MAIL ART
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MAIL ART
MAIL ART (Una cartolina per il Papa) Meglio sgombrare subito il campo da qualche possibile equivoco riguardante la cosiddetta 'Mail Art’, letteralmente Arte postale, cui si richiama con ogni evidenza questa iniziativa. Anche perché occorre dire che qui non sono coinvolti, se non per puro caso, degli artisti professionisti, o comunque degli abituali operatori in campo artistico. E questa potrebbe essere già la prima domanda che riguarda la questione prettamente estetica: se gli autori delle ‘cartoline’- quali che siano le loro forme e dimensioni- non rientrano in quello che in gergo viene definito il sistema dell’arte, a quale titolo e in quale misura essi possono avere a che fare con la Mail Art ? Se si parla di ‘Mail Art’ occorre precisare in primo luogo che ci si riferisce ad una comunicazione visiva, e magari anche letteraria, inviata appunto per via postale. Non si tratta di una tendenza, e tantomeno di movimento artistico nell’accezione comune del termine, vale a dire di un gruppo più o meno folto di artisti mossi da un comune movente ideologico, da obiettivi estetici affini e che inevitabilmente seguono delle strategie per l’affermazione e la diffusione dei loro postulati teorici, delle loro scelte linguistiche. La ‘Mail Art’ non ha mai preteso di fondare un nuovo stile, di imporre un nuovo gusto, né tantomeno di costituirsi come un fenomeno d’avanguardia, per quanto non abbia disdegnato di assumere, di alcune avanguardie, certi suggerimenti linguistici. Basti dire che questa pratica si perde nella lontananza dei tempi, e dunque non ha un’origine individuabile con precisione. Anche se, per quanto riguarda l’epoca contemporanea, la si può ritrovare in qualche specchietto cronologico dei movimenti artistici del secolo, con l’indicazione che la Mail Art sarebbe nata (e morta) negli anni Sessanta. In effetti fu un artista americano, Ray Johnson, a conferirle uno statuto ufficiale, indicandone i princìpi, le regole, la specificità e l’autonomia rispetto a tutti gli ‘ismi’ che, onda dopo onda, si sono avvicendati sulla scena artistica contemporanea scandendone i tempi, i diversi climi culturali, e - diciamolo- anche le mode. Intanto la Mail Art si è sottratta ai comuni canali di circolazione delle opere. Niente mercato, e dunque, abitualmente, niente a che vedere col consueto pubblico di gallerie private e di musei. E nessun rituale canonico, nessuna mediazione critica. Il ‘destino’ della Mail Art è altro; o quantomeno, inizialmente, essa rispecchia un’esigenza privata di comunicazione personale, del tutto estranea alle leggi del mercato e al valore economico di ogni opera. Forse negli anni in cui Ray Johnson l’ha formalizzata può aver giocato la sua parte anche la tendenza diffusa a contestare proprio la mercificazione dell’arte al pari di qualsiasi altro prodotto. Un rigore ideologico che divenne la bandiera di alcuni movimenti della neoavanguardia ed in particolare dell’Arte Concettuale, e che si è presto arreso ad una ben più pragmatica accettazione della ‘ragione’ economica. Ciò che non è accaduto alla Mail Art, cui oltretutto, anche per la dimensione contenuta e il carattere privato dei lavori, non si addice nemmeno quell’ ‘aura’ che , con buona pace di Walter Benjamin, non ha abbandonato l’opera importante, di grande notorietà. Alla Mail Art va riconosciuto soprattutto un valore affettivo, sentimentale, confidenziale, prima ancora che estetico. Anche perché non ha mai preteso il carattere dell’originalità linguistica, dimostrando anzi di attingere indifferentemente allo sterminato campionario di segni, tecniche, modelli iconografici e stilistici della storia dell’arte, del passato come del nostro tempo. E se i riferimenti più prossimi possono essere le cartoline con disegni e ‘parole in libertà’ dei futuristi, i piccoli collages cubisti, i fotomontaggi, i lavori polimaterici dell’area dada e surrealista, fino alla più recente ‘poesia visiva’ o a certi esempi di ‘Mec Art’, resta che l’uso fattone dalla Mail Art , come s’è detto, è del tutto diverso e personalizzato. C’è poi la questione della consapevolezza, e vale anche a dire della volontà, dell’intenzione artistica. Che, non v’è dubbio, non manca certo ai mail-artisti, insomma agli artisti che operano abitualmente in questo ambito. Per questa occasione giubilare s’intende che si tratta invece, nella maggior parte dei casi, di neofiti, indotti a ricorrere a questa pratica forse in via eccezionale. Non è dunque difficile comprendere che i risultati estetici – che pure in diversi casi non sono affatto trascurabili- non possano che passare in secondo piano. E se è vero, come qualche osservatore ha scritto, che la “Mail Art è come un grande amore”, e che “quando si entra nel suo meccanismo nasce una strana febbre che porta una ventata di libertà…”, qui a maggior ragione si avverte come l’adesione all’invito di ‘Una cartolina per il Papa’ assuma un significato particolarissimo. Sono parole toccanti, immagini magari ingenue ma sentite, metafore visive sempre esplicite, dagli accenti quasi sempre accorati , a condensare in un minuscolo spazio le voci di tanti, diversissimi, lontanissimi uomini accomunati nella sofferenza della perdita della libertà. Voci che vogliono in primo luogo comunicare, liberare le loro ansie, forse le loro speranze, gridare o sussurrare il loro sconforto. Qui, a maggior ragione la pratica della Mail Art assume un’altra valenza, divenendo una possibilità espressiva ancor più laterale e anzi completamente estranea al mondo artistico ufficiale, a quel ‘sistema’ cui prima si accennava, capace di assorbire anche ciò che sembra negarlo. Ma proprio in questo, rispetto al gioco colto, raffinato, ammiccante, talora anche ironico, che quasi sempre caratterizza la Mail Art, e che inevitabilmente resta pur sempre in primo luogo un gioco linguistico, i messaggi visivi inviati dalle carceri sono portatori di contenuti di tutt’altra, dolente umanità. Claudio Spadoni