Klára Madarász IL “VIVERE INIMITABILE” COME VERSUS DELL

Transcript

Klára Madarász IL “VIVERE INIMITABILE” COME VERSUS DELL
Klára Madarász
IL “VIVERE INIMITABILE” COME VERSUS DELL’“UMILE E OBBEDIENTE
GREGARIO”: PENSIERI SU DUE ATTEGGIAMENTI NEL CONTESTO DEL
FASCISMO ITALIANO 1
I. Questioni preliminari sul metodo e sull'orizzonte della ricerca
D'Annunzio e Pirandello: due personaggi enigmatici se li consideriamo nella totalità
del loro essere sociale, se teniamo presente il loro agire artistico, politico e morale
come anche i loro influssi nella vita sociale e intellettuale; è questa la totalità che
questa volta chiamiamo atteggiamento.
Il presente approccio ha come primo compito quello di trovare l'ambito e il punto di
vista, partendo dal quale è possibile esaminare la totalità dell'atteggiamento come
qualcosa di unico, e del movente comune: trovare dunque il filo tramite cui uscire dal
labirinto dei fatti.
Trovato il filo l'approccio assumerà il compito di abbozzare una possibile soluzione
dell'enigmatica relazione che questi due artisti ebbero con il fascismo.
Una direzione possibile per esaminare la totalità dell'atteggiamento, oltre l'ideologia:
è analizzare la psicologia degli atti concreti degli artisti, considerando dunque come
spazio comune, come ponte tra l'arte, la morale e la politica la psicologia dell'uomo.
Insistendo sulla prospettiva psicologica verrebbe meno un problema fondamentale,
che concerne notevolmente anche il nostro tema. Il problema fondamentale è che non
sappiamo definire precisamente il limite tra le varie azioni umane, tra i vari tipi di
agire realizzati nella società: non sappiamo differenziarli perché non sono identificati
i criteri.
Non sappiamo dire con precisione se un'azione umana sia un'azione civile, politica o
artistica; questo problema si vede particolarmente bene nei casi limite, p. es. quando
un artista aderisce ad un partito politico, o quando un poeta si impegna come
Comandante militare, o quando uno scrittore, membro di un certo partito lascia le sue
ultime volontà, o quando un'opera artistica ha una retorica che è capace di mobilitare
gruppi sociali, civili o militari, per attuare fatti chiaramente politici, ossia quando
1
La relazione è la variante ridotta delle lezioni tenute all'Università "Carlo Bo" di Urbino, nel maggio del 2002.
l'opera d'arte ha un messaggio che è capace di risvegliare la coscienza e la volontà di
capire la realtà analizzandone i vari volti...
Scelto la prospettiva psicologica come filo rosso, il presente approccio vorrebbe
abbozzare una possibile interpretazione riguardo alla relazione dei due scrittori con il
fascismo; e alla differenza che corre tra il fascismo di Pirandello e quello di
D'Annunzio 2 .
Nella nostra rapida panoramica presentiamo inizialmente alcune scelte di vita dei due
artisti, che – siano artistiche, politiche o civili – verranno considerate e riflesse come
vari documenti dell'esistenza psichica individuale concretizzata nella società. Si
tratta di una scelta eseguita da me tenendo sott'occhio il periodo storico e l'indirizzo
dell' analisi: vogliamo parlare dell'attività di Pirandello e D'Annunzio in un contesto
sociale e/o politico, in quello del fascismo. Perciò concentriamo l'esame sul periodo
tra le due guerre.
Di fatto tutti e due gli scrittori avevano a che fare con il fascismo, però bisogna
capire che cosa significava essere fascista per l'uno e per l'altro. Secondo la mia
ipotesi c'è una differenza basilare tra i due "fascismi", tanto che non mi sembra
possibile definirli con la stessa parola. Dopo la riflessione frammentaria sui fatti
cercheremo di disegnare il profilo psicologico dei due scrittori, sperando appunto di
arrivare a definire la differenza tra di loro nei riguardi del fascismo, e di fornire
anche qualche conclusione interpretando il fenomeno del fascismo come "dialogo"
sociale di certe attitudini psichiche.
II. Fatti scelti di vita e riflessioni frammentarie
II.1. D'Annunzio (1863-1938)
Nella vita di D’Annunzio ci sono alcuni motivi rilevanti anche prima del periodo
esaminato. Seguendo la cronologia, il primo fatto da menzionare – dopo la volontà
superomistica delineata nell'ultima parte del Trionfo della morte (1894) – è
2
Noto qui che secondo le mie informazioni il "fascismo" di Pirandello viene menzionato oltre che in una
monografia di orizzonte politologico discussa dalla critica letteraria (Gianfranco Vené: Pirandello fascista,
Milano, Sugar, 1971) soltanto nelle introduzioni e nei capitoli storici dei libri e dei saggi di storia letteraria, e
questi lo considerano come parte della vita civile di Pirandello e mai come parte della sua opera artistica e
ideologica (eccetto una relazione di Johannes Thomas: "Irrazionalismo ed emancipazione", in AAVV,
Pirandello e la cultura del suo tempo, Milano, Mursia, 1984). La problematica dell'auspicato Teatro Nazionale
dal punto di vista dell'ambiguo concorso con il Regime viene analizzato p. es. nel volume Teatro: teoria e
prassi, a cura di Enzo Scrivano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986.
Invece il "fascismo" di D'Annunzio o meglio, l'ideologia prefascista e le azioni politiche di D' Annunzio,
vengono menzionate e analizzate in ogni lavoro di rilievo storico.
l'apparizione del superuomo, 3 in chiave apertamente politica, nelle Vergini delle
Rocce (1895), che possiamo interpretare anche come proseguimento dell'ideale di
vita come poema. 4 Poi segue la partecipazione clamorosa alla vita politica. Prima
diventa deputato di Ortona, candidato della Sinistra, però non viene eletto (1901).
Dopo ci sorprende con la partecipazione "movimentata" alla Prima Guerra come
tenente (1915), viene ferito nel 1916, però si ritira solo per il periodo di
convalescenza; nel 1918 la beffa di Buccari e il volo su Vienna colmano la serie
delle azioni le quali costruiscono il "/.../ mito sopraindividuale dell' eroe in cui il
singolo, che nella società massificante sente annularsi la propria personalità, riversa
il proprio bisogno di identificazione. Era un mito alimentato allora da quei rituali
collettivi che lo stesso D'Annunzio inaugurò con le adunate "oceaniche" (discorso di
Quarto, 5 maggio 1915), durante le quali, parlando a una moltitudine plaudente,
poteva realizzare l'ambizione espressa in una pagina del Fuoco: far sì che la parola
fosse 'come il gesto dell'eroe', capace di 'trarre da una mole d'argilla una statua
divina'. " 5
Nel periodo tra le due guerre il mito si allarga e si conferma nell' impresa di Fiume e
nella successiva Reggenza del Carnaro (1919-1920). È il momento, in cui la politica
dell'estetismo si trasforma in estetizzazione nella politica; "impresa che si poneva in
modo inequivocabile come primo passo verso l'avventura fascista, anche se
apparentemente ispirata – con abile gioco mistificatorio – a principi democratici e
addirittura socialistico-corporativi." 6 .
Il narcisismo, il bisogno di D'Annunzio di farsi protagonista da una parte si serve
dell'applauso della folla disprezzata, con un'attitudine oltre che superomistica, anche
inconseguente (quest' ambizione spiega la sua "avventura" con il socialismo);
dall'altra parte si serve dei mezzi letterari, della parola, per creare sorpresa ed effetti
di propaganda (ciò spiega le non sorprendenti coincidenze con l'ideologia e poetica
3
L'ideale del superumomo, sulle tracce di Nietzsche, però senza la sua radicale negatività originale, offre a
D'Annunzio l'occasione di lasciare il costume dell'esteta e attribuirsi il compito del vate; l' eroe-poeta-vate si
sente chiamato a donarsi all'esterno, tracciando la strada di un luminoso futuro per la sua 'stirpe' e per l'umanità
intera. Quest' ideologia di facile consumo risolve le contraddizioni dell' estetismo di D'Annunzio in una sintesi
ambiziosa e programmatica - come vedremo, anche in senso politico.
4
Per sintetizzare quest' ideale, anteriore a quello del superuomo, possiamo riferirci a D' Annunzio stesso, che usa
espressioni, come "vita opera d'arte", "vivere inimitabile", "rinnovarsi o morire", che in seguito si trasformano in
veri e propri slogan, che implicano una netta posizione politica-sociale: da una parte il disprezzo "aristocratico"
del volgo, della folla, del mediocre mondo borghese e plebeo, dall'altra parte la ricerca dell'applauso dello stesso
pubblico in pose spettacolose, tesa a provocare effetti, sensazioni forti e straordinarie. Tutto ciò in origine
sembra essere soltanto il protagonismo infantile di un adolescente sensibilissimo.
5
Gavino Olivieri, Franca, Un secolo di narrativa 1880 1980, Roma-Bari, Editori Laterza, 1990. p. 127.
