Il ruolo dell`acqua nei luoghi sacri della Basilicata antica

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Il ruolo dell`acqua nei luoghi sacri della Basilicata antica
Alfonsina Russo
IL RUOLO DELL ’ACQUA
NEI LUOGHI SACRI DELLA B ASILICATA ANTICA
Le proprietà vivificanti, purificatrici e terapeutiche dell’acqua sono state esaltate nell’antichità fin dal periodo omerico. L’acqua viene infatti evocata in più occasioni sia
nell’Iliade che nell’Odissea in relazione alle attività quotidiane, ma soprattutto come
elemento divino, sacro e soprannaturale. L’acqua della pioggia viene sparsa sulla terra
da Zeus; il mare è dominio di Poseidone; i fiumi sono divinizzati o personificati; le
fonti, infine, sono protette dalle Ninfe. L’acqua che sgorga dalla terra -da cui tutto
nasce e a cui tutto ritorna- si carica, attraversando il sottosuolo, delle memorie del passato e dei segreti del futuro e dunque dona capacità oracolari e iatromantiche. In quest’ultimo caso, le divinità inviano al malato, durante il sonno, alcuni messaggi in cui
l’acqua suggerisce la via per la guarigione; in alcuni santuari della Grecia (Epidauro,
Corinto, Cos) gli apprestamenti per far circolare l’acqua nei dormitori ove i malati passavano la notte confermano tale ipotesi.
In età ellenistica, Teofrasto nella sua opera Delle acque, distingue le qualità di differenti
tipi d’acqua e gli effetti terapeutici sugli esseri viventi. Nel II secolo d.C., nel trattato
Sull’aria, sull’acqua e sui luoghi di Ippocrate, il tema dell’acqua ha un rilievo notevole
in quanto influisce e condiziona la salute degli uomini. Infatti, quello che il medico
deve conoscere preliminarmente per giudicare la qualità delle acque è la loro dynamis,
ossia il loro potere di agire sul corpo umano1.
Se dunque l’acqua allontana le malattie, annulla la contaminazione, queste sue qualità
sono particolarmente importanti nelle pratiche religiose. In molti santuari antichi, in
prossimità dell’entrata è collocato il louterion, la cui somiglianza morfologica con le
moderne acquasantiere conferma l’identità di funzione: la purificazione del fedele attraverso l’aspersione con acqua prima di partecipare al sacrificio presso l’altare.
Infatti, spesso, durante l’antichità, i santuari sono costruiti sul luogo in cui sgorga una
sorgente, che dunque poteva fornire in abbondanza l’acqua destinata al culto; spesso tali
acque possedevano delle virtù terapeutiche e venivano sfruttate in modo analogo al termalismo moderno. L’acqua nei santuari veniva dunque utilizzata nelle abluzioni purificatorie per rendere puri corpo e mente, nei bagni prenuziali per conferire alle giovani
spose forza fecondante, nei passaggi di status da età adolescenziale a quella adulta.
Talvolta veniva praticato anche il bagno della statua della divinità per conferire nuova
energia, giovinezza e per rinforzare la potenza divina.
Anche nei luoghi sacri della Basilicata antica il ruolo dell’acqua appare centrale nel rito
e nel culto.
Uno dei santuari più antichi della regione, risalente all’ultimo quarto del VII secolo a.C., è
quello di San Biagio alla Venella, sorto al limite della chora della colonia achea di Metaponto,
in prossimità del fiume Basento e in un’area ricca di sorgenti. Una serie di apprestamenti
testimoniano l’utilizzo dell’acqua nei riti sacri di purificazione. Un piccolo sacello (oikos),
decorato da una serie di lastre in terracotta con scena di partenza del guerriero, è affiancato
da alcune vasche monumentali, verso le quali defluiscono le acque delle sorgenti.
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Nell’area sacra veniva espletato un culto doppio, femminile e maschile. La divinità
femminile attestata nel santuario di San Biagio è Artemide, come si deduce dall’XI epinicio di Bacchilide (autore greco del V secolo a.C.), che cita un culto dedicato alla dea
della caccia, con le epiclesi Hemera e Agrotera, presso il fiume Kasas, antico Basento.
Tale culto era collegato al mito delle Pretidi, fanciulle rese folli dalla gelosia di Hera e
risanate da Artemide2.
Alla natura lunare di questa divinità si ascrivevano notevoli influssi sui fenomeni naturali, come su taluni aspetti della vita vegetale, animale e umana. Tale dea esercitava un potere benefico sulla natura selvaggia, sulle acque dei fiumi e dei laghi, sui boschi, soprattutto per le virtù fertilizzanti della rugiada che scendeva di notte sulla vegetazione.
Artemide è anche la dea che regna sui margini, sui confini e non è un caso che il luogo
sacro sia posto ai limiti del territorio merapontino; inoltre, tutela i necessari momenti di
passaggio dell’esistenza (la nascita, il matrimonio, la morte), così come si prende cura dei
giovinetti e delle fanciulle: queste ultime per devozione le offrivano riccioli dei capelli,
gioielli e giocattoli. Sotto questo aspetto la dea protegge le giovani spose e le aiuta nella
difficile ora del parto. Forse il legame di Artemide con le funzioni sessuali della donna
potrebbe attingere le sue origini nella connessione che gli antichi vedevano con le fasi lunari.
fig. 68. Garaguso.
Santuario. Protome
femminile
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Russo
Il culto maschile, come testimoniato da un’iscrizione del
SATRIANO
ARMENTO
500 a.C., era dedicato a Zeus
Aglaios (splendente), il sommo
degli dei, divinità per eccellenza del cielo, della luce e dei
fenomeni atmosferici.
Alla divinità dispensatrice di
pioggia era naturale che in
quest’area sacra del territorio
della colonia achea fosse attribuita anche la protezione delle
colture agricole e che la si invocasse in varie fasi del ciclo agrario. Zeus era inoltre consideraLAVELLO
SAN CHIRICO NUOVO
to, insieme ad Eracle, modello
del valore, della prestanza fisica
e della vittoria in battaglia.
Mentre il culto maschile ha
un carattere celeste, quello
femminile dunque è ctonio,
legato alle acque sorgive purificanti e alla fecondità.
I doni votivi rinvenuti nelle
stipi sono, in primo luogo,
louteria (vasi per acqua), thy miateria
(
vasi
brucia
profumi),
statuette
raffiguranti
la
signora degli animali (potnia
fig. 69. Pianta dei
principali santuari theron), oggetti di ornamento personale (spilloni, fibule)3.
indigeni della Lucania In un’area limitrofa alla chora metapontina sorge il primo luogo sacro indigeno, con
forme di culto di tipo greco. Si tratta del santuario di Garaguso, sviluppatosi lungo un
vecchio tratturo che collega il Basento alla Salandrella e in prossimità di una sorgente.
Una canalizzazione e una cisterna documentano, anche in questo caso, l’utilizzo dell’acqua durante i riti sacri. Uno dei depositi votivi rinvenuti testimonia la precocità del
luogo di culto, databile, nelle sue prime fasi, alla prima metà del VI secolo a.C. Gli ex
voto deposti sono protomi femminili (fig. 68), statuette in terracotta di nutrici, di portatrici di cofanetti, di fiori e frutta, della dea Demetra con fiaccola a croce e porcellino, oltre che di personaggi maschili. Anche in questo caso si tratta di un culto dedicato ad una divinità femminili connessa con riti di purificazione legati a momenti particolari della vita, quali la nascita, il passaggio da età infantile ad età adulta, il matrimonio, così come al ciclo agrario (semina e raccolta dei prodotti agricoli), alla fecondità della terra4.
