L`art. 583 cp e l`individuazione delle difese culturali
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L`art. 583 cp e l`individuazione delle difese culturali
L’art. 583 c.p. e l’individuazione delle difese culturali Mauro Bardi Docente: prof. avv. Guglielmo Gulotta Tutor: dott.ssa Patrizia Baietto Anno 2007-2008 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com In uno scenario mondiale caratterizzato dai conflitti di civiltà e dagli incontri di identità si colloca la Legge n. 7 del 6 gennaio 2006 che, in particolare, introduce nel nostro sistema l’art. 583 bis c.p.: fattispecie dedicata al riconoscimento ed alla punizione della Mutilazioni Genitali Femminili (MGF). Le MGF si ricollegano a particolari retaggi legati a culture ancestrali e si collocano nell’ambito dei c.d. riti di passaggio, volti a scandire le fasi della vita sociale all’interno dei gruppi umani ancorati a tradizioni, usi e pratiche che vengono considerati vincolanti. Queste pratiche hanno suscitato l’attenzione del legislatore italiano anche a seguito dei fenomeni migratori dall’Africa. L’art. 583 bis c.p. configura indubbiamente la prima fattispecie di cultural crime nel panorama del diritto italiano; per cultural crime si intende quel reato determinato da motivazioni legate al patrimonio etnico di una popolazione. I reati culturali attivano il circuito delle difese culturali fondate sulla necessità di individuare, all’interno del sistema penale, cause di esclusione dell’antigiuridicità o della colpevolezza, o cause di attenuazione della pena fondate sui particolari motivi che avevano indotto al reato. L’esperienza italiana, anteriormente alla prassi delle MGF, ha conosciuto casi di opposizione culturale riconducibili prevalentemente all’obiezione di coscienza od all’esercizio della libertà religiosa. L’art. 583 bis c.p. può essere esaminato sotto il profilo della condotta incriminata e della sua efficacia spaziale. Ma anche sotto l’aspetto della possibilità del riconoscimento delle scriminanti dell’art. 50 e dell’art. 51 c.p. e nell’angolo visuale delle cause che escludono od attenuano la colpevolezza; in particolare: errore di fatto, errore di diritto, non esigibilità del comportamento ed infermità mentale. In tutti i casi non è agevole ravvisare la praticabilità di difese culturali escludenti la responsabilità penale. Semmai, confidando nella saggezza del giudicante, come avvenuto in casi precedenti, è possibile configurare l’opportunità di un trattamento sanzionatorio il più possibile mite. Il dibattito resta ancora aperto, specie circa l’opportunità di riservare solo alla risposta penale i problemi di interferenza delle convinzioni e degli agìti culturali difformi da quelli ordinari. *** 1) Un panorama generale; 2) Le mutilazioni genitali femminili: un inquadramento fattuale e giuridico; 3) I problemi relativi a fattispecie analoghe ai reati culturali: i precedenti; 4) L’art. 583 bis c.p. – inquadramento generale ed i precedenti di MGF nella prassi; 5) L’art. 583 bis come reato con aspetti transnazionali; 6) La descrizione della condotta incriminata; 7) La fattispecie prevista dall’art. 583 bis c.p. e la possibilità di individuare difese culturali fondate sulla operatività di cause di giustificazione A) Il consenso dell’avente diritto – B) L’esercizio di un diritto; 8) La valutazione della cultural defense sotto il profilo più strettamente soggettivo; A) Scusabilità per errore di fatto od ignoranza della norma penale – 2 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com B) La non esigibilità come difesa culturale – C) Il tentativo di inquadramento nell’ambito del vizio di mente; 9) Conclusioni. *** 1) UN PANORAMA GENERALE Richiamando il pensiero di Angelo Falzea e rimanendo aderenti ad una sua particolare lezione, possiamo affermare che da circa una ventina d’anni, sul crinale del secolo breve – forse anche in seguito al venire meno di consolidati e sotto certi aspetti rassicuranti assetti geo-economici – il tema principale del diritto obiettivo è non più e non solo la classica libertà, la classica pretesa sui beni ed il conseguimento del benessere, ma sono anche i bisogni dello spirito, non sottoposti alle regole fissate per i fatti ed i bisogni della vita materiale. Beninteso: bisogni dello spirito in senso lato, nella prospettiva non solo di pure istanze spirituali (per loro indifferenti al fenomeno giuridico se non nella latitudine del diritto confessionale), ma anche di irruzione e di domanda di riconoscimento di beni e di significanti non puramente materiali; che si fanno derivare non tanto dall’uomo inteso come produttore, proprietario e consumatore, quanto dall’uomo considerato sotto l’aspetto di portatore di identità e di senso che vanno sempre più precisandosi e definendosi attraverso l’aspetto morale, culturale, etnico ed anche religioso. Una prima e decisa rappresentazione storica di quanto si va sostenendo è sicuramente stata fornita dalla rivoluzione khomeinista del 1979 in Iran, che ha sostanziato non solo la precipitazione del sacro, dell’immateriale, nello spazio pubblico, ma anche la rivendicazione e la riappropriazione di luoghi e di tempi da parte di una speciale «identità sciita» rispetto alla generalità dell’Islam. Mutuando da Hans Kelsen potremmo divagare a chiederci se il nostro compito di giuristi dell’oggi consista nell’indagare se le norme corrispondano ai fatti – anche ai fatti, agli oggetti, di origine nuova ai quali ci riferivamo prima – o se, per converso, debbano i fatti corrispondere ad esse; cioè se le strutture normative siano tese alla creazione dei medesimi fenomeni ed alla loro successiva convalida attraverso la applicazione delle stesse. In altre parole: se determinati fatti materiali, certi accadimenti nuovi, possano assumere una particolare direzione, una connotazione solo per il fatto di essere previsti da una norma giuridica che li riconosce. Un po’ come se il ragionamento giuridico complessivo non si fondasse sui dati sensibili, ma fosse volto alla costruzione di modelli da attuare a ciò che accade empiricamente per trarre conferme o smentite successive (1). Può apparire come un paradosso, però l’innovazione costituita dalla Legge n. 7 del 6 gennaio 2006 (2), rappresenta un interessante banco di prova per testare se, ancora una volta, il legislatore abbia inteso prendere atto di una prassi incipiente anche in Italia e quindi riconoscerla, accoglierla nell’ordinamento riconnettendo ad essa determinate conseguenze formali. O se – al 3 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com contrario – sia stata la stessa L. n. 7/2006 in qualche modo a creare un nuovo fenomeno, con la conseguente necessità di indagare in che modo lo stesso si inquadri nel complessivo ordinamento e se e quando, il medesimo, possa attivare meccanismi o reazioni legali (o rimozioni) tali da ridefinirlo, accoglierlo, espellerlo. L’impianto riferito alla Legge n. 7/2006 si inquadra in modo sospetto nell’ambito di una visione generale del mondo che ha conosciuto il superamento delle tradizionali contrapposizioni, ma non ha ancora raggiunto quella «Fine della storia», embrionalmente adombrata da Alexandre Kojève nel noto Seminario a l’Ecole Pratique des Hautes Etudes: «succedono sempre nuovi avvenimenti, ma dopo Hegel e Napoleone non si è detto, non si può dire nulla di nuovo» e declinata sociologicamente e politicamente da Francis Fukuyama (3). Quest’ultimo, pure ammettendo la possibilità di parziali regressioni, ha sostenuto infatti che proprio al di là delle storie particolari e dei cicli locali, esiste indubbiamente un livello di azione e di progresso più alto, un senso unico della Storia teso ad un traguardo di razionalità e di omogeneità tra gli uomini. Proprio a parziale smentita dello storico nippo-americano, al giorno d’oggi, la vecchia domanda formulata nei termini di «Da che parte stai?», che sottintendeva tra le righe anche il tertium datum della possibilità di non allineamento, è però sostituita dalla più decisa e forte «Chi sei?»: la cui risposta non può non transitare attraverso la riscoperta di quel deposito di risorse obliate dalle ideologie e costituite appunto (qui il rimando a quanto sostenuto in precedenza è evidente) dai fattori identitari, etnici, culturali e religiosi, in definitiva fattori di differenziazione sempre più marcati all’interno del consorzio umano. Senza dovere cedere alle sue suggestioni, non possiamo comunque trascurare la lettura del mondo attuale fornitaci da Samuel Huntington (4) ed in parte fondata sulla famosa Revanche de Dieu che conduce con sé la revanche identitaria, di gruppo, di tradizione. Potrebbe affermarsi che più il mondo si globalizza, commercializza, consumizza, più le libertà e le democrazie sono portate ed es-portate, più riaffiorano i fiumi carsici dei patrimoni non materiali dei gruppi umani con l’ambizione di autoaffermarsi (5) o con la richiesta di essere riconosciuti. La storia segue percorsi dei quali ancora non siamo riusciti ad intuire il preciso orientamento. 2) LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UN INQUADRAMENTO FATTUALE E GIURIDICO L’art. 583 bis c.p. (6), introdotto dalla Legge n. 7/2006, è segnatamente rivolto alla presa d’atto ed alla repressione penale di quelle che vengono con termine medico (e non solo, anche in termini etnografici ed antropologici) definite Mutilazioni Genitali Femminili (MGF): pratiche rituali cruente di origine extraeuropea – specie centroafricana, che hanno trovato una loro formalizzazione - classificazione formulata dal WHO (7). 4 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Sotto l’aspetto etnografico ed antropologico il fenomeno delle MGF si rivela estremamente complesso. Da un lato è avventuroso affermare che tale pratica, seppur appartenente in prevalenza ad un territorio tradizionalmente individuabile da un punto di vista culturale e cultuale, sia prescritta e si ricolleghi a qualche precetto promanante da una autorità religiosa. Dall’altro, l’affermazione precedente, è valida ad escludere in modo piuttosto deciso quella ricollegabilità tra MGF e regole religiose islamiche che sorgeva in seguito ad una superficiale osservazione, sulla base della quale la maggior parte – se non la totalità – delle donne mutilate genitalmente presenti nel mondo occidentale, provenisse da paesi di matrice musulmana (8). In qualche modo il fenomeno è quindi interessante poiché sfugge ad un facile inquadramento nella categoria del «conflitto di civiltà», che vede lo scontro tra gruppi umani connotati religiosamente in modo piuttosto netto, per trovare una più adeguata collocazione all’interno di un disposto strettamente antropologico ed etnografico. Un tale orientamento, oltretutto, potrà rivelare la sua indubbia utilità anche nel momento in cui si tratterà di individuare l’ambito più strettamente giuridico della fattispecie. La pratica delle MGF, infatti, può essere ricompressa nello scenario più vasto del «rito di passaggio» attraverso il quale l’individuo definisce la propria identità ed il proprio ruolo sociale (di genere nel nostro caso) rispetto al gruppo d’origine (9). E’ importante per incidens considerare lo schema astratto della iniziazione e vale la pena di profilarlo al fine di una migliore comprensione della norma in rassegna. Il passaggio delle fasi biologico-sociali dell’individuo scatena generalmente una crisi personale e collettiva che va controllata ritualmente (10) in modo adeguato; le fasi della vita vissute come particolarmente minacciose ed inquietanti conoscono una scomposizione in: disagio; separazione dallo stato precedente; transizione; ingresso nel nuovo stato (11). In particolare riferimento alle MGF è stato possibile rilevare, oltre alla generale radice del rito di passaggio, una articolazione più precisa di motivazioni e spinte: psicosessuali (intese, in qualche modo, nell’ambito dell’approntamento di strumenti di controllo della sessualità femminile da parte della istituzione maschile) (12); religiose (che si fanno risalire in termini perlomeno dubbi al milieu cultuale islamico); magico-rituali (13); sociali (che riguardano appunto il cambio di fase e di rilievo sociale dell’individuo); ed in generale estetico-igieniche (14): si tratta per tutte, di motivazioni che conducono a pratiche caratterizzate da un alto grado di doverosità morale e sociale, specie per il soggetto attivo. L’idea del rituale è estremamente complessa e ricca di motivi anche multidiciplinari; ad essa si annoda il concetto di cambiamento, di passaggio e di mantenimento della coesione di gruppo in presenza di una mutazione. L’approccio antropologico ed etnografico si rivolge quindi ai rituali sotto l’aspetto della loro funzione di momento, di ponte di transizione; invece, un modo di affrontarli orientato secondo le scienze psicologiche si rivolge a loro sotto l’aspetto di sintomo, prevalentemente in relazione ad un disagio ed alla coazione a ripetere (15). 5 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Tornando all’art. 583 bis c.p. possiamo accogliere l’interpretazione generale che lo qualifica come reato culturalmente orientato o culturalmente motivato (16), e lo inserisce nel più generale ambito delle società definite in modo vago e talvolta con falsa coscienza, come multiculturali o multietniche (17); anche a seguito dei notevoli flussi migratori afro-asiatici nello spazio neutro costituito dal principio di laicità-neutralità dello Stato. Si tratta di un ambito spaziale posto sempre più a rischio da nuovi attori che non hanno più la connotazione di assetti economico-sociali figli del pensiero occidentale, ma che si pongono come portatori di modelli di rapporti e concezioni dell’uomo prima sconosciuti (18). Per reato culturale, o cultural crime, ci si intende generalmente riferire al reato compiuto sotto l’impulso di quei temi identitari o folclorici che riguardano un gruppo umano di minoranza stabilitosi di recente nello spazio di un nuovo ordinamento; il reato culturale porta necessariamente con sé l’attivazione delle difese culturali, ossia di tutte quelle strategie che utilizzano proprio i motivi che avevano indotto al reato, per ottenere una assoluzione od una netta attenuazione dell’entità della pena (19). I reati culturali e le difese culturali, perlomeno sulla base delle esperienze e degli studi statunitensi, coinvolgono sempre materie ed oggetti delicati e sensibili quali la vita e l’integrità fisica (20); l’educazione ed il trattamento dei minori (21); l’uso di stupefacenti (22); il matrimonio e l’uso della sessualità (23); la cura del corpo e la somministrazione di terapie. Senza dover entrare nel merito del complesso concetto di cultura, possiamo affermare che per «cultura» (in senso sociale) possa intendersi quella serie di rappresentazioni, convinzioni, riti, miti che si riferiscono a, e che sono espressi da, un ceto etnico determinato e lo definiscono e che concorrono a delineare e scandire la vita interna di un gruppo ed al mantenimento dei suoi legami sociali e psicologici (24); si tenga presente che la cultura non costituisce un blocco monolitico di credenze e di prassi, ma risulta, da un punto di vista diacronico, un dato adattivo. In questo modo incontriamo l’ulteriore conferma di quanto affermato sopra, ossia che il reato riferito alle MGF sia da definirsi positivamente culturale nel senso descritto; in particolare come comportamento penalmente rilevante per una disposizione dell’ordinamento, ma, nel contempo, come agìto umano, prima estraneo, e comunque dettato da un background sicuramente differente rispetto a quello dei reati commessi dai gruppi umani prevalenti e posto in essere in esecuzione, in adempimento, di un senso di doverosità nei confronti di obblighi posti dalla propria comunità di appartenenza. In termini negativi il reato culturale può essere non-definito, o non pienamente individuato, come quell’illecito penale motivato da: da convinzioni religiose convenzionali od accettate; ragioni dettate strettamente motivi di coscienza individuale; istanze promananti da consuetudini di sottogruppi già inseriti comunque in una cultura omogenea. 