Klára Madarász IL “VIVERE INIMITABILE” COME VERSUS DELL
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Klára Madarász IL “VIVERE INIMITABILE” COME VERSUS DELL
Klára Madarász IL “VIVERE INIMITABILE” COME VERSUS DELL’“UMILE E OBBEDIENTE GREGARIO”: PENSIERI SU DUE ATTEGGIAMENTI NEL CONTESTO DEL FASCISMO ITALIANO 1 I. Questioni preliminari sul metodo e sull'orizzonte della ricerca D'Annunzio e Pirandello: due personaggi enigmatici se li consideriamo nella totalità del loro essere sociale, se teniamo presente il loro agire artistico, politico e morale come anche i loro influssi nella vita sociale e intellettuale; è questa la totalità che questa volta chiamiamo atteggiamento. Il presente approccio ha come primo compito quello di trovare l'ambito e il punto di vista, partendo dal quale è possibile esaminare la totalità dell'atteggiamento come qualcosa di unico, e del movente comune: trovare dunque il filo tramite cui uscire dal labirinto dei fatti. Trovato il filo l'approccio assumerà il compito di abbozzare una possibile soluzione dell'enigmatica relazione che questi due artisti ebbero con il fascismo. Una direzione possibile per esaminare la totalità dell'atteggiamento, oltre l'ideologia: è analizzare la psicologia degli atti concreti degli artisti, considerando dunque come spazio comune, come ponte tra l'arte, la morale e la politica la psicologia dell'uomo. Insistendo sulla prospettiva psicologica verrebbe meno un problema fondamentale, che concerne notevolmente anche il nostro tema. Il problema fondamentale è che non sappiamo definire precisamente il limite tra le varie azioni umane, tra i vari tipi di agire realizzati nella società: non sappiamo differenziarli perché non sono identificati i criteri. Non sappiamo dire con precisione se un'azione umana sia un'azione civile, politica o artistica; questo problema si vede particolarmente bene nei casi limite, p. es. quando un artista aderisce ad un partito politico, o quando un poeta si impegna come Comandante militare, o quando uno scrittore, membro di un certo partito lascia le sue ultime volontà, o quando un'opera artistica ha una retorica che è capace di mobilitare gruppi sociali, civili o militari, per attuare fatti chiaramente politici, ossia quando 1 La relazione è la variante ridotta delle lezioni tenute all'Università "Carlo Bo" di Urbino, nel maggio del 2002. l'opera d'arte ha un messaggio che è capace di risvegliare la coscienza e la volontà di capire la realtà analizzandone i vari volti... Scelto la prospettiva psicologica come filo rosso, il presente approccio vorrebbe abbozzare una possibile interpretazione riguardo alla relazione dei due scrittori con il fascismo; e alla differenza che corre tra il fascismo di Pirandello e quello di D'Annunzio 2 . Nella nostra rapida panoramica presentiamo inizialmente alcune scelte di vita dei due artisti, che – siano artistiche, politiche o civili – verranno considerate e riflesse come vari documenti dell'esistenza psichica individuale concretizzata nella società. Si tratta di una scelta eseguita da me tenendo sott'occhio il periodo storico e l'indirizzo dell' analisi: vogliamo parlare dell'attività di Pirandello e D'Annunzio in un contesto sociale e/o politico, in quello del fascismo. Perciò concentriamo l'esame sul periodo tra le due guerre. Di fatto tutti e due gli scrittori avevano a che fare con il fascismo, però bisogna capire che cosa significava essere fascista per l'uno e per l'altro. Secondo la mia ipotesi c'è una differenza basilare tra i due "fascismi", tanto che non mi sembra possibile definirli con la stessa parola. Dopo la riflessione frammentaria sui fatti cercheremo di disegnare il profilo psicologico dei due scrittori, sperando appunto di arrivare a definire la differenza tra di loro nei riguardi del fascismo, e di fornire anche qualche conclusione interpretando il fenomeno del fascismo come "dialogo" sociale di certe attitudini psichiche. II. Fatti scelti di vita e riflessioni frammentarie II.1. D'Annunzio (1863-1938) Nella vita di D’Annunzio ci sono alcuni motivi rilevanti anche prima del periodo esaminato. Seguendo la cronologia, il primo fatto da menzionare – dopo la volontà superomistica delineata nell'ultima parte del Trionfo della morte (1894) – è 2 Noto qui che secondo le mie informazioni il "fascismo" di Pirandello viene menzionato oltre che in una monografia di orizzonte politologico discussa dalla critica letteraria (Gianfranco Vené: Pirandello fascista, Milano, Sugar, 1971) soltanto nelle introduzioni e nei capitoli storici dei libri e dei saggi di storia letteraria, e questi lo considerano come parte della vita civile di Pirandello e mai come parte della sua opera artistica e ideologica (eccetto una relazione di Johannes Thomas: "Irrazionalismo ed emancipazione", in AAVV, Pirandello e la cultura del suo tempo, Milano, Mursia, 1984). La problematica dell'auspicato Teatro Nazionale dal punto di vista dell'ambiguo concorso con il Regime viene analizzato p. es. nel volume Teatro: teoria e prassi, a cura di Enzo Scrivano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986. Invece il "fascismo" di D'Annunzio o meglio, l'ideologia prefascista e le azioni politiche di D' Annunzio, vengono menzionate e analizzate in ogni lavoro di rilievo storico. l'apparizione del superuomo, 3 in chiave apertamente politica, nelle Vergini delle Rocce (1895), che possiamo interpretare anche come proseguimento dell'ideale di vita come poema. 4 Poi segue la partecipazione clamorosa alla vita politica. Prima diventa deputato di Ortona, candidato della Sinistra, però non viene eletto (1901). Dopo ci sorprende con la partecipazione "movimentata" alla Prima Guerra come tenente (1915), viene ferito nel 1916, però si ritira solo per il periodo di convalescenza; nel 1918 la beffa di Buccari e il volo su Vienna colmano la serie delle azioni le quali costruiscono il "/.../ mito sopraindividuale dell' eroe in cui il singolo, che nella società massificante sente annularsi la propria personalità, riversa il proprio bisogno di identificazione. Era un mito alimentato allora da quei rituali collettivi che lo stesso D'Annunzio inaugurò con le adunate "oceaniche" (discorso di Quarto, 5 maggio 1915), durante le quali, parlando a una moltitudine plaudente, poteva realizzare l'ambizione espressa in una pagina del Fuoco: far sì che la parola fosse 'come il gesto dell'eroe', capace di 'trarre da una mole d'argilla una statua divina'. " 5 Nel periodo tra le due guerre il mito si allarga e si conferma nell' impresa di Fiume e nella successiva Reggenza del Carnaro (1919-1920). È il momento, in cui la politica dell'estetismo si trasforma in estetizzazione nella politica; "impresa che si poneva in modo inequivocabile come primo passo verso l'avventura fascista, anche se apparentemente ispirata – con abile gioco mistificatorio – a principi democratici e addirittura socialistico-corporativi." 6 . Il narcisismo, il bisogno di D'Annunzio di farsi protagonista da una parte si serve dell'applauso della folla disprezzata, con un'attitudine oltre che superomistica, anche inconseguente (quest' ambizione spiega la sua "avventura" con il socialismo); dall'altra parte si serve dei mezzi letterari, della parola, per creare sorpresa ed effetti di propaganda (ciò spiega le non sorprendenti coincidenze con l'ideologia e poetica 3 L'ideale del superumomo, sulle tracce di Nietzsche, però senza la sua radicale negatività originale, offre a D'Annunzio l'occasione di lasciare il costume dell'esteta e attribuirsi il compito del vate; l' eroe-poeta-vate si sente chiamato a donarsi all'esterno, tracciando la strada di un luminoso futuro per la sua 'stirpe' e per l'umanità intera. Quest' ideologia di facile consumo risolve le contraddizioni dell' estetismo di D'Annunzio in una sintesi ambiziosa e programmatica - come vedremo, anche in senso politico. 4 Per sintetizzare quest' ideale, anteriore a quello del superuomo, possiamo riferirci a D' Annunzio stesso, che usa espressioni, come "vita opera d'arte", "vivere inimitabile", "rinnovarsi o morire", che in seguito si trasformano in veri e propri slogan, che implicano una netta posizione politica-sociale: da una parte il disprezzo "aristocratico" del volgo, della folla, del mediocre mondo borghese e plebeo, dall'altra parte la ricerca dell'applauso dello stesso pubblico in pose spettacolose, tesa a provocare effetti, sensazioni forti e straordinarie. Tutto ciò in origine sembra essere soltanto il protagonismo infantile di un adolescente sensibilissimo. 5 Gavino Olivieri, Franca, Un secolo di narrativa 1880 1980, Roma-Bari, Editori Laterza, 1990. p. 127. 