Capitolo 6 La struttura del reato

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Capitolo 6 La struttura del reato
Edizioni Simone - Vol. 3/2 Compendio di diritto penale
Parte primaDel reato in generale
Capitolo 6 La
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struttura del reato
Sommario Sezione Prima: Il reato: concetto, struttura, distinzioni. - 1. Definizio-
ne di «reato» e differenze da altri illeciti. - 2. Gli elementi essenziali
generali del reato. - 3. Distinzioni dei reati - delitti e contravvenzioni.
- Sezione Seconda: L’oggetto giuridico del reato. - 4. L’oggetto giuridico del reato. - 5. Il danno nel reato. - Sezione Terza: Il soggetto attivo
ed il soggetto passivo del reato. - 6. Il soggetto attivo del reato. - 7. Il
problema della responsabilità penale degli enti. - 8. La responsabilità
degli enti per illeciti dipendenti da reato (D.Lgs. 231/2001). - 9. Responsabilità per fatti costituenti reato commessi da animali. - 10. Il
soggetto passivo del reato.
Riferimenti normativi: Cost., artt. 13, 25, 27; c.p., artt. 6, 39, 40, 42, 43, 49, 56
Sezione Prima
Il reato: concetto, struttura, distinzioni
1.Definizione di «reato» e differenze da altri illeciti
Da un punto di vista formale (o giuridico, cioè in base ai caratteri che risultano dall’ordinamento giuridico), è reato quel fatto giuridico volontario illecito al quale l’ordinamento ricollega come conseguenza una sanzione penale.
Generalmente le ipotesi di reato sono previste da leggi penali (codice penale, leggi penali complementari); non mancano, però, casi in cui previsioni di reati sono inserite in leggi che attengono
alla materia civile o amministrativa (si pensi ai reati in materia societaria di cui agli artt. 2621 ss.
cod. civ.).
La definizione formale del reato si limita in definitiva a dire che è reato ciò che il legislatore ha considerato tale.
Parte della dottrina non ritiene soddisfacente tale definizione e cerca, così, di individuare anche
una «nozione sostanziale» (o «sociologica» o «sociale») del reato, sulla base dei caratteri intrinseci e sociali che esso riveste, indipendentemente dalla valutazione fattane dall’ordinamento.
Tutte le definizioni sostanziali del reato appaiono, in definitiva, criticabili, in quanto o fanno riferimento a valori morali che scarso rilievo hanno in diritto penale oppure comunque riconoscono
l’impossibilità di prescindere dal giudizio del legislatore.
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Si è così proposta una nozione formale-sostanziale di reato, secondo la quale esso consiste in un
fatto umano:
— previsto dalla legge (principio di legalità) in modo tassativo (principio di tassatività) ed irretroattivamente (principio d’irretroattività);
— attribuibile al soggetto sia causalmente (principio di materialità) che psicologicamente (principio di soggettività);
— offensivo di un bene giuridico costituzionalmente significativo (BRICOLA, FIANDACA-MUSCO),
o comunque non incompatibile con i valori costituzionali (MANTOVANI, PAGLIARO) (principio
di offensività);
— sanzionato con una pena proporzionata astrattamente alla rilevanza del valore tutelato, e concretamente alla personalità dell’agente (principio della responsabilità penale personale), umanizzata e tesa alla rieducazione del condannato (principio del finalismo rieducativo della pena).
La suindicata definizione di reato consente di tracciare un criterio distintivo tra il reato
stesso ed altre figure di illecito. Falliti i tentativi di fondare tale differenza su parametri
quali la maggiore o minore gravità del fatto o la natura degli interessi protetti, oggi si adotta un criterio meramente estrinseco e formale: il reato si distingue dall’illecito civile e
dall’illecito amministrativo per la diversa natura della sanzione che il legislatore ricollega all’uno e agli altri (rispettivamente, pena, sanzione civile, sanzione amministrativa).
2.Gli elementi essenziali generali del reato
A) Generalità
L’analisi della struttura del reato si sostanzia nella necessità di individuare gli elementi essenziali dell’illecito penale, cioè quegli elementi senza i quali lo stesso non può
dirsi esistente.
Dagli elementi essenziali vanno tenuti distinti gli elementi accidentali, i quali influiscono esclusivamente sulla gravità del reato, incidendo sulla entità e/o qualità della pena (sono tali le circostanze).
Vanno, altresì, differenziati i cd. presupposti del fatto (v. cap. 7, § 4).
