(Le gamin au velo) Genere:Drammatico Regia: Jean Pierre e Luc

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(Le gamin au velo) Genere:Drammatico Regia: Jean Pierre e Luc
IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA
(Le gamin au velo)
Genere:Drammatico
Regia: Jean Pierre e Luc Dardenne
Interpreti: Cécile de France (Samantha), Thomas Doret (Cyril Catoul), Jérémie Renier (Guy Catoul),
Fabrizio Rongione (il libraio), Egon Di Mateo (Wes), Olivier Gourmet.
Nazionalità: Belgio/Francia/Italia
Distribuzione: Lucky Red Distribuzione
Anno di uscita: 2011
Origine: Belgio/Francia/Italia (2011)
Soggetto e scenegg.: Jean Pierre e Luc Dardenne
Fotografia (Panoramica/a colori): Alain Marcoen
Musiche: brani di autori vari
Montagg.: Marie Hélène Dozo
Durata: 87’
Produzione: Jean Pierre e Luc Dardenne, Denis Freyd.
Giudizio: Consigliabile/problematico/dibattiti
Tematiche: Adolescenza; Famiglia; Metafore del nostro tempo;
Valutazione Pastorale: Sentiamo i Dardenne: “Da tempo eravamo ossessionati da una storia: quella di
una donna che aiuta un ragazzo a liberarsi della violenza di cui è prigioniero. L’immagine che per prima
ci veniva a mente era quella di questo ragazzino, questo fascio di nervi, placato e quietato grazie ad un
altro essere umano (...)”. Rispetto a questo c’è da aggiungere la parte della ostinata ricerca del padre. In
effetti la figura paterna, che c’è, si nega, rifiuta il ruolo, scappa impaurita; della madre non si fa cenno,
ma arriva sotto forma della donna inattesa, che in pratica risolve (quasi) tutto. Cyril partecipa all’azione
cattiva in modo forse inconsapevole, e poi cerca di riparare e dimenticare, concedendo fiducia alla nuova
figura femminile. I Dardenne camminano lungo un terreno impervio quanto a caratteri e psicologie ma
leggero, piano, impalpabile quanto a sussulti drammatici. Il copione scivola via come una breve cronaca
su un giornale locale, appena riferita e subito dimenticata. Il finale resta sospeso dentro un’idea di riscatto
e la regia opera su un taglio visivo più semplificato che semplice. La favola resta dentro una precisa
realtà. E i vuoti di identità abitano tra noi. Film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come
consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
(Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI)
Film adatto per i più grandi (almeno 13 anni) perché presenta situazioni drammatiche; storia di un
ragazzo rifiutato dal padre e che vive con aggressività la sua vita fino a compiere atti criminosi. Ma
bellissimo per chi ama film senza fronzoli che ci buttano dentro la vita.
(…) in Le gamin au vélo (…) i Dardenne hanno privilegiato i campi lunghi e i totali, i piani paesaggistici, per
evidenziare l’isolamento del loro protagonista, il dodicenne Cyril, in uno spazio urbano e periferico di
Seraing (nei pressi di Liegi), che percorre con quella bicicletta che è al tempo stesso strumento di libertà e
feticcio affettivo e sostitutivo di tutto ciò che non ha, e il suo smarrimento in una normalità che non gli
appartiene e che conquista lentamente grazie all’incontro con la parrucchiera Samantha.
Come già La Promesse (id., 1996) e Rosetta (id., 1999), anche il nuovo film dei fratelli Dardenne è un
racconto d’iniziazione, ispirato agli autori da una storia vera, raccontata da un’amica magistrato nel 2003,
quando presentarono Le fils (Il figlio, 2002) in Giappone: un ragazzo, così attaccato al padre, che l’aveva
abbandonato in un orfanatrofio, da vivere per anni nell’illusione di un suo ritorno, fino al punto da voler
rimanere sul tetto dell’istituto per scrutame ansiosamente il possibile arrivo. Nel loro film, i Dardenne hanno
sostituito all’immagine del ragazzo immobile in una disperata vedetta, quella, tipica del loro cinema,
appunto, di un corpo trascinato dal movimento incessante, per colmare la mancanza di cui soffre.
UNA FIABA DI INIZIAZIONE E RISCATTO
La narrazione comincia quando la storia del protagonista è già stata segnata da due traumi: il primo cade in
ellissi - l’assenza della madre, “buco nero” del racconto che lascia presumere una tragedia irreversibile - e il
secondo, che inizialmente appare un enigma - l’abbandono subìto da parte del padre Guy (gli è successo
qualcosa di grave? È stato arrestato?). Ma quando finalmente Cyril scova il genitore nella cucina di un
ristorante, scopriremo un ex ragazzo (Jérérnie Renier), impotente a diventare adulto, dal caschetto biondo
falsamente rassicurante, chiuso nell’indifferenza di un egoismo e di una viltà paurosamente atoni. In questa
scena, che si svolge nella terra di nessuno di una cucina deserta, mentre il padre continua il suo lavoro
meccanico con l’ansia malamente dissimulata di liberarsi di quel figlio non voluto, assistiamo al confronto di
due energie incompatibili: quella dinamica del ragazzo, che attende penosamente un gesto o una parola che
non arriva, e quella statica dell’adulto, irrigidito nella propria aridità e disorientato davanti a quella creatura
di cui non sa come liberarsi. La disperazione di Cyril, quando scopre che Guy non vuole rivederlo mai più, si
libera in un’esplosione di violenza autopunitiva che potrebbe arrivare al suicidio (tenta di graffiarsi il volto
con le mani e sbatte la testa contro il vetro dell’automobile).