6 ibidem del futurismo). Ferroni scrive: "Il punto di partenza della politica dannunziana è sempre la parola, che crea un' oratoria infiammata, vibrante, agressiva, aliena da ogni argomentazione razionale, tesa a esaltare il gusto del rischio e del pericolo mediante modi scattanti e militareschi, immagini eroiche e motti esemplari che devono diventare parole di battaglia (e il linguaggio politico fascista – la retorica e la propaganda – seguirà spesso questi modelli dannunziani.) /.../ la stessa impresa di Fiume, basata sul rifiuto della legalità, sull' uso di bande armate, su un esasperato nazionalismo, su un' attenta manipolazione dell' informazione, può essere considerata una specie di prova generale delle azioni fasciste che subito seguirono." 7 Il protagonismo politico, ed il sogno di diventare il pacificatore nazionale, s'interrompe per un incidente occorsogli 8 , e D'Annunzio prima torna ai suoi atteggiamenti di anticonformista tra fascismo e socialismo, poi diventa davvero statua viva, eroe imbalsamato, in uno splendido isolamento: accetta il titolo di Principe di Montenevoso (1924), la costituzione dell'istituto per l'edizione completa delle sue opere (1926), e il finanziamento dal regime fascista della sua villa di Cargnacco (il Vittoriale). Nel 1937 diventa presidente dell'Accademia d'Italia e, quando nel 1938 muore, il regime, sfruttando l'occasione del funerale, organizza rumorose celebrazioni ufficiali all' eroe-poeta-vate. Tuttavia guardando le sue opere tra le due guerre 9 , sembra che dovesse pagare un prezzo troppo grande per i suoi sogni eroici, infatti il ripiegamento notturno della poetica dannunziana segnala chiaramente il suo malessere esistenziale: memorie, frammenti lirici, struggimento animico, rimpianti di una vita fallita; come se il "vivere inimitabile" fosse caduto in trappola. Anche se ora rinunciamo all'esame dettagliato dell'attività artistica, risalta subito, che D'Annunzio aveva scritto le sue opere maggiori prima del periodo esaminato; in altre parole la sua vena o intuizione artistica sembra essersi praticamente rotta insieme alla carriera politica. È veramente tragico vedere come fallisce la via di 7 Ferroni, Giulio: Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola, 1992. p. 845. La misteriosa caduta del Comandante, per cui la Marcia su Roma dava la vittoria a Mussolini; che, oltre che per quest'incidente, poteva ringraziare il Comandante anche per l'insegnamento della tecnica per la futura coreografia totalitaria. 9 1921: Notturno; 1922: "Libro segreto" (solo alcuni brani saranno pubblicati nel 1935, vedi Cento e cento...); 1924: Il venturiere senza ventura e altri studii del vivere inimitabile; 1928: Il compagno dagli occhi senza cigli; La Violante dalla bella voce (postuma, nel 1963); 1935: Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire, pubblicato da Angelo Cocles; alcuni dei brani scritti fino al 1922 del "Libro segreto". 8 realizzazione di sé, che sta seguendo (cioè il confondere le zone di attività 10 , che infine sbocca in una volontà di abolire interamente anche i propri confini), e nello stesso tempo come diventa modello di un comportamento nettamente politico, quello di Mussolini. Vorrei limitarmi solo a qualche rapido cenno su quel periodo notturno, per far vedere la fusione dell'espressione artistica e "l'azione" politico-morale. Del Notturno scrive Ferroni: 11 /.../ la nuova frantumazione ed elementarità del linguaggio nascondono spesso una ruvida retorica militaresca, che sembra affermare l'ineluttabilità della distruzione e della morte e prospettare come solo paesaggio degno di essere vissuto, quello grigio, secco, violento della guerra." Secondo Olivieri il Notturno s'inscrive, oltre che nella prosa impressionistica, anche nei diari di guerra dei "vociani", contrassegnati da gridi strozzati di fraternità e di passione; "Ma ecco che persistente, tenace e ormai indissolubile riemerge anche in queste pagine l'altra corda dannunziana; /.../ si ammanta ancora una volta della retorica del bel gesto, della sonorità della bella frase: «L'occhio è perduto? 'Io ho quel che ho donato'» /.../ oltre, l'idea dei 'cartigli' gli richiama 'la maniera delle Sibille che scrivevano la sentenza breve su le foglie disperse al vento dal fato'. " Olivieri nota, che viene confermato il giudizio di Salinari, secondo il quale anche i momenti del ripiegamento deluso, e dell'opaca coscienza della inanità della tensione superomistica fanno parte della personalità dannunziana, e non sorgerebbero senza la presenza del superuomo. 12 Nemmeno l'opera rimasta in maggior parte manoscritta, il "Libro segreto", nonostante il principale tentativo di scandagliare le zone d'ombra, di delusione e inappagamento, rimaste in lui come tracce oscure del 'vivere inimitabile', riesce ad arrivare ad una sincerità profonda, senza teatralità: "/.../ nel suo malumore senile vibra un estremo compiacimento di sé, il senso della propria superiorità sul teatro 10 A propos. vedi il Discorso di Pirandello su Verga alla Reale Accademia d' Italia, nel 1931, nella famosa antitesi tra arte e letteratura, paragonando Verga, l'artista "dallo stile di cose", e D'Annunzio, letterato "dallo stile di parole": "Dove non c'è la cosa, ma le parole che la dicono, dove vogliamo essere noi per come la diciamo, c'è, non la creazione, ma la letteratura, e anche, letterariamente, non l'arte ma l'avventura, una bella avventura, che si vuol vivere per scriverla. /.../ una ben altra prestigiosa avventura letteraria, la quale prese e tenne per tanti anni gli animi in un abbaglio fascinoso: quella d' un uomo adatto e magnifico, nato appunto per l'avventura, così nell'arte come nella vita, e in tal confusione d'arte e di vita da non potersi dire quanta della sua arte sia nella sua vita, e quanta della sua vita nella sua arte: una tal confusione salvando nel solo modo con cui era possibile, cioè sotto il lussuoso paludamento d'una continua letteratura. Ho detto Gabriele d'Annunzio." (Pirandello, Luigi: "Giovanni Verga. Discorso alla Reale Accademia d' Italia", in Pirandello: Saggi, Milano, Mondadori, 1939. 427443 p., p. 430-431. 11 Ferroni, Giulio: Profilo storico della letteratura italiana, op cit. p. 844. 12 cfr. Gavino Olivieri, op. cit. pp. 137-138. della società; ne esce qualcosa di arido e di ingrato, l'ultima traccia di un invincibile narcisismo." 13 Vorrei ora citare alcuni brani dall' Avvertimento di Angelo Cocles, redattore di Cento e cento..., per dare un' idea dell'atmosfera che circondava l'eroe della nazione, almeno agli occhi dei suoi idolatri. Cocles era andato a trovare D'Annunzio nel "Vittoriale degli Italiani", per recargli un dono di Francesco Malipiero, una riduzione del terzo Libro de' Madrigali di Claudio Monteverde. "Resto chino sui fogli rigati. strinse le tempie fra le palme. non mi ardivo indagarlo né interrogarlo; ma mi parve ch' ei fosse inteso a dominare una perplessitá simile quasi all'angoscia. /.../ ma ero affascinato da una lunga tavola grezza sostenuta da quattro capre simili ai trespoli de' muratori. Interamente coperta di que'fogli fabbricati a Fabriano con filigranato il motto 'Per non dormire'; su' quali fu scritta l' opera intiera di Gabriele D'Annunzio, dall'anno di grazia 1890 a oggi. 14 una scrittura folta e nervosa li empiva tutti. sapevo ch' eran circa quattromila. eran le pagine del suo 'Libro segreto'. eran le note che per alcuni anni egli scrisse quasi ogni notte, con la più audace sincerità, non a confessione ma a rivelazione di sé medesimo. Ebbi paura quando si voltò improviso, si levò, scrollò il capo e le spalle, con una specie di sbuffo energico da cavallo che aombri. m' assalí aspro e sprezzante: 'forca vecchia, spia nova. buon discepolo, sei capace di tutto. ti ardisci di mettere gli occhi nelle mie carte, senza chiedere!' Io giunsi le mani e feci atto d' inginocchiarmi a chiedere perdono. disse: 'basta. è ora che tu te ne vada.'" A questo punto D'Annunzio gli diede per Malipiero l'effigie di Dante incisa nel legno da Adolfo de Carolis. Segue Cocles: "Come osavo dimandare un qualche segno per me, egli si appressò alla tavola delle quattro capre, raccattò un pugno di fogli e me lo gettò ai piedi. 