La dottrina concorda sulla imprenscindibilità, ai fini dell’esistenza del reato, di due
elementi: il fatto (in cui rientrano la condotta umana, l’evento e il nesso di causalità)
e la colpevolezza. Non c’è, invece, unanimità di vedute circa la collocazione dell’«antigiuridicità» nella struttura del reato.
A tal proposito occorre richiamare le due principali teorie che si contrappongono in
subiecta materia: la teoria della bipartizione e quella della tripartizione.
B) Teoria della bipartizione e teoria della tripartizione
Rinviando il discorso sull’elemento oggettivo e su quello soggettivo nelle rispettive
sedes materiae (cap. 7-9), è necessario ora soffermarsi sull’antigiuridicità.
Secondo la teoria della bipartizione, l’antigiuridicità, e cioè il contrasto tra il fatto e la
norma, non costituirebbe un terzo, autonomo elemento essenziale del reato, ma sarebbe l’«essenza», la «natura intrinseca», l’«in sé» del reato (ROCCO). Essa è, in sostan-
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za, quel giudizio di disvalore sociale del fatto che lo caratterizza e lo qualifica come
reato (ANTOLISEI).
Per tale teoria, la presenza di una causa di giustificazione (es. legittima difesa), non
esclude semplicemente l’antigiuridicità, bensì esclude l’esistenza stessa del fatto tipico (cause di giustificazione come elementi negativi del fatto).
La teoria attualmente prevalente è, però, quella della tripartizione (FiandacaMusco, Fiore, Marinucci), secondo la quale l’antigiuridicità è un elemento
essenziale che si affianca, nella struttura del reato, al fatto e alla colpevolezza. La tipicità del fatto (ossia la sua corrispondenza alla fattispecie incriminatrice) non è sufficiente a considerarlo illecito, in quanto è soltanto un «indizio» dell’antigiuridicità:
quest’ultima andrà accertata verificando che non ricorrano cause di giustificazione. Il
fatto scriminato è, pertanto, tipico, ma non antigiuridico.
C) Teoria della quadripartizione
Altra dottrina, infine, è giunta a delineare la teoria della quadripartizione secondo la
quale ulteriore elemento del reato, oltre ai tre appena esaminati, sarebbe la punibilita
del fatto antigiuridico e colpevole (DOLCINI). Con tale tesi, si sostiene, si valorizza
l’elemento della punibilità come complesso di fattori esterni al fatto di reato che possono portare ad escludere l’opportunità della sanzione, secondo una valutazione spesso operata dal legislatore.
3.Distinzioni dei reati - delitti e contravvenzioni
Dei reati si fanno varie distinzioni e classificazioni, a seconda di come si atteggiano i
vari elementi strutturali (condotta, evento, oggetto giuridico etc. v. infra). Alcune di
queste classificazioni sono previste ed utilizzate già nel codice penale; altre, invece,
sono delineate dalla dottrina.
La classificazione generale più importante è quella, espressamente prevista dal codice,
dei delitti e delle contravvenzioni.
Il criterio distintivo più sicuro è quello formale adottato dall’art. 39 c.p., ai sensi del
quale «i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie
delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice». L’art. 17, poi, dispone
che «le pene principali stabilite per i delitti sono l’ergastolo, la reclusione e la multa;
le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono l’arresto e l’ammenda».
La distinzione tra delitti e contravvenzioni, da farsi in base alla pena stabilita dalla legge, comporta varie differenze di disciplina stabilite dalla legge stessa:
a) quanto all’elemento psicologico, salvo che la legge espressamente preveda una contravvenzione dolosa (es.: art. 660, molestia o disturbo alle persone), tutte le contravvenzioni sono
punibili, sia se commesse con dolo, sia se commesse con colpa (v. artt. 42 e 43 ult. comma
c. p.);
b) il tentativo (art. 56) è possibile solo per i delitti;
c) alcune circostanze del reato sono previste soltanto per i delitti (es. art. 61 n. 3, 7, 8);
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d) i reati commessi all’estero e punibili nel territorio dello Stato, salva l’eccezione dell’art. 7 n.
5, sono soltanto delitti;
e) il «reato politico» è solo e sempre un delitto (v. art. 8).
Altre differenze riguardano:
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la abitualità criminosa (art. 102 comma 1);
la professionalità nel reato (art. 105 ex artt. 102-104);
la tendenza a delinquere (art. 108);
la prescrizione del reato (art. 157);
l’estinzione della pena (artt. 172-173);
l’oblazione (art. 162);
le misure di sicurezza (artt. 215-217).
