Facoltà di S. Teologia Istituto Superiore di Scienze Religiose

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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE
Facoltà di S. Teologia Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” “Lotta iconoclasta e
l’arrivo delle icone in Italia;
diffusione della
Madonna di Costantinopoli”
Elaborato per il corso: “Il Pellegrinaggio nella Vita della Chiesa” Studente: Carfora Alfonso Docente: dott. Francesco Mattiocco Anno accademico 2008‐2009 Iconoclastia L'iconoclastia ‐ o iconoclasmo ‐ è stato un movimento di carattere religioso sviluppatosi intorno alla prima metà del secolo VIII. Alla base di questo movimento stava la convinzione che la venerazione delle icone spesso sfociasse in idolatria. Questa convinzione provocò non solo un imponente confronto dottrinario ma anche la distruzione materiale di un gran numero di icone. Origini dell'eresia iconoclasta Fin dalla fine del secolo IV, l'Impero bizantino era stato afflitto da numerose eresie, che rischiavano di minare la sua stessa unità. Le più importanti tra queste erano il nestorianesimo, il monofisismo e il paulicianesimo. Quest'ultima era sorta in Armenia e in Siria nel secolo VII. Sensibili alle accuse di idolatria mosse al cristianesimo da parte dei fedeli dell'Islam, i pauliciani mossero guerra al culto delle immagini. Al movimento pauliciano finì per aderire l'imperatore bizantino Leone III Isaurico, il quale decretò la distruzione delle immagini ovunque se ne trovassero. Mosaici e affreschi furono distrutti a martellate, le icone fatte a pezzi e gettate nel fuoco; furono eliminate molte opere d’arte e uccisi diversi monaci. Il papa, in quel tempo Gregorio III condannò, dal canto suo, i decreti di Leone. La penisola italica vide anzi i suoi abitanti insorgere a difesa dell'ortodossia occidentale contro i funzionari bizantini. Fu proprio in questa occasione che il ducato di Roma assunse sempre maggiore indipendenza da Bisanzio. Fu il secondo concilio di Nicea a dover deliberare sul culto delle immagini. Convocato nel 787 a Nicea, su richiesta di papa Adriano I, dalla imperatrice reggente d'Oriente Irene e dall'imperatore Costantino VI, si svolse con la partecipazione di 367 padri (tra cui anche Giovanni Damasceno), quando a Bisanzio era patriarca Tarasio. La controversia, come detto, era centrata sulle sante icone, le pitture di Cristo, della Madonna e dei santi, che erano custodite e venerate sia nelle chiese che nelle case private. La lotta non era un mero conflitto tra due concezioni di arte cristiana. Erano coinvolte questioni più profonde: il carattere della natura umana di Cristo, l'attitudine cristiana verso la materia, il vero significato della redenzione cristiana. L'effetto complessivo dell'iconoclastia fu molteplice: il danneggiamento (quando non distruzione) di un grande numero di raffigurazioni sacre, ivi comprese opere d'arte e codici miniati; un generale irrigidimento dei rapporti fra la chiesa d'Oriente e la chiesa d'Occidente e la fuoriuscita di icone dall’oriente per salvarle. 2 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora Icone di san Luca Secondo la Tradizione, le prime icone della Vergine furono dipinte dall'Evangelista Luca, dopo la Pentecoste. Si racconta che S. Luca avesse ritratto la Madonna dal vivo. Sarebbero state queste prime icone a definire le tre tipologie principali delle icone mariane. Madre di Dio Eleousa ("Colei che intenerisce"). È detta anche "Madre di Dio della Tenerezza".Il Bambino cinge con il braccio il collo della Madre e si protende con il volto fino a toccarle la guancia: Egli appare il Consolatore, il Salvatore misericordioso che si china sulla sua creatura. Madre di Dio Odighitria ("Colei che indica la Via") La Via indicata dalla Madre con la mano destra è Cristo. Questo appellativo della Madre di Dio deriva dal toponimo del Monastero degli Odigi a Costantinopoli, dove si venerava l'icona originale attribuita a San Luca. L'atteggiamento della Madre è di distacco e di grande rispetto; quello del Bambino è soffuso di regalità e di serietà, come si addice al Dio‐Uomo. La tradizione iconografica presenta sempre il Volto del Bambino con tratti tesi, profondamente assorto e privo dei riferimenti psicologici tipici dell'età infantile; ce Lo presenta, anzi, con aspetto di adulto: Egli infatti non è un semplice bambino, ma "Colui che è sopra ogni essere", Verbo preesistente come Dio nel seno della Trinità. Il rotolo che il Bambino tiene spesso nella mano sinistra, è il simbolo della Sapienza. 3 Madre di Dio "del Segno" Questa icona, in cui la Madre di Dio porta in un medaglione sul petto l'effigie del Salvatore Emmanuele, assume un particolare spessore dogmatico poiché la Vergine viene definita in relazione alla Sacra Scrittura: "... il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele" (Is 7, 14). I colori delle vesti della Madre di Dio sono inversi a quelli del Cristo: la veste è blu e il manto è porpora, di una tonalità scura. Il colore cupo del manto parla di raccoglimento, di lotta, di sacrificio per affermare ogni valore superiore. Le tre stelle sul capo e sulle spalle di Maria sono il simbolo della sua Verginità prima, durante e dopo il parto. Sulle icone della Madre di Dio, inoltre, scompare del tutto l'antico appellativo "Santa Maria" per lasciare posto a quello di "Theotòkos", cioè "Madre di Dio" (MP OY: MHTHP THEOU). Per gli ortodossi, la Vergine è sempre e solo la "Madre di Dio", perché San Luca non la veneriamo per se stessa, ma soltanto perché è la Madre del nostro Dio, e ci rivolgiamo a Lei sempre in relazione al Figlio. Molto raramente, infatti, è rappresentata da sola, senza il Cristo. 