Leggi tutto - Opera Omnia di Giacomo B. Contri

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11 MAGGIO 1996
13° LEZIONE
SESSUALITÀ, VERGINITÀ E TALENTO NEGATIVO
GIACOMO B. CONTRI
RAFFAELLA COLOMBO
É una domanda che riguarda l’errore. Mi sembra che attorno al 9 marzo avevo annotato queste due
affermazioni: l’errore non è la sessualità; la sessualità è un errore.
La questione che pongo è questa: se la sessualità rappresenta tutto l’errore, fa da parte per il tutto, ma non è
essa l’errore, allora qual è l’errore?
Già due o tre anni fa abbiamo introdotto questo concetto, ossia l’esistenza di un errore, ma in quel momento
l’errore era la sessualità. Questa è una precisazione ulteriore: essendo la sessualità il punto di applicazione di
ogni errore, anzi dell’errore, qual è questo errore?
GIACOMO B. CONTRI
Grazie, perché questo ci aiuta primariamente, non secondariamente, a capire oggi e a capire il senso
di tutto quello che facciamo. Il nostro intendere è proposto.
Serve leggere i giornali e spero di qui a poco di farne noi stessi, a partire da quando fra breve saremo in
grado di fare una rivista, diretta da Cristina Musetti che sarà intitolata Child e si occuperà non tanto del
bambino, quanto avrà il bambino come un punto di vista. Quando dicevo dei giornali, lo dicevo perché basta
aprire il supplemento del Corriere della Sera di oggi, e l’altro supplemento Io Donna, per ritrovare in
direzione o patologica o francamente opposta a ciò che andiamo dicendo. Uno sulla medicina e l’altro un
tam-tam sulla verginità che è di tutti in questi tempi, in special modo in questo numero di Io Donna.
Sulla medicina: la medicina è una delle parole importanti che abbiamo ripreso ed esaminate. Non
tanto diciamo una cosa piuttosto che un’altra sulla medicina, quanto proprio l’altro giorno mi capitava di
partire, ripartire riguardo alla medicina da un interrogativo: se la medicina abbia un futuro:
In questo secolo sono state la fisica e la chimica a determinare il destino della società, ma nel prossimo
secolo la responsabilità tornerà alle nuove conoscenze bio-mediche.
Anche i fisici hanno cominciato a dubitare dell’esistenza attuale della fisica, come scrivo in un articolo
recente su Tracce a riguardo alle storie di scienze moderne, che riguardo ad esse stiamo già raschiando il
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Testo non rivisto dall’Autore
CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 1995-1996
«UNIVERSITÀ», RI-CAPITOLARE
fondo del barile. Il quesito riguardo alla fisica, diventa se la fisica ha un futuro. Guarda caso, ormai da tutte
le parti non si dice che la scienza trainante è la biologia, ma le conoscenze “bio-mediche”, che puzza di “bioetiche”: per poter immaginare che la scienza biologica abbia un futuro bisogna avere già variato in “bioetica”.
Volevo fare osservare che siamo all’avanguardia: siamo noi che abbiamo cominciato a parlare della
verginità: qui si dice esattamente il contrario. Ma lo dico anche per qualcuno che aveva avuto il dubbio se
chissà se facevamo bene a introdurre termini come questi: “non puzzeranno di parrocchia?”. Non ha mai
puzzato di parrocchia la parola che abbiamo usato.
La verginità è una scelta per… , è una rivoluzione culturale. (…) É la specializzazione più ambita dai
nuovi architetti del … sociale. La verginità ha preso una strada propria.
Ma subito dopo, con l’ottima occasione di una celebratissima Liv Tyler in Io ballo da sola — che cosa vuol
dire ballo da sola? È un’obiezione all’altro. È scritto: Io ballo da sola significa un principio di obiezione
all’Altro come legge del proprio moto. È l’obiezione sistematica fatta all’universo quanto alla definizione
morale.
Poi c’è una testimonianza di una sartina non meglio individuata di Macerata. Conosco molti preti che se
leggessero questa testimonianza sarebbero contenti, anzicché rivoltarsi.
Ho 20 anni. Da sei mesi sto con un mio coetaneo.
E fin qui tutti i miei auguri. E invece il prete direbbe: «Ma come! Sta con un suo coetaneo!»
Siamo molto felici insieme, ma non abbiamo ancora fatto l’amore.
Qui comincio a insospettirmi.
E lui non esiste più di tanto…
Cretino! Che cosa c’entra in 6° comandamento col non esistere più di tanto? Non c’entra niente.