Sezione Seconda
L’oggetto giuridico del reato
4.L’oggetto giuridico del reato
A) Nozione e rilevanza
L’oggetto giuridico del reato è il bene giuridico o l’interesse giuridico tutelato dalla
norma che prevede il reato stesso: ad esempio, la norma che punisce il reato di omicidio tutela il bene giuridico «vita», la norma che punisce il reato di furto tutela il bene
giuridico «patrimonio» e così via.
Nell’individuazione dell’oggetto giuridico del reato è ovviamente importante la scelta fatta dallo
stesso legislatore, scelta resa palese dalla collocazione sistematica della norma.
Tale scelta legislativa, tuttavia, non è né vincolante né esaustiva, sia perché il bene protetto può
risultare diverso da quello indicato dal legislatore sia perché spesso le norme penali tutelano
anche altri beni oltre quelli espressamente indicati dal legislatore.
L’oggetto giuridico non va confuso con l’oggetto materiale dell’azione: così, ad esempio, nel furto
di un portafogli oggetto materiale della condotta è, appunto, il portafogli mentre oggetto giuridico
del reato è il patrimonio.
È opinione comune che, con l’entrata in vigore della Costituzione, l’individuazione
dei beni protetti dalle norme penali vada fatta con riferimento alla stessa Costituzione.
Avendo infatti il ricorso alla pena criminale natura di extrema ratio per il legislatore,
è necessario riservare tale ricorso solo ai fatti che offendono i beni o gli interessi di
maggiore rilievo sociale, che sono solo quelli dotati di diretta rilevanza costituzionale
o socialmente considerati tali.
La rilevanza dell’oggetto giuridico del reato si coglie ogniqualvolta la figura criminosa non sia espressamente inserita dalla legge in una particolare categoria (come avviene di regola per i reati previsti da leggi speciali), ma sia tuttavia indispensabile accertarne la natura ai fini della applicazione di una determinata disciplina.
Si pensi, ad esempio, alla circostanza di cui all’art. 61 n. 7 (danno di particolare gravità) che, per
espressa dizione della norma, si applica ai «delitti contro il patrimonio o che comunque offendono
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il patrimonio»; presupposto della applicabilità è, dunque, che si accerti la natura di «delitto contro
il patrimonio», e, quindi, l’oggetto giuridico del reato.
L’importanza del concetto di bene giuridico risulta evidente, altresì, se si considera che, già nelle
disposizioni della parte generale del codice penale, si fa riferimento per più versi al bene tutelato
(si pensi ai concetti di evento giuridico, soggetto passivo, consumazione del reato).
B) Distinzioni dei reati in relazione all’oggetto giuridico
In relazione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, si distinguono:
1) reati monoffensivi: per l’esistenza dei quali è necessaria e sufficiente l’offesa di
un solo bene giuridico (ad esempio, omicidio, lesioni, ingiuria, danneggiamento);
2) reati plurioffensivi: i quali offendono necessariamente più beni giuridici (ad
esempio, la rapina che lede congiuntamente sia il patrimonio che la libertà personale; la calunnia che offende l’interesse statale alla regolare amministrazione
della giustizia e l’interesse della persona falsamente incolpata);
3) reati ostacolo (o di mero scopo): nei quali «si incrimina non l’offesa di un bene
giuridico, ma la realizzazione di certe situazioni che lo Stato ha interesse a che non
si realizzino» (così MANTOVANI).
Nel novero dei reati cd. «senza offesa», la migliore dottrina inquadra anche altre categorie ritenute lesive del principio di offensività: in particolare i reati di pericolo presunto, i reati a dolo specifico cd. «differenziale», in cui fatti egualmente offensivi e meritevoli di sanzione penale sono
diversamente puniti soltanto per la diversa intenzione offensiva (es.: artt. 289bis e 605 c.p.), i
delitti di attentato, in cui l’ampia anticipazione della soglia di punibilità è stata sempre giustificata
in virtù dell’elevato rango dei beni tutelati dalle relative fattispecie, ed i cd. reati di sospetto, per
tali intendendosi le fattispecie non direttamente lesive o pericolose per alcun bene giuridico, ma
tali da far presumere la commissione (avvenuta o futura) di un reato (es.: art. 707 c.p.).
5.Il danno nel reato
A) Generalità
Il danno «penale» (o criminale: ANTOLISEI) prodotto dal reato consiste nell’offesa
del bene giuridico tutelato. Tale offesa costituisce il cd. evento giuridico ed è insita in
ogni reato.
