Lo spirito resistente
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Lo spirito resistente
NOVEMBRE 2012 NO 54 JESUIT REFUGEE SERVICE Lo spirito resistente del popolo siriano AFGHANISTAN p.4 COLOMBIA p.6 SUD SUDAN p.9 SIRIA p.11 Asia del Pacifico p.17 Jesuit Refugee Service NOVEMBRE 2012 Foto di copertina Il personale della cucina da campo del JRS ad Aleppo, Siria (Avo Kaprealian e Sedki Al Imam/JRS). Servir è disponibile in italiano, francese, inglese e spagnolo. È pubblicato due volte l’anno dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). DIREZIONE Peter Balleis SJ REDAZIONE Danielle Vella PRODUZIONE Malcolm Bonello NUMERO 54 In questo numero: Editoriale Fede e protezione 3 Afghanistan Incerti ma fiduciosi4 Colombia Tra la vita e la morte 6 Sud Sudan Una comunità vale quanto i suoi insegnanti 9 Siria Le reti di volontari portano speranza11 Il tuo sostegno per il popolo della Siria (Appello) 14 Focus sulle violenze sessuali e di genere Prevenire, proteggere, perseguire15 Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati è un’organizzazione cattolica internazionale creata nel 1980 da Pedro Arrupe SJ. La sua missione è accompagnare, servire e difendere la causa dei rifugiati e degli sfollati. Jesuit Refugee Service Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia TEL: +39 06 69 868 465 FAX: +39 06 69 868 461 [email protected] www.jrs.net È doloroso ma non è la fine 16 Asia del Pacifico Cooperazione regionale: un sogno impossibile? 17 Riflessione “Tutto ciò che non è donato è perso”19 Mostra fotografica (quarta di copertina) 20 Abbreviazioni Le seguenti abbreviazioni sono usate in questo numero 2 ACNUR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati RDC Repubblica Democratica del Congo VSG Violenze sessuali e di genere editoriale Bamyan, Afghanistan. Fede e protezione “Non posso credere che questa sia la volontà di Dio”. Di fronte alla violenza che sta distruggendo il suo Paese, Lola, 26 anni, siriana, esprime i suoi più profondi dubbi spirituali. In Siria persone di tutte le fedi usano spesso l’espressione Inch’allah, ‘se Dio vuole’, come espressione della loro fiducia nel fatto che tutto è volontà di Dio. Ma la guerra, le uccisioni e la distruzione che stanno avvenendo non possono essere volontà di Dio. Lola ha ragione: questa è la volontà dell’uomo che ha scelto mezzi violenti per conservare o ottenere il potere. A peggiorare le cose alcuni estremisti non esitano a usare il nome di Dio per giustificare la loro violenza… ma non il Dio in cui crede Lola. Situazioni estreme come la guerra, gli sfollamenti forzati e la disperazione ci pongono di fronte alla questione scottante sul significato assoluto della vita. Per molti rifugiati, l’ultima speranza è riposta in Dio. Per gli operatori umanitari, i membri della comunità locale, per le persone come Lola che lavorano con il JRS a Damasco, la fede nel Dio dell’amore è la ragione più importante per rimanere, sperare e lavorare per gli altri che soffrono. Lola è una dei molti operatori e volontari siriani del JRS, attivi nelle comunità cristiane e musulmane, che vogliono solo servire la loro gente, proteggerla offrendo ripari, cibo e istruzione per i bambini. Mettono a repentaglio la propria sicurezza. Invitando i collaboratori a un dialogo sulla fede e la protezione, António Guterres, l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati , riconosce “l’importante contributo delle comunità religiose locali nella protezione delle persone costrette a sfollare e senza patria. A livello locale, i leader e le comunità religiose si trovano spesso in prima linea nel conflitto e nelle emergenze, offrendo un servizio come primi fornitori di protezione e di assistenza per la salvezza di vite umane”. La fede può motivare le persone a rinunciare alla propria protezione per aiutare invece i rifugiati. Riflettendo sul proprio lavoro in Afghanistan, Jestin, che viene dall’India, afferma che i gesuiti sono chiamati a uscire dalle proprie zone di sicurezza e donare senza calcolare i costi. Quanti operatori umanitari di ogni credo rischiano e talvolta perdono la propria vita per amore? In questo numero di Servir rendiamo omaggio allo scomparso Pierre Ceyrac SJ, uno dei primissimi operatori del JRS e immagine splendente della nostra missione. Uomo che ha dedicato la sua vita agli altri, padre Pierre citava sempre una frase di san Giovanni della Croce: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS 3 accompagnare Afghanistan Incerti ma fiduciosi Jestin Anthony SJ Jestin è un gesuita in formazione proveniente dalla provincia del Gujarat, in India. Nel 2001 il mondo guardò impotente i talebani distruggere due enormi statue di Buddha scavate quasi 1.500 anni prima nella parete rocciosa che sovrasta Bamyan. Oggi le montagne silenziose riportano ancora le ferite di questa piccola e isolata provincia dell’Afghanistan centrale. È stato distrutto qualcosa di più di un prezioso monumento culturale. Le statue del Buddha maschile e femminile rappresentavano tutti gli uomini e le donne di Bamyan trascurati, emarginati e, ancora oggi, nel dolore. La bella valle verde di Bamyan è abitata soprattutto da una popolazione hazara. Musulmani sciiti, in opposizione alla maggioranza sannita dell’Afghanistan, gli hazara hanno sofferto terribilmente sotto Le pareti rocciose profanate che sovrastano Bamyan. (Peter Balleis SJ/JRS) 4 il dominio del talebani. Molti sono fuggiti nel vicino Iran, dove hanno trascorso anni come rifugiati. La loro sofferenza ha spinto la gente di Bamyan a comprendere che l’istruzione è il solo modo di combattere l’ingiustizia. Il loro desiderio di acquisire conoscenza è così forte che mi stimola davvero a dare sempre il mio meglio. I bisogni di Bamyan sono molti e diversificati ma, sapendo che l’istruzione è la chiave principale per lo sviluppo, il JRS ha investito in questo campo. Mi è stato chiesto di gestire il programma di accesso all’inglese in quattro scuole, nel centro di formazione per insegnanti e all’università. Jerome Sequeira SJ, direttore del JRS a Bamyan, ha dovuto tornare in India per il Terzo anno (la fase finale della Afghanistan accompagnare Le ragazze sono desiderose di andare a scuola, ma incombe lo scenario da incubo di un possibile ritorno dei talebani. (Peter Balleis SJ/JRS) formazione dei gesuiti) e io ero un po’ timoroso perché rimanevo da solo per tre mesi. Ma si è rivelata una benedizione. La più grande difficoltà da superare era la barriera culturale ma quei mesi da solo mi hanno consentito di conoscere le persone e la loro cultura più da vicino. La mia interazione con gli studenti mi ha aiutato