Nello stesso santuario indigeno di Garaguso, accanto ai numerosi votivi in terracotta
che documentano una devozione popolare, un dono prezioso dei Greci di Metaponto
alla divinità è rappresentato dal noto tempietto marmoreo con dea seduta in trono,
databile al primo quarto del V secolo a.C.
Nel corso del IV secolo a.C. si accresce, in maniera considerevole, il ruolo attribuito
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alla religione dalle genti indigene della Basilicata. L’intera regione, ad eccezione del
Melfese e di parte del Materano che continuano ad essere abitati da genti apule
(Dauni e Peuceti), è investita da profonde trasformazioni connesse all’emergere dell’ethnos dei Lucani, con notevoli cambiamenti negli assetti territoriali e nell’organizzazione insediativa. Accanto agli abitati fortificati di altura, alle fattorie sparse connesse allo sfruttamento agricolo delle aree più pianeggianti, sorgono numerosi santuari che rivestono un importante ruolo di coesione politica, oltre che religioso ed
economico (fig. 69).
La maggior parte dei luoghi di culto conosce una fase di monumentalizzazione tra la
seconda metà del IV e il pieno III secolo a.C. Alcuni santuari continuano ad essere frequentati, anche nel periodo successivo alla conquista romana, fino agli inizi del II secolo a.C. (Armento, Satriano). L’unico che conserva un ruolo politico anche nel periodo
successivo ai sommovimenti sociali, che porteranno all’immissione degli Italici nella cittadinanza romana, è il santuario di Rossano di Vaglio, che perdura fino al I secolo d.C.
È evidente il rapporto tra luoghi sacri e sorgenti d’acqua, con la conseguente necessità
di realizzare apprestamenti idraulici più o meno complessi a secondo del diverso grado
di monumentalità del santuario stesso5.
Nella maggior parte delle aree sacre, appare chiara, in relazione agli ex voto rinvenuti, la partecipazione al culto da parte sia dei guerrieri che delle donne appartenenti alle
singole comunità indigene6. L’attestazione di un doppio culto (maschile e femminile),
possibile in alcuni di questi santuari, è, in ogni caso, ben documentata, attraverso la
documentazione epigrafica, a Rossano di Vaglio7.
Il dato più significativo che emerge dall’analisi comparata dei santuari indigeni della
Basilicata riguarda la definizione di una possibile gerarchia8 fra gli stessi evidenziata
dalla presenza/assenza di alcuni particolari indicatori, quali la complessità planimetrica e la monumentalità architettonica, la presenza di iscrizioni, di statue in bronzo (di
culto, donari) e in marmo, di ex voto in metalli preziosi.
Tutti questi elementi ricorrono a Rossano di Vaglio, che si configura come un luogo
di culto di rilevanza etnica, con funzioni economiche e soprattutto politiche. È molto
verosimile dunque l’ipotesi che identifica Rossano come il santuario federale di tutti i
Lucani9, in rapporto, a partire dal II a.C., con la Potentia romana che sostituisce il più
antico abitato indigeno di Serra di Vaglio come entità urbana.
Il santuario di Armento si identifica invece in un luogo di culto di minore rilevanza
rispetto a quello di Macchia di Rossano. In esso si possono infatti riscontrare solo due
degli indicatori elencati precedentemente: la monumentalità architettonica e l’articolazione a livello planimetrico, la presenza di statue in bronzo. Esso si identifica dunque in un santuario cantonale, dotato di particolari valenze economiche e politiche.
Di interesse locale, collegati ad uno o a più insediamenti indigeni vicini o soltanto a
fattorie, possono essere considerati gli altri santuari. I santuari di Rivello e di San
Chirico Nuovo sembrano essere accomunati dalla presenza di un grande ambiente rettangolare, ove venivano collocati (sospesi sulle pareti o su sostegni lignei) gli ex voto.
Stipi votive si ritrovano a Timmari, Ruoti, Chiaromonte, Rossano.
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Russo
fig. 70. Rossano di Vaglio. Sagrato del santuario con il grande altare
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Il santuario di Rossano di Vaglio
Il santuario lucano più importante è senza
dubbio quello di Rossano di Vaglio (fig.
70). L’area sacra, sorta a pochi chilometri
dall’importante centro di Serra, è ubicata
alla confluenza di importanti tratturi che
collegano la Lucania interna con l’Apulia
e con la costa ionica e presso una sorgente
ancora oggi attiva10. L’impianto architettonico denota una ricerca di effetti scenografici: esso infatti è caratterizzato, nella
sua fase finale, da un’ampia terrazza lastricata circondata su tre lati (sud, est e ovest)
da portici monumentali e da una serie di
vani funzionali al culto e alla raccolta degli ex voto dei fedeli. Nel grande sagrato in
posizione eccentrica è un doppio altare, stretto e molto allungato. Un’ampia scalinata,
costruita al centro del lato settentrionale e monumentalizzata da due fontane poste ai
lati, collega questa terrazza con un’altra superiore11. Probabilmente sul lato opposto,
meridionale, all’esterno e in corrispondenza del vano 1, un’ulteriore scalinata collegava il santuario con la valle sottostante. Una serie di canalette percorrevano il piano
pavimentato per il deflusso delle acque sorgive (fig. 71). All’interno dei sagrati dovevano essere collocate numerose basi con donari e le relative iscrizioni. Probabilmente
l’attività edilizia mirante alla monumentalizzazione e alla ridecorazione del santuario
si colloca nel corso del II secolo a.C., periodo al quale sono ascrivibili la maggior parte
delle iscrizioni e le statue marmoree di provenienza microasiatica. Proprio un modello microasiatico è alla base della elaborazione architettonica dell’ultimo impianto del
santuario: in modo particolare esso ricorda, sia pure in
scala ridotta, la pianta del grande santuario di Cos12.
Per quanto riguarda la struttura e i materiali (figg. 72-74)
dei diversi vani, si nota che in uno degli ambienti laterali
vi è una base forse per sostenere statue (con il lato di 2,50 m.),
presso la quale si sono rinvenuti diversi lembi di panneggi
in bronzo, elementi di capigliatura in bronzo, un rametto
di alloro in bronzo e, infine, la famosa testina bronzea
detta della Mefitis e, di recente, un piede, sempre in bronzo, che calza un sandalo.
La maggior parte del materiale fittile sembra essere concentrata negli ambienti 1 e 2: si tratta di statuette femminili (soprattutto nel vano 1), di elementi di grandi statue in terracotta. Oltre a ciò, dal vano 2 provengono
frammenti di statue in bronzo, punte di lancia, monete,
frammenti di oro, un torso femminile in marmo13 e vari
frammenti marmorei; dall’ambiente 1 vasetti acromi,
thymiateria, fibule, frammenti di cinturoni e di elmi,
chiodi e uncini forse utilizzati per la sospensione degli ex
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fig. 71. Rossano di
Vaglio. Sagrato del
santuario con le
canalette per il deflusso
delle acque sorgive
fig. 72. Santuario di
Rossano di Vaglio.
Statuetta in bronzo
Russo
fig. 73. Santuario di
Rossano di Vaglio.
Orecchino in oro
fig. 74. Santuario di
Rossano di Vaglio.