6
ibidem
del futurismo). Ferroni scrive: "Il punto di partenza della politica dannunziana è
sempre la parola, che crea un' oratoria infiammata, vibrante, agressiva, aliena da ogni
argomentazione razionale, tesa a esaltare il gusto del rischio e del pericolo mediante
modi scattanti e militareschi, immagini eroiche e motti esemplari che devono
diventare parole di battaglia (e il linguaggio politico fascista – la retorica e la
propaganda – seguirà spesso questi modelli dannunziani.) /.../ la stessa impresa di
Fiume, basata sul rifiuto della legalità, sull' uso di bande armate, su un esasperato
nazionalismo, su un' attenta manipolazione dell' informazione, può essere considerata
una specie di prova generale delle azioni fasciste che subito seguirono." 7
Il protagonismo politico, ed il sogno di diventare il pacificatore nazionale,
s'interrompe per un incidente occorsogli 8 , e D'Annunzio prima torna ai suoi
atteggiamenti di anticonformista tra fascismo e socialismo, poi diventa davvero
statua viva, eroe imbalsamato, in uno splendido isolamento: accetta il titolo di
Principe di Montenevoso (1924), la costituzione dell'istituto per l'edizione completa
delle sue opere (1926), e il finanziamento dal regime fascista della sua villa di
Cargnacco (il Vittoriale). Nel 1937 diventa presidente dell'Accademia d'Italia e,
quando nel 1938 muore, il regime, sfruttando l'occasione del funerale, organizza
rumorose celebrazioni ufficiali all' eroe-poeta-vate.
Tuttavia guardando le sue opere tra le due guerre 9 , sembra che dovesse pagare un
prezzo troppo grande per i suoi sogni eroici, infatti il ripiegamento notturno della
poetica dannunziana segnala chiaramente il suo malessere esistenziale: memorie,
frammenti lirici, struggimento animico, rimpianti di una vita fallita; come se il
"vivere inimitabile" fosse caduto in trappola.
Anche se ora rinunciamo all'esame dettagliato dell'attività artistica, risalta subito,
che D'Annunzio aveva scritto le sue opere maggiori prima del periodo esaminato; in
altre parole la sua vena o intuizione artistica sembra essersi praticamente rotta
insieme alla carriera politica. È veramente tragico vedere come fallisce la via di
7
Ferroni, Giulio: Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi Scuola, 1992. p. 845.
La misteriosa caduta del Comandante, per cui la Marcia su Roma dava la vittoria a Mussolini; che, oltre che per
quest'incidente, poteva ringraziare il Comandante anche per l'insegnamento della tecnica per la futura
coreografia totalitaria.
9
1921: Notturno; 1922: "Libro segreto" (solo alcuni brani saranno pubblicati nel 1935, vedi Cento e cento...);
1924: Il venturiere senza ventura e altri studii del vivere inimitabile; 1928: Il compagno dagli occhi senza cigli;
La Violante dalla bella voce (postuma, nel 1963); 1935: Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di
Gabriele D'Annunzio tentato di morire, pubblicato da Angelo Cocles; alcuni dei brani scritti fino al 1922 del
"Libro segreto".
8
realizzazione di sé, che sta seguendo (cioè il confondere le zone di attività 10 , che
infine sbocca in una volontà di abolire interamente anche i propri confini), e nello
stesso tempo come diventa modello di un comportamento nettamente politico, quello
di Mussolini.
Vorrei limitarmi solo a qualche rapido cenno su quel periodo notturno, per far vedere
la fusione dell'espressione artistica e "l'azione" politico-morale. Del Notturno scrive
Ferroni: 11 /.../ la nuova frantumazione ed elementarità del linguaggio nascondono
spesso una ruvida retorica militaresca, che sembra affermare l'ineluttabilità della
distruzione e della morte e prospettare come solo paesaggio degno di essere vissuto,
quello grigio, secco, violento della guerra." Secondo Olivieri il Notturno s'inscrive,
oltre che nella prosa impressionistica, anche nei diari di guerra dei "vociani",
contrassegnati da gridi strozzati di fraternità e di passione; "Ma ecco che persistente,
tenace e ormai indissolubile riemerge anche in queste pagine l'altra corda
dannunziana; /.../ si ammanta ancora una volta della retorica del bel gesto, della
sonorità della bella frase: «L'occhio è perduto? 'Io ho quel che ho donato'» /.../ oltre,
l'idea dei 'cartigli' gli richiama 'la maniera delle Sibille che scrivevano la sentenza
breve su le foglie disperse al vento dal fato'. " Olivieri nota, che viene confermato il
giudizio di Salinari, secondo il quale anche i momenti del ripiegamento deluso, e
dell'opaca coscienza della inanità della tensione superomistica fanno parte della
personalità dannunziana, e non sorgerebbero senza la presenza del superuomo. 12
Nemmeno l'opera rimasta in maggior parte manoscritta, il "Libro segreto",
nonostante il principale tentativo di scandagliare le zone d'ombra, di delusione e
inappagamento, rimaste in lui come tracce oscure del 'vivere inimitabile', riesce ad
arrivare ad una sincerità profonda, senza teatralità: "/.../ nel suo malumore senile
vibra un estremo compiacimento di sé, il senso della propria superiorità sul teatro
10
A propos. vedi il Discorso di Pirandello su Verga alla Reale Accademia d' Italia, nel 1931, nella famosa
antitesi tra arte e letteratura, paragonando Verga, l'artista "dallo stile di cose", e D'Annunzio, letterato "dallo stile
di parole": "Dove non c'è la cosa, ma le parole che la dicono, dove vogliamo essere noi per come la diciamo, c'è,
non la creazione, ma la letteratura, e anche, letterariamente, non l'arte ma l'avventura, una bella avventura, che si
vuol vivere per scriverla. /.../ una ben altra prestigiosa avventura letteraria, la quale prese e tenne per tanti anni
gli animi in un abbaglio fascinoso: quella d' un uomo adatto e magnifico, nato appunto per l'avventura, così
nell'arte come nella vita, e in tal confusione d'arte e di vita da non potersi dire quanta della sua arte sia nella sua
vita, e quanta della sua vita nella sua arte: una tal confusione salvando nel solo modo con cui era possibile, cioè
sotto il lussuoso paludamento d'una continua letteratura. Ho detto Gabriele d'Annunzio." (Pirandello, Luigi:
"Giovanni Verga. Discorso alla Reale Accademia d' Italia", in Pirandello: Saggi, Milano, Mondadori, 1939. 427443 p., p. 430-431.
11
Ferroni, Giulio: Profilo storico della letteratura italiana, op cit. p. 844.
12
cfr. Gavino Olivieri, op. cit. pp. 137-138.
della società; ne esce qualcosa di arido e di ingrato, l'ultima traccia di un invincibile
narcisismo." 13
Vorrei ora citare alcuni brani dall' Avvertimento di Angelo Cocles, redattore di
Cento e cento..., per dare un' idea dell'atmosfera che circondava l'eroe della nazione,
almeno agli occhi dei suoi idolatri. Cocles era andato a trovare D'Annunzio nel
"Vittoriale degli Italiani", per recargli un dono di Francesco Malipiero, una riduzione
del terzo Libro de' Madrigali di Claudio Monteverde.
"Resto chino sui fogli rigati. strinse le tempie fra le palme. non mi ardivo
indagarlo né interrogarlo; ma mi parve ch' ei fosse inteso a dominare una
perplessitá simile quasi all'angoscia. /.../ ma ero affascinato da una lunga tavola
grezza sostenuta da quattro capre simili ai trespoli de' muratori.
Interamente coperta di que'fogli fabbricati a Fabriano con filigranato il motto
'Per non dormire'; su' quali fu scritta l' opera intiera di Gabriele D'Annunzio,
dall'anno di grazia 1890 a oggi. 14 una scrittura folta e nervosa li empiva tutti.
sapevo ch' eran circa quattromila. eran le pagine del suo 'Libro segreto'. eran le
note che per alcuni anni egli scrisse quasi ogni notte, con la più audace sincerità,
non a confessione ma a rivelazione di sé medesimo.
Ebbi paura quando si voltò improviso, si levò, scrollò il capo e le spalle, con
una specie di sbuffo energico da cavallo che aombri. m' assalí aspro e
sprezzante: 'forca vecchia, spia nova. buon discepolo, sei capace di tutto. ti
ardisci di mettere gli occhi nelle mie carte, senza chiedere!'
Io giunsi le mani e feci atto d' inginocchiarmi a chiedere perdono. disse:
'basta. è ora che tu te ne vada.'"
A questo punto D'Annunzio gli diede per Malipiero l'effigie di Dante incisa nel legno
da Adolfo de Carolis. Segue Cocles:
"Come osavo dimandare un qualche segno per me, egli si appressò alla tavola
delle quattro capre, raccattò un pugno di fogli e me lo gettò ai piedi. 'eccoti un
pugno delle mie ceneri. Vattene. Intendi? Vattene!'