4 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora I monaci basiliani Durante la dominazione bizantina giunsero nel Salento i monaci Basiliani, così detti da San Basilio il fondatore dell’ordine. Nel 726 l’imperatore bizantino Leone III Isaurico, emanò un editto con il quale ordinava la distruzione delle immagini sacre e icone in tutte le province dell’Impero e mise in fuga dall’Oriente migliaia di monaci, che per sfuggire alla persecuzione si rifugiarono nelle estreme regioni meridionali dell’Italia e nel Salento. Qui i monaci continuarono a praticare il loro culto. La presenza di monaci basiliani in Italia è testimoniata già nel VI secolo, all'epoca dell'imperatore Giustiniano. Nel VII secolo, in seguito all'espansione araba sulle coste del Mediterraneo, molti monaci preferirono rifugiarsi in Italia per sfuggire alle persecuzioni. Ma la presenza basiliana nel Meridione d'Italia divenne più consistente quando le persecuzioni iconoclaste di Leone III Isaurico costrinsero molti monaci ad abbandonare l'Oriente ed a spostarsi in luoghi più sicuri. Una delle figure più note di monaci basiliani è San Nilo di Rossano (900‐1004), fondatore del Monastero di Grottaferrata, rinomato centro dell'Ordine, che continuò a sopravvivere anche dopo le soppressioni borboniche del 1784 e delle leggi italiane del 1866, fino alla sua ricostituzione ufficiale nel 1900, approvata da Leone XIII. La presenza dei monaci basiliani nel nostro territorio è stata di grande importanza non solo dal punto di vista religioso, ma anche da quello economico sociale. Intorno ad essi infatti si raccolsero numerose comunità di contadini che proprio dai Basiliani appresero tecniche migliori di coltivazione. La presenza massiccia di questi contadini è dovuta anche al fatto che essi, dipendendo da un monastero, godevano di maggiore libertà e certamente di condizioni che non avrebbero mai avuto se fossero stati sottoposti ad un feudatario. Sin dai primi secoli della cristianità, nell’Oriente greco ebbe un enorme sviluppo il culto della Vergine, tra cui quello al titolo della Madonna dell’Odigitria. A Costantinopoli, l’Odigitria venne collocata in una chiesa custodita da frati basiliani, risalente al V secolo e oggi scomparsa, e divenne famosa proprio perché l’immagine fu attribuita a San Luca. Secondo la leggenda sacra, infatti, quella dell’Odigitria è una delle tre icone dipinte dal terzo evangelista quando la Vergine era ancora in vita, in seguito portata da Eudosia, moglie dell’imperatore Teodosio il Giovane, dalla Terra Santa fino a Costantinopoli. Questa celebre immagine fu considerata la protettrice, la “conduttrice, guida della via” della città e di tutto l’impero d’Oriente. Furono gli imperatori stessi a portarla alla testa dei loro cortei trionfali, come indicatrice e guida della via, avvalorando in questo modo il titolo di "Odigitria". Ad incrementarne il culto a Costantinopoli contribuì l'imperatrice Pulcheria che volle stabilire una devozione particolare verso la Madre di Dio nei martedì: questo perché la definizione dommatica della Divina Maternità pare che sia avvenuta di martedì e inoltre perché di martedì, in quello successivo alla Pentecoste, per intercessione della Madonna, il popolo di Costantinopoli avrebbe avuto una vittoria sui persiani che avevano posto l'assedio alla città. La denominazione Odigitria, da odos, "via", significa "Colei 5 che indica la via" e per alcuni il nome deriverebbe dal fatto che i condottieri (odigoi) si recavano in questo monastero a pregare, per altri dal nome della via della città imperiale in cui vi era la Chiesa detta "delle guide", che conservava un'immagine simile, venerata come opera dell'evangelista Luca. Successivamente acquistò un significato personale a causa della posizione del braccio di Maria che indica il Figlio come "via, verità e vita". Prima della definitiva caduta in mano ai Turchi di Maometto II (1453), si ricordano solenni processioni penitenziali con l’icona dell’Odigitria per le vie della città, ma l’ora di Costantinopoli era ormai segnata e con la rapida distruzione delle chiese e delle icone, i Turchi miravano anche ad annientare la praesentia della Madonna. Tuttavia il culto resistette e così, dopo un’iniziale diffusione avutasi in seguito all’esodo di cristiani all’epoca delle persecuzioni iconoclastiche di Leone Isarco (VIII sec.), si espanse nuovamente grazie alla devozione di marinai e di profughi ‐ per lo più albanesi ‐ che si diressero verso le regioni più meridionali d’Italia (soprattutto Sicilia, Calabria, Puglia). Bisanzio fu punto d’origine delle celebrazioni e dei modelli iconografici mariani: tutte le Madonne con il titolo dell’Odigitria in Oriente e in Occidente hanno l’icona di Costantinopoli come prototipo, ed essa è pure l’origine della tradizionale attribuzione a San Luca delle