Planimetria
voto. Particolarmente interessante è tutta l’area
ovest della terrazza, che sembra aver subito il
maggior numero di rimaneggiamenti in età imperiale (I secolo d.C.) e dalla quale provengono i
materiali più tardi (lucerne di I secolo d.C.).
Nell’ambiente situato a destra dell’ingresso si concentrano numerosi fittili, thymiateria, frammenti
di ferro e bronzo; in particolare nella zona sud del
vano erano inoltre collocate una trapeza (tavolo)
in pietra di cui resta uno dei due supporti, un trapezoforo della seconda metà del I secolo a.C.14, e
una statua femminile (o un busto) in marmo,
della quale è stata individuata la testa15, databile al
IV a.C. Una enorme “cavità”, molto verosimilmente una stipe, venne realizzata, sempre nella
parte meridionale dell’ambiente 4, poco prima
dell’abbandono del santuario (in quanto contiene
materiale databile tra IV secolo a.C. e I secolo d.C.); da quest’ultima provengono le tre
statue di marmo microasiatico, un erote in marmo, una ruota di carro in ferro, piedi di
tripodi in ferro, frammenti di una statua femminile in bronzo, un orecchino in oro, un
gruppo di lucerne di età imperiale e, infine, un modellino di carro da guerra, due lance
miniaturistiche -rispettivamente con punta cuoriforme e romboidale-, un fuso miniaturistico16. I portici (corrispondenti agli ambienti 2 e 4) erano dotati di decorazione
architettonica (antefisse su entrambi i tetti, grondaie a testa leonina sul tetto del vano
4), mentre il portico 3 era privo di qualsiasi tipo di decorazione architettonica, ma
era dotato di sei capitelli corrispondenti ad
altrettante basi di colonna.
Particolarmente interessante è la concentrazione delle dediche a carattere privato nella
zona in prossimità dell’ingresso al vano 3,
mentre quelle pubbliche sono poste presso
l’ambiente 417.
A ovest della terrazza è stata individuata
una grande vasca non ancora scavata18.
L’area sacra, già autorevolmente identificata in un santuario di tipo etnico19, nasce
nel corso della seconda metà del IV secolo a.C., viene probabilmente monumentalizzata nel II secolo a.C. e abbandonata
nel I secolo d.C.
Il culto si organizza intorno al grande altare, alla vasca e alle fontane; i vari ambienti ospitano i numerosissimi ex voto dei
fedeli, mentre i portici accolgono probabilmente i signa delle divinità venerate:
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fig. 75. Santuario di
Armento. Muro di ter razzamento tra le due
terrazze principali e
cisterna
Mefitis, Numulo, Mamert, la coppia urania Iuppiter e Domina Giovia e i reges. In base
al vasto repertorio epigrafico rinvenuto nel santuario, si è individuato un sistema binario incentrato sulla cerchia di Giove e la cerchia di Cerere, anche se la divinità principale titolare del culto a Rossano di Vaglio è Mefitis. Mefitis è una figura divina che riunisce sincretisticamente molteplici valenze: è dea celeste e ctonia, tellurica, delle acque
sorgive, salutifera, mediatrice, propiziatrice delle unioni e della fecondità, ha spiccati
tratti erotici affini a quelli di Afrodite. Comunque, accanto alla prevalente figura di
Mefitis compare una figura divina maschile guerriera e il culto ad entrambi veniva prestato molto probabilmente presso il doppio altare.
Gli ex voto raccolti durante lo scavo dell’area sono migliaia, mentre si contano almeno tre statue in bronzo di diverse dimensioni20, tre statue femminili di marmo microasiatico21, un torso femminile22, una testa femminile in marmo23 e numerosi oggetti vari
in bronzo, tra cui una foglia di vite, un rametto di alloro24 e un bocciolo. Interessante
è, infine, il rinvenimento di appliques in terracotta di tipo tarantino che potevano
decorare cassettine lignee oppure klinai25.
Le offerte votive rimandano da un lato alla sfera femminile, al mundus muliebris, al delicato momento di passaggio del matrimonio che segna la vita delle fanciulle, ma non
mancano anche statuette di fanciulli ignudi con cassettine contenenti forse i giuochi
infantili in procinto di essere abbandonati. Alla guerra e al valore militare alludono le
numerosissime armi reali e gli esemplari miniaturizzati di punte di lancia in bronzo.
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Russo
Il santuario di Armento
In località Serra Lustrante, zona dalla notevole produttività agricola, ricca di acque sorgive e
alla confluenza di tratturi provenienti dalla Lucania orientale, dalle colonie greche della costa
ionica e dall’ambito tirrenico, si sviluppa un importante santuario lucano (figg. 69, 75). Alla
seconda metà del IV secolo a. C. risale la prima fase del monumentale santuario di Eracle,
che da quest’epoca sembra rivestire il ruolo di centro economico, politico e religioso delle
comunità indigene insediate nella media val d’Agri. L’area sacra si sviluppa, tra la fine del IV
e gli inizi del II secolo a.C., su una collina alla confluenza di numerosi tratturi della transumanza e posta a controllo di un territorio ricco di boschi, di sorgenti e di corsi d’acqua a
carattere torrentizio.
Fin dai primi momenti di vita del santuario appare centrale il ruolo dell’acqua nel rito e nel
culto. La prima fase è infatti caratterizzata da una serie di strutture collocate sulla terrazza inferiore, tra cui un piccolo sacello, che custodiva la statua di culto, l’altare antistante, una sala
per banchetti, un pozzo-cisterna e una vasca. Tra quest’ultima e l’altare si dispiega un percorso cerimoniale, costituito da una fascia pavimentale in mattoni, lungo il quale venivano espletati funzioni e riti connessi con l’uso dell’acqua e, probabilmente, con il sacrificio cruento26.
fig. 76. Santuario di
Armento. Antefissa a
testa di gorgone
111
figg. 77-78. Santuario
di Armento. Pelle di
leone e clava in bronzo
Successivamente, durante i primi decenni del III secolo a.C., il luogo sacro si monumentalizza modellandosi su esempi architettonici desunti dall’ambito greco ellenistico, con due terrazze raccordate da un’ampia scalinata. Su ciascuna terrazza apprestamenti particolari rimandano a due aree cultuali topograficamente distinte, ma collegate tra loro attraverso una “via sacra”.
Su quella inferiore, il più antico sacello viene obliterato e si costruisce un naiskos identico al precedente, circondato da un nuovo percorso cerimoniale pavimentato che collega la scalinata alla cisterna, ad un bacino lustrale e all’altare (bomos). Accanto al
bomos erano collocate due basi modanate, probabili supporti di statue bronzee e di
offerte. Tale sistemazione reale, per la processione sacra durante la quale la vittima
veniva condotta al sacrificio, sembra suggestivamente richiamare immagini riprodotte
sui vasi attici a figure rosse in cui lo spazio del santuario, come ad Armento, è organizzato intorno all’altare e alla vasca lustrale.
In questa fase la cisterna viene monumentalizzata, raccordata a un lungo e complesso corridoio sotterraneo utilizzato per la captazione delle acque sorgive e alimentata
da una serie di canali in terracotta che convogliavano le acque piovane provenienti
dalla terrazza superiore. Dietro l’altare, verso est, si apre una serie di vani di servizio
decorati da antefisse, delle quali resta una a testa di gorgone di tipo calmo (fig. 76).
