giornalino scolastico n.1 2016-2017

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giornalino scolastico n.1 2016-2017
N u m e r o 1 a . s. 2 0 1 6 -1 7
Istituto Istruzione Superiore “Filelfo”
IL NOSTRO INCHIOSTR
I L F IL ELF O P ER U N CA MP U S
EDITORIALE
Con questo numero speciale, monotematico, passiamo il testimone del nostro giornale ad
una nuova redazione ed al prof. Paolo Paoloni, che ne coordinerà il lavoro.
Qualcuno ricorderà il bilancio steso in giugno, in cui si notavano la scarsa partecipazione e
qualche “pressione” per ottenere contributi a questo progetto, pur interamente vostro, e si
auspicava una ripresa entusiasmante e creativa.
Beh, dopo quanto è accaduto, la ripresa ci è parsa doverosa, come se una molla ci
fosse scattata internamente dopo il sisma. Già, questo è l’argomento che in vario modo
vi proponiamo nelle pagine seguenti. Non certo per risvegliare angosce e drammi che hanno
modificato la vita di troppi di noi. Vorremmo invece rileggerlo a posteriori, grazie ai materiali giunti in redazione, valutarne alcune conseguenze, imparare da singoli fatti e comportamenti. Un evento inatteso può rivelarsi non casuale.
A seguito del disastroso terremoto che
ha colpito e messo in ginocchio tutto
l’alto maceratese un gruppo di docenti
del “Filelfo” ha cercato di dare corpo
ad un sogno: l’edificazione di un
Campus scolastico.
Perché un sogno? Perché da tanto tempo si parla di un nuovo polo scolastico
per le scuole superiori di Tolentino, ma
non è stato finora possibile realizzarlo
a causa della miopia politica e sociale,
che ha fatto sì che venti anni or sono si
gettasse alle ortiche un finanziamento
pronto da parte della Provincia.
Ora, considerati i rilevanti danni alla
sede dei Licei, classificata inagibile, e
quelli alla sede dell’ITE (Istituto Tecnico Economico) fortunatamente meno
gravi, docenti e i genitori hanno
costituito un comitato con lo
scopo di sollecitare le istituzioni in vista della realizzazione del Campus. Tale progetto
Per quanto riguarda la nostra situazione di “sfollati” non vi è dubbio che stiamo abbastanza
stretti presso le sedi temporanee, dove si lavora con disagio condiviso. Luoghi e mezzi per
riprendere le attività sono stati reperiti con ammirevole rapidità, ma ora l’emergenza dovrebbe lasciare il posto ad una soluzione. Sappiamo che spetta alla Provincia garantircela. Mai
come ora abbiamo misurato e immaginato i tempi. Intanto ci siamo adattati, persino un po’
troppo abituati a condizioni precarie come aule senza finestre o in atrio su cui si affacciano
ben tre porte, ecc. ecc. Applausi. Chi ha visto la propria casa ferita, chi ha dovuto disabituarsi ad essa e non ha più avuto a disposizione gli oggetti e gli spazi consueti aveva, al rientro, il
volto segnato e l’aria spaesata. Sì, l’abbiamo notato. È stato indispensabile, perciò, restituire a tutti i costi i benefici della vita di classe e della condivisione delle rispettive
storie. Nonostante tutto, poco dopo, è tornata la voglia di scherzare e si è ripresa questa vita
scolastica “modello diesel”, ma pur sempre proiettata in avanti.
Dopo “Daje Marche” e “Forza Tolentino” i Docenti, gli studenti, i genitori hanno pensato
di costituire un comitato al fine di poterci dotare entro pochi anni di una struttura onnicomprensiva, fornita di aule, laboratori, mensa, sale danza, palestra (dapprima sogno, ora realtà)
e, perché no, di alloggi per chi , da lontano, volesse venire a frequentare il liceo coreutico.
Un simile progetto di scuola decentrata e sicura ci induce alla speranza, ci infonde
ogni giorno energie, mentre tentiamo di rendere più abitabili ed accoglienti possibile
i luoghi che ogni mattina abitiamo e condividiamo.
Come Istituto, per il nuovo anno meritiamo non degli auguri, ma la legittimazione di qualcosa che ci spetta in quanto promesso e, riteniamo, necessario alla vostra formazione e al nostro lavoro.