Mi costrinse a raccogliere in fretta i fogli numerosi. mi spinse all' uscio.
richiuse. e tutto fu silenzio.
Due ore dopo, tutto fu spavento. quando accorsi, il suicida era disteso nella
ghiaia, pallidissimo, immoto, senza alcun disordine, supino anche il capo, come
giŕ composto nella fossa per sempre. /.../
I medici /.../ i più grandi, sentenziarono: 'segni manifesti di frattura della base
del cranio estesa all' orbita destra. commozione cerebrale. stato d' incoscienza'.
/.../
Gli stessi dottori /.../ il 17 agosto dichiararono: 'la sua coscienza si va
risvegliando. /.../ la vista è salva.' /.../
Stampo le cento e cento e cento e cento pagine del 'Libro segreto' a me donate
in punto di morte. a dispregio delle tante biografie /.../ da un de tanti
sollecitatori americani accettò /.../ di scrivere la sua autobiografia senza date e
senza episodii sotto il titolo 'Favola breve d'una vita lunga'. penso che questo
13
14
Ferroni, op. cit. p. 844.
Cioè il 13 agosto 1922. (M.K.)
volume respiri e soffra nel medesimo spazio spirituale che non sa regioni non
lontananze non orizzonti non limiti. 15
Secondo la mia ipotesi il compiacimento di sé, che nell' opera poetica era
rintracciabile fin dai primi momenti, è lo stesso narcisismo che trovò il suo pubblico
anche nell'attività politica e militare; e forse per questo motivo diventa tanto difficile
per il poeta sopportare se stesso; lo dichiara anche D'Annunzio stesso, in un noto
motto del "Libro segreto":
"Questo ferale taedium vitae mi viene dalla necessità di sottrarmi al fastidio – che
oggi è quasi l'orrore – di essere stato e di essere Gabriele d'Annunzio, legato
all'esistenza dell'uomo e dell'artista e dell'eroe Gabriele d' Annunzio, avvinto al
passato e costretto al futuro di essa esistenza: a certe parole dette, a certe pagine
incise, a certi atti dichiarati e compiuti: erotica heroica." 16
Sembra che tutto sommato D'Annunzio soffrisse del fatto che in realtà non ebbe il
potere per dominare non solo la vita della folla disprezzata, ma nemmeno la propria
vita e arte: anzi: era diventato appunto lui stesso un giocattolo lussuoso in mano
della politica del regime; la fase notturna della sua arte può darsi che sia
l'espressione di un riconoscimento indiretto della propria responsabilità – o soltanto
della propria sconfitta?
Secondo il severo giudizio di Ferroni "Anche se D'Annunzio rifiutò poi di
impegnarsi direttamente nella politica e nutrì dubbi e riserve sul fascismo /.../, egli fu
comunque uno dei cardini della cultura del regime, 17 e gli va attribuita tutta la
responsabilità di aver fatto convergere nel fascismo e nell' azione di massa una
cultura decadente, irrazionalistica, individualistica. I suoi discorsi politici valgono
come triste modello di un uso accecante della sapienza letteraria e retorica; vi si
sente l' esito deprimente di una cultura anticritica, tesa non a far conoscere la realtà,
ma a creare un consenso puramente emotivo /.../ "
18
II.2. Pirandello (1864-1936)
15
cfr. Cocles, Angelo, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di
morire, /Verona, Mondadori, 1935/, pp. A-I
16
cfr. Cocles, op. cit. p. 440.
17
È da notare qui (che situazione paradossale!), che Pirandello, nonostante anche le proprie intenzioni di un
certo, ma breve periodo, non "riuscì" mai a diventarlo, appunto per motivo della sua arte - per fortuna... (M.K.)
18
Ferroni, op. cit. pp. 843-845.
La vita di Pirandello nel periodo esaminato anche a prima vista mostra una differenza
sostanziale rispetto a quella di D'Annunzio: è la realizzazione della grande stagione
teatrale e dei successi, non tanto in Italia, quanto all'estero. 19 Nonostante il
compimento artistico e il lavoro fervente di Pirandello c'è qualcosa in comune tra i
due: il tormento spirituale, anche se per motivi ben diversi, e la ricerca continua di
attenuarlo, anche se in modo addirittura opposto.
Oltre alla novellistica e ai due ultimi romanzi, Pirandello tra le due guerre crea la
maggior parte della sua opera teatrale, ed entro quest'arco di tempo, tra il 1918 ed il
1924, scrive le opere che la critica considera generalmente come i suoi capolavori. 20
Ora vorremmo mettere in rilievo solo alcune considerazioni sintetiche, adatte ad
avvicinarsi a quest'opera vista come modo di reazione psichica dell'artista di fronte
alla realtà sociale.
Secondo Petronio Pirandello non appartiene al gruppo che fugge dall'aspra ma sana
realtà nei mondi illusori, a trovare la consolazione sia di Dio, sia del sentimento del
nazionalismo, o l'euforia del tecnicismo, o l'esasperazione del senso; la sua non è una
soluzione facile, come quella di D'Annunzio. Pirandello per la sua reazione non
tipica, è vero, "appartiene a quell'età ed è pure diverso dagli altri, è, anzi, in
polemica continua con altri, con D'Annunzio, per esempio e con Croce. E forse nulla
giova a penetrare nell'intimo di Pirandello quanto la comprensione della sua ostilità a
Croce e a D'Annunzio.
/.../ D'Annunzio chiude gli occhi alle difficoltà della vita ed evade nel senso, nella
sensazione, nell'arte; innanzi ai dolori degli uomini proclama i suoi diritti di
superuomo, innanzi all'asprezza dei conflitti sociali trova la scappatoia inebbriante
del nazionalismo bellicoso. La polemica di Pirandello è perciò segno di uno spirito
più inquieto, che non si accontenta delle soluzioni facili e non chiude gli occhi alla
realtà dura, ma la guarda in faccia, sensibile a tutti i contrasti che la dilacerano. /.../
19
Accenno qui che per Pirandello il detto periodo - nonostante la mancanza dell'appoggio finanziario da parte
dello Stato o del regime fascista - è la realizzazione della sua grande stagione teatrale; una realizzazione di sé
stesso nettamente artistica, e in più in quasi perfetta coerenza con l'opera di prima: circa il 70% delle opere
teatrali è la rielaborazione delle novelle scritte nel periodo anteriore al periodo tra le guerre.
20
Solo alcuni titoli delle opere teatrali più importanti:1918: Il giuco delle parti; 1919: Tutto per bene; 1920:
Come prima, meglio di prima; 1921: Sei personaggi in cerca d'autore (1917); 1922: Enrico IV.; 1922: La
signora Morli una e due; 1923: Vestire gli ignudi; L'imbecille, L'uomo dal fiore in bocca, La vita che ti diedi,
L'altro figlio; 1924: Ciascuno a suo modo, Sagra del signore della nave.
nello scrittore siciliano era un senso più vivo delle contraddizioni e dei contrasti, un
senso così vivo che non riusciva a placarsi /.../."
21
La sintesi resta vera anche se consideriamo che l'ultima fase della creatività
pirandelliana sembra tendere alla mitizzazione dei problemi, il che può sembrare
come abbandono della lotta intellettuale per la verità, come fuga sentimentale dalla
realtà: nel 1928 nasce il primo dei miti, La nuova colonia. È il mito della fondazione
di uno Stato nel quale la legge sia giusta e il rapporto fra gli uomini dettato dalla
virtù; ma è anche la storia del conflitto fra due concezioni del potere cui pone
termine la violenza della natura sulla quale trionfa solo un gesto d'amore. Se
consideriamo questo "mito" come resa o ricognizione della propria inerzia nel mondo
inteso come realtà politica, può apparire di non facile comprensione l'adesione di
Pirandello al fascismo; ma se si pone mente a tutta la critica all'Italia
postrisorgimentale contenuta nel romanzo I vecchi e i giovani, come osserva anche
Petronio, ci si accorgerà che esiste una certa coerenza interna nelle scelte di
Pirandello. 22
A mio avviso Pirandello è un vero filosofo, nel senso moderno della parola: è un
uomo che si pone delle domande, e lo fa anche se non ne conosce le risposte – o se
l'eventuale risposta non entra nel suo "sistema" e questo coraggio intellettuale di
porre domande è una delle differenze tra lui e Croce. È un vero filosofo anche perché
impegnato intellettualmente, uno che assume la responsabilità morale della scrittura,
la morale di un pensatore originale, differentemente da D'Annunzio, che con la
scrittura vuole esprimere solo se stesso, nemmeno con una sincerità che potrebbe
interessare 23 . L'arte di Pirandello è un'arte di diagnosi spietata, le sue opere sono
tanti appelli alla Ragione, senza dare la soddisfazione di soluzioni e risposte pronte.
Non si compiace in pose eroiche e rifiuta il mito dell'onniscienza o quello della
forza. Non dà soluzioni non solo perché non le conosce, ma anche perché vuole
spingere noi stessi a trovarle, da soli; perché non ha fiducia nelle risposte
convenzionali, e infine perché è sensibile ed empatico con ogni suo personaggio e
forse non è per le semplici soluzioni politiche.