Dice di voler rispettare i miei desideri…
Bis-cretino!
Io sono vergine…
É un falso in atto pubblico.
Sinceramente sto bene così.
Mente! Come quando ieri sera alla Scuola Pratica, a proposito delle emozioni dicevo: esistono le emozioni
finte: siamo tutti allegri insieme, è il giorno dell’allegria, la gioia millantata.
Noi abbiamo detto che la legge è quella di ciò che abbiamo chiamato la legge del talento negativo:
non avere alcuna obiezione, non all’Altro, ma a tutto ciò che di beneficio può venirmene come fonte.
L’obiezione è all’essere destinatario del beneficio di ritorno che mi viene dall’averlo messo in moto. La
legge di moto è una legge che mette in moto l’Altro — nell’economia tradizionale si direbbe le risorse —
affinché il beneficio mi venga. La vetusta parola amore non ha altro significato se non quella di una legge
per cui dall’Altro, come fonte, deriva il mio beneficio. Una delle formule più odiose e più odianti è la frase
“Ti amo con disinteresse”, ossia senza interesse personale, senza — alla lettera — tornaconto. È impossibile
che abbiate sentito una predica in Chiesa che non vi dica esattamente l’opposto: che non dovete pensare al
vostro tornaconto. Sono andati tutti a scuola da Kant.
Quanto appena detto ricade sulla concezione della medicina per la concezione della salute, in tutti i
significati di questa parola, come economia e come economia del profitto, del tornaconto.
L’accento è più sul primo pezzo della parola composta, torna-conto, sul torna e meno sulla contabilità, stante
che è una parola composta in cui non sono i componenti a dare significato del composto, si può anche tenere
la parola tornaconto, perché non è una parola che accenna tanto alla contabilità. È piuttosto sinonimo di
profitto.
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Questo è vantaggioso all’esaltazione e concezione universale della parola appuntamento, ossia come
designante non solo i casi particolari di appuntamento, ma come designante tutto ciò che è relazione con
l’Altro; prendete la parola appuntamento come sinonimo di obbligazione. L’appuntamento è anche sinonimo
di tornaconto. Il tornaconto ha inizio a partire dal momento in cui tornano i conti, ossia in cui si va ambedue
all’appuntamento.
Si potrebbero fare tutte le estensioni del tornaconto come sinonimo di obbligazione: il corpo è un tornaconto
riuscito. Possiamo parlare di corpo attraverso il giro dell’Altro e il giro dell’Altro avviene per una elementare
legge di non obiezione al profitto che provocato da me stesso via domanda ne posso ricavare. Io ballo da
sola è il manifesto dell’obiezione a questo beneficio, all’amore. A maggior ragione, brutale, violento se il
sola è rappresentato dalla bella Liv Tyler: è ancora più brutale. Qui siamo di fronte al modello stesso della
violenza carnale, della violenza al corpo.
Noi abbiamo detto nella nostra formula che la nostra legge non è la verginità, ma è quella del talento
negativo; la verginità è la rappresentazione della legge del talento negativo applicata ai sessi. L’errore è
l’errore nei confronti del talento negativo. È il talento negativo a fare universo. Ma la rappresentanza di tutto
il talento negativo viene ad essere presa dai sessi. La nostra condizione umana è tale che la rappresentanza di
tutta la legge di relazione di beneficio con l’universo — come si dice che il Parlamento rappresenta — è tutta
assunta dai sessi.
A questo punto la verginità, ossia il principio di non obiezione applicato ai sessi, è ciò che fa umano
l’umano. L’errore è l’errore nei confronti di questa legge di beneficio. È la verità stessa a definirsi in
rapporto alla legge di beneficio.
La sessualità non è l’errore, ma assume la rappresentanza di tutti gli errori reali e possibili.
Il talento negativo è il manifesto della nostra università, anzi non della nostra, ma dell’università posto che
ce ne sia una o che ce ne possa essere una.
Dicevo l’altra volta che fate bene a venire qui o a continuare a venire qui se avete il sentimento, il senso, la
sensazione al momento di stare partecipando a una università che si costruisce e che non esiste e che esiste
sempre meno da ogni parte. Avrei voluto oggi distribuire copie dell’articolo sull’università che ho scritto su
Tracce. Lo suggerisco come parte del nostro insegnamento.
A questo punto è la verità stessa ad assumere la rappresentanza dell’universo e della sua università, rispetto a
ciascuno, secondo la sua facoltà e apprezzamento personale del proprio interesse o tornaconto.