Laura Alici
permetterebbe di restituire a Tolentino
un ruolo centrale nella formazione dei
giovani e doterebbe la città di un polo
scolastico fornito di tutti i comfort,
compresi palestra, sale danza, mensa e
convitto, per accogliere degnamente
anche i sempre più numerosi studenti
del Coreutico provenienti da tutta la
Regione. Tutta la cittadinanza ha
sostenuto l’impegno del Comitato, rispondendo e argomentando con motivazioni efficaci chi poneva in campo falsi
problemi come lo svuotamento del centro storico ed il calo del reddito dei
commercianti. L’unico disastro da
temere era invece la “morte
del Filelfo”, a cui si sarebbe
andati incontro in caso di un
assurdo immobilismo delle
istituzioni e della società civile.
Prof. Alberto Paoloni
Numero 1 a.s. 2016-2017
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IL GRANDE TERREMOTO DEL 1703
COME HANNO VISSUTO GLI EVENTI SISMICI I NOSTRI
ANTENATI E COME LI VIVIAMO NOI
Nota: I documenti pubblicati sono stati trascritti e analizzati dal prof. Paolo Paoloni e da Lorenzo Sabbatucci. Si ringrazia la Direttrice della
Biblioteca Filelfica dott.ssa Laura Mocchegiani per aver messo a disposizione il materiale d’archivio. Cosa può esserci in comune tra due eventi
sismici avvenuti a una distanza di più di 300 anni? Ad una attenta analisi le similitudine sono diverse e non sottovalutabili.
Nel 1703 il Grande Terremoto non spaventò la popolazione con un singolo evento ma con diverse riprese e scosse molto violente proprio come sta accadendo a noi. Gli epicentri sono quasi gli stessi degli eventi sismici attuali e anche la magnitudo delle scosse più forti sembra
essere più o meno la stessa, sempre tra i 6.2 e i 6.8, ma il modo in cui furono “avvertite” è sicuramente diverso.
Le Marche erano al tempo un territorio dello Stato della Chiesa e ogni scossa è stata considerata come un castigo divino.
[...] potremo sperare di essere sottratti da quei flagelli che dalla mano pesante di un Dio Indignato, ci vengono preparati in pena delle nostre grandissime colpe [...]
S. Severino 26 Gennaro 1703
Il papa del tempo, Clemente XI, attribuiva le cause del terremoto
agli eccessi del popolo durante alcune celebrazioni, soprattutto quella
del Carnevale (che venne bandito a Roma per ben 5 anni e nella nostra
città per due) e avvertì molto bene le scosse che portarono alcuni danni
alla città eterna. Per questo concesse un'indulgenza speciale che troviamo,
oltre che nei libri di storia, anche nei nostri documenti.
Siamo in debito di dare prove evidenti di stima alle Signorie Vostre Illustrissime […]
sul soggetto della pubblicazione della notificazione dell'Indulgenza Plenaria per concessione speciale della Santità di Nostro Signore Papa Clemente Undicesimo […]
Apiro 15 Marzo 1703
Cronache del tempo ci testimoniano che caddero addirittura 3 archi del
Colosseo. Una situazione del genere creò uno stato di panico in tutto
il territorio dello Stato della Chiesa.
[...] Essendo ora chiusi tutti li tribunali per le continue penitenze che qui si fanno con le terribili scosse di Terremoto patite che hanno intronato la maggior parte delle Chiese
e Palazzi
Roma 20 Febbraio 1703
Ovviamente le contromisure non si limitarono all'interruzione del Carnevale per qualche anno.
A Tolentino fu presa la decisione di combattere queste terribili scosse chiedendo il perdono divino con diverse processioni, come possiamo scoprire leggendo le ordinanze del comune del giorno 12 Febbraio 1703, ben dieci giorni dall'ultima grande scossa di magnitudo 6.7.
[…] 5- Se pare fare qualche devozione per i giorni di Gennaio e Febbraio nei quali i Santi hanno protetto la nostra Città dalle terribili scosse di Terremoto e ci pare di
interrompere il Carnevale per qualche tempo.
6- Se pare fare qualche dimostrazione di processione per andare alla Santa Casa di Loreto
Inoltre abbiamo trovato più volte nei documenti citata la processione che probabilmente avvenne il 25 gennaio 1703 nella quale vennero esposte in processione le Sante Braccia di San Nicola. Questa processione fu così importante che nei documenti troviamo lettere che vengono da diversi
comuni i quali, tutti, si affidano quasi totalmente alla protezione del Santo tolentinate.