L’offesa può assumere due forme: lesione o messa in pericolo, a seconda che il bene
tutelato sia realmente leso (es.: omicidio consumato: la persona è stata uccisa e il bene
«vita» è stato distrutto) oppure sia solo minacciato (es.: omicidio tentato: si è cercato
di uccidere una persona senza riuscirvi; il bene «vita» è stato messo solo in pericolo,
ma non è stato leso).
B) Reati di pericolo. L’accertamento del pericolo
Attualmente, negli ordinamenti penali più avanzati, si assiste ad una progressiva espansione
della categoria dei reati di pericolo. Essa è dovuta, da un lato, allo sviluppo tecnologico, che,
determinando l’avvento di nuove attività rischiose, anche se socialmente utili, impone l’emanazio-
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ne di norme cautelari la cui inosservanza è penalmente sanzionata; dall’altro, all’assunzione da
parte dello Stato di sempre maggiori compiti di natura solidaristica, che ha indotto il legislatore
penale ad anticipare allo stadio della semplice messa in pericolo la tutela di alcuni beni particolarmente rilevanti per la collettività (FIANDACA-MUSCO, MANTOVANI).
I reati di pericolo sono di regola distinti in due categorie:
a) reati di pericolo concreto od offensivo, nei quali il pericolo è elemento costitutivo
della fattispecie incriminatrice ed il giudice deve accertarne di volta in volta l’esistenza in concreto (artt. 422, 423, 424, 427).
Per accertare l’esistenza del pericolo, il giudice deve riportarsi al momento della
condotta e valutarne le conseguenze, in base alle regole della migliore scienza ed
esperienza;
b) reati di pericolo astratto o presunto, nei quali il legislatore incrimina una condotta presumendone «iuris et de iure» la pericolosità non essendo necessaria, per
l’esistenza del reato, la sua concreta sussistenza (artt. 414, 416, 439).
Diverso dal reato di pericolo è il cd. reato ad esecuzione anticipata, in cui basta il compimento di un minimum richiesto dalla norma per aversi la «lesione» (e non la semplice messa in
pericolo) del bene protetto.
Queste figure pongono rilevanti dubbi di costituzionalità perché non consentono al giudice di
valutare la concreta offensività dei comportamenti costituenti reato. Tuttavia questa rigorosità
è talvolta compensata dalla necessità che il giudice accerti in modo puntuale se il fatto concreto corrisponda alla dettagliata indicazione della norma (es.: epidemia, disastro ferroviario).
C) Danno civile e danno criminale
Dal danno criminale va distinto il danno civile (materiale o morale), cioè il danno
risarcibile secondo le disposizioni degli artt. 2043 e ss. cod. civ.
Mentre può esservi un reato senza danno civilmente risarcibile (ad es. coloro che formano una associazione per delinquere, commettono il reato ex 416 c.p., ma non recano alcun danno civilmente risarcibile ad alcuno), viceversa non può esistere un reato
senza danno penale (o criminale), cioè senza offesa ad un bene giuridico.
Sezione Terza
Il soggetto attivo ed il soggetto passivo del reato
6.Il soggetto attivo del reato
A) Generalità
Ogni reato è frutto del comportamento umano, e quindi presuppone necessariamente
un soggetto che lo compia.
Soggetto attivo o autore del reato è, per l’appunto, chi realizza il fatto tipico, chi cioè
pone in essere il comportamento costituente reato.
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Tutte le persone fisiche possono essere soggetti attivi del reato: ogni persona ha cioè
capacità penale, ossia l’attitudine a porre in essere comportamenti penalmente rilevanti, senza distinzione di età, sesso o di altre condizioni soggettive.
Ne consegue che l’età, le situazioni di anormalità psico-fisica e le immunità non escludono l’illiceità penale, ma sono rilevanti solo ai fini della concreta applicabilità della
pena.
B) Reati comuni e reati propri
A seconda del soggetto che compie il reato, si possono distinguere:
— reati comuni: possono essere commessi da ogni persona, indipendentemente dal
possesso di particolari qualifiche soggettive;
— reati propri: sono quei reati per i quali la legge richiede una speciale qualifica del
soggetto attivo. Chi riveste la qualifica richiesta per commettere il reato prende il
nome di intraneus.
I reati propri, a loro volta, si distinguono in due grandi categorie:
— reati propri esclusivi, in cui il fatto costituisce reato solo se commesso dall’intraneus,
mentre è penalmente irrilevante se commesso da chi non possiede tale qualifica.
