Il Cluster delle Zone Aride - PDF - Progetto Scuola
Transcript
Il Cluster delle Zone Aride - PDF - Progetto Scuola
Agriculture and Nutrition in Arid Zones Cluster Arid Zones Premessa Il termine Arid Zones si riferisce ad un ambito geografico, denso di problematiche, ma anche di risorse, che comprende territori e popolazioni molto differenti tra loro. La prima parte di questa relazione illustra una breve ricognizione attraverso diversi temi legati alle Arid Zones, cercando di riconoscere alcuni caratteri peculiari di queste aree. La condizione che permette di definire le Arid Zones è senza dubbio la scarsità d’acqua e quindi il rischio rappresentato dal processo di desertificazione. Lo studio di queste tematiche consente di elaborare programmi e decisioni che possano ridurre i rischi ai quali sono soggetti questi luoghi, per individuare buone pratiche e diffonderle attraverso efficaci strategie di intervento e comunicazione. È molto importante osservare che gli effetti dei fenomeni legati alle Arid Zones arrivano ad avere una ricaduta sull’ambiente a scala globale. Infatti, attualmente parte del dibattito scientifico in questo settore è dedicato alla ricerca e alla valutazione delle cause, umane e naturali, dell’avanzare del fenomeno. Oltre a ricercare i caratteri comuni di queste zone nel territorio o nelle tipologie di produzione, è interessante osservare come alcuni aspetti della cultura materiale, della unità familiare, dei rituali legati al cibo e all’accoglienza possono essere interpretati come i veri fattori di ricchezza che caratterizzano le popolazioni di questi territori. Gli aspetti sensoriali legati a queste culture e a questi territori sono probabilmente le testimonianze più intense delle Arid Zones. La seconda sezione del documento è dedicata al tema dell’acqua, come risorsa di vita. L’analisi muove dai dati forniti dalle organizzazioni internazionali e dalle Nazioni Unite attraverso i programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di vita nelle Arid Zones. L’acqua è sicuramente uno dei principali protagonisti in questi progetti, in particolare nell’ambito delle necessità primarie di idratazione e sanità. Una problematica che nei prossimi anni interesserà non soltanto le Arid Zones, ma tutto il genere umano, è sicuramente il ruolo dell’acqua nella produzione del cibo. Saranno dunque illustrati i concetti di “acqua virtuale” e “impronta idrica”, mettendo a confronto diverse realtà e produzioni. In questa sezione dunque saranno introdotte alcune nozioni importanti per comprendere il dibattito internazionale a proposito dell’acqua e la responsabilità di tutti gli individui nello sviluppo sostenibile del pianeta. Il tema della sostenibilità delle risorse è presente in maniera trasversale all’interno della terza sezione, dedicata all’importanza tradizione nelle esperienze innovative di progetto per le Arid Zones. Saranno illustrati quindi alcuni esempi tradizionali di intervento sul territorio in condizioni di scarsità idrica, esempi particolarmente significativi in rapporto al dibattito attuale sulle risorse sostenibili di acqua. Infine saranno illustrati alcuni casi studio significativi in relazione all’importanza delle risorse energetiche per il miglioramento delle condizioni di vita nelle Arid Zones e alcune sperimentazioni, anche nel campo del design, relative all’uso di risorse energetiche sostenibili negli interventi finalizzati a favorire l’accesso all’acqua potabile. Indice Prima sezione QUALI ARID ZONES? 1. Definizioni e scenari 1.1 Individuazione delle categorie climatiche presenti nelle Arid Zones 1.2 Desertificazione e fattori di degrado del suolo 1.2.1 Tecniche di ri-forestazione per ridurre il rischio di desertificazione. The Great Green Wall 1.2.2 Valorizzazione delle foreste di Acacia per la rigenerazione del suolo. Acacia Operation Project 1.3. Ambienti ed ecosistemi iconici. 1.3.1. Qualità sensoriali immersive delle Hyper-arid Zones 1.4 Luoghi e riti della comunità 1.5. Il ruolo protagonista della donna nelle vita quotidiana 1.5.1. La donna e la lotta contro la desertificazione. Il progetto di Keita. Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Prima sezione: Quali Arid Zones? Seconda sezione L’ACQUA per l’IDRATAZIONE, la SANITÀ e il CIBO 2. Acqua, risorsa preziosa per la vita del pianeta 2.1 Acqua, Sanità e Igiene. Il ruolo dell’acqua negli obiettivi MDGs del Millennium 2.2 L’importanza dell’accessibilità alle risorse idriche 2.2.1 Design per il trasporto dell’acqua 2.3 L’acqua è cibo 2.3.1. Pratiche colturali tradizionali e risorse microbiche. Bio Desert 2.3.2 Pratiche di allevamento ittico intensivo nel deserto. Desert Fish Farming 2.4 Il Nesso tra Acqua ed Energia per la produzione di cibo. Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Seconda sezione : L’acqua per l’idratazione, la sanità e il cibo Terza sezione TRADIZIONE E INNOVAZIONE 3. Progettisti di ieri e di oggi per la produzione e l’uso delle risorse idriche 3.1 Modellare il suolo per conservare le risorse idriche 3.1.1 Il Vallerani System, l’innovazione degli aratri “Treno” e “Delfino” 3.2 Costruire manufatti per generare e raccogliere condensa 3.3. Innovazione e design per l’acqua potabile attraverso la condensazione 3.3.1 Il dorso di un insetto per la captazione di acqua di condensa 3.3.2 Un cono per la desalinizzazione dell’acqua 3.3.2 Una bottiglia per la purificazione dell’acqua Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Terza sezione : Tradizione e innovazione Prima sezione : QUALI ARID ZONES? 1. Definizioni e scenari 1.1 Individuazione delle categorie climatiche presenti nelle Arid Zones 1.2 Desertificazione e fattori di degrado del suolo 1.2.1 Tecniche di ri-forestazione per ridurre il rischio di desertificazione. The Great Green Wall 1.2.2 Valorizzazione delle foreste di Acacia per la rigenerazione del suolo. Acacia Operation Project 1.3. Ambienti ed ecosistemi iconici. 1.3.1. Qualità sensoriali immersive delle Hyper-arid Zones 1.4 Luoghi e riti della comunità 1.5. Il ruolo protagonista della donna nelle vita quotidiana 1.5.1. La donna e la lotta contro la desertificazione. Il progetto di Keita. Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Prima sezione: Quali Arid Zones? “Family portait Somalia”, Collage, Lab. Sintesi, Scuola Design, Politecnico di Milano, 2012/2013 QUALI ARID ZONES? 1. Definizioni e scenari L’espressione “Arid Zones” indica aree geografiche molto diverse, spesso tra loro lontane e caratterizzate da temperature estreme, molto calde o, al contrario, molto fredde. A questa categoria dunque afferiscono culture eterogenee, che hanno tipologie di prodotti, sistemi alimentari e tradizioni diverse. Tutte le Arid Zones sono però tutte interessate dalla scarsità d’acqua, dall’impoverimento del suolo e dalla minaccia di desertificazione, indicate a livello internazionale con la sigla DLDD - Desertification, Land Degradation and Drought. 1.1 Individuazione delle categorie climatiche presenti nelle Arid Zones L’aridità può essere espressa in funzione della temperatura e della quantità di pioggia caduta in un periodo di tempo definito. Una mappatura molto utile delle aree in oggetto si può ottenere adottando un indice che viene calcolato dividendo la precipitazione annuale e il potenziale annuale di evapotraspirazione. Il metodo Penman-Monteith, utilizzato anche dalla FAO – Food and Agricolture Organization of the United Nations - si basa infatti sulla valutazione di fattori di Evaporazione (E) e Traspirazione (T); pertanto permette di considerare l’umidità atmosferica, la radiazione solare e il vento. [1] Attraverso il metodo Penman-Monteith precedentemente descritto sono state definite tre aree climatiche all’interno delle cosiddette Arid Zones. - Le Hyper-arid Zones, con un indice di Penman di 0.03, presentano assenza quasi totale di vegetazione. La precipitazione annua non supera i 100 millimetri e non ha cadenza regolare. Le aree di questo tipo possono essere soggette a lunghi periodi di siccità, anche della durata di alcuni anni e sono prevalentemente zone desertiche. - Le Arid Zones, individuate da un indice di 0.03-0.20, sono caratterizzate da un tasso di precipitazione variabile con una piovosità annua compresa tra i 100 e i 300 millimetri. La vegetazione pertanto è scarsa, sono presenti piante secolari, arbusti e piccoli alberi. - Le Semi-arid Zones, con un indice di Penman tra 0.20 e 0.50 presentano un più ampia varietà di vegetazione che comprende piccole piante, arbusti e erbe. Le precipitazioni annue variano tra i 300-600 e i 700-800 millimetri durante le piogge estive e tra i 200-250 e i 450-500 millimetri in inverno. Infine, condizioni di aridità sono presenti anche nelle Sub-Humid Zones. In questo documento quindi il termine Arid Zones si riferisce alle quattro categorie climatiche sopra citate. Esistono infatti diversi sistemi di classificazione delle Arid Zones, in rapporto alle tematiche approfondite nei diversi settori disciplinari. Un esempio riguarda l’ambito di ricerca dedicato ai processi di Desertificazione, che non si concentra sulle Hyper-arid Zones, che sono effettivamente desertiche, per analizzare invece i rischi ai quali sono sottoposte le Arid, Semi-arid e Sub-humid Zones. 