Fu mercoledì sollecitamente pubblicata in questa Terra la Processione ed espositione seguita costì hieri delle Sante Braccia del Glorioso S. Nicola, non solo per il debito che ci
corre di prontamente servire le Signorie Vostre Illustrissime che per desiderio che habbiamo si ricorra da ciascheduno alla valida protettione ed intercessione di si gran Santo
per ottenere la gratia del Signorie Iddio di essere preserbati dalle ruine che minacciano i correnti terremoti, così la Divina Misericordia ci esaudisca et alle Signorie Vostre
Illustrissime baciamo in fine affettuosamente le mani
Monte Milone 26 Gennaro 1703
Affetionatissimi Servitori
Il Confaloniere e Priori
Senza perdimento di tempo e con pienezza di volontà furono da noi eseguiti li comandamenti delle Signorie Vostre Illustrissime seguita in questa città dall'espositione delle
Sante Braccia del Glorioso San Nicola Protettore e Tutelatore della Cristianità tutta con la processione affine di rincorrere all'intercessione di sì gran Santo per placare la
Divina Giustitia e liberarci da sì calamità nelli correnti e spaventosi terremoti dei quali dappertutto si sono sentiti con sì spesse e terribili scosse
27 Gennaro 1703
In conclusione, il nostro è un territorio che più volte nel corso degli anni è stato soggetto a eventi sismici importanti; sembra quasi possibile
denotare una sorta di ciclo della nostra terra che sembra muoversi ogni vent'anni con poca energia per poi scatenarla nel lungo periodo
ogni due o tre secoli. Infatti oltre alle scosse moderne (1997; 2009; 2016/17) e a questa del 1703 ne siamo a conoscenza di molte altre sempre
molto importanti nel XIV secolo, nel XV e nel 1799. Che possa questo ciclo farci capire quando ci saranno i prossimi fenomeni? Forse, ma
non bisogna mai speculare e dare false informazioni e dare tempo a una scienza che, sebbene molto sviluppata e all'avanguardia, risulta essere comunque molto lontana dal dare previsioni certe che forse non ci darà mai. Non bisogna però mai smettere di studiare questi fenomeni poiché sono
uno strumento per conoscere meglio sia il nostro territorio che la sua origine ed evoluzione nel tempo.
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Il nostro inchiostro
LA MIA VITA TRASFORMATA
La quiete mattutina è stata interrotta da un orribile rumore che ha percosso le fondamenta. Un urlo agghiacciante, ma
quasi silenzioso, che faceva solo da sfondo al fracasso delle case che venivano sbattute le une con le altre. La piazza era
affollata, a terra era pieno di macerie, alcune case erano crollate. Vite intere di fatiche e ricordi abbattute ingiustamente, senza ritegno. La terra non ha fatto distinzioni e non ha avuto pietà. Gli edifici più importanti erano stati quasi tutti dilaniati dall’impetuosa
potenza sprigionata dal cuore delle montagne, anche loro, apparentemente intoccabili ed eterne, sfregiate. Un turbine di emozioni
negative ti assale in questi momenti, e queste ti abbattono, come se fossero un prolungamento della catastrofe. Quasi tutte
scompariranno lentamente, lasciandoti comunque delle cicatrici. Tutte tranne la paura, la paura di tornare a casa, di sentire quel boato silenzioso un’altra volta.
Ora le acque si sono calmate, almeno sembra, ma il mio piccolo paese è ancora spento. Non c’è più nulla, tutti gli ingranaggi che
gli davano vita si sono fermati. La sera non c’è nessuno per le strade, nonostante sia il periodo natalizio. Ogni tanto rientro a casa
mia, per ora inagibile, e vedo le stanze come le avevamo lasciate. Quegli attimi di paura fermi nel tempo, come immortalati da
una fotocamera, e tutto quello che ho accumulato nel corso della mia vita lasciato lì ad essere divorato dalla polvere. Forse la cosa
peggiore è stata il vedere la vita di chi non ha vissuto questa paura continuare normalmente, senza alcuna preoccupazione, a differenza delle nostre, per ora ferite e segnate del terrore di un possibile evento analogo e di un altro incubo.
Niccolò Simonelli 2°C l.s.