È anche per questo che le ore che il nostro Studium organizza settimanalmente sono pochissime: se
vi fa tornaconto rendete simpatico, partecipante a quello che promuoviamo, il lavoro che già fate ovunque lo
facciate. Se non avessimo le aule, non abbiamo bisogno di nessuna aula. Dopo tutto ognuno di noi ha una
casa. Insegniamo dalla posizione del guadagno, del profitto. Non ha nulla a che vedere con una qualsivoglia
concezione del sacrificio come astensione o astinenza da alcunché e in particolare dalla vita dei sessi.
Raccomandiamo una sola astinenza o astensione, che è l’astensione o l’astinenza dall’avere principio di
obiezione ad alcun ché. L’esperienza osservabile, narrabile, descrivibile, ci dice che abbiamo ragione a
trattare questa astensione o astinenza dall’avere obiezione al proprio guadagno via l’altro, abbiamo ragione a
dire che suona sacrificio e duro per tutti. Nella misura dell’errore e della patologia si è pronti a tutti i
sacrifici, eccetto che a sacrificare ciò che ostacola allo scopo di non dovere più fare nessun sacrificio.
L’umanità è professionisticamente impiegata, ventiquattr’ore al giorno, a fare sacrifici pur di non fare l’unico
sacrificio che è quello che li elimina tutti. Lo si vede in una concezione della propria esistenza delle
ventiquattro ore come concezione da costi e benefici: è stato Pietro R. Cavalleri ieri sera molto preciso su
questo punto.
Nell’articolo Università su Tracce concludevo:
Se un’università fosse…
perché che l’università abbia cessato di esistere è una cosa che già si dice in tutti i cantoni: si sfonda una
porta aperta.
Se l’università fosse, sarebbe l’università di una scienza con-forme al detto verum et bonum
convertuntur: vero e bene soggettivamente con-venienti e oggettivamente convenienti.
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Il trattino in questo caso non è un vezzo: vuol dire che vengono all’appuntamento. Quindi redditizi.
Chiunque parli di verità dissociata, anche solo dislocata, rispetto a redditività, qualsiasi cosa di vero dica,
dice il falso. La sola separazione, nei discorsi, nella chiacchiera, per non dire in una docenza ufficiale, in cui
magari si fa un corso sulla verità, una lezione riguardo alla verità, per essere certi — da un lato
empiricamente e sensibilmente, e dall’altro deduttivamente certi che c’è un falso proprio del dire intorno alla
verità — il test è l’osservazione dell’essere in opera una distinzione, una separazione verità e redditività,
quale che sia il contenuto del reddito. Non c’è verità senza convenienza. Perciò non si venga a parlare di
martiri della verità; accetto l’idea di martiri della verità se coincide con martiri della convenienza.
Il senso di questi ultimi incontri è di aprire o riaprire o riprecisare cenni, domande, questioni, in
ordine simultaneamente a concludere quest’anno e ad aprire il nuovo.
Ciò comporta una Università tale che:
1. Ogni sua Facoltà sia intrinsecamente facoltà di psicologia: non perché vi si insegna “Psicologia”,
noi diciamo che non esiste “la Psicologia” o, con una formula che una volta si applicava alla proprietà, “la
psicologia è un furto ai danni dell’umanità”; noi non insegniamo un’altra Psicologia. La psicologia esiste
come competenza individuale; esiste la Psicopatologia, anche come disciplina.
ma perché vi si impara che “psicologia” è soltanto un nome della competenza personale a produrre
il giudizio “ciò è buono” (o non buono) applicato a alcunché;
dove “alcunché” implica anche la coppia astratto-concreto.
2. Ogni sua Facoltà sia intrinsecamente facoltà di economia, non perché vi si insegna “Economia”, ma
perché vi si impara che c’è “economia” quando cada la distinzione tra “bene” astratto, e beneficio o
guadagno o profitto. Il discredito in cui sono caduti Dio e la moralità discende da questa distinzione:
inganno del Nemico;
come questa storia sul giornale oggi: dov’è la moralità? Nel fatto che non scopa? Non esiste alcuna moralità
in questa faccenda. Anzi, è immorale. Questo è un manifesto dell’immoralità. Se fossi prete direi la stessa
cosa dal pulpito.