immagini venerate. Il tipo iconografico di S. Maria di Costantinopoli, infatti, ritrae generalmente la città turrita e cinta di mura in preda alle fiamme, che alcuni storici descrivono come un imponente incendio; altri spiegano più realisticamente come conseguenza di un assedio di Saraceni. Non solo, ma anche usi, tradizioni, costumanze liturgiche e architettura bizantina fecero sentire il proprio influsso, innestandosi nella cultura storica e popolare del Sud. Tra i tanti esempi da citare, si trova quello dell’icona galleggiante, rinvenuta da pescatori nell’anno 1383 nelle vicinanze dell’abitato di Tikhvin (Russia), che i devoti ritengono essere, se non l’originale di San Luca, almeno una replica fedele dell’Odigitria di Costantinopoli (Gharib). Il culto a questa ipostasi della Vergine è attestato in molti luoghi d’Italia, dove si ritrovano anche diversi modelli iconografici, come le immagini dell’edicola di S. Maria dell’Idria nella Crypta Neapolitana, del Santuario di Piedigrotta, della Chiesa di S. Maria di Costantinopoli (sopra riprodotta) e della Cappella omonima di San Gregorio Armeno a Napoli, della Chiesa di S. Francesco a Galatone, oppure la Vergine di Ripalta e la “Sipontina” pugliesi, e la Virgo Orientalis del Santuario di Maria SS.ma dell’Oriente a Tagliacozzo. Ma la raffigurazione più diffusa, specialmente in chiese siciliane e sarde, appare quella della Madonna col Bambino in braccio che poggia su una cassa tenuta a spalla da due basiliani. Essa riepiloga i momenti più salienti del “viaggio” dell’Odigitria bizantina che, secondo la tradizione leggendaria, al tempo dell’iconoclastia, chiusa da alcuni monaci basiliani dentro una cassa di legno e affidata al mare, finì per approdare sulle coste meridionali dell’Italia. In Puglia si celebra invece il rinvenimento dell’immagine di questa Vergine in un pantano del foggese, mentre per la Madonna nel Santuario di Tagliacozzo si narra che vi fu condotta da due legionari marsicani tornati da Ravenna, dove l’icona bizantina giunse salvata miracolosamente dal fuoco iconoclasta. A Napoli, il canonico Carlo Celani nel Seicento scrive che S. Maria dell’Idria era così denominata “per l’immagine della S.S. Vergine con un idria, ossia un vaso sotto i piedi”, con riferimento ad un tipico vaso greco per acqua (cui sembra collegarsi anche l’interpretazione di Odygidrya come “Madonna delle acque” data alla stessa immagine devozionale nell’omonima chiesa di Ragusa Ibla). Aspreno Galante, invece, sostiene che tale dicitura sarebbe un adattamento del termine odigitria o odigidria, anch’esso di origine greca (composto da “via” e “conduttrice”), 6 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora con il significato di “guida della via, del cammino”, in relazione all’icona della Madonna dipinta da San Luca. Concorda con tale interpretazione anche l’identificazione con San Luca dell’immagine del “Santo” affrescata nella grande nicchia situata sulla destra dell’imbocco della Crypta Neapolitana. L’appellativo odigitria in questa accezione potrebbe far riferimento anche ad un antico prodigio attribuito alla Madonna di Costantinopoli che guidò due ciechi fino alla sua chiesa e fece loro recuperare la vista; o essere relazionato alla strada che alla chiesa conduceva, attraversata dai condottieri e sovrani dopo i trionfi in battaglia. Meno attendibile sembra il titolo di Santa Maria dell’Idra ovvero del serpente, identificato simbolicamente con il demonio da esorcizzare, benché l’edificazione della piccola cappella di Piedigrotta sia da interpretare come un atto necessario per eclissare gli elementi mitico‐cultuali pagani ampiamente associati nei secoli cristiani all’area della grotta napoletana. Il culto della Madonna in sé e come guida e protettrice del viandante appare qui particolarmente appropriato, se si considera la collocazione a scopo augurale e apotropaico dell’immagine sacra nell’arco d’ingresso della lunga Crypta Neapolitana, che con la sua oscurità sembrava materializzare le tenebre degli inferi (nel 1194 Corrado di Querfurt descrivendo il suo viaggio nella galleria romana afferma “….acessimus per tenebras infernales, tamquam ad inferos descensuri.”) e dove i segni di remoti culti solari e mitraici le conferivano una funzione altamente simbolica di “passaggio” iniziatico, con la rinascita dal buio alla luce eterna. 7 Simbolismo della icona Secondo la tradizione, l'icona della Madre di Dio "Odighìtria", è attribuita all'evangelista San Luca. La Madre di Dio viene chiamata Odighìtria, cioè "Colei che indica la via". Prende il nome dalla chiesa di Costantinopoli detta "delle guide". La Vergine, con il gesto della mano destra, indica a tutti gli uomini il suo Figlio Gesù Cristo, quale via per giungere alla salvezza eterna. Le tre stelle sul manto della Madre di Dio (sul capo e sulle spalle) sono il segno della sua verginità: prima, durante e dopo il parto. Il Bambino Gesù è raffigurato come un adulto, ed è seduto in posizione eretta sul braccio della Madre. Come Salvatore benedice e tiene il rotolo del Vangelo. Egli è il Verbo, il Signore di tutti i tempi, la gloria di Dio. Tutto in Lui è luminoso; secondo la definizione del Concilio di Nicea, Egli è "Dio da Dio,
luce da luce, Dio vero da
Dio vero... ".