AFFRONTARE INSIEME LE
DIFFICOLTA’
Certamente ciascuno di noi, nell’arco di questo periodo, ha avuto modo di crescere ed imparare qualcosa di significativo e di profondo per
la propria vita: sono questi momenti di difficoltà, infatti, che ci
pongono delle vere e proprie sfide che sta a noi accettare, oppure possiamo restare atterriti ed inerti a guardare. Così mi sentivo
la sera del 30 ottobre, quell’orribile domenica che tutti noi ricordiamo
come fosse ieri. Mi sentivo spaventata e letteralmente spaesata ed instabile, come se di colpo tutti i miei punti fermi fossero crollati.
La sensazione era quella di essere un pioppo fluttuante nell’aria vorticosa, che non permette di trovare tregua e appoggiarsi saldamente a qualcosa: l’incertezza e l’instabilità creavano un peso al petto indescrivibile. L’angoscia del pensare mi attanagliava e
tutto ciò di cui avevo bisogno era un segnale, un qualcosa che mi risvegliasse dal torpore e dall’insicurezza in cui mi trovavo. Soprattutto sentivo di non poter vincere una forza più grande di me e questa impotenza mi pesava moltissimo: quante cose avrei
voluto fare, quante case avrei voluto restituire a chi le aveva perse, ma purtroppo non potevo, e restavo ad aspettare, così, in macchina. Finalmente però, del tutto inaspettato ed inconsciamente desiderato, eccolo lì il segnale. Un messaggio. Necessità di aiuto
per i terremotati alla parrocchia Santo Spirito di Tolentino, Don Sergio ha bisogno di supporto. Chiunque possa, vada.
Niente nella mia mente risuonò più semplice di così, niente più chiaro: avevo trovato il mio posto. E difatti, da quel giorno in avanti,
per circa due settimane, quasi quotidianamente mi recavo in quel luogo dove, nel giro di pochissimo, era nato un centro di raccolta
per circa 200 persone. Le brandine vennero portate inizialmente dai balneari della costa e in seguito arrivarono letti veri e propri
della Protezione Civile, che noi ragazzi provvedemmo a sistemare. Dentro la chiesa le panche erano state spostate e al loro posto vi
era un mare di lettini, uno accanto all’altro. I pasti venivano serviti tre volte al giorno in due turni successivi, e noi ragazzi eravamo
addetti anche al servizio ai tavoli, ovviamente facendo tutto volontariamente. Già da subito eravamo davvero molti giovani e
questo mi stupì tantissimo. Si creò un bello spirito di squadra, e tutti sentivamo di star facendo la cosa giusta: quanta
disponibilità e dedizione ho riscontrato in molti di loro! Ovviamente le
persone, notando questo nostro impegno, non sapevano come ringraziarci e
molti ci riempivano di complimenti e benedizioni, soprattutto i più anziani. E
non vi dico quante belle persone mi è stato concesso di conoscere, sia terremotate, sia no. Una di queste è proprio Don Sergio, che personalmente non
avevo mai conosciuto dal vivo, che ha veramente reso onore alla sua missione e al suo ruolo con l’operato di quelle settimane. Talvolta, inoltre, si andava in parrocchia anche solo per stare a contatto con le persone e
cercare di farle sorridere e allietare loro il soggiorno quanto più possibile. Questo era ciò che soprattutto ci veniva riconosciuto, e ciò che mi ha
lasciato più gioia nel cuore. Una parola di conforto, un abbraccio, un
sorriso valgono più di qualsiasi altra cosa, specialmente in momenti
difficili come questi. Mi ero affezionata a molte persone lì presenti e
ormai mi sentivo parte di quella realtà. Non riuscivo più a stare a casa a non far nulla, avevo bisogno di rendermi utile per qualcuno che veramente ne aveva necessità. La sera, tornando tardi a casa, sfinita, mi sentivo piena e in pace con me stessa. Seppur la
malinconia per la situazione e la stanchezza di fondo restavano, la soddisfazione ripagava ogni cosa. E vi posso assicurare
che la sensazione di aver impiegato a buon motivo una giornata o anche soltanto qualche ora del vostro tempo al servizio degli altri,
è una delle più appaganti che ci possa essere, o almeno per me è stato così.
Silvia Massi, 5°A l.s.
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QUANDO TERRA TOTA EST MOTA
Il 1703 era iniziato da appena due settimane quando l’Italia centrale venne sconvolta da una sequenza sismica terribile per intensità e durata: il 14, il 16 gennaio e il 2 febbraio di quell’annus horribilis tre
scosse stimabili tra il 6.5 e il 6.7 Richter con epicentri rispettivamente a Norcia, Amatrice e L’Aquila
sconvolsero, come oggi, l’Umbria, le Marche meridionali, il Lazio nord orientale e l’Abruzzo.