'eccoti un pugno delle mie ceneri. Vattene. Intendi? Vattene!' Mi costrinse a raccogliere in fretta i fogli numerosi. mi spinse all' uscio. richiuse. e tutto fu silenzio. Due ore dopo, tutto fu spavento. quando accorsi, il suicida era disteso nella ghiaia, pallidissimo, immoto, senza alcun disordine, supino anche il capo, come giŕ composto nella fossa per sempre. /.../ I medici /.../ i più grandi, sentenziarono: 'segni manifesti di frattura della base del cranio estesa all' orbita destra. commozione cerebrale. stato d' incoscienza'. /.../ Gli stessi dottori /.../ il 17 agosto dichiararono: 'la sua coscienza si va risvegliando. /.../ la vista è salva.' /.../ Stampo le cento e cento e cento e cento pagine del 'Libro segreto' a me donate in punto di morte. a dispregio delle tante biografie /.../ da un de tanti sollecitatori americani accettò /.../ di scrivere la sua autobiografia senza date e senza episodii sotto il titolo 'Favola breve d'una vita lunga'. penso che questo 13 14 Ferroni, op. cit. p. 844. Cioè il 13 agosto 1922. (M.K.) volume respiri e soffra nel medesimo spazio spirituale che non sa regioni non lontananze non orizzonti non limiti. 15 Secondo la mia ipotesi il compiacimento di sé, che nell' opera poetica era rintracciabile fin dai primi momenti, è lo stesso narcisismo che trovò il suo pubblico anche nell'attività politica e militare; e forse per questo motivo diventa tanto difficile per il poeta sopportare se stesso; lo dichiara anche D'Annunzio stesso, in un noto motto del "Libro segreto": "Questo ferale taedium vitae mi viene dalla necessità di sottrarmi al fastidio – che oggi è quasi l'orrore – di essere stato e di essere Gabriele d'Annunzio, legato all'esistenza dell'uomo e dell'artista e dell'eroe Gabriele d' Annunzio, avvinto al passato e costretto al futuro di essa esistenza: a certe parole dette, a certe pagine incise, a certi atti dichiarati e compiuti: erotica heroica." 16 Sembra che tutto sommato D'Annunzio soffrisse del fatto che in realtà non ebbe il potere per dominare non solo la vita della folla disprezzata, ma nemmeno la propria vita e arte: anzi: era diventato appunto lui stesso un giocattolo lussuoso in mano della politica del regime; la fase notturna della sua arte può darsi che sia l'espressione di un riconoscimento indiretto della propria responsabilità – o soltanto della propria sconfitta? Secondo il severo giudizio di Ferroni "Anche se D'Annunzio rifiutò poi di impegnarsi direttamente nella politica e nutrì dubbi e riserve sul fascismo /.../, egli fu comunque uno dei cardini della cultura del regime, 17 e gli va attribuita tutta la responsabilità di aver fatto convergere nel fascismo e nell' azione di massa una cultura decadente, irrazionalistica, individualistica. I suoi discorsi politici valgono come triste modello di un uso accecante della sapienza letteraria e retorica; vi si sente l' esito deprimente di una cultura anticritica, tesa non a far conoscere la realtà, ma a creare un consenso puramente emotivo /.../ " 18 II.2. Pirandello (1864-1936) 15 cfr. Cocles, Angelo, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire, /Verona, Mondadori, 1935/, pp. A-I 16 cfr. Cocles, op. cit. p. 440. 17 È da notare qui (che situazione paradossale!), che Pirandello, nonostante anche le proprie intenzioni di un certo, ma breve periodo, non "riuscì" mai a diventarlo, appunto per motivo della sua arte - per fortuna... (M.K.) 18 Ferroni, op. cit. pp. 843-845. La vita di Pirandello nel periodo esaminato anche a prima vista mostra una differenza sostanziale rispetto a quella di D'Annunzio: è la realizzazione della grande stagione teatrale e dei successi, non tanto in Italia, quanto all'estero. 19 Nonostante il compimento artistico e il lavoro fervente di Pirandello c'è qualcosa in comune tra i due: il tormento spirituale, anche se per motivi ben diversi, e la ricerca continua di attenuarlo, anche se in modo addirittura opposto. Oltre alla novellistica e ai due ultimi romanzi, Pirandello tra le due guerre crea la maggior parte della sua opera teatrale, ed entro quest'arco di tempo, tra il 1918 ed il 1924, scrive le opere che la critica considera generalmente come i suoi capolavori. 20 Ora vorremmo mettere in rilievo solo alcune considerazioni sintetiche, adatte ad avvicinarsi a quest'opera vista come modo di reazione psichica dell'artista di fronte alla realtà sociale. Secondo Petronio Pirandello non appartiene al gruppo che fugge dall'aspra ma sana realtà nei mondi illusori, a trovare la consolazione sia di Dio, sia del sentimento del nazionalismo, o l'euforia del tecnicismo, o l'esasperazione del senso; la sua non è una soluzione facile, come quella di D'Annunzio. Pirandello per la sua reazione non tipica, è vero, "appartiene a quell'età ed è pure diverso dagli altri, è, anzi, in polemica continua con altri, con D'Annunzio, per esempio e con Croce. E forse nulla giova a penetrare nell'intimo di Pirandello quanto la comprensione della sua ostilità a Croce e a D'Annunzio. /.../ D'Annunzio chiude gli occhi alle difficoltà della vita ed evade nel senso, nella sensazione, nell'arte; innanzi ai dolori degli uomini proclama i suoi diritti di superuomo, innanzi all'asprezza dei conflitti sociali trova la scappatoia inebbriante del nazionalismo bellicoso. La polemica di Pirandello è perciò segno di uno spirito più inquieto, che non si accontenta delle soluzioni facili e non chiude gli occhi alla realtà dura, ma la guarda in faccia, sensibile a tutti i contrasti che la dilacerano. /.../ 19 Accenno qui che per Pirandello il detto periodo - nonostante la mancanza dell'appoggio finanziario da parte dello Stato o del regime fascista - è la realizzazione della sua grande stagione teatrale; una realizzazione di sé stesso nettamente artistica, e in più in quasi perfetta coerenza con l'opera di prima: circa il 70% delle opere teatrali è la rielaborazione delle novelle scritte nel periodo anteriore al periodo tra le guerre. 20 Solo alcuni titoli delle opere teatrali più importanti:1918: Il giuco delle parti; 1919: Tutto per bene; 1920: Come prima, meglio di prima; 1921: Sei personaggi in cerca d'autore (1917); 1922: Enrico IV.; 1922: La signora Morli una e due; 1923: Vestire gli ignudi; L'imbecille, L'uomo dal fiore in bocca, La vita che ti diedi, L'altro figlio; 1924: Ciascuno a suo modo, Sagra del signore della nave. nello scrittore siciliano era un senso più vivo delle contraddizioni e dei contrasti, un senso così vivo che non riusciva a placarsi /.../." 21 La sintesi resta vera anche se consideriamo che l'ultima fase della creatività pirandelliana sembra tendere alla mitizzazione dei problemi, il che può sembrare come abbandono della lotta intellettuale per la verità, come fuga sentimentale dalla realtà: nel 1928 nasce il primo dei miti, La nuova colonia. È il mito della fondazione di uno Stato nel quale la legge sia giusta e il rapporto fra gli uomini dettato dalla virtù; ma è anche la storia del conflitto fra due concezioni del potere cui pone termine la violenza della natura sulla quale trionfa solo un gesto d'amore. Se consideriamo questo "mito" come resa o ricognizione della propria inerzia nel mondo inteso come realtà politica, può apparire di non facile comprensione l'adesione di Pirandello al fascismo; ma se si pone mente a tutta la critica all'Italia postrisorgimentale contenuta nel romanzo I vecchi e i giovani, come osserva anche Petronio, ci si accorgerà che esiste una certa coerenza interna nelle scelte di Pirandello. 22 A mio avviso Pirandello è un vero filosofo, nel senso moderno della parola: è un uomo che si pone delle domande, e lo fa anche se non ne conosce le risposte – o se l'eventuale risposta non entra nel suo "sistema" e questo coraggio intellettuale di porre domande è una delle differenze tra lui e Croce. È un vero filosofo anche perché impegnato intellettualmente, uno che assume la responsabilità morale della scrittura, la morale di un pensatore originale, differentemente da D'Annunzio, che con la scrittura vuole esprimere solo se stesso, nemmeno con una sincerità che potrebbe interessare 23 . L'arte di Pirandello è un'arte di diagnosi spietata, le sue opere sono tanti appelli alla Ragione, senza dare la soddisfazione di soluzioni e risposte pronte. Non si compiace in pose eroiche e rifiuta il mito dell'onniscienza o quello della forza. Non dà soluzioni non solo perché non le conosce, ma anche perché vuole spingere noi stessi a trovarle, da soli; perché non ha fiducia nelle risposte convenzionali, e infine perché è sensibile ed empatico con ogni suo personaggio e forse non è per le semplici soluzioni politiche. Riguardo all'attività politica ci sono solo due eventi che sembrano essere decisamente politici: nel settembre del 1924 aderisce al partito fascista, alcuni mesi 21 Petronio, Giuseppe, "Il dramma dell'uomo solo in Pirandello", 1950, in Di Salvo-Romagnoli, Scrittori e poeti d'Italia nella critica 3/2. Cultura e letteratura del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1972. 192-193.p. 22 cfr. Petronio, Giuseppe, Masiello, Vitilio: Produzione e fruizione, 3/2. Palermo, Palumbo, 1989. p. 273-274. 