Sulla terrazza superiore si sviluppano ampi ambienti, di cui uno destinato a sala per banchetti, per il consumo delle carni arrostite e del vino, con un focolare centrale e una banchina laterale con patere con ossa di volatili ancora in situ. Strettamente connesso con la sala per banchetti è un particolare apprestamento costituito da quattro vasche interrate (bothroi) prive di
fondo, di cui tre, dalle stesse dimensioni, hanno le pareti intonacate di rosso-porpora, colore
che ricorda quello del sangue. Tra di esse è la base modanata di un’ara, innanzi alla quale è un
plinto, anch’esso in arenaria, per statua o, più verosimilmente, per vasi o altri oggetti funzionali al rito. L’ara, in questo caso, può essere considerata una sorta di mensa, ove il corpo della
vittima veniva trattato per la raccolta del sangue da offrire successivamente nei bothroi.
L’attestazione, infine, di grandi louteria, individuati in tutta l’area del santuario, e l’iterazione di louteria in miniatura, rinvenuti nel piccolo sacello, confermano la centralità dell’acqua nel culto.
La divinità destinataria del culto appare Eracle, di cui restano parti (la clava e la pelle
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di leone con la faretra) di una statua bronzea alta circa 60 cm (figg. 77-78). Sulla base
delle fonti letterarie e della ricerca archeologica, il culto dell’eroe-dio, sia in Grecia che
in Occidente, coincide solitamente con luoghi ricchi d’acqua e di sorgenti27. Inoltre,
spesso Eracle è considerato scopritore di fontane e di sorgenti salutifere (Erodoto, VII
76; Diodoro IV, 23) ed in numerosi santuari italici a lui dedicati sono attestati, come
ad Armento, apprestamenti legati all’utilizzo delle acque (pozzi, canalizzazioni, fontane e vasche) con diverse finalità, in base al contesto di riferimento: per lustrationes o
per bagni rituali, per rigenerazioni, per funzioni terapeutiche, per dissetare uomini e
armenti. Nel santuario di Armento, Eracle sembra presiedere a riti iniziatici ricollegandosi, da un lato, in quanto eroe della palestra, ai valori dell’atletismo e rappresentando, dall’altro, il paradigma eroico della virtus dei guerrieri lucani. Il carattere di
alcuni ex voto miniaturistici rimanda infatti alla paideia maschile e soprattutto all’universo giovanile: all’educazione atletica, con l’allenamento e la cura del corpo da parte
degli efebi, e all’agonismo, concepiti come una preparazione ai doveri militari, allude
il corredo sportivo costituito dal gruppo aryballos-strigile; alla caccia rimandano le
punte di freccia; alla guerra l’offerta delle punte di lancia; all’ agricoltura gli attrezzi,
quali la scure e il falcetto.
Accanto ad Eracle, ad Armento sembra attestata un’ulteriore figura maschile divina,
Dioniso, che allude simbolicamente al simposio, alla sessualità e alla fertilità. Al dio del
vino rimandano infatti due oggetti particolari in bronzo, entrambi rinvenuti nel sacello
e costituiti da un kantharos, di cui resta solo il piede, e dalla parte inferiore di un otre. Il
primo oggetto è l’attributo per eccellenza di Dioniso, mentre l’otre, contenitore del vino
puro, è associato anche a personaggi del thiasos dionisiaco, soprattutto satiri e sileni.
Alquanto problematica appare la presenza di un culto prestato ad una divinità femminile all’interno del santuario; ad esso rimandano esigue testimonianze rappresentate da
una statuetta di divinità femminile velata seduta in trono, dai due busti fittili e da un
probabile scettro bronzeo desinente in bocciolo di fiore di melograno, pianta particolarmente legata a Kore-Persefone, dea connessa al ciclo naturale vita-morte e agrario.
All’universo femminile, al mundus muliebris allude l’offerta di ornamenti miniaturizzati, quali le fibule e l’armilla; alla cura del corpo afferiscono strumenti da toeletta,
quali le spatoline, gli unguentari, una cista e il lebes gamikos. Chiaro è inoltre il riferimento alle consuete occupazioni della donna all’interno della casa (oikos) ed in particolare all’attività della tessitura e della filatura, come evidenziato dalle fuseruole e dai
numerosi pesi da telaio sparsi in tutta l’area del santuario. Il motivo della filatura e
della tessitura sulle raffigurazioni greche (ceramiche e stele funerarie) e il rinvenimento di alcuni utensili riferibili a tali attività in santuari della Grecia sono stati ricollegati al delicato momento di transizione delle fanciulle prossime al matrimonio.
Sia alla sfera femminile che a quella maschile si riferiscono probabilmente le statuette
di offerente con leprotto, animale caro ad Afrodite e che nell’immaginario greco rappresenta uno dei doni erotici per eccellenza. Strettamente connessi con i rituali iniziatici, in quanto simbolo di rinascita a nuova vita, sono l’uovo bronzeo, ritrovato nel
sacello, e i resti di autentiche uova di volatili, all’interno dei due busti in terracotta,
collocati insieme alle altre stauette, in una teca nella sala per banchetti della terrazza
superiore. Nei riti di passaggio è, infatti, fondamentale la funzione ideologica della
morte simbolica (morte iniziatica) che diventa momento di transizione verso una
nuova condizione, una nuova “vita”.
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Il santuario di Armento, posto all’interno della Lucania in un sito strettamente connesso con la pratica della transumanza, costituisce il luogo privilegiato in cui i giovani lucani, provenienti probabilmente da quei gruppi oligarchici che detenevano il
potere nell’organizzazione politico-militare, conseguono la piena maturità politica e
militare. Garante di tali riti di transizione è Eracle, progenitore mitico delle genti di
stirpe osco-sannita che presiede alle prove iniziatiche dei giovani capi lucani, l’unico
in grado di tutelare la creazione di un nuovo e stabile equilibrio dei poteri nell’ambito della comunità indigena.
Santuari della Basilicata centro-settentrionale
Satriano
L’area sacra sorge non lontano dall’insediamento lucano di Satriano, in prossimità di
un tratturo e di una sorgente. La fase iniziale, e anche monumentale, del santuario è
da collocare nella seconda metà del IV secolo a.C., in concomitanza con una ristrutturazione dell’abitato lucano.
Il santuario è costituito da un edificio rettangolare provvisto di tetto e diviso in due vani
(cfr. fig. 69): il primo, quadrato, fungeva da cucina; il secondo, rettangolare, è stato
identificato in una sala per banchetti dotata di una piccola trapeza lignea sul lato est,
con due statuette femminili e un thymiaterion. L’ingresso di quest’ultimo vano è dotato di pilastrino su cui è collocata una phiale in bronzo per contenere acqua per purificare chiunque entrasse nella sala per banchetti. All’interno si rinvennero una spada,
alcune punte di lancia e frammenti di spiedi.
Verso sud, nella terrazza sottostante, è un edificio quadrangolare aperto a sud e provvisto
di tetto. All’interno erano deposti oggetti connessi con il mundus muliebris: una fibula, protomi femminili, statuette femminili, una fusaiola, coppette a vernice nera, uno spiedo in
ferro, monete28. Poco lontano, è un recinto rettangolare piuttosto irregolare, presso il quale
sono stati rinvenuti numerosi frammenti di thymiateria e di gocciolatoi in terracotta.
Le fasi cronologiche dell’area sacra di Satriano si collocano tra la seconda metà del IV secolo a.C. e gli inizi del II a.C., quando viene abbandonato29 .