Le cronache dell’epoca sono ricche di particolari: persino Roma ne fu toccata (crollarono tre archi
del Colosseo) e spaventata, tanto che le autorità del Campidoglio, l’intero collegio cardinalizio e,
infine, lo stesso papa Clemente XI (1700-1721) decretarono la chiusura di tutti i teatri e la proibizione di spettacoli pubblici per i successivi cinque anni quale atto di ringraziamento a Dio per aver
risparmiato la Città eterna.
Non è questa la sede e neppure si è titolati per andare a disquisire sui vichiani “corsi e ricorsi storici”. Esperti del ramo, peraltro, hanno già fatto notare che sembrano esserci forti analogie tra quel
sisma e quello odierno, al punto da ipotizzare, al di sopra della periodica e pressoché ventennale
successione di eventi di media grandezza (gli ultimi in zona datano 1897, 1915, 1943, 1979, 1997 e ahinoi!- 2016) una ciclicità a più ampio raggio dell’ordine di 300/350 anni circa (1352, 1703, 2016),
che possiamo ben definire di potenza catastrofica.
È toccato a noi. Siamo stati sfortunati, tutto qua, senza tirare in ballo, come pure qualcuno ha fatto,
improbabili interventi soprannaturali di permalose e vendicative divinità.
Dunque il 1703. Tra gli oltre trecento ex voto conservati nel museo annesso alla basilica di S. Nicola
di Tolentino ce n’è uno che ci riguarda: si tratta di un quadretto ad olio su tela (cm 68,1 x 47,1), di autore ignoto, che illustra una scena di
salvamento.
Sullo sfondo appare il vecchio, rinascimentale palazzo priorale che, ancora in piedi, seppure assai malconcio dopo quel sisma, fu sostituito dall’attuale, edificato solo nel 1860 a vaga imitazione della Scala di Milano.
L’ampia facciata presenta nella parte sommitale, sotto un fregio a dentelli, ampie finestre rettangolari intervallate da stemmi signorili e
dalla statua della Madonna con in braccio il bambin Gesù, entro una nicchia con aggetto a spiovente. Sul paramento murario sottostante,
racchiusi entro scudi ovali, altri stemmi probabilmente di governatori della città e al centro, più grande, quello di papa Clemente XI Albani (1700-1721), ben riconoscibile perché sormontato dalle chiavi decussate e dal triregno. Alla sua destra, entro una cornice quadrata,
l’orologio civico sul cui quadrante a fondo rosso, ove si intravvedono dipinte le ore italiche, spicca una lancetta dorata a guisa di saetta.
Nella parte bassa, quattro grandi archi a tutto sesto poggianti su colonne di pietra (o di marmo) danno vita ad un loggiato che ospita al
suo interno delle botteghe. All’estrema destra una grande scalinata conduce, tramite un arco di più grandi dimensioni, dalla piazza ai
piani alti dell’edificio.
Proprio la scala è il focus del quadro: da essa stanno scendendo giù a rompicollo alcuni individui con le braccia aperte, levate al cielo, altri
sono invece ritratti in ginocchio, a mani unite in atto di preghiera. La scena si ripete simile in mezzo alla piazza: chi prega, chi sorregge
un vicino, chi alza le mani verso l’alto. Dagli abiti che indossano, perlopiù rossi e neri, possiamo facilmente individuarli come giovani
studenti seminaristi e sacerdoti frequentanti il locale seminario vescovile, che, sorpresi dal sisma, cercano salvezza fuori del palazzo e
levano preghiere non solo alla Madonna che campeggia nella nicchia del palazzo, ma anche a San Nicola, che appare all’estrema sinistra
del quadro, vestito del canonico saio nero agostiniano, il capo circondato da un nimbo dorato, in mano, a meglio identificarlo, un giglio
bianco, uno dei suoi attributi iconografici. Il santo protettore della città appare sospeso in mezzo ad una nube sorretta da tre angeli, le
cui testoline spuntano tra le piccole ali dorate.
