Il fascino intatto della grande città
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Il fascino intatto della grande città
Il fascino intatto della grande città «Che ci faccio qui?» si chiedeva in un celebre libro il viaggiatore Bruce Chatwin. Già: bastava quella domanda a evocare la fascinazione per l'immensità di alternative che vive chi pensi di poter scegliere il posto dove stare. Ma in fondo come si sceglie? Se per molti la vita finisce dove comincia, coloro che partono se ne procurano un'altra. Vanno in cerca di fortuna: e si sa, spesso, la fortuna si cerca nella grande metropoli. Mentre gli altri stanno dove sono nati, il paese, la piccola città, dove ci sono i legami sociali, la casa della famiglia, il lavoro, la tradizione. A chi toccherà la vita migliore? Meglio la grande o la piccola città? Ovviamente, dipende da dove si è nati. E da perché e per dove si parte. Alcune risposte si trovano nella 20ª edizione dell'indagine sulla qualità della vita nelle province realizzata dal Sole 24 Ore e pubblicata ieri. L'indagine dimostra che le città piccole non sono tutte uguali: per chi decide di restare a casa - secondo i dati, freddi ma verificabili - è molto meglio essere nati a Belluno, Macerata o Trento, piuttosto che ad Agrigento, Caserta o Foggia. Ma per chi vuole partire, è meglio puntare a una piccola città o a una metropoli? A questa domanda, l'indagine risponde meno chiaramente. Nella classifica, la prima città di dimensione consistente è Bologna, 13ª, mentre Milano è 19ª e Roma 24ª. In testa, appunto, Trieste, Belluno, Sondrio, Macerata e Trento. Eppure le persone cercano fortuna a Milano e non a Sondrio, a Roma molto più spesso che a Macerata. Perché? La scelta del posto dove andare a vivere non dipende dalla graduatoria della qualità della vita, calcolata in base al tenore di vita o alla sicurezza. Dipende dall'attrattività di una città: da ciò che promette, dalle opportunità che offre, dalle eccellenze che contiene, dalla leadership culturale che riesce a esercitare. E non è un caso se chi si gioca la vita andando altrove cerca, quasi sempre, la metropoli. Lo hanno dimostrato Londra, Parigi, New York. Lo dimostrano Mumbai, Shanghai e Shenzhen. Sarà sempre così? È probabile, anche se non è certo. Richard Florida, il controverso teorico della "classe creativa", ha avuto il merito di sottolineare come nell'epoca della conoscenza, i luoghi dove si trovano molte persone di talento, con buone infrastrutture e una cultura aperta, attraggono altre persone di talento, investimenti e varietà di idee, innescando lo sviluppo economico e sociale: e quei luoghi sono spesso sono le metropoli, anche se niente impedisce alle piccole, intelligenti città, di darsi una strategia di crescita. Tanto è vero che Charles Landry, che ancor prima di Florida aveva lavorato al valore della creatività, ha dimostrato che è possibile - e necessario - gestire il governo locale con una visione di lungo termine, per alimentare lo sviluppo culturale e mantenere viva l'attrattività di una città: una metropoli può decadere, come una piccola città può crescere. Certo, qualcosa conta anche la politica. La dimensione di una città è un vantaggio e un vincolo. Se cresce troppo più della qualità di chi la gestisce e la pensa, la dimensione diventa un freno più che un acceleratore. Le preoccupazioni espresse nei recenti libri di Marco Alfieri e Claudio Cerasa, rispettivamente su Milano e Roma, sono fondate. Anche perché mentre la politica passa il tempo a ridefinire le sue strategie, l'evoluzione delle città non si ferma. Attorno a Milano, dice il Censis, ormai si è sviluppata una megalopoli di nove milioni di persone. Pensarla è la premessa per gestirla. Sta di fatto che mentre i piccoli centri continuano a dimostrarsi qualitativamente migliori, l'attrattività dell'idea di metropoli non cessa di esercitare il suo fascino. Il che è dimostrato, per esempio, dalla strategia di chi osserva tra Faenza e Rimini la crescita di una città che non è mai stata nominata e vorrebbe cominciare a riconoscere. Del resto, l'idea di metropoli attrae persino qualche visionario veneto che sostiene, sul modello di Toronto, l'opportunità di unire anche organizzativamente Venezia, Padova e Treviso in una metropoli, per fare un polo di attrazione adatto all'epoca della conoscenza. Insomma, la metropoli resta un centro di fascino. Poca qualità ma grande prospettiva. La vicinanza dei luoghi dell'eccellenza allargano - o sembrano allargare - le opportunità: molti non ce la fanno, sicché la qualità della vita resta più bassa; ma quelli che ce la fanno salgono più in alto di chiunque sia rimasto nella piccola città che aveva chiamato "casa". L'ambizione, l'astrazione della metropoli è il centro di gravità che attrae moltissimi in cerca di fortuna e pochi fortunati. Le molte fragilità e i pochi successi sono il risultato complessivo. Come cercare un equilibrio? In realtà, non esiste una metropoli sana senza una sana costellazione di piccole città. L'avventura è ovunque, nelle piccole o nelle grandi vite. Il progresso è l'insieme. E chiunque lo voglia ridurre a una delle sue componenti, fa ideologia o romanzo. Luca De Biase, 20/12/2009 © Copyright Il sole24ore.com http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/12/qualita-vita-fascino-grandicitta.shtml?uuid=e134a68c-ed75-11de-98a1-9db4d6fc530d&DocRulesView=Libero&fromSearch