a vedere la realtà dal loro punto di vista. I giovani a Bamyan voglio davvero studiare e progredire nella vita, lo dimostra il loro interesse accanito nelle lezioni. Sono stanchi della guerra, ma quando si chiede loro come vedono il futuro dell’Afghanistan, i loro occhi riflettono una preoccupazione profonda. Al tempo dei talebani, le ragazze non potevano andare a scuola e non avevano alcuna possibilità di imparare. Una delle nostre prime studentesse ha dato voce alla loro paura silenziosa: “Se i talebani ritornassero, sarebbe più difficile per noi ragazze uscire di casa liberamente e andare a scuola o all’università. Ci sarebbe sempre una paura di morte”. I genitori condividono l’opinione delle ragazze. Un operatore del JRS ha detto: “I talebani non permetteranno mai a noi hazara di vivere in pace. Ci troveranno e ci uccideranno. Non avremmo altra possibilità che di fuggire in un altro Paese come rifugiati, come abbiamo fatto in passato”. Un altro membro dell’équipe, Dawlat Bhaktiyari, dice che abbandonerà il Paese volontariamente. “Sarei molto contento di andare altrove dove poter fare studi superiori e trovare un buon lavoro”. Molte giovani menti brillanti pensano lo stesso: che non c’è posto per loro in Afghanistan, non c’è posto per la libertà di parola. Per il momento, almeno, Bamyan è relativamente sicura, anche se i suoi dintorni e le strade che portano alla città restano instabili e pericolosi. Molti considerano Bamyan un segnale di speranza per il resto del Paese. C’è una lunga strada da percorrere, ma Bamyan può cambiare veramente? La mia risposta è sì, il cambiamento è possibile. Ma la gente di Bamyan ha bisogno del nostro sostegno, ora più che mai. Se ci ritiriamo in questo momento critico, non potremo prendercela che con noi stessi. Per quanto mi riguarda, ho scoperto più fiducia e forza interiore che mai. Questo non sarebbe stato possibile senza la fede in Dio, che mi ha mandato in questa missione, e senza la formazione come gesuita. Ogni sera, nel silenzio della preghiera, mi pongo tre domande tratte dagli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dell’ordine dei gesuiti, la Compagnia di Gesù: Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa sto facendo per Cristo? Che cosa farò per Cristo? Sono grato alla Compagnia per avere riposto così tanta fiducia in me e perché mi stimola ad andare avanti. Come gesuiti siamo chiamati a uscire dalle nostre zone di sicurezza, per donare senza mettere in conto i costi. Questa terra di incertezze mi ha insegnato molto e sarò sempre grato a tutti quelli che sono stati con me in questa missione della Compagnia. È attraverso il vostro aiuto e sostegno che ho ricevuto una formazione che sarà sempre più vicina al mio cuore. 5 accompagnare Colombia Tra la vita e la morte Per Luis Fernando Gómez Gutiérrez, responsabile dell’advocacy per il JRS dell’America latina, accompagnare gli afro-colombiani in uno dei posti più violenti della Colombia è un privilegio conquistato stando con loro nella sofferenza. Primo giorno… 29 giugno 2008: una meravigliosa domenica pomeriggio. I bambini correvano da tutte le parti sul campetto di calcio e gli spazi comunitari del distretto di San Francisco a Buenaventura, Valle del Cauca. Uomini e donne si davano da fare preparando le attività per celebrare la vita come comunità, con musica, canti e risate. Era un’occasione degna di essere celebrata: la chiusura di un intenso processo di formazione e scambio di idee, di identificazione dei modi per vivere in un ambiente così avverso. Buenaventura è sempre stato un posto difficile, con un clima pesante, alte temperature e umidità soffocante. Nel corso della storia i leader hanno avuto la tendenza a dimenticare questa regione tranne il suo porto, un punto cruciale di entrata e uscita. Dai tempi della colonia, il porto di Buenaventura è stato la porta di accesso del mondo alla Colombia e la porta di accesso del Paese alla globalizzazione; un accesso costruito sull’esclusione e la violenza strutturale, quel tipo di sviluppo che ignora l’elemento umano. Oggi Buenaventura è un feroce campo di battaglia di guerriglieri, paramilitari e forze governative, spacciatori di droga, tutti in lotta tra loro e alleati tra loro, ma soprattutto manipolati da attori esterni. Tuttavia, negli annali della storia non ufficiale della Colombia, Buenaventura è stata anche 6 Buenaventura: Bambini giocano nel sobborgo di Lleras. (Randolf Laverde) un luogo di rinnovamento per le comunità nere, uno spazio guadagnato con il sudore di uomini e donne che hanno navigato i lunghi fiumi e ricavato uno spazio per vivere in semiarmonia con la giungla strappando terreno alle paludi di mangrovie per costruire interi insediamenti. Quel pomeriggio, mentre celebravamo la vita delle comunità nere, fratelli e sorelle uniti dalla loro storia comune guardavano al futuro in accordo su un piano di azione che sarebbe servito come roadmap di una popolazione che si risollevava. Trascorsi l’intero pomeriggio con la mia videocamera cogliendo la gioia delle donne nelle magliette rosa, orgogliose di essere leader nel processo, e il talento di ragazzi e ragazze che danzavano nel costume tradizionale, testimoniando l’irrefrenabile forza di uno sforzo comune. Ho filmato volti, sorrisi, movimenti Colombia ritmici, applausi e discorsi. In quel momento non avrei potuto immaginare che stavo assistendo alle ultime parole in pubblico di Doña Martha Cecilia “Chila”, una donna di colore sfollata che aveva condotto questa e molte altre iniziative nel distretto di San Francisco. Quando la luce del sole che ci accompagnava quel giorno scomparve, ricevetti una chiamata angosciata dalla direttrice dell’organizzazione che aveva reso possibile l’intero processo. Disse che Chila era stata uccisa pochi minuti dopo la fine dell’attività. Il suo corpo giaceva sul campo di calcio. La gente era paralizzata dalla paura, nessuno osava avvicinarsi a lei. Non ero lontano e tutto quello che osai furono un paio di chiamate alle autorità e alle persone del luogo che potevano senza pericolo dare un aiuto. La morte era tornata a San Francisco e in altri distretti di Buenaventura proprio quando sembrava che gli assassini lasciassero il passo alla forza pacifica della comunità. Secondo giorno… Nel tardo pomeriggio, nella cappella dei francescani, a pochi metri dal luogo dove Chila era stata uccisa da armi anonime, la famiglia e gli amici, persone più o meno conosciute, si riunirono per renderle l’ultimo saluto e condividere il proprio dolore e l’indignazione. Tra gli sconosciuti c’erano tre di noi paisas, il nome con cui da queste parti chiamano chi