8 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora Simbolismo delle strutture spaziali L'incorniciatura del volto è costruita avendo come riferimento di base l'asse orizzontale GH, cosicché il volto della Madre di Dio è collocato unicamente nella parte superiore dell'icona. All'interno, l'occhio (che è l'unico visibile nell'originale) è il centro di uno spazio simbolica‐
mente scandito, essen‐
do collocato all'incrocio tra l'asse verticale EF con il lato CD del quadrato ABCD costrui‐
to sulla base AB dell'icona. L'inclinazione dei volti, che determina l'asse dei nasi, la collocazione degli sguardi e delle bocche, anche nei loro rapporti reciproci, corrisponde esattamen‐
te all'inclinazione del lato DF del triangolo DFC. Questa stessa obliquità impronta tutta la restante dinamica com‐
positiva (inclinazione delle braccia, gambe, piede e il caratteristico drappeggio diagonale sulla spalla). Il gesto della mano del Bambino che consegna il rotolo è stato collocato alla stessa presumibile altezza della mano benedicente, in modo da marcare l'orizzontalità (IL) che cade sulla scansione del terzo dell'asse verticale. La ricostruzione si è inserita nelle dinamiche esistenti, rispettando il principio secondo cui punti significativi dello spazio strutturato coincidono con elementi pregnanti di significato dell'immagine. 9 Elenco delle Chiese dedicate a Santa Maria di Costantinopoli nel meridione di Italia. ABRUZZO 1. Santa Maria di Costantinopoli, (Sec. XIV), Scanno (AQ)Abruzzo 2. Santa Maria di Costantinopoli, Rivisondoli (Aquila) MOLISE 3. Santa Maria di Costantinopoli in Pietracatella (Campobasso ) 4. Santa Maria di Costantinopoli, Tavenna (Campobasso ) 17 5. Santa Maria di Costantinopoli in Portocannone 6. Santa Maria di Costantinopoli, Pietracatella (Molise)(Madonna della ricotta) CAMPANIA 7. Santa Maria di Costantinopoli in Napoli 8. Santa Maria di Costantinopoli, Gragnano (Napoli) 9. Santa Maria di Costantinopoli, Aversa (Napoli) (Madonna di Casaluce) 10. Santa Maria di Costantinopoli in Benevento 11. Santa Maria di Costantinopoli in Avellino 12. Santa Maria di Costantinopoli, Agropoli (Salerno) 13. Santa Maria di Costantinopoli, Angri (Salerno) 14. Santa Maria di Costantinopoli, Ugento (Salerno) 15. Santa Maria di Costantinopoli, Foglianise (Campania) 16. Santa Maria di Costantinopoli, Nocera superiore (SA) 17. Santa Maria di Costantinopoli, Teano 18. Santa Maria di Costantinopoli, Anacapri 19. Santa Maria di Costantinopoli ad Ischia Ponte 20. Santa Maria di Costantinopoli in Felitto Salerno 21. Santa Maria di Costantinopoli, Palmariggi (Salerno) (Madonna del monte) 22. Santa Maria di Costantinpoli ai Morselli, Cava dei Tirreni (SA) 23. Santa Maria di Costantinopoli, Pontelatone (CE) XVIII sec. 24. Santa Maria di Costantinopoli, Monte San Giacomo (La Madonna dei Cerri) Parco Nazionale del Cilento 25. Dodici Apostoli o di S. Maria di Costantinopoli, Solofra PUGLIA 26. Santa Maria di Costantinopoli in Morciano di Leuca 27. Santa Maria di Costantinopoli, Bitritto (BA) 28. Santa Maria di Costantinopoli, Conversano (BA)(Madonna della Fonte) 29. Santa Maria di Costantinopoli, Monopoli (BA)(Madonna della Madia) 30. Santa Maria di Costantinopoli, Cerignola (BA)(Madonna di ripalta sull’ofanto) 31. Santa Maria di Costantinopoli in Acquaviva delle Fonti 32. Santa Maria di Costantinopoli, Minervino Murge (BA) 33. Santa Maria di Costantinopoli, Crispiano in Puglia 34. Santa Maria di Costantinopoli, Lecce 35. Santa Maria di Costantinopoli, Ruggiano fraz.Salve (Lecce) 36. La Madonna ODEGITRIA patrona di Bari e della provincia civile (img 18) 37. Santa Maria di Costantinopoli, Botrugno (Lecce) 38. Santa Maria di Costantinopoli, Taranto 10 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora 39. Santa Maria di Costantinopoli, Manduria 40. Santa Maria di Costantinopoli, Bitonto BASILICATA 41. Santa Maria di Costantinopoli in Barile 42. Santa Maria di Costantinopoli in Marsico Nuovo 43. Cappella di Santa Maria di Costantinopoli a Balvano (PZ), Basilicata 44. Santa Maria di Costantinopoli, Marsico Nuovo (PZ), Basilicata 45. Santa Maria di Costantinopoli, Cersosimo, Basilicata CALABRIA 46. Santa Maria di Costantinopoli ‐Papasidero (CS) 47. Santa Maria di Costantinopoli, Sandemetriocorone Cosenza 48. Santa Maria di Costantinopoli, (Bisignano)15 49. Santa Maria di Costantinopoli, Campana (CS) 50. Santa Maria di Costantinopoli, Porto (CZ) SICILIA 51. Santa Maria di Costantinopoli, Palermo (Madonna della perla)(S.Maria de latinis) 52. Santa Maria dell’ Itria, Randazzo 53. Santa Maria di Costantinopoli, Palazzolo Acreide 11 Sviluppo in Campania Sull'origine e diffusione del culto della Madonna dell'Idria (o Odigitria) Madonna dell'Odigitria, immagine di riferimento (Napoli, Chiesa di S. Maria di Costantinopoli). Sin dai primi secoli della cristianità, nell’Oriente greco ebbe un enorme sviluppo il culto della Vergine, tra cui quello al titolo della Madonna dell’Odigitria. A Costantinopoli, l’Odigitria venne collocata in una chiesa custodita da frati basiliani, risalente al V secolo e oggi scomparsa, e divenne famosa proprio perché l’immagine fu attribuita a San Luca. Secondo la leggenda sacra, infatti, quella dell’Odigitria è una delle tre icone dipinte dal terzo evangelista quando la Vergine era ancora in vita, in seguito portata da Eudosia, moglie dell’imperatore Teodosio il Giovane, dalla Terra Santa fino a Costantinopoli. Questa celebre immagine fu considerata la protettrice, la 'conduttrice, guida della via' della città e di tutto l’impero d’Oriente. Prima della definitiva caduta in mano ai Turchi di Maometto II (1453), si ricordano solenni processioni penitenziali con l’icona dell’Odigitria per le vie della città, ma l’ora di Costantinopoli era ormai segnata e con la rapida distruzione delle chiese