Si pensi alla falsa testimonianza (art. 372) il cui autore può essere solo il testimone (l’intraneus, appunto);
— reati propri non esclusivi, in cui il fatto è penalmente illecito indipendentemente dal suo autore; tuttavia, quando a commetterli è un soggetto che riveste una
data qualifica, il reato stesso «muta titolo», acquistando un nomen iuris ed una
gravità diversi dall’ipotesi comune.
Si pensi al fatto di appropriarsi di denaro o cosa mobile altrui di cui già si abbia il possesso: se a commetterlo è un soggetto qualunque, il reato prende il nome di appropriazione
indebita (art. 646); se a commetterlo è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico
servizio ed ha ad oggetto cose detenute per ragioni dell’ufficio o del servizio, il reato
prende il nome di peculato (art. 314).
Come vedremo (cap. 20, § 8), la distinzione ha notevole rilievo in materia di concorso
di persone nel reato (art. 117).
Non sempre è sufficiente, per stabilire se il reato sia comune o proprio, accertare se la norma
incriminatrice usi l’espressione «chiunque». Ad esempio, l’art. 251 (inadempimento di contratti di
forniture in tempo di guerra) usa tale espressione, ma dal testo si deduce che può commettere il
reato solo colui che è contraente con lo Stato, o un ente pubblico etc.
C) Il numero dei partecipanti
Il reato può essere commesso anche da più soggetti.
Tale pluralità può essere:
— necessaria, nel senso che la stessa norma incriminatrice richiede che alcuni reati
siano commessi da più di una persona (ad es. la rissa, art. 588; l’associazione per
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delinquere, art. 416 etc.): in tal caso si parla di reato plurisoggettivo, o, impropriamente, di reato a concorso (di persone) necessario;
— non necessaria, ed allora il reato sarà monosoggettivo: ciò non esclude che nel
caso concreto più soggetti possano commettere insieme il reato (ad es. la rapina).
7.La responsabilità penale degli enti
A) Societas delinquere non potest
Soggetto attivo del reato può essere solo una persona fisica. Nel nostro ordinamento,
infatti, non è ammessa la responsabilità penale degli enti, siano essi dotati o meno di
personalità giuridica (principio espresso nel brocardo latino “societas delinquere non
potest”). La non configurabilità di una responsabilità penale delle persone giuridiche
viene desunta dal principio costituzionale della personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.). A livello di legislazione ordinaria, essa trova conferma nell’art. 197,
il quale, per i reati commessi dagli organi dell’ente nell’esercizio delle loro funzioni,
pone a carico della persona giuridica solo un’obbligazione civile di garanzia.
B) Persone fisiche responsabili per l’ente
Sancita, dunque, l’irresponsabilità penale dell’ente in quanto tale, si pone allora il
delicato problema della individuazione dei soggetti penalmente responsabili nell’ambito della organizzazione dell’ente, spesso complessa e articolata a vari livelli. A tal
fine la giurisprudenza, in passato, ha elaborato alcuni criteri alla luce dei quali ha ritenuto penalmente responsabili talora il soggetto che ha la rappresentanza dell’ente,
talora il soggetto che esercita le funzioni che normalmente ineriscono alla qualità
d’imprenditore (amministratore).
C) Efficacia liberatoria della delega: orientamenti dottrinali
Con riguardo alla efficacia liberatoria della delega per l’imprenditore o l’am­ministratore,
parte della dottrina ritiene che essa liberi da responsabilità il de­legante, in quanto
trasferisce al delegato non solo le funzioni inerenti alla qua­lifica personale, ma anche
la titolarità di essa, onde soggetto del reato è soltan­to il delegato. Altra parte della
dottrina sostiene invece che il delegante in virtù di un atto di autonomia privata (delega) non può spogliarsi dei doveri sanciti dalla legge pe­nale, conservando le funzioni
inerenti alla qualifica o quanto meno l’obbligo di controllo sull’adempimento degli
obblighi da parte del delegato. Di conse­guenza il delegante sarà responsabile ex art.
40, comma secondo per concorso doloso (se a conoscenza della violazione) o colposo
od anche per concorso di condotte colpose (se il reato è punibile a titolo colposo) nel
caso in cui sia esi­gibile l’adempimento di tale obbligo di controllo.