6 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 3) I PROBLEMI RELATIVI A FATTISPECIE ANALOGHE AI REATI CULTURALI: I PRECEDENTI Sebbene l’art. 583 bis c.p. delinei formalmente il primo cultural crime all’italiana, viene da domandarsi se la precedente esperienza normativa, amministrativa o giudiziaria del nostro ordinamento, si siano imbattute in fattispecie relative a casi che, anche in via obliqua ed indiretta, potessero configurare una sorta di illecito penale culturalmente orientato, o potessero inquadrarsi nell’ambito del confronto di posizioni culturali. Per quanto concerne la normativa positiva si sarebbe forse potuto rinvenire un riferimento negli abrogati artt. 551 (25), 578 (26), 592 (27) c.p. i quali, e senza per questo dover entrare nel merito delle astratte fattispecie e dei riflessi applicativi, fissavano un trattamento sanzionatorio più mite per alcuni reati contro la persona in quanto commessi nella necessità di: a) salvare l’onore proprio b); reagire (nello stato d’ira) per l’onore perduto. A ben esaminare, in verità, sembra affrettata ed imprecisa la decisione di annoverare le succitate disposizioni nell’ambito della categoria di cultural crimes ante litteram; le medesime infatti: a) non si ponevano come reazione penale verso un fenomeno ed una prassi nuova scaturente da un conflitto di «culture», ma solo come adattamento normativo rispetto ad un costume (quello della difesa dell’onore sessuale) già ben radicato, creando quasi un rapporto si simpatia coll’istinto arcaico di cancellare col sangue certi fatti (28); b) costituivano il riconoscimento di un trattamento penale benigno (29) in considerazione di fatti rilevanti, la cui causazione o motivazione poteva farsi risalire ad una pulsione non incoraggiata, ma in qualche modo, socialmente accettata (30) e quindi non del tutto estranea all’ambiente sociale generale. Neppure la prassi applicativa è stata in grado di enucleare dei veri e propri casi di cultural crimes anteriormente al fenomeno dell’irruzione in scena delle MGF. Non si è rivelata idonea ad integrare la fattispecie suindicata l’obiezione di coscienza (31) la quale, oltre a presupporre fondamentalmente un agìto negativo, si sostanzia in una scelta psicologica di dis-impegno, disadesione nei confronti di un obbligo giuridico, in una modalità oppositiva consapevole che si manifesta nell’ambito della coscienza individuale. Si rende infatti necessario considerare che sia la L. 15 dicembre 1972, n. 722 e seguenti in materia, sia la L. 22 maggio 1978, n. 194 si riferiscono al caso di convincimenti ed imperativi etico-spirituali certi e determinati, che spingono il soggetto a non adeguarsi consapevolmente ad un comando, di modo che, l’adesione coatta al medesimo provoca inevitabilmente una reazione interiore meno tollerabile rispetto alla attivazione della sanzione legale. In altre parole: l’obiezione di coscienza non consiste in una vaga e generica opposizione cultural-identitaria, ma si atteggia a dolorosa e cosciente scelta alternativa senza ritorno tra due comandi (32). In questo frangente, nell’obiezione di coscienza, non rilevano tanto i 7 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com condizionamenti comunitari – attivati invece nei cultural crimes e segnatamente nel caso delle MGF – quanto piuttosto viene in gioco il singolo (solitamente individuo sufficientemente evoluto, decondizionato e ben strutturato) nella propria piena opposizione morale e razionale (33). Non entrano quindi in scena quegli stati emotivi e di fascinazione, quasi di rapimento, che sembrano presiedere all’adempimento di compiti legati a comandi (in senso molto lato) prescritti dalla tradizione, dal culto o dal rito (34). La stessa esperienza giurisprudenziale in materia di atteggiamenti oppositivi e fondati culturalmente, ha registrato il caso clamoroso del rifiuto di emotrasfusione posto in essere dai genitori appartenenti ad una confessione religiosa di minoranza (tra i cui dettami vi era appunto il divieto delle trasfusioni di sangue) e risoltosi con la morte di una minore (35). Anche in questo frangente la fattispecie si poneva in una posizione «grigia» tale da non consentire di essere collocata pienamente (ed astrattamente s’intende) nell’ambito della obiezione di coscienza; forse per la mancanza di quel contrasto morale-razionale ed individuale che la caratterizza e per il fatto che la decisione di non sottoporre la minore al trattamento terapeutico, non è risultata solo frutto di un tormentato percorso interiore, bensì è derivata anche dalla pedissequa sequela nei confronti di una prescrizione religiosa. Del resto, come è stato giustamente evidenziato, il rifiuto dell’intervento trasfusionale a favore della minore non avrebbe neppure potuto trovare astratta collocazione nell’ambito della provincia iuris definita dall’art. 19 Cost. che, correttamente declinato, prevede prevalentemente un diritto all’orientamento del pensiero, della coscienza, dei convincimenti e non sempre l’esercizio concreto e materiale di un diritto, vale a dire un diritto all’agire, al porre sempre in pratica tutti i contenuti sottesi a tali convincimenti (36). Ciò in particolare quando il conflitto è attuato tra l’orientamento confessionale ed i fondamentali obblighi di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e gli obblighi di protezione che derivano da una applicazione del secondo comma dell’art. 40 c.p. Perlomeno questo è risultato il senso della sentenza relativa al caso della trasfusione, detto caso Oneda (37). Lo spiraglio attraverso il quale il quale l’agìto dei contenuti di fede potrebbe prevalere nei confronti dei concreti obblighi di legge, non è nel nostro caso relativo alla materia della vita e della integrità fisica altrui, ma è invece collocabile ove l’operato secondo il contenuto del precetto religioso, non travalichi, nell’ambito di un adeguato bilanciamento di interessi, quei limiti esterni che confinano con altri diritti fondamentali garantiti dalla Carta Costituzionale (38). In relazione alla vicenda cagliaritana sono stati osservati acutamente alcuni profili che trascendono il dato relativo al diritto di opposizione alla norma, variamente argomentato, e si è spostata l’attenzione da una prevalente qualificazione del fatto obiettivo nella sua antigiuridicità, verso la focalizzazione nei confronti delle figure degli imputati. In effetti, argomentando da un punto di vista marcatamente soggettivo, è stato evidenziato il punto debole del sistema penale che, mediante la comminatoria della sanzione, verrebbe a punire in modo 8 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com inadeguato colui che, conformandosi ad un precetto religioso particolarmente radicato e così forte da condurre a sacrificare la vita del figlio minore, si auto-pone pur sempre in una condizione tormentosa e forse paralizzante (39). Affrontando il problema in questi termini si può mettere in luce come, al di là delle rigidità del sistema penale e della sua necessaria inderogabilità generale, sia plausibile imbattersi in casi nei quali l’agente ha posto in essere la sua condotta (specie omissiva) in una situazione di sospensione, di sequestro della razionalità e della condivisione dei valori comuni, tale da elidere, financo ad oscurare, la facoltà di decisionale rispetto alle scelte fondamentali della vita (40). Oltretutto, già in tempi non sospetti e non «invasi» e caratterizzati dai problemi relativi all’incontro/scontro di culture, si era affrontato, proprio in tema di imputabilità, il frangente della eventuale incapacità a comprendere taluni principi e conformare i propri agìti ad essi; si era, con una certa lungimiranza, posto il sospetto che il soggetto sfornito degli strumenti cognitivi e culturali per la comprensione della illiceità di determinati comportamenti, potrebbe in qualche modo considerarsi tout court incapace al reato (41) ed alla conseguente punizione. 4) L’ART. 583 BIS C.P. – INQUADRAMENTO GENERALE ED I PRECEDENTI DI MGF NELLA PRASSI I motivi che hanno indotto il legislatore ad introdurre l’impianto della L. 7/2006 possono essere grosso modo ripartiti in due ordini: - motivi espliciti e manifesti che si fanno risalire alla necessità di ottemperare ad una serie di fonti extrastrastauali (42); - motivi impliciti e non confessati, da individuarsi forse nella volontà di sottrarre il fenomeno incipiente delle MGF alla disciplina ordinaria delle lesioni personali prevista dagli artt. 582 e 583 c.p.; e ciò per un particolare ordine di considerazioni. La dottrina e la giurisprudenza consolidate da un trentennio hanno fatto un accorto e mirato utilizzo di alcuni disposti per dichiarare determinate lesioni invalidanti, in particolare i casi di vasectomia volontaria a scopo voluttuario o ludico, come non caratterizzate dalla antigiuridicità. Nell’introdurre una fattispecie ad hoc, oltretutto contenuta in un impianto normativo più vasto, sembra si sia inteso sottrarre un fenomeno nuovo (ma astrattamente pur sempre realizzato mediante lesioni) – un fenomeno socialmente «altro» ed inconsueto – alla possibilità di essere metabolizzato dall’interpretazione e dalla prassi applicativa sviluppatasi in relazione all’art. 583 c.p., specie in riferimento al consenso dell’avente diritto. Non è quindi difficile, ragionando questa volta in termini più generali, ravvisare un intento, un disposto, per così dire ideologico, ossia la volontà di introdurre una norma in un certo senso prevalentemente «simbolica» o «manifesto» (43), avente funzione dichiarativa e di autoaffermazione controculturale di quei valori appartenenti al Paese che la esprime. Il concetto di «norma simbolica» nella sua analisi e nella sua portata, meriterebbe sicuramente una trattazione adeguata e complessa che, in questa sede, non possiamo svolgere. Possiamo soltanto considerare che - al di là dell’ossimoro 9 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com costituito dalla stessa espressione di «norma simbolo» (44) - il simbolo, attraverso il recepimento legale, cessa di essere elemento estraneo alla legge, la quale finisce inevitabilmente coll’assumere il ruolo di strumento di sovra-evocazione del fenomeno regolato, di direzione e, paradossalmente, di separazione e di lacerazione della trama sociale. Ciò in netto contrasto col ruolo della legge in una società liberale (45). Il rischio derivante da quanto considerato è quello, da un lato, di rendere inefficace la legge nella sua applicazione e, dall’altro, di condurre a favorire quel senso di maggior isolamento in capo alle minoranze che conoscono ed agiscono le MGF, con il conseguente incremento di pratiche in condizioni sempre più precarie e clandestine o magari compiute all’estero nei paesi d’origine (46). Del resto la pesante stigmatizzazione da parte di una esplicita norma ad hoc (che prevede sanzioni severe) e l’inevitabile percezione della stessa come cultural crime creato in opposizione ad una prassi di gruppo, potrebbe indurre per conseguenza – come d’altronde si è rilevato in altre esperienze straniere, specie statunitensi – ad uno sviluppo anche in Italia di una serie di difese culturali per esaminare ed affrontare le quali siamo oggi ancora scarsamente attrezzati. Il sospetto della possibilità di attivazione di disposti e di difese culturali sembra fondato nel momento in cui si considerano due isolati precedenti di MGF pervenuti all’attenzione della Autorità Giudiziaria italiana anteriormente al 2006 (47): si tratta di fattispecie caratterizzate da coordinate comuni: le coordinate di spazio: entrambi gli interventi costituenti reato erano stati fatti eseguire al di là dei confini dello Stato Italiano, con la conseguente variante della specificità del reato transnazionale; le coordinate soggettive: in ambedue i casi il reato si era concretato nell’ambito del rapporto genitori-figli minori. Sotto questo profilo si può comprendere come, passando dal caso singolo a concettualizzare in termini più generali, si corra il rischio di leggere il fenomeno delle MGF solo nell’ottica che vede il minore (recte la figlia femmina) come vittima «classica» e che, inevitabilmente, si possa spostare il focus dell’attenzione nei confronti di una rete familiare intesa come relazione sovraordinazione/subordinazione (48) pregiudizievole per il genere femminile e di giovane età, con l’inevitabile attivazione dei disposti, ad esempio, dell’art. 330 c.c. e seguenti. Del resto fu proprio il caso all’esame della Procura della Repubblica di Torino ad essere considerato in modo culturalmente orientato dal locale Tribunale per i Minorenni che, dopo un immediato decreto di ablazione della minore sottoposta ad escissione (49), il mese successivo disponeva la revoca dell’allontanamento ed il riaffidamento della bambina ai genitori (50) sulla base di un duplice ordine di considerazioni (strettamente collegabili tra loro): che l’intervento fosse stato fatto eseguire presso una regolare clinica nigeriana (quindi con esclusione di possibili 10 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com conseguenze pregiudizievoli per la salute); e la constatazione che, sulla base della tradizione tribale di appartenenza dei genitori, la ragazza non sottoposta alla pratica eseguita rischia una sanzione sociale di esclusione dalla comunità e va incontro a notevoli difficoltà nel maritarsi (51). Tutti gli argomenti portati dal secondo decreto del Tribunale per i Minorenni, ancor più delle posizioni assunte dalla Magistratura penale, hanno mostrato di saper riservare ai genitori, certo non un giudizio di astratto apprezzamento per l’atto, quanto piuttosto una valutazione di non piena ed esplicita riprovazione verso una prassi che, tra le righe, viene presentata come depotenziata nella sua gravità sociale e dal punto di vista della capacità criminale degli stessi adulti. La terza coordinata che si rileva è quella, in sintesi, della attivazione, a livello perlomeno embrionale, di una sorta di circuito virtuoso tra reato culturale, difesa culturale ed approccio culturale al medesimo, intendendo i tre passaggi, i tre momenti, non nella loro compiutezza e consapevolezza anche applicativa, bensì come tentativo di accostarsi ad un problema nuovo con tutte le possibili cautele e distinzioni. Gli aspetti che principalmente sono venuti in evidenza sono stati quelli della valutazione adeguata dell’aspetto penale, in particolare persino facendo affacciare sulla scena una possibile rilevanza della applicazione dell’art. 5 c.p. come riletto dalla Corte Costituzionale (52). 5) L’ART. 583 BIS COME REATO CON ASPETTI TRANSNAZIONALI La prassi delle MGF trova, come noto, origine nell’ambito del complesso intreccio di motivazioni culturali e cultuali riferite a contesti antropologici extraeuropei. Anche i due precedenti citati e passati al vaglio delle Autorità Giudiziarie penali e minorili, si riferivano ad interventi di mutilazioni genitali eseguiti fuori dal territorio italiano. Tale considerazione ha forse indotto il legislatore della L. 7/2006 ad introdurre una particolare deroga temperata all’art. 7 c.p. e degli artt. 9 e 10 c.p. In particolare, il terzo comma dell’art. 583 bis c.p. stabilisce un doppio binario di transnazionalità punitiva che attiva la sanzione per i fatti commessi all’estero da parte: ATTIVA – quando l’agente sia italiano o straniero con residenza in Italia; PASSIVA – quando la vittima sia italiana o straniera con residenza in Italia. L’efficacia spaziale della norma penale presenta quindi uno spettro di apprezzabile ampiezza che, peraltro, potrebbe suscitare problemi od insorgenze di concreti conflitti di norme ed ordinamenti penali: si pensi ad esempio al caso dell’intervento di MGF eseguito in un territorio nel quale la pratica è considerata lecita o punita con sanzioni amministrative (53). L’intervento del legislatore si è quindi rivelato zelante, sebbene la prassi applicativa insegni che, talvolta, la buona volontà si viene inevitabilmente a scontrare con le difficoltà che la realtà comporta. I problemi che possono ostacolare l’attività di repressione delle MGF su scala, possiamo dire «globale» da parte della magistratura di un singolo Stato, si appalesano molteplici: vi sono 11 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com ostacoli connessi al reperimento ed alla assicurazione delle prove, specie in considerazione che non sempre tali interventi vengono eseguiti presso ospedali o cliniche che possono vantare una certa visibilità e vengono, proprio a causa della loro derivazione tradizionale o culturale, attuate spesso presso ambiti tribali, in modo clandestino, con strumentazioni approssimative. Ostacoli oltretutto che potrebbero provenire dalla scarsa o riottosa collaborazione (54) delle Autorità del luogo nel quale il fatto è stato commesso. Invece, a sostegno della scelta della punibilità su scala transnazionale, perlomeno allo scopo di rendere maggiormente attuabile la efficacia della punizione, potrebbe ravvisarsi il criterio di collegamento inserito nella norma medesima ed espresso dalla indicazione della residenza italiana della vittima o dell’agente; questa renderebbe forse più agevole la ricostruzione dei fatti accaduti e, limitatamente, la raccolta delle prove. Una indicazione che, per attuare un parallelo con un disposto normativo analogo, non è prevista, ad esempio, nella fattispecie dell’art. 604 c.p. in tema di punizione dello sfruttamento sessuale di minori all’estero e che rende la sua applicazione talvolta difficoltosa. Ma al di là di una minuziosa esegesi del terzo comma dell’art. 583 bis c.p. è necessario indagare circa il senso generale della scelta connessa ad alcuni casi di punibilità anche all’estero delle MGF (55). Nell’ambito di una valutazione più ampia viene infatti in evidenza un principio di difesa (56), in base al quale la legge penale dello Stato protegge gli interessi ed i beni che in qualche modo gli appartengono; ed un correlativo principio di personalità attiva (57), in base al quale il reo viene sanzionato dalla legge penale dello Stato di appartenenza. Ed all’interno della scelta dei due principi si rinviene l’opzione normativa impostata sulla punizione nei confronti del reo, che deve intrattenere una relazione di stabilità con lo Stato rappresentata dalla residenza e in rapporto alla vittima, anch’essa legata allo Stato dal medesimo criterio. Il significato più profondo di un tale regime, e della scelta del criterio della residenza, potrebbe farsi risalire a due motivi, uno dei quali lumeggiato in precedenza, è rappresentato dalla volontà emergente di introdurre una «norma simbolica», «manifesto», a forte impatto di significati e di mòniti, specie nei confronti degli stranieri che si apprestano a stabilirsi in Italia mantenendo un contatto con la terra di provenienza. L’altro, forse più opportunistico, dettato dalla necessità di tentare di evitare al Servizio Sanitario pubblico il carico delle talvolta gravi complicanze derivate da MGF eseguite in modo clandestino e precario nel paese d’origine, su donne che successivamente fanno ritorno in Italia. Raccolte queste considerazioni possiamo trarre alcune osservazioni, certamente non conclusive. Accanto al caso di determinati reati patrimoniali, la transnazionalità del diritto penale ha occasione di venire ad efficacia e rilievo in quelle materie che, a vario titolo, riguardano il regime del corpo umano e le sue concezioni (in particolare il trattamento, la cura, anche la non cura). In tutti i casi che interessano la «fisicità» quali: aborto (58), trapianti, genetica, sessualità, risulta forse 12 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com un po’ miope non essere in grado di individuare una matrice comune costituita dal rilievo che il diritto occidentale in genere – in nome, esteriormente o magari anche in buona fede, dei diritti umani – intenda espandere ed imporre anche al di là dei propri confini le proprie rappresentazioni relative alla salute ed al benessere fisico, e ciò partendo dal presupposto che le medesime debbano considerarsi bene o male universali. 