sociale, non erano esclusi
poiché potevano arruolarsi come
volontari. Questi volontari, il loro
numero, le loro origini sociali
non sono mai state studiate mentre sembra un problema centrale
per lo studio della opinione
pubblica meridionale sul “brigantaggio” e sul nuovo regime.
Per potere schierare uomini
contro i briganti, dei battaglioni
e delle compagnie di cavalleria
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della Guardia Nazionale Mobilizzata furono creati al livello provinciale nel 1861 e messe sotto il
comando dell’autorità militare.
Questi battaglioni furono impiegati subito nella repressione,
generalmente accompagnati
da un piccolo numero di fanti,
bersaglieri o cavalieri e spesso
sotto gli ordini d’ufficiali dell’Esercito. Le Guardie Nazionali non
mobilizzate continuarono comunque ad assumere una funzione
di pubblica sicurezza al livello
comunale.
La resistenza alla banda di Borjès
e Crocco da parte della Guardia
Nazionale di Pietragalla, nel
novembre 1862, basterebbe ad
illustrare questo fatto. Ma le
Guardie Nazionali, dipendenti
dall’autorità civile, vale a dire
dal prefetto di Basilicata, potevano anche essere impiegate in
azioni coordinate riunendo i militi
d’alcuni comuni limitrofi.
L’uccisione di Ninco-Nanco dalla
Guardia Nazionale di Avigliano
risultò di un’azione del genere.
Dopo 1865 e la fine della applicazione della legge Pica, la guida
della repressione ritornì alle
autorità civili di cui dipendeva
la Guardia Nazionale.
Soprattutto nel 1866 dato che
molti soldati stanziati nel mezzogiorno erano stati richiamati
nell’Italia settentrionale per
combattere gli Austriaci, le
Guardie Nazionali rimasero sole
di fronte ai pochi briganti rimasti.
Nel 1867 il prefetto Veglio
costatando che “l’idra del brigantaggio non è spenta ancora”
spiegava ai Sindaci lucani che il
Governo “ha saviamente disposto che alle Guardie Nazionali
sia riserbata la prima parte” nella
repressione (Archivio Storico
comunale di Viaggiano, fascicolo
67
“Brigantaggio”, circolare n° 2253
“Brigantaggio”, Potenza, 30
luglio 1867).
Fino allo scioglimento della
Guardia Nazionale nel 1876,
questa ultima, associata ai Reali
Carabinieri, fu l’attore principale
della repressione del brigantaggio. Per quanto riguardo le
Guardie Nazionali di Viggiano,
furono impiegate per esempio
contro la banda Masini. Nel
marzo 1864 il prefetto Veglio
ordinò ai sindaci di Brienza,
Calvello e Viggiano l’organizzazione di perlustrazioni permanenti della Guardia Nazionale
(Archivio Storico comunale di
Viggiano, Fascicolo Brigantaggio,
lettera manoscritta del prefetto
Veglio, Potenza, 6 marzo 1864):
« In questi ultimi giorni, precisava
il prefetto Veglio, le Guardie
Nazionali si resero terribili ai
briganti e altamente benemerita
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della patria : esse hanno quasi
interamente distrutto la banda di
Ninco Nanco. La stessa sorte è
riservata alla banda Masini:
che essa perisse per i vostri colpi.
Coraggio ed energia : sia lotta
a tutta oltranza, e in breve sarà
finita.
Spero ricevere notizia che la sua
Guardia Nazionale ha fatto
mordere la polvere a questi
masnadieri. »
Questo ordine dato dal prefetto
è interessante per vari punti e
non solo perché illustra un’azione
della Guardia Nazionale, né
soltanto per lo stile del prefetto.
Un dettaglio deve interessarci: il
prefetto ordina anche al sindaco
di Viggiano di informare i Carabinieri di Viggiano affinché “vogliano far sortire la squadriglia dei
volontari”.
