edizione dei signori di Casalborgone - trebea

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Dedizione dei signori di Casalborgone ai Savoia?
Tuttora, al di fuori dell’ambito degli studiosi, ogni qualvolta si faccia un breve resoconto
storico delle vicissitudini di Casalborgone si sostiene che da epoca remota fu il primo paese,
fra quelli governati dal consortile dei Radicata, a giurare fedeltà ai Savoia per seguirli
indissolubilmente. Pur essendo la notizia in parte esatta, non lo è nel modo in cui è proposta e
negli effetti prodotti. E’ ovvio che questi legami erano frutto di convenienza ai fini della
sopravvivenza, ciò nonostante i Cocconato, signori di un minuscolo territorio soverchiato dai
potenti, tentarono di resistere come dimostrano eventi e documenti.
Tralasciamo i trascorsi più antichi, poiché, quando nel 1164 l’imperatore Federico I
“confermò” al marchese Aleramico Guglielmo di Monferrato molte località fra le quali
Trebeia1, che era quindi sotto la giurisdizione dei marchesi di Monferrato già ben prima del
1164, i Savoia avevano appena iniziato la loro espansione cercando di salire alla ribalta dei
potenti anche tramite vincoli matrimoniali con gli Aleramici.
I signori di Radicata, il cui castello sorgeva sul Bricco Reale di San Sebastiano Po,
cominciavano a subire i segni del loro declino e scompariranno sul finire del XII secolo. I
signori di San Sebastiano, Aramengo, Tonengo, Cocconato, Casalborgone, Brozolo, Robella e
altri, proprio in quegli anni, stavano consolidando il loro dominio territoriale, riunendosi poi a
metà del ‘200 in un consortile che nominarono”domus o hospicium Radicate”, appropriandosi
il nome degli antichi signori, “di Radicata”. Per tutto il XII e XIII secolo, i documenti
confermano i legami dei signori di Casalborgone con i vescovi di Vercelli, di Asti e con i
marchesi di Monferrato che seguirono anche alle crociate “prendendo la croce” con Corrado
e Bonifacio di Monferrato.
1
Antico nucleo abitato nel territorio dell’odierna Casalborgone, citato, con tale nome. per la prima volta in un diploma
dell’imperatore Ottone III dell’anno 999. Ritrovamenti di monete, anfore, tratti di strade lastricate ed un’epigrafe risalenti al I°
sec.d.C. testimoniano l’esistenza di un abitato di epoca romana.
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I signori del consortile di Radicata e il marchesato di Monferrato
Dopo la morte del grande marchese di Monferrato Guglielmo VII, avvenuta in prigionia
nel 1292, e lo sfaldamento dei suoi domini, fu un signore di Casalborgone, Guido di
Cocconato, con il signore di Ottiglio ed un terzo vassallo, a reggere il marchesato di
Monferrato salvandone le sorti.
A proposito di Guido di Cocconato, il più antico ed attendibile documento in cui per la
prima volta il nome di un signore di Casalborgone –ed era proprio Guido o Guidone di
Cocconato- è accompagnato dal titolo “comes Radicate” (conte di Radicata) fu compilato a
Casorzo, il 12 novembre 1305, in occasione di una cerimonia alla presenza del marchese
Manfredo di Saluzzo, temporaneo rettore del marchesato di Monferrato. Tale titolo fu
confermato con un diploma dell’imperatore Enrico VII, che in Milano il 28/12/1310 riconobbe
in forma feudale beni e diritti già da tempo goduti da Guido di Cocconato e dalla sua famiglia
in Casalborgone e 20 altre località, e sono questi i primi riconoscimenti ufficiali della casata
alle dirette dipendenze dell’imperatore.
Se già dal XIII secolo si fregiarono del titolo di conti (anche il cronista della IV crociata,
Geoffroy de Villehardouin, chiamò Uberto di Cocconato “Comes Grassus”) fu secondo
un’usanza locale, in qualità di “domini loci” signori del luogo, non risultando precedenti
investiture storicamente attendibili2.
Quando nel 1305 morì, senza eredi diretti, Giovanni I, ultimo marchese aleramico di
Monferrato, furono Guido di Cocconato ed i suoi fratelli, Riccardo, Emanuele, Filippone,
Enrico e Pietrino, ad affiancare il marchese Manfredo di Saluzzo nella temporanea reggenza
del marchesato di Monferrato. In quella circostanza Guido, Enrico e Filippone furono fra i
vassalli nominati quali ambasciatori a Salonicco per recapitare le ultime volontà di Giovanni
che invitava la sorella Violante, andata sposa all’imperatore di Bisanzio Andronico
Paleologo, ad assumere la reggenza del marchesato, in prima persona o inviando uno dei suoi
figli.