6) LA DESCRIZIONE DELLA CONDOTTA INCRIMINATA Un approccio integrato che consideri il sapere medico unitamente ad una costante lettura del dato normativo, consente di pervenire ad una prima valutazione della descrizione della condotta incriminata dall’art. 583 bis c.p. La medesima contempla due distinte fattispecie costituenti reato: il primo comma si occupa di vere e proprie menomazioni che possono integrare la mutilazione d’organo, caratterizzate dalla permanenza (59) e che si concentrano nelle due distinte manovre della escissione della infibulazione e della clitoridectomia, con una la pena della reclusione da quattro a dodici anni. L’espressione utilizzata dal legislatore di «organi genitali femminili» è oltretutto impropria poiché si riferisce genericamente a tutto l’apparato riproduttivo (anche utero, tube, ovaio), quando invece le MGF interessano quasi esclusivamente la zona vulvare (59 bis). La seconda ipotesi delinea una condotta di non agevole individuazione che si deve realizzare nella produzione, allo scopo di «menomare la funzione sessuale», di lesioni ai genitali (60) che diano luogo ad una malattia del corpo o della mente, con una pena ordinaria della reclusione da tre a sette anni. Ciò che interessa ai nostri fini non è tanto una descrizione precisa delle condotte descritte, in questa sede è prioritaria l’individuazione di eventuali indici o segni che possano far emergere la specificità della norma – intesa anche come cultural crime rispetto alla disciplina ordinaria degli artt. 582, 583 c.p. Una verifica condotta sul campo comparativo ci consente di stabilire che, se la sanzione più importante per le lesioni personali aggravate oscilla da un minimo di sei anni ad un massimo di dodici; quella per la prima ipotesi di MGF può essere quindi quoad poenam e quoad gravitatem venire equiparata ai casi previsti dai nn. 1), 2), 3), 4) del secondo comma dell’art. 583 c.p. (61) Altrettanto chiaro risulta l’aggancio sanzionatorio previsto dall’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 583 bis c.p. che equipara le MGF meno gravi alle lesioni ordinarie gravi. Vi è un ulteriore aspetto da considerare: se è vero che le pratiche di mutilazione genitale, secondo arcaiche concezioni, costituiscono il momento di passaggio verso l’età adulta e quindi si pongono pur sempre come prodromiche all’esercizio della sessualità, non si comprende l’inserimento della locuzione normativa del «fine di menomare le funzioni sessuali» che sembra peccare di genericità e di assenza di precisi riferimenti culturali (62) e che può incontrare rilevanti difficoltà sul piano probatorio (63), proprio perché il dolo dell’agente non è quasi mai volto a menomare in senso stretto (64). Quindi non può dirsi che i rituali di MGF siano generalmente compiuti allo scopo 13 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com specifico di «menomare le funzioni sessuali», quanto, piuttosto, sono posti allo scopo di far conoscere e riconoscere una differenza di genere della condizione femminile, conosciuta e riconosciuta da colei che ne è investita e dagli altri. Queste operazioni sui corpi hanno un significato sociale e di carattere simbolico. La previsione, pertanto, di un dolo specifico di menomazione delle funzioni sessuali sembra il portato di un inadeguato approccio culturale al fenomeno regolato. Il sospetto è quello che la norma possa proprio incontrare difficoltà applicative proprio a causa di tale connotazione soggettiva in capo all’agente (65). Oltretutto non si può far a meno di rilevare come il secondo comma della disposizione in esame preveda una sanzione che, pur nell’ipotesi più attenuata (diminuzione fino a due terzi in caso di lesione di lieve entità), si rivela chiaramente sproporzionata rispetto a quella prevista per le lesioni più lievi dell’art. 582 c.p. che prevede una pena da tre mesi a tre anni. Tale sperequazione sanzionatoria renderebbe praticamente inattuabile, sotto il profilo strettamente penalistico, anche quella soluzione di ripiego proposta nel 2004 da un medico somalo, esercente in Italia, e consistente in una puntura di spillo praticata nell’area genitale (66) volta ad una surrogazione simbolica delle pratiche di MGF attuate altrimenti in modo cruento e clandestino. L’utilità di un trattamento sanzionatorio molto severo, specie in riferimento ai casi di lesioni più lievi, può essere sicuramente posta in dubbio e rivelarsi come l’indice di una delle intenzioni del legislatore del 2006 il quale, oltre ad introdurre una norma penale ha palesato, anche sotto questo aspetto, la volontà di configurare un vero cultural crime, una norma di opposizione nei confronti di una prassi che proviene da ambienti estranei e ritenuti connotati da caratteristiche considerate primitive e disumane. E tutto questo senza tenere in conto anche che, come esposto in precedenza, la risposta penale forte è in genere inadeguata a reagire nei confronti di reati compiuti senza una vera e propria volontà malvagia, ma sulla base, ad esempio, di condizionamenti culturali e di convinzioni radicate. E’ infatti intuitivo pensare che le pratiche di MGF non siano accompagnate e connotate da quella prava voluntas che si ha modo di riscontrare nella sfera soggettiva di colui che, ad esempio, pone in essere le lesioni volontarie comuni; in altre parole l’agente, nel nostro caso, commette l’illecito che è pensato come doveroso nella propria comunità di appartenenza (66 bis). Possiamo anticipare sin d’ora che una astratta operazione di dosimetria della pena sulla base dei parametri individuati dall’art. 133 c.p. potrà condurre a risultati ambivalenti e non univoci, cioè a dire: che si dovrà tenere in conto il n. 2) del primo comma della norma in esame (67), ma, altrettanto, il giudicante sarà tenuto a confrontarsi con i nn. 1) e 4) del secondo comma che potrebbero far pendere il piatto della bilancia verso una valutazione e quantificazione della sanzione decisamente meno severa (68). In entrambe le ipotesi di condotte incriminate, cioè sia nel caso di mutilazione che in quello di lesione, la norma in esame stabilisce, per il suo realizzarsi, il requisito della «assenza di esigenze 14 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com terapeutiche». Prima di chiedersi il significato preciso dell’espressione in parola è opportuno, sempre ai fini di una considerazione più ampia della norma, domandarsi quale sia la natura giuridica, nell’ambito della complessiva fattispecie formale, del requisito negativo («in assenza…») previsto dal dettato legislativo. La dottrina sembra essere d’accordo nel qualificarlo come elemento costitutivo della fattispecie (69) con la conseguenza ovvia che la carenza (cioè l’assenza delle esigenze terapeutiche), dovrà essere dedotta dall’organo dell’accusa nel delineare il fatto-reato (70). Anche questa formulazione, questo posizionamento del requisito negativo all’interno del corpo normativo, sembra poter corrispondere ad un particolare intento del legislatore, che vuole la fattispecie integrata tutte le volte in cui l’intervento sui genitali non sia stato effettuato per le esigenze riconosciute ed accettate dal sapere medico occidentale (71); che, peraltro, proprio in materia di necessità terapeutiche ginecologiche, ha conosciuto anche singolari oscillazioni (72) e, per la verità, persino notevoli stravaganze anche in altri ambiti di specializzazione (73). Possiamo aggiungere, ragionando a contrario, che qualora il requisito della assenza di esigenze terapeutiche fosse stato posizionato esternamente rispetto al corpo della norma, probabilmente lo si sarebbe potuto interpretare come espressione avente altra natura giuridica. Forse di causa di giustificazione, che avrebbe per conseguenza offerto all’indagato-imputato la possibilità di svolgere, sin da subito e con un impatto diverso, le proprie difese su base culturale e più in generale esponendo le proprie soggettive motivazioni. Può sembrare forse irrilevante sotto il profilo della sostanza giuridica, ma non lo è da un punto di vista del generale atteggiamento e delle possibilità degli assetti difensivi. Un conto, infatti, è l’essere accusati di lesioni personali sic et simpliciter e contrapporre subito una qualche causa di giustificazione, ben diversa pare essere, invece, una accusa fondata sull’aver cagionato lesioni ontologicamente caratterizzate dall’assenza di «esigenze terapeutiche». 7) LA FATTISPECIE PREVISTA DALL’ART. 583 BIS C.P. E LA POSSIBILITÀ DI INDIVIDUARE DIFESE CULTURALI FONDATE SULLA OPERATIVITÀ DI CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE A) IL CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO Allo scopo di focalizzare in modo più adeguato l’art. 583 bis c.p. nella prospettiva di cultural crime è ora necessario abbandonare una prospettiva oggettiva di approccio, legata perlopiù alla descrizione della condotta incriminata, per assumere un punto di vista soggettivo: in particolare avendo riguardo alla posizione dei protagonisti del fatto-reato. Questa operazione potrebbe proprio prendere le sue mosse da una rinnovata valutazione del contenuto della nota espressione normativa di «in assenza di esigenze terapeutiche»; specie tenendo presente la relativa variabilità storico scientifica della nozione. Si deve infatti tenere in conto che, anche il sapere medico occidentale, può ammettere oggi una lecita praticabilità di operazioni di mutilazione genitale (74) in presenza di esigenze terapeutiche. Nel contempo, si debbono considerare i problemi che possono insorgere in 15 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com relazione ad un aspetto soggettivo che la novella sembra avere obliato: quello del consenso della persona sottoposta ad MGF. Sgombrando subito il campo da possibili equivoci possiamo premettere che il problema non rileva in relazione ad una paziente minorenne (75) - si potrebbero porre in questo caso i medesimi quesiti che si pongono in materia di circoncisione maschile a scopo rituale, ma non è questa la sedes materiae precisa – che non è in grado di esprimere un valido ed efficace assenso ad un intervento del genere. Quindi la questione pare correttamente posta (e da porsi) in relazione alla donna maggiorenne che intenda sottoporsi ad un intervento rituale di MGF. Il punto si rivela cruciale, in specie se si tengono presenti gli orientamenti assunti in sede dei Lavori Parlamentari che avrebbero condotto alla formulazione definitiva dell’art. 583 bis c.p. e che rivelavano l’intenzione di introdurre una norma penale dotata di una esplicita forza di resistenza nei confronti della operatività dell’art. 50 c.p. (76). L’esito della stesura definitiva della norma, che non prevede l’esclusione espressa della operatività del consenso dell’avente diritto (si noti che la bozza non parlava di , ma di ), può essere sottoposto ad una duplice lettura interpretativa. Da un lato, come si afferma, il legislatore ha ritenuto di omettere l’inciso proprio allo scopo di rimarcare la sua inutilità e di ribadire la indisponibilità del diritto offeso dal reato (77); quindi – aggiungiamo – di rafforzare la carica simbolica della norma stessa. Dall’altro, l’omissione del medesimo inciso, anche sulla base di una corretta ermeneutica penalistica, potrebbe in qualche modo aprire l’operatività ad uno scenario che consente la applicazione dell’art. 50 c.p. ed una sua necessaria interazione coll’art. 5 c.c. Una soluzione può transitare attraverso l’esame di argomenti paralleli già affrontati dalla letteratura e dalla giurisprudenza; in particolare di quelli relativi al consenso a quelle diminuzioni (anche permanenti) della integrità somatica che – sulla base di una lettura costituzionalmente orientata – sembra poter operare ove tendente al benessere psico-fisico della persona (78). Ed un luogo parallelo particolarmente significativo e pregnante, poiché tiene conto del coinvolgimento della sfera della sessualità in senso lato, è sicuramente indicato dal tema della liceità degli interventi (volontari) volti a cagionare l’impotentia generandi. Illeciti anteriormente alla L. n. 194 del 22 maggio 1978 e con la vigenza dell’art. 552 (79) c.p. sulla procurata impotenza alla procreazione, attraverso l’abrogazione di quest’ultima disposizione, tali interventi sono ricaduti nell’ambito normativo dell’art. 583 n. 3) secondo comma, che doveva ritenersi ontologicamente applicabile solo quando la lesione si verificava senza o contro la volontà dell’avente diritto. Il dibattito, specie sulla c.d. sterilizzazione di comodo, è quindi transitato da un ambito di rilievo strettamente penalistico, sino a giungere a considerazioni più ampie, in particolare legate ad una lettura evolutiva dell’art. 5 c.c. e dell’art. 32 Cost. 16 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com In sostanza, dopo gli inziali disorientamenti (80) a cavallo tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80, il problema sembra essere stato definitivamente risolto dalla giurisprudenza (81); risolto nel senso di considerare la piena liceità della sterilizzazione anche a scopo voluttuario. Ma al di là dei principi portati dai pronunciamenti giudiziari, la non illiceità della sterilizzazione nei termini suindicati deriva comunque da una interpretazione del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. Salute intesa globalmente come benessere psico-fisico della persona e sempre tenendo ferma una concezione dell’art. 5 c.c. che abbia riguardo all’«integrità fisica», non solo in senso strettamente anatomico, ma personalistico ed anche riferito alla vita sociale. Tanto premesso si pone la domanda se, il medesimo schema individuato, cioè il ricorso ad una lettura combinata ed evolutiva degli artt. 5 c.c. e 50 c.p., possa trovare accoglienza anche in relazione ad una possibile causa esclusione della antigiuridicità dell’art. 583 bis c.p. Il quesito si atteggia sulla base di due coordinate: quella formale e quella sostanziale. Per quanto riguarda l’aspetto formale, considerando l’assetto normativo in sé a prescindere dall’esame dei suoi contenuti, bisogna rilevare la presenza di due aspetti che, in linea di massima, ci conducono ad una ambiguità rispetto all’applicazione della medesima interpretazione utilizzata per il caso della sterilizzazione voluttuaria. Da un lato, infatti, possiamo considerare che ove la norma penale non prevede, allora in conformità non dispone; quindi, ad un approccio puramente testuale, il consenso dell’avente diritto potrebbe essere operativo. D’altro canto, però, il fatto che la stesura originaria della norma prevedesse l’inciso , non può autorizzarci tout court a ritenere che la versione definitiva permetta l’operatività scriminante del consenso. Non è del tutto infondato ritenere infatti che una norma speciale come l’art. 583 bis c.p., così carica di significati oppositivi, possa non costituire una sorta di «doppione» rispetto a quella comune dell’art. 583 c.p. che, al contrario della prima, lascia a certi limiti operare il consenso. Avendo invece riguardo alla descrizione della condotta incriminata ed in considerazione che, sin dalle origini, il portato dell’art. 5 c.c. fosse da intendersi più come il divieto di alterazioni funzionali del corpo umano che non puramente anatomiche (82), non possiamo escludere che lesioni come quelle indicate magari al secondo comma, magari nella graduazione più lieve, possano venire scriminate dal consenso della donna che vi si sottopone (83). Questa interpretazione potrebbe avere una sua consistenza applicativa (84) e non solo teoretica, solo se se considera però il rispetto dei limiti individuabili in relazione alla sterilizzazione voluttuaria: cioè che l’intervento sia svolto da un medico, nell’ambito di una struttura sanitaria (85) e dopo la prestazione di un consenso informato (86). E’ evidente che si tratta in questo caso di una pura ipotesi di lavoro, poiché porre sullo stesso piano di impatto, persino emotivo, la sterilizzazione voluttuaria e le MGF anche nel caso più 17 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com lieve pare sotto certi aspetti un azzardo. La prima infatti è ormai unanimemente accettata nella coscienza sociale poiché volta al