E’ la prima testimonianza che
abbiamo trovato nell’archivio
comunale di questa squadriglia
di volontari di Viggiano. Infatti
sin dai primi tempi del brigantaggio post-unitario, le autorità civili
hanno cercato di involgere
al massimo gli abitanti delle
province dichiarate “infestate dal
brigantaggio”. L’arruolamento
volontario nella Guardia Nazionale fu una prima soluzione ma
non l’unica. Nel novembre 1862
per esempio, mentre gli uomini
di Crocco e di Borjès minacciavano addirittura Potenza, e mentre
era stato dichiarato lo stato
d’assedio, il prefetto reggente
Bruni avvisava tutti i sindaci di
Basilicata della creazione a
Potenza di una “Associazione per
la distruzione del brigantaggio”
costituita da “cittadini di varia
condizione” allo scopo di “finirla
una volta con quel branco di
malfattori, oramai reso più vile
dallo sgomento, per le continuate
battute che il valore della Truppa
e delle Guardie Nazionali gli ha
fatto toccare. Piccolo e stremato
è il nemico, ma bisogna non
illudersi : finché non si schianti
il germe della mala genia,
vedrem sempre riprodotte le
scene di distruzione che finora ci
hanno contristato. » (Archivio
comunale storico di Avigliano,
fascicolo Brigantaggio, lettera ai
Signori Sindaci, Potenza, 25
novembre 1865).
Nel 1863, allo scopo di «
purgare la Basilicata de’ superstiti
sicari della decaduta tirrania »,
il prefetto Bruni invitava i sindaci
lucani a promuovere l’arruolamento nei corpi di volontari che
combattevano i briganti «indipendamente dalle operazioni
della forza regolare e delle milizie
cittadine mobilizzate o in distaccamento » (Archivio comunale
storico di Avigliano, fascicolo
Brigantaggio, lettera ai Signori
Sindaci, Potenza, 1° agosto
1863). In fine una delle soluzioni
proposte nell'agosto 1863 dalla
Commissione Parlamentare
d’Inchiesta sul brigantaggio fu
appunto la creazione di squadriglie di volontari composti dai
«giovani volentorosi, i quali
null’altro domandano se non dar
saggio della loro devozione agli
interessi della patria e gagliardamente concorrere alla tutela
dell’ordine sociale. »
La proposta fu concretizzata
nell’articolo 7 della famosa legge
del 15 agosto, conosciuta come
legge Pica :
“Art. 7. Il Governo del Re avrà
facoltà di istituire compagnie o
frazioni di compagnie di volontari
a piedi od a cavallo, decretarne
i Regolamenti, l’uniforme e l’ar-
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mamento, nominare gli ufficiali
e bassi-ufficiali ed ordinarne lo
scioglimento.
I volontari avranno dallo Stato
la diaria stabilita per i militi mobilizzati; il Governo però potrà
accordare un soprasoldo, il quale
sarà a carico dello Stato.”
Questi volontari non furono mai
veramente studiati. Si considera
il più spesso che non poterono
veramente svilupparsi data
l’opposizione da parte dell’Esercito, poco favorevole all’esistenza
di una forza armata che rimetterebbe in questione il monopolio
dell’Esercito sulle armi. L’esistenza
comunque di queste squadriglie
è attestata da alcuni documenti
conservati per esempio all’Archivio di Stato di Potenza (ASPZ,
Prefettura, Brigantaggio, busta
33). A Viggiano la squadriglia fu
per esempio impegnata nell’ottobre e novembre 1868 contro la
banda del brigante viggianese,
Giuseppe Miglionico detto Scopettiello, di cui festeggiò la morte
ma non ne fu l’autore (Scopettiello fu ucciso il 28 dicembre
1868 da Francesco Palumbo che
gli spara alle spalle mentre il
brigante si era sistemato per la
notte a casa del Palombo e stava
scrivendo al Sindaco Nigra di
Viaggiano per chiedergli un passaporto per l’Estero).