Per quanto riguarda il culto, anche in questo caso si tratta di una divinità femminile, protettrice dei valori della casa (oikos), della sfera della fecondità e della riproduzione. Le offerte di armi e spiedi, rinvenuti nella sala rettangolare, testimoniano una devozione anche da
parte dell’elemento maschile della comunità lucana e rimandano alle pratiche militari e ai
pasti comuni che si caricano, in società guerriere, di una valenza politica.
Ruoti
Il santuario si sviluppa a nord-ovest dell’attuale centro di Ruoti, tra le fiumare di Ruoti
e di Avigliano, la prima affluente del Basento e la seconda del Bianco, a sua volta tributario del fiume Sele.
Le strutture scavate si limitano a due piccoli vani pavimentati in cocciopesto, inter114
Russo
pretati quali vasche o fontane e delimitati verso valle da un lungo muro che funge probabilmente anche da terrazzamento. Verso monte, nell’area meridionale dello scavo si
è individuata una stipe ricolma di ex voto, scavata nel banco tufaceo30.
Tra i materiali votivi si sono rinvenuti numerosi tipi di thymiateria, molta ceramica
fine a vernice nera, soprattutto patere e coppe, numerose brocche e olpai, unguentari
e qualche olla. Nell’ambito della coroplastica degne di nota sono testine femminili,
con polos, polos e velo, cercine, corona di foglie di edera, alto nodo, basso nodo posto
sulla nuca; alcune di esse sono pertinenti a statuette di divinità femminile seduta attestate sia a Rossano di Vaglio che ad Armento31, altre sono del tipo pestano32. Sono presenti figure femminili stanti completamente ammantate e busti. Alcune figure femminili recano una cista ricolma di frutti o un erote dietro la spalla sinistra; altre statuette femminili sono ignude con himation sulla spalla. Sono attestati anche Eroti, resti di
bambole fittili33 e animali in terracotta (bovidi)34.
In questo caso il contenuto della stipe sembra alludere prevalentemente ad un culto
femminile, come negli altri santuari strettamente connesso con le acque sorgive, legato alla fertilità della terra, alla fecondità e con spiccati tratti erotici.
San Chirico Nuovo
L’area sacra si sviluppa alla periferia del paese moderno lungo un pendio digradante
verso sud/ovest, in prossimità di sorgenti ancora oggi attive. In una prima fase, probabilmente databile nel corso del pieno IV secolo a.C., le strutture sacre consistono
in un piccolo sacello orientato sud-ovest/nord-est. Nella seconda fase, alcuni muri del
primo impianto vengono riutilizzati per la realizzazione di un vano a pianta rettangolare, coperto da tetto sorretto da pilastri lignei centrali e servito da alcuni canali di
scolo per le acque, con vestibolo antistante ipetrale, da un sacello quadrangolare
posto entro un recinto (cfr. fig. 69).
All’interno del vasto ambiente si è individuato, al di sotto del crollo e sul pavimento a
ciottoli, uno strato spesso con consistente materiale votivo (fig. 79-80); dunque le
offerte erano, come nel caso del santuario di Rivello, sospese lungo le pareti dell’ambiente oppure poggiate su ripiani lignei. Si è inoltre notato che alcuni spazi del vasto
ambiente erano destinati a contenere solo ed esclusivamente alcuni tipi di ex voto: per
cui un’area ha restituito quasi esclusivamente statuette, un’altra piccole coppe in terracotta, un’altra ancora le cosiddette uova fittili 35.
Il culto è prestato in primo luogo ad una divinità femminile, che, per i suoi attributi
(la leonte, la pelle di leone che indossa) è possibile identificare, ancora una volta, come
Artemide Bendis, dea della caccia. Molto più numerose sono le statuette di offerenti
che recano fiaccole o portano in dono coppe votive (phialai), melograne e volatili. Si
tratta, dunque, di una pluralità di doni che caratterizzano in genere altre figure divine
come Demetra (cui rimanda la fiaccola), divinità dei misteri collegati con la rinascita
della natura in primavera, ed Afrodite, dea dell’amore (richiamata dalle colombe).
Nello stesso santuario compare, inoltre, un piccolo gruppo in terracotta, che ripropone
l’immagine, piuttosto rara, del matrimonio di Zeus ed Hera, divinità massime sotto la
cui protezione viene posto il luogo sacro di San Chirico Nuovo.
Una serie di oggetti in terracotta di forma ovoidale potrebbero ricollegarsi ad altri riti di
115
purificazione con la bruciatura di profumi. Non sufficientemente dimostrabile appare
l’intenzione di richiamare con questi oggetti anche la forma dell’uovo, simbolo d’immortalità nella tradizione orfico-pitagorica particolarmente diffusa in Italia meridionale.
Tra i reperti in metallo si segnalano, inoltre, uno specchio in bronzo (che conferma la
frequentazione femminile del santuario), un cinturone in bronzo (relativo alla presenza di guerrieri) e ceppi di schiavo in ferro.
Artemide appare, in ogni caso, la divinità principale di questo santuario, che sembra
essere frequentato sino alla prima metà del III secolo a.C. e dunque sino alla conquista romana. La dea della caccia, colei che salva (soteira), non solo guarisce i malati con
l’acqua, protegge le future spose, ma libera gli schiavi.
Nel santuario di S. Chirico Nuovo sembrano confermati i principali poteri di questa
divinità. La condizione nuziale sembra essere richiamata dalla piccola scultura raffigurante il matrimonio tra Zeus ed Hera, mentre la presenza di ceppi da schiavo permette di documentare l’esistenza di servi, evidentemente liberati dalla dea.
fig. 79. Santuario di
San Chirico Nuovo.
Gruppo in terracotta
con matrimonio sacro
116
Russo
fig. 80. Santuario di San Chirico Nuovo. Fusto di louterion con volto femminile
117
Santuari del Melfese
Banzi
Il santuario è stato localizzato in un’area posta a nord-est dell’abitato daunio in un
pendio che digrada verso la valle del Banzullo, affluente del Bradano.
L’area sacra si sviluppa in prossimità di una sorgente e si articola in due nuclei topograficamente e strutturalmente distinti36. Il primo si colloca presso la fonte ed è costituito probabilmente da un piccolo naiskos, di cui tuttavia non resta nulla se non una
antefissa fittile a protome di gorgone che doveva forse decorare il tetto in materiale
deperibile. Tra il materiale votivo, vi sono numerose terrecotte raffiguranti figure femminili stanti e sedute, un piccolo erote, numerose ceramiche (soprattutto coppette e
patere), anche miniaturistiche, thymiateria e alcuni esemplari di unguentari. Il secondo nucleo si sviluppa a monte della sorgente ed è costituito da un piccolo sacello a
pianta quadrangolare con un altare antistante, a brevissima distanza, che ha restituito
un gruppo di oggetti totalmente differente da quello descritto in precedenza. Si tratta
infatti di una serie di oggetti in metallo e monete; sono inoltre attestati alcuni frammenti pertinenti a due esemplari di skyphos, il primo figurato di produzione italiota e
il secondo appartenente alla classe detta di Gnathia. Gli oggetti di metallo sono tutti
miniaturizzati e si riferiscono ad oggetti di ornamento (fibule, armille, anelli) e ad armi
e strumenti (punte di lancia, cinturoni, un giogo, due accette).