conseguimento di traguardi (procreazione responsabile ed esercizio della sessualità) in linea di massima altamente condivisibili. Per la seconda, invece, in una eventuale difesa fondata sull’art. 50 c.p., si dovrebbe non solo dimostrare il consenso pieno (operazione non facile in capo a donne che possono patire di spaesamento e diffidenza nei confronti delle procedure giudiziarie) (87), ma sarebbe necessario ricorrere ad una sorta di «scriminante culturale» (od applicazione culturale della medesima) deducendo che l’operazione è stata eseguita allo scopo di beneficiare la donna stessa, migliorarne l’integrazione nella comunità di appartenenza e prevenire il suo isolamento da essa. Su questo punto non ci si può esimere dal rilevare che, nonostante in entrambi i casi si verta in materia di lesioni di una certa importanza (specie per il caso della sterilizzazione irreversibile), la fattispecie delle MGF – ancorché volontarie/«voluttuarie» – produrrà una impressione sul pensiero del giudicante sicuramente diversa da quella che si prova di fronte ad un intervento di sterilizzazione volontaria. Dove le seconde saranno sempre associate ad un contesto di arretratezza e costrizione (perlomeno diffusa), la prima risulterà funzionale ad una concezione edonistica della vita largamente accettata. Non sappiamo se sia qui il caso di prendere in considerazione remote idee di «biopolitica» (88) (ad esempio nel senso di igienismo), attraverso le quali le istituzioni gestiscono le discipline del corpo ed orientano le scelte ed i costumi: possiamo comunque affermare che ci troviamo di fronte ad un probabile atteggiamento che innesca una sorta di scontro «culturale» circa le concezioni del corpo e della sessualità. E ciò sembra ancora più plausibile solo se si pensa che la chirurgia estetica riferita ai genitali femminili e praticata in Europa e Nordamerica, risulta essere una pratica medica accettata, apprezzata e per la quale non si sono avute sollevazioni di carattere etico (88 bis). Si tratta, come evidente, di operazione non agevole che deve tener conto di notevoli variabili valutative e di un certo atteggiamento della giurisprudenza che, in un noto precedente (sentenza Bajrami) di concezione (messa concretamente poi in atto) relativa a metodi educativi arcaici, ha ribadito, con toni talvolta enfatici, la non praticabilità di una difesa culturale fondata sull’accondiscendenza – od il consenso – della cerchia familiare destinataria di quelli che furono giudicati veri e propri intollerabili maltrattamenti (89). B) L’ESERCIZIO DI UN DIRITTO Una causa di giustificazione fondata sull’art. 51 c.p., inteso come esercizio di un diritto (90), potrebbe condurre ad evidenziare ulteriori conflitti a seguito della messa in pratica di una difesa culturalmente orientata. Innanzitutto è necessario sottolineare la fonte del diritto che si intende esercitare e, in secondo luogo, qualificarlo nei suoi contenuti. Potrebbe trattarsi del diritto costituzionale garantito dall’art. 19, specie nella parte in cui fa riferimento agli atti di culto. Però 18 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com affrontando tutti limiti visti in precedenza, ossia: i limiti interni rappresentati dai principi fondamentali della stessa Costituzione (91) e, quelli esterni, consistenti nella consapevolezza che le MGF possono solo confusamente farsi rientrare in una prassi religiosa o di fede vera e propria. Se ad esempio immaginiamo il caso astratto di un diritto dei genitori a praticare alle figlie minorenni «mutilazioni» a scopo cultuale (92), possiamo renderlo attuabile, magari limitandolo al caso della puntura di spillo «simbolica» come proposta qualche anno fa; anche in riferimento alla parallela pratica della circoncisione israelita. L’accostamento merita un certo approfondimento: la seconda pratica, quella israelita, trova il suo fondamento in un testo religioso positivo (93) che, in qualche modo, fa parte di un certo patrimonio dalla civiltà occidentale. E’ legittimata da una prassi ormai secolare e recepita ed è richiamata in modo implicito in una serie di luoghi contenuti nella legge n. 101 dell’8 marzo 1989 (94); ad esempio all’art. 2, comma primo (95), all’art. 21, comma secondo, punto f) (96), all’art. 25, comma primo (97) ed all’art. 26, comma primo (98). La prima, invece, nonostante partecipi con la seconda al generale ambito antropologico dei riti di iniziazione (99), e nonostante possa trovare una virtuale copertura in una lettura combinata dell’art. 19 e dell’art. 30 Cost. in materia di diritto dei genitori ad educare i minori secondo la loro religione o cultura, sembra, allo stato, potersi escludere dal novero delle attività lecite. Ciò anche sulla base della considerazione del Parere negativo del Comitato Nazionale di Biotetica del 25 settembre 1998 (100), che sembra raccogliere una serie di diffidenze culturali, e dell’ambiguo Parere, quanto alla già citata puntura «simbolica», del Comitato Regionale Toscano di bioetica del 9 marzo 2004 che auspica il superamento totale di ogni pratica di MGF in vista della loro eliminazione dal panorama culturale e cultuale (101). Il problema si pone con minore difficoltà nel caso in cui un intervento manipolatorio genitale «lieve» sia attuato su donna maggiorenne, con le accortezze e le cautele alle quali si faceva riferimento in relazione all’applicazione dell’art. 50 c.p. In questo frangente è forse possibile approntare una strategia difensiva che si basi sul concorso dell’esimente del consenso dell’avente diritto e sull’esercizio del diritto dell’art. 19 Cost., dell’art. 21 Cost. ed infine dell’art. 2 Cost. L’ultimo aspetto da esaminare è costituito dalla considerazione in base alla quale l’agente potrebbe eccepire, specie nei casi di MGF compiute fuori dai confini nazionali, di aver agito sulla base di un diritto riconosciuto dalla legge del luogo o meglio, sulla base del silenzio o della tolleranza della legge penale del paese d’origine. In questo caso la risposta appare prima facie negativa, considerate le difficoltà connesse con il richiamo ed il riconoscimento da parte del nostro ordinamento di quei presupposti culturali sottesi ad una norma straniera, che proprio vengono esplicitamente stigmatizzati dall’impianto della legge n. 7 del 2006 (102). 19 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 8) LA VALUTAZIONE DELLA CULTURAL DEFENSE SOTTO IL PROFILO PIÙ STRETTAMENTE SOGGETTIVO Sono state esaminate le possibilità ed i limiti connessi all’approntamento di una difesa fondata su motivi culturali, ma pur sempre transitante nell’ambito di referenti normativi (quali le cause di giustificazione ad esempio) che presentano peculiarità abbastanza consolidate ed approntano strumenti concettuali di soluzione caratterizzati da una discreta certezza. A questo punto è però necessario avviare l’indagine verso un campo altrettanto noto, ma altresì connotato da maggiori sfumature e, forse, da più proficue opportunità di ricerca. Affrontiamo l’argomento della colpevolezza, in particolare nell’ambito dell’elemento soggettivo, o della sua mancanza. Abbiamo raccolto sufficienti nozioni per poter immaginare che coloro che eseguono mutilazioni genitali non solo non pensano di fare del male; anzi essi sono convinti di agire in modo corretto. Per poterci avvicinare in maniera più tecnica all’aspetto ed al momento della volontarietà, dobbiamo organizzare i pensieri e fissare adeguati percorsi argomentativi. A) SCUSABILITÀ PER ERRORE DI FATTO OD IGNORANZA DELLA NORMA PENALE. Quanto a questo profilo ci rivolgiamo subito nei confronti dell’error facti (103) per due ordini di motivi. Innanzitutto perché l’esperienza applicativa statiunitense ha individuato nella preesistente e nota categoria del «Mistake of fact» la possibilità di approntare una difesa culturale. Si è verificato un caso in cui l’imputato non ha valutato correttamente, in buona fede e sulla scorta dei propri condizionamenti culturali e tradizionali, la situazione di fatto nella quale il reato è stato commesso, in specie in relazione all’atteggiamento oppositivo tenuto dalla vittima (104) - in realtà una sorta di equivoco sulla vis grata puellae. In seconda battuta, per poter affermare che nella nostra fattispecie sulle MGF non risulta affatto agevole l’opportunità di modellare una difesa culturale fondata sull’art. 47 c.p. come declinato nel caso precedente. In specie se si tiene conto del fatto che, talvolta, durante l’esecuzione delle MGF le ragazze o le donne dimostrano un notevole spirito di sopportazione, di coraggio (105) e di non opposizione. Semmai potrebbe accadere proprio il contrario: cioè il caso – invero raro a verificarsi – in cui l’agente potrà scambiare l’arrendevolezza esteriore della ragazza o della donna per consenso tacito alla pratica mutilatoria; in altre parole: incorrendo in un errore interpretativo rispetto all’atteggiamento di apparente acquiescenza della vittima. Per quanto concerne l’errore di diritto è necessario prendere le mosse dal dato normativo introdotto dal l. n.7/2006 all’art. 3 (106) che, a scopo di contrasto e prevenzione, individua, tra l’altro, la predisposizione di strumenti comunicativi e mediatici volti a porre a conoscenza il divieto dell’art. 583 bis c.p. Al di là delle buone intenzioni manifestate ci sono diversi motivi per ritenere 20 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com che l’efficacia reale di tale norma sarà scarsa poiché, tra l’altro, sembra rivolgere la maggior parte delle risorse informative prevalentemente nei confronti di coloro che si apprestano a chiedere i visti consolari – cioè ai soggetti in ingresso. Oltretutto, per inquadrare il problema in modo ancora più adeguato, si tenga conto di un dato di fatto che potrebbe risultare inaspettato, ossìa la considerazione in base alla quale una certa parte di coloro (specie uomini) che provengono da paesi africani che già formalmente puniscono (indipendentemente dalle punizioni effettive e dalla tolleranza) le MGF, sono a conoscenza della illegalità della pratica (107). Quindi, le strategie informative, che spesso risultano carenti od inefficaci per mancanza di stanziamenti finanziari o per pigrizia istituzionale, dovranno essere virtualmente rivolte alla restante parte di coloro che in teoria ignorano la sanzione penale e la generale riprovazione nei confronti delle MGF. Ma al di là di questo: è stato osservato che per poter far ricorso all’art. 5 del c.p. in relazione ad una piena applicazione dell’errore inevitabile, quindi scusabile, sia necessario perlomeno che il soggetto destinatario del precetto si sia attivato per «conoscere» la legge e non, invece, che sia rimasto con atteggiamento inerte ad attendere l’occasione della «conoscenza» o «conoscibilità» della medesima (108). Pretendere che il migrante si attivi allo scopo di conoscere le leggi del luogo, rappresenta, a nostro avviso, una pretesa eccessiva; ma possiamo forse rivolgerci ad un approccio diverso al problema. Notoriamente il ricorso alla inevitabilità dell’errore sulla legge penale si attua, rispetto ai casi di soggetti socialmente svantaggiati e non integrati, quando si deve giudicare della applicazione di fattispecie relative ai c.d. reati di produzione legislativa od artificiali (109). Il nodo è però costituito dal fatto che l’art. 583 bis c.p., in quanto reato culturale ed in qualche modo in quanto simbolo di certi valori e concezioni di fondo dell’occidente, non può essere considerato pienamente fattispecie artificiale o puramente formale. Semmai bisognerebbe cominciare a rinunciare a pensare in termini di «naturale» ed «artificiale» tout court quando si parla di fattispecie penali per considerarle tendenzialmente tutte di produzione legislativa. Comunque: in questa prospettiva la scelta applicativa da seguire è ambivalente: o si accetta la tesi che l’imputato non conosceva la norma ed in ogni caso non poteva, vista la sua formazione e provenienza culturale, neppure intuire l’illiceità del comportamento che la medesima stigmatizza. Altrimenti ci si deve indirizzare nei confronti di un giudizio che dia prevalenza al fatto materiale delle lesioni in sé considerate e decontestualizzate dalla cornice culturale e folclorica, per giungere quindi alla affermazione di una responsabilità, se non fondata sull’art. 583 bis c.p., magari sostenuta dall’applicazione dell’art. 583 c.p. nella sua declinazione più grave. Il problema più spinoso che si potrebbe a questo punto incontrare riguarda una considerazione più apicale e verte sull’interrogativo se possa parlarsi in generale di capacità, nel senso di colpevolezza, nei confronti di coloro che siano 21 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com intellettualmente e culturalmente (anche nell’accezione di patrimonio di nozioni) meno attrezzati rispetto alla media dei consociati – ma questo lo affronteremo più avanti. Le soluzioni che mettono in luce l’elemento soggettivo del reato che può teoricamente mancare in considerazione della complessiva condizione personale dell’agente, debbono tenere conto di quella giurisprudenza che ha escluso la non configurabilità, o la diminuzione dell’intensità, del dolo nella fattispecie dell’art. 572 c.p. agìta in un contesto di arretratezza culturale e religiosa (110). Potrebbe obbiettarsi che nei casi esaminati (Cass., 24 novembre 1999 e Cass., 8 gennaio 2002) la Corte fosse chiamata a valutare i maltrattamenti in famiglia, cioè un reato che richiede una certa abitualità o reiterazione (111) di atti e quindi una coscienza e volontà particolarmente rafforzata in capo all’agente, in grado di persistere anche in confronto alla pratica dei modelli socialmente prevalenti di vita familiare. Mentre, da parte loro, le MGF si sostanziano in atti tendenzialmente istantanei che subiscono in misura minore l’influsso dei principi fondamentali della dignità e dell’integrità della persona che la norma punitiva intende tutelare. Si potrebbe aggiungere che l’assetto dei rapporti intrafamiliari e, in specie dei rapporti genitori-figli, sia meno influenzato e determinato da fattori folclorici o cultuali rispetto alle MGF. Ma tutto ciò considerato, non ci sono appigli normativi ed interpretativi che possano farci concludere per una affermazione di carenza della colpevolezza causata da una eventuale non riuscita conoscenza della norma per mancata integrazione socio-culturale dell’imputato (112). Semmai sarebbe forse praticabile il percorso di una attenuazione dell’elemento soggettivo che può condurre ad una diminuzione del trattamento sanzionatorio mediante un uso accorto dell’art. 133 c.p., o con l’applicazione dell’art. 62 bis c.p. Ci si chiede, infine, se alla pratica delle MGF, come soggettivamente inquadrate rispetto all’agente, possa essere riconosciuta l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 1) c.p. La risposta è allo stato negativa in considerazione dello sbarramento costituito dalla interpretazione che individua i «valori morali o sociali» come quelli prevalenti in un luogo ed in un tempo (113) presso una popolazione e non valuta i motivi, ancorché considerati meritevoli, che trovano origine esterna od in gruppi ristretti (114). In particolare, sembra di comprendere, che vengano presi in esame solo quegli aspetti psicologici motivanti al reato che possono, in un certo modo, trovare consenso od apprezzamento da parte della collettività. Solo attraverso un cambio di posizione, che possa magari considerare l’interpretazione più soggettiva, e di portata quindi più ampia, dell’art. 62, n. 1) c.p. suggerita nel caso dell’obiezione di coscienza (115) e riadattata attraverso opportuna modulazione ai motivi, non strettamente filosofico religiosi, bensì a quelli di carattere latamente culturale legati alle minoranze umane (116), si potrebbe giungere alla possibilità di formulare un giudizio sul quantum della pena che tenga conto in modo più completo del grado di colpevolezza manifestato concretamente dell’agente (117). A grandi linee 22 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com potrebbe trattarsi di una soluzione praticabile, anche se, comunque, non si può sottacere la fondamentale discrasìa di atteggiamento interiore che sussiste tra l’obiettore di coscienza, che agisce sulla base di motivi generalmente razionali e meditati, e colui che obbedisce, sebbene in buona fede, ad un richiamo ancestrale di gruppo (118) ritenuto cogente. Oltretutto è necessario considerare una variante di carattere «etnico»: se l’obiezione di coscienza fa parte in qualche modo del patrimonio culturale del mondo occidentale, altrettanto non può dirsi per quei motivi ad agire arcaici che conducono a porre in essere pratiche cruente come le MGF. La applicabilità di altre circostanze attenuanti specifiche è difficilmente praticabile se non a costo di una forzatura eccessiva dei già presenti disposti normativi. B) LA NON ESIGIBILITÀ COME DIFESA CULTURALE Allo scopo di individuare ulteriori cause che potrebbero mettere in discussione la colpevolezza di coloro che pongono in essere MGF nel contrasto con l’art. 583 bis c.p., si potrebbe fare un breve cenno a quella particolare costruzione di creazione dottrinale, talvolta ritenuta od invocata, ed intesa come clausola generale e non esplicitata nel sistema, volta ad incidere sull’elemento soggettivo dell’agente allo scopo di sottrarlo in qualche modo alla responsabilità. In particolare rinviamo alla c.d. clausola di «non esigibilità del comportamento» per