non è nero, in qualche modo riconosciuti come “i gesuiti” e i loro amici in un progetto congiunto. La notte prima avevamo preparato una breve presentazione audiovisiva con le immagini e i video che avevamo girato la domenica pomeriggio quando pensavamo che sarebbero serviti in un diverso tipo di celebrazione. In una stanza dietro l’altare discutemmo con i membri di diverse organizzazioni su che tipo di parole avremmo dovuto usare, chi avrebbe parlato e che cosa avrebbe detto e se fosse stato ragionevole mandare un messaggio chiaro sui diritti umani attraverso la presentazione che avevamo preparato. In quella cappella c’erano disperazione, indignazione e dolore provocati dall’ingiustizia e dal mistero della morte. Tuttavia, dalla mia prospettiva di fede, potevo riconoscere il Cristo risorto in quel corpo senza vita dietro l’altare. I neri non stanno in silenzio in presenza della morte. Musica, percussioni, movimento e alcool accompagnano la morte, perché vita e morte non sono separate ma parti della stessa essenza. C’è morte nella vita stessa. Con la melodia della musica, il ritmo penetrante delle percussioni, la cadenza delle poesie recitate per Chila e quello strano mix di vita e morte, il mio cuore si è sciolto in lacrime. Cosa stavo facendo esattamente qui, perché la vita mi aveva messo di fronte a questa realtà, che cosa potevo offrire a queste persone, quale lezione dovevo apprendere? Che cosa mi stava dicendo Dio nella mia desolazione? Mentre le lacrime scendevano sulle nostre guance, Don Mario, leader e poeta del distretto La Gloria di Buenaventura, si avvicinò a noi per stringerci la mano e disse con enfasi: “Bianchi, non piangete per i neri”, suggerendo con queste parole che eravamo diventati fratelli della comunità. Era nata un’amicizia duratura. accompagnare Terzo giorno… Alcuni mesi più tardi, grazie ai semi di vita nati da quella celebrazione di morte e a Don Mario, ci trovammo seduti sotto un albero nel centro di Matía Mulumba a discutere modi possibili per dare una forma concreta alla nostra amicizia. Da allora molte cose sono evolute in questa relazione: il processo del distretto La Gloria, come lo Buenaventura: bambini si esibiscono in una attività culturale nel sobborgo di Lleras. La gran maggioranza dei residenti a Buenaventura sono neri. (David Lima Díaz SJ) 7 accompagnare Colombia Il sobborgo La Playta di Buenaventura, uno dei primi insediamenti degli sfollati colombiani. La maggior parte delle case sono costruite su palafitte sopra la baia. (Christian Fuchs/JRS) La cerimonia funebre di Chila. (Luis Fernando Gómez) metamorfosi attraverso la morte e la vittoria sulla morte. Questa e altre esperienze mi hanno aiutato a comprendere con chiarezza che il messaggio della resurrezione è presente ogni giorno in famiglie che devono abbandonare le loro case per vivere come sfollati, da emarginati. La storia dell’umanità è segnata dalle vicende di coloro che sono stati costretti a ricominciare tutto daccapo in una terra diversa dalla propria, in una cultura straniera, e a comunicare le loro idee e i sentimenti in una lingua presa in prestito. Questa è la fragilità della nostra storia, rappresentata da persone che vedono come la luce della vita si affievolisca, il sole si nasconda e scenda la notte. Ma dopo la notte torna il giorno e, prima che arrivi, ha luogo un bellissimo miracolo colorato. Insieme a ogni nuovo giorno il sole porta il suo messaggio di vita. La morte può portare vita a coloro che soffrono con la forza che deriva da un sincero amore fraterno, se lo accolgono nel loro cuore. Nella morte c’è vita per coloro che vogliono crederlo. chiamiamo, la lotta del distretto La Gloria, come loro continuano a viverlo. La Gloria è un distretto rurale nei sobborghi della città di Buenaventura, un posto violento con un’alta concentrazione di sfollati. Dal 2009 il JRS Colombia ha accompagnato questa comunità nella sua lotta per conquistare il rispetto dei diritti collettivi delle comunità nere e impedire gli sfollamenti e il reclutamento dei bambini. Il piano d’azione cui aveva preso parte Chila resta un punto di riferimento per la loro vita condivisa. Il pericolo è ancora presente e aumenta ogni giorno come un gigante che minaccia di schiacciare piccole iniziative locali. Nella realtà non è cambiato molto, tuttavia esiste “La Glorita”, una piccola fattoria nata come simbolo di collaborazione tra la comunità e alcune organizzazioni, compreso il JRS, e che ora è gestita dalla comunità da sola. Quel pomeriggio, mentre piangevamo la morte di Chila, trovammo nuova vita nel coraggio che scaturiva da quella grande ingiustizia. La morte non è eterna, la vita si. Dopo tre giorni Cristo ci mostra la metafora della morte, la 8 Info point Nel dipartimento di Valle del Cauca si trova Buenaventura, la principale città portuale della Colombia e anche una delle più pericolose. Buenaventura ha ricevuto numeri ingenti di colombiani sfollati negli anni recenti che fuggivano da spostamenti forzati da parte di gruppi armati. La città è diventata un luogo strategico importante sia per i guerriglieri sia per i paramilitari che cercano di conquistare percorsi preziosi per il caricamento su navi di droghe, armi, oro e altre risorse lungo gli innumerevoli fiumi che circondano la città e scaricarli nel porto sul Pacifico. La paura e la violenza che afferrano Buenaventura sono palpabili camminando per i sobborghi che ospitano gli sfollati… Appaiono regolarmente volantini che annunciano la presenza di gruppi armati illegali… Shaina Aber, ex responsabile dell’advocacy per il JRS USA a Buenaventura, 21 maggio 2012. Sud Sudan servire Angela Hellmuth/JRS Una comunità vale quanto i suoi insegnanti Dr Biryaho Francis, coordinatore per l’istruzione del JRS Sud Sudan Una comunità vale come i suoi insegnanti. Niente può sostituire un insegnante preparato e motivato nel promuovere un’istruzione di qualità. Il JRS ha imparato questa importante lezione in più di 15 anni di promozione dell’istruzione nel Sud Sudan. Il JRS ha dato forma al suo contributo nel Sud Sudan – prima come regione in guerra e in seguito come nuovo Stato – in base ai bisogni. Per anni il JRS si è concentrato sul sostegno alle infrastrutture educative: ha costruito e ristrutturato aule, dormitori per le ragazze, laboratori e biblioteche; ha fornito aiuti per l’insegnamento e l’apprendimento; ha fornito competenze per gli organismi di gestione delle scuole; ha procurato banchi, gessi e lavagne e ha pagato le tasse scolastiche di ragazze e ragazzi vulnerabili. Non è mancata la formazione per insegnanti ma il JRS non aveva il mandato per entrare in aula a