1.2 Desertificazione e fattori di degrado del suolo La ricerca di una definizione di Arid Zones porta con sé il dibattito sull’aumento della Desertificazione e del Degrado del suolo. Indagando sulle cause dell’aggravarsi di questi fenomeni è difficile valutare la quota di responsabilità diretta dell’uomo nello sfruttamento delle risorse del territorio e il ruolo del cambiamento climatico in questo processo. Dunque, nella definizione indicata nel Capitolo 12 dell’Agenda 21 – obiettivi per il 21simo secolo approvato dalla United Nations Conference on Environment and Development – la Desertificazione è descritta come “il degrado del suolo nelle zone aride, semiaride e secche-subumide, risultante da vari fattori che includono le variazioni climatiche e l’attività umana” [2]. Combattere il cambiamento climatico e quindi la “desertificazione geologica” è un obiettivo molto complesso. E’ stato infatti osservato che in alcuni casi il processo di desertificazione avviene anche in assenza di presenza umana, esiste dunque una sorta di desertificazione “geologica”. È invece possibile definire strategie e buone pratiche che permettano all’uomo di affrontare questi cambiamenti, cercando di non alimentare il degrado in corso e di contrastarlo [3]. Sono state infatti definite le attività umane che contribuiscono ad esporre il suolo al rischio di Desertificazione e che possono essere controllate per ridurre il rischio. Tra queste, la coltivazione di suolo esposto ad erosione o acqua è una delle cause individuate, altre sono la riduzione del periodo di riposo del suolo e la mancanza di minerali fertilizzanti, lo sfruttamento eccessivo del suolo, l’uso incontrollato del fuoco, ecc. [4] Per questo motivo le ricerche orientate ad individuare politiche e tecniche di “Sfruttamento sostenibile del suolo” - Sustainable Land Management , SLM - e “Rigenerazione del Suolo” - Soil Regeneration – stanno acquistando progressivamente importanza come strategie per combattere la Desertificazione. 1.2.1 Tecniche di ri-forestazione per ridurre il rischio di desertificazione. The Great Green Wall Un grande intervento ideato per combattere il processo di desertificazione che avanza a Sud nel Sahara e nel Sahel, minacciando alcune nazioni africane è il Desert Green Wall. Il progetto prevede, nella sua prima definizione, la realizzazione di un “cintura verde” di alberi, spessa 15 Km, che percorre per 7100 Km il continente africano da Ovest ad Est, da Dakar a Djibouti. L’idea, inizialmente teorizzata negli anni 50, fu riproposta nel 2002 durante la conferenza organizzata in Chad in occasione del World Day to Cambat Desertification and Drought e approvata nel 2005 dai Membri della comunità degli stati del Sahel e Sahara. Nel 2007 ad Addis Abeba l’African Heads of States and Government completarono il programma arrivando ad includere, oltre alla piantumazione di varie essenze arboree, anche altri interventi sinergici di diversa natura che coinvolgevano anche aspetti sociali ed economici, politiche di sviluppo e proprietari terrieri delle nazioni interessate, con l’obiettivo di combattere efficacemente l’avanzamento del deserto. Attualmente la Pan Agency of the Great Green Wall (GGWA) è formata da undici nazioni: Burkina Faso, Djibouti, Eritrea, Ethiopia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan, Chad. Il primo passo fu fatto nel 2012 dalla African Ministerial Conference on Environment, ma in alcune regioni del Niger la sperimentazione iniziò già a metà degli anni Ottanta ed è stata portata avanti insieme ad altre politiche per il miglioramento globale dell’ambiente e dello stile di vita degli abitanti. Sono visibili quindi alcuni sensibili miglioramenti e, insieme ad essi, l’aggiunta di coltivazioni agricole nelle aree ombrose create dagli alberi del Green Wall [5]. Le essenze arboree selezionate per l’intervento sono endemiche delle aree geografiche in questione, le più importanti sono Balanites aegyptiaca, Acacia senegal, Tamarindus indica. 1.2.2 Valorizzazione delle foreste di Acacia per la rigenerazione del suolo. Acacia Operation Project Il progetto Acacia Senegal è stato intrapreso tra il 2003 e il 2010 presso alcune nazioni africane finanziato dalla società di Cooperazione del Governo Italiano e assistito dalla FAO nella sua realizzazione. L’intervento riguarda alcune nazioni produttrici di gomma arabica (Chad, Kenya, Niger, Senegal e Sudan) che sono state seriamente colpite da siccità e dal processo di desertificazione. Obiettivo del progetto è stato il supporto allo sviluppo ed alla gestione delle foreste di Acacia senegal, per ottenere benefici in termini di sussistenza presso le comunità locali, garantendo la sicurezza alimentare, la riduzione della povertà e il controllo del degrado del suolo. L’acacia Senegal appartiene al genere dell’Acacia ed è molto diffuse nelle zone aride e semi-aride del continente africano. La pianta, sfruttata per la produzione di gomma arabica, permette di proteggere i raccolti dall’erosione dell’acqua piovana e del vento, mitigando le condizioni climatiche estreme e soprattutto ristabilendo la fertilità del suolo. Le peculiarità di questa pianta permettono dunque di migliorare le condizioni del suolo per le coltivazioni di sussistenza. Tali condizioni sono state ulteriormente migliorate con l’introduzione dell’Aratro Vallerani, una tecnologia meccanizzata che permette di creare microbacini e collettori d’acqua piovana, scavati nei suoli degradati. [6] 1.3. Ambienti ed ecosistemi iconici. Poiché le Arid Zones includono aree climatiche diverse è difficile selezionare una tipologia di ambiente che da sola possa rappresentare la varietà di paesaggi presenti al loro interno. Tuttavia sono note a tutti alcune tipologie di ecosistemi ambientali tradizionalmente associate alle Arid Zones.. Le oasi, sono ecosistemi particolari, verdi e rigogliosi sono presenti nelle Hyper- Arid Zones, quindi nel deserto. Un fattore caratteristico delle oasi è il forte, e apparentemente inspiegabile, contrasto tra la rigogliosità della vegetazione e l’ambiente desertico che circonda l’area nelle immediate vicinanze. Le oasi presentano caratteristiche e tipologie diverse, ma la loro presenza è dovuta all’esistenza di sorgenti che permettono la crescita di diverse specie di vegetazione, tra le quali compare in maniera evidente la palma da dattero. Altre piante presenti in questi ambienti sono il fico, l’albicocco e l’olivo. La vegetazione delle oasi spesso è caratterizzata da un denso sfruttamento del suolo a diversi livelli; spesso alcune piante ad alto fusto permettono la crescita di altre specie arboree, come il pesco, nei loro coni d’ombra, e, all’ombra di questo secondo livello sono possibili alcuni tipi di coltivazione orticole. Nelle oasi sono presenti anche coltivazioni di grano, orzo e miglio. Si formano così diversi livelli di coltivazione che funzionano in maniera sinergica. Trovandosi all’interno di aree desertiche le oasi sono tappe necessarie per l’approvvigionamento di acqua e cibo e scandiscono le principali vie di comunicazione che attraversano le Hyper-Arid Zones. La stessa necessità spinge anche le specie di animali migratorie, oltre agli esseri umani, ad inserire le oasi nei loro lunghi viaggi. Infine le oasi ricoprono un’importanza strategica dal punto di vista politico e persino militare e per le nazioni in cui si trovano. Come per le Hyper Arid Zones anche nelle Semi-Arid Zones è interessante il contrasto tra ambiente coltivato e condizione desertica; in questo caso però si tratta di un’alternanza temporale tra periodi di siccità e periodi piovosi, ambiente coltivato e condizione di aridità che si alternano ciclicamente nel tempo rendendo irriconoscibili i paesaggi. Le Semi-Arid Zones sono infatti caratterizzate da una ciclicità tra periodi di siccità e piogge stagionali. Anche in queste aree la pastorizia è l’attività produttiva prevalente ma, poichè sono presenti anche temporanei ristagni d’acqua è possibile un tipo di produzione orticola e anche la coltivazione di alcuni cereali come il miglio. Questo tipo di coltivazione è direttamente legata alla capacità tecniche di sfruttamento dell’acqua piovana da parte delle popolazioni di queste zone; sistemi tradizionali per sfruttare l’acqua piovana, oppure per ridurre l’evaporazione. 