la quale non può darsi rimprovero e colpevolezza tutte le volte in cui l’azione o l’omissione costituenti astrattamente reato, siano state poste in essere in una condizione anomala per l’agente e per la sua sfera intellettivo-volitiva. Si tratta quindi di circostanze del reato, nelle quali l’agente non avrebbe potuto «umanamente» o «ragionevolmente» fare a meno di tenere o non tenere un comportamento che la legge considera come illecito penale. Ci si riferisce specialmente alle ipotesi in cui, date le contingenze di fatto non ordinarie, non si sarebbe potuto esigere da parte del reo un comportamento diverso da quello da lui tenuto ed integrante un reato (119). Ed è proprio l’inesigibilità penale ad essere stata riportata all’attenzione della dottrina in occasione della presa d’atto della verificazione di alcuni casi di reati culturalmente orientati, posti in essere in Europa da allogeni, a causa di una mancata integrazione sociale o per la persistenza di convinzioni contrarie rispetto a quelle invalse nei paesi ospitanti (120). Si tratterà in specie di quei reati, la cui motivazione e ideazione ed il cui realizzarsi (121), non sono vissuti nella mens rea come illeciti e vietati, ma anzi, come doverosi specie sotto la spinta di condizionamenti rituali e di gruppo. L’opportunità di rinvenire una fattispecie analoga nell’ambito dell’esperienza statunitense, proviene dalle regole generali attraverso le quali la dottrina definisce i presupposti per attuare una cultural defense, specie in relazione alle situazioni in cui l’agente non ha avuto la capacità di aderire alla norma penale a causa della sua condizione individuale e per «…le forti pressioni ricevute dal gruppo sociale in cui è inserito, (che) lo portano a violare la norma penale, non riconoscendo 23 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com quest’ultima come motivo sufficiente da impedire la realizzazione della sua condotta (122)». Ma l’esperienza americana stessa insegna che la tendenza generale è, in modo esplicito, espressa dalla necessità di operare una sistematizzazione del concetto astratto, dottrinale ed extralegislativo, di difesa culturale nell’ambito di cause già previste, già codificate che escludono od attenuano l’antigiuridicità del fatto o la colpevolezza rispetto al medesimo (123). In questo modo, sempre avuto riguardo alla prassi nordamericana, si sono notoriamente registrati casi in cui le cultural defenses (in senso lato esimenti od attenuanti), sono state fatte ricadere nell’ambito di categorie normative positive già note. Ed allo stesso modo dovrebbe accadere per quanto riguarda la clausola di non esigibilità che, pur suggestiva come costruzione, sconta però il limite quasi invalicabile costituito dal fatto di non trovare precisi appigli nel sistema positivo (124) e, in ogni caso, corre il rischio di aprire la strada ad un inaccettabile soggettivismo ed arbitri nel criterio di giudizio (125). Oltretutto, nella pratica, il riconoscimento della non esigibilità, si risolverebbe in una sorta norma (o prassi applicativa) ad hoc per svantaggiati, o sradicati, sociali e culturali, quindi nuovamente in una «norma simbolica» in grado di creare, potenzialmente, altri conflitti ed occasione di spaccature tra i consociati. Siamo perfettamente consapevoli della necessità di un canone ermeneutico il più possibile umano del diritto penale: dove per umano non si deve intendere indulgente, ma si vuole fare riferimento ad un criterio applicativo della norma che sappia tener conto delle concrete condizioni ambientali ed interiori che hanno accompagnato le percezioni e le deliberazioni dell’agente. D’altra parte non possiamo neppure sottacere le difficoltà (attestate anche dalla psichiatria) che possono accompagnare una minuziosa e completa operazione ricostruttiva dei procedimenti intellettivovolitivi dell’essere umano e volta alla individuazione dell’eventuale condizionamento. C) IL TENTATIVO DI INQUADRAMENTO NELL’AMBITO DEL VIZIO DI MENTE La possibilità di sistematizzare determinati casi di cultural defenses nell’ambito dell’azione posta in essere in presenza di un vizio totale o parziale mi mente, in sé, non risulta a prima vista del tutto infondata (126) ; è necessario comunque operare un adeguato inquadramento. Un celebre caso (Kimura) tratto dall’esperienza della giurisprudenza statunitense vedeva come imputata una donna giapponese non sufficientemente ambientata la quale nel 1985, a seguito del tradimento coniugale del marito, assunse la decisione di uccidersi con i propri figli in giovane età. Il motivo del gesto (oyako-shinyu) (127) risultava influenzato in modo preponderante dalla convinzione di essere indegna come madre e sposa proprio a causa del comportamento fedifrago del marito. All’atto di compiere il suicidio allargato per annegamento, la donna venne salvata, ma i figli perirono. Lo stato di grave isolamento nel quale viveva la medesima, il grave stress cagionato dalla vergogna subita ed il riaffiorare di motivi della cultura tradizionale (128), tutti insieme considerati dalla Corte, 24 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com condussero ad una dichiarazione di «Diminished Capacity» (129) che tutto sommato ha destò l’attenzione della dottrina. Al di là di quelle che furono le decisioni assunte, non si possono certamente nascondere le difficoltà e le perplessità derivanti dal collegamento tra un disadattamento, un senso di spaesamento e delle anomalie rilevanti da un punto di vista del corretto procedimento di formazione cognitivo-volitiva (130). Del resto, anche il caso Metallides, meno famoso e più risalente rispetto al caso Kimura, ha evidenziato, sempre in una fattispecie di omicidio, la debolezza di un approccio psichiatrico-forense fondato sull’ «irresistibile impulse» (in sostanza un riflesso emotivo), causato dal richiamo alle consuetudini di comportamento mantenute nella terra di origine (131). Si tratta ora di evidenziare gli argomenti che potrebbero condurre al riconoscimento eventuale della infermità mentale, come prevista nel nostro ordinamento, a casi di difese fondate su motivi culturali particolarmente profondi. Gli snodi attraverso i quali affrontare questo delicato ed involgente aspetto sono fondamentalmente due. In specie. Senza particolare enfasi e sicuramente senza avere l’ambizione di operare una ermeneutica sistematica ed approfondita, si può sostenere che, dalla lettura della sentenza delle Sezioni Unite 25 gennaio – 8 marzo 2005, n. 9163, sia evidenziabile come l’imputabilità si atteggi a «capacità di reato, o meglio a capacità di colpevolezza» e come la valutazione circa la colpevolezza medesima, possa farsi risalire in qualche modo ad un approccio multidisciplinare, mediante il ricorso a «concetti aperti» che possono rivelarsi idonei ad attribuire rilevanza anche ai «disturbi della personalità», in quanto gravi ed incidenti. D’altro canto, sulla base di un certo approccio culturale, si potrebbe sostenere che i motivi che spingono la mentalità arcaica (quella all’interno della quale sono sorte ad esempio le MGF) a seguire le pratiche rituali, siano da ricollegarsi ad uno stato di ansietà (132), di alterazione. Un certo stato di angoscia, di smarrimento, di fragilità personale di fronte al rischio del perder-si della soggettività, del perdere l’unità e la coesione anche sociale, potrebbe trovare il proprio superamento attraverso strategie istitutive di riti, di modalità di azione condivise in grado di operare una sorta di reintegrazione dell’orizzonte messo in pericolo (133). Si potrebbe avanzare l’ipotesi che, quanto l’uomo «civilizzato», che presenta forse un senso di identità maggiore, trova risorse di fronte allo smarrimento esistenziale mediante l’istanza verso «espedienti» razionali e culturali propri, la mentalità arcaica – non occidentalizzata – è in grado di individuare «vie di scampo» attraverso l’istituzione del rito che, posto in atto, avrebbe la funzione di ricomposizione della soggettività e di un certo ordine esteriore. A questo punto resterebbe da chiedersi quanto gli stati anomali che possono caratterizzare la messa in atto di comportamenti rituali prescritti o previsti dai disposti di 25 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com «culture altre», possano incidere sulla colpevolezza intesa come capacità/imputabilità ai fini di un coinvolgimento della applicazione degli artt. 85, 88 o 89 c.p. La domanda risulta legittima specie se si considera che le argomentazioni svolte in precedenza circa una spiegazione dell’istituzione del rito, attengono a valutazioni di carattere prevalentemente antropologico o connesse ad un approccio semmai di psichiatria fenomenologica (134) e non possono trovare pieno accoglimento nell’ambito di un discorso prettamente orientato verso la psichiatria forense che, il più possibile, cerca di sfuggire alle lusinghe di un «modello sociologico» della infermità mentale. Gli agìti che trovano la loro radice nell’ambito di motivazioni specificatamente «culturali», anche estranee od inconsuete, non presentano necessariamente aspetti patologici: affermare il contrario condurrebbe ad una prospettiva eccessivamente etnocentrica che porta ad etichettare automaticamente come incapace o inidoneo colui che sia poco dotato sotto il profilo delle cognizioni o a considerare incapace, come caso limite, il selvaggio (135), o colui che conforma la propria vita a concezioni stravaganti (136) o non condivise. Diversamente ragionando da una corretta prospettiva clinica, si correrebbe il rischio di giungere a sottrarre al binomio responsabilità/pena coloro che professano ed agiscono convinzioni e visioni della vita diverse da quelle della maggioranza dei consociati, con la conseguenza estrema di negare loro la qualifica di uomini ragionevoli: perlomeno nella nota impostazione hegeliana in base alla quale la sanzione si atteggia come una sorta di riconoscimento del delinquente (137) come essere umano libero. Oltretutto, una tale tentazione interpretativa ed applicativa non farebbe altro che avvalorare quanto considerato in precedenza, ossia che l’art. 583 bis c.p. può correre il rischio di diventare una «norma simbolo» in grado di creare ed alimentare una spaccatura tra un «noi (capaci)» e un «loro (incapaci)». Gli atti rituali possono, al contrario, rilevare ai fini dell’imputabilità tutte le volte in cui siano innestati in un ambito soggettivo clinicamente definito o significativo (138), in particolare scatenato o slatentizzato dal contatto con le nuove realtà o i nuovi ambienti. Sotto quest’ultimo profilo sembra quindi difficile ipotizzare che le operazioni di MGF siano determinate, da sole, da una reazione, da un impatto, con il mondo o con l’ambito di accoglienza o risultino essere un prodotto dello sradicamento dall’ambiente d’origine; le stesse infatti possono venir praticate in Italia come venivano praticate nei paesi d’origine. Non potendo negare il mistero di potente fascinazione connesso a determinate ritualità (139), all’ambiente nel quale queste vengono poste in essere, d’altra parte però, non siamo ancora in possesso di evidenze scientifiche che possano fornire spunti utili per trovare agganci nei confronti delle prospettive dischiuse dalla sentenza Sezioni Unite 25 gennaio – 8 marzo 2005, n. 9163 in materia di infermità mentale. 9) CONCLUSIONI 26 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Trarre alcune conclusioni rispetto all’art. 583 bis c.p. non è sicuramente una operazione agevole, anche perché il giudizio da attribuire ad una norma non può limitarsi soltanto all’esame del suo testo, a congetture più o meno fondate circa le sue potenzialità, o a previsioni circa l’impatto che potrà dispiegare sulla prassi giudiziaria e sulla realtà sociale. Oltretutto è necessario tener presente che la norma non è il frutto di un intervento isolato, ma si colloca nel contesto di un impianto legislativo più ampio che, a sua volta andrebbe ulteriormente analizzato ed approfondito in modo adeguato nelle sue articolazioni e nelle sue implicazioni. Comunque: dalla lettura della nostra fattispecie possono essere, sin dall’inizio, notati alcuni nodi problematici – già evidenziati in precedenza – ed in particolare costituiti dalla ambivalenza interpretativa connessa alla possibilità di ammettere o meno il consenso (con le cautele del caso) dell’avente diritto; dall’incerto ed aperto significato del requisito negativo sancito dalla «assenza di esigente terapeutiche» e dalla connotazione del dolo specifico presente nell’ipotesi prevista dal secondo comma, finalizzato alla «menomazione delle funzioni sessuali». Se la menomazione, correttamente intesa, va riferita in senso fisico-materiale, ossìa va riguardata sotto il profilo di una operazione tendente tout court alla riduzione della funzionalità; allora – come già affermato – possiamo insistere nel ripetere che le MGF, specie quelle previste nel secondo comma, non sempre vengono poste in essere per diminuire la funzione puramente fisica dell’atto sessuale, ma, piuttosto, sono più propriamente finalizzate a conferire un particolare «segno» alla sessualità ed all’essere femminile in senso ontologico e sociale. Del resto, e quest’ultimo aspetto potrebbe forse essere chiarito attraverso il contributo del sapere medico e sessuologico, l’espressione utilizzata dal legislatore non appare neppure precisa, specie nel momento in cui si voglia considerare che per «funzione sessuale» possono intendersi diverse modalità che vanno dall’atto sessuale biologicamente inteso, sino a coinvolgere ambiti più profondi e delicati che toccano il discorso culturale, del senso e del significato. Ma al di là di questi problemi interpretativi, che potrebbero venire resi meno evidenti dall’intervento della giurisprudenza e più in generale da una prassi applicativa che ha dimostrato nel periodo anteriore alla novella una certa saggezza rispetto alle MGF, resta pur sempre l’interrogativo di fondo che rinnova il quesito circa la reale utilità dell’introduzione di una norma ad hoc per regolare e reprimere un fenomeno nuovo ed inconsueto. Si potrebbe rispondere, forse con falsa coscienza, che la norma (e la legge intera) si è resa necessaria dall’atteggiamento «forte» assunto dall’opinione pubblica mondiale rispetto all’irrompere sulla scena delle pratiche di MGF, dalla pressione costituita da una certa normativa di carattere sovrastatuale. Ci si potrebbe accontentare di queste considerazioni che quasi sembrano legittimare e rendere ammissibile ogni sorta di intervento legislativo. E’ certo evidente che la risonanza planetaria di un fenomeno e l’unanime rimprovero che ad esso si riserva, possono costituire la giustificazione per l’introduzione di una norma. Ma 27 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com forse queste, non sono sufficienti come motivazioni, specie se si considera che anche il legislatore italiano ha inteso, e l’intenzione emerge dal dato complessivo, introdurre una «norma simbolica», ossìa una norma che, oltre a reprimere un reato di lesioni, possa costituire un mònito, una espressa stigmatizzazione, non solo della lesione, ma anche della stessa mentalità od il retroterra sottesi all’atto. Sia beninteso, in questa sede non si vuole difendere la prassi delle MGF, né tantomeno configurare un improbabile diritto generale ad eseguire mutilazioni genitali: si vorrebbe soltanto avanzare l’idea che l’aver introdotto una norma speciale prevista per il caso di lesioni genitali ed indirizzata espressamente a quelle popolazioni che, di tali pratiche, hanno una concezione tradizionale collegata ad un senso di doverosità, possa fondatamente andare incontro a due rischi in rapporto di complementarietà tra di loro. In particolare: da un lato, quello di sovraesporre – specie nell’opinone pubblica – il fenomeno e più in generale lo stesso ambito di diversità culturale dal quale lo stesso proviene; dall’altro, sicuramente quello di non assecondare l’integrazione sociale di alcune minoranze etniche, contribuendo così al loro isolamento e, come più volte sottolineato da diversi Autori, favorendo la maggior clandestinizzazione e precarizzazione delle mutilazioni genitali. Incombe oltremodo il pericolo di fondo che le specificità culturali in genere si trasformino in gabbie, prigioni e forse manicomi imposti a determinate minoranze. L’ambito sociale e ideale delineato dallo Stato e dai suoi confini non dovrebbe risultare né troppo rigido né eccessivamente «mobile», dovrebbe semmai diventare la «casa di tutti gli uomini», il luogo nel quale, per conseguenza, tutti siano indotti in qualche modo a «fare un passo indietro» rispetto a certe convinzioni personali e siano posti nella condizione di partecipare ad uno spazio comune ed il più possibile neutrale; in definitiva a privilegiare la polis rispetto all’ethnos. Questo lo si potrebbe ottenere ottenere attraverso il confronto reciproco e, specialmente, forse mediante la proposizione di modelli e di stili di vita alternativi che, in riferimento al nostro caso, siano in grado di mostrare che l’opzione delle MGF non risulta ineluttabile e determinata da un condizionamento invincibile, ma che si possa in fondo profilare la possibilità di sottrarsi alla loro oscura fascinazione. 28 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 1 Il paradigma argomentativo è liberamente tratto da LÉVI-STRAUSS, Tristi tropici. L’avventura dell’antropologo, Saggiatore, Milano, 2004, p. 56. 