23 Della sincerità di D'Annunzio vedi ancora il saggio di Pirandello: Giovanni Verga, op. cit. dopo l'omicidio Matteotti; e nel 1925 firma il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Gentile. Dopo queste decisioni possiamo assistere piuttosto alle loro conseguenze al livello animico-morale, piuttosto che al proseguimento dell'attività politica: cioè non possiamo identificare azioni nettamente politiche, nemmeno in modo indiretto, passivo, come nel caso di D'Annunzio, piuttosto la tensione di evitarle. A proposito dell'episodio forse più paradossale della biografia pirandelliana, l'adesione al fascismo, vorrei fare solo un breve accenno alla situazione della vita pubblica di quei giorni. "In un trafiletto apparso su L'Impero il 20 settembre 1924 si legge il suggerimento di inserire tra i nomi dei nuovi senatori "uomini di genialità superiore come Marinetti e Pirandello". /.../ "Pare invece che Pirandello non avesse ambizioni di tal genere", scrive Gaspare Giudice (Pirandello, Torino, Utet 1963) – ma Giovanni Amendola, in un articolo apparso su Il Mondo del 25 settembre 1924 accusa Pirandello di aver aderito al fascismo (è di pochi giorni prima la richiesta della tessera del partito con una lettera a Mussolini pubblicata su L'Impero del 19 settembre 1924) nella speranza di esser nominato senatore. Ne nasce una violenta polemica in cui in difesa dello scrittore agrigentino si levano molte voci di letterati e uomini di cultura, fra cui Ugo Ojetti." 24 L'episodio sembra paradossale, perché, come si vede anche dalle reazioni citate, secondo la logica dell'opinione pubblica, l'adesione doveva aver avuto un' importanza politica, cioè motivata dalle intenzioni politiche, intese come quelle concernenti al potere politico. Però nel gesto di Pirandello non c!era nulla di politico in questo senso (Pirandello nel suo telegramma a Mussolini dichiarò di voler aderire come "umile e obbediente gregario"), anzi, il gesto doveva apparire anche agli occhi dei suoi critici come lotta poco razionale, donchisciottesca, perché era avvenuto nel momento di maggiore debolezza politica del regime, mostrandosi chiaramente poco politico. (Il Pirandello fondamentalmente apolitico necessariamente diede una reazione irragionevole dal punto di vista politico. Piero Frassica afferma, in base alle lettere scritte a Marta Abba, che 24 Pirandello, Luigi: Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Roma, Bulzoni, 1980. p.90. Riguardo alla difesa di Ojetti, ci vorrebbe un altro saggio per analizzarne il significato e il rapporto intricato che Pirandello ebbe con Ojetti dai primi anni del Novecento; comunque è conosciuto il ruolo di Ojetti nel campo della cultura del ventennio fascista: un personaggio che con successo fa funzionare un ecletticismo nella vita letteraria e politica, per cui anche uomini certamente contrari al fascismo, "approdano senza problemi ad una rivista nella quale non c'è pagina del direttore che non dia per scontato che il fascismo è una realtà, una realtà positiva, e Mussolini è un grande uomo politico, e la cultura da sostenere sia una cultura di ordine, di tradizione, o umanistica come si preferisce dire." cfr. Manacorda, Giuliano: Storia della letteratura italiana tra le due guerre 1919-1943. Editori Riuniti, 1980. pp. 226-228. Pirandello ebbe rapporti controversi col fascismo e con lo stesso Mussolini; cita tra l'altro dichiarazioni pirandelliane: "Sono apolitico: mi sento soltanto uomo sulla terra." ossia, dopo aver chiesto la tessera fascista: "La politica? Non me ne occupo, non me ne sono mai occupato. Se alludete al mio recente atto di adesione al fascismo, vi dirò che è stato compiuto allo scopo di aiutare il fascismo nella sua opera di rinnovamento e di ricostzrutzione..." 25 ) Purtroppo l'adesione risulta per noi chiaramente donchisciottesca, umoristica anche dal punto di vista degli ideali, dei valori pretesi della politica di Mussolini (ma penoso per Pirandello, per riconoscerlo tardi) 26 , perché assume la lotta per ideali inesistenti: la triste realtà della storia è che questi ideali esistevano semmai nell'ideologia dei fasci siciliani, però mai nella realtà della politica e della pratica di Mussolini. Seguendo poi gli eventi della vita, vediamo una carriera teatrale, agitata dalle inquietudini artistiche, ostacolata dai problemi finanziari ed esistenziali, e una fermezza morale travagliata, fraintesa, e infine il silenzio e la nudità della solitudine sul palcoscenico delle maschere non nude. Vorrei soffermarmi brevemente solo su alcuni momenti di questo periodo. I primi tra questi sono i seguenti: tra il 1925 e il 1928 Pirandello mise in atto il Teatro d'Arte a Roma con un minimo appoggio del regime 27 ; e nello stesso tempo s'impegnò nelle tournée per acquistare gloria alla patria con l'opera teatrale. 25 cfr. Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire. Sull'epistolario inedito tra Pirandello e la sua attrice, Milano, Mursia, 1991. p. 70. 26 Don Quijote è il rappresentante par exellence dell'umorismo, personaggio caro a Pirandello; "Egli in fondo non ha - e tutti lo riconoscono - che una sola e santa aspirazione: la giustizia. Vuol proteggere i deboli e atterrare i prepotenti, recar rimedio a gli oltraggi della sorte, far vendetta delle violenze della malvagità. Quanto più bella e nobile sarebbe la vita, più giusto il mondo, se i propositi dell'ingegnoso gentiluomo potessero sortire il loro effetto. Don Quijote è mite, di squisiti sentimenti, prodigo e non curante di sé, tutto per gli altri. E come parla bene! Quanta franchezza e quanta generosità in tutto ciò che dice! Egli considera il sacrificio come un dovere, e tutti i suoi atti, almeno nelle intenzioni, son meritevoli d'encomio e di gratitudine. E allora la satira dov'è? Noi tutti amiamo questo virtuoso cavaliere; e le sue disgrazie se da un canto ci fanno ridere, dall'altro ci commuovono profondamente. /.../ L'effetto che quei libri (di cavalleria) producono in Don Quijote non è disastroso se non per lui, per il povero Hidalgo. Ed è così disastroso, solo perché l'idealità cavalleresca non poteva più accordarsi con la realtà dei nuovi tempi." cfr. Pirandello, Luigi: "L'umorismo", in Saggi, Milano, Mondadori, 1939. pp. 105-113. Non dimentichiamo, che la prima edizione del saggio è del 1908; la seconda, ampliata, è del 1920! 27 Sull'impegno teatrale, sull' "Utopia di un Teatro Nazionale" scrive Paolo Puppa: "Dall'alto del suo idealismo poco ortodosso, Pirandello affianca le fronde cattoliche durante il fascismo /.../ nel rifiutarsi a una completa ritualizzazione della messinscena, a una modernitŕ tecnologica, o a una fusione nel cerimoniale del Principe, come dimostra nel congresso Volta del 1934, in piena apoteosi culturale del Regime, allorché lo scrittore siciliano non condivide le posizioni di quanti strumentalizzano la Scena alla organizzazione di consenso, di quanti ne profetizzano l'inevitabile subalternitŕ alla estetizzazione della politica." (Puppa, Paolo: "Teatro pubblico", in: Teatro: teoria e prassi, a cura di Enzo Scrivano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986. p. 174175.) Benchò nel 1925 Pirandello fosse partito con l'intenzione di rappresentare la cultura italiana, tra il 1925 e il 1926 si creò, secondo p. es. Corrado Alvaro 28 , ma anche secondo Cacho Millet, "biografo" di Pirandello nel periodo argentino, una posizione di distacco dal fascismo da parte di Pirandello. Nel 1925 a Londra Pirandello si dimostrò ancora fascista militante, e nel 1926 lo stesso successe anche a Budapest. Nel 1926 ci fu una serie di rappresentazioni teatrali della compagnia di Pirandello a Budapest. Durante il soggiorno ungherese Pirandello rilasciò un intervista al nostro famoso poeta, Dezső Kosztolányi 29 : parlarono della fonte di ogni conflitto umano, del fatto che la vita e la coscienza della vita si dividono in due, e ognuno ha la propria vita. Da una parte c'è il flusso della vita, eternamente in movimento, senza avere una forma. Sarebbe un guaio se questo dominasse su di noi: questo sarebbe il nulla. Dall'altra parte c'è la rigidità della ragione, che non cambia mai, la forma. Sarebbe un altro guaio, se questa ci dominasse: sarebbe la morte. Noi uomini veniamo dal flusso continuo della vita, ne siamo una parte; solo la morte ci fisserà per sempre. In seguito parlarono dei progetti di Pirandello – 5 nuovi drammi e un romanzo – e del fascismo. Pirandello si professava fascista, e disse, che della politica, della vita del partito non si interessava; ma affermava di nuovo, che come pensatore, poteva essere solo fascista. Se il fascismo non esistesse, sarebbe lui l'unico fascista, e annuncerebbe la forza individuale, il diritto del genio di pigliare l'iniziativa di fronte alla massa. 