Riguardo all'attività politica ci sono solo due eventi che sembrano essere
decisamente politici: nel settembre del 1924 aderisce al partito fascista, alcuni mesi
21
Petronio, Giuseppe, "Il dramma dell'uomo solo in Pirandello", 1950, in Di Salvo-Romagnoli, Scrittori e poeti
d'Italia nella critica 3/2. Cultura e letteratura del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1972. 192-193.p.
22
cfr. Petronio, Giuseppe, Masiello, Vitilio: Produzione e fruizione, 3/2. Palermo, Palumbo, 1989. p. 273-274.
23
Della sincerità di D'Annunzio vedi ancora il saggio di Pirandello: Giovanni Verga, op. cit.
dopo l'omicidio Matteotti; e nel 1925 firma il Manifesto degli intellettuali fascisti
redatto da Gentile. Dopo queste decisioni possiamo assistere piuttosto alle loro
conseguenze al livello animico-morale, piuttosto che al proseguimento dell'attività
politica: cioè non possiamo identificare azioni nettamente politiche, nemmeno in
modo indiretto, passivo, come nel caso di D'Annunzio, piuttosto la tensione di
evitarle.
A proposito dell'episodio forse più paradossale della biografia pirandelliana,
l'adesione al fascismo, vorrei fare solo un breve accenno alla situazione della vita
pubblica di quei giorni. "In un trafiletto apparso su L'Impero il 20 settembre 1924 si
legge il suggerimento di inserire tra i nomi dei nuovi senatori "uomini di genialità
superiore come Marinetti e Pirandello". /.../ "Pare invece che Pirandello non avesse
ambizioni di tal genere", scrive Gaspare Giudice (Pirandello, Torino, Utet 1963) –
ma Giovanni Amendola, in un articolo apparso su Il Mondo del 25 settembre 1924
accusa Pirandello di aver aderito al fascismo (è di pochi giorni prima la richiesta
della tessera del partito con una lettera a Mussolini pubblicata su L'Impero del 19
settembre 1924) nella speranza di esser nominato senatore. Ne nasce una violenta
polemica in cui in difesa dello scrittore agrigentino si levano molte voci di letterati e
uomini di cultura, fra cui Ugo Ojetti."
24
L'episodio sembra paradossale, perché,
come si vede anche dalle reazioni citate, secondo la logica dell'opinione pubblica,
l'adesione doveva aver avuto un' importanza politica, cioè motivata dalle intenzioni
politiche, intese come quelle concernenti al potere politico. Però nel gesto di
Pirandello non c!era nulla di politico in questo senso (Pirandello nel suo telegramma
a Mussolini dichiarò di voler aderire come "umile e obbediente gregario"), anzi, il
gesto doveva apparire anche agli occhi dei suoi critici come lotta poco razionale,
donchisciottesca, perché era avvenuto nel momento di maggiore debolezza politica
del regime, mostrandosi chiaramente poco politico. (Il Pirandello fondamentalmente
apolitico necessariamente diede una reazione irragionevole dal punto di vista
politico. Piero Frassica afferma, in base alle lettere scritte a Marta Abba, che
24
Pirandello, Luigi: Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, a cura di
Sarah Zappulla Muscarà, Roma, Bulzoni, 1980. p.90.
Riguardo alla difesa di Ojetti, ci vorrebbe un altro saggio per analizzarne il significato e il rapporto intricato che
Pirandello ebbe con Ojetti dai primi anni del Novecento; comunque è conosciuto il ruolo di Ojetti nel campo
della cultura del ventennio fascista: un personaggio che con successo fa funzionare un ecletticismo nella vita
letteraria e politica, per cui anche uomini certamente contrari al fascismo, "approdano senza problemi ad una
rivista nella quale non c'è pagina del direttore che non dia per scontato che il fascismo è una realtà, una realtà
positiva, e Mussolini è un grande uomo politico, e la cultura da sostenere sia una cultura di ordine, di tradizione,
o umanistica come si preferisce dire." cfr. Manacorda, Giuliano: Storia della letteratura italiana tra le due
guerre 1919-1943. Editori Riuniti, 1980. pp. 226-228.
Pirandello ebbe rapporti controversi col fascismo e con lo stesso Mussolini; cita tra
l'altro dichiarazioni pirandelliane: "Sono apolitico: mi sento soltanto uomo sulla
terra." ossia, dopo aver chiesto la tessera fascista: "La politica? Non me ne occupo,
non me ne sono mai occupato. Se alludete al mio recente atto di adesione al
fascismo, vi dirò che è stato compiuto allo scopo di aiutare il fascismo nella sua
opera di rinnovamento e di ricostzrutzione..." 25 ) Purtroppo l'adesione risulta per noi
chiaramente donchisciottesca, umoristica anche dal punto di vista degli ideali, dei
valori pretesi della politica di Mussolini (ma penoso per Pirandello, per riconoscerlo
tardi) 26 , perché assume la lotta per ideali inesistenti: la triste realtà della storia è che
questi ideali esistevano semmai nell'ideologia dei fasci siciliani, però mai nella realtà
della politica e della pratica di Mussolini.
Seguendo poi gli eventi della vita, vediamo una carriera teatrale, agitata dalle
inquietudini artistiche, ostacolata dai problemi finanziari ed esistenziali, e una
fermezza morale travagliata, fraintesa, e infine il silenzio e la nudità della solitudine
sul palcoscenico delle maschere non nude.
Vorrei soffermarmi brevemente solo su alcuni momenti di questo periodo. I primi tra
questi sono i seguenti: tra il 1925 e il 1928 Pirandello mise in atto il Teatro d'Arte a
Roma con un minimo appoggio del regime 27 ; e nello stesso tempo s'impegnò nelle
tournée per acquistare gloria alla patria con l'opera teatrale.
25
cfr. Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire. Sull'epistolario inedito tra Pirandello e la sua attrice,
Milano, Mursia, 1991. p. 70.
26
Don Quijote è il rappresentante par exellence dell'umorismo, personaggio caro a Pirandello; "Egli in fondo
non ha - e tutti lo riconoscono - che una sola e santa aspirazione: la giustizia. Vuol proteggere i deboli e atterrare
i prepotenti, recar rimedio a gli oltraggi della sorte, far vendetta delle violenze della malvagità. Quanto più bella
e nobile sarebbe la vita, più giusto il mondo, se i propositi dell'ingegnoso gentiluomo potessero sortire il loro
effetto. Don Quijote è mite, di squisiti sentimenti, prodigo e non curante di sé, tutto per gli altri. E come parla
bene! Quanta franchezza e quanta generosità in tutto ciò che dice! Egli considera il sacrificio come un dovere, e
tutti i suoi atti, almeno nelle intenzioni, son meritevoli d'encomio e di gratitudine. E allora la satira dov'è? Noi
tutti amiamo questo virtuoso cavaliere; e le sue disgrazie se da un canto ci fanno ridere, dall'altro ci
commuovono profondamente. /.../ L'effetto che quei libri (di cavalleria) producono in Don Quijote non è
disastroso se non per lui, per il povero Hidalgo. Ed è così disastroso, solo perché l'idealità cavalleresca non
poteva più accordarsi con la realtà dei nuovi tempi." cfr. Pirandello, Luigi: "L'umorismo", in Saggi, Milano,
Mondadori, 1939. pp. 105-113. Non dimentichiamo, che la prima edizione del saggio è del 1908; la seconda,
ampliata, è del 1920!
27
Sull'impegno teatrale, sull' "Utopia di un Teatro Nazionale" scrive Paolo Puppa: "Dall'alto del suo idealismo
poco ortodosso, Pirandello affianca le fronde cattoliche durante il fascismo /.../ nel rifiutarsi a una completa
ritualizzazione della messinscena, a una modernitŕ tecnologica, o a una fusione nel cerimoniale del Principe,
come dimostra nel congresso Volta del 1934, in piena apoteosi culturale del Regime, allorché lo scrittore
siciliano non condivide le posizioni di quanti strumentalizzano la Scena alla organizzazione di consenso, di
quanti ne profetizzano l'inevitabile subalternitŕ alla estetizzazione della politica." (Puppa, Paolo: "Teatro
pubblico", in: Teatro: teoria e prassi, a cura di Enzo Scrivano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986. p. 174175.)
Benchò nel 1925 Pirandello fosse partito con l'intenzione di rappresentare la cultura
italiana, tra il 1925 e il 1926 si creò, secondo p. es. Corrado Alvaro 28 , ma anche
secondo Cacho Millet, "biografo" di Pirandello nel periodo argentino, una posizione
di distacco dal fascismo da parte di Pirandello.