controllare insegnanti e alunni. Le comunità beneficiarie a Nimule, Lobone, Kajo-Keji e Yei hanno apprezzato il contributo del JRS. Ma una valutazione condotta nel 2010 ha rivelato che sarebbe servito di più. Fornire materiali non è una condizione imprescindibile per imparare. Alfabetizzazione, aritmetica, matematica e scienze sono risultate molto povere nella scuola primaria e secondaria. Uno dei problemi riscontrati era il mancato coordinamento dei workshop per insegnanti. Il JRS ha deciso di istituire delle equipe per lo sviluppo scolastico per dare luogo a una trasformazione positiva della scuola nella scuola. Ogni equipe è formata da tre insegnanti motivati e con esperienza preparati dal JRS che a turno fanno da consiglieri formatori Info point Il Sud Sudan sta faticando per costruire il suo sistema scolastico tra un numero crescente di iscrizioni con insegnanti che sono perlopiù persone che hanno abbandonato la scuola primaria. Si ritiene che la nascente nazione abbia il tasso di alfabetizzazione più basso del mondo. Un recente rapporto dell’ODI (Overseas Development Institute) sostiene che meno del 2 % della popolazione ha completato l’istruzione primaria, mentre l’UNICEF afferma che il 70% dei bambini tra i 6 e i 17 anni non ha mai messo piede in un’aula. 9 servire Sud Sudan e incoraggiano i loro colleghi. Dopo aver formato i membri delle equipe, il JRS li ha seguiti con incontri mensili a livello scolastico. Caratterizzati da un approccio personale e focalizzato su questioni specifiche, gli incontri si sono dimostrati utili per gli insegnanti che hanno detto di aver acquisito conoscenze e fiducia. In tutto ne hanno beneficiato 36 scuole primarie e 16 secondarie. L’iniziativa ha dato risultati. Il JRS ha condotto una valutazione condivisa con i funzionari per l’istruzione del governo e i membri delle equipe. Hanno scoperto che l’insegnamento di squadra è stato introdotto nelle scuole. È migliorata la supervisione congiunta del JRS e del governo e c’è stato un progresso considerevole nel definire i programmi delle lezioni. Un brillante appoggio è stato il risultato del diploma di istruzione secondaria del Sud Sudan 2011, che ha rivelato che sette delle dieci migliori scuole erano sostenute dal JRS. Un altro passo positivo – raccomandato dagli esperti – compiuto dal JRS è stato il sostegno alle scuole primarie nell’uso della lingua madre locale come mezzo di apprendimento. Queste scuole hanno registrato progressi. Cosa succederà ora che il JRS si sta ritirando? Nell’agosto 2012, durante un workshop di formazione, insegnanti e funzionari governativi si sono impegnati a sostenere le equipe. Tuttavia, altri passi devono essere fatti per motivare gli insegnanti. Un insegnante di terzo livello guadagna circa 200 sterline sudanesi al mese (equivalenti a 50 dollari Usa). “Non possiamo mandare i nostri figli in scuole decenti ma altri mandano i loro figli in scuole fuori dal Sud Sudan”, ha detto un insegnante. E un altro: “Abbiamo l’obbligo di educare e nutrire la nostra famiglia come fanno gli altri”. L’insegnamento, per chi cerca lavoro, è un’ultima risorsa a causa della paga bassa. Non mancano altre sfide. L’ambiente domestico non favorisce l’apprendimento. Pochissime case hanno l’elettricità e la povertà è diffusa. Le infrastrutture del Sud Sudan prima dell’indipendenza sono state distrutte da anni di guerra civile. L’istruzione non è isolata dagli altri sistemi sociali; risolvere i problemi dell’istruzione formale deve andare di pari passo con la soluzione di quelli in campo sanitario, della sicurezza, dell’agricoltura e di altri servizi. Tuttavia, l’istruzione è in tutti i sensi una chiave per lo sviluppo. Se non vengono fatti grandi investimenti nel migliorare le nostre scuole, rimarranno alti livelli di analfabetismo in Sud Sudan. IL JRS LASCIA IL SUD SUDAN Investire in mattoni e malta è importante ma non sufficiente per avere buone scuole. (Angela Hellmuth/JRS) Alla fine del 2012 il JRS chiuderà ufficialmente l’ultimo dei suoi progetti in Sud Sudan focalizzato su istruzione, accompagnamento pastorale e costruzione della pace. La decisione di uscire da questi progetti di successo è stata presa in linea con il mandato del JRS di rispondere ai bisogni degli sfollati in situazioni di grande necessità. Ora che si sono reinsediati coloro che sono ritornati in gran parte dai campi per rifugiati in Uganda e hanno beneficiato del lavoro del JRS, è arrivato il tempo di passare la mano nei progetti alle comunità locali… Sicuri nella certezza che ci sono le basi per una crescita continua, apprendimento e successo. Deogratias Rwezaura SJ, direttore regionale del JRS Africa orientale 10 Siria servire Una famiglia di rifugiati siriani ad Amman, Giordania. Una equipe del JRS composta soprattutto da rifugiati iracheni visita i rifugiati siriani ad Amman. (Dominik Asbach) Le reti di volontari portano speranza Angelika Mendes, coordinatore per il fundraising del JRS Internazionale, e Zerene Haddad, responsabile per la comunicazione del JRS Medio Oriente Selima, 24 anni, era al settimo mese di gravidanza quando i combattimenti nel suo quartiere l’hanno costretta a fuggire da Homs. Con suo marito Rami, ha cercato rifugio a Damasco. Là sono rimasti due settimane ma i bombardamenti li hanno costretti a fuggire ancora, questa volta verso Dera’a, nel sud della Siria. Accompagnati da alcuni membri dell’Esercito libero siriano, sono partiti di notte per attraversare il confine verso la Giordania. “Era un viaggio lungo e difficile, tra rocce e dirupi. Abbiamo camminato nell’oscurità per tre ore, con la paura di finire sotto il fuoco in ogni momento”, ricorda Selima. Furono sollevati all’incontro con i militari giordani al confine che li hanno portati in un campo di transito. Le stime dicono che più di 300mila siriani hanno attraversato le frontiere verso Turchia, Iraq, Giordania e Libano dall’inizio delle rivolte e della loro repressione all’inizio del 2011. Le cifre esatte sono sconosciute perché molti hanno paura di registrarsi e vivono al di fuori dei campi, sparsi tra la popolazione locale. Tuttavia, la maggior parte dei siriani che hanno lasciato le proprie case sono dispersi all’interno del proprio Paese, si stima che siano un milione e mezzo. Molti si spostano più di una volta perché le operazioni militari prendono di mira il loro rifugio. Intanto, centinaia di migliaia di rifugiati iracheni che anni fa sono fuggiti in Siria sono intrappolati nelle violenze. Uno di essi, Fadia, ha detto: “Ho paura che le cose qui saranno come in Iraq. Se succede, dove dovremmo andare?” Presente in Siria dal 2008, il JRS può aiutare