L’elegante cartiglio in alto a destra contiene un’iscrizione di sette versi ottonari il cui ritmo sembra seguire una sorta di metrica barbara a
rovescio (un sistema accentuativo applicato ad un testo latino), sempre che non si tratti di altrettanto ‘barbari’ - e qui l’aggettivo calza a
pennello! - tetrametri trocaici esemplati dalla versificazione greca. Per gli appassionati (e i pignoli!) lo schema della rima è AABCBDD:
“IAM AD MILLE ET SEPTEM CENTVM
ET TRES ANNOS ERAT VENTV[M]
QVANDO TERRA TOTA EST MOTA
NOS GYMNASTES TOLENTINI
NICOLAO FECIMVS VOTA
ET SVA GRA[TIA] ET SVO FAVORE
FVIMVS SALVI IN TA[N]TO HORRORE”
Data l’elementarità del testo latino non occorrerebbe traduzione, ma per chiarezza e a vantaggio dei digiuni della lingua di Orazio e di
Virgilio, essa suona più o meno così:
“Si era giunti ormai al 1703 / quando tutta la terra s’è mossa. / Noi studenti (gymnastes) di Tolentino, / facemmo voto a (san) Nicola / e
per sua grazia e con la sua protezione / fummo salvi in così grande atrocità”.
Non sembri strano che a quel tempo esistesse già una scuola pubblica a Tolentino. Era prassi consolidata da secoli, infatti, che il Comune
contribuisse a stipendiare un maestro di scuola e, nel caso vi fossero parecchi allievi, anche un “ripetitore” per istruire i giovani della città
nel calcolo e nella grammatica, vale a dire nello studio della lingua latina e nella lettura degli autori classici e medievali. Lo stipendio del
maestro comunale era integrato con le quote pagate dai familiari dei singoli studenti. Insomma, una scuola pubblica, ma solo per chi se la
poteva permettere, non certo accessibile alle masse contadine o ai ceti cittadini meno abbienti.
Studenti di ieri, studenti di oggi: stesse paure, stesse preoccupazioni. Ce la facemmo allora, ce la faremo ancora.
I l no s tr o i n c h i o s tr o
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SUL SACRIFICO IN NITSCH E SUL
SIGNIFICATO SEMIOLOGICO DELL’OPERA
Quella del sacrificio non è in sé una realtà potenzialmente redenzionale, è un’immagine
tanto meno potente quanto lo è nell’esprimersi verbalmente. La continuità che c’è tra un
discorso di tipo linguistico (linguistico - verbale) e uno artistico - figurativo
rende l’immagine elevata, cioè ne celebra il soggetto (il martire, o l’animale
dell’olocausto) come oggetto non solo visivo ma anche linguistico. Stando
alla tesi secondo cui la parola non è strumento di comunicazione, ma comunicazione stessa, (cioè non comunichiamo un concetto, ma prima di tutto comunichiamo il verbo), la carcassa dell’animale diventa comunicazione;
esprime, nel suo realizzarsi come ente spirituale nel sacrificio, cioè nel teatro tragico dell’esposizione al santo, quello che è definito da Artaud “il teatro dell’orrore” ben delineato anche nelle Poesie della crudeltà. Quello di
Hermann Nitsch, dunque, è un tentativo prima che artistico, o sociale vista
la denuncia che esce dalle sue opere, di tipo comunicativo, cioè legato alla
sfera della semantica (e quindi del verbo in sé – cioè dell’oggetto del sacrificio come figura di interesse) della semiotica (dunque del significato teorico che c’è dietro il simbolo dell’olocausto). Quando parliamo di sfera semantica, dobbiamo proprio
pensare alla figura dell’attore passivo, cioè dell’attore che subisce l’Aktionen (la performance), identificato come la vittima auto-sacrificale, che viene dunque ad essere sì vittima ma anche, e più semplicemente, soggetto ed oggetto di azione che perde ogni connotazione espressiva legata all’idea di violenza. Il sacrificio, in cui attori attivi agiscono su
uno passivo in maniera animalesca oltre che rituale (perché diretti da un sacerdote,
Nitsch stesso), diventa quindi manifestazione dell’istinto. Non abbiamo più nulla che possa essere considerato negativamente o positivamente da alcuna morale, abbiamo il puro, antropologico, istinto. Attraverso questo ritorno all’animalesco avviene la catarsi. il
regresso fino ad uno stato di necessaria violenza porta il pubblico, l’attore attivo, l’attore
passivo e lo stesso animale, ad un riscatto di tipo cristologico. Abbiamo dunque una brutalità fisica e visiva finalizzata al bene, l’orrore attraverso il quale ogni soggetto
dell’azione (divenuto oggetto del grande dramma rituale) – inteso come essere pensante
– diventa migliore. È proprio questo successivo passaggio, dall’attore passivo al concetto
di rito come medium per arrivare alla divinizzazione della vittima, che ci porta sul secondo piano, quello semiotico, secondo il quale il simbolo (espresso nel singolo evento ma
reso universale) ci rimanda al principio base della filosofia di De Sade, di Artaud e di Nietzsche: il percorso nell’orrido è salvifico. La crudeltà dell’atto è la Bice dell’uomo.