1.3.1. Qualità sensoriali immersive delle Hyper-arid Zones Gli ambienti sopra descritti presentano gli scenari tradizionalmente associati alle Arid Zones caratterizzate da temperature molto calde. Nella realtà anche all’interno di questa categoria troviamo ambienti molto diversi e questa varietà aumenta quando si considerano anche le Arid Zones caratterizzate da climi continentali, spesso molto freddi. Un aspetto interessante delle Arid Zones è dato dalla presenza di superfici molto estese nelle quali è presente un’omogeneità e ridondanza degli elementi che formano il territorio, il suolo in particolare, in assenza di manufatti e vegetazione. Emergono così, amplificate, le qualità primarie relative al tipo di conformazione del suolo, il riverbero della luce, l’odore della terra, il clima, il rumore del vento. Queste qualità ambientali determinano una sorta di assorbimento e coinvolgimento dell’uomo in una dimensione immersiva, dove tutti i recettori sensoriali sono profondamente attivi e spesso ingannati o deviati. Le zone aride possono avere conformazioni e colori molto diversi tra loro. Gli abitanti sono in grado di riconoscere le aree desertiche attraverso toni cromatici e caratteristiche che solo loro hanno la capacità di discernere. I toni polverosi degli elementi naturali sono spesso bilanciati nel contrasto con le tinte decise dei manufatti, dei tessuti e anche delle spezie e di alcuni alimenti. In questo senso i colori presenti nei mercati sono una tavolozza sintetica di queste tinte. 1.4 Luoghi e riti della comunità Gli elementi caratteristici delle Arid Zones, nel loro complesso, sono maggiormente rintracciabili in alcuni aspetti della cultura materiale e in alcuni rituali familiari e domestici delle popolazioni che abitano questi luoghi. Il focolare domestico, l’abitazione o la tenda, l’interno, ma anche lo spazio esterno, sono gli ambiti nei quali si riunisce il grande nucleo familiare. Attorno a questi poli lo spazio è vivificato e contrassegnato dalla presenza degli animali che partecipano alle attività della comunità. Questo spazio protetto, dell’accoglienza e del riparo, è anche l’elemento fondamentale ed unificante delle aree nelle quali la vita si sviluppa in condizioni estreme, aree spesso sottoposte a condizioni di stress idrico e alimentare. La cultura materiale, i colori, i profumi sono forse più evidenti in occasione delle feste e delle celebrazioni familiari, i matrimoni, i rituali funebri, i rituali di ringraziamento, quelli legati ai raccolti o ai cicli stagionali. Gli elementi e le caratteristiche comuni alle Arid Zones probabilmente si ritrovano in questo contesto di analisi. Questi fattori distintivi sono certamente legati alla vita rurale e, tendono a perdere forza progressivamente con la tendenza alla concentrazione della popolazione nei nuclei urbani ed alla conseguente globalizzazione degli usi e del consumo. 1.5. Il ruolo protagonista della donna nelle vita quotidiana Nei paesi e nelle aree agricole caratterizzate da scarsità d’acqua, la donna è coinvolta nelle principali attività legate all’agricoltura ed alla lavorazione delle materie prime alimentari per la preparazione del cibo, oltre alla cura della famiglia e della casa. Pur non essendo, nella maggior parte dei casi, proprietaria dei terreni, la donna produce, lavora e commercializza i prodotti della terra. In ambito familiare la donna è responsabile della lavorazione dei prodotti agricoli, della macinatura dei cereali, della cottura degli stessi e quindi della preparazione e conservazione, quando possibile, del cibo. La donna è dunque la principale protagonista della vita nelle Arid Zones. Il problema della conservazione del cibo, dovuto alla scarsità di risorse economiche ed energetiche, costituisce forse uno dei principali problemi nell’organizzazione della vita quotidiana perché genera la necessità di effettuare quotidianamente le operazioni di lavorazione, cottura e preparazione degli alimenti, che, se aggiunti al l’approvvigionamento di acqua potabile e di legna da ardere, occupa gran parte della giornata femminile. Interessanti ed efficaci sperimentazioni sono state effettuate in diversi ambiti geografici dove le donne hanno avuto accesso alla proprietà terriera ed ai processi decisionali relativi alla gestione delle terre. Le donne, infatti, sono forse i principali soggetti interessati dal degrado ambientale proprio perché vivono le conseguenze di questo fenomeno all’interno di ogni azione quotidiana di loro pertinenza, dal percorso necessario per l’approvvigionamento dell’acqua alla ricerca di biomassa per poter cuocere gli alimenti [7]. 1.5.1. La donna e la lotta contro la desertificazione. Il progetto di Keita. Un modello interessante di lotta alla desertificazione che prevede la figura femminile come protagonista è costituito dal Progetto di Sviluppo Rurale integrato a Keita [8], intrapreso nel 1984 dalla Cooperazioone Italiana allo Sviluppo, in seguito ad una siccità che ha afflitto la regione di Tahoua nella Repubblica del Niger. Il programma, terminato nel 2006, era basato sulla suddivisione del territorio in aree elementari. In ogni Unità furono effettuati interventi ad alto contenuto tecnico volti al recupero delle terre abbandonate, alla riforestazione, creazione di frangivento e di ritenute collinari, inoltre gestione delle acqua sotterranee. In parallelo sono state avviate operazioni a livello sociale ed economico con la costruzione di infrastrutture e assistenza per la gestione finanziaria. Attraverso il microcredito in favore di gruppi femminili sono state promosse alcune attività generatrici di reddito. Il programma è stato in seguito esteso ad altri distretti limitrofi. Oggi l’area è oggetto di studio da parte di alcuni laboratorio di ricerca a livello internazionale. Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Prima sezione: Quali Arid Zones? Obiettivo di questa sezione è introdurre il tema delle Arid Zones e illustrare al visitatore quali sono le peculiarità di queste aree, le problematiche ad essere correlate e le risorse. Quindi accanto ad un tipo di comunicazione a fruizione veloce, che veicoli dati e definizioni, potrebbero essere previste installazioni ambientali. Il coinvolgimento sensoriale è il principale obiettivo dell’allestimento degli spazi comuni del cluster. Il paesaggio omogeneo, coperto dall’installazione di tubi sospesi costituisce quindi un buon fondale per eventuali progetti che favoriscano esperienze sensoriali legate alle zone aride, evocandone, luci, colori, suoni, calore e anche odori. Queste zone di esperienza possono essere concentrate in alcune aree, come oasi nello spazio del cluster. L’aspetto sensoriale legato alla vita comunitaria e all’accoglienza delle popolazioni che abitano le Arid Zones può essere evocato attraverso rimandi al cibo, al “piatto delle Arid Zones” (cfr. il piatto sano) presente soprattutto nelle feste e nelle celebrazioni comunitarie. Oltre alla presenza eventuale di cibi ed alimenti tipici, tali scenari possono essere illustrati attraverso fotografie. Potrebbero essere reperite fotografie delle feste di matrimonio o, in alternativa scatti fotografici che riprendano tematiche simili a quelle indagate negli scatti di Peter Menzel. Si vedano a questo proposito i libri: MENZEL, P. (1994) Material World. A global family portait MENZEL, P. (2006) Hungry Planet. What the world eats Infine si segnalano i profili scientifici quali esperti coinvolti nella stesura della presente sezione: - Prof. Giuseppe Enne. Coordinatore del Nucleo Ricerca Desertificazione (NRD – UNISS) Nucleo di ricerca Interdipartimentale presso l’Università di Sassari che promuove la ricerca multidisciplinare e gli studi sulla desertificazione e il degrado ambientale (in particolare nel Mediterraneo) - Prof. Gianfranco Greppi – Delegato Pettorale EXPO 2015. Dipartimento di Scienze Agricole – CNBS (Centro di Nano Biotecnologie Sardegna) - Laboratorio di bionanotecnologie - Società Italiana Progresso zotecnia Si segnala anche che nel 2015 sarà effettuata la terza conferenza della UNCCD (United Nation Convention to combat on Desertification in Countries). Non è stato ancora definito il luogo ma sarà opportuno creare riferimento a questa istituzione all’interno del cluster. Note: 1.http://www.cigrjournal.org/index.php/Ejounral/article/viewFile/1291/1243 Transpiration is the water transpired or "lost" to the atmosphere from small openings on the leaf surfaces, called stomata. Evaporation is the water evaporated or "lost" from the wet soil and plant surface. http://www.ext.colostate.edu/pubs/crops/04715.html 2. FAO, Corporate Document Repository, Sustainable Deevelopment of drylands and Combating Desertification, 1993, Forestery Office, Toulmin, 1993 http://www.fao.org/docrep/V0265E/V0265E00.htm http://www.iisd.org/casl/asalprojectdetails/asal.htm 3. UNCCD - United Nation Convention to combat on Desertification in Countriesla 2 Conferenza è stata organizzata a Nairobi nell’Ottobre del 2013 4.http://www.fao.org/docrep/V0265E/V0265E01.htm#How%20to%20define%20desertifi cation 5. The Great Green Wall. http://www.fao.org/resources/photos/building-the-african-wallpiece-by-piece/en/) . Un video che illustra il progetto si trova in: Video http://www.thegef.org/gef/video/great_green_wall 6. Acacia Operation Project. Una testimonianza di questo progetto è il video: http://www.fao.org/forestry/aridzone/62998/en/ “Support to food security, poverty alleviation and soil degradation control in the gums and resins producer countries” 7. Messaggio del Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione della Giornata Mondiale per combattere la Desertificazione e la Siccità 17 giugno 2005 - Kofi Annan Comunicato stampa RUNIC/IT/276/05 8. “Il progetto Keita: dove l’uomo ha fermato il deserto” in http://www.abidjan.cooperazione.esteri.it/utlabidjan/IT/best_practices/keita.html Fotografie: http://www.case.ibimet.cnr.it/keita-niger/keita.php?page=85&action=P&fnc=browse Seconda sezione: L’ACQUA per l’IDRATAZIONE, la SANITA e il CIBO 2. Acqua, risorsa preziosa per la vita del pianeta 2.1 Acqua, Sanità e Igiene. Il ruolo dell’acqua negli obiettivi MDGs del Millennium 2.2 L’importanza dell’accessibilità alle risorse idriche 2.2.1 Design per il trasporto dell’acqua 2.3 L’acqua è cibo 2.3.1. Pratiche colturali tradizionali e risorse microbiche. Bio Desert 2.3.2 Pratiche di allevamento ittico intensivo nel deserto. Desert Fish Farming 2.4 Il Nesso tra Acqua ed Energia per la produzione di cibo. Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Seconda sezione: L’ACQUA per l’IDRATAZIONE, la SANITA e il CIBO “ Gadinga Villane, Niger” http:// hansonphoto.me (Tearfund westAfrica appeal) L’ACQUA per l’IDRATAZIONE, la SANITA e il CIBO 2. Acqua, risorsa preziosa per la vita del pianeta La scarsità d’acqua è il requisito principale che permette di inserire aree geografiche molto diverse tra loro all’interno dello stesso cluster tematico definito Arid Zones. Le conseguenze di tale mancanza emergono con grande chiarezza sul territorio e sugli abitanti di queste aree. L’acqua infatti è un bene primario, una risorsa preziosa per la vita. Il corpo umano può sopravvivere molti giorni in assenza di cibo, ma ha risorse di vita molto ridotte senza acqua. La quantità d’acqua necessaria per la sopravvivenza è variabile a seconda della temperatura e dall’intensità del vento, quindi aumenta parallelamente all’aumento dell’evapotraspirazione. Comunque, il fabbisogno minimo biologico per persona può essere considerato tra i 2 e i 4 lt al giorno. Invece una quantità compresa tra i 20 e i 50 lt al giorno è stata indicata come fabbisogno minimo giornaliero per garantire condizioni di vita accettabili per ogni essere umano, quindi per assicurare la soddisfazione dei bisogni primari legati all’alimentazione e alle condizioni igienico sanitarie [1]. I dati diffusi dalle istituzioni permettono di osservare che il consumo medio giornaliero di acqua potabile pro capite varia molto e non solo in rapporto alle condizioni climatiche o alla ricchezza dei paesi, ma anche come conseguenza di usi ed abitudini della popolazione: in Italia si consumano circa è 200 litri per persona, in America 425 lt e nel Madagascar 10 lt [2]. Soprattutto nelle Arid Zones è presente un altro tipo di disomogeneità, quella esistente tra la popolazione cittadina, che può usufruire di impianti di distribuzione idrica, e la popolazione rurale. L’acqua infatti, oltre ad avere ruolo essenziale nell’idratazione del corpo umano, rappresenta un elemento importante anche in ambito sanitario e igienico. Nella letteratura internazionale del settore, Acqua, Sanità e Igiene, si presentano spesso come tematiche strettamente collegate; per questo motivo è stato coniato un acronimo – WASH - che indica l’insieme di Water, Sanitation e Hygiene. 2.1 Acqua, Sanità e Igiene. Il ruolo dell’acqua negli obiettivi MDGs del Millennium I grandi temi Acqua, Sanità e Igiene sono sempre presenti in maniera diretta o indiretta tra gli otto obiettivi di sviluppo sostenibile definiti per il millennio, i Millennium Development Goals – MDGs - delle United Nations, dichiarati nel 2000 in occasione del Millenium Summit of the United Nations. L’acqua quindi costituisce un importante fattore che influisce complessivamente su tutti gli obiettivi. La combinazione di acqua potabile e condizioni igieniche sicure è infatti una pre-condizione per il successo nella lotta alla povertà ed alla fame (Obiettivo 1); la possibilità di reperire in maniera sostenibile acqua sicura permette ai bambini di avere le condizioni fisiche soddisfacenti e il tempo necessario da dedicare all’educazione primaria (Obiettivo 2); l’approvvigionamento idrico permette alla donna di poter svolgere in maniera sostenibile tutte le mansioni relative alla gestione della casa e della famiglia, creando le presupposti per il miglioramento della sua condizione (Obiettivo 3). L’acqua svolge un ruolo fondamentale nella lotta alla mortalità infantile (Obiettivo 4) ed alla salute della madre (Obiettivo 5). Nelle Arid Zones l’acqua permette di migliorare le condizioni di salute della popolazione e ridurre il rischio di contrarre malattie (Obiettivo 6). L’acqua svolge invece un ruolo diretto all’interno dell’obiettivo legato alla sostenibilità ambientale e all’impatto delle attività umane (Obiettivo 7). Infine, l’ultimo obiettivo prevede la necessità di sviluppare sistemi di partenariato mondiale per lo sviluppo (Obiettivo 8), [3] In particolare all’interno del 7 Obiettivo, intitolato Ensure environmental sustainibility, è presente un traguardo denominato 7c nel quale si stabilisce che entro il 2015 che ottenga il dimezzamento della popolazione che non ha accesso a fonti sostenibili di acqua potabile ed ai servizi di igiene di base. La terminologia usata in queste definizioni è, come sempre, densa di significati. Il traguardo 7c in particolare è presentato attraverso i seguenti termini e tematiche. La problematica della acqua potabile - safe drinking water - è associata a quella dell’ “accesso sostenibile” - sustainable access - all’acqua potabile. In questo ambito il termine “sostenibile” è importante perché porta con sé una indicazione quantitativa, indica cioè che la distanza tra luogo di prelievo e luogo in cui viene impiegata l’acqua debba essere inferiore a 1 Km; inoltre la quantità d’acqua garantita per ogni abitazione dovrà essere di almeno 20 litri. Anche il tema della “sanità di base” - basic sanitation - richiede una definizione specifica. L’obiettivo prevede l’ottenimento di un ambiente sano e pulito in casa e nel quartiere. Ad esso sono accompagnati i requisiti di igiene e privacy nei servizi igienici, che devono garantire sistemi per evitare il contatto tra l’uomo e gli escrementi. Questo requisito è considerato un importante standard minimo d’igiene. Il contatto tra uomo e acque ed ambienti o ambienti contaminati costituisce una pericolosa esposizione al rischio di contrarre malattie. I report che illustrano i traguardi intermedi raggiunti in relazione agli obiettivi MDGs, sono molto utili per comprendere le tendenze in atto e le disomogeneità sulle quali è necessario intervenire con strategie nuove. Per esempio il report del 2013 avverte che: > per quanto riguarda l’accesso all’acqua potabile, è stato rilevato che 768 milioni di persone attualmente utilizzano fonti di acqua non sicure e, di questi, 185 milioni usano acqua recuperata in superficie (laghi, fiumi, pozzi non protetti, dighe) per il loro bisogno quotidiano, quindi per bere, cucinare e per l’igiene personale. La mancanza di accesso a fonti di acqua potabile sicure - improved sources of drinking water - costituisce un importante fattore di rischio per la salute delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. > Per quanto riguarda invece l’accesso a condizioni sanitarie di base, un fattore positivo riguarda l’accessibilità ai servizi igienici, guadagnata da 1.9 miliardi di persone tra il 1990 al 2011. Ciò significa che due terzi della popolazione mondiale (64%) usufruiscono di servizi igienici efficaci di vario tipo. Il dato è dovuto in gran parte ai grandi progressi delle regioni dell’Est Asiatico, ma rappresenta un importante successo nel raggiungimento e superamento di uno degli obiettivi parziali prefigurati negli MDGs. [4] Al contrario, 2.4 miliardi di persone (un terzo della popolazione mondiale) non usano servizi igienici appropriati – improved sanitation facilities - di questi il 15% della popolazione mondiale, circa 1 miliardo di unità, nel 2011 non usa servizi igienici. Il report del 2013 conferma che il processo di avvicinamento a questi obiettivi sta avvenendo in maniera molto disomogenea e che, per il raggiungimento di alcuni obiettivi, non sempre sono state intraprese azioni efficaci per avviare i processi. Per esempio il traguardo che prevede il dimezzamento, entro il 2015, della popolazione che non ha accesso sostenibile ad acqua potabile ed a condizioni igieniche di base, non sarà raggiunto per l’8% della popolazione mondiale prevista, circa un miliardo di persone. Nel 2013 sono state quindi definite dalle Nazioni Unite ulteriori indicazioni per accelerare tali processi - Acceleration Framework - . Per migliorare i criteri di valutazione degli eventuali progressi o delle criticità nell’avvicinamento agli obiettivi stabiliti, sono stati proposti alcuni criteri di interpretazione per esempio, nel caso della sanità, è stata introdotta una scala di valutazione che muove dalla defecazione all’aperto e sale fino all’uso di servizi igienici. Mentre, per il rifornimento di acqua potabile, si passa dall’approvvigionamento idrico di base, che prevede la possibilità di accedere a fonti di acqua potabile sicure ad una distanza minore o uguale a 30 minuti a piedi, fino alla possibilità di avere l’acqua in casa condividendo il servizio con un massimo di 5 persone. 