gli sfollati grazie a forti collegamenti locali. “Pochissime agenzie internazionali di soccorso hanno accesso alla Siria. Le nostre connessioni con i gesuiti locali e le reti informali di sostegno di cristiani e musulmani ci consentono di raggiungere le famiglie bisognose”, spiega il direttore del JRS Internazionale Peter Balleis SJ. Il JRS sostiene reti di volontari siriani di ogni età, religione e origine etnica che 11 servire Siria Ricovero in una scuola di Aleppo. (Avo Kaprealian e Sedki Al Iman/JRS) vogliono aiutare altri siriani e assicurare che l’aiuto raggiunga tutti in modo efficace. Grazie a queste reti di volontari, il JRS sta coordinando servizi di aiuto d’emergenza ad Aleppo, Damasco e Homs. Il personale del JRS visita regolarmente le famiglie sfollate e, nei suoi centri, le persone si registrano per ricevere cibo, alloggi, prodotti igienici, indumenti, oggetti domestici e assistenza medica di base. Una cucina montata ad Aleppo in agosto dà da mangiare a più di 5mila persone due volte al giorno, a colazione e a cena. I volontari distribuiscono il cibo nei rifugi e nei punti di distribuzione in giro per la città, ma non è mai abbastanza. Sostegno scolastico, counselling e attività sportive e artistiche danno ai ragazzi la possibilità di condividere le loro esperienze. “Una delle nostre priorità è aiutare i bambini. Anche quando non sono direttamente vittime, soffrono moltissimo la condizione di sfollati e testimoniano questa terribile situazione, la tragedia nelle loro famiglie e lo sconvolgimento Testimonianza “Eravamo una sola nazione, ma ora siamo divisi”. Mahmoud è fuggito da Homs con Azra e i loro due bambini, Layla e Mustafa. Nel novembre 2011 i manifestanti hanno iniziato a riunirsi in proteste pacifiche nel centro della città ogni venerdì dopo la preghiera. “Il governo ha istituito posti di blocco e nessuno poteva allontanarsi. Li ho visti sparare sui manifestanti”, racconta Mahmoud. La giovane famiglia ha vissuto in una parte della città controllata dalle forze governative. “Quando i soldati hanno iniziato a distribuire armi a tutti gli 12 uomini del quartiere chiedendo loro di combattere contro i manifestanti, abbiamo capito che dovevamo partire”. Layla ha quasi due anni e Moustafa cinque. I loro genitori hanno sentito di bambini sequestrati per ottenere un riscatto. “Avevo paura che a Homs potesse accadere loro qualcosa”, dice Azra. Hanno preso il bus per la Giordania e ora vivono in un piccolo appartamento ad Amman. “I giordani sono molto gentili - dice Azra -, ma la vita è difficile. Abbiamo usato tutti i nostri risparmi e non è facile trovare un lavoro. nelle loro vite”, racconta Nawras Sammour SJ, direttore del JRS Medio Oriente ed egli stesso siriano. A Homs, dove l’anno accademico è stato pesantemente stravolto, alcuni bambini non hanno potuto andare a scuola per più di un anno. Dalla metà di aprile il JRS ha offerto lezioni di recupero ogni pomeriggio presso due centri, cui hanno partecipato fino a 800 alunni. “Speriamo che ristabilendo una routine scolastica potremo ridare un senso di normalità alle loro vite”, dice padre Nawras. Benché alcune scuole a Damasco e a Homs abbiano riaperto, altre restano chiuse. Ad Aleppo sono chiuse perché i combattimenti sono troppo intensi. Circa 60mila sfollati hanno cercato riparo dentro scuole, moschee, il campus universitario ed edifici abbandonati nella città. Purtroppo Deir Vartan, il primo centro del JRS in Siria che ha aperto le sue porte ai rifugiati iracheni e siriani nel 2008, in tempi più pacifici, è stato parzialmente distrutto dai combattimenti di settembre. Nonostante questa battuta d’arresto, il JRS resta Siria servire È così triste, doloroso, le ultime notizie su Deir Vartan, rifugio, porto sicuro, ispirazione, lavoro di squadra, amore, incontri, amicizia, servizio, lezioni imparate, speranza… Le pietre possono essere distrutte, ma non lo spirito. Corry Verhage Che ha aiutato a creare Deir Vartan. Philip Hamwi, volontario del JRS, circondato da bambini ad Aleppo. (Avo Kaprealian e Sedki Al Iman/JRS) responsabile per l’operazione dei rifugi in cinque scuole della città e dà sostegno ad altri. In Giordania gli iracheni vanno incontro ai rifugiati siriani che vivono al di fuori di campi sovrappopolati. “Quando vedo le famiglie siriane, ricordo di quando noi eravamo i primi rifugiati”, dice Laith Eskander. Questo giovane coordina le visite alle famiglie condotte dalla equipe del JRS, composta perlopiù da volontari iracheni. Visitano i siriani per mostrare il loro sostegno, condividono informazioni utili e li Angelika Mendes/JRS mettono in contatto con i servizi di aiuto. I rifugiati siriani seguono anche le lezioni in inglese e di informatica del JRS in Amman. Doaa ha undici anni e frequenta le lezioni tutti i giorni. Aveva tanti amici in Siria ma non ha molto legato in Giordania dove è alle prese con immagini di guerra, morti ed esplosioni. La scuola non sostituisce le lezioni regolari ma aiuta i bambini come Doaa a riprendersi. Esiste una regola d’oro, a nessuno è permesso di parlare di religione o politica per salvaguardare la pace nell’esilio. Usare la religione per sottolineare differenze e accendere un conflitto è una tentazione pericolosa per tutti in questa situazione. Ma esempi concreti di solidarietà al di là dei confini religiosi e culturali danno motivo di sperare. “Unire le persone non è facile in questo scenario – dice padre Peter -. Ma vediamo che funziona nelle nostre equipe che offrono un sostegno concreto a tutti senza distinzione aiutando quelli che soffrono a guardare al futuro”. “Voglio esserci per gli altri rifugiati” Nawal e Adnan vengono dall’Iraq e sono operatori sociali del JRS in una visita a domicilio ad Amman. Entrambi sono fuggiti in Giordania nel 2007 a causa della guerra in Iraq. Madre di due figli, Nawal ha lavorato come hostess per dodici anni per la compagna nazionale irachena. Ad Amman ha lavorato con diverse ONG e l’anno scorso ha iniziato con il JRS. “Mi chiamano fino a mezzanotte, sono come una madre per loro”, racconta Nawal dei rifugiati. I suoi due telefoni cellulari suonano continuamente, i rifugiati ricevono il suo numero da altri rifugiati appena attraversato il confine tra la Siria e la Giordania. Noi le diciamo che ha bisogno di badare anche a se stessa, di riposare, specialmente da quando sta combattendo un tumore alla pelle e affrontando degli interventi, se riesce a trovare il denaro per pagarli. Ma Nawal insiste: “Io voglio servire e aiutare i rifugiati, voglio esserci per loro”. 