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D)(Segue): orientamenti giurisprudenziali
La giurisprudenza dopo vari orientamenti oscillanti è oggi abbastanza concor­de nel
ritenere che la delega (per i limiti della delega di funzioni di prevenzio­ne infortuni sul
lavoro, vedi art. 1, comma 4ter, D.Lgs. 19-9-1994, n. 626, come sostituito dall’art. 17,
D.Lgs. 81/2008) possa avere efficacia liberatoria per l’im­prenditore o amministratore
a condizione che:
1) l’impresa sia di notevoli dimensioni, tali cioè da non consentire un control­lo diretto sull’osservanza delle norme da parte del solo titolare;
2) i compiti delegati non gravino esclusivamente e specificamente sul titolare o amministratore;
3) la persona delegata sia tecnicamente e professionalmente capace di assol­vere il
compito che le è stato delegato;
4) il delegato goda di effettiva autonomia gestionale senza interferenze da par­te del
delegante;
5) il delegante abbia compiuto tutto ciò che la legge poneva a suo carico;
6) l’attribuzione dei poteri-doveri derivanti dalla delega sia debitamente pub­blicizzata
nell’impresa, onde garantire l’integrale conoscibilità interna del conferimento di
poteri in capo al delegato;
7) l’esistenza della delega esclusiva e l’idoneità del delegato ad esercitare le attività
delegate siano specificamente provate dal delegante.
Pur in presenza di tutte queste condizioni, comunque, la giurisprudenza ritie­ne che, in ogni caso,
il titolare dell’impresa o l’amministratore debba sempre esercitare, in concreto, una funzione di
vigilanza e di controllo, per cui non po­trà mai andare esente da responsabilità se ha omesso di
vigilare sullo svolgi­mento dell’incarico da parte del delegato o se era a conoscenza di eventuali
inadempienze da parte di quest’ultimo.
8.La responsabilità degli enti per illeciti dipendenti da reato (D.Lgs.
231/2001)
A) Nozione e principi generali
Se dunque quanto finora detto vale ad individuare responsabilità penali individuali, le
uniche ammissibili nel nostro ordinamento giuridico, con il D.Lgs. 8-6-2001, n. 231,
attuativo della delega sancita dall’art. 11 della L. 29-9-2000, n. 300, sono state introdotte, per la prima volta nel nostro ordinamento, situazioni di responsabilità diretta, a
carattere sanzionatorio (si badi, non penale, ma qualificata, nei primi commenti, come
tertium genus fra penale ed amministrativa) delle persone giuridiche.
Tracciando per grandi linee la struttura della nuova disciplina, si precisa che il decreto
regola la responsabilità degli enti (per tali intendendosi gli enti forniti di personalità
giuridica e le società e associazioni anche prive di personalità giuridica, mentre resta-
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no esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici
nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale) per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
Dopo aver richiamato in materia l’applicabilità di taluni importanti principi di matrice
penalistica (fra tutti, quello di legalità, in virtù del quale l’ente non può essere ritenuto
responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in
relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una
legge entrata in vigore prima della commissione del fatto), la norma precisa che l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone
che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente
o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché
da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (c.d.
soggetti in posizione apicale), oltre che da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti appena indicati (c.d. sottoposti), salvo che abbiano agito
nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, ovvero ricorra una delle cause di esclusione
della responsabilità dell’ente puntualmente delineate all’art. 6.
B) Le ipotesi di reato rilevanti nell’insorgere di responsabilità degli enti
Come sopra anticipato, l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non siano espressamente previste da una legge entrata in vigore prima
della commissione del fatto. Orbene, il decreto legislativo del 2001, agli articoli da 24
a 26 ha elencato talune figure di reato la cui commissione, da parte dei soggetti anzidetti, produce l’insorgere di responsabilità a carico dell’ente di appartenenza, pur se
l’originario novero di fattispecie è stato progressivamente ampliato negli anni, ad
opera di ulteriori provvedimenti di legge. A titolo esemplificativo, si è sancito l’insorgere di responsabilità degli enti in relazione alla commissione, fra gli altri, dei delitti
di truffa ai danni dello Stato (art. 24), di taluni delitti informatici (art. 24bis), di delitti di criminalità organizzata, come l’associazione mafiosa (art. 24ter), dei delitti di
corruzione e concussione (art. 25), di talune falsità monetarie e di valori (art. 25bis),
di taluni delitti contro l’industria ed il commercio, come la frode in commercio (art.
25bis.1), di taluni reati societari di fonte codicistico-civile (art. 25ter), di delitti con
finalità di terrorismo (art. 25quater), di taluni reati contro le mutilazioni femminili (art.