Dall’anno 1306 i signori di Casalborgone furono al servizio del nuovo marchese, Teodoro
I Paleologo, giunto d’oltre mare. Ciò è documentato dalle numerose missive inviate in quegli
anni e dalle convocazioni di tutti i vassalli al parlamento generale.
Il 5 gennaio 1320 alla convocazione del parlamento generale radunato dal marchese a
Chivasso, partecipano Henrico, Philippone, Ghione (Guidone) e Uberto (figlio di Guido). E’
questo l’ultimo documento in cui Guido risulta ancora vivo. Dall’anno 1324, i protagonisti di
atti e contratti sono i figli di Guido: Uberteto, Giovanni. Ottobono, Guglielmo, Bonifacio,
Pietro.
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A.A. SETTIA Dizionario Biografico degli Italiani. Il titolo di conti di Radicata fu portato nel XII secolo dai soli signori di questo
luogo, non perché discendenti da famiglia di Ufficiali Pubblici, ma solo in qualità di “domini loci”, secondo l’usanza locale. diffusa
anche nel vicino Astigiano e presso altre famiglie della zona, non esclusi gli stessi Cocconato. Scomparsi dopo il 1178 i Radicata, il
luogo con l’annesso titolo era passato ai signori di San Sebastiano e quindi, dopo la creazione di un consortile che inglobò sia i San
Sebastiano sia i Cocconato, designò il consortile medesimo. Il titolo assunse forma cognominiale dopo il secolo XVI e l’indicazione
toponimica “di Cocconato” fu sostituita dal cognome Radicati.
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Giacomo di Savoia principe di Acaia
Nel travagliato periodo che va dal XIV al XVI secolo è piuttosto complicato interpretare le
vicende storiche attraversate dai territori sotto la giurisdizione dei Cocconato, in particolare
Casalborgone, e discernere dalle convinzioni partigiane la veridicità degli eventi, il loro
effettivo peso politico e le conseguenze.
Ecco, infatti, che, il 10 agosto 1338 in Chieri, Bonifacio Cocconato signore di
Casalborgone, giura fedeltà a Giacomo di Savoia, principe d'Acaia, per cautelarsi contro
eventuali richieste del marchese di Monferrato su tutto ciò che Bonifacio "tenet e possidet a
prefato domino marchione Montisferrati in dicto loco Castri Bergogni vel alibi ubicumque". 3
Ciò nonostante, in quest’epoca, è ancora saldo il legame di vassallaggio dei Cocconato
signori di Casalborgone con i Marchesi di Monferrato. Lo attestano proprio i fratelli di
Bonifacio: Pietro, canonico di Reims, è legato da uno stretto rapporto di amicizia al marchese
Teodoro I, del quale nel 1338 sottoscrive il testamento e la stessa dedizione dimostrerà al suo
successore, ospitato nel 1340 dai signori del consortile in Cocconato, per continuare anche
dopo la rottura che avverrà tra il marchese e i consorti di Radicata nel 1368. Giovanni e
Ottobono sono fra i valorosi militi che combattono a fianco del marchese Giovanni II
dimostrandogli stretta aderenza dal 1327 al 1329 contro Chieri e poi contro gli Angioini a
Gamenario nell’anno 1345; continueranno a prestare i loro servigi al marchese, con delicati
incarichi, sino al 1360.
Se esaminiamo gli eventi, viene il sospetto che ad incutere timore ai conti di Radicata fosse
non tanto il marchese di Monferrato ma proprio l’eccessiva aggressività dei conti di Savoia
che si avvicinavano sempre più ai loro confini. Amedeo V di Savoia, già nel 1313 aveva
occupato Ivrea e il Canavese accordandosi con il vescovo che gli concesse tutti i diritti su
Chivasso, Verolengo, Orio, Torrazza e Azeglio.
I documenti non bastano però a chiarire le motivazioni e la spiegazione diventa ardua in
un contesto storico estremamente complesso. Il marchesato di Monferrato, era già al declino, e
le terre dei Cocconato si erano ritrovate strette da ogni parte da altri potenti (i Savoia, ma
anche il marchese di Saluzzo, gli Angiò di Napoli e poi i Visconti) che miravano ad espandersi
soggiogando i vicini.
Inoltre quella di Giacomo d’Acaia è una bruttissima storia e non è noto quale ruolo vi
ebbero i Cocconato dopo avergli giurato fedeltà.