30 Disse, che c'era bisogno di qualcuno, di un creatore della realtà, che è capace di dare forma al flusso continuo, all'informità. Per gli italiani questo era Mussolini. Lui non riteneva la volontà, come i filosofi tedeschi, una rea potenza 28 cfr. Rosselli, Alessandro: „Pirandello visto da Alvaro: Le note pirandelliane in Quasi una vita”, dattiloscritto, in: Rosselli: Una lunga passione civile. Corrado Alvaro testimone disincantato del ’900.,di prossima pubblicazione presso l’Editore Costantino Marco, pp. 72-75. 29 v.ö. Kosztolányi Dezső: Lángelmék. (Kosztolányi Dezső hátrahagyott művei IV.), Budapest, Nyugat, 1941. pp. 265-274. La ricezione di Pirandello da parte del poeta ungherese si basa sull'affinità della loro esperienza artistica e della teoria. Kosztolányi menziona Pirandello nel 1923 per la prima volta, lo chiama il siciliano strano ed interessante, nel 1924 lo ritiene un genio, dice: Pirandello è un genio. Ci ha commosso, ci ha fatto ridere, ci ha fatto pensare. La presenza dello scrittore siciliano nei suoi pensieri è documentata fino al 1935. Tutti e due ritengono la creazione artistica creazione della vita, atto creativo sul rango della vita. (vedi ancora: Madarász Klára: "Széljegyzetek Kosztolányi és Pirandello esztétikájához", in: Irodalomtörténet, 2000/2, pp. 235-261. 30 È da notare, che la massa nell'interpretazione di Pirandello non ha necessariamente contenuto politico-sociale; piuttosto esprime un modo psicologico di reagire della gente alle sfide della vita; la massa non ha un proprio volto, uno stile proprio, una coscienza propria; è soggetta al flusso continuo della vita e non ne capisce le regole; è incoscient . L'artista è quello, che è capace dare forma al flusso continuo della vita, l'artista è in quel senso creatore della realtà. Sembra che Pirandello questa volta instauri un parallello tra la creazione della realtà artistica e quella della storia. Non è da meravigliare, che, essendo artista, ritiene, che la responsabilità della creazione spetta a un unico creatore, appunto perché la massa non è capace di reagire al flusso continuo della vita con la coscienza del genio creatore. Solo più tardi riconoscerà il pericolo di tale pensiero inteso in chiave politica. oscura. La volontà è la buona figlia della vita. Non era pessimista, diceva di sé. (Vale la pena ricordare qui, che l'entusiasmo di Pirandello, e l'intenzione di aquistare gloria alla patria risulta uno sforzo non apprezzato da parte della stampa e dell'ideologia ufficiale: i giornali italiani semplicemente tacquero dei suoi successi all'estero. 31 ) A proposito di questa confessione devo affermare che la teoria di Pirandello sul compito della vera arte e dell'artista in un certo senso coincide con la sua opinione (o illusione, o utopia) sul ruolo dell'uomo politico, considerato come creatore della realtà. Secondo lui (e secondo anche Kosztolányi) la vera arte è creazione e non rappresentazione o semplice rispecchiamento della realtà; il compito dell'artista non è l'imitazione o il raddoppiamento della realtà effettiva, ma la creazione di una nuova realtà, quella artistica, che però è in un rapporto complicato con la realtà effettiva. Il rapporto tra le due realtà, quella artistica e quella effettiva, non è un problema filosofico, ma piuttosto psicologico; in base alle leggi psichiche, ritenute leggi naturali, bisogna rinunciare alla conoscenza diretta della realtà effettiva, e bisogna riconoscere che, sia la conoscenza, sia la rappresentazione della realtà effettiva può realizzarsi solo attraverso il soggetto, cioè attraverso la psiche, che è parte della natura. (Essendo tale, è contraria alla ragione, al pensiero, alla logica, la cui presenza esclusiva, in forma della volontà dell'artista, durante il processo creativo ostacola la sincerità dell'opera e ne diminuisce il valore.) Quanto al rapporto tra realtà effettiva e quella artistica, esiste tra le due, come ponte o strato mediatore, una terza realtà, quella esistente nell'istinto dell'uomo; nel processo creativo l'artista deve lasciare che quest'idea, o intuizione, possa venire a galla, possa tradursi in una realtà materiale, sensibile, nell'opera artistica. Il processo della creazione artistica accennato qui sopra è uno dei problemi fondamentali di Pirandello, artista e pensatore: lo stava 31 cfr. Pirandello, Luigi: Carteggi inediti, op. cit. p. 101-104. Nella lettera LXIV scritta ad Ugo Ojetti si lamenta che il successo della sua compagnia non ha avuto lo spazio meritato nelle pagine del Corriere della sera, per opera di Renato Simoni e Eligio Possenti, nonostante che si tratti del successo della cultura italiana; "Apparve l'intervista sul 'Corriere', e fu per me una nuova disillusione e più acerba amarezza: nessuno dei giudizii espressi dai giornali di Praga, di Vienna, di Budapest, che avevo fatto debitamente tradurre e che avevo consegnato a Possenti. Protestai ; /…/ perché qua adesso non si tratta più delle antipatie o simpatie del signor Simoni, ma d'un riconoscimento all'estero di valori nazionali." (p. 102.) E prima, a p. 101: "Ricevetti, nel mio ultimo giro a Praga, a Vienna, a Budapest, onori trionfali che tanto più erano da far notare al pubblico italiano in quanto ottenuti in paesi copertamente o apertamente nemici, come Praga e Vienna. A Budapest ebbi finanche un banchetto dal Governo Ungherese con un discorso, a nome del Governo, del Ministro della P.I. che /…/ aveva veramente carattere e valore politico. Nota che, questi giri artistici che io compio con la mia Compagnia, a Londra, a Parigi, a Berlino e in altre 18 città della Germania, or a Praga, a Vienna, a Budapest, non servono affatto a far conoscere la mia opera di scrittore, perché vi rappresento lavori miei già conosciuti e giudicati; servono assolutamente per propaganda d'italianità, per far conoscere anche come si recita e si mettono in iscena le opere di teatro in Italia. Questo, in paesi che spendono diecine di milioni ogni anno per dotare i loro teatri di Stato, o municipali, e che hanno dell'arte drammatica un vero appassionatissimo culto." scrutando in tutta la sua vita. 32 Pero questo non vuol dire che il paragone indiretto fatto tra artista ed uomo politico sia un gesto politico, anzi, dobbiamo considerarlo piuttosto un atto di generosità dell'artista, se non l'espressione del proprio desiderio illusorio. Invece nel periodo sudamericano, nello stesso 1926 divenne vistosa la sua incertezza politica, che lo portò infine a rifiutare anche quel ruolo politico-culturale prima assunto con sincero entusiasmo, e al quale poi sentiva di non aderire più completamente. Pirandello, nelle dichiarazioni rilasciate ai giornali argentini, si dichiarava "cittadino del mondo": "Non vengo come rappresentante del governo italiano, né come membro di un determinato partito. Non sono né voglio essere un politico in giro di propaganda, ma semplicemente quello che sono. Un artista con un unico obiettivo del suo viaggio: girare il mondo dietro le sue opere ..." 33 Dopo questo distacco segue tra il 1928 e 1936 il periodo – dal nostro punto di vista finale, che potremmo chiamare il periodo delle fughe dall'Italia, è un esilio volontario, un isolamento sofferente ed attivo (in Francia, in Germania, negli Stati Uniti) con episodi di ritorno e di lavoro in Italia: tra questi menziono che nel 1929 diventa accademico d'Italia; nel 1931 tiene all'Accademia d'Italia il discorso, già menzionato, su Verga; nel 1934 assume la regia de La figlia di Jorio di D'Annunzio (nello stesso anno gli fu assegnato il Premio Nobel, che la critica ufficiale in Italia accolse con freddezza); e nel 1936, nell'anno della sua morte, l'ultimo "episodio" esaminato è la sua ultima volontà e il funerale. Per quanto concerne l'esilio volontario, lo si può seguire nel carteggio di Pirandello, sia con l'amico Ojetti, sia con Marta Abba. Il carteggio Pirandello-Ojetti abbraccia un lungo arco di tempo, dal marzo 1897 al novembre 1935; Ojetti aveva copiato anche le ultime volontà di Pirandello "accanto alla camera da letto dove giaceva L.P. sotto un lenzuolo bianco." 34 L'affettuosa consuetudine, afferma Sarah Zappulla Muscarà, pur nei contrasti d'opinione e nella differente concezione artistica, dura sincera, fedele, intatta per tutta la vita. Dal nostro punto di vista ora dal carteggio sembra rilevante, che "Le varie tappe che le missive segnano nella geografia della creatività pirandelliana sottolineano anche via via la maturazione dello stato umano 32 Del pensiero estetico di Pirandello vedi: Madarász Klára: Pirandello, az irodalomteoretikus. Pirandello esztétikai nézetei, dattiloscritto della dissertazione di dottorato di ricerca (PhD), Szeged, 1998. 33 Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire, op. cit. p. 72. 