e delle icone, i Turchi miravano anche ad annientare la praesentia della Madonna. Tuttavia il culto resistette e così, dopo un’iniziale diffusione avutasi in seguito all’esodo di cristiani all’epoca delle persecuzioni iconoclastiche di Leone Isarco (VIII sec.), si espanse nuovamente grazie alla devozione di marinai e di profughi ‐ per lo più albanesi‐ che si diressero verso le regioni più meridionali d’Italia (soprattutto Sicilia, Calabria, Puglia). Bisanzio fu punto d’origine delle celebrazioni e dei modelli iconografici mariani: tutte le Madonne con il titolo dell’Odigitria in Oriente e in Occidente hanno l’icona di Costantinopoli come prototipo, ed essa è pure l’origine della tradizionale attribuzione a San Luca delle immagini venerate. Tra i tanti esempi da citare, si trova quello dell’icona galleggiante, rinvenuta da pescatori nell’anno 1383 nelle vicinanze dell’abitato di Tikhvin (Russia), che i devoti ritengono essere, se non l’originale di San Luca,almeno una replica fedele dell’Odigitria di Costantinopoli (Gharib). Il culto a questa ipostasi della Vergine è attestato in molti luoghi d’Italia, dove si ritrovano anche diversi modelli iconografici, come le immagini dell’edicola di S. Maria dell’Idria nella Crypta Neapolitana, del Santuario di Piedigrotta, della Chiesa di S. Maria di Costantinopoli (sopra riprodotta) e della Cappella omonima di San Gregorio Armeno a Napoli, della Chiesa di S. Francesco a Galatone, oppure la Vergine di Ripalta e la 'Sipontina' pugliesi, e la Virgo Orientalis del Santuario di Maria SS.ma dell’Oriente a Tagliacozzo. Ma la raffigurazione più diffusa, specialmente in chiese siciliane e sarde, appare quella della Madonna col Bambino in braccio che poggia su una cassa tenuta a spalla da due basiliani. Essa riepiloga i momenti più salienti del 'viaggio' dell’Odigitria bizantina che, secondo la tradizione leggendaria, al tempo dell’iconoclastia, chiusa da alcuni monaci basiliani dentro una cassa di legno e affidata al mare, finì per approdare sulle coste meridionali dell’Italia. In Puglia si celebra invece il rinvenimento dell’immagine di questa Vergine in un pantano del foggese, mentre per la Madonna nel Santuario di Tagliacozzo si narra chevi fu condotta da due legionari marsicani tornati da Ravenna, dove l’icona bizantina giunse salvata miracolosamente dal fuoco iconoclasta. A Napoli, il canonico Carlo 12 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora Celani nel Seicento scrive che S. Maria dell’Idria era così denominata 'per l’immagine della S.S. Vergine con un idria, ossia un vaso sotto i piedi', con riferimento ad un tipico vaso greco per acqua (cui sembra collegarsi anche l’interpretazione di ''Odygidrya'' come 'Madonna delle acque' data alla stessa immagine devozionale nell’omonima chiesa di Ragusa Ibla). Aspreno Galante, invece, sostiene che tale dicitura sarebbe un adattamento del termine ''odigitria'' o ''odigidria'', anch’esso di origine greca (composto da 'via' e 'conduttrice'), con il significato di 'guida della via, del cammino', in relazione all’icona della Madonna dipinta da San Luca. Concorda con tale interpretazione anche l’identificazione con San Luca dell’immagine del 'Santo' affrescata nella grande nicchia situata sulla destra dell’imbocco della ''Crypta Neapolitana''. L’appellativo ''odigitria'' in questa accezione potrebbe far riferimento anche ad un antico prodigio attribuito alla Madonna di Costantinopoli che guidò due ciechi fino alla sua chiesa e fece loro recuperare la vista; o essere relazionato alla strada che alla chiesa conduceva, attraversata dai condottieri e sovrani dopo i trionfi in battaglia. Meno attendibile sembra il titolo di Santa Maria dell’Idra ovvero del serpente, identificato simbolicamente con il demonio da esorcizzare, benché l’edificazione della piccola cappella di Piedigrotta sia da interpretare come un atto necessario per eclissare gli elementi mitico‐cultuali pagani ampiamente associati nei secoli cristiani all’area della grotta napoletana. Il culto della Madonna in sé e come guida e protettrice del viandante appare qui particolarmente appropriato, se si considera la collocazione a scopo augurale e apotropaico dell’immagine sacra nell’arco d’ingresso della lunga ''Crypta Neapolitana'', che con la sua oscurità sembrava materializzare le tenebre degli inferi (nel 1194 Corrado di Querfurt descrivendo il suo viaggio nella galleria romana afferma ''….acessimus per tenebras infernales, tamquam ad inferos descensuri.'') e dove i segni di remoti culti solari e mitraici le conferivano una funzione altamente simbolica di 'passaggio' iniziatico, con la rinascita dal buio alla luce eterna. Da Costantinopoli a Napoli Per delineare l'origine del culto mariano di Gimigliano è necessario partire da lontano e precisamente dalla città di Costantinopoli, capitale dell'Impero romano d'Oriente, voluta da Costantino il Grande, a cavallo del Bosforo e del Corno d'Oro sul luogo dell'antica Bisanzio. La città ebbe fin dai primi tempi per la Madre di Dio, la Vergine Theotokos, un culto tutto particolare, ad incrementare il quale non sarebbe stata estranea la madre dello stesso Costantino, l'imperatrice Elena. Nel V secolo, Teodosio II (408 ‐ 450) eresse a Costantinopoli tre basilichette mariane in luoghi detti Blacherne, Chalcopra‐ tia (mercato del bronzo) ed Odeghi (guide). L'immagine venerata agli Odeghi rappresen‐ tava la Vergine col Bambino in braccio. La denominazione Odigitria, da odos, "via", significa "Colei che indica la via" e per alcuni il nome deriverebbe dal fatto che i condottieri (odigoi) si recavano in questo monastero a pregare, per altri dal nome della via della città imperiale in cui vi era la Chiesa detta "delle guide", che conservava un'immagine simile, venerata come opera dell'evangelista Luca. Successivamente acquistò un significato personale a causa della posizione del braccio di Maria che indica il Figlio come "via, verità e vita". 