Il primigenio ramo dei Savoia principi d’Acaia4 governava il principato del Piemonte dalla
pianura di Pinerolo dove aveva la propria corte e sede amministrativa, ma stava soccombendo
ai cugini Savoia che avevano sede a Chambery i quali, non potendo espandersi nei territori del
più potente re di Francia impadronitosi delle terre della Provenza e del Delfinato, rivolsero le
3
A.A. Settia libro Millennio, pag.171 . Cfr. Archivio di Stato di Torino. Sezioni riunite. Archivio camerale. Protocolli notai e
segretari di Savoia. n.114, f. 36
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Filippo, figlio di Tommaso III di Savoia. fu investito del principato del Piemonte e della signoria di Torino ma esercitò la sua
autorità in subordine al ramo dei Savoia che avevan sede a Chambery. Sposando la figlia di Villehardouin aveva acquisìto il titolo di
Principe d’Acaja dando inizio alla linea Savoia Acaia
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loro attenzioni alla pianura del Po. Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde, autorevole e
abile uomo di stato senza tanti scrupoli, con progressive imposizioni, tolse al cugino Giacomo
di Savoia Acaia5 la signoria su Torino ed ogni diritto e potere ed infine la libertà. Giacomo,
che non aveva pari abilità politica. con sprovvedutezza aveva tentato di affrancarsi cercando
alleanze ostili all’abile cugino legandosi ai Visconti di Milano, ostili al marchese Giovanni di
Monferrato zio e alleato di Amedeo VI 6. Riuscì a riottenere dall’imperatore Carlo IV alcuni
privilegi ed il diritto di imporre pedaggi nelle sue terre e, radunato l’esercito dei suoi vassalli,
si impadronì di Ivrea ed Avigliana.
Amedeo si sentì autorizzato a considerare gli Acaia dei nemici da annientare ed il 28
ottobre dell’anno 1359 convocati i membri del Consiglio e tutti i vassalli a Rivoli dichiarò
guerra ai cugini di Pinerolo. Giacomo d’Acaia ed il figlio Filippo furono arrestati e portati al
castello di Rivalta. e poi rilasciati dopo rinuncia ai loro privilegi e possedimenti ed il massacro
degli abitanti di Savigliano e altri luoghi rimastigli fedeli.
Sul conte Verde grava il sospetto di aver disposto l’uccisione del cugino Filippo che,
dopo un ennesimo tentativo di rivendicazione dei suoi diritti con l’appoggio di alcune famiglie
rimastegli fedeli (Provana, Falletti, Panissera ed il marchese di Saluzzo), fu imprigionato nel
castello di Avigliana con l’inganno, sommariamente processato, e dopo il 20 dicembre 1367
sparì misteriosamente. Filippo aveva già subito un’ulteriore grandissima pena e umiliazione:
suo padre Giacomo, irretito dalla giovanissima e seducente Margherita di Beaujeu, messagli
nel talamo nuziale dall’astuto Conte Verde, aveva lasciato tutti i suoi beni al figlio nato da
quell’unione che divenne un fedele e accondiscendente servitore dei Savoia di Chambery.
Nel frattempo gli interessi politici dei Savoia consigliavano altre alleanze e, nell’anno
1361, Amedeo VI aveva allacciato cordiali rapporti con Galeazzo Visconti, Duca di Milano,
che nel 1350 aveva sposato sua sorella Bianca di Savoia, inimicandosi perciò lo zio Giovanni
II Paleologo marchese di Monferrato che lo dichiarò suo nemico. In quel 1361 Amedeo VI, al
fianco di Galeazzo Visconti, entrò in guerra contro Giovanni II di Monferrato e occupò i
castelli di Castruzzone, Sambui, Rivalba, Cinzano e Casalborgone.
Come in un giro di danza … e le musiche le suggerivano il papa di Avignone e il papa di
Roma, si componevano e scomponevano le coppie di re, duchi, marchesi, conti, alternando
patti di amicizia ad aggressioni ed invasioni.
Infatti, l’alleanza Savoia-Visconti non durò a lungo perché le ragioni di Stato portarono
Amedeo VI a difendere l’imperatore greco Giovanni II Paleologo da turchi e bulgari e nel
1366 dopo un ingresso glorioso in Costantinopoli, rientrò in Italia e fu nuovamente in guerra
con Galeazzo Visconti che sconfisse in una battaglia nel maggio del 1373.
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Figlio di Filippo e nipote di Tommaso III di Savoia
Amedeo VI, il Conte Verde, era figlio di Iolanda di Monferrato.