34 Pirandello, Luigi: Carteggi inediti..., op. cit.p. 121. di escluso 35 che Pirandello finirà per patire, non senza un certo sottile compiacimento, nella gigantografia della creazione artistica." 36 Nel 1928 Pirandello scrisse a Ojetti: "Avrei anch'io tanto, tanto desiderio di confidarmi con te, a cuore aperto! Ma quando potrà avvenire? Tra pochi giorni mi sarò liberato dalla Compagnia; ma non riesco più star fermo; andrò ancora fuggendo e il più lontano possibile dall'Italia. 37 Forse andrò in Germania; forse nell'America del Nord." 38 E nel 1929, in Germania, scrisse a Marta Abba: "E questa notte stessa, dopo tutto il rimugino di pensieri che t'ho detto, non potendo più stare a giacere mi sono levato. C'era sulla scrivania Questa sera si recita a soggetto, 39 lasciata lí senza fine da tanto tempo, e l'ho finita in quattr'ore di fervidissimo lavoro. La vittoria deve essere nostra, per forza. Dobbiamo vincere per forza, vincere con l'opera, vincere con valore, vincere con l'orgoglio e la costanza, e non arrendersi. Lasciami ritornare in Italia; debbo pur ritornare; ritornare dopo aver vinto qua in pieno, così nel film, come nel teatro, con un grande successo che mi ridià tutto il prestigio nel mio paese; quello che mi servirà per combattere, e per vincere ancora e definitivamente. Animo! animo! animo!" 40 Ancora più chiaramente ci appaiono i motivi di Pirandello dal libro di Frassica, nel quale l!autore analizza il carteggio di Pirandello con Marta Abba. Secondo Frassica "Il trasferimento in Germania è il frutto della crisi che era andata maturando assieme al processo di progressiva chiusura degli orizzonti culturali entro le strettoie di un nazionalismo sempre più asfittico, che aveva il suo teatrino nel provincialissimo agone di strapaese e stracittà: mentre il regime, definitivamente stabilizzato, non poneva più limiti alla propria tracotanza. /.../ Non si vuole certo qui attribuire allo scrittore l'aureola di esule politico, tanto più che di lì a poco egli accetterà la nomina ad accademico d'Italia /.../ ma pare indubbio che il feeling per il fascismo e per Mussolini 35 era terminato e che questa Italia "romanizzata" e biecamente in corsivo da M.K. Zappulla Muscarà, Sarah: "Luigi Pirandello e Ugo Ojetti", in: Pirandello, Luigi: Carteggi inediti..., op. cit., pp. 7-9. p. 9. 37 A proposito di queste fughe dello scrittore, Marta Abba scrive: "Anno 1930. Luigi Pirandello è a Berlino. Ha fatto le valigie e se ne è andato dall'Italia, costretto - lui che amava tanto e la sua Compagnia e il suo palcoscenico /.../ - a porre fine all'avventura di Regista, di Capocomico, di Direttore, per le difficoltà che incontrava nell'andamento della tournée, dove gli si lesinavano i buoni teatri, /.../ rendendogli insomma impossibile il lavoro, mentre altri capocomici - i più - asserviti al carro degli speculatori del teatro italiano, prosperavano, senza problemi e senza rimorsi." (in: Luigi Pirandello: Quando si è qualcuno, a cura di Sarah Zappulla Muscarà e con una nota introduttiva di Marta Abba, Milano, Mursia, 1974; cit. in: Pirandello: Carteggi inediti, op. cit. p. 105.) 38 Pirandello, Luigi: Carteggi inediti, op. cit. p. 105. 39 Della commedia Pirandello scriveva ad Ojetti, nel 1929: "Intanto lavoro a una nuova commedia che certo è, tra tutte, la più originale: 'Questa sera si recita a soggetto'. Te ne mando il prologo, che può stare da sé e che pone (mi pare) all'estetica in genere, e alla critica in particolare, un problema nuovo." (in Pirandello: Carteggi inediti, op. cit. p. 107.) 40 Luigi Pirandello:Questa sera si recita a soggetto, a cura di Enzo Lauretta e con una nota introduttiva di Marta Abba, Milano, Mursia, 1972. cit. in: Pirandello: Carteggi inediti, op. cit. p. 107. 36 nazionalistica, ormai postasi fuori dell'Europa, gli piaceva pochissimo. Egli non poteva non sentire come l'attentato a tutte le libertà era fondamentalmente anche un attentato all'arte, l'unico autentico valore che ancora lo teneva in vita." 41 Anche Frassica cita Marta Abba, a proposito dei Giganti della Montagna: "Il tragico mito dei Giganti della Montagna, che era già concepito nella sua mente nel 1928 /.../, era un'allegoria chiarissima della "idea centrale" che lo tormentava lungo gli anni trenta: il mondo rimbarbarito diventava sempre più incapace di comprendere i veri Valori dell'Arte, ed era diretto a cancellarla. /.../ nel pensiero di Pirandello, altre forme, meno appariscenti, di rozzezza spirituale, non sono meno pericolose: quella del fanatico che voglia asservire l'Arte ad una ideologia politica, ma anche quella degli astuti dalla coscenza elastica che si valgono dell'Arte per crearsi amicizie, carriere, denaro, potenza. Insomma egli vedeva in pericolo ormai i valori essenziali della civiltà europea /.../ 42 Secondo Frassica "In definitiva, Pirandello cercava di fare il suo mestiere, evitando di invischiarsi direttamente nella politica. Egli si rendeva conto che si correvano troppi rischi, anche se era convinto che gli appoggi politici rendevano il cammino meno tortuoso. Nulla da fare, dunque, nel mondo della politica, per uno scrittore che si era abituato a offrire sulla scena non le repressioni derivate dal potere, ma quelle di tipo esistenziale, in cui l'uomo viene a trovarsi in un gioco delle parti /.../" 43 Il risultato spirituale dell'esilio volontario, l'esistenza che va sempre più isolata (anche se Pirandello in un certo senso partecipò alla vita della patria), lo si può seguire negli scritti autobiografici, p. es. nello scritto Non parlo di me, che la prima volta venne pubblicato su Occidente, nel 1933. È un discorso articolato e completo sulla vita di un artista, dall'infanzia alla maturità, spietato, sincero, lineare. Nel brano seguente tratta della differenza che corre tra la letteratura e la vera arte. "Abbiamo visto che un uomo, diciamo un poveruomo qualunque dotato d'uno schietto senso della vita e perciò occupato fin dai primi anni a rendersene conto, grossa fatica a cui non può rifiutarsi e in cui nessuno può aiutarlo, /.../ una volta giunto a "vedere" con occhi proprii e a possedere un linguaggio segreto in cui riflettere come vede e sente, per quanti sforzi faccia di buona volontà e d'ossequio 44 alle norme che regolano 41 Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire, op. cit. p. 83. Abba, Marta, Prefazione a F.V. Nardelli: Pirandello. L'uomo segreto, Milano, Bompiani, 1986. p. XI. Cfr. ancora Rosselli, op. cit. p.73.: Secondo Rosselli, in base alle note alvariane „Tutti e due, poi, condivideranno un’altra posizione, che li unirà nonostante le loro diversità di fondo: quella di appartenere ambedue alla categoria di emigrato interno durante il periodo fascista /…/” 43 Frassica, op. cit. p. 88. 44 È da intendere forse il caso del "semplice gregario"? 42 la comune vita degli uomini, nella vita non trova posto: proprio perché la sente e la vede, altro non può fare che esprimere. 45 Scrivere senza affrontare direttamente tutti i rischi dell'arte (p. es. che la vita o si vive, o si scrive) /.../ il tremendo impegno di restare tu per tu con se stessi, il cuore di entrar nel vivo mezzo dei drammi incredibili in cui ci si rappresenta la vita, /.../ scrivere per scrivere, per scriver bene, è davvero un miserabile mestiere d'ozio, un mezzuccio per lasciare una gradevole metafora di noi stessi. 46 /.../ Esprimere è dire agli uomini com'è la vita, come uno spirito umano fatalmente disinteressato la sente in sé per tutti; /esprimere/ non è scrivere, cioè mostrare, come uno spirito ozioso riesce a muoversi e ad atteggiarsi con le parole. Non si tratta di dar spettacolo della propria bravura e capacità di dire, ma di comunicare altrui /.../ le forme che lo spirito umano crea, quasi continuando su altro piano l'opera stessa della natura naturante, forme in cui si stringe e s'addensa /.../ un genuino senso umano di questa misteriosa vita che tutti viviamo. ...Nel regno dell'arte vige come legge la necessità. Chi non ubbidisce, muore. Muore definitivamente all'arte se non vuole o non può ubbidire per stolto orgoglio d'artefice o per congenita viltà, schiavo del giudizio altrui; muore in un'opera se, anche volendo ubbidire, non ci riuscì. Ma chi ubbidisce, quando ubbidisce, oh! ... vive, non lui – che volete che importi lui, una vita non vissuta? – vive la sua opera; vive il senso che egli ebbe della vita, e quello che alla vita egli donò. /.../ /.../ Nella forma creata, ciò che una mente potrebbe pensare astrattamente e allora non sarebbe altro che un'idea, un concetto, con cui si può giocare a fil di logica, sta invece come una realtà della vita, è l'atto, è il grido in cui si fa reale un senso della vita così vero, così schietto, così ormai chiaro, che s'esprime, trova forma, agisce e grida. È l'atto di vita, è il grido di richiamo d'un uomo agli uomini. Che conseguenza volete trarne, come volete esaminarlo e pesarlo? Io per esempio, che mi diverto ancora a risentire o a rileggere qualche lavoro di Pirandello, non saprei davvero come giudicarlo. Ma non me ne preoccupo. Luigi Pirandello, Accademico d'Italia. 