Nel 1925 a Londra Pirandello si dimostrò ancora fascista militante, e nel 1926 lo
stesso successe anche a Budapest. Nel 1926 ci fu una serie di rappresentazioni
teatrali della compagnia di Pirandello a Budapest. Durante il soggiorno ungherese
Pirandello rilasciò un intervista al nostro famoso poeta, Dezső Kosztolányi 29 :
parlarono della fonte di ogni conflitto umano, del fatto che la vita e la coscienza
della vita si dividono in due, e ognuno ha la propria vita. Da una parte c'è il flusso
della vita, eternamente in movimento, senza avere una forma. Sarebbe un guaio se
questo dominasse su di noi: questo sarebbe il nulla. Dall'altra parte c'è la rigidità
della ragione, che non cambia mai, la forma. Sarebbe un altro guaio, se questa ci
dominasse: sarebbe la morte. Noi uomini veniamo dal flusso continuo della vita, ne
siamo una parte; solo la morte ci fisserà per sempre.
In seguito parlarono dei progetti di Pirandello – 5 nuovi drammi e un romanzo – e
del fascismo. Pirandello si professava fascista, e disse, che della politica, della vita
del partito non si interessava; ma affermava di nuovo, che come pensatore, poteva
essere solo fascista. Se il fascismo non esistesse, sarebbe lui l'unico fascista, e
annuncerebbe la forza individuale, il diritto del genio di pigliare l'iniziativa di fronte
alla massa. 30 Disse, che c'era bisogno di qualcuno, di un creatore della realtà, che è
capace di dare forma al flusso continuo, all'informità. Per gli italiani questo era
Mussolini. Lui non riteneva la volontà, come i filosofi tedeschi, una rea potenza
28
cfr. Rosselli, Alessandro: „Pirandello visto da Alvaro: Le note pirandelliane in Quasi una vita”, dattiloscritto,
in: Rosselli: Una lunga passione civile. Corrado Alvaro testimone disincantato del ’900.,di prossima
pubblicazione presso l’Editore Costantino Marco, pp. 72-75.
29
v.ö. Kosztolányi Dezső: Lángelmék. (Kosztolányi Dezső hátrahagyott művei IV.), Budapest, Nyugat, 1941.
pp. 265-274. La ricezione di Pirandello da parte del poeta ungherese si basa sull'affinità della loro esperienza
artistica e della teoria. Kosztolányi menziona Pirandello nel 1923 per la prima volta, lo chiama il siciliano strano
ed interessante, nel 1924 lo ritiene un genio, dice: Pirandello è un genio. Ci ha commosso, ci ha fatto ridere, ci ha
fatto pensare. La presenza dello scrittore siciliano nei suoi pensieri è documentata fino al 1935. Tutti e due
ritengono la creazione artistica creazione della vita, atto creativo sul rango della vita. (vedi ancora: Madarász
Klára: "Széljegyzetek Kosztolányi és Pirandello esztétikájához", in: Irodalomtörténet, 2000/2, pp. 235-261.
30
È da notare, che la massa nell'interpretazione di Pirandello non ha necessariamente contenuto politico-sociale;
piuttosto esprime un modo psicologico di reagire della gente alle sfide della vita; la massa non ha un proprio
volto, uno stile proprio, una coscienza propria; è soggetta al flusso continuo della vita e non ne capisce le regole;
è incoscient . L'artista è quello, che è capace dare forma al flusso continuo della vita, l'artista è in quel senso
creatore della realtà. Sembra che Pirandello questa volta instauri un parallello tra la creazione della realtà
artistica e quella della storia. Non è da meravigliare, che, essendo artista, ritiene, che la responsabilità della
creazione spetta a un unico creatore, appunto perché la massa non è capace di reagire al flusso continuo della
vita con la coscienza del genio creatore. Solo più tardi riconoscerà il pericolo di tale pensiero inteso in chiave
politica.
oscura. La volontà è la buona figlia della vita. Non era pessimista, diceva di sé. (Vale
la pena ricordare qui, che l'entusiasmo di Pirandello, e l'intenzione di aquistare gloria
alla patria risulta uno sforzo non apprezzato da parte della stampa e dell'ideologia
ufficiale: i giornali italiani semplicemente tacquero dei suoi successi all'estero. 31 )
A proposito di questa confessione devo affermare che la teoria di Pirandello sul
compito della vera arte e dell'artista in un certo senso coincide con la sua opinione (o
illusione, o utopia) sul ruolo dell'uomo politico, considerato come creatore della
realtà. Secondo lui (e secondo anche Kosztolányi) la vera arte è creazione e non
rappresentazione o semplice rispecchiamento della realtà; il compito dell'artista non
è l'imitazione o il raddoppiamento della realtà effettiva, ma la creazione di una nuova
realtà, quella artistica, che però è in un rapporto complicato con la realtà effettiva. Il
rapporto tra le due realtà, quella artistica e quella effettiva, non è un problema
filosofico, ma piuttosto psicologico; in base alle leggi psichiche, ritenute leggi
naturali, bisogna rinunciare alla conoscenza diretta della realtà effettiva, e bisogna
riconoscere che, sia la conoscenza, sia la rappresentazione della realtà effettiva può
realizzarsi solo attraverso il soggetto, cioè attraverso la psiche, che è parte della
natura. (Essendo tale, è contraria alla ragione, al pensiero, alla logica, la cui presenza
esclusiva, in forma della volontà dell'artista, durante il processo creativo ostacola la
sincerità dell'opera e ne diminuisce il valore.) Quanto al rapporto tra realtà effettiva
e quella artistica, esiste tra le due, come ponte o strato mediatore, una terza realtà,
quella esistente nell'istinto dell'uomo; nel processo creativo l'artista deve lasciare che
quest'idea, o intuizione, possa venire a galla, possa tradursi in una realtà materiale,
sensibile, nell'opera artistica. Il processo della creazione artistica accennato qui
sopra è uno dei problemi fondamentali di Pirandello, artista e pensatore: lo stava
31
cfr. Pirandello, Luigi: Carteggi inediti, op. cit. p. 101-104. Nella lettera LXIV scritta ad Ugo Ojetti si lamenta
che il successo della sua compagnia non ha avuto lo spazio meritato nelle pagine del Corriere della sera, per
opera di Renato Simoni e Eligio Possenti, nonostante che si tratti del successo della cultura italiana; "Apparve
l'intervista sul 'Corriere', e fu per me una nuova disillusione e più acerba amarezza: nessuno dei giudizii espressi
dai giornali di Praga, di Vienna, di Budapest, che avevo fatto debitamente tradurre e che avevo consegnato a
Possenti. Protestai ; /…/ perché qua adesso non si tratta più delle antipatie o simpatie del signor Simoni, ma d'un
riconoscimento all'estero di valori nazionali." (p. 102.) E prima, a p. 101: "Ricevetti, nel mio ultimo giro a Praga,
a Vienna, a Budapest, onori trionfali che tanto più erano da far notare al pubblico italiano in quanto ottenuti in
paesi copertamente o apertamente nemici, come Praga e Vienna. A Budapest ebbi finanche un banchetto dal
Governo Ungherese con un discorso, a nome del Governo, del Ministro della P.I. che /…/ aveva veramente
carattere e valore politico. Nota che, questi giri artistici che io compio con la mia Compagnia, a Londra, a Parigi,
a Berlino e in altre 18 città della Germania, or a Praga, a Vienna, a Budapest, non servono affatto a far conoscere
la mia opera di scrittore, perché vi rappresento lavori miei già conosciuti e giudicati; servono assolutamente per
propaganda d'italianità, per far conoscere anche come si recita e si mettono in iscena le opere di teatro in Italia.
Questo, in paesi che spendono diecine di milioni ogni anno per dotare i loro teatri di Stato, o municipali, e che
hanno dell'arte drammatica un vero appassionatissimo culto."
scrutando in tutta la sua vita. 32 Pero questo non vuol dire che il paragone indiretto
fatto tra artista ed uomo politico sia un gesto politico, anzi, dobbiamo considerarlo
piuttosto un atto di generosità dell'artista, se non l'espressione del proprio desiderio
illusorio.
Invece nel periodo sudamericano, nello stesso 1926 divenne vistosa la sua incertezza
politica, che lo portò infine a rifiutare anche quel ruolo politico-culturale prima
assunto con sincero entusiasmo, e al quale poi sentiva di non aderire più
completamente. Pirandello, nelle dichiarazioni rilasciate ai giornali argentini, si
dichiarava "cittadino del mondo": "Non vengo come rappresentante del governo
italiano, né come membro di un determinato partito. Non sono né voglio essere un
politico in giro di propaganda, ma semplicemente quello che sono. Un artista con un
unico obiettivo del suo viaggio: girare il mondo dietro le sue opere ..." 33
Dopo questo distacco segue tra il 1928 e 1936 il periodo – dal nostro punto di vista finale, che potremmo chiamare il periodo delle fughe dall'Italia, è un esilio
volontario, un isolamento sofferente ed attivo (in Francia, in Germania, negli Stati
Uniti) con episodi di ritorno e di lavoro in Italia: tra questi menziono che nel 1929
diventa accademico d'Italia; nel 1931 tiene all'Accademia d'Italia il discorso, già
menzionato, su Verga; nel 1934 assume la regia de La figlia di Jorio di D'Annunzio
(nello stesso anno gli fu assegnato il Premio Nobel, che la critica ufficiale in Italia
accolse con freddezza); e nel 1936, nell'anno della sua morte, l'ultimo "episodio"
esaminato è la sua ultima volontà e il funerale.