Come è stato messo in evidenza, la composizione dei depositi votivi rimanda chiaramente a riti di passaggio «dall’età prepuberale a quella puberale, età che per le società
antiche coincide di fatto con quella adulta, riti cioé praticati nel momento in cui bambi ne e bambini entrano a far parte a tutti gli effetti della società degli adulti, gli uni come
soldati, le altre come spose...»37.
Lavello
L’area sacra sorge agli inizi del III secolo a.C. sulla sommità delle collina di Gravetta, alle
cui pendici (in contrada Carrozze) è ubicata la necropoli di III secolo a.C. Il santuario si
sviluppa in un periodo in cui il grande insediamento daunio si contrae in modo vistoso,
in concomitanza con il processo di romanizzazione dell’area, e sembra essere controllato
politicamente da Canosa 38.
Il santuario si organizza intorno ad un piccolo sacello a pianta rettangolare con fondazioni in tufo, orientato nord-est/sud-ovest; sul lato lungo sud-est sono collocate tre
colonne doriche in tufo, mentre su quello opposto è ubicato l’ingresso. I lati corti sono
costituiti da muri bassi e intonacati superiormente: su quello sud-ovest è inserita una
cisterna della seconda metà del IV secolo a.C. All’interno, in posizione centrale, in corrispondenza della colonna mediana, è una base probabilmente per statua, con altare antistante; perpendicolare a questo apprestamento è sistemata l’imboccatura di una seconda
cisterna. Si tratta dunque di un edificio porticato su tre lati con fronte monumentale a
sud-est, pavimentato con tessere39 .
Alla stessa fase è ascrivibile un ambiente, che presenta lo stesso pavimento del naiskos,
118
Russo
con un pozzo per la captazione delle acque al suo interno. Entrambi i vani si aprono su
un ampio cortile. Nella parte meridionale del santuario sono stati identificati piccoli
ambienti di servizio.
Nel corso del III secolo a.C. l’impianto subisce numerose ristrutturazioni che comportano la trasformazione del sacello in vasca40, la chiusura della porta sul lato nordovest, la realizzazione di canalette per il deflusso delle acque. Viene creato una sorta di
vestibolo monumentale al sacello, intorno al quale si dispongono sul lato nord almeno tre vani; sul lato sud-ovest un corridoio funge da filtro agli ambienti; infine, sul lato
sud, due piccoli vani, in uno dei quali si rinvennero due busti fittili, si aprono su un’area scoperta.
Alla fine del II secolo a.C. seguono ulteriori interventi che segnano le fasi finali di frequentazione del santuario: il pozzo e le cisterne vengono sigillate e le condutture tappate. A questo periodo risalgono un cumulo di ossa di animali (cinque cani e un bovino),
una coppa di vetro, una patera a vernice nera con iscrizione in osco, una patera in pasta
grigia, accanto alla quale sono stati rinvenuti, come sacrificio piaculare, due palchi di
cervo e un corno di capra. Sotto il crollo di uno dei vani si è rinvenuto un complesso di
vasi da mensa a vernice nera e in pasta grigia, oltre ad un’anfora chiota, databili tra la
metà del II e gli inizi del secolo successivo.
Per le divinità venerate nel santuario di Lavello sussistono scarsi elementi di identificazione, ad eccezione della coppia di busti, l’uno maschile e l’altro femminile, rinvenuta in
uno dei vani dell’area sacra. Si è dunque ipotizzato che qui a Lavello, come in altri santuari lucani, una coppia divina fosse titolare del culto41.
Santuari del Materano
Timmari
A circa 2 km. a sud-ovest delle aree dell’abitato apulo individuate nelle contrade San
Salvatore e Camposanto, in una zona denominata Lamia S.Francesco è stata individuata una vasta area sacra con due luoghi distinti di culto, indicati dall’editore dello scavo
come zona A e zona B42.
Nella zona A sono state individuate, accanto a una sorgente, un sistema di canalizzazioni con tubi fittili, un probabile edificio a blocchi squadrati, e una grande stipe che ha
restituito terrecotte, vasi con il motivo della fiaccola dipinto, thymiateria, monete e cra teri fittili. Poco lontano si è messa in luce una fornace. I materiali rinvenuti sembra rilevare un culto prestato alle divinità eleusinie (Demetra e Kore), cui si associa soprattutto
verso la fine del IV-III secolo a.C. la figura di Artemis.
La zona B ha restituito resti di muri di fondazione in blocchi squadrati pertinenti probabilmente ad un sacello decorato da antefisse fittili, un lungo muro forse di temenos
(lungo circa 80 m.). Tra gli oggetti sembra riconoscersi una maggiore frequenza di ex
voto in metallo, quali armi e strumenti in ferro e bronzo (di particolare interesse i ceppi
per schiavi)43, oggetti di ornamento (fig. 81) e patere sempre bronzee; sono inoltre attestati vasi figurati tra cui uno di fabbrica apula con scena erotica e la didascalia Afrodite.
119
A conferma della presenza di un culto legato alla figura divina di Afrodite sono i numerosi dischi fittile con protome femminile tra Eroti o colombe44.
Anche in questo caso è possibile osservare una frequentazione dell’elemento maschile
e di quello femminile della comunità indigena. In questo caso è probabile che le divinità venerate nel santuario proteggessero fanciulle (fig. 82) e fanciulli45 al momento di
passaggio di status e che scandissero il ciclo vita-morte e quello annuale dei frutti della
terra e del grano46.
Ferrandina
L’area sacra, ubicata in località Caporre, sembra essere collegata ad un vasto insediamento forse organizzato per nuclei sparsi e sviluppatosi sui vasti terrazzi collinari che
degradano dalle Serre S.Giovanni alle sorgenti del torrente Vella, affluente di destra del
Basento47.
Il santuario si organizza su due terrazze suddivise da un monumentale muro di contenimento: su quella superiore è ubicato l’altare rettangolare, costruito, in blocchi di arefig. 81. Santuario di
Timmari. Collana in
pasta di vetro
120
Russo
fig. 82. Santuario di Timmari. Busto femminile con corona di foglie ed edera sul capo
121
naria lavorati sulla facciavista, all’interno di un portico indiziato da un leggero crollo
di tegole, da una serie di pilastrini e da uno spesso strato nerastro costituito dal disfacimento delle travi lignee. A lato dell’altare, sono stati individuati i resti di bothroi con
deposizioni voitve tra cospicue tracce di bruciato; si tratta per lo più di contenitori in
bronzo (phialai mesomphaloi ), lamine di cinturone, armi in ferro (punte di lancia),
vasetti miniaturistici, sostegni di thymiateria, louteria, terrecotte votive costituite prevalentemente da un tipo di figura femminile, con polos, seduta in trono riconducibile
alla Hera pestana. Sulla terrazza inferiore è stata individuata un’ampia vasca, o molto
probabilmente un bacino d’acqua, e un altro porticato presso il quale sono stati rinvenuti un cinturone, con i fori per sospenderlo alle pareti della struttura, e un elmo a
pilo, tipico delle popolazioni apule48.
Anche in questo caso, in base ai materiali raccolti, l’area sacra inizia ad essere frequentata nella seconda metà del IV secolo a.C., conosce un periodo di floridezza nel
corso della prima metà del III secolo a.C., una lieve recessione nella seconda metà
dello stesso secolo e un abbandono nel corso del II secolo a.C.