3. E allora tale che ogni sua Facoltà sia intrinsecamente facoltà di verificazione non anzitutto rispetto
al “falso” di una teoria scientifica errata,
e non mi trattengo sui dibattiti, alcuni noti, alcuni non noti, fra verificazione, falsificazione, che in ogni caso
è un dibattito da bei o brutti tempi andati, con tutto che Antiseri faccia il popperiano… Il gettito di teorie
scientifiche errate o non errate ai nostri giorni è bassissimo: più che stare a dibattere se si tratti oggi di
verificare o falsificare teorie scientifiche, in ogni caso ha poco campo di applicazione. La situazione delle
scienze oggi è che l’arrosto su cui mettere i denti è pochissimo, a livello di produzione o come generazione
fatta dalla scienza degli ultimi decenni.
bensì all’inganno
Il vero/falso è quello di un falso che è un inganno.
che ferisce ognuno come tutti. Il risultato della ferita è diseconomico: la miseria, tanto psichica
quanto materiale.
Non ci sono due miserie: la miseria è tanto psichica quanto materiale. Non avevo ancora 17 anni che ce
l’avevo con i moralisti, con i preti che facevano la distinzione fra dolore fisico e dolore morale. Mi sembrava
un insulto, un’ingiustizia. Ed è un’ingiustizia.
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Una Università fatta per verificare che non ci mettano nel… sacco.
E poi c’è una cosa che può servire, stante che chi ci ospita è l’Università Cattolica:
In Italia circa settanta anni da (e prima a Lovanio), quando l’Università più o meno esisteva, i cattolici
ne facevano una distinta come Cattolica? Oggi si tratta solo di fare una Università che ancora non
esiste. Come fare l’Universo: non si tratta di conoscerlo bensì, prima, di farlo.
Abbiamo sempre detto che la legge così come la disegniamo, illustriamo e proponiamo è
un’operazione avente come opera, come prodotto finito — e in questo caso sarebbe un prodotto infinito —
l’universo.
La fabbrica della nostra legge ha come prodotto l’universo. L’universo non è: è operabile, operando.
Prima che Ambrogio Ballabio inizi per dare meglio il sapore che si tratta di pullulare di questioni di
ogni genere e specie, mi metto a dire qualcosa a una di quelle ricevute. È una domanda ben posta perché
prende nota di qualcosa che abbiamo detto recentemente perché ci siamo arrivati solo recentemente: se
l’alternativa non è più fra perdono e vendetta, ma tra sanzione e vendetta, allora che cos’è il perdono? Si
chiede se sia un supplemento alla sanzione.
In effetti sono i nostri stessi testi, negli anni, a mostrare che ancora alcuni anni fa dicevamo un errore.
Bisogna stare attenti: ci sono errori che sono tali non perché sono commessi, ma perché consistono nel non
avere ancora individuato un errore che ci è stato trasmesso. Nel commettere quel tale errore ci si limita a
stare nuotando in un mare inquinato e non ci si è ancora accorti dell’inquinamento. Era l’errore consistente
nell’ammettere che la vendetta è un caso di sanzione; magari una sanzione di una certa specie piuttosto che
di un’altra. Ma che il vendicativo sia come io avevo accettato di pensare leggendo Perelman molti anni fa
che diceva che la vendetta è una regola di giustizia. Questo è pur sempre dire che la vendetta è pur sempre un
caso di sanzione. Ancora nel Lexikon psicoanalitico e Enciclopedia allorché ci si esprimeva scrivendo che
c’è un inconscio sanzionatorio ovvero vendicativo, si era ancora dentro questo errore. Ancora non lo si era
riconosciuto.
Allora la vendetta non è sanzione. Allora che cosa è il perdono?
Per arrivarci si tratta di cogliere qual è la prima sanzione. C’è una prima sanzione che coincide con il primo
pezzo della frase Allattandomi mia madre…: la prima sanzione è l’essermi stata imputata la soddisfazione
senza alcun merito di me neonato. Può capitarmi anche da adulto. Il trattare qualcuno come soddisfacibile,
piccino o grande che sia, e noi diciamo che trattare qualcuno e trattarlo come soddisfacibile, ossia trattarlo
come corpo, è trattarlo come sanzionabile: ti imputo la soddisfazione. La rivelazione cristiana dice “per i
meriti di Cristo”, cioè esattamente ciò che succede nella prima parte della nostra frase. Dire “la salvezza per
i meriti di un Altro” è precisamente una applicazione venuta in mente a Dio di questa legge. È il trattare
come sanzionabile e come soddisfacibile senza che ancora vi siano da parte del destinatario, così trattato, le
azioni da imputare. Il bambino non ha compiuto alcuna azione per essere imputato della soddisfazione. Ma
allattandomi mia madre… significa trattare quella res che è il bambino, che non è né imputabile né non
imputabile, non sta pre-scritto da nessuna parte che il bambino necessariamente sarà trattato così. Gli
handicappati più precoci o la psicopatologia più precoce sta lì a dimostrarci che è realmente possibile che il
bambino non sia trattato secondo la donazione di questa imputazione, secondo il bonifico di questa
imputazione. Cosa c’entra con il perdono? In fondo la sola obiezione che si possa fare alla parola perdono è
che l’idea di perdono non esiste e dunque la parola perdono è una parola priva di significato.