13 Questa celebre immagine fu considerata la protettrice della citta' e di tutto l'impero d'Oriente. Furono gli imperatori stessi a portarla alla testa dei loro cortei trionfali, come indicatrice e guida della via, avvalorando in questo modo il titolo di "Odigitria". Ad incrementarne il culto a Costantinopoli contribuì l'imperatrice Pulcheria che volle stabilire una devozione particolare verso la Madre di Dio nei martedì: questo perché la definizione dommatica della Divina Maternità pare che sia avvenuta di martedì e inoltre perché di martedì, in quello successivo alla Pentecoste, per intercessione della Madonna, il popolo di Costantinopoli avrebbe avuto una vittoria sui persiani che avevano posto l'assedio alla città. Il tipo iconografico di S. Maria di Costantinopoli, infatti, ritrae generalmente la città turrita e cinta di mura in preda alle fiamme, che alcuni storici descrivono come un imponente incendio; altri spiegano più realisticamente come conseguenza di un assedio di Saraceni. Le lotte iconoclaste del 700 e la presa di Costantinopoli da parte di Maometto II nel 1453 determinarono, in questo lasso di tempo molto ampio, l'importazione delle immagini care al popolo cristiano d'Oriente nei territori dell'Italia Meridionale. Non solo, ma anche usi, tradizioni, costumanze liturgiche e architettura bizantina fecero sentire il proprio influsso, innestandosi nella cultura storica e popolare del Sud. Non poche furono la Immagini della Madonna di Costantinopoli la cui devozione si sviluppò in vari centri della Puglia (Bari, Acquaviva delle Fonti), Abruzzo e Molise (Ortona e Portocannone), Campania (Ischia, Terranova e Felitto). Antesignana della venerazione alla Madonna di Costantinopoli fu però la città di Napoli in un contesto storico ‐ sociale caratterizzato da guerra e pestilenza, due variabili che occupano un ruolo determinante nella nostra ricostruzione storica. Il diarista Gregorio Rosso scrive infatti che "l'anno 1528 fu infelicissimo a tutta l'Italia, particolarmente allo nostro Regno di Napoli perché ci furono tre flagelli de Iddio, guerra, peste e fame". I napoletani, presi dal panico, organizzavano processioni di penitenza, ma il viceré le vietò ed invitò il popolo a radunarsi a pregare nelle chiese. Contemporaneamente nel 1528, Francesco I inviò in Italia il visconte di Lautrec che, informato delle difficoltà di Napoli conseguenti alla fame e alla sete, marciò su Napoli, ma un errore tattico della politica dei Francesi alienò loro l'animo degli alleati genovesi. Il Doria passò infatti al fronte spagnolo e tolse il blocco navale, mentre la peste faceva un vero sterminio tra le truppe del Lautrec. I resti dell'armat francese si arresero l'8 settembre 1528, giorno della Natività di Maria. Il popolo era libero dal nemico esterno, ma viveva ugualmente sotto un terribile incubo; quello della peste che non cessava di seminare morte e lutti. L'epidemia perdurava ancora ai primi del 1529 e riprendeva con maggiore violenza nel mese di marzo. Con l'estate ‐ cosa insolita ‐ il flagello accennò a scomparire. Il Rosso attribuì all'intervento della Madonna, come la fine dell'assedio, così pure quello della peste: "Nello mese di giugno di questo anno 1529, il terzo giorno di Pasca Rosata (martedì di Pentecoste), fu ritrovata vicino le mura della città di Napoli una immagine della Madonna Santissima Madre di Dio, per rivelazione de una vecchierella, che abitava là vicino, alla quale fu promesso dalla Madre di Dio il fine della peste, come si vedde con effetto; et perciò la Città di Napoli diede principio subito ad edificare una Chiesa a detta Immagine, con lo titolo di Madonna di Costantinopoli, et si spera, che la protegga da detto morbo per l'avenire in ogni tempo futuro. E non solamente la Madonna di Costantinopoli liberò Napoli dalla peste, ma anco dalla guerra…". L'immagine della Vergine (rinvenuta dalla vecchietta) è di ispirazione chiaramente bizantina: l'affresco fu eseguito su tavola di marmo tufaceo da un manierista napoletano della fine del 1400. La Vergine è rappresentata a mezzo busto, assisa sulle nubi, nell'atto di reggere sulla 14 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora destra il Bambino Gesù, che le si tiene stretto al petto. Indossa un corsetto rosso cinabro e un manto azzurro l'avvolge tutta scendendole dalla testa bionda. Dietro, in alto, due angeli tengono spiegata una cortina verde che fa da sfondo alla Vergine e ai due personaggi che la fiancheggiano: S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista. Sotto, due angeli genuflessi fanno l'atto di reggere le nuvole che dividono la visione celeste dal panorama della città di Costantinopoli in preda alle fiamme, sulla quale due piccoli angeli versano l'acqua da due anfore. D'Engenio Caracciolo, storico napoletano del 1600, riferisce con serietà documentaria, che la chiesa di S. Maria di Costantinopoli in Napoli era "di grandissima divotione e non solo il giorno della sua festività, ma anco tutti i martedì dell'anno vi concorre tutta Napoli, e buona parte di quella in cotal giorno s'astiene anco di mangiar carne, e latticini… La festa principale del titolo con grandissima solennità si celebra nel primo martedì dopo la Pentecoste con straordinario concorso di popolo". La chiesa di S. Maria di Costantinopoli sorse prima del 1700 per spontanee offerte del popolo. Situata nel casale ‘delli concilij’ fu chiamata comunemente ‘in coppa a’ cappella’. 