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Come si muovevano dunque i Cocconato di Casalborgone in questo continuo
sconvolgimento di ostilità e alleanze? L’alleanza con i Savoia Acaia li aveva portati nel bel
mezzo di un conflitto dinastico e, 20 anni dopo l'atto di dedizione a Giacomo d’Acaia,
Bonifacio di Castelbergone7 si trovò al comando di una compagnia di ventura a combattere
Amedeo VI di Savoia che, come detto sopra, fece occupare il suo castello nell’anno 1361.
Conflitto con i marchesi Paleologi e alleanza con i Visconti
I rapporti dei Cocconato con il marchese Paleologo di Monferrato erano ora
irrimediabilmente compromessi per l’arroganza con cui pretendeva la loro sottomissione come
vassalli, ma essi giustamente si opponevano ritenendosi investiti direttamente dall’imperatore.
Fu così che questi piccoli signori, per la loro sopravvivenza e nel tentativo di acquisire
l’indipendenza, si fecero rilasciare dall’imperatore Enrico VII diplomi confermanti i loro
privilegi e maggiori diritti. Per contro, Giovanni II Paleologo tentò ripetutamente di
risottometterli con un diploma che aveva ottenuto nel 1355 dall’imperatore Carlo IV affinché
gli rendessero omaggio. Inascoltate rimasero anche le lettere imperiali con l’ordine di prestare
giuramento di fedeltà al marchese inviate direttamente ai Cocconato.
In un confuso resoconto si afferma che Bonifacio di Cocconato, signore di Casalborgone, in
occasione della seconda discesa in Italia di Carlo IV, raggiunse a Pisa il marchese di
Monferrato che si trovava al seguito dell'imperatore, sospettandolo, non a torto di tramare per
ottenere la completa sottomissione dei Cocconato e nella pubblica disputa tra il Cocconato ed
il Marchese di Monferrato, fu lacerato il diploma imperiale.8
Dopo la morte di Bonifacio, negli anni 1367/68 si riaccese violento il conflitto tra i
Cocconato ed il marchese che pretendeva la loro totale sottomissione.
Fu a questo punto che gli indomiti Cocconato scelsero di allearsi con i Visconti di Milano
potenti, ma abbastanza lontani da non sentirne il fiato sul collo, anziché essere soggetti al
marchese di Monferrato, troppo vicino e ormai ingombrante e fastidioso. Il primo aprile del
1369, tutti i componenti della casata, tra i quali. Ranieri e Pietro figli del fu Bonifacio di
Casalbergone sottoscrissero un’alleanza militare con Galeazzo Visconti …in quel periodo
nuovamente in guerra con il conte di Savoia.
I signori di Casalborgone, per circa 80 anni rinnovarono la loro alleanza ai duchi di
Milano e, nel 1431, quando gli eserciti del duca di Milano Filippo Maria Visconti invasero il
Monferrato, fu il marchese Giovanni Giacomo di Monferrato, ora alleato di Amedeo VIII di
Savoia, ad occupare per rappresaglia i castelli e le terre di Giovanni di Casalbergone figlio di
Ranieri, di Antonio di Primelio, di Enrietto e fratello di Robella, Calliano e Piovà. Soltanto nel
1435, con la stipula della pace tra il marchese Gian Giacomo di Monferrato e i Visconti, il
conte Giovanni di Casalbergone e gli altri conti del consortile di Radicata rientrarono in
7
Il nome del luogo Casalis Bergonis/ Castrum Bergonis fu modificato in Casalborgone nelle errate trascrizioni dei notai Torinesi del
XVI secolo
8
A.A. Settia Dizionario biografico degli italiani ... Cocconato, pag. 528)
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possesso dei loro castelli e territori. In compenso. dal marchese Gian Giacomo, il Savoia
pretese come ricompensa Chivasso9, Brandizzo, Livorno e Settimo stringendo sempre più
dappresso i domini dei Cocconato.
Il conte di Casalborgone era perciò particolarmente esposto agli attacchi e invasioni del
duca sabaudo10 che spadroneggiava e premeva ai suoi confini, inoltre non poteva fare a meno
della protezione di un potente e anziché essere sottomesso e le sue terre occupate, ritenne
preferibile cedere alle lusinghe e concessioni del Savoia per ingraziarselo, accettando, nel
1446, una convenzione per particolari concessioni che agevolavano i commerci.