47 Quest'ultima opposizione pirandelliana ha una forza sconvolgente: l'artista di fronte all'Accademico, il ruolo politicizzato e la forza dell'opera artistica esistente in sé e per sé, che assorbe la verità dell'uomo e che verrà misurata nel tempo; siamo vicino ormai a Le mie ultime volontá. Cioè il nostro compito di uomini è dare, creare forme, nelle quali si addensa un senso di vita; l'artista ci donò il senso che ebbe della vita. L'Accademico non sa come giudicare l'opera dell'artista, l'unica che conta. La scelta di Pirandello è chiara: la vita si scrive, non si vive. In questo scritto Pirandello ci ha dato una possibile interpretazione o risposta alla nostra domanda preliminare: lui stesso ha richiamato l'attenzione alla sua opera, come atto di vita, nel caso di un'artista vero all'unico atto che conta. Quando un anno dopo, nel 1934, gli fu assegnato il Premio Nobel, la critica ufficiale accolse con freddezza il riconoscimento; doveva esser chiaro che Pirandello non si ha arreso, come artista e pensatore, davanti alle pretese culturali del Regime; questa 45 Fino a questo punto lo scritto può essere inteso in riferimento a qualsiasi scrittore. Potrebbe essere il caso di D'Annunzio, cfr. con il saggio di Pirandello su Verga. 47 Pirandello, Luigi: "Non parlo di me", in Belfagor, 1986. 31. gen. pp. 47-62. 46 attitudine divenne chiara anche nell'ultimo gesto della sua esistenza isolata, cioè nelle ultime volontà. Mie ultime volontá da rispettare 48 I Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di non parlarne sui giornali ma di non farne pur cenno. Né annunzii, né partecipazioni. II Morto, non mi si vesta. Mi si avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto, e nessun cero acceso. III Carro d'infima classe, quello dei poveri. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere, e basta. IV Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare, sia l'urna cineraria portata in Sicilia, e murata in qualche rozza pietra, nella campagna di Girgenti, dove naqui. Luigi Pirandello III.Profili psicologici in dialogo: conclusione Penso che la base per considerare il vero nesso tra i due scrittori ed il fascismo sia l'influsso che la loro azione artistica, civile e politica esercitava sulla vita sociale nel periodo esaminato, nel ventennio fascista. Ora, per concludere la nostra rapida panoramica tra i fatti e le scelte di vita dei due, vorrei confrontare soltanto alcune caratteristiche derivate: quelle delle ideologie personali e alcuni motivi psicologici dei due scrittori, cioè quelli in rapporto alla visione del mondo, della morale, della poetica. In seguito punterei l'esame alla ricerca degli atteggiamenti psicologici. Tutto ciò per capire l’eventuale funzione dei fattori identificati nel fondare, sostenere o rifiutare un' ideologia antidemocratica (questa volta di tipo fascista), o quel modo con cui – entrando nella circolazione sociale delle idee – potevano essere capaci di fornire consenso o dissenso al regime fascista – appunto in base alle similitudini psicologiche che corrono tra i vari modi di agire nella società. 48 Pirandello, Luigi: Carteggi inediti, op. cit. p. 121. D'ANNUNZIO PIRANDELLO dominare l'uomo e la vita conoscere l'uomo e la vita; ricerca della Verità ambizioni politiche mancanza totale dell'interesse politico coraggio bellico rifiuto della violenza fisica infrazione della legge e disprezzo dell'ordine delle "masse": attitudine del "superuomo" ansia dell'Ordine; ricerca del consenso; pietà dolente per i "vinti" protagonismo politico; Comandante "umile e obbediente gregario" disinteresse per i problemi degli uomini e quelli della società insensibilità politica tormento per i problemi degli uomini sfiducia e delusione nelle soluzioni politiche (pessimismo politico) la causa dei problemi umani e sociali è sono la bassezza delle "masse" le cause dei problemi umani e sociali l'ipocrisia, la viltà, che ostacolano la comprensione dise stessi; e l'immoralità influenzare, manipolare demagogia insegnare, convincere sincerità per il funzionamento della società un Superuomo, al quale "le masse" ossequiose ubbidiscono per il funzionamento della società ci vuole basta un Comandante aristocratico, un Genio Creatore, che dà forma (politica? sociale?) all'informità (il Duce, in fondo, è/dovrebbe essere come un vero artista?) narcisismo, estetismo, fuga dalla realtà coraggio di affrontare i fatti della vera vita:coraggio spirituale, eroismo morale "lussuoso paludamento d'una continua letteratura" "maschere nude" costruzione di "miti e favole" analisi/diagnosi spietata della realtà la funzione dell'arte: il culto della "spazio" Bellezza; l'arte può essere mezzo di ottenere gli scopi nessuna dell'autore la creazione artistica esprime il suo creatore legge; la nella vita "civile": edonismo, egoismo infantilismo, irresponsabilità, narcisismo la vita è: piacere, "erotica heroica" funzione dell'arte: formare uno per l'autorivelazione della Verità l'arte non può essere mezzo di intenzione dell'autore la formazione artistica ha la sua l'autore è solo "medium" per la "volontà" dell'opera artistica che si realizza nella vita "civile": fedeltà, responsabilità, pazienza e affetto per la famiglia, per il proprio lavoro; la vita è: servizio I due profili psicologici delineabili risultano contrari, anzi, in molti punti corrispondenti l'uno all'altro (il che non vuol dire non supporre l'esistenza di atteggiamenti non inquadrabili nelle rubriche opposte). Il primo, quello di D'Annunzio, sembra un profilo senza antagonismi: è un atteggiamento dominatore. Quello di Pirandello invece è più problematico, perché da una parte mostra caratteristiche di un atteggiamento tendente alla sottomissione, che accetta il dominio altrui. L'inclinazione alla sottomissione può esprimersi sia nell'ubbidienza (cieca, perché per motivi sentimentali) al potere politico, sia nella propensione ad essere vittima delle demagogie politiche. Dall'altra parte possiamo identificare altri fattori che propendono verso un terzo tipo di atteggiamento: quello del personaggio intellettualmente e moralmente autonomo, fattori che generalmente ostacolano l'accettazione di attitudini antidemocratiche, sia nella forma del dominio, sia nella forma di accettarlo senza alcuna critica. Per poter tirare le conclusioni, vorrei distinguere quali sono i fattori propensi e no a servire come base ideologica o di sostegno di un dialogo tra il personaggio dominatore e quello sottomesso, ossia, nel contesto politico del ventennio fascista, tra il superuomo-tiranno e il gregge. Fattori favorevoli per diventare base ideologica del superuomo-tiranno, secondo la nostra analisi, si trovano soltanto in D'Annunzio: il desiderio di dominare l'uomo e la vita, le ambizioni politiche, l'infrazione della legge e il disprezzo dell'ordine delle "masse", il protagonismo politico, il fatto che si assume il ruolo del Comandante militare; la convinzione che la causa dei problemi umani e sociali è la bassezza delle "masse", e infine che per il funzionamento della società è sufficiente un Comandante aristocratico, un Superuomo, al quale il gregge ubbidisce ossequiosamente. Alcuni fattori non decisamente ideologici o politici per appoggiare un atteggiamento dominatore sono la tendenza a influenzare, manipolare, l'uso della demagogia, il narcisismo, l'estetismo, la fuga dalla realtà, l'edonismo, l'egoismo, e perfino anche la convinzione estetica, che la creazione artistica deve esprimere il suo creatore; anche questi fattori li troviamo solo in D'Annunzio. Fattori favorevoli per ubbidire al tiranno, per diventare potenzialmente vittimo della demagogia invece si trovano solo in Pirandello, come la mancanza totale dell'interesse politico, anzi, la sfiducia e la delusione nelle soluzioni politiche e nello stesso tempo l'ansia dell'Ordine, con la quasi disperata ricerca del consenso; ma anche la consecutiva tendenza ad assumere l'atteggiamento dell’ "umile e obbediente gregario", e l'ipotesi, che per il funzionamento della società ci vuole un Genio Creatore, che – similmente all'artista – è capace di dare forma all'informità. Però appunto l'ambiguità della similitudine con l'artista lascia aperta la possibilità, che anche in Pirandello sia presente una voglia soppressa di potenza, che però trovò un'altra via di manifestazione nella creazione artistica e nell'intenzione di educare. 