13 servire Siria Il tuo sostegno per il popolo della Siria Cari amici, ogni pacco di alimenti che i volontari del JRS distribuiscono in Siria consente a una famiglia di vivere per un mese. Si tratta di famiglie che hanno perso la casa e i loro averi a causa della guerra. Le confezioni pesano circa 35 kg ciascuna e contengono riso, bulgur, fagioli, datteri, tè, zucchero, cibo in scatola e, per chi ne ha bisogno, alimenti per bambini. Reti di volontari distribuiscono anche coperte, medicinali e altri articoli di base, aiutano i rifugiati a trovare un posto dove alloggiare, segno di solidarietà in un Paese altrimenti diviso. I centri del JRS accolgono bambini per studiare e giocare. La buona notizia è che potete aiutarci ad aiutarli. ¤ 30 | US$40 ¤ Consentono a un bambino di frequentare uno dei nostri centri per un mese. Con 25 euro o 30 dollari in più, è possibile assicurargli anche un pasto al giorno. ¤ 100 | US$130 Coprono per un mese la distribuzione di pacchi di alimenti per una famiglia di cinque persone. ¤ Servono per un kit di abiti invernali per una persona, compresa una giacca e le scarpe. 80 | US$100 1,500 | US$1,930 Daranno da mangiare a una famiglia di dieci persone per sei mesi. Visita jrs.net per gli ultimi rapporti e jrs.net/donate per fare una donazione online. In alcuni Paesi si può usufruire delle detrazioni fiscali donando attraverso le nostre organizzazioni partner. Ulteriori informazioni sul nostro sito. INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS Allego una donazione di: Il mio assegno è allegato Cognome: Nome: Indirizzo: Città: Codice postale: Fax: Email: Intendo ricevere gli aggiornamenti elettronici del JRS 14 PER BONIFICI BANCARI Banca: Banca Popolare di Sondrio, Circonvallazione Cornelia 295, 00167 Roma, Italia Ag. 12 Nome del conto: JRS Numero del conto per euro: Paese: Telefono: Grazie IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05 Codice SWIFT/BIC: POSOIT22 Numero del conto per dollari USA: IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410 Codice SWIFT/BIC: POSOIT22 Focus sulle VSG FOCUS sulla violenza sessuale e di genere Il JRS si è unito alla nuova Campagna internazionale per fermare gli stupri e le violenze di genere nei conflitti. Portiamo a questa iniziativa, di cui c’era bisogno urgente, anni di esperienza nella protezione e nella prevenzione, nonché la voce di donne sfollate che hanno sofferto o sono minacciate da simili atrocità. La campagna è stata lanciata il 6 maggio 2012, una collaborazione globale tra premi Nobel per la pace, organizzazioni internazionali e gruppi che lavorano a livello regionale e di comunità. Si fonda su tre pilastri: la richiesta di una leadership politica decisa nel prevenire gli stupri nei conflitti, nel proteggere i civili e i sopravvissuti alle violenze e invocare giustizia per tutti, inclusi processi efficaci per i responsabili. Un’azione più difendere Prevenire, proteggere, processare Amaya Valcarcel, coordinatore per l’advocacy del JRS Internazionale vigorosa per affrontare le violenze sessuali e di genere nei conflitti tarda ad arrivare. Questi crimini distruggono gli individui, le famiglie e le comunità e minano il tessuto della società. Tuttavia, gli impegni nazionali e internazionali per mettervi fine sono inadeguati o ignorati. Gli stupri sono diventati sempre di più un’arma di guerra lasciando le sopravvissute sfregiate non solo dal trauma fisico, ma anche dalla vergogna e dallo stigma che le condanna al silenzio o perfino alla colpa. L’impunità per i colpevoli di solito è data per scontata. La violenza sessuale e di genere (VSG) è una priorità nell’azione di advocacy del JRS perché è una minaccia che incombe costantemente sui rifugiati durante il conflitto, la fuga e l’esilio. Una parte integrale dei progetti del JRS in luoghi assai diversi come la Repubblica Democratica del Congo RDC, Venezuela, Italia, India e Angola sono la prevenzione e la protezione attraverso l’istruzione e le cure psicosociali. Il contributo più valido che il JRS può dare alla campagna è di portare i punti di vista delle donne direttamente colpite. Dopotutto, sono le persone che più si prendono cura della sicurezza delle loro famiglie e comunità e le loro voci sono le più importanti. La dimensione del flagello delle violenze sessuali in guerra ci porta a credere che sia semplicemente impossibile sradicarlo. Ma la prospettiva di un’azione motivata congiunta mi fa credere che possiamo fare la differenza nel fermare questi orrori. Una classe del JRS per donne sfollate a Masisi, RDC orientale. Studi recenti rivelano che ogni ora nella RDC 48 donne e ragazze sono violentate. Nell’est, una regione segnata dal conflitto, la situazione è particolarmente grave. (JRS Internazionale) Internet link Visita il sito della campagna: stoprapeinconflict.org/ 15 difendere Focus sulle VSG Kenya: è doloroso ma non è la fine Donne del progetto urbano di emergenza a Nairobi. (Gerry Straub/JRS) Stella Ngumuta, responsabile dell’advocacy per il JRS Africa orientale Mary* piangeva amaramente mentre raccontava agli operatori sociali del JRS i numerosi stupri che aveva subito per mano del marito e dei due figli della sua datrice di lavoro. “Ho sacrificato il mio orgoglio per accettare un lavoro come domestica perché era il solo modo per guadagnarmi da vivere che potevo trovare a Nairobi. Da quando nel 2010 sono scappata dalle persecuzioni e dall’uccisione di mio marito in Etiopia, ho dovuto trovare i mezzi per sopravvivere”. Mary ha raccontato che, mentre la sua datrice di lavoro era assente, il marito e i figli di questa, separatamente, l’avrebbero molestata sessualmente. Ha sopportato questi abusi per due mesi, con la paura di perdere la sua sola fonte di guadagno. Quando, finalmente, ha trovato il coraggio di raccontarlo alla sua datrice di lavoro, questa l’ha cacciata con la falsa accusa di avere sedotto gli uomini. “Mi sono sentita così impotente e senza valore! Non potevo credere alle accuse, specialmente da parte di un’altra donna”. La sola richiesta di Mary al JRS era di essere ascoltata, aiutata ad alleviare il dolore e rassicurata che la sua dignità rimaneva intatta. Come altre donne rifugiate che vivono in aree urbane come Nairobi, Mary si è trovata esposta 16 a un alto rischio di abusi sessuali e sfruttamento. Le difficoltà nel trovare lavoro e accedere ai servizi sociali l’hanno lasciata con poca scelta. Come madre single, Mary era particolarmente vulnerabile perché era percepita come priva di “protettori” maschi. Gli operatori sociali del JRS a Nairobi hanno constatato che molte sopravvissute che si rivolgono alla polizia sono lasciate senza assistenza o protezione legale. Spesso la polizia non prende seriamente in