25quater.1), di taluni delitti contro la personalità individuale, come la riduzione in
schiavitù e la prostituzione minorile (art. 25quinquies), di taluni abusi di mercato di
fonte legislativa (art. 25sexies), di omicidio colposo e lesioni sul lavoro (art. 25septies),
di ricettazione e riciclaggio (art. 25octies), di violazioni al diritto d’autore (art. 25novies), di induzione a non rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria (art. 25decies).
Infine, ad opera del D.Lgs. 7-7-2011, n. 121, sono state tipizzate ulteriori ipotesi di
responsabilità, in relazione alla commissione di reati a tutela dell’ambiente di fonte
codicistica (le contravvenzioni di cui agli artt. 727bis e 733bis, introdotte dal citato
decreto) e legislativa (ad es. talune fattispecie previste dal D.Lgs. 3-4-2006, n. 152).
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C) Le sanzioni
Particolare è il sistema sanzionatorio predisposto dal decreto, costruito in base alle
«inedite peculiarità» del destinatario delle sanzioni. A norma dell’art. 9 del decreto, le
sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono, infatti, la sanzione
pecuniaria, le sanzioni interdittive, la confisca, la pubblicazione della sentenza.
Le sanzioni interdittive sono l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione
o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione
dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per
ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi ed il divieto di
pubblicizzare beni o servizi.
Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria, la quale viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila (258
euro) ad un massimo di lire tre milioni (1549 euro). Non è ammesso il pagamento in
misura ridotta. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina
il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del
fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.
D)Istituti comuni al sistema penale
A norma dell’art. 26 del decreto, le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da
un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti
di cui si tratta. L’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento
dell’azione o la realizzazione dell’evento.
Mutuando ancora regole proprie del sistema penale, l’art. 21 precisa che quando l’ente è responsabile in relazione ad una pluralità di reati commessi con una unica
azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e
prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva, si applica la sanzione pecuniaria prevista per l’illecito più grave aumentata fino al triplo. Per
effetto di detto aumento, l’ammontare della sanzione pecuniaria non può comunque
essere superiore alla somma delle sanzioni applicabili per ciascun illecito. Quando in
relazione a uno o più degli illeciti ricorrono le condizioni per l’applicazione delle
sanzioni interdittive, si applica quella prevista per l’illecito più grave.
9.Responsabilità per fatti costituenti reato commessi da animali
Con riferimento al soggetto attivo del reato si pone il problema, tutt’altro che ipotetico,
della eventuale responsabilità penale per fatti commessi da animali.
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Al riguardo, ed anticipando qualche nozione che formerà oggetto di successivo approfondimento
(cap. 24, § 1), possiamo dire che:
a) nel caso di animali selvatici o randagi non sorge alcuna responsabilità in capo a soggetti determinati, compresi gli organi pubblici che per legge (vedi, ad esempio, l’art. 1 della legge
11-2-1992, n. 157: «La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato…») ne sono
«proprietari», in quanto manca quella effettiva e concreta relazione tra individuo ed animale
che può far sorgere, come vedremo, una cd. «posizione di custodia» con conseguente responsabilità ex art. 40 capoverso; i relativi fatti, dunque, rientrano nel novero del «caso fortuito» ex art. 45;
b) nel caso di animali, anche selvatici o randagi, di fatto custoditi da un soggetto, sia esso il
proprietario o meno, o sui quali comunque un soggetto determinato esercita una signoria o
un potere di controllo, degli eventi dannosi o pericolosi da loro posti in essere risponde sempre
il soggetto che li custodisce o li controlla:
— a titolo di dolo, se li ha aizzati o indotti volontariamente a commettere il fatto;
— a titolo di colpa per violazione del dovere di diligenza nel controllo, se tale induzione o
aizzamento è mancato: così risponderà di omicidio o di lesioni colpose il proprietario di
un cane che, circolando incustodito sulla pubblica via, provoca un incidente stradale con
morte o lesioni per altri utenti della strada (Cass. 13-10-1988, n. 9928); non risponderà,
invece, di alcun reato, non essendo previsto come tale il danneggiamento colposo, il
proprietario di un cane che, entrato nel fondo altrui, abbia fatto strage di galline o altri
animali.
10.Il soggetto passivo del reato
A) Concetto. Differenze con il soggetto passivo della condotta e con il danneggiato
Soggetto passivo del reato è la persona titolare del bene (o interesse) tutelato dalla
norma penale incriminatrice e leso dal reato. Il codice parla di «persona offesa dal
reato».
In tutti i reati deve esservi un soggetto passivo, altrimenti si giungerebbe all’assurda
conclusione di ammettere l’esistenza di beni giuridici tutelati che non appartengono
ad alcuno.