Per quanto concerne l'esilio volontario, lo si può seguire nel carteggio di Pirandello,
sia con l'amico Ojetti, sia con Marta Abba. Il carteggio Pirandello-Ojetti abbraccia
un lungo arco di tempo, dal marzo 1897 al novembre 1935; Ojetti aveva copiato
anche le ultime volontà di Pirandello "accanto alla camera da letto dove giaceva L.P.
sotto un lenzuolo bianco." 34 L'affettuosa consuetudine, afferma Sarah Zappulla
Muscarà, pur nei contrasti d'opinione e nella differente concezione artistica, dura
sincera, fedele, intatta per tutta la vita. Dal nostro punto di vista ora dal carteggio
sembra rilevante, che "Le varie tappe che le missive segnano nella geografia della
creatività pirandelliana sottolineano anche via via la maturazione dello stato umano
32
Del pensiero estetico di Pirandello vedi: Madarász Klára: Pirandello, az irodalomteoretikus. Pirandello
esztétikai nézetei, dattiloscritto della dissertazione di dottorato di ricerca (PhD), Szeged, 1998.
33
Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire, op. cit. p. 72.
34
Pirandello, Luigi: Carteggi inediti..., op. cit.p. 121.
di escluso 35 che Pirandello finirà per patire, non senza un certo sottile
compiacimento, nella gigantografia della creazione artistica." 36
Nel 1928 Pirandello scrisse a Ojetti:
"Avrei anch'io tanto, tanto desiderio di confidarmi con te, a cuore aperto! Ma quando
potrà avvenire? Tra pochi giorni mi sarò liberato dalla Compagnia; ma non riesco più
star fermo; andrò ancora fuggendo e il più lontano possibile dall'Italia. 37 Forse andrò
in Germania; forse nell'America del Nord." 38
E nel 1929, in Germania, scrisse a Marta Abba:
"E questa notte stessa, dopo tutto il rimugino di pensieri che t'ho detto, non potendo
più stare a giacere mi sono levato. C'era sulla scrivania Questa sera si recita a
soggetto, 39 lasciata lí senza fine da tanto tempo, e l'ho finita in quattr'ore di
fervidissimo lavoro. La vittoria deve essere nostra, per forza. Dobbiamo vincere per
forza, vincere con l'opera, vincere con valore, vincere con l'orgoglio e la costanza, e
non arrendersi. Lasciami ritornare in Italia; debbo pur ritornare; ritornare dopo aver
vinto qua in pieno, così nel film, come nel teatro, con un grande successo che mi ridià
tutto il prestigio nel mio paese; quello che mi servirà per combattere, e per vincere
ancora e definitivamente. Animo! animo! animo!" 40
Ancora più chiaramente ci appaiono i motivi di Pirandello dal libro di Frassica, nel
quale l!autore analizza il carteggio di Pirandello con Marta Abba. Secondo Frassica
"Il trasferimento in Germania è il frutto della crisi che era andata maturando assieme
al processo di progressiva chiusura degli orizzonti culturali entro le strettoie di un
nazionalismo sempre più asfittico, che aveva il suo teatrino nel provincialissimo
agone di strapaese e stracittà: mentre il regime, definitivamente stabilizzato, non
poneva più limiti alla propria tracotanza. /.../ Non si vuole certo qui attribuire allo
scrittore l'aureola di esule politico, tanto più che di lì a poco egli accetterà la nomina
ad accademico d'Italia /.../ ma pare indubbio che il feeling per il fascismo e per
Mussolini
35
era
terminato
e
che
questa
Italia
"romanizzata"
e
biecamente
in corsivo da M.K.
Zappulla Muscarà, Sarah: "Luigi Pirandello e Ugo Ojetti", in: Pirandello, Luigi: Carteggi inediti..., op. cit., pp.
7-9. p. 9.
37
A proposito di queste fughe dello scrittore, Marta Abba scrive: "Anno 1930. Luigi Pirandello è a Berlino. Ha
fatto le valigie e se ne è andato dall'Italia, costretto - lui che amava tanto e la sua Compagnia e il suo
palcoscenico /.../ - a porre fine all'avventura di Regista, di Capocomico, di Direttore, per le difficoltà che
incontrava nell'andamento della tournée, dove gli si lesinavano i buoni teatri, /.../ rendendogli insomma
impossibile il lavoro, mentre altri capocomici - i più - asserviti al carro degli speculatori del teatro italiano,
prosperavano, senza problemi e senza rimorsi." (in: Luigi Pirandello: Quando si è qualcuno, a cura di Sarah
Zappulla Muscarà e con una nota introduttiva di Marta Abba, Milano, Mursia, 1974; cit. in: Pirandello: Carteggi
inediti, op. cit. p. 105.)
38
Pirandello, Luigi: Carteggi inediti, op. cit. p. 105.
39
Della commedia Pirandello scriveva ad Ojetti, nel 1929: "Intanto lavoro a una nuova commedia che certo è, tra
tutte, la più originale: 'Questa sera si recita a soggetto'. Te ne mando il prologo, che può stare da sé e che pone
(mi pare) all'estetica in genere, e alla critica in particolare, un problema nuovo." (in Pirandello: Carteggi inediti,
op. cit. p. 107.)
40
Luigi Pirandello:Questa sera si recita a soggetto, a cura di Enzo Lauretta e con una nota introduttiva di Marta
Abba, Milano, Mursia, 1972. cit. in: Pirandello: Carteggi inediti, op. cit. p. 107.
36
nazionalistica, ormai postasi fuori dell'Europa, gli piaceva pochissimo. Egli non
poteva non sentire come l'attentato a tutte le libertà era fondamentalmente anche un
attentato all'arte, l'unico autentico valore che ancora lo teneva in vita." 41 Anche
Frassica cita Marta Abba, a proposito dei Giganti della Montagna: "Il tragico mito
dei Giganti della Montagna, che era già concepito nella sua mente nel 1928 /.../, era
un'allegoria chiarissima della "idea centrale" che lo tormentava lungo gli anni trenta:
il mondo rimbarbarito diventava sempre più incapace di comprendere i veri Valori
dell'Arte, ed era diretto a cancellarla. /.../ nel pensiero di Pirandello, altre forme,
meno appariscenti, di rozzezza spirituale, non sono meno pericolose: quella del
fanatico che voglia asservire l'Arte ad una ideologia politica, ma anche quella degli
astuti dalla coscenza elastica che si valgono dell'Arte per crearsi amicizie, carriere,
denaro, potenza. Insomma egli vedeva in pericolo ormai i valori essenziali della
civiltà europea /.../ 42 Secondo Frassica "In definitiva, Pirandello cercava di fare il suo
mestiere, evitando di invischiarsi direttamente nella politica. Egli si rendeva conto
che si correvano troppi rischi, anche se era convinto che gli appoggi politici
rendevano il cammino meno tortuoso. Nulla da fare, dunque, nel mondo della
politica, per uno scrittore che si era abituato a offrire sulla scena non le repressioni
derivate dal potere, ma quelle di tipo esistenziale, in cui l'uomo viene a trovarsi in un
gioco delle parti /.../" 43
Il risultato spirituale dell'esilio volontario, l'esistenza che va sempre più isolata
(anche se Pirandello in un certo senso partecipò alla vita della patria), lo si può
seguire negli scritti autobiografici, p. es. nello scritto Non parlo di me, che la prima
volta venne pubblicato su Occidente, nel 1933. È un discorso articolato e completo
sulla vita di un artista, dall'infanzia alla maturità, spietato, sincero, lineare. Nel
brano seguente tratta della differenza che corre tra la letteratura e la vera arte.
"Abbiamo visto che un uomo, diciamo un poveruomo qualunque dotato d'uno schietto
senso della vita e perciò occupato fin dai primi anni a rendersene conto, grossa fatica
a cui non può rifiutarsi e in cui nessuno può aiutarlo, /.../ una volta giunto a "vedere"
con occhi proprii e a possedere un linguaggio segreto in cui riflettere come vede e
sente, per quanti sforzi faccia di buona volontà e d'ossequio 44 alle norme che regolano
41
Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire, op. cit. p. 83.
Abba, Marta, Prefazione a F.V. Nardelli: Pirandello. L'uomo segreto, Milano, Bompiani, 1986. p. XI.
Cfr. ancora Rosselli, op. cit. p.73.: Secondo Rosselli, in base alle note alvariane „Tutti e due, poi, condivideranno
un’altra posizione, che li unirà nonostante le loro diversità di fondo: quella di appartenere ambedue alla categoria
di emigrato interno durante il periodo fascista /…/”
43
Frassica, op. cit. p. 88.
44
È da intendere forse il caso del "semplice gregario"?
