Medea 1972. Valeria Moriconi è Medea. Foto G. Maiorca. Archivio

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Medea 1972. Valeria Moriconi è Medea. Foto G. Maiorca. Archivio
Medea 1972. Valeria Moriconi è Medea. Foto G. Maiorca. Archivio INDA
I saggi
Luigi Allegri
Università di Parma
Lo straniero che suscita pietà e terrore.
Dalla drammaturgia moderna alla tragedia greca
«Resteranno tutti compresi di pietà e di terrore, a mirare il signor Ponza». È la
didascalia iniziale dell’ultima scena del secondo atto di Così è (se vi pare) di Pirandello,
dopo lo scontro violento tra il Signor Ponza e la Signora Frola. Come si ricorderà, il testo
ruota tutto intorno alla inconoscibilità sostanziale della Signora Ponza: forse prima moglie
del Signor Ponza tornata dopo una lunga malattia ma da lui non più riconosciuta e dunque,
nella follia causata dal dolore per una perdita solo immaginata, accolta come seconda
moglie; oppure davvero seconda moglie sposata dopo la morte della prima, riconosciuta
come propria figlia e dunque ancora come prima moglie solo dalla madre, la Signora Frola, a sua volta impazzita per il dolore. Il nodo sembra tematicamente intricato ma il nucleo
problematico e filosofico è relativamente semplice e si gioca sulla disponibilità di questa
figura, espressa nella celebre scena finale, ad essere come ciascuno degli altri la vuole,
risultando alla fine senza identità in sé, perché accetta di essere per se stessa «nessuna»,
e dunque solo «colei che mi si crede».
Un mistero intrigante, dunque, forse anche inquietante a causa della follia che vi recita
un ruolo decisivo, ma niente di tragico nel senso stretto del termine. Ma allora sono solo
un caso quelle due parole così precise, «pietà e terrore», che sono proprio quelle con cui
tradizionalmente si traducono in italiano i termini eleos e phobos, che servono ad Aristotele
per definire il funzionamento catartico della tragedia greca? Certo, Pirandello non incide le
sue didascalie con la chirurgica esattezza di altri autori, come Ibsen o Beckett ad esempio,
e dunque potrebbe trattarsi di una sorta di sintagma rigido, quasi una formula stereotipata
sfuggita inavvertitamente alla penna. Perché, sia chiaro, non ci sono qui rimandi a meccanismi tragici, e neppure ci sono riferimenti tematici ai testi greci, se non nella figura della
Signora Ponza, la donna continuamente evocata e che appare solo alla fine, velata e sostanzialmente inconoscibile, che potrebbe intendersi come una reminiscenza dell’Alcesti
di Euripide. Niente rimandi diretti alla tragedia, dunque, e tuttavia ho sempre trovato curiosa e problematica la presenza di questi termini, pietà e terrore, in un testo che certo non è
una tragedia e che Pirandello non chiama neanche dramma ma «parabola in tre atti». Ho
spesso pensato che possano valere come una specie di segnale, una spia.
Se prendiamo per buona la definizione di Pirandello stesso, allora Così è (se vi pare)
sarebbe una «parabola» dentro la quale sono in atto anche i meccanismi, emotivi se non
catartici, della pietà e del terrore. Ma cosa ci vuole mostrare questa parabola? Il relativismo della “verità”, certo, l’inconoscibilità sostanziale dell’identità: sono le letture classiche
dell’universo poetico pirandelliano. In quell’universo tuttavia e, nello specifico, nella scena
di cui stiamo parlando, trova certo posto la «pietà» (almeno uno dei due tra il Signor Ponza
e la Signora Frola, ci fa capire il testo, è pazzo), forse anche l’inquietudine, ma certo non il
«terrore». Allora può essere produttivo guardare il testo da un’altra prospettiva. Perché c’è
un altro tema, forse meno esplicito ma certo non nascosto, ed è quello del confronto con
lo straniero, con chi viene da fuori. Questa strana famiglia, venuta in un «capoluogo di provincia» a suscitare l’inquietudine e la morbosa curiosità degli abitanti, arriva infatti da un
altrove non specificato e non conoscibile
prio nei testi di questo ciclo di rappresen-
(tutti i documenti che potrebbero provare
tazioni siracusane, lo straniero che arriva
la loro identità e chiarire la loro storia sono
e spesso chiede asilo, viene accolto dal-
andati distrutti).
la comunità, sia pur con qualche iniziale
Stranieri, dunque, ma soprattutto “diver-
diffidenza. Il Pelasgo delle Supplici, ad
si”, di una diversità costantemente sottoli-
esempio, guarda con sospetto le vesti
neata. I loro comportamenti sono anomali,
straniere delle donne che vengono a chie-
rispetto alle regole sociali correnti: il mari-
dere ospitalità («Da dove proviene questa
to impedisce alla moglie di vedere quella
gente dall’abbigliamento poco greco, ric-
che per lui è la suocera e per lei, forse,
camente ammantata di pepli e di turban-
la madre; ma poi è lo stesso uomo che
ti barbari, cui mi rivolgo?») e poi ancora
va spesso a trovare la suocera, che la fa
continua ad appellarle come «straniere»
abitare in un appartamento anche miglio-
e le sospetta di essere, più che «di stir-
re di quello in cui abita lui stesso con la
pe argiva» come pretendono loro, donne
moglie, ecc. E addirittura l’aspetto fisico,
libiche, o cipriote, o indiane, o addirittura
almeno del protagonista maschile, è non
Amazzoni. Ma poi alla fine le accoglie e le
amabile e poco rassicurante: «Tozzo, bru-
difende da chi le insegue. E l’Edipo che
no, dall’aspetto quasi truce, tutto vestito di
giunge a Colono è certo prima accusato
nero, capelli neri, fitti, fronte bassa, grossi
di essere un «vagabondo» che profana
baffi neri. Stringerà continuamente le pu-
un luogo sacro, uno «straniero in terra
gna e parlerà con sforzo, anzi con violen-
straniera», poi violentemente osteggiato
za a stento contenuta […]. Gli occhi, par-
per la fama nefasta della sua ubris, ma
lando, gli resteranno costantemente duri,
alla fine viene non solo assolto ma ono-
fissi, tetri». Il tema, in questa prospettiva,
rato dal re Teseo. E anche Medea, maga,
è allora chiaro: la comunità mostra curio-
straniera, barbara, dapprima è accolta a
sità per questi stranieri, ma anche e so-
Corinto come legittima compagna di Gia-
prattutto ostilità, timore, al limite «terrore».