2 G.U. Serie gen. – n. 14 del 18 gennaio 2006. 3 FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, Milano, 2003, pp. 81 ss. 4 HUNTINGTON, lo scontro delle civiltà, Garzanti, Milano, 2000, p. 131 ‘Nella prima metà del XX secolo le élite intellettuali hanno di norma creduto che la modernizzazione economica e sociale dovesse condurre alla scomparsa della religione quale elemento significativo dell’esistenza umana… La seconda metà del XX secolo ha mostrato l’infondatezza di quelle speranze come di quelle paure. La modernizzazione economica e sociale ha raggiunto dimensioni mondiali, eppure al tempo stesso si è verificata una generale rinascita religiosa. Questo fenomeno la Revanche de Dieu…’ ‘I sistemi che avevano offerto ai cittadini identità ed autorità sono crollati. Masse di uomini e donne si spostano dalle campagne alle città, recidono le proprie radici e si tuffano in un nuovo lavoro oppure restano disoccupati. Interagiscono con una moltitudine di stranieri e stabiliscono nuovi tipi di rapporti sociali. Necessitano di nuove forme di identificazione, nuove e stabili forme di comunanza, nuovi corpi di regole morali che diano un senso ed uno scopo alla loro vita. La religione, sia quella tradizionale che quella fondamentalista, risponde a queste necessità’. 5 FUKUYAMA, La fine della storia, cit. pp. 198 ss. 6 Art. 583 bis. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili. [1] Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo. [2] Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità. [3] La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro. [4] Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia. 7 Tipo I. Escissione del prepuzio con o senza escissione di parte o dell’intero clitoride. Sunna è il nome tradizionalmente usato per designare questo tipo di mutilazione. Tipo II. Escissione del clitoride con escissione totale oparziale delle piccole labbra. Tipo III. Escissione di parte o di tutti i 29 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com genitali esterni con sutura e chiusura dell’ostio vaginale (infibulazione). Tipo IV. Puntura., perforazione o incisione del clitoride e/o delle labbra; stiramento del clitoride e/o delle labbra; cauterizzazione del clitoride e dei tessuti circostanti; raschiamento dell’orifizio vaginale (angurya) o taglio della vagina (gishiri); introduzione di sostanze corrosive in vagina, per provocare sanguinamento o di erbe in vagina, allo scopo di restringerla o di chiuderla. (TURILLAZZI – NERI, Luci ed ombre nella legge in tema di mutilazioni genitali femminili: una visione di insieme medicolegale, in Riv. It. Med. Leg., 2006, p. 289). 8 In argomento cfr. VERCELLIN, Istituzioni del mondo islamico, Einaudi, Torino, 2007, p. 217 che, premessa una certa dicotomia tra le forme ufficiali delle manifestazioni religiose e quelle popolari considera che il caso della circoncisione khitan, mai citata nel Corano, è spesso tratta nei hadit (i dicta delle Autorità) ed in qualche modo facente parte e derivante dalle istituzioni pre islamiche. Da alcune fonti emergono comunque posizioni assi difformi per quanto ne concerne l’applicazione; in certi ambiti viene considerata come mandub (raccomandata) per i maschi e sunna ‘tradizionale’ per le femmine, mentre sulla base di altre è addirittura obbligatoria (wajib). L’infibulazione vera e propria viene invece considerata come pratica estranea al dar al-islam. Sul punto v. anche DE CARLI, Tra diritto e tradizione. Riflessione sulla circoncisione femminile in Kenya, in http://www.jus.unitn.it/cardozo/Review/2007/decarli.pdf., consultato il 26 gennaio 2007, p. 6 ‘Per contro…sarà chiarito che essa ha origini preislamiche e che i popoli musulmani che la praticano non si ispirano esclusivamente al credo religioso’. 9 VAN GENNEP, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981, pp. 57 ss.; GALIMBERTI, Iniziazione, in Dizionario di Psicologia, UTET, Torino, 2006, p. 481 che evidenzia come, da un punto di vista prettamente antropologico, l’iniziazione si inscriva nell’ambito vasto dello schema della assunzione di nuovo status del soggetto, di assunzione di nuovo ruolo. Dal punto di vista della psicologia l’iniziazione è da leggersi come momento di trasformazione che richiede il rito quando l’energia psichica deve essere deviata dalle abitudini acquisite verso una nuova identità che richiede la morte del vecchio Io in vista di una sua rinascita. 10 Sul punto ALESSANDRINI, Oltre i diritti umani: la questione della mutilazione genitale femminile e il concetto di crimine culturale, in Diritto & Diritti, maggio 2001, pp. 1 –2 considera che: ‘Nelle culture pre-letterate, il rito è indubbiamente l’affermazione più eclatante della socialità, legato a doppio filo al mito che, attraverso di esso, si manifesta e si tramanda. Il rituale iniziatici, in particolar modo, ha il compito fondamentale di trasformare un essere proveniente dal mondo marginale e potenzialmente pericoloso della natura, ossia il bambino, in un individuo sociale, attraverso una complessa preparazione fatta di pratiche e insegnamenti che spesso riguardano ogni aspetto della vita, dalla religione alla sessualità’. 30 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 11 STRECK, Dizionario di etnologia, Sugarco, Varese, 1987, pp. 127-128; cfr. anche AMBER – AMBER, Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 317. 12 BILOTTI, La pratica della mutilazione genitale femminile, in Un mare di donne, gennaio-giugno, 1997, pp. 7-18; in particolare cfr. anche GALIMBERTI, Circoncisione, in Dizionario di psicologia, cit., p. 169, il quale riferisce che le pratiche di clitoridectomia ed infibulazione apparterrebbero all’ambito dei tentativi di contenere l’autonomia della sessualità femminile; ma su questo vedi anche DI STEFANO, Cosa sono le mutilazioni genitali femminili?, in Diritto&Diritti.it, dicembre 2004, p. 4. Ma vedi anche la prospettiva di PASQUINELLI, Infibulazione, il corpo violato, Meltemi, Roma, 2007, p. 70 secondo la quale ‘Le MGF non sono una mera pratica culturale ma sono un fatto sociale totale… le MGF costituiscono quella particolare istituzione sociale che ha la prerogativa di coinvolgere una serie di tratti in cui si articola la società, e che in questo caso si chiamano prezzo della sposa, poligamia, matrimonio combinato, età prematura della sposa e tutto quello che segue’. 13 Sul funzionamento e le motivazioni del pensiero magico possiamo riferire l’astrazione fissata da MALINOWSKI, Magia ed esistenza nelle società primitive, p. 212, da DE MARTINO, Magia e civiltà, Garzanti, Milano, 1962. ‘Abbiamo visto che ogni istinto ed emozione, ogni attività pratica, conduce l’uomo in vicoli ciechi dove le sue conoscenze si svuotano e le limitazioni del suo primitivo potere di osservazione e di ragionamento lo tradiscono in modo cruciale. L’organismo umano reagisce con una carica spontanea, nella quale si generano modi rudimentali di comportamento e li standardizza in forme tradizionali permanenti. Così la magia offre all’uomo primitivo un numero di atti rituali e di credenze prefabbricate ed una tecnica mentale e pratica ben definita, che serve a superare il baratro pericoloso che si apre in ogni attività importante o in ogni situazione critica’. 14 BILOTTI, La pratica, cit., ibidem. 15 Su questo cfr. ad esempio KAFKA, Le nuove realtà, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 152 – 153. 16 Su questo cfr. fondamentalmente RENTELN, Cultural Defense, Oxford Universty Press, 2004; BASILE, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Ottobre 2007, p. 2 17 Sul controverso e, per certi versi inaccettabile ed inapplicabile concetto cfr. RUSCONI, Come se Dio non ci fosse. I laici, I cattolici e la democrazia, Einaudi, Torino, 2006, pp. 56 che bene pone in luce un certo contrasto tra ‘principio laico’ e ‘principio multiculturale’: ‘Il principio laico infatti non si limita a neutralizzare le pretese delle diverse culture e religioni ad occupare in modo improprio e monopolistico il terreno pubblico, né si limita ad affermare il principio di benevolente tolleranza, ma esige positivamente un vincolo reciproco su cui costruire una comunità politica che è solidale in quanto si riconosce in principi, regole e istituti che prescindono da ragioni culturali particolari e che 31 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com non sono generalizzabili’. Ma sul problema della convivenza di ‘culture cfr. anche DAL LAGO, Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano, 2005, pp. 150 ss. 18 Su questo l’attenzione può cadere sul recente intervento di HALTER, In un mondo alla Orwell Bin Laden ha già vinto, in la Repubblica, 5 febbraio 2008, p. 29 ‘Al Quaeda ha rimpiazzato il Komintern, e Maometto Karl Marx. Gli ex comunisti che ho conosciuto al Cairo o ad Alessandria pregano oggi per i fratelli musulmani, con il rosario in mano. Francis Fukuyama scrive «Il conflitto attuale è una battaglia di retroguardia condotta da quelli che si sentono minacciati dalla modernizzazione e quindi dalla sua componente morale, il rispetto dei diritti dell’uomo». Osserva inoltre che, per i terroristi islamici, il nemico assoluto è il carattere laico della concezione occidentale del diritto.’ 19 RENTELN, Cultural defense, cit., p.187. 20 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 23 ss. 21 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 48 ss. 22 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 73 ss. In materia, per quanto riguarda l’esperienza applicativa italiana cfr. Cass. Pen., Sez. V, 10 luglio 2008, n. 28720 (Guaglione), in Altalex, Quotidiano di informazione giuridica on line, consultato il 24 agosto 2008; in realtà la decisione non affronta in recto e compiutamente la relazione tra detenzione di sostanze stupefacenti (Marijuana) e l’esercizio della libertà religiosa sotto il profilo dei riti. 23 RENTELN, Cultural defense, cit., pp. 114 ss. 24 FABIETTI, L’identità etnica, Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma, 2003, pp. 51 ss. Ma sul punto cfr. anche FREUD, Il disagio della civiltà, Editrice scienza moderna, Collana psicoanalitica, Roma, 1949, p. 58 ‘Va considerato l’ultimo, ma non certo il minore, dei componenti della cultura, cioè il modo in cui sono regolate le relazioni sociali, i rapporti fra uomo e uomo, tutto quel che ha a che fare con l’uomo, come prossimo, come fonte di aiuto, oggetto sessuale, membro di una famiglia o di uno stato’. 25 ‘Se taluno dei fatti preveduti dagli articoli 545, 546, 547, 548, 549 e 550 è commesso per salvare l’onore proprio o quello di un prossimo congiunto, le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi’. 26 ‘Chiunque cagiona la morte di un neonato immediatamente dopo il parto, ovvero di un feto durante il parto, per salvare l’onore proprio o di un proprio congiunto, è punito con la reclusione da tre a dieci anni’. 27 ‘Chiunque abbandona un neonato, subito dopo la nascita, per salvare l’onore proprio o di un proprio congiunto, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno…’. 28 Così CARACCIOLI, Causa d’onore, in Enc. D. Dir., VI, Giuffrè, Milano, 1960, p. 581. 32 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 29 ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale – Parte generale, Giuffrè, Milano, 1955, p. 317 valutava l’applicazione della attenuante di cui all’art. 62, n. 1 c.p. anche in relazione ai casi di delitti in genere contro l’onore familiare. 30 Anche in riferimento alla normativa penale europea vigente all’epoca: sul punto cfr. FIORE, Infanticidio, in Enc. D. Dir. XXI, Giuffrè, Milano, 1971, p. 395. 31 Per un caso anteriore al 1972 di obiezione di coscienza alla prestazione del servizio militare cfr. Trib. Militare di Torino, 30 agosto 1949, cit. in CAPOGRASSI, Obbedienza e coscienza, in AAVV, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, pp. 166 – 167. 32 Cfr. GARINO, Obiezione di coscienza al servizio militare, in Dig. Disc. Pen., VIII, UTET, Torino, 1994, p. 342. 33 Cfr. RUSSELL, Autorità e individuo, Longanesi, Milano, 1975, p. 188; PALAZZO, Obiezione di coscienza, in Enc. D. Dir., XXIX, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 539 ss. Come riportato da LARICCIA, Diritto Ecclesiastico, Cedam, Padova, 1986, p. 398 in passato era prassi risolvere i casi di obiezione di coscienza al servzio militare, da parte della Autorità giudiziaria militare, con il procedere alla riforma dell’imputato per neurosi cardiaca od infermità fisica oppure internarlo nell’O.P.G. di Aversa per delirio religioso. 34 Sul punto PASQUINELLI, Infibulazione, cit., p. 74 considera che ‘Le MGF sono accettate dalle donne come un destino a cui è impossibile sottrarsi’. 35 La sentenza resa in primo grado è della Corte d’Assise di Cagliari, 10 marzo 1982, in Foro It., 1983, I, 27 ss. 36 FINOCCHIARO, Confessioni religiose e libertà religiosa nella Costituzione, art. 7-8-19-20, Zanichelli, 1983, Bologna, pp. 470 ss. Sull’argomento cfr. anche CARDIA, Religione (libertà di), in Enc. D. Dir., II, Aggiornamento, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 932, che introduce il limite del buon costume che l’art. 19 Cost. pone nei confronti dei riti; resterebbe da domandarsi se il caso dei genitori che non hanno consentito la trasfusione possa ricadere nell’ambito del rito e più in generale del culto. 37 Cfr. in particolare dalla sentenza resa dalla Cassazione, 13 dicembre 1983, in Foro It., 1984, II, 361 ‘Ne deriva che si è al di fuori dell’esercizio della libertà religiosa allorquando si pongano come sua espressione contegni elusivi dei divieti e delle imposizioni di cui alle norme penali’. Ma sempre in materia di libertà religiosa e minori, con diverse connotazioni e declinazioni, cfr. anche Trib.Min. Venezia, 10 maggio 1990, Foro It., 1990,II, 271 ‘L’educazione del figlio secondo i principi integralisti e intransigenti dei Testimoni di Geova non costituisce condotta pregiudizievole al minore se effettuata in modo tale da non turbare la crescita equilibrata e il più possibile integrata con l’ambiente circostante…’ e Trib. Palermo, 12 febbario 1990, ibidem, ‘A seguito di separazione 33 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com giudiziale, in ipotesi di contrasto tra i genitori circa l’educazione religiosa della figlia undicenne, è possibile imporre alla madre affidataria l’obbligo di non condurre la figlia con sé alle riunioni dei testimoni di Geova e di non condizionarne in alcun modo gli orientamenti religiosi e le scelte religiose’. 38 cfr. ad esempio Pretura di Torino, 16 gennaio 1981, Foro It. 1982, 317 ss. 39 In effetti la nota a sent. di FIANDACA, Diritto alla libertà religiosa e responsabilità per omesso impedimento dell’evento, alla Corte di Assise Cagliari, cit. p. 28, riporta una celebre sentenza della Corte Costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, 19 ottobre 1971 dove si afferma che ‘in ogni caso si deve rinunciare alla sanzione punitiva tutte le volte che ilo conflitto concreto tra un obbligo di attivarsi esistente alla stregua delle concezioni generali ed un precetto religioso pone l’autore in una situazione psicologicamente tormentosa, rispetto alla quale la sanzione criminale, che lo stigmatizza come reo, potrebbe rappresentare una reazione sociale eccessiva e perciò lesiva della sua dignità umana’. Sulla nota sentenza e sulla sua riattualizzazione rispetto ai problemi dell’oggi, cfr. DE FRANCESCO, Multiculturalismo e diritto penale nazionale, in Multiculturalismo, diritti umani, pena, a cura di Alessandro Bernardi, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 153 ss. 40 NUVOLONE, Religione e diritto alla vita, in Ind. Pen., 1982, p. 134, riferiva avvedutamente i propri dubbi circa la possibilità di individuare l’elemento propriamente soggettivo del dolo in capo ai genitori del caso Oneda. 41 NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, Cedam, Padova, 1982, pp. 244 ss. 42 v. LA MONACA-AUSANIA-SCASSELLATI SFORZOLINI, Le mutilazioni genitali femminili. Aspetti antropologici, giuridici e medico legali e contributo casistico, in Riv. It. di Med. Legale, 2004, pp.654 ss; GENTILOMO-PIGA-KUSTERMANN, Mutilazioni genitali femminili: la risposta giudiziaria, in Riv. It. di Med. Legale, 2008, pp. 13 ss. 43 Queste caratteristiche emergono anche dalla lettura dell’art. 1 della legge n. 7 (Finalità) ‘1. In attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995 nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, la presente legge detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine.’ e dell’art. 2 della medesima (Attività di promozione e coordinamento) 1. La Presidenza del Consiglio dei ministriDipartimento per le pari opportunità promuove e sostiene, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, il coordinamento delle attività svolte dai Ministeri competenti dirette alla prevenzione, all'assistenza alle vittime e all'eliminazione delle pratiche di mutilazione genitale femminile. 2. Ai fini dello svolgimento delle attività di cui al comma 1, la Presidenza del Consiglio dei ministri34 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Dipartimento per le pari opportunità acquisisce dati e informazioni, a livello nazionale e internazionale, sull'attività svolta per la prevenzione e la repressione e sulle strategie di contrasto programmate o realizzate da altri Stati.’ 44 In questo senso, sotto certi aspetti, la norma giuridica, perlomeno da un punto di vista formale, è più diabolica (cioè separa), piuttosto che simbolica (cioè unisce). 