Il dibattito sul perdonare o non perdonare è un dibattito mal impostato; il dibattito può solo essere se questa
parola designa qualcosa o non designa niente. Così come quell’altro dibattito piuttosto vivace su quel mezzo
putiferio suscitato dal Rabbino Toaf a proposito di come trattate Priebke. Allora la comunità ebraica si
solleva dicendo che non bisogna perdonare, che il tema del perdono per la cultura ebraica negli ultimi
decenni è stato importantissimo, che non bisogna perdonare. Il punto è che l’espressione “bisogna o no
perdonare”, “si deve o no perdonare” è questa questione che è fasulla, che non si può neanche porre. Perché
perdonare non è un dovere. Se è, è una facoltà. Uno che può perdonare si può letteralmente qualificare come
onnipotente. È la facoltà dell’onnipotenza. O come quella della potenza.
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Logicamente è priva di significato l’espressione “dovere perdonare”. Si potrebbe dire come di uno che ha
una bella auto: “beato lui che può”. Forse c’è un potere perdonare, ma non si dà il caso del dovere.
Perdonare è quel trattamento — dunque reale — che senza in sé implicare, o ancora implicare, il
minimo sconto di pena, o annullamento di pena, è quel trattamento che tratta un soggetto riportandolo alla
condizione della prima imputazione, ossia trattato ancora una volta come Soggetto che pur sempre resta un
Soggetto cui la soddisfazione è imputata. Perché il perdono così concepito non solo non è un’abdicazione al
giudizio, ma è l’esaltazione, l’unica esaltazione, del giudizio? Perché è riportare l’offensore, il reo, riportarlo
lui al giudizio. A quel soggetto si domanda che il giudizio stesso sul proprio essere reo sia suo, fino al sapere
perché è reo. È l’immagine dello schizofrenico davanti al tribunale dell’ultimo giudizio: che cosa farà il
catatonico? Dirà a Dio: «resto catatonico», ossia non gli dice niente? Andrà all’inferno se continua a fare il
catatonico, ossia se non passa ad essere soggetto di giudizio del proprio essere catatonico.
Il perdono esige dal soggetto il passaggio al giudizio, al giudizio circa il proprio essere reo. In questo senso il
perdono non solo rinuncia ad essere esigente rispetto al reo, ma è super-esigente rispetto al reo: esige dal reo
che passi al giudizio, al giudizio sul proprio essere reo.
La concezione cristiana del Purgatorio è questo: avere ancora un po’ di tempo per passare al giudizio. Dico
sempre che la psicoanalisi è analoga al Purgatorio. In questo senso il Purgatorio non è un bagno penale, un
po’ alleggerito. Non è affatto così.
In questo senso il perdono è il massimo della sanzione; proprio come si dice che la pena di morte è il
massimo della pena, il perdono è il massimo del giudizio.
Per questo dico sempre che la parola Padre ha perso qualsiasi significato, perché il perdono, la misericordia
che ci è stata vi è stata connessa è il perdono o la misericordia della rinuncia al giudizio. Dio è
massimamente giudicante e obbligante al giudizio, oppure è uno stupido come tutti gli altri. Dico sempre che
questa è la bestemmia gnostica riguardo Dio: che Dio è uno stupido, ossia impotente.
Ecco qua un modo di rispondere alla domanda.
Certo che se l’anno venturo, secondo una questione scritta da M. Delia Contri, ci capitasse di parlare
senza mai perdere di vista il nostro principio universitario, talento negativo e verginità, come costituente
l’universo che non esiste o sempre costituendone.
Tante volte magari l’esistere è confuso o confondente. La parola esistenza così come ha invaso tutto il nostro
secolo e quello precedente: la parola esistenza è tutta svincolata dalla parola costituzione o il verbo costituire.
Non esiste “esistere” senza costituzione e noi diciamo che è sempre giuridica, a partire dal bambino
allattato.
Ecco un modo per rispondere a una questione.
© Studium Cartello – 2007
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