sone e solo quando diventa una minaccia
Il terrore nasce non tanto dalla miserevole
viene espulsa: «Ho paura […]. Mi hanno
condizione psicologica di queste perso-
riferito che lanci minacce contro di me
ne, che certo conducono una vita doloro-
[…]. Nessuno dei tuoi artifici ti farà rima-
sa, ma dalla loro diversità di stranieri. Alla
nere presso di noi: tu mi sei nemica», le
fine, la comunità fa scattare un meccani-
dice esplicitamente il re Creonte.
smo di difesa, che porta al rifiuto di ogni
Nella drammaturgia moderna il tema è
integrazione. È infatti del tutto evidente
trattato in modo radicalmente diverso.
dal testo come la comunità faccia barrie-
Molto raramente c’è volontà di accoglien-
ra, si costituisca a tribunale che esamina
za e di integrazione, e lo straniero, che
con spirito ostile, si introduca con violen-
spesso è semplicemente “altro”, è quasi
za nella vita privata di queste persone, e
sempre visto come una minaccia. A volte
alla fine le obblighi a presentarsi ad un
questa minaccia incombe da fuori, come
giudizio nella veste di imputati. La conse-
nel caso esemplare del cieco venditore di
guenza non può essere che l’espulsione
fiammiferi che assedia silenzioso i coniugi
dello straniero e del diverso dalla comuni-
in crisi di Un leggero malessere di Pinter
tà, tanto che il signor Ponza, che si sente
e in generale in quasi tutto il primo Pinter,
oggetto di «una vessazione inaudita», è
quello del Compleanno o del Calapranzi,
costretto a chiedere l’immediato trasferi-
ad esempio, in cui oscure e imperscruta-
mento ad altra sede.
bili forze minacciose premono al perime-
Nella tragedia antica, come si vede pro-
tro di una stanza chiusa che è un universo
assoluto. Altre volte l’“altro” si introduce all’interno e disgrega o rischia di disgregare la
convivenza della comunità che sta “dentro”, che tuttavia alla fine tende ad espellere l’“intruso”: basti pensare, che so, a Ricorda con Rabbia di Osborne o a Chi ha paura di Virginia Woolf? di Albee. Ma sono solo esempi citati quasi a caso da un elenco che dovrebbe
essere molto più lungo e che comprende anche il Così è (se vi pare) di cui abbiamo velocemente parlato.
Ad uno sguardo molto generale, è come se la drammaturgia moderna riflettesse la condizione di una società che, pur dopo l’Illuminismo, la volterriana tolleranza, la predicazione
della solidarietà, sente più forte della società antica la minaccia dell’“altro”. E questo potrebbe apparire strano in un mondo in cui sono cadute molte barriere, si sono slabbrati
molti confini, si sono oltrepassati molti limiti. Per questo, dunque, se il senso della ubris sta
nell’oltrepassamento del limite, parrebbe quasi che nel moderno non ci sia ubris possibile.
Dall’analisi dei meccanismi topologici della drammaturgia moderna, sembra invece che un
limite resista tenacemente, ed è quello territoriale. Lì sta l’unica ubris possibile. Spesso il
territorio è simbolico, è il campo da gioco di una partita per il potere, come in Pinter, Albee
o Osborne. Altre volte il territorio è reale, geografico e culturale, quando non addirittura
razziale, come nel testo di Pirandello o in tanti altri che si potrebbero citare in cui l’“altro” è
chiaramente individuato come “straniero”.
Anche nel Così è (se vi pare), come nella drammaturgia antica – lo abbiamo visto – ci sono
pietà e terrore. Ma è una tragedia senza catarsi e senza catastrofe, quella che si compie.
Immobile. In Alcesti, cui il testo di Pirandello potrebbe rimandare, la donna velata è accolta
dentro la casa, dove il mistero si scioglierà. In Così è (se vi pare) la donna velata è espulsa,
col suo insopportabile carico di mistero e di alterità. Se il teatro è, come è, espressione
dei valori profondi di una società, un confronto anche rapido tra la drammaturgia moderna
e la tragedia antica su questo tema ci dice cose non certo rassicuranti sul mondo in cui
viviamo.
Medea 1972. La scenografia di Emanuele Luzzati. Archivio INDA
«È come se la drammaturgia moder na riflettesse la condizione di una società che, pur dopo l’Illuminismo, la volterriana tolleranza, la predicazione della solidarietà»