45 Sul punto cfr. CHRISTIANS, La legge civile come simbolo religioso: dalla genealogia della norma alla logistica della stigmatizzazione, pp. 53 ss. in AA.VV., Simbolon/Diabolon. Simboli, Religioni, Diritti nell’Europa multiculturale, Il Mulino, Bologna, 2005. Sull’argomento del c.d. diritto penale simbolico, con il quale «… si incrimina non la lesione ad un bene giuridico, ma un’ideologia, un modello di pensiero, appunto un simbolo; e il fine del diritto penale non è più quello della prevenzione, ma quello di dare un messaggio, di proporre un feticcio, di individuare un nemico obiettivo» v. anche CANESTRARI-CORNACCHIA-DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte generale, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 233. 46 Su questo v. RENTELN, Cultural defense, cit., p. 53 ‘The new laws have been subject to criticism. One mayor problem with the laws criminalizing the tradition is that they drive the practice underground’; ma anche DI PIETRO, Le norme sul divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, in Diritto&Diritti (www.diritto.it), consultato il 23 gennaio 2008, p. 39. 47 Il primo caso risalente al 1997 viene risolto con decreto di archiviazione richiesto dalla Procura della Repubblica di Torino per mancanza di condizioni atte a legittimare l’azione penale poiché l’intervento di escissione sulla minore ordinato dai genitori nigeriani era avvenuto in Nigeria (cfr. VITALONE, Mutilazione genitale femminile e diritti umani, in Giur. di Merito, 2001, p. 867); il secondo, all’attenzione del Tribunale di Milano è stato definito ex art. 444 c.p.p. con l’applicazione della reclusione relativamente mite di due anni al padre che aveva fatto sottoporre in Egitto la figlia ad infibulazione ed il figlio a circoncisione (cfr. AMATO, L’introduzione in Italia di un apposito reato è un’innovazione opportuna ma perfettibile, Guida al Diritto, 5, 2006, p. 23). La sentenza è comunque pubblicata in OLIR, Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose, Rivista telematica, consultata il 21 gennaio 2008, e vale riportare uno stralcio della motivazione “ - rilevato che all’odierna udienza il P.M. e gli imputati hanno chiesto l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nella misura di anni due di reclusione, così determinandola come da prospetto; - considerato che non può essere pronunciata sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. viste le risultanze processuali ed, in particolare, dalle lesioni subite dai due ragazzi e dalla dichiarazione, da ultimo fatta pervenire, nella quale il Dott.(…) dice di avere sottoposto ad infibulazione, che costituisce lesione grave volontaria, la figlia dell’imputato su esplicita richiesta di questi; 35 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com - ritenuta esatta la qualificazione giuridica del fatto contestato e corretta l’applicazione delle circostanze attenuanti come riportato nella richiesta dell’imputato; - ritenuto che la pena determinata dalle parti è congrua valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p.; - rilevato che la sospensione condizionale della pena può essere concessa sussistendo i presupposti di legge e la particolare natura del reato….” 48 Su questo problema cfr. MOLLER OKIN, Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne?, in wifilosofia, sito web italiano per la filosofia, 7 giugno 1999, pp. 3 e ss. 49 Trib. Min. Torino, 21 giugno 1997, in Minori giustizia, 1999, p. 143. 50 Trib. Min. Torino, 17 luglio 1997, in Minori giustizia, 1999, p. 145. 51 Parere di AGATISE, mediatrice culturale, ibidem, pp. 144-145. 52 In particolare cfr. CASTELLANI, Infibulazione ed escissione: fra diritti umani e identità culturale, in Minori giustizia, 1999, p. 141. 53 Si tenga presente il problema della coesistenza, specie nei Paesi africani, di un diritto statuale di derivazione verosimilmente coloniale o post-coloniale con norme di origine consuetudinaria ed ancestrale. Una situazione che dà luogo ad una vera e propria condizione di “pluralismo giuridico”. Sul punto cfr. diffusamente SACCO, Antropologia giuridica, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 75 ss. 54 Sul punto v. NATALINI, Prima condanna per turismo sessuale grazie a un’intervista televisiva, in Guida al Diritto, 49, 2007, p. 68. 55 Una motivazione, per così dire “esterna” potrebbe essere individuata nella sempre più sentita ed attuata necessità della armonizzazione della normativa penale tra Stati, sul punto v. BERNARDI, Modelli penali e società multiculturale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 7. 56 BERNARDI, Modelli penali, cit., p. 5. 57 BERNARDI, Modelli penali, cit., p. 5. 58 Si consideri ad esempio il § 5 dello Strafgesetzbuch che punisce, tra l’altro ed a certe condizioni, il caso di aborto commesso anche all’estero. 59 CAZZANIGA-CATTABENI, Compendio di medicina legale e delle assicurazioni, XII ed., UTET, Torino, 2006, p. 292. 59 bis Così rilevano giustamente GENTILOMO-PIGA-KUSTERMANN, Mutilazioni genitali femminili: la risposta giudiziaria, cit., p. 21. 60 GENTILOMO, Mutilazioni genitali femminili. La risposta giudiziaria e le questioni connesse, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, Rivista telematica, maggio 2007, p. 10 parla, in relazione all’espressione in parola, di grossolanità di approccio. 61 Con l’inconveniente però, come segnalato da GENTILOMO, Mutilazioni genitali femminili. La risposta giudiziaria e le questioni connesse, cit., p. 10, che la disposizione generale dell’art. 583 36 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com prevede al contrario di quella in esame un più variegato ventaglio per la graduazione dell’entità della pena. 62 Anche perché come detto in precedenza le MGF non hanno la funzione di menomare la sessualità, bensì quella di porla sotto simbolico controllo. 63 DI PIETRO, Le norme, cit. p. 20. 64 Menomare, rendere o far apparire più piccolo, più esiguo; danneggiare fisicamente. 65 DUBOLINO, Commentario al Codice Penale, La Tribuna, Piacenza, 2007, p. 1813. 66 TURILLAZZI-NERI, Luci ed ombre, cit. p. 296 ; ZOLO, Infibulazione e circoncisione, in Jura gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, consultato il 21 gennaio 2008. 66 bis Così DE FRANCESCO, Multiculturalismo e diritto penale nazionale, cit., p. 151. 67 Gravità del danno o del pericolo cagionato dalla persona offesa. 68 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 2007, Parte Generale, I, p. 584, “La valutazione di questi elementi (condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, n.d.r.) serve a calcolare l’incidenza dell’ambiente esterno all’interno del processo criminogenetico: la misura di una tale incidenza assume rilevanza sotto più punti di vista. Se ci si pone ad es. nell’ottica della colpevolezza, una forte pressione esterna nella dinamica del fatto farà apparire meno riprovevole l’autore.” Tutto questo detto con la possibilità di accogliere ad applicare se non una cultural defense in senso esimente, una sua accezione nel senso di cultural defense attenuante: su questo, cfr. MONTICELLI, Le cultural defenses (esimenti culturali) e i reati “culturalmente orientati” e possibili divergenze tra pluralismo culturale e sistema penale, in Ind. pen., 2003, p. 570. 69 DOLCINI-MARINUCCI, Codice Penale Commentato, IPSOA, Milano, 2006, p. 3883. 70 DI PIETRO, Le norme, cit., p. 18. 71 DI PIETRO, Le norme, cit., p. 18 che in verità parla delle nozioni della medicina sviluppatasi in Italia ed evidenzia le difficoltà relative alla prova del dolo quando l’agente sia soggettivamente convinto di agire per fini terapeutici. 72 AMATO, L’introduzione, cit. p. 22, riporta che, la stessa medicina occidentale, tra il XVIII e gli anni ’30 del ‘900 consigliava la clitoridectomia allo scopo di prevenire le patologie derivanti dall’abitudine onanistica e praticata anche presso alcuni ospedali psichiatrici. 73 Si pensi ad esempio l’impiego dell’MDMA, soprattutto negli Stati Uniti intorno agli anni ’70, nell’ambito nella c.d. terapia ‘psicolitica’. Su questo cfr. CAMILLA, L’MDMA e le terapie psichedeliche: una prospettiva storica, in Altrove, 1995, 3, p. 91 ss. 74 AMATO, L’introduzione in Italia, cit., p. 23; MORRONE, Usanza che crea danni fisici e psicologici, in Guida al Diritto, 2006, 5, p. 31; DI PIETRO, Le norme, cit., p. 18. Non si deve oltretutto escludere 37 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com l’esigenza terapeutica nell’ambito delle operazioni volte alla rettificazione del sesso di cui alla L. n. 164 del 14 aprile 1982 che, comunque, sarebbero filtrate e valutate dal provvedimento giurisdizionale del Tribunale: in materia cfr. STANZIONE, Transessualità, in Enc. D. Dir., XLIV, 1992, Giuffrè, Milano, pp. 882 – 883. 75 76 MONTICELLI, Le cultural defenses, cit. p. 569. La formulazione originale del testo era la seguente: “Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili, , è punito…”: v. TURILLAZZI-NERI, Luci ed ombre, cit., p. 301. 77 TURILLAZZI-NERI, Luci ed ombre, cit., p. 301; DI PIETRO, Le norme, cit. p. 23. 78 Sul punto BESSONE-FERRANDO, Persona fisica (dir. Priv.), in Enc.D. Dir., XXXIII, 1983, Giuffrè, Milano, pp. 200 e ss. evidenziano come il concetto di persona, superata una visione patrimonialistica e forse pan-pubblicistica, si vada inevitabilmente sviluppando nella direzione di una concezione che privilegia la libertà del singolo; con la conseguenza che il concetto di salute sancito dall’art. 32 Cost. non coincide più strettamente con quello di integrità fisica dell’art. 5 c.c. e con la conclusione che talvolta è proprio l’esigenza del conseguimento della salute personale in senso ampio che rende necessaria una offesa della integrità fisica. Ma cfr. anche PALAZZO, Persona (delitti contro), in Enc. D. Dir., XXXIII, 1983, Giuffrè, Milano, p. 312, il quale pone in luce che per l’ammissibilità degli atti di disposizione del corpo dovrebbe individuarsi un punto di equilibrio che tenga conto del rilievo del vantaggio individuale – soggettivo – ed un principio personalistico costituzionalmente orientato e non coincidente con il mero individualismo od indifferenza per il contesto sociale. 79 Art. 552 – Procurata impotenza alla procreazione – Chiunque compie, su persona dell’uno o dell’altro sesso, col consenso di questa, atti diretti a renderla impotente alla procreazione è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire mille a cinquemila. 80 Cfr. STELLA, La configurabilità della sterilizzazione volontaria come lesione personale gravissima, in Riv. It. Med. Leg., 1979, p. 369. 81 82 Corte d’Appello di Firenze, 6 marzo 1985, in Giur. Di merito, 1986, p. 634. Cfr. in particolare la Relazione Solmi al progetto definitivo del Codice Civile per la quale l’integrità fisica e le proprie diminuzioni non vanno intese in termini meramente anatomici, bensì in chiave funzionale: il divieto riguarderebbe le lesioni che impediscono all’individuo l’assolvimento dei suoi doveri sociali e familiari e che riguardano il valore sociale della persona. Il dato è di AMATO, L’introduzione, cit., p. 29. 38 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 83 DI PIETRO, Le norme, cit., p. 23; BASILE, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Riv. Telematica, Ottobre 2007, p. 55. 84 Sul punto DOLCINI – MARINUCCI, Commentario al Codice penale, cit., p. 3884, in riferimento all’art. 583 bis affermano che ‘I diritti offesi dal fatto tipico del delitto in esame – ovverosia, l’integrità fisica, la salute psico-sessuale, la dignità personale della donna – possono, infatti, essere considerati quali diritti individuali, relativamente disponibili (cioè disponibili nei limiti dell’art. 5 c.c. o, comunque, entro limiti analoghi) e quindi, in quanto tali, teoricamente rientranti nel campo d’applicazione della scriminante del consenso…Il problema è, piuttosto, quello di verificare il rispetto dei limiti, entro i quali tali diritti sono disponibili’. Ma anche DUBOLINO, Commentario al Codice Penale, cit., p. 1814. 85 Con la difficoltà che può sorgere dalla considerazione che, talvolta, alcuni gruppi manifestano contrarietà alle mutilazioni in ambito ospedaliero, specie a causa dell’utilizzo dell’anestesia che attenua la sofferenza ed il dolore che sono considerati condizioni fondamentali per l’efficacia del rito: su questo cfr. DE CARLI, Tra diritto e tradizione, cit., p. 13. In materia PADOVANI, Sterilizzazione, in Enc. D. Dir., XLIII, Giuffrè, Milano,1990, p. 1088, ribadisce che ‘Riducendo la capacità di procreare a bene disponibile della persona, si corre tuttavia il rischio di dover riconoscere la liceità di qualunque intervento, ancorché attuato da un soggetto sprovvisto di una adeguata qualificazione tecnico-professionale, quasi si trattasse di un taglio di capelli o di una operazione di manicure. In realtà ogni intervento destinato ad incidere sulla integrità anatomica assume un intrinseco carattere medico, e deve essere quindi effettuato da persone abilitate e con i mezzi consentanei a tale attività’. 86 Sul punto cfr. le proposte di consenso informato formulate già i primi anni ’80 da RÖGGLA, Osservazioni cliniche ed etnico-culturali in tema di sterilizzazione femminile a scopo anticoncezionale, in Riv. It. Med. Leg., 1982, p. 21. 87 RENTELN, Cultural defense, cit., p. 53 in ambito generale parla della prevedibile diffidenza della vittime rispetto alla presentazione avanti all’Autorità Giudiziaria: ‘It is also probabile that girls will be disinclined to testify in court against their relatives, particulary if the consequence will be the incarceration of their relatives’. 88 Sul concetto di biopolitica cfr. fondamentalmente FOUCAULT, Antologia. L’impazienza della libertà, Feltrinelli, Milano, 2006, pp. 102 – 103 e 105. 88 bis Su questo cfr. GENTILOMO-PIGA-KUSTERMANN, Le mutilazioni genitali femminili: la risposta giudiziaria, cit., pp. 30 ss. 39 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 89 Cass., 24 novembre 1999, n. 3398, in Riv. Pen., 2000, 238 – 239 ‘I principi costituzionali dettati dall’art. 2, attinenti alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (ai quali appartiene indubbiamente quello relativo alla integrità fisica), sia come singolo sia nelle formazioni sociali (e fra di esse è da ascrivere con certezza la famiglia); dall’art. 3, relativi alla pari dignità sociale, alla eguaglianza senza distinzione di sesso e al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana; dagli artt. 29 e 30, concernenti i diritti della famiglia e i doveri verso i figli; costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione di diritto e di fatto nella società civile di consuetudini, prassi, costumi che suonano come barbari a fronte dei risultati ottenuti nel corso dei secoli per realizzare l’affermazione dei diritti inviolabili della persona’…. ‘L’imbarbarimento del diritto e della giurisprudenza, quale si pretende invocando la scriminante di cui all’art. 50 c.p. di fronte a comportamenti lesivi dell’integrità fisica, della personalità individuale, della comunità familiare, trova un insormontabile ostacolo nella normativa giuridica (per non dire nella coscienza sociale) che presiede all’ordinamento vigente’. Per una trattazione che escluda dal reato di cui all’art. 572 c.p. l’operatività della scriminante del consenso dell’avente diritto cfr. MONTICELLI, I reati contro la famiglia, in Trattato diretto da Cadoppi, Canestrari, Papa, UTET, Torino, 2006, pp. 381 ss. Sul caso del consenso dell’avente diritto applicato a determinati diritti personalissimi cfr. CANESTRARICORNACCHIA-DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 526, nella parte in cui ne ammette l’operatività quando lo stesso consenso abbia ad oggetto il verificarsi di lesioni circoscritte ed episodiche dei diritti. 90 In generale, cfr. MANTOVANI, Esercizio del diritto (dir. pen.), in Enc. D. Dir., XV, Giuffrè, Milano, 1966, p. 671. 91 CARDIA, Religione (libertà di), cit., p. 932. 92 Qui inteso, grosso modo, come diritto alla educazione dei figli alla religione. 93 Cfr. Gen. 17, 9 – 14; Lev. 12, 3: ‘L’ottavo giorno si circonciderà il bambino’. 94 Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’unione delle Comunità Ebraiche italiane. 95 ‘…esercitare in privato il culto o i riti’. 96 ‘Conservano la personalità giuridica i seguenti enti aventi finalità di culto… f) … ospedale Settimio Saadun – Firenze.’ 97 ‘L’attività di religione e di culto della Unione… si svolge a norma dello Statuto dell’ebraismo italiano’. 98 ‘La Repubblica italiana prende atto che secondo la tradizione ebraica le esigenze religiose comprendono quelle di culto, assistenziali e culturali.’ 99 Cfr. GALIMBERTI, Circoncisione, cit. p. 169. 