Dedizione al duca Lodovico di Savoia
Nel 1452, gli abitanti di Cocconato, occupato il castello, vollero fare dedizione di sé stessi
al duca Lodovico di Savoia che prometteva di proteggere il comune e gli uomini, senza
assoggettarli ad altri che ai loro conti difendendoli da ogni violenza ed oppressione anche dei
loro diretti signori. Confermava franchigie, immunità e statuti, manteneva mercati e fiere,
permetteva di usare le monete astesi e del marchese di Monferrato e soprattutto consentiva di
potersi recare con merci negli stati dei Savoia con privilegio e senza pagamento di alcun
pedaggio. Per contro i cittadini dovevano obbligarsi a rivelare ogni attentato dei conti di
Cocconato contro lo stato sabaudo e per lui combattere al di qua e al di là dei monti per un
mese a spese proprie e poi a spese del duca. Gli uomini di Cocconato vedevano nel nuovo
signore promesse di maggiori libertà e ricchezza economica.
Solo Giovanni di Casalbergone presenziò in Cocconato alla deliberazione dell’atto, che
comunque non legava gli altri consignori di Radicata e che ritennero quella dedizione un atto
scellerato, dannoso all’interesse dei loro possedimenti, compromettendo gravemente
l’indipendenza di tutti gli altri condomini conti di Cocconato. Così mentre Giovanni di
Casalbergone chinava la testa di fronte alla necessità di proteggere sé e i suoi uomini,
pretendendo l’impegno del duca di Savoia a difenderli se accusati di ribellione, tutti gli altri
conti di Cocconato si prodigarono nel confermare e dimostrare la loro fedeltà al signore di
Milano.
La situazione politica generale era incendiaria e tutti i potenti: il re di Francia, gli
Sforza11, il marchese di Monferrato e la Repubblica di Venezia, aprirono le ostilità sui confini
dello stato sabaudo. Il re di Francia ebbe il sopravvento e impose a Lodovico di Savoia la
retrocessione di tutti i possessi acquisiti a danno del ducato di Milano.
Nel frattempo anche i cittadini di Cocconato, che avevano sperimentato promesse e non
fatti chiedevano di essere liberati dall’obbligo di fedeltà al duca di Savoia, che tergiversava e li
incitava ad opporsi agli Sforza.
I Cocconato, e probabilmente in cuor suo anche il conte Giovanni, si adoperarono per
mantenere buoni rapporti e la protezione del Duca di Milano, informandolo segretamente delle
mosse di Lodovico di Savoia che cercava tutti i cavilli, pretendendo carte originali risalenti
9
Persa Chivasso, la capitale del marchesato di Monferrato fu spostata a Casale.
Amedeo VIII di Savoia ottenne il titolo di duca del Sacro Romano Impero nel 1416
11
Alcuni anni dopo la morte del Duca di Milano Filippo Maria Visconti, avvenuta nell’anno 1447, era succeduto Francesco Sforza.
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alla notte dei tempi e affidando la vertenza ai dottori di leggi di Casale. Riuscì a trascinare
queste dispute sino all’anno 1457.
Il duca di Savoia tentò tutti gli espedienti sino ad inviare nelle terre dei Cocconato, quali
imbonitori, Amedeo di Challant e Bonifacio di Castagnole che promettevano a borghesi e
contadini immensi vantaggi essendo favorevoli ai Savoia ed incitandoli all’avversione ed
all’odio per i loro diretti signori ed alla ribellione agli ufficiali del duca di Milano.
Finalmente dopo sommosse, aggressioni, maneggi e lunghissime trattative si giunse ad
una risoluzione con la pace firmata a Milano il 26 agosto 1458. I Cocconato delegarono a
comparire Giovanni di Guideto, della casata di Casalborgone e signore di Ticineto. Nella
convenzione stipulata, sia il duca di Savoia sia il duca di Milano liberavano uomini e nobili
del comitato di Cocconato da ogni fedeltà ed aderenza loro promessa, con rinnovo del
giuramento di fedeltà ai loro signori Cocconato conti di Radicata. I conti Cocconato erano
tenuti a fare nuova aderenza a tutti due i duchi, con la condizione che questi non potessero
intromettersi nelle cose del consortile di Radicata senza loro richiesta.
I Cocconato ritornarono sicuri e tranquilli signori dei loro domini in pace con i loro
sudditi e si affrettarono tutti i quaranta consignori, compreso Giovanni fu Raynero per la
casata di Casalbergone, ad approvare la convenzione di Milano con sei distinti atti e, il 14
settembre 1458, il notaio Lorenzo Moglia castellano del luogo e castello di Casalborgone, ivi
residente, compilò il memoriale. Il castello di Cocconato fu restituito ai signori del consortile
di Radicata ai quali gli abitanti resero il dovuto giuramento e omaggio di fedeltà.