L’opera totale di Nitsch (Gesamtkunstwerk) si caratterizza per l’utilizzo di carcasse d’animali, sangue, persone che svolgono i ruoli di assistenti e attori passivi, di
musiche composte dallo stesso Nitsch e dall’espressione estetica dei corpi delle
vittime che rimanda all’immagine di Cristo o a quella della scultura greca.
Figura in alto: performance (Aktionen) di Hermann Nitsch, massimo esponente
della scuola di Azionismo viennese (Wiener Aktionismus)
Figura a lato: “Performance n.50”, di Hermann Nitsch, 1975
L’orrore
attraverso il quale
ogni soggetto
diventa migliore
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LA MAGIA DELLE SCIMMIE
Credo che il segreto sia
scorgere un equilibrio,
compensare,
o come direbbe
Steven Hawking
“guardare le stelle
invece dei nostri piedi
Chiunque nella propria vita aspira alla felicità. Credo però, che in certi casi, sia più importante
la domanda che la risposta. Il percorso, più che il raggiungimento finale della meta. Ci convinciamo che il nostro ostacolo più grande sia il tempo, il migliore degli illusionisti, di cui nessuno
è ancora riuscito a svelarne il trucco. L’invenzione che più ci ha fatto credere di essere padroni della nostra vita, ma che inevitabilmente, alla fine, ce la toglie. Un grande prestigiatore che
ci incanta con la sua più riuscita illusione: il mondo.
L’indifferenza dei giovani verso lo scorrere inesorabile delle lancette dell’orologio si trasforma
in una velata malinconia che cela la consapevolezza nell’età adulta per poi sfociare nella grigia rassegnazione degli anziani. Si nasce, si cresce e si muore. Forse non c’è nessun trucco di
magia, per chi sia disposto ad ammetterlo. Tirando le somme, siamo esseri umani, costretti in
un lasso di tempo limitato di massimo 120 anni, con un corpo ben preciso, in un dato luogo
che, se disponiamo di risorse insufficienti, potremmo anche cambiare. Solo questo? Che noia
convivere con questo corpo che non mi sono scelto, in questa parte di mondo che il caso mi
ha affidato,con così poco tempo. Un’ingiustizia, non la voglio questa vita, che me ne faccio se
credo in un sogno che già so essere irrealizzabile, proietto la mia mente in un futuro che non
arriverà mai per poter passare la giornata e rimando sempre a domani, sarò felice domani. Mi
chiudo così nella mia solitudine perché,quando mi guardo allo specchio vedo un corpo che
non mi rappresenta, e perché a scuola, a casa, con gli amici, non mi sento mai capito sul serio poiché sono pochi quelli che ti parlano guardandoti negli occhi. Ora immaginiamo che ogni
essere umano occupi un gradino di una lunghissima scala, sette miliardi di gradini circa, che
salgono verso l’alto. Una scala sociale? Non necessariamente. Considerando una persona
presa a caso, questa si concentrerà sempre su chi si trova più in alto di lei, impiegando così
tutte le sue forze per raggiungerla. Ma quella persona più in alto, così fortunata ci verrebbe da
pensare, non lo può sapere perché non si guarda mai indietro e non sa quanta gente in realtà
si trova più in basso di lei. Cambia tutto ora, perché la nostra vita non è più un’utopia di un
sogno americano, ma diviene un valore unico, un miracolo. Nell’immensità dell’universo la
probabilità di nascere proprio su questa terra qui, esattamente in questo periodo limitato di
tempo, con in corpo questo DNA che ci rende parte della razza umana, sembra incredibile, ma
è quasi nulla. E’ pari a mettere una penna in mano ad una scimmia ed aspettare che scriva “I
Promessi Sposi” in italiano. Li potrebbe scrivere in inglese, chissà, oppure al contrario. Direi
che abbiamo avuto davvero molta fortuna noi, con quella scimmia. E non vi è proprio nessuna
ingiustizia, solo un folle rifiuterebbe un’opportunità simile, oppure uno sciocco. Il corpo, così
basso o troppo alto, grasso o magro, scuro o chiaro, malato… io non sono così, eppure questo
è quello che mi è stato dato per esprimermi , per tirare fuori l’altra parte di me, per comunicare, per fare, per vivere. C’è qualcosa là sotto , che un semplice specchio non è in grado di
riflettere, qualcosa di molto complesso e fragile, che trascende tutte queste paure e questi
nostri limiti, che ci definisce ma allo stesso tempo ci libera. Del sinolo anima corpo, inscindibile, parla anche Sallustio ed è l’argomento centrale di molte filosofie. E’ la pena che ci affligge
se siamo debilitati, malati, incapaci… una prigione di carne per chi è affetto da sindromi neurodegenerative, come Ezio Bosso, dalla malattia dei motoneuroni nel caso di Stephen Hawking o qualsiasi altra persona tetraplegica che lotta con armi invisibili ogni giorno, che sa di
essere viva anche oggi, che non ha paura né di cadere né di rialzarsi perché ha capito ciò che
conta davvero nella vita. Sanno di essere un miracolo, ognuno di loro, e in fondo lo sappiamo
anche noi,con la differenza che non abbiamo accanto la morte tutti i giorni a ricordarcelo.