40 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 100 2. La circoncisione femminile. Con questa espressione riassuntiva si fa riferimento a tre forme di mutilazione sessuale femminile, di diversa e progressiva gravità e invasività, la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione, tutte obiettivamente finalizzate a impedire l'orgasmo femminile durante l'atto sessuale e quindi ad alterare definitivamente, e in peius, l'esercizio della sessualità da parte della donna. Tali pratiche si riscontrano tuttora nell' Africa islamica, e in particolare nelle nazioni sub-sahariane, in Arabia, nelle Filippine, in Malaysia, in Pakistan e in Indonesia, sempre comunque in stretta connessione con la pratica della fede islamica; esse però non appaiono in tutti i paesi islamici, non avendo alcun fondamento coranico (si può anzi fondatamente presumere che le popolazioni che le praticano le derivino da culture precedenti alla loro islamizzazione). Per quanto molto antiche e radicate, le diverse pratiche di circoncisione femminile non sembrano rivestire alcun carattere propriamente religioso, né possono avere alcuna giustificazione dal punto di vista igienico e sanitario; esse peraltro sono giustificate, dalle popolazioni che le pongono in essere, con argomentazioni di tipo tradizionale (un esplicito tabù proibirebbe agli uomini di sposare donne non circoncise) o culturale (la circoncisione radicherebbe la sessualità femminile esclusivamente nella procreazione e favorirebbe così la difesa della castità coniugale, togliendo alla donna un istinto ritenuto in essa da reprimere, come quello del piacere sessuale). I vistosi fenomeni di immigrazione dall'Africa nel nostro paese, così come in altri paesi europei, che si sono moltiplicati in questi ultimi anni, ci hanno fatto prendere coscienza della diffusione di questa pratica, finora ben poco nota, e che crea evidentemente immensi problemi bioetici, anche perché essa è in genere non solo accettata, ma richiesta ed esigita dalle adolescenti che appartengono alle etnie nelle quali essa è comunemente posta in essere. Il CNB è ben consapevole del rispetto che è doveroso prestare alla pluralità delle culture, anche quando queste si manifestino in forme estremamente lontane da quelle della tradizione occidentale, e del gran valore del giusto confronto con la diversità culturale, che è oggetto di continuo studio. Ritiene non di meno - e consapevolmente contro il parere di pur illustri antropologi - che nessun rispetto sia dovuto a pratiche, ancorché ancestrali, volte non solo a mutilare irreversibilmente le persone, ma soprattutto ad alterarne violentemente l'identità psicofisica, quando ciò non trovi una inequivocabile giustificazione nello stretto interesse della salute della persona in questione. E' evidente che le pratiche di circoncisione femminile non sono poste in essere per ovviare a problemi di salute né fisica, né psichica delle donne che le subiscono, anzi esse comportano gravi conseguenze negative sulla salute delle donne che ad esse vengono sottoposte. Il CNB non può quindi che ritenerle eticamente inammissibili sotto ogni profilo ed auspicare che vengano esplicitamente combattute e proscritte, anche con l'introduzione di nuove, specifiche norme di carattere penale.’ 41 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 101 ‘Tale procedura… (la puntura simbolica n.d.r.), comunque deve essere intesa come parte integrante di un percorso volto al superamento di ogni forma di mutilazione e manipolazione dei genitali femminili’. 102 103 MANTOVANI, Esercizio del diritto (dir. pen.), cit., p. 676. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit. p. 62 che individuano la possibilità di trovare nella fattispecie dell’errore di fatto una cultural defense. 104 L’imputato originario del Laos, ed appartenente alla comunità Hmong, era accusato di sequestro di persona di e violenza sessuale sulla fidanzata: secondo la tradizione laotiana è ammesso che gli uomini possano ricorrere a tali modalità violente di relazione e di rapporto intimo allo scopo di contrarre successivamente il matrimonio; sempre secondo la tradizione la donna oppone una resistenza di maniera che le parti sanno essere fittizia. Sul punto v. RUNTELN, Cultural defenses, cit., p.126 ‘There have been manny reports of marriage by capture, or zij pojniam, among the Hmaong communities in California, Colorado, Minnesota, and Wisconsin. After a Hmong man and woman exchange gifts, on a certain nights, the man carries the woman off from her parent’s home. In order to prove that she is virtous, she is supposed to engage in a ritualised protes, cryng “no, no, no; I’m not ready”, even if she, in fact, wants to marry the man. The man to demonstrate his virility, has has to forciblytake the woman.’, ma v. anche MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., pp. 543, 558-559. 105 DE CARLI, Tra diritto e tradizione, cit., p.13. 106 1. Allo scopo di prevenire e contrastare le pratiche di cui all'articolo 583-bis del codice penale, il Ministro per le pari opportunità, d'intesa con i Ministri della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del lavoro e delle politiche sociali, degli affari esteri e dell'interno e con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, predispone appositi programmi diretti a: a) predisporre campagne informative rivolte agli immigrati dai Paesi in cui sono effettuate le pratiche di cui all'articolo 583-bis del codice penale, al momento della concessione del visto presso i consolati italiani e del loro arrivo alle frontiere italiane, dirette a diffondere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona, in particolare delle donne e delle bambine, e del divieto vigente in Italia delle pratiche di mutilazione genitale femminile; b) promuovere iniziative di sensibilizzazione, con la partecipazione delle organizzazioni di volontariato, delle organizzazioni no profit, delle strutture sanitarie, in particolare dei centri riconosciuti di eccellenza dall'Organizzazione mondiale della sanità, e con le comunità di immigrati provenienti dai Paesi dove sono praticate le mutilazioni genitali femminili per sviluppare 42 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com l'integrazione socio-culturale nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, in particolare delle donne e delle bambine; c) organizzare corsi di informazione per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati ad una corretta preparazione al parto; d) promuovere appositi programmi di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole dell'obbligo, anche avvalendosi di figure di riconosciuta esperienza nel campo della mediazione culturale, per aiutarli a prevenire le mutilazioni genitali femminili, con il coinvolgimento dei genitori delle bambine e dei bambini immigrati, e per diffondere in classe la conoscenza dei diritti delle donne e delle bambine; e) promuovere presso le strutture sanitarie e i servizi sociali il monitoraggio dei casi pregressi già noti e rilevati localmente. 2. Per l'attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2005. 107 DE CARLI, Tra diritto e tradizione, cit., p. 19. 108 AMATO, L’introduzione in Italia, cit. pp. 21 –22. 109 Sulla distinzione già nota in dottrina cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pp. 392-393 i quali ribadiscono l’ambiguo e superabile concetto in base al quale i delitti ‘naturali’ siano quelli ‘lesivi di valori etico-sociali tutelati in quasi tutte le legislazioni storiche’ e quelli artificiali che sono ‘tali per volontà del legislatore, senza che ad essi preesista una corrispondente e diffusa disapprovazione sociale’. 110 Cass. Pen., 8 gennaio 2002, in Dir. pen. proc., 2003, p. 285 ‘La Corte ha perciò ritenuto pienamente integrato il dolo richiesto dall’art. 572 c.p., stante l’obbligo per l’imputato di conoscere ai sensi dell’art. 5 c.p., il divieto imposto dalla legge di comportamenti lesivi da lui posti in essere, quale che possa essere stata la valutazione della propria condotta (eventualmente ritenuta innocua o socialmente utile)’. 111 Cfr. MONTICELLI, I reati contro la famiglia, cit., pp. 395 ss. 112 Sul punto cfr. BERNARDi, Modelli penali, cit., p. 125. 113 Cfr. ad esempio: Cass. Pen., 14 novembre 1994, in Riv. Pen., 1995, ‘Ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., i particolari motivi morali e sociali sono solo quelli che traggono origine da valori avvertiti dalla prevalente coscienza collettiva che non si identificano con quelli radicati nel ristretto ambiente di alcuni strati sociali in particolari aree geografiche.’ Cass. Pen., 29 febbraio 1988, in Riv. Pen., 1990, 285: ‘L'attenuante di cui all'art. 62, n. 1, c. p. richiede che l'azione criminosa sia nell'intenzione dell'agente diretta ad eliminare una situazione, effettivamente esistente, ritenuta immorale o antisociale ed inoltre che tale movente sia 43 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com oggettivamente conforme alla morale ed ai costumi del tempo e del luogo del commesso reato.’ Cass. Pen., 3 novembre 1986, in Riv. Pen., 1988, 300 ‘L'attenuante di cui all'art. 62, n. 1,. c. p. si realizza allorché il soggetto abbia agito per raggiungere uno scopo nobile, conformemente alla morale del tempo e del luogo…’ 114 MALINVERNI, Circostanze del reato, in Enc.D.Dir., VII, Giuffrè, Milano, 1960, pp. 86 – 87. 115 PALAZZO, Obiezione di coscienza, cit., p. 550 ‘Invece, se si muove dalla più esatta premessa che sono di particolare valore morale e sociale i motivi che, nella generalità dei casi, determinano azioni di valore assolutamente positivo per la comunità e cioè molto utili per il bene comune, pare difficile negare che il sistema morale, religioso o filosofico cui s’ispira solitamente l’obiettore conduca normalmente – e prescindendo ovviamente dal singolo episodio criminoso – al compimento di azioni socialmente utili.’E’ MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, Padova, 2001, p. 428 a parlare del riconoscimento, contro l’opinione tradizionale, della attenuante di cui all’art. 62, 1 c.p. al caso della autentica obiezione di coscienza. 116 Come perlomeno lascia intuire BELLOTTO, Il particolare valore morale della disperazione, in Giust. Pen., 1993, p. 217: ‘Ma non si può non considerare,a questo proposito, quanto si andava dicendo… in relazione alla struttura pluralistica del nostro sistema costituzionale: gli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 19, 20, 21 non solo prevedono il riconoscimento delle realtà locali e delle minoranze culturali e religiose, ma fanno riferimento ad esse come ad un patrimonio umano da tutelare. Appare quindi corretto fare riferimento alla morale ed ai costumi del tempo e del luogo del commesso reato, proprio perché la ratio dell’art. 62 n. 1 impone di dare rilevanza giuridica proprio alla solidarietà proveniente dall’ambiente di appartenenza che ha indotto nel reo un minor senso di riprovevolezza nei confronti della violazione…’ 117 Sulle difese culturali attenuanti nel diritto degli Stati Uniti cfr. RENTELN, Cultural defense, cit., p. 191. 118 Per qualche suggestione sulla mentalità primitiva o non civilizzata cfr. JUNG, L’uomo arcaico, pp. 124 ss.e CASSIRER, Spazio tempo e causalità magiche, pp. 87 ss., in DE MARTINO, Magia e Civiltà, cit. 119 1 Su questo v. BETTIOL, Diritto penale, Padova, Cedam, 1976, p. 463. 20 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 404, n. 157. 121 Sarebbe forse il caso di rivalutare, in modo distaccato ma non troppo critico, una risalente pronuncia di merito del Tribunale di Bologna, riportata dal BETTIOL, Diritto penale, cit., p. 464, nota (373) per la quale ‘occorre che la sua volontà (dell’agente n.d.r.) si sia potuta determinare normalmente all’azione: tale determinazione non si può richiedere quando le condizioni di fatto nelle quali l’individuo opera sono tali da rendere impossibile o molto difficile la formazione di un 44 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com volere immune da difetti, posto che in tale ipotesi – date le condizioni dell’operare – non si può esigere dal soggetto agente un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto’. 122 MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., p. 547. 123 MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., p. 547. 124 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 62 fanno riferimento alla non esigibilità proprio per quanto riguarda i reati etnicamente orientati. In effetti, forse come scappatoia, la giurisprudenza statunitense talvolta ha giudicato come vi fosse una sorta di carenza della suitas, a fronte di una cultural defense: cfr. MONTICELLI, Le cultural defenses, cit., p. 548. 125 MANTOVANI, Diritto penale, cit. pp.375 – 376. Più di recente CANESTRARI-CORNACCHIA-DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 642 per i quali, una clausola di non esigibilità non predeterminata ed atipica, condurrebbe, non solo ad arbitri, ma anche a gravi ed irragionevoli disparità di trattamento tra imputati. 126 Ne fanno riferimento FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 62. 127 Per la complessità dei motivi che si trovano alla base del gesto, inteso come suicidio fondato su motivi culturali nipponici, cfr. YOSHITOMO TAKAHASHI, m.d., DOUGLAS BERGER, m.d., Cultural Dynamics and the unconscius in suicide in Japan, in http://www.japanpsychiatrist.com/Abstracts/Shinju.html, che proprio riferisce il caso trattato nell’aula di giustizia americana. 128 This mother had attempted oyako-shimju about a week after discovering that her husband had been having a secret extramarital affair for years, leaving her depressed and ruminating about suicide. The reason for her despair were personal, and although maladaptive, the method she chose to resolve it was cultural, and very Japanese. Although she had lived in the Uninited States for 14 years, she remained Japanese in her thinking and life style, isolated from American culture. She did not drive, spoke little English, knew nothing of her husband’s businnes, and had no hobbies or close friends outside the family. In other words, she was virtually without any kind of support system wich might have sustained her in time pf emotional distress. Social supports have also been found to be important for preventing suicide in Western society.’ YOSHITOMO TAKAHASHI, m.d., DOUGLAS BERGER, m.d., Cultural Dynamics , cit. 129 Cfr. RENTELN, Cultural Defense, cit., p. 25 che fa riferimento all’accordo di sei psichiatri sulla diagnosi di infermità mentale. Così anche MONTICELLI, Le Cultural defenses, cit., p. 550. 130 RENTELN, Cultural Defense, cit., p. 24-25. 131 RENTELN, Cultural Defense, cit., p. 26: dove l’ambito di riferimento non era oltretutto esotico come nel caso Kimura, ma era riferito a usi e modalità di comportamento e reazione diffusi in Grecia. 45 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 132 Su questo cfr. DE MARTINO, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino, 1977, p. 153. 133 Sul punto v. le pagine suggestive di DE MARTINO, Il mondo magico. Prolegomeni ad una storia del magismo, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 70 ss. Ma si consideri anche FORNARI, Trattato di psichiatria forense, UTET, Torino, 2004, p. 482 ‘Di fronte ad uno o più dei fattori disgreganti o anomizzanti che possono condurre ad una crisi di identità nel singolo o nel gruppo, uno dei meccanismi di compenso maggiormente utilizzati, anche perché più antico e carico di quel potere e quel fascino che è proprio dell’occulto, è costituito dal recupero del rituale e del mitologico’. 134 Qui, per fenomenologia, si intende la connessione prevalentemente ad un metodo euristico di carattere descrittivo: sul punto cfr. GALIMBERTI, Fenomenologia, in Diz. di Psicologia, cit., pp. 397398. 135 Per questa prospettiva cfr. CONTENTO, Corso di diritto penale, cit., p. 219. 136 FORNARI, Trattato, cit., p. 482 ‘Si deve infatti stare bene in guardia dall’interpretare – tout court – alla luce della psichiatria credenze, culti, riti e tradizioni’. 137 HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Milano, Bompiani, 2006, sez. III, II, § 100 ‘La lesione che s’abbatte sul delinquente è non soltanto giusta in sé – in quanto giusta, essa è a un tempo la volontà essente-in sé del delinquente stesso, è un’esistenza della sua libertà, è un suo diritto -, ma è anche un diritto posto nel delinquente, cioè nella sua volontà esistente, nella sua azione.’ § 101 ‘La volontà del delinquente nella sua azione come vera base giuridica e l’onore del delinquente nella pena. – Inoltre, ciò che lo Stato deve far valere non è soltanto il concetto del delitto, cioè il suo aspetto razionale in sé e per sé, con o senza il consenso dei singoli; nell’azione del delinquente infatti è insita la razionalità formale, cioè il volere del singolo: è da questo lato che la pena viene considerata come il diritto proprio del delinquente stesso, e qui viene onorato come essere razionale.’ 138 Su questo FORNARI, Trattato, cit., p. 482 ‘Nel secondo caso (malattia nostalgica o veri e propri episodi psicotici), entrano in gioco primariamente manifestazioni depressive reattive caratterizzate da pessimismo, ansia, apatia, preoccupazioni ipocondriache, idee rivendicative e ostili contro l’ambiente ospitante. Può svilupparsi, in un secondo tempo, un sistema delirante con idee di persecuzione, di riferimento, di nocumento, di gelosia e altro (psicosi paranoide); a ciò può conseguire un uso patologico dei contenuti culturali o superstiziosi d’origine che sfocia in un quadro complesso in cui – a livello psichiatrico – predomina da un lato la depressione, dall’altro la tematica paranoie, mentre, a livello comportamentale si possono registrare condotte auto- o eteroaggressive’. 46 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 139 Su questo v. DE MARTINO, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 15 ‘…la fascinazione… Con questo termine si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta , che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta’. 47 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com