2.2 L’importanza dell’Accessibilità alle risorse idriche Oltre il 40 per cento della popolazione che non usufruisce di un accesso sostenibile a fonti di acqua potabile vive nelle aree dell’Africa Sub-sahariana, e un quarto della popolazione delle nazioni dell’Africa Sub-sahariana impiega più di 30 minuti per raggiungere fonti di acqua potabile. Quando il tempo impiegato supera i 30 minuti di viaggio, l’approvvigionamento non è considerato efficace. Nelle aree rurali delle Arid Zones le donne e talvolta i bambini raggiungono le fonti di acqua potabile, affrontando lunghi e pericolosi viaggi, spesso si effettuano più viaggi al giorno. Sono state elaborate varie ricerche in questo campo, per valutare le distanze percorse dalle donne e la perdita di tempo per raggiungere le sorgenti di acqua potabile, i pesi trasportati e gli effetti sulla postura, con le conseguenti patologie legate a questo tipo di attività. Inoltre il tempo dedicato all’approvvigionamento idrico generalmente allontana i bambini dalla possibilità di avere un’educazione scolastica e sottrae tempo prezioso alle attività femminili, alla formazione o al lavoro retribuito. [5] Molti sono gli interventi organizzati per la formazione di pozzi, di centri per la purificazione e la distribuzione dell’acqua; alcuni di essi prevedono la purificazione dell’acqua mediante l’applicazione di impianti fotovoltaici per ai serbatoi. 2.2.1 Design per trasporto dell’acqua Interessanti sono gli alcuni esempi di progetto emersi dall’analisi delle problematiche correlate al trasporto individuale dell’acqua nelle lunghe distanze. Generalmente l’acqua viene trasportata in taniche di plastica o per mezzo di recipienti appoggiati sulla testa. Sono stati quindi analizzati diversi sistemi individuali di trasporto. Un progetto è stato sperimentato basandosi sulle necessità osservate in alcune aree del Sud Africa.. Il QDrum costituisce un esempio di prodotto finalizzato a rendere meno faticosa l’attività di trasporto dell’acqua. Q-drum è una tanica di forma cilindrica, con un vuoto al centro, nel suo complesso è simile una ruota, e permette di utilizzare una corda o un supporto per trascinare il peso, senza creare attrito tra tanica e suolo. Q-Drum può contenere 50 lt di acqua ed è stata progettata da Piet Hendrikse. Oltre alla tanica a forma cilindrica che rotola come una ruota è stata sperimentata anche la tanica flessibile, una sorta di sacca che può essere trasportata in spalla come uno zaino distribuendo il peso in maniera più efficace e con un impatto diverso sulla spina dorsale. [6] 2.3 L’acqua è cibo Durante la Conferenza di Rio del 2012 - Rio+20 - è emersa l’importanza dell’acqua come elemento necessario per la vita umana e, più in generale, per qualsiasi forma di vita sul pianeta. Si prevede che la popolazione mondiale aumenterà di circa 2 miliardi di unità entro il 2050, raggiungendo i 9 miliardi; è facile, dunque, immaginare che si manifesteranno situazioni di scarsità di risorse naturali, tra le quali l’acqua costituirà la principale emergenza [7]. Inoltre, in occasione della Giornata Mondiale dedicata all’Acqua, organizzata a Stoccolma nel 2012, la FAO ha divulgato lo slogan “Il mondo ha sete perchè ha fame”. Questa frase introduce in maniera chiara l’altra tipologia di impiego dell’acqua; oltre all’acqua per bere e all’acqua per uso sanitario e domestico, l’acqua sarà necessaria per produrre il cibo, quindi per la sua produzione, trasformazione e distribuzione [8]. Tale legame nasce dal concetto più ampio di “acqua virtuale” definito nel 1998 da Tony Allan (insegnante al King’s College di Londra e Water Prize a Stoccolma nel 2008). Tale binomio è finalizzato ad esprimere il volume di acqua dolce consumata per produrre un determinato “prodotto” (bene o servizo) sommando tutte le fasi della sua catena di produzione. Nell’ ambito di ricerca che riguarda le Arid Zones, è molto rilevante il legame tra consumo idrico e sicurezza alimentare, già citato a proposito dei MDGs, nell’ambito dell’obiettivo n.1 che prevede di Sradicare la povertà estrema e la fame - MDG1 Eradicate estreme poverty and hunger – il traguardo 1c introduce il concetto di “sicurezza alimentare”, da considerarsi raggiunta quando tutti i popoli, in qualsiasi momento, hanno accesso a cibo sufficientemente sano e nutriente per mantenere una vita sana e attiva [9]. Nelle aree caratterizzate dalla scarsità d’acqua, questa altra tipologia d’uso delle risorse idriche entra fortemente in competizione con gli altri due impieghi necessari alla vita umana, quindi con l’idratazione e la sanità. E’ stato calcolato per esempio, che l’agricoltura utilizza gran parte della risorsa idrica mondiale. Emergono problematiche relative alla efficienza ed equità nella distribuzione delle risorse. E’ stato quindi definito il Programma delle Nazioni Unite per la Valutazione delle Risorse Idriche Mondiali - UN World Water Assestment Programme - con l’obiettivo di raccogliere, fornire indicazioni, dati e capacità per operare in modo partecipato ed efficace nelle politiche di sviluppo idrico. Oltre alla valutazione della quantità di acqua consumata per produrre cibo è importante valutare la sostenibilità delle fonti della risorsa idrica. Quindi oltre a considerare che le “filiere alimentari” consumano circa il 90% dell’acqua utilizzata dalla società (Hoekstra et al. 2012), è importante comprendere a quale tipo di acqua ci si riferisce. Sono state definite due tipologie di acqua: l’ “acqua blu” e l’ “acqua verde” (Malin Falkenmark, 1989). L’acqua blu è quella che si trova in superficie o nelle falde sotterranee, facilmente accessibile e trasportabile e misurabile, può essere sfruttata in modo sostenibile o, al contrario, non sostenibile, se supera il livello di ricarica naturale. L’acqua verde, invece è l’acqua piovana o dalla neve che arriva a terra, che non diventa acqua blu perché evapora o viene utilizzata direttamente dalle piante nella traspirazione. L’acqua virtuale associabile ad un prodotto agricolo è data quindi dalla somma dei volumi di acqua verde e di acqua blu (alle quali è necessario aggiungere l’ “acqua grigia”, necessaria per diluire eventuali agenti inquinanti). Quindi la “sostenibilità idrica” di un bene dipenderà anche dal tipo di acqua utilizzata e da questo dipenderà anche il suo impatto sull’ambiente. Per rappresentare l’importanza del consumo di acqua nella produzione del cibo, sono significativi alcuni esempi [10]: - una tazza di caffè richiede 35 litri di acqua - un bicchiere di succo d’arancia (200 ml) richiede circa 170 litri di acqua - un pacco di pasta (500 gr) richiede circa 780 litri di acqua - una bistecca di manzo (300 gr) richiede circa 4650 litri Queste osservazioni portano a concludere che ai prodotti alimentari di tipo animale è associato un contenuto di acqua virtuale maggiore rispetto ai prodotti vegetali (Chatterton et al. 2010). Per approfondire l’utilità di queste tematiche è necessario introdurre anche il concetto di “impronta idrica” come indicatore di uso dell’acqua nei beni di consumo, prendendo in considerazione sia l’uso diretto che quello indiretto. Si può calcolare anche l’impronta idrica di un individuo o di un’azienda come il volume totale di acqua dolce necessario per produrre beni o servizi consumati dall’individuo. Questo parametro prende in considerazione anche la posizione geografica del consumatore. E’ possibile quindi sapere che l’impronta idrica dell’Italia è di 6.300 litri al giorno, un valore 1,65 volte maggiore rispetto alla media globale [11] A questo proposito è interessante osservare che è stata calcolata anche la quantità d’acqua per produrre una pizza Il Report Dell’Unesco, Institute of Water Education riporta, in questo caso un consumo di 1216 litri [12]. Questo particolare punto di vista nella valutazione dei consumi di acqua comporta una profonda valutazione delle scelte di un individuo in ogni ambito della sua vita e soprattutto in quello alimentare. Infatti, sono stati fatti importanti sforzi nelle tecniche di comunicazione di questi contenuti, con l’obiettivo di trasmettere alla popolazione tali significati, che appartengono ad uno specifico ambito di conoscenza scientifico, e promuovere un comportamento consapevole. L’infografica, ha permesso di visualizzare le quantità di acqua a cui ci si riferisce e di avvicinare i significati esposti alla vita di tutti i giorni. [13] La consapevolezza della quantità di acqua consumata in un ciclo produttivo finalizzato alla produzione di cibo diventa particolarmente importante nella valutazione di qualsiasi progetto produttivo intrapreso nelle Arid Zones, caratterizzate dalla scarsità di risorse idriche. 