considerazione i rapporti delle donne, non arrestano i colpevoli ed è difficile arrivare ai processi per la mancanza di una raccolta adeguata delle prove, protezione dei testimoni e garanzia di un processo giusto. D’altra parte, le sopravvissute alla violenza sessuale non trovano semplice rivelare il loro travaglio a causa dello stigma e della vergogna che subiscono da parte dei membri della loro comunità, resi ancora più pesanti quando restano incinte a causa dello stupro. Per colmare questo vuoto, il JRS a Nairobi, in collaborazione con la Chiesa e altre agenzie, sta formando le donne rifugiate sulle VSG e su come le sopravvissute possono avere sostegno. Di conseguenza, più donne stanno venendo allo scoperto nel riferire casi. Gli operatori sociali del JRS aiutano le donne rifugiate ad accedere ai servizi sanitari, al sostegno psicosociale, all’aiuto legale e ad altre forme di assistenza sociale, e a trovare alloggi alternativi lontani da zone insicure o lavori rischiosi. Il JRS ha potuto constatare che le VSG non sono limitate alle donne. I nostri operatori sociali hanno incontrato uomini e ragazzi rifugiati che hanno subito abusi sessuali, specialmente in patria, con un alto numero di casi nella RDC. Per più di tre anni, Patrick* ha vissuto con quello che descriveva come una “vergogna impronunciabile” dopo il trauma della violenza per mano delle forze ribelli nella provincia del Nord Kivu della RDC orientale. Sta ricevendo aiuto da diverse agenzie. Il JRS fa parte di un gruppo di lavoro sulle VSG che colpiscono i rifugiati a Nairobi. I meccanismi per assicurare fiducia e confidenza sono cruciali tra assistito e operatore sociale, tra agenzie diversi. Siamo impegnati a sostenere la dignità dei sopravvissuti alle VSG e a ribaltare gli effetti discriminatori di cui soffrono per ristabilire e rinforzare la loro autostima. *I nomi sono di fantasia Asia del Pacifico difendere Cooperazione regionale: un sogno impossibile? Oliver White e Dana MacLean, responsabili per l’advocacy e la comunicazione del JRS Asia del Pacifico Milioni di rifugiati e di richiedenti asilo affrontano dure sfide per trovare la sicurezza nell’Asia del Pacifico. Con il più basso numero di firmatari al mondo per la Convenzione per i Rifugiati del 1951, questa regione* offre una protezione insufficiente alle persone in fuga. La chiara assenza di leggi nazionali sull’asilo e di procedure standardizzate per la determinazione dello status di rifugiato ha condotto i richiedenti asilo nella clandestinità. L’Asia del Pacifico è casa per circa 10,6 milioni di persone forzatamente sfollate che sono in fuga per diversi motivi: cercare la sopravvivenza economica , riunirsi con le proprie famiglie o fuggire da violazioni dei diritti umani. Ma i loro spostamenti sono caratterizzati dagli stessi significativi fattori: paura; viaggi pericolosi, spesso in barca; vulnerabilità al traffico illegale di esseri umani; rischio di detenzione indefinita. Contenere i fattori di attrazione In anni recenti, gli stati dell’Asia hanno cercato di bloccare i loro confini contenendo i fattori di attrazione, ricorrendo alla detenzione e rendendo difficile presentare richieste di asilo. I richiedenti asilo sono condotti alla clandestinità che li espone allo sfruttamento e a condizioni pericolose e nega loro l’accesso all’assistenza sanitaria, al lavoro, al cibo, all’avere una casa e un’istruzione. Ma i fattori di spinta che forzano le persone a lasciare le proprie case sono sempre più forti perciò frenare i fattori di attrazione porta soltanto a violazioni dei diritti umani e a disperazione ancora maggiori. Mahmoud, un richiedente asilo afgano detenuto in Indonesia, è una vittima di questo atteggiamento ostile. “Preferirei che mi sparassero piuttosto che aspettare questo processo che va avanti all’infinito senza sapere cosa stia succedendo”, ha detto. “Non voglio trascorrere la mia vita in questa prigione”. Nessun luogo è sicuro. La polizia in Malesia ha arrestato David, originario della Birmania, per tre volte. “Non ho una carta dell’ACNUR e hanno detto a me e ai miei amici che potevano farci quello che volevano. Hanno rubato 200 ringgit (la moneta locale) dal mio portafoglio e il mio telefono”. Promuovere la collaborazione regionale In anni recenti, la regione ha Detenuto per un anno Pull quote Ali, 56 anni, ha trascorso un anno in detenzione in Indonesia fino al riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’ACNUR. Ha lasciato sua moglie e undici figli a casa in Afghanistan. Ali è stato in mezzo ai detenuti che hanno diligentemente seguito i corsi di inglese del JRS nel centro di detenzione tre volte la settimana. (Paulus Enggal/JRS) 17 difendere Asia del Pacifico visto sfollamenti su larga scala in modo crescente. I conflitti armati in Afghanistan, Myanmar e, fino a metà 2009, in Sri Lanka, la persecuzione di minoranze etniche in Vietnam e l’oppressione in corso dei Rohingya hanno continuato a spingere persone verso l’Australia. I Paesi di passaggio lungo il cammino includono Thailandia, Indonesia e Malesia. La necessità di collaborazione transfrontaliera e regionale non è mai stata così grande e gli anni recenti hanno visto un crescente interesse in questo senso. L’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN) si è dimostrata uno spazio inadeguato per agevolare la protezione dei diritti umani. Con la Conferenza di Bali, un raggruppamento di oltre 50 Paesi e organizzazioni internazionali che lavorano per guidare le persone vittime del traffico di esseri umani, l’ACNUR ha promosso un quadro di cooperazione regionale che facesse da guida agli stati per collaborare sulle questioni di migrazione. Ma nonostante sia stato ben accolto, il quadro non è vincolante. Uno dei pochi esempi di collaborazione bilaterale è stato il Modello di Cooperazione Regionale, firmato nel 2001, tra Australia e Indonesia in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (OIM). Lo scopo è sostenere i richiedenti asilo e i rifugiati per frenarli dai progressivi spostamenti verso l’Australia. Ma simili accordi falliscono senza il coinvolgimento di altre realtà, i Paesi di transito e di reinsediamento. Essendo uno dei Paesi più sviluppati nella regione, l’Australia offre la migliore capacità di proteggere i rifugiati ma gli interessi di sicurezza nazionale 18 e le politiche interne hanno compromesso il suo esempio. Le recenti decisioni di svolgere l’iter di riconoscimento dei richiedenti asilo fuori dal territorio nazionale, nelle isole di Nauru e Manus, contrasta con gli obblighi del Paese presi con la Convenzione per i Rifugiati del 1951 e potrebbe compromettere