15 Sviluppo in Puglia Madonna di Costantinopoli Morciano di Leuca Storia Salento e cultura Questa chiesetta si trova a Morciano di Leuca ed è una delle poche scampate alla mano distruttrice dell’uomo. Quando in epoche lontane la devozione religiosa costituiva una dimensione totalizzante, l’uomo pensò di proteggere l’abitato costruendo in direzione dei quattro punti cardinali, extra moenia, altrettante cappelle: di esse, in questo piccolo paese del Capo di Leuca, oltre alla presente si è salvata solo la “Cappella della Natività” ricadente sin dagli ultimi decenni dell’800 all’interno dell’area cimiteriale. La chiesetta dedicata alla Vergine di Costantinopoli è opera della seconda metà del sec. XVI, all’indomani della battaglia di Lepanto combattuta il 7 ottobre 1571 tra i Turchi e le principali potenze cattoliche del Mediterraneo occidentale: quel tremendo scontro navale salvò per sempre la cristianità dall’espansionismo islamico, evitando che si consumasse il ripetersi della caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi di Maometto II (29 maggio 1453). Questa volta nelle acque di Lepanto la Vergine di Costantinopoli aveva salvato miracolosamente il mondo dalla catastrofe finale, per cui in tutta l’Europa bisognava testimoniare la riconoscenza con edicole, cappelle, chiese, benefici, altari consacrati alla Madonna venuta dall’Oriente. Ma ciò che rende preziosa e forse unica la chiesetta di Morciano è che al suo interno conserva un enorme monolite, un autentico menhir in pietra di marmo locale, sul cui fronte piatto è affrescata una stupenda Madonna col Bambino. Venuto alla luce a seguito di un intervento conservativo realizzato a cura della Pro Loco “Torre Vado” in quest’ultimo scorcio di fine secolo, questo capolavoro si è rivelato — nuovo messaggio di Verità — sotto le mani dell’esperto agli uomini del Terzo Millennio. Al di sotto dell’affresco sono visibili tracce di colore risalente al periodo classico dell’arte bizantina nel Salento (900‐1000 d. C.). Nella mano del Bambino sono raffigurate tre frecce (evidente il riferimento alla SS.ma Trinità) simboleggianti l’amore divino per l’umanità terrena. Inglobato ab immemorabili in un’edicola sacra, in ossequio alla volontà espressa in appositi editti dal sovrano più cristiano della storia, l’imperatore Carlo Magno (800 d. C.), il menhir sollecita 16 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora un’ulteriore riflessione: rivolta verso la città messapica di Vereto, proprio a pochi metri dall’area che nasconde nelle sue viscere i resti della prima civiltà del Salento, questa pietra appare come un faro di luce, portando sul suo corpo i segni di un tempo che affonda le radici nella preistorica religiosità solare, attraversa l’età d’oro del Salento messapico, si arricchisce del misticismo medievale fino a proporci i volti paffuti e rotondeggianti ‐ terragni e popolani — della Madonna e del Bambino impregnati di concretezza tutta rinascimentale, preludio ai valori più profondi dell’età moderna e contemporanea. Una pietra che viene da tanto lontano, e che nella sua imperturbabili‐
tà indica la via sicura da seguire. Botrugno (Lecce)
17 Sviluppo in Sicilia La Sicilia era ai tempi terra greca, sia politicamente sia religiosamente. Da un punto di vista etnico e linguistico la stessa era divisa tra una componente latina, vicina ai papi di Roma, i quali avevano anche forti interessi economici nell'Isola, e una componente, maggioritaria questa, di ceppo greco. Siracusa era capitale dell'isola come nell'Antichità e, anzi, la Sicilia di allora non era altro che l'ultima pallida ombra della grande Civiltà Siceliota di un tempo. Mille anni di impero romano non erano riusciti ad alterare significativamente l'etnia greca dei Sicelioti e questa si era per di più rafforzata dall'unione politica con Bisanzio. Da un punto di vista religioso la Sicilia dipendeva da Costantinopoli e non da Roma ed era di rito greco in maniera universale (anche se ai tempi la differenza tra Oriente e Occidente era solo di rito e di giurisdizione, poiché anche i "papi di Roma" erano "ortodossi" o i "patriarchi di Costantinopoli" cattolici, a seconda dei punti di vista). Se proprio qualche peculiarità religiosa vogliamo trovare della Sicilia di quei secoli rispetto agli altri paesi cristiani è l'incredibile resistenza del paganesimo, nonostante la precocissima introduzione del Cristianesimo stesso. Il mito del mago Eliodoro di Catania ('U Liotru) è ciò che resta della memoria storica dell'ultima grande campagna di repressione del paganesimo, ancora alla fine del VII secolo dopo Cristo, poco più di cento anni prima che venissero gli Arabi. Ciò che sorprende di più, però, in questo tenacissimo legame della Sicilia con la Grecia, non sono però queste remote vicende quanto la sopravvivenza di questo legame anche nei secoli successivi alla "reconquista" normanna che unì definitivamente la Nostra Terra all'Occidente latino e cattolico. Finanche l'ordine cavalleresco guidato (tutt'oggi) dai discendenti del casato dei Borbone è legato nominalmente a Costantinopoli. Per secoli il Val Demone è stato la roccaforte della resistenza del culto greco e della lingua greca (l'attuale Arcivescovo di Messina ha il titolo greco di Archimandrita, come il capo politico aveva quello di Stratigoto, entrambi nomi greci). La venuta degli Albanesi nel XV secolo rafforzò questa componente, tanto più che gli stessi erano particolarmente devoti all'Odigitria (basti guardare come oggi è sentita la Festa dell'Odigitria a Piana) e lo stesso culto era diffuso in altri centri della Sicilia occidentale (basti pensare alla "Madonna di Costantinopoli" di Lercara Friddi). Come nei paesi dell'Europa orientale la Chiesa di Sicilia era internamente autonoma e subalterna al potere politico del re (l'apostolica legazìa): questa chiesa "autocefala" sopravvisse incredibilmente fino 18 Lotta iconoclasta e l’arrivo delle icone in Italia; diffusione della Madonna di Costantinopoli – Alfonso Carfora al 1870, quando lo Stato Italiano vi