2.3.1. Pratiche colturali tradizionali e risorse microbiche. Bio Desert Il Progetto di ricerca durato tre anni, tra il 2010 e il 2012, denominato Biodesert, è stato sviluppato da un team internazionale di ricercatori Università di Tunisi El Manar, Università del Cairo Ain Shams e coordinato dell’ Università degli Studi di Milano. [14]Obiettivo della ricerca è lo studio della risorsa microbica per promuovere la resistenza delle piante alla siccità, sviluppare un management delle risorse microbiche negli ambienti aridi per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile e sicura. Sono stati dunque identificati microrganismi in grado di promuovere la crescita vegetale di alcune piante in condizioni di stress idrico, migliorandone lo stato nutrizionale con l’acquisizione di micro e macro-nutrienti e proteggendole dall’attacco di agenti patogeni. Tali batteri vivono in associazione con numerose specie vegetali (per esempio la palma da dattero, olivo, vite, peperone, pomodoro) colonizzandone la rizosfosfera, ossia la porzione di suolo a diretto contatto con le radici e l’endosfera, costituita da tessuti vegetali. Lo studio ha evidenziato anche come il “desert farming” dei contadini egiziani, basato sulle pratiche colturali tradizionali e sull’uso visrtuoso delle risorse idriche, arricchisce il suolo di batteri “probiotici” per le piante in condizioni di stress idrico. Molte Nazioni del Sud Europa hanno manifestato problemi comparabili con quelli delle zone sub-Sahariane e Sahariane del Nord Africa e, in questo caso la Tunisia, come campo di ricerca costituisce un interessante “ponte geografico” e una nazione attiva nella ricerca per combattere questo tipo di problemi. 2.3.2 Pratiche di allevamento ittico intensivo nel deserto. Desert Fish Farming Analizzando il consumo di acqua dolce per produrre un bene alimentare, diventano particolarmente virtuose le esperienze produttive che prevedono l’uso dell’acqua in due cicli produttivi integrati; nel caso del Desert Fish Farming i serbatoi d’acqua destinata all’irrigazione spesso diventano bacini utili per l’allevamento ittico. La produzione delle attività integrate tra acqua e agricoltura nel deserto e nelle zone aride dell’Egitto proviene da stagni di terra (84%), dalle gabbie e dai serbatoi di cemento. Attualmente in Egitto esistono 100 fattorie rurali per l’allevamento della tilapia e 20 allevamenti ittici pionieri che utilizzano l’acqua sotterranea del deserto egiziano, fonte importante per l’irrigazione e la produzione animale, scarichi di acqua salmastra provenienti dai processi di desalinizzazione e l’acqua freatica. Caratteristiche preferibili per le specie ittiche adatte al Desert Bio Farming sono il basso costo di alimentazione, la facile propagazione, la resistenza alle malattie, la tolleranza alle avverse condizioni climatche, la rapida crescita e l’alto tasso di sopravvivenza. La Tilapia in particolare può vivere in condizioni di acqua con diversi indici di salinità. L’acquacultura integrata con l’agricoltura ha iniziato a diffondersii in Egitto a partire dal 2000 con l’allevamento dei pesci nei serbatoi di cemento per l’acqua di irrigazione dei campi. Le acque arricchite di materiale organico costituito dagli escrementi del pesce hanno un’utile capacità fertilizzante per le coltivazioni e nello stesso tempo l’acqua può essere utilizzata per dissetare pecore e capre; in questo modo può servire tre diversi usi contemporaneamente. L’acquacultura in Egitto è dunque un’importante attività per la produzione di alimenti dove le opportunità per l’agricoltura sono limitate. [15] 2.4 Il Nesso tra Acqua ed Energia per la produzione di Cibo. Le considerazioni precedentemente riportare mettono in evidenza come sia importante la relazione tra il consumo di acqua e la produzione di cibo e come questi due fattori possano produrre importanti conseguenze in termini di impatto sul pianeta. La Conferenza di Bonn, nel 2011, ha divulgato proprio l’importanza della relazione tra i sistemi legati a cibo, all’acqua ed all’energia, facendo osservare l’utilità di conoscere come e dove i tre sistemi si intersecan,o con l’obiettivo di prevedere in che modo gli interventi che agiscono in un sistema dei tre possono avere ricadute sugli altri due, creando rapporti di competizione o al contrario sinergie e compensazioni [16]. L’accesso all’energia può dunque ridurre il divario nello sviluppo delle diverse aree geografiche del pianeta. Per esempio la povertà in termini di possibilità di accesso all’uso di energia significa conseguenze sulle attività nella vita di tutti i giorni, quali cucinare, illuminare, riscaldare, trasportare. Avere accesso all’energia significa dunque avere la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Come l’accesso all’acqua, anche l’accesso all’energia permette di intervenire in maniera trasversale all’interno di gran parte degli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo - MDGs . L’accesso all’energia può infatti ridurre la povertà, favorire l’equità tra i sessi, la salute, l’educazione, la sicurezza alimentare, … Nelle Arid Zones, oggetto di questa trattazione, l’energia porta con sé miglioramenti nelle condizioni di vita della donna, in relazione alla vita domestica, la conservazione degli alimenti, la cottura degli alimenti, il trasporto dell’acqua, ma anche la maternità e salute dei bambini (Colombo et al, 2013) La conferenza di Rio de Janeiro del 2012 United Nation Conference on Sustainable Development ha permesso di rafforzare il tema della sostenibilità delle risorse e colegarlo agli obiettivi definiti per il Millennio. Un tema interessante da sviluppare all’interno delle problematiche legate alle Arid Zones è il rapporto tra sistema idrico ed energetico. Le Arid Zones sono caratterizzate dalla scarsità d’acqua ma, al contrario, possono vantare una ricchezza in termini di risorse energetiche sostenibili, che spesso sono poco utilizzate e poco accessibili. L’azione sinergica di questi due sistemi potrebbe avviare un processo di bilanciamento in alcuni ambiti, facendo leva sulla disponibilità di energie rinnovabili. Per esempio, sono state effettuate opere di purificazione dell’acqua utilizzando impianti fotovoltaici. L’acqua può infatti essere considerata pura dal punto di vista microbico se raggiunge e mantiene la temperatura di ebollizione per almeno un minuto. Il calore può essere utilizzato anche nei processi di condensazione per la desalinizzazione etc. Se queste esperienze trovano diverse applicazioni nella progettazioni di piccoli oggetti ad uso personale o per i piccoli comunità, altri tipi di impianti richiedono una preparazione specifica e una possibilità di manutenzione che nelle zone aride rurali è difficile avere a disposizione. Gli orientamenti di ricerca quindi privilegiano tecnologie semplici, che abbiano possibilmente radici nella tradizione e che possono essere facilmente gestite dalle popolazioni rurali. Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Seconda sezione: L’ACQUA per l’IDRATAZIONE, la SANITA e il CIBO Obiettivo di questa sezione è introdurre il tema dell’acqua come risorsa per la vita di tutto il pianeta. Importante sarà poi narrare l’importanza dell’acqua nelle Arid Zones in ambito sanitario e igienico e, riportare come questa scarsità è presente nella vita quotidiana della popolazione. Quindi sarà necessario illustrare il dibattito contemporaneo legato all’acqua virtuale e all’impronta idrica, spiegando bene l’importanza dell’acqua per la produzione del cibo. Questo sarà possibile anche presentando casi studio che hanno permesso di affrontare il problema della scarsità idrica e risolverlo anche se solo parzialmente. Il tema può essere esposto attraverso diversi livelli di fruizione che possono essere concentrati in un’unica zona allestita, come un’oasi per informarsi e bere. Un livello di comunicazione veloce potrebbe informare sulle risorse idriche nel pianeta e sulle problematiche legate alle Arid Zones in forma di dati e diagrammi. Un tipo di fruizione più coinvolgente, che permetta ai visitatori di sentirsi attori coinvolti in questa problematica legata al consumo dell’acqua nel pianeta, può invece comprendere testimonianze video, infografica, etc possono fornire gli strumenti per quantificare idealmente l’impatto delle azioni quotidiane individuali, quiz e gadget informativi. Il tema del consumo di acqua virtuale e quindi il legame tra acqua e cibo può essere un efficace strumento di diffusione della tematica legata al cibo. Si veda a questo proposito il video elaboratola Angela Morelli http://www.angelamorelli.com/water/ Ricerche molto complete a questo proposito sono state svolte e divulgate anche dalla Barilla. Il tema della scarsità idrica può essere trattato attraverso esperienze di degustazione, reidratazione di alimenti, passaggio di stato da gassoso a liquido, ecc. L’acqua può essere evocata anche attraverso installazioni sonore che amplificano il suono della caduta di gocce d’acqua. Presso Bologna Water Design 2012 e 2013 sono state realizzate performance ed aree espositive caratterizzata da questo effetto sonoro mentre esistono sperimentazioni di musicisti contemporanei e designers che hanno effettuato performance di questo genere. Si veda a questo proposito “Concerto per gocce d’acqua” di Michele DeLucchi e Lorenzo Palmeri. http://lorenzopalmeristudio.it/concerto-di-gocce-d-acqua Infine si segnalano i profili scientifici quali