I Cocconato conti di Radicata liberati dalla fedeltà ai Savoia formano gli statuti
Tutti i consorti di Radicata fecero tesoro di questa esperienza e, dopo aver corso il rischio
di “andarsene con una cana in mano”12, concordemente riuniti nel castello della Piovà, il 15
gennaio dell’anno 1459, formarono degli statuti che obbligassero tutti i condomini di
Cocconato a dare unità di comando e di intenti al governo dei territori sotto la loro
giurisdizione, cercando di assicurare giustizia per tutti, anche per i più poveri ed indifesi. Per
proteggere la necessità di stato la confederazione non poteva più dipendere dal beneplacito di
alcuno ed il giuramento di fedeltà divenne obbligatorio per tutti i maschi della casata al
compimento del diciottesimo anno. Coloro che non aderivano, dopo tre richiami, erano
spodestati e ritenuti non più appartenenti alla casata dei Cocconato.
I signori del consortile di Radicata, in quei tormentati anni, si erano apertamente
dissociati dal signore di Casalborgone proclamando la loro assoluta fedeltà agli Sforza di
Milano, ma avevano probabilmente compreso la situazione di difficoltà in cui si trovava. A
dimostrazione di ciò, infatti, con la redazione degli statuti elessero Giovanni di Casalbergone
capitano di tutto il consortile, “sia nell'interesse dei suoi domini, i più vicini allo stato
12
frase tratta da una lettera di Giovanni di Landriano ambasciatore del duca di Milano, riferita alle vicende dei Radicati. Ancor oggi la
frase è usata in Monferrato per dire che non si possiede più nulla e non si ha più niente da fare.
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sabaudo, sia nell'interesse della comunità che così sperava di mettersi al riparo dalle
rappresaglie delle soldatesche di ventura e dei comuni rivali”. In base agli statuti del
consortile a lui spettava l’amministrazione della giustizia nelle cause civili e criminali.
E così si concluse, come una piaga biblica dopo sette anni di intrighi, agitazioni,
aggressioni delittuose e spaventosa recessione economica, anche questa …momentanea
dedizione ai Savoia.
Secondo Edoardo Durando, che analizzò dettagliatamente queste traversie in “Un
settennio di storia del Comitato di Cocconato”13, con i loro statuti i conti di Radicata
dimostrarono senno, prudenza e di amare sinceramente la giustizia volendo reggere la loro
terra da buoni governanti.
Nell’ottobre dell’anno 1499 il capitano del consortile di Radicata, Ottobono di Passerano,
a nome di tutti i Cocconato, firmò aderenza anche al Re di Francia alle stesse condizioni già
pattuite nel 1458 con i duchi di Savoia e di Milano. L’aderenza al re Enrico di Francia ed al
duca di Savoia sarà confermata ancora il 30/4/1549 da Giovanni Antonio Cocconato figlio di
Alemanno signore di Casalborgone.
L’imperatore li… affida a suo genero Filiberto di Savoia
Nell’anno 1503 l’imperatore Massimiliano con un diploma imperiale sottomise i Conti di
Cocconato a suo genero Filiberto II di Savoia con queste subdole motivazioni:
“Sebbene i nostri amati e fedeli sudditi Conti di Radicata, signori di Cocconato, Vassalli
immediati dell’Impero, abbiano riconosciuto dai nostri predecessori certi castelli e luoghi e
dominii, siccome detti luoghi sono situati fra gli stati di potentissimi Principi vicini, e poiché,
per la distanza, non possiamo attendere a tutte le loro urgenze per difenderli dalle irruzioni di
quelli che li molestano, li affidiamo al nostro genero Filiberto di Savoia, per mantenere in
pace e in tranquillità essi signori, riservando però a noi e nostri successori la ragione di
superiorità ed il giuramento di fedeltà ed obbedienza”. Certo non fu una dedizione spontanea e
i Cocconato rivendicarono strenuamente i loro diritti!
Iniziava per questi signori delle colline torinesi e monferrine il declino del prestigio che
aveva consentito loro di porsi come un importante interlocutore politico sulla scena regionale e
ormai dovevano inevitabilmente rassegnarsi alla perdita dell’indipendenza.
Il conte Ranieri signore di Casalbergone, l’unico di tutti i signori del consortile di
Radicata, forse perché non riusciva più a destreggiarsi, guerreggiando ininterrottamente e
giocando d’equilibrio politico con le potenze confinanti, stipulò il 26 maggio 1504, un atto di
fedeltà al duca Filiberto II di Savoia “pro castro, villa castri, recepto et iurisdictione
Casalisbergoni”14. I suoi figli Giovanni e Alamanno furono a loro volta investiti del feudo da
parte del Duca Carlo III di Savoia il 23 aprile 1505.
13
14
E. Durando Un settennio di storia del Comitato di Cocconato – aprile 1896 - BSBS 124/160 (1897)
A.A. Settia Villa circa castrum…. Pag. 925, Quaderni storici n. 24, 1973.