L’arte, la musica, la scienza, sono le loro strade per la felicità,i loro ponti verso il mondo, a
dimostrazione che si può rispondere a quella domanda anche in altri modi, e che non è
necessario essere belli, ricchi e giovani per essere felici. Credo che il segreto sia scorgere
un equilibrio, compensare, o come direbbe Stephen Hawking “ guardare le stelle invece dei
nostri piedi.” Ascoltare della bella musica, per ritrovarsi e ricordarsi che ciò che siamo è
molto di più e che niente e nessuno, nemmeno il nostro corpo, nemmeno il tempo, ci possono impedire di realizzare la nostra vita, i nostri sogni, la nostra felicità. Dunque si nasce,
si ama con tutte le proprie forze, si muore e poi chissà..
Questa si, è davvero una bella magia.
Valentina Gai 4^C
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TRAGICOMICO LATINO
La mattina entri in classe,tranquillo. Ti siedi al tuo posto,ignaro della disgrazia
che ti sta per capitare.
Mancano ancora molte persone,non capiterà mai a te. Poi ti ha
sentito l’altro giorno! Puoi stare tranquillo.
La professoressa entra in classe,si percepisce quella nebbia di paura e anche tu inizi a preoccuparti,anche se inizialmente ti reputavi
al sicuro.
Tutti osservano lentamente i suoi movimenti,silenziosi. Prima estrae i libri,le
penne,l’astuccio e poi… la disgrazia accade. Anche il registro,un’agenda blu che
salta subito all’occhio di uno studente…
Ti senti sempre più turbato,influenzato dal mormorìo degli altri.
La professoressa apre l’agenda e con una voce squillante pronuncia in modo
scandito il tuo nome.
Una morsa gelata ti stringe il petto.
I tuoi compagni
ti guardano
“Perché proprio me? Ne mancano così tanti! Non può essere,si sarà sbagliata!”
come se stessi
Dopo che tutti questi pensieri ti sono passati per la testa ti alzi lentamente dal
banco,cercando di avere un’aria più tranquilla possibile,e ti avvicini alla cattedra,sorridendo fintamente.
per andare al patibolo,
I tuoi compagni ti guardano come se stessi per andare al patibolo, però facendoti coraggio con gesti o parole.
(Piccola parentesi:non importa se tu sia preparato o meno,ti sentirai sempre
come mandato in pasto ad un enorme Allosauro,e se da bambino ti piacevano i
dinosauri sai bene quanto è cattivo e vorace un Allosauro!)
Dopo un tormento infinito riesci ad arrivare alla fine. Manca una domanda ed
avrai la sufficienza. Non può essere così difficile!
“Puoi dirmi il futuro semplice del verbo SUM?”
“Certamente! Ero eris erit,erimus eritis erint!”
Fiamme e dolore ti inghiottono; gli occhi della professoressa si fanno rossi. Un 4
viene scritto, fra le tue lacrime, sul registro blu.
Purtroppo quell’erint sarà l’ultima cosa che tu,sciagurato studente,riuscirai a
pronunciare.
Niccolò Simonelli 2C Scientifico
però facendoti coraggio
con gesti o parole
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Disegno realizzato da Tommaso Verdini 4C Scientifico
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