La squadriglia partì almeno sei
volte a perlustrare per un totale
di 48 giorni di servizio. Il capitano
era Vincenzo LAROCCA che prestava servizio gratuitamente. Gli
altri ricevano tutti la stessa diaria,
il Luogotenente Gaetano IRANI
e il Sottotenente Michele GATTA
come tutti i militi:
1. BAFFA Egidio ;
2. BLASE Francesco di Giuseppe;
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3. DI GIUSEPPE Domenicantonio
4. IELNO ( ?) Nicola ;
5. IRANI Gabriele ;
6. LAMACCHIA Prospero ;
7. MAGO Francesco ;
8. MODENA Pasquale ;
9. VENANZIO Colombo ;
10. VIETRI Giuseppe.
L’archivio storico di Viggiano
conserva anche documenti concernenti gli anni 1870, fra i quali
uno del 18 luglio 1877 (cioè
dopo lo scioglimento della
Guardia Nazionale nel 1876)
che evoca la creazione di una
« squadriglia formata in persecuzione dei briganti » secondo
l’espressione del Sindaco.
Al margine troviamo una lista di
7 nomi (poco leggibili):
1. BLANIS (?) Leonardo,
fu Domenicantonio ;
2. SETACO (o Setaro) Andrea,
fu Saverio ;
3. MGLIONICO Francesco,
fu Prospero ;
4. MIGLIONICO Prospero,
fu Leonardo ;
5. MIGLIONICO Andrea,
fu Giuseppe ;
6. MIGLIONICO
Francescantonio (?),
fu Giuseppe.
Purtroppo queste liste, con le
precisioni che potreste darmi,
potrebbero dirci molto di più del
semplice fatto che degli elementi
locali hanno preso parte alla
repressione del brigantaggio,
anzi che ci hanno avuto la parte
principale per mancanza dei
soldati.
Chi sono questi volontari delle
squadriglie viggianesi: contadini
interessati dalla diaria, artigiani
o piccoli borghesi cercando di
avvicinarsi dal potere di cui erano
finora tenuti lontano, ex-manutengoli o addirittura figli di banditi
mirando a sbarazzarsi dello
stigma che portano?
Cosa cercano i tre Miglionico
della squadriglia del 1877?
La ricerca che mi propongo di
fare nell’ambito della mia tesi di
dottorato sulla Guardia Nazionale e i volontari nella repressione del cosiddetto brigantaggio
(al livello della provincia di Basilicata e con precisi studi locali
come quello che intendo fare su
Viaggiano) potrebbe diventare
in questo modo una via d’ingresso verso uno studio non soltanto
della partecipazione di meridionali alla repressione del brigantaggio.
Questo primo punto è centrale
perché se l’importanza di questa
partecipazione viene provata
dalla consultazione di documenti
d’archivio, purtroppo disseminati,
imporrebbe di considerare il
brigantaggio non soltanto come
una guerra contro un esercito
straniero come spesso è presentato oggi, ma anche come una
dolorosa guerra civile nella quale
le divisioni non si superponevano
sempre alle divisioni sociali. Per
di più questo studio, e quello
legatoci della creazione di una
nuova gestione della pubblica
sicurezza, potrebbero permettere
di studiare la transizione da un
regime politico all’altro e da una
società tradizionale ad una
società detta moderna, con tutte
le strategie d’adattamento, conciliazione, promozione messe in
atto dai vari attori sociali.
Vorrei concludere questa breve
presentazione ringraziando per
la loro gentilezza i Viggianesi che
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ho potuto incontrare durante il
mio troppo breve soggiorno
primaverile.
Ringrazio specialmente il Professore Vittorio Prinzi per la nostra
camminata alla sulle tracce di
Scopettiello, il Sindaco Giuseppe
Alberti per avermi autorizzato a
consultare l’Archivio comunale,
il Vice Sindaco Enzo Vinicio Alliegro, Professore della Università
di Napoli “Federico II”, per il suo
aiuto e i suoi consigli.
E soprattutto voglio ringraziare
Don Paolo d’Ambrosio per avermi accolto come un re e senza
il quale non sarebbe stato possibile questo inizio di ricerca.
Pierre - Yves Manchon
Università di Parigi I - Sorbone
Tesi di dottorato sotto la direzione
del Professore Gilles Pècout