esperti coinvolti nella stesura della presente sezione: - Prof. Emanuela Colombo, PhD, Delegato del Rettore alla Cooperazione e allo sviluppo UNESCO CHAIR in Energy for Sustainable Development, Dipartimento di Energia, Politecnico di Milano - Dott.ssa Angela Morelli, Ingegnere, Master in Design al Politecnico e Master in Communication Design alla St Martins a Londra. Young Global Leader 2012. Bibliografia: ANTONELLI, M. , GRECO, F. a cura di (2013) L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo, Milano, Edizioni Ambiente COLOMBO E., BOLOGNA S. , MASERA D. et al. (2013) Renewable Energy for Unleashing Sustainable Development CHATTERTON J., HESS T., Williams A. (2010) The water footprint of English beef and Lamb production, a report for EBLEX, Cranfield University HOEKSTRA et al. (2012) “The water footprint of humanity”. Proceeding of the national academy of science, v.109 n.9 MALIN FALKENMARK, (1989) “The massive waterscarcity threatening Africa – why isn’t being addressed” Ambio 18 n. 2 Note: 1. Water World Assessment Programme 2. Consumo procapite di acqua. Dati istat 2008 http://www.istat.it/it/archivio/57514 Dati WHO. 3. http://www.undp.org/content/undp/en/home/mdgoverview/ http://www.unmillenniumproject.org/goals/ Di seguito sono riportati in sintesi e in lingua inglese gli otto Obiettivi Millenium Development Goals – MDGs - Eradicate extreme hunger and poverty (Goal 1), Achieve universal primary education (Goal 2), Promote gender equality and women empowerment (Goal 3), Reduce child mortality (Goal 4), Improve maternal health (Goal 5), Combat HIV/AIDS, Malaria and other diseases (Goal 6), ensure environmental sustainability (Goal 7) and develop global partnerships for development (Goal 8). 4. Progress on Sanitation and Drinking Water – 2013 Update, - JMP Joint Monitoring Programm 5. http://www.wssinfo.org/fileadmin/user_upload/resources/1278061137JMP_report_2010_en.pdf http://water.org/water-crisis/water-facts/women/ 6. http://www.qdrum.co.za/ PackH2O, Greif Inc. distributed in Kenya, waterwearpack. www.greif.com/nrew/corporate-release/ www.packh20.com 7. Conferenza RIO+20 http://www.un-documents.net/rio-dec.htm 8. http://www.water-energy-food.org/en/calendar/ 9. Food security, defined when all people at all times have access to sufficient safe and nutritious food to mantain a healthy and active life, definito nel 1996 dalla WHO 10. FAO Water 11. www.acquavirtuale.it www.waterfootprimt.org http://www.waterfootprint.org/Reports/Aldaya-Hoekstra-2010.pdf On average, every Italian uses about 380 litres of water a day for domestic purposes, but actual consumption is 17 times higher if we take into account the water footprint used to make the food Italians eat. [know the nexus] 12. ALDAYA M.M., HOEKSTRA A.Y. (2009) The water neede toh ave Italians eat pasta and pizza, Unisco – IHE, Institute of Water Education 13. Angela Morelli, Ingegnere, esperto in tecniche di infografica per la comunicazione ha elaborato nel 2012 un video finalizzato a comunicare del concetto di Acqua Virtuale http://www.angelamorelli.com/water/ 14. Il progetto Biodesert è stato sviluppato da un team di ricercatori coordinato dal Prof. Daniele Daffonchio presso Università degli Studi di Milano, Dipartimento Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente, con Ameur Cherif, dell’Università di Tunisi El Manar e Ayman Abou-Hadid dell’Università del Cairo Ain Shams. IL team di ricercatori è costituito da Ramona Marasco, Eleonora Rolli, Gianpiero Vigani, Francesca Mapelli, Sara Borin, Claudia Sorlini, Graziano Zocchi. www.biodesert.unimi.it 15. SADEK, S. (2011) “An overviw on desert aquaculture in Egypt” . in Crespi V.& Lovatello A. eds. Aquaculture in desert and arid lands: development constraints and opportunities. FAO Technical Workshop, 2010, Hermosillo, Mexico. FAO Fisheries and aquaculture Proceedings No. 20 Rome, FAO. 2011 pp.141-158 nb. La Tilapia è un genere di pesci appartenente alla famiglia dei Ciclidi che vive nelle acque tropicali dell’Africa, Sud America, Asia. 16. “Food, Water and Energy: Know the Nexus”, NY, Grace Communication Foundation, 2013 Terza sezione TRADIZIONE E INNOVAZIONE 3. Progettisti di ieri e di oggi per la produzione e l’uso delle risorse idriche 3.1 Modellare il suolo per conservare le risorse idriche 3.1.1 Il Vallerani System, l’innovazione degli aratri “Treno” e “Delfino” 3.2 Costruire manufatti per generare e raccogliere condensa 3.3. Innovazione e design per l’acqua potabile attraverso la condensazione 3.3.1 Il dorso di un insetto per la captazione di acqua di condensa 3.3.2 Un cono per la desalinizzazione dell’acqua 3.3.2 Una bottiglia per la purificazione dell’acqua Coltivazione di vite a Lanzarote (Canarie) TRADIZIONE E INNOVAZIONE 3. Progettisti di ieri e di oggi per la produzione e l’uso delle risorse idriche Nel corso della loro storia e nelle loro tradizioni, le popolazioni rurali che abitano le Arid Zones hanno sviluppato alcune interessanti tecniche per coltivare in condizioni di scarsità idrica, particolarmente significative sono quelle utilizzate nelle zone desertiche. La ricerca e l’analisi di questi usi e di queste conoscenze tramandate, suggerisce che il deserto, pur sembrando un ambiente inabitabile e impercorribile, possa fornire ospitalità e possibilità di sussistenza a chi ne conosce profondamente le leggi ecologiche (Laureano, 1995). Una interessante peculiarità che riguarda un gran numero di queste tecniche è che esse sono orientate alla raccolta ed allo sfruttamento dell’ “acqua verde”, quella ottenuta dalla pioggia e dalla neve, oppure dalla condensa, ossia l’acqua presente nell’atmosfera. Questo fattore è in parte dovuto al fatto che l’”acqua blu”, l’acqua dei fiumi e dei laghi, e l’acqua presente nel sottosuolo, è effettivamente scarsa nelle Arid Zones ed è difficilmente trasportabile. La capacità di sfruttare “acqua verde” può essere considerato un fattore importante di sostenibilità, perché il consumo di “acqua verde” non comporta l’uso e lì impoverimento delle risorse idriche estratte da serbatoi superficiali o sotterranei, e quindi non comporta direttamente possibili rischi di squilibrio ambientale e di conseguente desertificazione. Queste lavorazioni tradizionali prevedono inoltre la conservazione dell’umidità o dell’acqua atmosferica in parte mediante la protezione delle aree di cultura dal rischio di erosione o evapotraspirazione ma anche attraverso la costruzione nel terreno di canali collettori sotterranei per la raccolta e la distribuzione, spesso sfruttando il gradiente termico tra superficie e sottosuolo. 3.1 Modellare il suolo per conservare le risorse idriche Alcune opere finalizzate a favorire la crescita vegetativa, prevedono interventi orientati a modificare la configurazione formale del suolo. Per esempio la tipologia di oasi definita “erg”, presente nei grandi deserti di sabbia, prevede la creazione di un cratere artificiale intorno alle colture esistenti con l’obiettivo di avvicinarsi alla terra umida. Il perimetro dei crateri viene in seguito protetto attraverso barriere di foglie di palme che fermano il vento e determinano un accumulo di sabbia, fino a creare vere e proprie dune. Questa attività di “design del suolo” permette di formare ambienti umidi e depressioni del terreno che contribuiscono a raccogliere l’umidità atmosferica generata attraverso l’escursione termica tra giorno e notte. 3.1.1 Il Vallerani System, l’innovazione degli aratri “Treno” e “Delfino” La modificazione del suolo a diverse scale per creare barriere o crateri, canali o cisterne, è molto diffusa nelle zone aride. Le stesse tecniche di aratura del terreno agricolo sono impostate sulla formazione di elementi morfologici di questo tipo. L’aratro Vallerani ha trasportato questa tecnica tradizionale all’interno della lavorazione meccanica del terreno, permettendo di moltiplicare le possibilità di lavorazione e quindi la produttività del suolo, ma soprattutto contribuendo ad arrestare il processo di desertificazione che minacciava, e ancora oggi minaccia, alcune regioni del mondo. Il sistema è stato brevettato nel 1988 dall’agronomo tropicale Venanzio Vallerani e prodotto dalla ditta umbra Nardi. L’innovazione era iniziata con il brevetto per due due aratri. L’aratro Delfino che permetteva di creare bacini e sacche interrate di raccolta d’acqua distanti tra loro anche 4 o 5 metri, mentre l’aratro Treno creava nel terreno un unico solco con argini che non permettevano all’acqua di scivolare via creando pericolosi fenomeni di erosione. A partire dal 2011, il nuovo modello di aratro Delfino3 sostituisce i due precedenti. Esso consente la realizzazione di buche a forma di semiluna, lunghe fino a 5 metri profonde 50 cm, distanti tra loro due metri. Ciascuno di questi bacini può raccogliere fino a 1500 lt di acqua piovana. [1] Questa tecnologia è stata utilizzata in molti paesi dell’Africa e del bacino Mediterraneo; inoltre altri progetti per la riforestazione sono stati avviati in Cina e in particolare in Mongolia. 