49 Nello stesso Pirandello tuttavia troviamo anche fattori che sono contrari sia all'atteggiamento dominatore sia a quello che accetta il dominio altrui, e questi sono secondo me il rifiuto della violenza fisica, l'ansia della sincerità, e l'analisi spietata della realtà; sempre in Pirandello, altri fattori che in generale ostacolano l'accettazione di attitudini antidemocratiche sono l'ambizione di conoscere l'uomo e la vita, la ricerca della Verità, la pietà dolente per i "vinti", il tormento per i problemi degli uomini in generale, la volontà e l'impegno di insegnare, la responsabilità morale, la pratica del servizio, e, infine, la convinzione estetica che l'arte non può essere mezzo di nessuna intenzione dell'autore, sia quella politica, sociale o morale, sia quella di esprimere se stessi. In fin dei conti l'atteggiamento politico, artistico e umano di D'Annunzio è un atteggiamento dominante, che però non trova il terreno adatto per realizzarsi: di lì la rottura dell'attività artistica, il tormento animico e infine il tentato di suicidio. Il profilo psicologico di Pirandello è più complesso, ma tutto sommato ha un atteggiamento autonomo: solo in un breve periodo della vita è caratterizzato da un! attitudine che lo rende vittima della demagogia politica, come sostenitore del dialogo tra superuomo e gregge, da parte del gregario. È comunque sintomatica la solitudine, artificiale e lussuosa dell'uno e quella schietta dell'altro... Il tormento spirituale dei due scrittori – anche se per motivi diversi – afferma appunto, che la loro "partecipazione" alla politica non fu un gesto propriamente politico, inteso come una specie di professionismo intellettuale: era piuttosto una politica sentimentale, simile a quella praticata dai cittadini "laici", con suoi sintomi e trappole tipici, ma con la differenza, che la responsabilità è tanto più grande, quanto – trattandosi di personaggi alla ribalta – il loro atteggiamento funziona come modello di comportamento per il loro pubblico (nel caso di D'Annunzio p. es. anche per la politica), dimostrando il pericolo della politica "laica": ciò che può diventare mezzo 49 cfr. Németh László: Ortega és Pirandello, Debrecen, Nagy Károly és társai, 1933. Secondo Németh la caratteristica più dominante dell'artista Pirandello è la tensione educativa. di manipolazione non auspicato in mano dei "professionisti", cioè che può prestarsi come fattore propriamente politico. Nel caso di D'Annunzio si tratta di una funzione creativa, formativa nei confronti dell'ideologia fascista: il suo atteggiamento e le sue idee servivano da modello per i comportamenti dominatori entro i termini della politica, per creare e sostenere il potere del regime. Nel caso di Pirandello, invece, per lo meno in un determinato periodo, si tratta di uno stato passivo, ricettivo, aperto verso un'ideologia (fra)intesa secondo i propri termini artistici, i quali, mentre sembrano sorprendentemente simili, in sostanza sono assai differenti da quelli politici. Ma appunto un'attitudine politicamente incosciente o disinteressata, passiva, come anche la sua, sta alla base dell'atteggiamento tipico dei "gregari", della maggior parte del "pubblico" fascista, che forma la parte dei "sudditi" in un regime antidemocratico e totalitario, diventando preda della demagogia. Dove c'è il tiranno, ci vogliono anche i sudditi che lo sopportano. Può darsi che la terminologia – tiranno, sudditi – sia semplicistica; che i motivi nella (post)modernità sono diventati molto intricati e complessi; può darsi che l'accettazione di un "tiranno" non sia semplicemente la debolezza della "massa", ma la ricerca impaziente di una soluzione sociale efficace; e allora c’è una doppia ragione per praticare largo uso dei mezzi giusti dell'analisi razionale -scientifica per capire e far capire processi e necessità; oltre quelli materiali ed economici, anche quelli psichici trasformati anche loro in processi e necessità sociali, al fine di evitare, dopo un Novecento tanto tormentato, un'altra rinascita dell'esperienza antidemocratica, dopo il fallimento dei due o tre grandi esperimenti: il fascismo, lo stalinismo e il nazismo. La lezione del Novecento ci insegna che in questo lavoro la responsabilità degli intellettuali di ogni genere è incedibile e irreversibile. Per concludere, vorrei fare un accenno ad un analisi fatta dall' István Bibó, nel saggio "Az olasz önbizalom betegsége" (La malattia della baldanza italiana). 50 Bibó nella sua analisi critica la politica italiana, facendo derivare la demoralizzazione della politica italiana da un modo di pensare sbagliato e in fin dei conti irresponsabile, che prende inizio dalla grande rivoluzione francese. Secondo Bibó il sentimento della debolezza e dell' inerzia, e l'esperienza ingannevole, mal analizzata 50 cfr. Bibó István: "Az olasz önbizalom betegsége", in: Válogatott tanulmányok. I. 1935-1944., Budapest, Magvető 1986. p.496. (in corsivo da M.K.) della politica di Cavour, poi la politica inconsistente conducono a una crisi che si manifesta prima di tutto nella presa di posizione tra gli estremi della ipersensibilità irreale e l'esagerata sottomissione nella questione della fierezza nazionale. In un clima politico, dove la politica del bluff e della violenza risulta irresistibile di fronte alla politica delle tradizioni e dei principi, dove in mancanza della responsabilità europea la politica dei principi e della responsabilità urta contro la politica dell'avventura e dell'irresponsabilità, non c’è da meravigliarsi se "il sacro egoismo" sinceramente patetico di D'Annunzio si trasforma in slogan della mancanza dei principi in politica. Fonti e riferimenti 1. Cocles, Angelo, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire, /Verona, Mondadori, 1935/ 2. Pirandello, Luigi: "L'umorismo", in Saggi, Milano, Mondadori, 1939. 3. Pirandello, Luigi: Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, a cura di Sarah Zappulla Muscarŕ, Roma, Bulzoni, 1980. 4. Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire. Sull'epistolario inedito tra Pirandello e la sua attrice, Milano, Mursia, 1991. 5. Pirandello, Luigi: "Giovanni Verga. Discorso alla Reale Accademia d'Italia", in Pirandello: Saggi, Milano, Mondadori, 1939. pp. 427-443. 6. Kosztolányi Dezső: Lángelmék. (Kosztolányi Dezső hátrahagyott művei IV.), Budapest, Nyugat, 1941. 7. Bibó István: "Az olasz önbizalom betegsége", in: Válogatott tanulmányok, I. 1935-1944. Az európai egyensúlyról és békéről, Budapest, Magvető 1986. 8. Chabod, Federico: Olaszország története 1918-1948. Budapest, Gondolat, 1967. 9. Kis Aladár: Az olasz fasizmus története, Budapest, Kossuth, 1970. 10. Vené, Gianfranco: Pirandello fascista, Milano, Sugar, 1971 11. Petronio, Giuseppe, "Il dramma dell'uomo solo in Pirandello", 1950, in Di Salvo-Romagnoli, Scrittori e poeti d'Italia nella critica 3/2. Cultura e letteratura del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1972. 12. Salinari, Carlo, "Pirandello e la crisi della coscienza contemporanea", 1967, in Di Salvo-Romagnoli, Scrittori e poeti d'Italia nella critica 3/2.Cultura e letteratura del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1972. 13. Ormos Mária, Incze Miklós: Európai fasizmusok 1919-1939. Budapest, Kossuth, 1976. 14. Manacorda, Giuliano: Storia della letteratura italiana tra le due guerre 19191943. Editori Riuniti, 1980. 15. Zappulla Muscarà, Sarah: "Luigi Pirandello e Ugo Ojetti", in: Pirandello, Luigi: Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De GubernatisDe Filippo, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Roma, Bulzoni, 1980. 16. Abba, Marta: "Prefazione", in: F.V. Nardelli: Pirandello. L'uomo segreto, Milano, Bompiani, 1986. 17. Puppa, Paolo: "Teatro pubblico", in: Teatro: teoria e prassi, a cura di Enzo Scrivano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986. 18. Gavino Olivieri, Franca, Un secolo di narrativa 1880 1980, Roma-Bari, Editori Laterza, 1990. 19. Ferroni, Giulio: Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola, 1992. 20. Almond, Dowell: Összehasonlító politológia, Budapest, Osiris, 1996. 21. Szociálpszichológia. Szerk. Csepeli György, Budapest, Osiris, 1997. 22. Madarász Klára: "Széljegyzetek Kosztolányi és Pirandello esztétikájához", in: Irodalomtörténet, 2000/2, pp. 235-261. 23. Rosselli, Alessandro: „Pirandello visto da Alvaro: Le note pirandelliane in Quasi una vita”. Il dattiloscrito fa parte del volume: Rosselli, Alessandro: Una lunga passione civile. Corrado Alvaro testimone disincantato del ’900., di prossima pubblicazione presso l’ Editore Costantino Marco.