Le analogie con il santuario di Satriano sembrano essere notevoli, soprattutto per
quanto riguarda gli ex voto: è stato osservata l’assenza quasi totale di tratti culturali
riconducibili all’mabiente metapontino, mentre notevoli sono i richiami all’ambito
pestano, soprattutto nella tipologia delle terrecotte. Si riscontra anche in questo caso
una frequentazione femminile che esalta il mundus muliebris e il focolare domestico,
mentre le attestazioni riferibili alla sfera maschile rimandano tutte all’ambito della
guerra e dei valori militari.
Santuari della Basilicata meridionale
Chiaromonte
L’area sacra si sviluppa a sud-est dell’attuale centro di Chiaromonte, in una zona collinare declinante da nord verso sud. Anche in questo caso, come per i precedenti, le
strutture sacre si organizzano su una serie di terrazze, raccordate da due lunghi muri
paralleli, che sembrano appartenere ai resti di una lunga strada sacra porticata che raccorda i principali edifici o strutture del culto all’interno del santuario49.
Gli elementi principali sono rappresentati da una sorgente monumentalizzata con la
costruzione di una vasca pavimentata di ciottoli, da una serie di piccoli sacelli con leggere fondazioni e alzato in materiale deperibile, da pozzi e pithoi per la raccolta dell’acqua soprattutto lungo il “percorso” sacro e , infine, da altari-escharai, e da numerosi bothroi con materiale votivo e resti faunistici. In particolare, una fossa conteneva
i resti di un suino e un’altra quelli di un caprovino; inoltre l’intera area scavata è costellata da ossa di animali che rimandano alla pratica di pasti rituali.
Centinaia sono le terrecotte (fig. 83) rinvenute riconducibili a molteplici tipi comuni
anche ad altri santuari della Lucania (Rossano di Vaglio, Timmari, Grumentum): si
tratta di figure femminili sedute con polos che recano diversi attributi quali la colomba, la phiale, la melagrana. Degni di nota sono alcuni frammenti di figure femminili,
tra cui uno con cornucopia, l’altro di kourotrophos e, infine, uno con figura ammanta122
Russo
ta che lascia scoperto il seno destro50. Sono attestate anche le figure femminili stanti,
numerosissime testine di tanagrine, con corona di di foglie di edera, con cercine, con
polos, con melonenfrisur. Legati alla sfera di Afrodite sono i numerosi dischi fittili con
Eroti e colombe, e alcuni esemplari di colombe con le ali chiuse. Ad Artemide sono
connesse alcune terrecotte con chitonisco.
Le funzioni salutifere del culto praticato nel santuario sono sottolineate da resti di
votivi anatomici (una mammella, una gamba, un dito) e dalla presenza di terrecotte
con serpente, con esplicito rimando ad Asclepio.
Le forme maggiormente attestate della ceramica fine sono le patere, le coppette e gli
skyphoi, mentre numerosi sono i thymiateria, i louteria, le lucerne.
In questo caso, pochi sono gli elementi che rimandano alla sfera maschile (si tratta in
particolare di un morso miniaturistico in bronzo, di alcune punte di giavellotto e di
crateri miniaturizzati), mentre prevalenti appaiono gli ex voto connessi con un culto
femminile. In particolare, come per Rossano di Vaglio, numerosi elementi rimandano
ad una divinità dalle molteplici valenze: cererie, ctonie, salutifere, connesse con la sfera
riproduttiva e della fecondità, con i cicli naturali51.
fig. 83. Santuario di
Chiaromonte.
Testa femminile
123
Rivello-Colla
L’area sacra si sviluppa lungo le pendici dell’abitato fortificato di Serra-Città, sui terrazzi collinari digradanti verso il fiume Noce52. L’area scavata del santuario è piuttosto ridotta ed ha
permesso tuttavia di individuare un vasto ambiente rettangolare coperto con tetto in tegole. All’interno sono stati individuati numerosi ex voto fittili: si tratta probabilmente di quanto resta di offerte che originariamente venivano sospese lungo le pareti dell’ambiente oppure erano collocate su banchi lignei. Nel piano pavimentale erano invece alcuni piccoli both roi (circolari o ellittici) con materiale votivo identico a quello rinvenuto negli strati superiori. Infine, nella parte nord-occidentale del vano è stata individuata una piccola struttura di
non chiara interpretazione (un altare/eschara o un edificio più antico?). Al suo interno si rinvenne una maschera fittile con stephane.
Gli ex voto in terracotta deposti sono rappresentati da statuette di Demetra, di divinità
femminile seduta in trono, con polos, con phiale e frutto, da protomi femminili, da offerenti con cista ricolma di frutti della terra, da nutrici (kourotrophoi). Tra la ceramica fine
le forme maggiormente attestate sono le coppette e le patere. Tra gli oggetti legati alla
sfera femminile sono attestati gioielli come fibule, anche miniaturizzate, in bronzo e
argento, armille miniaturistiche, anelli, orecchini, pendagli, vaghi di collana e strumenti da toeletta. Particolarmente significative sono le cosiddette “chiavi di tempio”: oggetti simbolo di fecondità e di propiziazione del parto53.
Di particolare interesse sono, infine, alcune foglie in bronzo che, come nel santuario di
Apollo a Metaponto54, indiziano la presenza di alberi in bronzo strettamente connessi
con il culto55.
Per quanto riguarda la cronologia alcuni indizi permettono di individuare una prima
frequentazione tra VI e V secolo a.C., mentre l’impianto del santuario risale alla seconda metà del IV secolo a.C. L’area sacra continua ad essere frequentata per tutto il corso
del III secolo a.C.56.
Il culto prestato nel santuario di Rivello sembra ruotare intorno alla figura di una divinità femminile che sincretisticamente riassume in sé caratteri cererii (Demetra) e ctoni
(Kore); particolarmente significativo appare anche il rimando alla sfera della fertilità57.
Sembra dunque che nel santuario vi fosse sostanzialmente un’identificazione mistica del
ciclo biologico vita-morte e del ciclo annuale del grano e dei frutti della terra.
124
Russo
note
1
GINOUVÉS 1994.
Atti Taranto 1996, pp. 298-209.
3
Atti Taranto 1973; G. OLBRICH, Ein Heiligtum der
Artemis Metapontina?, PP XXXI, 1976, pp. 376-408; G.
OLBRICH, Archaische Statuetten eines Metapontiner
Heiligtums, Roma 1979.
4
Il Sacro e l’acqua, pp. 11-17.
5
Armento: pozzo-cisterna, canalizzazioni, vasche. Rossano di Vaglio:
canalizzazioni di diverso tipo, fontane, vasca. Satriano: pozzo. Ferrandina:
bacino o vasca, canalizzazioni. Chiaromonte: sorgente monumentalizzata con vasca, pozzi. Ruoti: vasche o fontane. Rivello: sorgente. S. Chirico
Nuovo: sorgenti; Timmari (zona A): sorgente, canalizzazioni. Banzi: sorgente, fonte. Lavello: pozzi-cisterne, canalizzazioni.
6
Accanto alle numerose statuette fittili si riscontra talvolta la
presenza di armi, come a Rossano di Vaglio (per la maggior
parte armi reali, con solo tre esemplari di armi miniaturistiche),
a Satriano (armi reali), a Ferrandina (armi reali), a Timmari
(armi reali), ad Armento (esclusivamente armi miniaturistiche),
a Banzi (esclusivamente armi miniaturistiche).