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Gli altri conti di Cocconato non accettarono e non si sottomisero rivolgendosi nuovamente
al duca di Milano. Alla morte dell’imperatore Massimiliano, riuscirono ad ottenere dal suo
successore, l’imperatore Carlo V, di essere reinvestiti dei loro possedimenti con diploma
imperiale del 29 gennaio 1530.
Anche il conte di Casalborgone fu reinvestito di beni e castello, ma Alamanno figlio di
Ranieri doveva trovarsi in grandi difficoltà, perché aveva già venduto. il 10 marzo 1518, la sua
metà della giurisdizione del feudo di Casalborgone al Duca Carlo di Savoia. Quattro anni
dopo suo fratello Giovanni vendette allo stesso duca anche l’altra metà. Il duca Carlo a sua
volta investì con patto di riscatto il Conte Nicolò Balbis, signore di Vernone. I conti Giovanni
e Alamanno di Casalborgone reinvestiti del loro castello e feudo dovettero condividerlo con
altri consignori.
Occorre considerare che da un decennio le nostre terre erano percorse da truppe di
eserciti in guerra. Predavano, distruggevano, incendiavano e lasciavano dietro di sé peste e
carestia. Le popolazioni erano ridotte all’estrema miseria. I re di Francia e di Spagna si
contendevano il Piemonte, divenuto importante pedina in un interminabile conflitto. Le
sanguinose guerre di predominio, che videro riversarsi su queste terre Spagnoli e Francesi
con al loro soldo i Lanzichenecchi Tedeschi e Svizzeri, perdurarono per oltre mezzo secolo,
sino alla vittoria del duca Emanuele Filiberto di Savoia a San Quintino nell’anno 1557: le
città erano ridotte a macerie e le campagne a brughiera.
Sul finire del ’500 gli eredi del potente ducato dei Visconti e degli Sforza, abbandonato il
sogno di diventare una potenza egemone della penisola erano ormai una colonia spagnola. I
Gonzaga si erano annessi il marchesato di Monferrato, pomo di discordia con i Savoia.
Sottomissione al duca Carlo Emanuele I.
Per non soccombere ai continui tentativi di invasione del Monferrato da parte dei Savoia,
con un atto stipulato nell’anno 1586 i Conti di Radicata, salvo alcune eccezioni di luoghi che
mantennero fedeltà al Duca di Mantova e Monferrato, capitolarono sottomettendosi
definitivamente al Duca Carlo Emanuele di Savoia.
Una ventina di anni prima il casato Borgognone dei Savoia aveva trasferito la sua sede
ufficiale da Chambery a Torino dando inizio ad una dinastia italiana. Il Piemonte era ora
governato da una dinastia ambiziosa e spregiudicata. Carlo Emanuele I di Savoia, sagace e
lungimirante politico e audace condottiero, voleva annettersi il Monferrato ed usò ogni mezzo,
primo di tutti i legami matrimoniali, con i Gonzaga e con il re di Francia. Fu così che arrivò in
sposa per suo figlio Cristina, futura Madama Reale.
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Fine dei Radicati di Casalborgone. I conti Broglia.
All’interno dei feudi come quello dei Radicati c’era il sentore della fine del loro universo
che stava stretto intorno ai castelli, capitale e palazzo del signore. I diritti acquisiti con i
privilegi imperiali stavano man mano decadendo di fronte alle rivendicazioni della comunità
che contestava i tributi in servizi ed i pagamenti per i pedaggi e per l’uso di acque, mulini,
torchi, frantoi. Tutta la loro ricchezza era investita in terre, che davano scarsi utili, anche il
feudo era ormai suddiviso in molteplici frazioni di castelli e territori, con complicati calcoli di
giorni, mesi di giurisdizione a cadenze annuali. Il feudo era destinato al primogenito ed i
cadetti dovevano cercarsi un’occupazione arruolandosi nell’esercito o nella chiesa. L’ultimo
signore di Casalborgone che ancora incarnò le prerogative e la grandezza del passato fu
Fabrizio Radicati, scudiero del Duca Carlo Emanuele, come suo padre lo era stato di
Emanuele Filiberto. Morì nell’anno 1600 lasciando nel castello di Casalborgone tre maschi
minorenni sotto la reggenza della madre. Gli eserciti piemontesi continuavano ad essere in
guerra contro gli spagnoli, le campagne da Torino a Verrua e per tutto il Monferrato furono
devastate, i cascinali derubati e bruciati sino alla pace che fu firmata ad Asti nel 1615. Il
popolo, con l’atavica saggezza imparata con la fame, riassumeva il suo pensiero nel detto “o
Franza o Spagna …purché se magna”
Gli esponenti della linea dei Radicati di Casalborgone, finite le antiche glorie e
ricchezze, ceduto anche il castello, morirono nella terribile peste del 1630. Erano già divenuti
signori del luogo e castello di Casalborgone i conti Goveano, cui seguirono il conte Messerati
e Maria Cristina di Francia. Fu lei, prima Madama Reale, a cedere in permuta il feudo di
Casalborgone al conte Broglia per saldare un debito contratto con la famiglia dal Duca Carlo
I di Savoia che aveva ottenuto un cospicuo prestito dal Cardinale Broglia Arcivescovo di
Torino, ma soprattutto per riottenere la sesta parte di Agliè. La Madama Reale Maria Cristina
aveva un potente motivo: desiderava far rientrare in possesso del feudo di Agliè il conte
Filippo, fratello di Caterina d’Agliè che, andata in sposa al conte Broglia, lo aveva lasciato
vedovo ed erede della sesta parte dei beni dei San Martino d’Agliè.
