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Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (titolo originale: Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb) di Stanley Kubrick, 1964 Film liberamente tratto dal romanzo Allarme rosso di Peter George (1958). Sullo sfondo dei primi anni ’60, in piena “Guerra Fredda”, un generale paranoico dell’aviazione USA fa scattare un piano di bombardamento atomico dell’URSS. Il piano era previsto come deterrente contro attacchi a sorpresa del nemico, ma si scopre ben presto che nessun attacco dei sovietici è in corso. Il presidente americano cerca di correre ai ripari, ma non c’è più niente da fare. Una serie di personaggi formatisi all’insegna della propaganda militarista, patriottica e antisovietica (dal generale Turgidson, al maggiore dell’aeronautica King Kong) porteranno alle estreme conseguenze la follia innescata dal generale Ripper. In particolare il maggiore King Kong, comandante di bombardiere B-52, anche quando verrà recuperato il codice per richiamare gli aerei, si rifiuterà di rientrare alla base, eseguendo meticolosamente e caparbiamente gli ordini ricevuti in prima istanza, al punto che, di fronte ad un’avaria al portello di sgancio della bomba, lo ripara personalmente, precipitando sull’obiettivo a cavalcioni della bomba, urlando e agitando il cappello da cowboy come se stesse cavalcando uno stallone da rodeo. La bomba, colpendo la base missilistica di Laputa, in cui si trova il cosiddetto “ordigno fine di mondo”, innesca l’olocausto nucleare che cancellerà la vita sulla Terra per circa 93 anni. Nel frattempo il dottor Stranamore, scienziato tedesco, ex nazista, consigliere militare del Presidente, elabora una strategia di sopravvivenza per i “migliori esemplari” della nazione, approntando le miniere più profonde come rifugi antiatomici e luoghi di riproduzione, in attesa che cessi l’effetto della pioggia radioattiva, permettendo il ritorno in superficie dei sopravvissuti . Il film, una “commedia-incubo” (come la definì lo stesso regista), cinica, spietata, esilarante, rappresentò la prima aperta critica alla bomba atomica nella cultura popolare di massa. Molti americani, in quegli anni, vivevano la costante minaccia nucleare in modo apatico e con rassegnazione; oppure con totale acquiescenza nei confronti della propaganda politica in cui la bomba diventava il simbolo della sicurezza e dell’unità della nazione. A questo proposito, nella sequenza filmica selezionata, sulle note della militaresca e popolare melodia di When Johnny Comes Marching Home, vediamo la caparbia, ottusa, e goliardica determinazione con cui il maggiore King Kong si immola cavalcando la bomba, pur di eseguire i primi ordini ricevuti, senza essere sfiorato dal minimo dubbio o dilemma morale. Dal punto di vista filosofico un tale atteggiamento (e tutti quelli simili, di cui questo è solo un’espressione simbolica) è una costruzione del sistema sociale, funzionale alla sua stessa riproduzione. Come possiamo leggere nelle prime righe dell’introduzione di Marcuse al suo L’uomo a una dimensione (1964): <<La minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo? Gli sforzi per prevenire una simile catastrofe pongono in ombra la ricerca delle sue cause potenziali nella società industriale contemporanea. Queste cause rimangono non identificate, non chiarite, non soggette ad attacchi del pubblico, poiché si trovano spinte in secondo piano dinnanzi alla troppo ovvia minaccia dall’esterno – l’Ovest minacciato dall’Est, l’Est minacciato dall’Ovest. Egualmente ovvio è il bisogno di essere preparati, di vivere sull’orlo della guerra, di far fronte alla sfida. Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione, al perfezionamento dello spreco, ad essere educati per una difesa che deforma i difensori e ciò che essi difendono. Se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo. La struttura della difesa rende la vita più facile ad un numero crescente di persone ed estende il dominio dell’uomo sulla natura; in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione>>. Sennonché, come denunciato da Horkheimer e Adorno in Dialettica dell’illuminismo (1947), il dominio ©Angelo Mascherpa dell’uomo sulla natura, stante la proprietà privata capitalistica dei mezzi di produzione, implica immediatamente il dominino dell’uomo sull’uomo e la degradazione della natura. E’ qui che vanno cercate quelle cause “non chiarite” di cui parla Marcuse. Infatti, dato l’alto grado di sviluppo delle forze produttive (che in virtù delle loro basi tecnicamente neutrali possono assumere anche la forma di forze distruttive), nel moderno Capitalismo di Stato (Pollock, 1941) la corsa agli armamenti non solo non può cessare, ma diventa un imperativo perché <<nello sforzo di mantenere ed estendere il proprio potere, il gruppo dominante entra in conflitto con interessi stranieri, e il suo successo dipende dalla forza militare, la quale è una funzione dell’efficienza tecnica: ogni rallentamento del progresso tecnico porterebbe all’inferiorità militare, e quindi alla sconfitta del gruppo dominante>> [G. Bedeschi, La Scuola di Francoforte, Laterza, 1999, p.101]. La riproduzione di questo stato di cose (con i relativi rapporti di potere) è resa possibile dalla formazione di uomini “senza qualità” (uomini-massa della società tecnologica avanzata) che si identificano senza riserve con il potere costituito (completa acquiescenza). Si tratta di uomini “normali”, “banali”, in cui l’atrofia dell’immaginazione, della creatività e della spontaneità (atrofia tipica del consumatore dell’industria culturale) possono rendere possibile l’olocausto nucleare, così come gli uomini “banali”, analizzati da Hannah Arendt, hanno reso possibile l’olocausto del popolo ebraico. Il concetto di “banalità del male” fu coniato da Hannah Arendt assistendo a Gerusalemme al processo di Adolf Eichmann, uno degli ufficiali nazisti responsabili dell’Olocausto (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, 1963). Tale espressione, lungi dall’implicare una banalizzazione del male, esprime l’inquietante constatazione di come si possa divenire complici del male senza essere “mostri”, ma anzi persone che appaiono del tutto “normali” e alieni da qualsiasi senso di colpa. Ciò che colpiva la Arendt (di Eichmann e altri personaggi simili) era la mancanza di “pensiero”; ovvero di quella particolare attitudine a sottoporre al giudizio critico della ragione tutto ciò che accade, comprese le proprie azioni e le proprie scelte, senza affidarsi ciecamente alle convenzioni date o alle regole del proprio sistema di vita. Così, questi uomini piccolo-borghesi, onesti lavoratori, conformisti, preoccupati di difendere gli interessi della propria famiglia e di compiere il proprio dovere, se inseriti nell’infernale macchina dell’organizzazione nazista, diventano capaci delle più disumane atrocità. Proprio come accade alla schiera di personaggi che, nel film di Kubrick, ruotano attorno al dottor Stranamore, fino all’epilogo del maggiore King Kong che si immola cavalcando la bomba, pur di eseguire il proprio dovere! ©Angelo Mascherpa