Ogni stazione del racconto è cadenzata dall’erompere di quell’energia infelice che Cyril accumula dentro di
sé: la fuga rabbiosa all’inizio; l’ostinata difesa della propria bicicletta da un ladro di strada; l’aggressione
contro Samantha quando vuole impedirgli di uscire; la violenza, incanalata dall’“addestramento” di Wes
contro il libraio e infine la resistenza ai colpi subìti e la volontà di vivere che lo spingono ad alzarsi da terra
(dopo che è stato colpito da un sasso ed è caduto da un albero) e a riprendere la sua corsa, vulnerabile e
indistruttibile come un animale selvatico e randagio.
Contraltare del vuoto affettivo in cui si dibatte Cyril, è la provvidenziale presenza di Samantha, cui i
Dardenne sono riusciti a sottrarre qualsiasi potenziale retorica, anche per la scelta felice dell’interprete, la
luminosa e sensibile Cécile de France, che irradia un calore immediato ed esprime una maternità tutta fisica
ed emozionale e mai esplicita. Come niente interviene a spiegare il perché del suo attaccamento alla sorte del
ragazzo, suggerendo implicitamente ogni genere di ipotesi (sterilità, eccetera). È particolarmente riuscita, nel
film, la dialettica fra la propensione della giovane donna a fare da madre a Cyril e l’ossessione del ragazzo a
cercare un padre, prima inseguendo il proprio e poi accettando l’amicizia interessata di Wes, e la corruzione
che comporta, come una figura paterna di sostituzione che, specularmente a Guy, non esiterà a scaricarlo
quando gli sarà diventato di peso.
Cyril si ribella a Samantha (anche violentemente, infatti la ferisce) come si rivolta contro i rappresentanti
della società che vorrebbero sistemarlo in un luogo sicuro (emblematica l’immagine del corpo del ragazzo
completamente avvolto nella sua coperta, quando Samantha viene a prenderlo). Al desiderio di maternità
della donna, sulle prime, non corrisponde un’analoga corresponsione affettiva da parte di Cyril, che però
sembra soffrire anche di una contraddittoria gelosia nei confronti della donna (si pensi alla sequenza notturna
in cui si sveglia e scopre Samantha nel suo letto con il fidanzato).
Ma l’assenza del padre è, per i tre quarti del racconto, un vuoto che oblitera ogni altro affetto e il ragazzo,
dopo la rapina, sarà tentato perfino dall’idea di dare il denaro rubato al padre, per “comprarne” l’affetto e la
considerazione. Solo dopo essere passato attraverso la degradazione dell’atto criminoso, come in un racconto
“morale”, il ragazzo sceglie definitivamente il riscatto e l’affetto offerti da Samantha e inizia una nuova
esistenza.
Stavolta, infatti, i Dardenne hanno calato la loro storia di aspra iniziazione alla vita in una prospettiva più
ottimistica, rispetto ai film precedenti, per la luce estiva in cui hanno immerso il film (girato in agosto), per
l’adozione della musica che ha una funzione consolatoria (quattro estratti del Concerto n. 5, “L’Imperatore”,
di Beethoven) e soprattutto per gli echi fiabeschi.
Una fiaba che ricorda «Pinocchio»: l’alternanza di traviamenti e volontà di redenzione fino al riscatto finale,
la ricerca del babbo, invocato e perduto, la presenza benaugurante di Samantha che, come una fata,
interviene a soccorrerlo nelle difficoltà, l’ambiguità di Wes, che sembra un amico e invece è un cattivo
maestro, al quale i Dardenne assegnano anche sfumature contraddittorie, come la sollecitudine con cui si
prodiga per aiutare la nonna inferma a letto, che vive con lui. L’incontro con questo personaggio (una sorta
di incrocio degradato fra il Gatto, la Volpe e Lucignolo) avviene nel bosco, spazio incuneato e occulto dentro
la periferia, dove Cyril supera la prova di forza fisica con i bulletti di Wes e accetta l’addestramento
criminale che il giovane gli ammannisce per prepararlo alla rapina.
Il bosco costituisce uno spazio inquietante, di pericolo per sé o per gli altri (si pensi anche a Rosetta e a Le
silence de Lorna [Il matrimonio di Lorna, 2008]): qui, con un effetto di “ripetizione” tipico delle fiabe, è
proprio accanto alla baracca dell’iniziazione “criminale” che Cyril verrà colpito dal figlio del libraio. Si apre
qui un tempo di sospensione romanzesca: lo stesso aggressore e suo padre temono di aver ucciso Cyril e si
preoccupano di non lasciare tracce. Improvvisamente i ruoli si rovesciano e le vittime si trasformano
repentinamente in possibili assassini e conniventi, fino al “miracolo”, quando il ragazzo si alza e, come se
niente fosse, se ne va.
(R. CHIESI, Il bosco e le strade, in Cineforum n. 505)