42
la comune vita degli uomini, nella vita non trova posto: proprio perché la sente e la
vede, altro non può fare che esprimere. 45
Scrivere senza affrontare direttamente tutti i rischi dell'arte (p. es. che la vita o si
vive, o si scrive) /.../ il tremendo impegno di restare tu per tu con se stessi, il cuore di
entrar nel vivo mezzo dei drammi incredibili in cui ci si rappresenta la vita, /.../
scrivere per scrivere, per scriver bene, è davvero un miserabile mestiere d'ozio, un
mezzuccio per lasciare una gradevole metafora di noi stessi. 46 /.../ Esprimere è dire
agli uomini com'è la vita, come uno spirito umano fatalmente disinteressato la sente in
sé per tutti; /esprimere/ non è scrivere, cioè mostrare, come uno spirito ozioso riesce a
muoversi e ad atteggiarsi con le parole. Non si tratta di dar spettacolo della propria
bravura e capacità di dire, ma di comunicare altrui /.../ le forme che lo spirito umano
crea, quasi continuando su altro piano l'opera stessa della natura naturante, forme in
cui si stringe e s'addensa /.../ un genuino senso umano di questa misteriosa vita che
tutti viviamo. ...Nel regno dell'arte vige come legge la necessità. Chi non ubbidisce,
muore. Muore definitivamente all'arte se non vuole o non può ubbidire per stolto
orgoglio d'artefice o per congenita viltà, schiavo del giudizio altrui; muore in un'opera
se, anche volendo ubbidire, non ci riuscì.
Ma chi ubbidisce, quando ubbidisce, oh! ... vive, non lui – che volete che importi lui,
una vita non vissuta? – vive la sua opera; vive il senso che egli ebbe della vita, e
quello che alla vita egli donò. /.../
/.../ Nella forma creata, ciò che una mente potrebbe pensare astrattamente e allora non
sarebbe altro che un'idea, un concetto, con cui si può giocare a fil di logica, sta invece
come una realtà della vita, è l'atto, è il grido in cui si fa reale un senso della vita così
vero, così schietto, così ormai chiaro, che s'esprime, trova forma, agisce e grida. È
l'atto di vita, è il grido di richiamo d'un uomo agli uomini. Che conseguenza volete
trarne, come volete esaminarlo e pesarlo? Io per esempio, che mi diverto ancora a
risentire o a rileggere qualche lavoro di Pirandello, non saprei davvero come
giudicarlo. Ma non me ne preoccupo. Luigi Pirandello, Accademico d'Italia. 47
Quest'ultima opposizione pirandelliana ha una forza sconvolgente: l'artista di fronte
all'Accademico, il ruolo politicizzato e la forza dell'opera artistica esistente in sé e
per sé, che assorbe la verità dell'uomo e che verrà misurata nel tempo; siamo vicino
ormai a Le mie ultime volontá. Cioè il nostro compito di uomini è dare, creare forme,
nelle quali si addensa un senso di vita; l'artista ci donò il senso che ebbe della vita.
L'Accademico non sa come giudicare l'opera dell'artista, l'unica che conta. La scelta
di Pirandello è chiara: la vita si scrive, non si vive. In questo scritto Pirandello ci ha
dato una possibile interpretazione o risposta alla nostra domanda preliminare: lui
stesso ha richiamato l'attenzione alla sua opera, come atto di vita, nel caso di
un'artista vero all'unico atto che conta.
Quando un anno dopo, nel 1934, gli fu assegnato il Premio Nobel, la critica ufficiale
accolse con freddezza il riconoscimento; doveva esser chiaro che Pirandello non si
ha arreso, come artista e pensatore, davanti alle pretese culturali del Regime; questa
45
Fino a questo punto lo scritto può essere inteso in riferimento a qualsiasi scrittore.
Potrebbe essere il caso di D'Annunzio, cfr. con il saggio di Pirandello su Verga.
47
Pirandello, Luigi: "Non parlo di me", in Belfagor, 1986. 31. gen. pp. 47-62.
46
attitudine divenne chiara anche nell'ultimo gesto della sua esistenza isolata, cioè
nelle ultime volontà.
Mie ultime volontá da rispettare 48
I Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che
di non parlarne sui giornali ma di non farne pur cenno. Né annunzii, né partecipazioni.
II Morto, non mi si vesta. Mi si avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto,
e nessun cero acceso.
III Carro d'infima classe, quello dei poveri. E nessuno m'accompagni, né parenti né
amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere, e basta.
IV Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, disperdere, perché niente, neppure la
cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare, sia l'urna cineraria
portata in Sicilia, e murata in qualche rozza pietra, nella campagna di Girgenti, dove
naqui. Luigi Pirandello
III.Profili psicologici in dialogo: conclusione
Penso che la base per considerare il vero nesso tra i due scrittori ed il fascismo sia
l'influsso che la loro azione artistica, civile e politica esercitava sulla vita sociale nel
periodo esaminato, nel ventennio fascista.
Ora, per concludere la nostra rapida panoramica tra i fatti e le scelte di vita dei due,
vorrei confrontare soltanto alcune caratteristiche derivate: quelle delle ideologie
personali e alcuni motivi psicologici dei due scrittori, cioè quelli in rapporto alla
visione del mondo, della morale, della poetica.
In seguito punterei l'esame alla ricerca degli atteggiamenti psicologici.
Tutto ciò per capire l’eventuale funzione dei fattori identificati nel fondare, sostenere
o rifiutare un' ideologia antidemocratica (questa volta di tipo fascista), o quel modo
con cui – entrando nella circolazione sociale delle idee – potevano essere capaci di
fornire consenso o dissenso al regime fascista – appunto in base alle similitudini
psicologiche che corrono tra i vari modi di agire nella società.
48
Pirandello, Luigi: Carteggi inediti, op. cit. p. 121.
D'ANNUNZIO
PIRANDELLO
dominare l'uomo e la vita
conoscere l'uomo e la vita; ricerca della
Verità
ambizioni politiche
mancanza totale dell'interesse politico
coraggio bellico
rifiuto della violenza fisica
infrazione della legge e disprezzo dell'ordine
delle "masse": attitudine del "superuomo"
ansia dell'Ordine; ricerca del consenso;
pietà dolente per i "vinti"
protagonismo politico; Comandante
"umile e obbediente gregario"
disinteresse per i problemi degli uomini
e quelli della società
insensibilità politica
tormento per i problemi degli uomini
sfiducia e delusione nelle soluzioni
politiche (pessimismo politico)
la causa dei problemi umani e sociali è
sono
la bassezza delle "masse"
le cause dei problemi umani e sociali
l'ipocrisia, la viltà, che ostacolano la
comprensione dise stessi; e l'immoralità
influenzare, manipolare
demagogia
insegnare, convincere
sincerità
per il funzionamento della società
un Superuomo, al quale "le masse"
ossequiose ubbidiscono
per il funzionamento della società ci
vuole basta un Comandante aristocratico,
un Genio Creatore, che dà forma
(politica? sociale?) all'informità (il Duce,
in fondo, è/dovrebbe essere come un vero
artista?)
narcisismo, estetismo, fuga dalla realtà
coraggio di affrontare i fatti della vera
vita:coraggio spirituale, eroismo morale
"lussuoso paludamento d'una continua letteratura" "maschere nude"
costruzione di "miti e favole"
analisi/diagnosi spietata della realtà
la funzione dell'arte: il culto della
"spazio"
Bellezza;
l'arte può essere mezzo di ottenere gli scopi
nessuna
dell'autore
la creazione artistica esprime il suo creatore
legge;
la
nella vita "civile": edonismo, egoismo
infantilismo, irresponsabilità, narcisismo
la vita è: piacere, "erotica heroica"
funzione
dell'arte:
formare
uno
per l'autorivelazione della Verità
l'arte non può essere mezzo di
intenzione dell'autore
la formazione artistica ha la sua
l'autore è solo "medium" per la "volontà"
dell'opera artistica che si realizza
nella vita "civile": fedeltà, responsabilità,
pazienza e affetto per la famiglia, per il
proprio lavoro;
la vita è: servizio
I due profili psicologici delineabili risultano contrari, anzi, in molti punti
corrispondenti l'uno all'altro (il che non vuol dire non supporre l'esistenza di
atteggiamenti non inquadrabili nelle rubriche opposte).
Il primo, quello di D'Annunzio, sembra un profilo senza antagonismi: è un
atteggiamento dominatore. Quello di Pirandello invece è più problematico, perché da
una parte mostra caratteristiche di un atteggiamento tendente alla sottomissione, che
accetta il dominio altrui. L'inclinazione alla sottomissione può esprimersi sia
nell'ubbidienza (cieca, perché per motivi sentimentali) al potere politico, sia nella
propensione ad essere vittima delle demagogie politiche. Dall'altra parte possiamo
identificare altri fattori che propendono verso un terzo tipo di atteggiamento: quello
del personaggio intellettualmente e moralmente autonomo, fattori che generalmente
ostacolano l'accettazione di attitudini antidemocratiche, sia nella forma del dominio,
sia nella forma di accettarlo senza alcuna critica.