Soggetto passivo può essere una singola persona fisica o giuridica, oppure anche una pluralità di
persone: così nel reato di furto, soggetto passivo è il detentore della cosa rubata; nel reato di
sottrazione di cosa comune, soggetti passivi sono coloro che posseggono in comune la cosa.
Occorre distinguere il soggetto passivo del reato dal soggetto passivo della condotta,
cioè da colui su cui la condotta criminosa viene ad incidere immediatamente e che
viene considerato, più propriamente, oggetto della condotta.
Talvolta i due concetti coincidono: ad esempio, nell’omicidio il soggetto passivo è l’ucciso, che è
anche soggetto passivo della condotta. Invece, nel reato di automutilazione fraudolenta per sottrarsi al servizio militare, soggetto passivo della condotta è lo stesso soggetto attivo, che si mutila,
o si ferisce etc., per rendersi invalido alla leva, mentre soggetto passivo del reato è lo Stato, titolare dell’interesse a che tutti i cittadini prestino il servizio militare.
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Capitolo 6 La struttura del reato
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Ne risulta che il soggetto passivo della condotta può anche coincidere col soggetto
attivo. Invece non possono mai coincidere soggetto attivo e soggetto passivo del reato,
perché sarebbe una contraddizione in termini.
La qualità del soggetto passivo può essere determinante per la configurazione di un fatto tipico e
per distinguere un fatto tipico da un altro (es.: la qualità di minore degli anni quattordici della vittima è essenziale per la sussistenza del delitto di corruzione di minorenne di cui all’art. 609quinquies).
Occorre anche distinguere il soggetto passivo del reato dal danneggiato, cioè da colui
che dal reato ha subito un danno civilmente risarcibile, anche senza essere titolare
del bene giuridico protetto.
La figura del titolare del bene giuridico protetto, cioè del soggetto passivo del reato, è rilevante
perché a lui spetta, nei casi in cui sia ammissibile, di prestare il proprio consenso; nonché il diritto
di querela, nei casi di reati punibili a querela della persona offesa.
Il semplice danneggiato non ha alcun potere di querela, ma può solo esercitare l’azione civile per
ottenere il risarcimento dei danni.
Si tenga presente che soggetto passivo e persona danneggiata dal reato possono coincidere (così
nel delitto di lesioni) o risultar distinte (ad esempio nel delitto di omicidio).
B) Classificazione dei reati in base al soggetto passivo
In base al soggetto passivo, i reati si distinguono in:
a) reati plurioffensivi: ledono o pongono in pericolo più beni diversi con conseguente pluralità di soggetti passivi (ad es. la calunnia offende nello stesso tempo lo
Stato, nel suo interesse alla regolare amministrazione della giustizia, e la persona
falsamente incolpata);
b) reati vaganti: offendono un numero indeterminato di individui (esempio: strage,
naufragio etc.);
c) reati senza vittime, o senza soggetto passivo: in essi non è facile individuare un
bene giuridico «afferrabile» (si pensi ai reati contro la «moralità pubblica»).
Questionario
1. Cosa si intende per immunità? (Cap. IV, par. 2)
2. In cosa consiste il principio del «ne bis in idem» sostanziale? (Cap. V, par. 1)
3. Quali sono i criteri per dirimere il conflitto apparente di norme? (Cap. V, par. 2)
4. In cosa consiste il principio di specialità «bilaterale»? (Cap. V, par. 3)
5. Che differenza c’è fra concorso di norme e concorso di reati? (Cap. V, par. 6)
6. Cosa si intende per reato in senso formale? (Cap. VI, par. 1)
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Parte prima Del reato in generale
7. Su cosa si fonda la distinzione fra delitti e contravvenzioni? (Cap. VI, par. 3)
8. Cosa sono i cd. reati-ostacolo? (Cap. VI, par. 4)
9. Cosa si intende per reati di pericolo astratto? (Cap. VI, par. 5)
10. Chi è l’intraneus nei reati propri esclusivi? (Cap. VI, par. 6)
11. A che titolo, ed in che limiti, rispondono le persone giuridiche per i reati commessi nel loro interesse? (Cap. VI, par. 7)
12. Cosa esprime il cd. criterio di consunzione? (Cap. V, par. 5)
13. Trova applicazione il principio di specialità fra norme penali ed amministrative?
(Cap. V, par. 7)
14. In cosa consiste la teoria della tripartizione? (Cap. VI, par. 2)
15. Che differenza intercorre fra danno civile e danno criminale? (Cap. VI, par. 5)