3.2 Costruire manufatti per generare e raccogliere condensa Molteplici testimonianze di interventi di modellazione del suolo in Arid Zones sono rintracciabili nell’analisi di manufatti in pietra costruiti per raccogliere la condensa. Nelle Arid Zones, infatti, l’escursione termica tra giorno e notte può raggiungere i 60 gradi centigradi e quindi generare un importante fenomeno di condensa notturna. Queste cosiddette “precipitazioni occulte” (Laureano, 1995), se gestite in maniera efficace, possono creare importanti riserve idriche. In particolare, la differenza di gradiente termico tra aria e pietra favorisce la formazione di piccole gocce sulla superficie della pietra. Questa chiave di lettura ha permesso di interpretare il significato di alcune strutture in pietra realizzate in Yemen. I Tu’rat sono cumuli di pietre aggregate a formare una mezzaluna utili per intercettare i venti umidi e convogliare le gocce di condensa dentro cisterne scavate nella roccia calcarea. L’analisi di questi manufatti ha permesso di interpretare anche la funzione di alcune costruzioni, fino ad ora associate come significato religioso o funebre. Comunque la possibilità di attrezzare tali manufatti con bacini di condensa e canali di scorrimento poteva essere facilmente associata a molti riti sacrificali o di purificazione. Le stesse tecniche con diverse combinazioni ed usi sono presenti anche in tutto il bacino mediterraneo. Gli stessi principi di sfruttamento della condensa sono utilizzati, con particolare successo nelle terre aride di origine vulcanica per proteggere ed umidificare le colture. Nell’isola di Lanzarote (Canarie), caratterizzata da una piovosità compresa tra i 125 e i 150 mm all’anno e dalla presenza di materiale lapideo vulcanico, la coltivazione dell’uva è effettuata attraverso la realizzazione di piccoli bacini, protetti da muretti in pietra, mentre l’umidità è ottenuta e conservata ricoprendo il terreno di lapilli a granulometria fine e quindi sfruttando il gradiente termico tra aria e tale materiale lapideo. 3.3. Innovazione e design per l’acqua potabile attraverso la condensazione. Le precedenti osservazioni legate al tradizionale sfruttamento dell’umidità atmosferica sono applicate attualmente alla progettazione di oggetti per la produzione individuale di acqua potabile. Designers contemporanei e aziende stanno infatti ideando e sperimentando nuovi prodotti realizzati con materiali che non sempre fanno parte della tradizione delle Arid Zones e con caratteristiche estetiche e funzionali progettate per rispondere ai bisogni urgenti delle popolazioni di queste zone caratterizzate dalla scarsità d’acqua. In questo ambito di ricerca, oltre all’osservazione del patrimonio di conoscenze offerto dai tradizionali usi dei popoli, ha guadagnato una grande importanza la biomimicry o biomimetica (da bio= vita e mimesis=imitazione), scienza che studia gli elementi naturali con l’obiettivo di astrarre modelli funzionali o estetici da applicare nei diversi ambiti e scale della disciplina del progetto contemporaneo. La conoscenza dell’ecologia dell’ambiente e della natura stessa è quindi utilizzata in ambito progettuale per proporre risposte ai bisogni ed alle criticità presenti presso le Arid Zones. 3.3.1 Il dorso di un insetto per la captazione di acqua di condensa. Un chiaro esempio di biomicricy , esplicitato come riferimento nella presentazione del progetto stesso è la Dew Bank Bottle, progettata dal designer coreano Pak Ki-Tae dell’ University of Technology di Seul, in Corea del Sud. Il prodotto è essenzialmente una bottiglia, ispirata nelle sue forme proprio ad un insetto, del deserto della Namibia, l’onymacris ungulcolaris, una sorta di scarafaggio capace di catturare l’umidità dell’aria sul suo dorso e di convogliarla attraverso scanalature. La bottiglia è una sorta di cupola, o bacino capovolto, realizzata in acciaio. Essa viene lasciata fuori dalle abitazioni durante la notte quando la temperatura scende fina alla mattina. Al sorgere del sole, quando l’aria inizia a riscaldarsi si formano gocce di condensa che vengono canvogliate ai bordi della cupola dove vengono raccolte in una sorta di canalizzazione perimetrale, protetta da eventuali agenti inquinanti esterni. [2] 3.3.2 Un cono per la desalinizzazione dell’acqua. Lo stesso principio basato sulla condensa è utilizzato in alcuni processi di desalinizzazione. Un esempio pensato per il consumo individuale è il Watercone, un prodotto costituito da una sorta di vassoio e un coperchio. L’acqua salata o salmastra è versata in un vassoio di metallo nero esposto ai raggi solari. Il piatto è coperto con un elemento conico trasparente sul quale il vapore acqueo si condensa. Le gocce scorrono lungo le pareti del cono e si raccolgono in un canale apposito creato lungo il bordo circolare di base del cono. La forma a “imbuto” del cono rovesciato, permette quindi di convogliare l’acqua in una bottiglia. Questo prodotto è commercializzato da un’azienda tedesca e può produrre 6/7 bicchieri al giorno. [3] La Water Pyramid è un’applicazione di questo principio, in scala più grande è anch’essa oggi in commercio e prodotta in Olanda. Si tratta di una struttura gonfiabile di forma conica, alta 8 metri per 30 metri di diametro. [4] 3.3.2 Una bottiglia per la purificazione dell’acqua. Un terzo modello di sfruttamento dell’energia solare per ottenere acqua dolce e, in questo caso, purificata è la Solar Bottle. Un esempio quindi di Solar Water Disinfection (SODIS), progettata da Alberto Meda e Francisco Gomez Paz, nel 2006, primo premio nell’ Index Design Award nel 2007. Il contenitore in PETC ha una forma “schiacciata”ed è trasparente da un lato per catturare i raggi UV-A mentre in alluminio dall’altro per catturare i raggi infrarossi. L’elemento che permette l’impugnatura per il trasporto è stato progettato per poter trasportare due contenitori con una mano sola. Inoltre permette di collocare il contenitore secondo diverse angolazioni per ottenere diversi posizioni a seconda dell’orientamento del sole. La Solar Bottle può contenere fino a 4 litri di acqua e sono necessarie 6 ore di esposizione al sole per purificare il contenuto. [5] Bibliografia: LAUREANO, P. (1995) La piramide rovesciata. Il modello dell’oasi per il pianeta terra, Torino, Ed. Bollati Boringhieri Note: 1. Vallerani System - www.vallerani.com 2. Dew bank Bottle - http://www.yankodesign.com/2010/07/05/beetle-juice-inspired/ 3. Watercone - http://wateradvocate.org/desalination.htm#watercone http://www.youtube.com/watch?v=cyFpI83ASNg 4. Water Pyramid - http://www.waterpyramid.nl/index.php/products video http://www.sodis.ch/methode/index_EN 5. Solar Bottle - www.solarbottle.org Osservazioni per EXPO 2015_Cluster Arid Zones Terza sezione: TRADIZIONE E INNOVAZIONE Questa sezione potrebbe includere tematiche, anche molto diverse tra loro, accomunate dalla presenza di collegamenti ad esperienze della tradizione; attività quindi che collegano passato e presente. In questa sezione sono presenti infatti prodotti di social design, tecnologie innovative, ricerche accanto a pratiche del passato spesso ricche di riferimenti alla ritualità del sacro. Una sovrapposizione tra la seconda sezione dedicata all’acqua e la terza dedicata alla tradizione potrebbe portare ad una semplice articolazione dei contenuti di una eventuale mostra in: acquisizione, trasporto, consumo e uso dell’acqua. Tuttavia la lettura potrebbe essere elaborata anche a partire da altre tematiche come l’energia, la tecnologia, l’uomo, ecc. Per rintracciare esempi di installazioni e mostre legate all’acqua e alla cultura della progettazione e del design sono state esaminate le seguenti mostre e manifestazioni: - Bologna Water Design, edizione del 2012 ed edizione del 2013 www.bolognawaterdesign.it Nell’edizione del 2013 le mostre a cura delle Università e Accademie italiane. Di particolare interesse: Water on the move (a cura di Francesco Zurlo e Alessandro Deserti, Scuola del Design, Politecnico di Milano), Every drop is a waterfall (a cura di Vincenzo Cristallo, Loredana Di Lucchio, Carlo Martino, Corso di Laurea in Design, Università di Roma, Sapienza), Trasparente (a cura di Kuno Prey, Università di Bolzano). Altra piccola interessante installazione presso Bologna 2013 era intitolata “No WAteR” a cura di Open Project. - Festival dell’acqua, L’Aquila, 2013 Una Convention che ogni due anni per una settimana accoglie 400 aziende associate a Federutility e tutti i soggetti che a diverso titolo si occupano di servizi idrici e di pubblica utilità. La prossima edizione sarà a Milano all’interno di EXPO 2015. www.festivalacqua.org - Design the other 90 network. La mostra Design for the other 90% (2007) è la prima di una serie di mostre legate al design che illustrano progetti di design elaborati per il 90% della popolazione mondiale che tradizionalmente non è servita dalla comunità professionale di designers. La seconda mostra si intitola “Design with the other 90%: cities e illustra le problematiche connesse alla crescita urbana, in particolare agli “informal settlements” . Cooper Ewitt, National Design Museum, New York www.designother90.org