7
A. BOTTINI, in Leukania 1992, p. 20: anche se tale ipotesi
si basa sull’interpretazione di M. Lejeune che vede nei reges,
attestati dall’iscrizione RV 28 ( con la dedica di “igna aehenea
regum”) una coppia divina, denominata regale, costituita da
Iuppiter e dalla Domina Iovia. M. R .Torelli interpreta invege i
reges dell’epigrafe come i basileis ricordati da Strabone (VI, 1,
3), i re scelti tra i Lucani, in caso di guerra, tra i magistrati in
carica (che detenevano l’arche): M.R.TORELLI, I rapporti tra
Italici e romani, in AA.VV., Italici in Magna Grecia. Lingua,
insediamenti e strutture, a cura di M. Tagliente, Venosa 1990,
p. 85. Sul dibattito sorto intorno all’interpretazione di questa
testimonianza epigrafica di Rossano cfr. P. G. GUZZO, Ipotesi
sui re a Rossano di Vaglio, Xenia 5, 1983, p. 7 ss.
8
Vedi quanto detto a questo proposito da M. TORELLI, in
Leukania 1992, pp. XXII-XXIII.
9
M.R. TORELLI, art. cit. a nota 7, p. 84 con nota 24.
10
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992.
11
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, p. 50.
12
All’inizio del IV sec. a.C; venne fondato un santuario dedicato ad Asclepio presso un bosco e sorgenti sacri ad Apollo e alle
Ninfe; esso era costituito da due ampie terrazze contrapposte e
porticate su tre lati, raccordate tra loro da monumentali scalinate: R. HERZOG - P. SCHAZMANN, Kos I. Asklepieion.
Baubeschreibung und Baugeschichte, Berlin 1932.
13
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, fig. 16.
14
M. DENTI, in Leukania 1992, pp. 76-79.
15
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, fig. 26.
16
Credo sia da interpretare come tale il piccolo oggetto in bronzo raffigurato in ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, tav. IV,
2
in basso a sinistra.
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, p.33.
18
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, p. 50.
19
M. TORELLI, in Leukania 1992, p. XXIII.
20
Una femminile nel vano 3; una seconda nel vano 2 e una terza
nell’ambiente 4.
21
Due Artemidi e una terza figura ascrivibile alla cerchia isiaca.
22
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, fig. 16.
23
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, fig. 26.
24
Da intendere ipoteticamente come un attributo della statua
collocata sulla base dell’ambiente 3 e da interpretare come un
aspergillum, per la purificazione.
25
ADAMESTEANU-DILTHEY 1992, p. 67 e tav. XXXVIII.
Simili appliques sono state individuate anche nel santuario di
Timmari: LO PORTO 1991, p. 150, tav. LXXII. Cfr. Gli Ori di
Taranto in età ellenistica (cat. mostra), Milano 1984, pp. 394-395.
26
A. RUSSO TAGLIENTE, in Greci, Enotri e Lucani 1996, p.
190 ss.; Il Sacro e l’acqua, pp. 35-41; RUSSO TAGLIENTE (c.s.).
27
Actes de la table ronde “Héraklès d’une rive à l’autre de la
Méditerranée: bilan et perspectives”, a cura di C. Bonnet, C.
Jourdain-Annequin, Bruxelles-Rome 1992.
28
Tre dioboli di Poseidonia, di Thurii, di Taranto (o Eraclea), una
semuncia di Roma ed un quinario anonimo di Roma (211 a.C.).
29
E. GRECO, In Lucania: ruolo dei sessi e istituzioni politicoreligiose (a proposito del santuario di Torre di Satriano), DArch
1991, p. 78.
30
FABBRICOTTI 1979, p. 347-413.
31
FABBRICOTTI 1979, p. 368 n. 202.
32
FABBRICOTTI 1979, p. 370 n. 198.
33
FABBRICOTTI 1979, p. 406 nn.140-141.
34
FABBRICOTTI 1979, p. 406 n.142.
35
Il Sacro e l’acqua, pp. 27-33.
36
C. MASSERIA, Banzi. L’area sacra in loc. “Fontana dei
Monaci”, in AA.VV., Il Museo Archeologico Nazionale di
Venosa, Matera 1991, p. 84.
37
MASSERIA 1991, p. 85.
38
A. BOTTINI, M. P. FRESA, M. TAGLIENTE, L’evoluzione
della struttura di un centro daunio fra VII e III sec. a.C.: l’esempio di Forentum, in AA.VV., Italici in Magna Grecia.
Lingua, insediamenti e strutture, a cura di M. Tagliente, Venosa
1990, pp. 233 ss.
39
M. TAGLIENTE, M. P. FRESA, A. BOTTINI, Relazione
sull’area daunio-lucana e sul santuario di Lavello, in Actes du
Colloque International (Roma 1990), Comunità indigene e
problemi della romanizzazione nell’Italia centro-meridionale
(IV-III sec. a.C.), Bruxelles-Rome 1991, pp. 93-104; M. P.
FRESA, A. BOTTINI, P. G. GUZZO, Lavello, Gravetta-san17
125
tuario, in Leukania 1992, pp. 16-21.
L’altare e la la base della statua vengono circondati da una
struttura protettiva intonacata: TAGLIENTE-FRESA-BOTTINI, art. cit. supra, p. 100.
41
A. BOTTINI, in Leukania 1992, p. 20.
42
LO PORTO 1991, pp. 68-69.
43
Il ruolo di molti santuari era anche quello della restituzione
della libertà agli schiavi sotto l’egida della divinità: il rito della
manomissiome è stato anche identificato nel santuario di
Demetra ad Eraclea: G. PIANU, Il santuario di Demetra ad
Eraclea di Lucania, AnnPerugia XXVI,1988-89, p. 137 (anche
se non credo sia da porre necessariamente in relazione con il
passaggio di Spartaco da Herakleia).
44
LO PORTO 1991, pp. 74-153: coroplastica; pp. 156-170:
vasi rituali in ceramica; pp. 170-171: vasi in bronzo; pp. 171179: oggetti d’ornamento; pp. 179-189: armi e strumenti in
bronzo e ferro.
45
LO PORTO 1991, pp. 146-149: statuetta di Eracle in riposo e di giovinetti su capro, su toro e ignudi stanti.
46
Particolarmente interessante a Timmari, così come anche a
Garaguso, l’opposizione topografica Kore/Demetra nella zona A
e Afrodite nella zona B: viene in questo caso riproposto il
40
126
modello simile a quello locrese che si attua nell’ambito di una
società, quale quella lucana, per molti aspetti confrontabile con
quella di Locri. Si tratta infatti di una comunità conservatrice,
legata all’ideologia dell’oikos (casa): vedi quanto detto a tale proposito da M. TORELLI, Greci e indigeni in Magna Grecia.:
ideologia religiosa e rapporti di classe, Studi Storici XVIII,
1977, pp. 59-61.
47
Atti Taranto 1991, pp. 388-389: l’insediamento è indiziato
soltanto da resti di sepolture e da frammenti ceramici databili al
IV-III sec. a.C.
48
Un esemplare simile proveniente da Rudiae è ora conservato
al Museo provinciale di Lecce. Le monete rinvenute sono riconducibili tutte alla zecca tarantina.
49
BARRA BAGNASCO 1996, pp. 186-190.
50
BARRA BAGNASCO 1996, p. 187.
51
BARRA BAGNASCO 1996, pp. 188-190.
52
Lagonegrese 1981, pp. 39-60.
53
Lagonegrese 1981, p.56.
54
AttiTaranto 1969, tav. XLI.
55
Lagonegrese 1981, p.55.
56
Lagonegrese 1981, p.58.
57
Lagonegrese 1981, p.41.