Era l’anno 1638, il legame con i Savoia era divenuto per i conti Broglia, nuovi signori di
Casalborgone, un ambito vincolo di sudditanza ed era iniziata la loro trasformazione da
feudatari a nobili legati allo stato assoluto. Ai conti Broglia, le rendite di terre boschi e cascine
ancora consentivano una vita di fasti in città. A Torino ruotava la corte delle madame reali,
Cristina di Francia poi Maria Giovanna Battista e sua nuora Anna d’Orleans; per i nobili era
determinante ottenere un posto di damigella a corte per le loro figlie, sperando in un
matrimonio di rango. Il fasto e la frequentazione della corte consentivano la scalata ai i vertici
sociali e politici, e l’unica attività consentita ad un nobile era la funzione pubblica o la
carriera militare.
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Nei primi decenni del ‘700, il duca Sabaudo Vittorio Amedeo II fu incoronato re prima di
Sicilia e poi di Sardegna e Torino divenne la capitale di un regno ove fiorivano progetti e
iniziative e nuovi fermenti culturali, attirando le ambizioni. Nella seconda metà del ‘700 i
ministri erano scelti dal re nelle famiglie dell’alta aristocrazia affiliata alla corte, poco
importava la loro mancanza di competenze ed esperienza pratica e la scarsa capacità di
amministrare. Ciò accresceva il loro attaccamento alla famiglia reale. Così ruotando intorno
alla corte acquisirono l’abitudine allo sperpero vivendo con un fasto sproporzionato e al di
sopra delle loro possibilità. Le proprietà feudali erano in parte finite al demanio, per decisione
del re di ridurre le terre che riteneva abusivamente passate nelle mani dei vassalli. Le cinque
cascine ed i terreni di proprietà dei conti Broglia erano affidati a massari, con l’unico scopo
di ricavarne una rendita e lasciando ai contadini solo di che mantenere la famiglia. L’ultimo
discendente dei conti Broglia di Casalborgone morì a Villa Nueva di Lima nel 1896. Le cascine
erano ipotecate e il patrimonio disperso in iniziative fallimentari e dalle sopraggiunte infinite
divisioni ereditarie…il castello ed il titolo di conte passarono a Ferdinando Morozzo della
Rocca, figlio della damigella Clementina Emilia Broglia. Morì senza eredi e fu l’ultimo conte
di Casalborgone.
… per concludere
I Cocconato subirono, non potendo evitarla, la soggezione ai Savoia cercando con una
accorta e prudente politica di proteggere i loro insediamenti, castelli, villaggi ed anche le genti
che erano sotto la loro giurisdizione. Furono tra gli ultimi feudatari del Piemonte a capitolare,
sul finire del cinquecento, ai duchi di Savoia.
Per i Broglia conti di Casalborgone fu piuttosto questione di accrescere il proprio rango,
ottenere le massime cariche del regno sabaudo e proteggere il patrimonio familiare.
Dopo aver raggiunto l’apice con il conte di Casalborgone Mario Ruffinotto, luogotenente
generale di
una divisione dell’armata al fianco di Carlo Alberto nella guerra
dell’indipendenza, ministro della Guerra e Marina e firmatario dello Statuto del Regno, le
aspirazioni e le fortune dei Broglia dovettero, trascorsi nemmeno cinquant’anni, fare i conti
con la caducità delle cose terrene.
Restava il castello ad evocare allora, e a quanto pare ancora oggi, un’aura di fasti
nobiliari.
Maria Grazia Maistrello Morgagni
Casalborgone, giugno 2011
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