rinunciò con la c.d. Legge delle Guarentigie per riparare (a spese dell'Autonomia della nostra Chiesa) alla Presa di Roma. Papa Pio IX non riconobbe quella legge, ma si riprese, dopo circa 1300 anni, la giurisdizione sulle diocesi siciliane che l'Imperatore bizantino Eraclio aveva tolto alla Chiesa di Roma nel VI secolo. Finanche la spiritualità popolare era restata molto simile a quella dei Greci, almeno finché la lunga e pervasiva influenza spagnola (non quella italiana) non introdussero altre sensibilità e forme di culto. Così fu naturale considerare la Madonna di Costantinopoli la Nostra Patrona, non soltanto la "Panagia" (Tutta Santa), la Madre di Dio, ma anche la Madonna degli assediati; e i Siciliani si sentivano e si sentono sempre "assediati" da qualcuno o qualcosa: i Turchi, la fame, le guerre,... Felici e precari nello stesso tempo... La Madonna Odigitria a Palazzolo Acreide
Il culto della Madonna Odigitria, nacque e si diffuse a Costantinopoli. Non si sa con precisione quando fu introdotto a Palazzolo, sappiamo che divenne popolarissimo in tutta la Sicilia e l'Italia Meridionale, soprattut¬to nel '600, tanto che ogni paese ebbe una Chiesa dedicata alla vergine "guida della via" protettrice del viandante e del pellegrino. Patrona di Palazzolo fino al 1689, la Madonna Odigitria fu venerata dagli abitanti del quartiere alto del paese, detto di "San Sebastiano". In questa data essa fu sostituita da San P.aolo apostolo proclamato "patrono" dagli abitanti della parte bassa del paese, detti "Sampaolesi". La proclamazione scatenò una vera e propria "guerra di santi" fra Sampa¬olesi e Sansebastianesi. I Sansebastianesi ritennero" illegale" l'elezione, scrissero sul fercolo della madonna "Patrona Palatioli" e continuarono così a venerarla, mentre i Sampaolesi scrissero sulla loro "vara" "patronus principalis ". Se da una parte l'elezione di S. Paolo a "Patrono principale" di Palazzolo fu confermata dalla Sacra congregazione dei riti il 15 luglio 1690, dall'altra la nomina della Madonna Odigitria a "Patrona Reale" fu riconfermata dal monarca spagnolo Filippo IV, con un suo decreto speciale datato 14 settembre 1692. Queste sovrapposizioni di "elezioni patronali" diedero inizio ad una duratura rivalità che ancor oggi si estrinseca in una sorte di costruttivo antagonismo fra i comitati organizzatori delle feste di San Sebastiano e di San Paolo. Fino al17121a festa della Madonna Odigitria si svolse in un periodo che oscillava tra il martedì di Pasqua e la domenica in Albis, proprio nel 1712 la data della festa fu differita dal martedì di Pasqua al 10 agosto. Il differimento della data avvenne non senza contrasti, e fu dovuto a motivi climatici, ma soprattutto a motivi di natura economica e sociale. La data prescelta cadeva, infatti, in un periodo in cui più intenso era il commercio del grano appena raccolto e più frequenti erano le fiere e gli scambi commerciali per cui i fedeli devoti potevano meglio contribuire alla riuscita della festa con le loro offerte. Tant'è che il differimento dei festeggiamenti dei Santi patroni dall'inverno all'estate fu un fenomeno comune a molti centri della Sicilia5. Lo spostamento della data della festa coincise con la fiera che si teneva dal 7 al 22 agosto per la festa dell'Assunta, gestita dai Padri Minori Osservanti. Poiché i Sansebastianesi vollero tener fiera dal 6 al12 agosto si posero in un rapporto di forte competitività e contrasto con i Padri Minori Osservanti. I contrasti furono sedati e risolti nel 1714 dal vicario don Pietro Masuzzo attraverso un indennizzo, di cui non si conosce l'entità, che i Sansebastianesi dovevano ai Padri Minori 19 Osservanti. Sempre per la data della fiera sia i Sansebastianesi che i Padri Minori Osservanti entrarono in conflitto con la vicina Buccheri dove il 10 agosto si celebrava la festa di S. Vito con relativa fiera. Oltre che da questa importante fiera, altro aspetto caratteristico della festa era costituito dalla istituzione (1759) di una rendita in natura per una ragazza da marito. Quest'usanza in epoca più recente fu assunta dal tradizionale "cummitu" (convito), cioè dall'uso di "vestire" da "Madonnuzza" una giovi¬netta da 14 anni in su, di famiglia poco agiata. Una processione durante le ore antimeridiane, raccoglieva per le vie del paese, copiosi doni in natura: pane di varie forme, ricotta, formaggio, dolci ecc., poi durante le ore pomeridiane sulla piazza, a ridosso del Municipio, su un palco riccamente addobbato con fiori e frutta, veniva che il clero e confratri sdegnavano intervenire ad una processione sì pazza, ma vi erano costretti dai Vescovi come a festa popolare e antichissima, alla quale non si potea né si dovea porre ostacoli". Questa insolita celebrazione costituiva, dunque, un'occasione festiva in cui la comunità si liberava dai rigidi schemi sociali abituali e consentiva una "temporanea" libertà e liceità di costumi. La festa è per eccellenza periodo per la celebrazione di riti sacri, tuttavia è proprio l'opposizione del tempo della festa al tempo normale che partecipa della dialettica sacro profano. La Chiesa però non riusciva ad eliminare la permanenza di questi antichi rituali pagani (maschere, fuochi, ecc.) cosicché nei primi anni del XIX secolo, una ordinanza Vescovi le, riportò la celebrazione della Madonna Odigitria alla domenica "in albis" e riservò la data del l O agosto ai festeggiamenti in onore di San Sebastiano Martire, che già si venerava anticamente il 20 gennaio, anniversario del Suo martirio ricordato nella Messa e nella Ufficiatura da tutta la Chiesa Cattolica. Cenni su Akrai‐Palazzolo ‐ Palazzolo sorge ad est dell'antica Akrai, una delle tre subcolonie fondata dai Dori di Siracusa nel 664 a.C. Odighitria Calatamauro (PALERMO)
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