seriamente i diritti dei rifugiati. Secondo il Consiglio per i Rifugiati dell’Australia, quasi il 90% di persone che arrivano per mare si trovano in condizioni conformi a quelle previste dalla stessa Convenzione. L’Australia ha trovato una scappatoia legale ritagliando il suo territorio – escluse parti della zona di immigrazione – allo scopo di aggirare la sua responsabilità nel riconoscimento dei richiedenti asilo che arrivano per mare. Ma non c’è dubbio che le nuove politiche fermeranno gli arrivi perché il problema sta nella mancanza di soluzioni durature per i rifugiati in altre parti della regione. Un rifugiato afgano in Indonesia ha detto: “So che è un viaggio pericoloso e non voglio mettere me stesso e la mia famiglia in pericolo per mare, ma non è una scelta. Se date a me e alla mia famiglia il diritto di lavorare qui, allora resteremo”. Il cammino da seguire La cooperazione, la coerenza e la condivisione di standard di protezione universalmente accettati sono il cammino da seguire per assicurare una più equa suddivisione degli oneri tra gli stati e per proteggere i rifugiati che transitano attraverso l’Asia del Pacifico. Uniformare le procedure significa che i rifugiati affronteranno lo stesso trattamento, indipendentemente dalla loro meta. Sul web I richiedenti asilo sanno meglio di chiunque altro cosa manca per quanto riguarda la loro protezione. Basato sulle loro esperienze, The Search è una guida pratica pubblicata dal JRS Asia del Pacifico che fornisce ai richiedenti asilo e ai rifugiati informazioni accurate sulle realtà dello spazio di protezione all’interno della regione. Per scaricare The Search, visita https:// jrsap.org/Assets/Publications/ File/The_Search.pdf Il Piano globale di azione intrapreso negli anni ’80 in risposta alla morte di migliaia di vietnamiti in mare ha favorito soluzioni durature per i rifugiati indocinesi che venivano esaminati nei Paesi di transito e reinsediati negli Usa, in Australia e in Canada, oppure rimpatriati. Benché lontano dalla perfezione, il Piano dimostra che la cooperazione regionale è possibile se la volontà politica è presente. * Per la definizione data dall’ACNUR, visita unhcr.org/pages/4a02d8ec6.html riflessione “Tutto ciò che non è donato è perso” Mark Raper SJ, ex direttore del JRS Internazionale Pierre Ceyrac SJ è morto lo scorso 30 maggio 2012 a Chennai all’età di 98 anni. Pierre ha prestato servizio con il JRS nei campi dei rifugiati cambogiani in Thailandia nei primi anni ’80, proprio agli inizi della vita del JRS. Quando Pierre è morto, un ex operatore del JRS ha scritto: “finisce un’epoca di compassione senza confini”. Alcuni anni fa Pierre scrisse in una riflessione per il sito del JRS: “Vivo da più di 60 anni, senza alcun merito da parte mia, un’esperienza umana e religiosa straordinaria, ai confini di civiltà millenarie, e di fronte a situazioni umane – si tratti dell’India o della Cambogia – in cui le forze del male e quelle del bene sono in costante contrapposizione. Il mio modo di essere gesuita si è molto semplificato a contatto con tutto ciò che ho vissuto in questi due Paesi… Potrei riassumerlo con la grande frase di san Giovanni della Croce: ‘Solo nell’amare è il mio esercizio’. E questo, in due modi che sempre più diventano uno solo: un amore crescente per Gesù Cristo, ‘colui che il mio cuore ama’, un amore che sempre più pervade tutto; ma un Gesù Cristo cercato, trovato e amato negli altri, soprattutto nei poveri e in coloro che soffrono. E diventare così sempre più ‘un uomo per gli altri’. A questi due aspetti con cui mi piacerebbe definire il mio modo di essere gesuita, vorrei aggiungere l’essere un uomo del magis, del di più, sulle orme di Saverio: sempre più, sempre ancora, sempre più lontano... verso altri approdi!” Nato il 4 febbraio 1914 in Francia, Pierre entrò nella Compagnia di Gesù nel 1931. Destinato alla missione in India, Pierre Ceyrac SJ accanto a una rifugiata, in uno dei campi al confine tra Cambogia e Thailandia. (Kuangchi Programme Service) studiò il sanscrito e partì per Chennai nel 1937, dove studiò letteratura Tamil oltre alla preparazione per il sacerdozio. Fu ordinato nel 1945. Nel 1980 Pierre andò in Thailandia con una équipe della Caritas indiana per aiutare i rifugiati cambogiani che avevano attraversato in gran numero il confine mentre l’esercito vietnamita combatteva contro i Khmer rossi. Pierre e diversi confratelli gesuiti, in particolare John Bingham e Noel Oliver, rimasero per gettare le basi di un programma del JRS nell’Asia del Pacifico. Accompagnarono i rifugiati cambogiani fino al loro rientro nei primi anni ’90. Pierre amava citare un verso di un poeta tamil, Thayumanavar: “O Dio, oltre a volere che le persone siano felici, non desidero altro dalla vita”. E inoltre si riferiva a san Giovanni della Croce, che diceva: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Pierre è stato uno straordinario amico dei poveri. Aveva un ottimismo contagioso e un senso profondo dell’amore di Dio per tutti. Un giorno, lungo il confine fra Thailandia e Cambogia, esasperato, un ufficiale dell’Onu lo definì un “missile fuori controllo”. Pierre per un attimo si preoccupò, temendo che l’ufficiale gli impedisse di entrare nei campi. Ma vedendo che non gli si ponevano limitazioni, fu contento dell’epiteto, perché lo descriveva come una persona libera. Certamente era libero e la sua libertà ha portato gioia a molti. 19 Jesuit Refugee Service Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia TEL: +39 06 69 868 465 FAX: +39 06 69 868 461 Servir è redatto, prodotto e stampato a Malta Mittente (per cortesia, rispedire al mittente anche gli invii a indirizzi non più validi) Jesuit Refugee Service Malta, St Aloysius Sports Complex, 50, Triq ix-Xorrox, Birkirkara, Malta www.jrs.net Design by I progetti del JRS in Asia sono stati presentati in una mostra fotografica di Don Doll SJ, che si è tenuta dal 7 al 16 ottobre presso l’Asian World Center della Creighton University di Omaha (Nebraska), negli stati Uniti. Padre Don, gesuita e fotografo conosciuto, ha attraversato il mondo scattando immagini del lavoro dei gesuiti, specialmente del JRS in Uganda, Sud Sudan, Burundi, Ruanda, RDC, Ciad, Sud-Est asiatico e Medio Oriente. Dal 1969 Doll ha vissuto e lavorato all’Università di Creighton, dove insegna giornalismo ed è titolare della cattedra dei gesuiti intitolata a Charles e Mary Heider. Mostra fotografica di D on D oll S J I lavori di padre Don possono essere visti sul sito: http://magis.creighton.edu Il suo ultimo libro, A Call to Vision: A Jesuit’s Perspective on the World, può essere acquistato online.