Per poter tirare le conclusioni, vorrei distinguere quali sono i fattori propensi e no a
servire come base ideologica o di sostegno di un dialogo tra il personaggio
dominatore e quello sottomesso, ossia, nel contesto politico del ventennio fascista,
tra il superuomo-tiranno e il gregge.
Fattori favorevoli per diventare base ideologica del superuomo-tiranno, secondo la
nostra analisi, si trovano soltanto in D'Annunzio: il desiderio di dominare l'uomo e la
vita, le ambizioni politiche, l'infrazione della legge e il disprezzo dell'ordine delle
"masse", il protagonismo politico, il fatto che si assume il ruolo del Comandante
militare; la convinzione che la causa dei problemi umani e sociali è la bassezza delle
"masse", e infine che per il funzionamento della società è sufficiente un Comandante
aristocratico, un Superuomo, al quale il gregge ubbidisce ossequiosamente.
Alcuni fattori non decisamente ideologici o politici per appoggiare un atteggiamento
dominatore sono la tendenza a influenzare, manipolare, l'uso della demagogia, il
narcisismo, l'estetismo, la fuga dalla realtà, l'edonismo, l'egoismo, e perfino anche la
convinzione estetica, che la creazione artistica deve esprimere il suo creatore; anche
questi fattori li troviamo solo in D'Annunzio.
Fattori favorevoli per ubbidire al tiranno, per diventare potenzialmente vittimo della
demagogia invece si trovano solo in Pirandello, come la mancanza totale
dell'interesse politico, anzi, la sfiducia e la delusione nelle soluzioni politiche e nello
stesso tempo l'ansia dell'Ordine, con la quasi disperata ricerca del consenso; ma
anche la consecutiva tendenza ad assumere l'atteggiamento dell’ "umile e obbediente
gregario", e l'ipotesi, che per il funzionamento della società ci vuole un Genio
Creatore, che – similmente all'artista – è capace di dare forma all'informità. Però
appunto l'ambiguità della similitudine con l'artista lascia aperta la possibilità, che
anche in Pirandello sia presente una voglia soppressa di potenza, che però trovò
un'altra via di manifestazione nella creazione artistica e nell'intenzione di educare. 49
Nello stesso Pirandello tuttavia troviamo anche fattori che sono contrari sia
all'atteggiamento dominatore sia a quello che accetta il dominio altrui, e questi sono
secondo me il rifiuto della violenza fisica, l'ansia della sincerità, e l'analisi spietata
della realtà; sempre in Pirandello, altri fattori che in generale ostacolano
l'accettazione di attitudini antidemocratiche sono l'ambizione di conoscere l'uomo e
la vita, la ricerca della Verità, la pietà dolente per i "vinti", il tormento per i
problemi degli uomini in generale, la volontà e l'impegno di insegnare, la
responsabilità morale, la pratica del servizio, e, infine, la convinzione estetica che
l'arte non può essere mezzo di nessuna intenzione dell'autore, sia quella politica,
sociale o morale, sia quella di esprimere se stessi.
In fin dei conti l'atteggiamento politico, artistico e umano di D'Annunzio è un
atteggiamento dominante, che però non trova il terreno adatto per realizzarsi: di lì la
rottura dell'attività artistica, il tormento animico e infine il tentato di suicidio.
Il profilo psicologico di Pirandello è più complesso, ma tutto sommato ha un
atteggiamento autonomo: solo in un breve periodo della vita è caratterizzato da un!
attitudine che lo rende vittima della demagogia politica, come sostenitore del dialogo
tra superuomo e gregge, da parte del gregario.
È comunque sintomatica la solitudine, artificiale e lussuosa dell'uno e quella schietta
dell'altro...
Il tormento spirituale dei due scrittori – anche se per motivi diversi – afferma
appunto, che la loro "partecipazione" alla politica non fu un gesto propriamente
politico, inteso come una specie di professionismo intellettuale: era piuttosto una
politica sentimentale, simile a quella praticata dai cittadini "laici", con suoi sintomi e
trappole tipici, ma con la differenza, che la responsabilità è tanto più grande, quanto
– trattandosi di personaggi alla ribalta – il loro atteggiamento funziona come modello
di comportamento per il loro pubblico (nel caso di D'Annunzio p. es. anche per la
politica), dimostrando il pericolo della politica "laica": ciò che può diventare mezzo
49
cfr. Németh László: Ortega és Pirandello, Debrecen, Nagy Károly és társai, 1933. Secondo Németh la
caratteristica più dominante dell'artista Pirandello è la tensione educativa.
di manipolazione non auspicato in mano dei "professionisti", cioè che può prestarsi
come fattore propriamente politico.
Nel caso di D'Annunzio si tratta di una funzione creativa, formativa nei confronti
dell'ideologia fascista: il suo atteggiamento e le sue idee servivano da modello per i
comportamenti dominatori entro i termini della politica, per creare e sostenere il
potere del regime.
Nel caso di Pirandello, invece, per lo meno in un determinato periodo, si tratta di uno
stato passivo, ricettivo, aperto verso un'ideologia (fra)intesa secondo i propri termini
artistici, i quali, mentre sembrano sorprendentemente simili, in sostanza sono assai
differenti da quelli politici. Ma appunto un'attitudine politicamente incosciente o
disinteressata, passiva, come anche la sua, sta alla base dell'atteggiamento tipico dei
"gregari", della maggior parte del "pubblico" fascista, che forma la parte dei
"sudditi" in un regime antidemocratico e totalitario, diventando preda della
demagogia.
Dove c'è il tiranno, ci vogliono anche i sudditi che lo sopportano. Può darsi che la
terminologia – tiranno, sudditi – sia semplicistica; che i motivi nella (post)modernità
sono diventati molto intricati e complessi; può darsi che l'accettazione di un
"tiranno" non sia semplicemente la debolezza della "massa", ma la ricerca impaziente
di una soluzione sociale efficace; e allora c’è una doppia ragione per praticare largo
uso dei mezzi giusti dell'analisi razionale -scientifica per capire e far capire processi
e necessità; oltre quelli materiali ed economici, anche quelli psichici trasformati
anche loro in processi e necessità sociali, al fine di evitare, dopo un Novecento tanto
tormentato, un'altra rinascita dell'esperienza antidemocratica, dopo il fallimento dei
due o tre grandi esperimenti: il fascismo, lo stalinismo e il nazismo.
La lezione del Novecento ci insegna che in questo lavoro la responsabilità degli
intellettuali di ogni genere è incedibile e irreversibile.
Per concludere, vorrei fare un accenno ad un analisi fatta dall' István Bibó, nel
saggio "Az olasz önbizalom betegsége" (La malattia della baldanza italiana). 50 Bibó
nella sua analisi critica la politica italiana, facendo derivare la demoralizzazione
della politica italiana da un modo di pensare sbagliato e in fin dei conti
irresponsabile, che prende inizio dalla grande rivoluzione francese. Secondo Bibó il
sentimento della debolezza e dell' inerzia, e l'esperienza ingannevole, mal analizzata
50
cfr. Bibó István: "Az olasz önbizalom betegsége", in: Válogatott tanulmányok. I. 1935-1944., Budapest,
Magvető 1986. p.496. (in corsivo da M.K.)
della politica di Cavour, poi la politica inconsistente conducono a una crisi che si
manifesta prima di tutto nella presa di posizione tra gli estremi della ipersensibilità
irreale e l'esagerata sottomissione nella questione della fierezza nazionale. In un
clima politico, dove la politica del bluff e della violenza risulta irresistibile di fronte
alla politica delle tradizioni e dei principi, dove in mancanza della responsabilità
europea la politica dei principi e della responsabilità urta contro la politica
dell'avventura e dell'irresponsabilità, non c’è da meravigliarsi se "il sacro egoismo"
sinceramente patetico di D'Annunzio si trasforma in slogan della mancanza dei
principi in politica.
Fonti e riferimenti
1. Cocles, Angelo, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di
Gabriele D'Annunzio tentato di morire, /Verona, Mondadori, 1935/
2. Pirandello, Luigi: "L'umorismo", in Saggi, Milano, Mondadori, 1939.
3. Pirandello, Luigi: Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De
Gubernatis-De Filippo, a cura di Sarah Zappulla Muscarŕ, Roma, Bulzoni,
1980.
4. Frassica, Piero: A Marta Abba, per non morire. Sull'epistolario inedito tra
Pirandello e la sua attrice, Milano, Mursia, 1991.
5. Pirandello, Luigi: "Giovanni Verga. Discorso alla Reale Accademia d'Italia",
in Pirandello: Saggi, Milano, Mondadori, 1939. pp. 427-443.
6. Kosztolányi Dezső: Lángelmék. (Kosztolányi Dezső hátrahagyott művei IV.),
Budapest, Nyugat, 1941.
7. Bibó István: "Az olasz önbizalom betegsége", in: Válogatott tanulmányok, I.
1935-1944. Az európai egyensúlyról és békéről, Budapest, Magvető 1986.
8. Chabod, Federico: Olaszország története 1918-1948. Budapest, Gondolat,
1967.
9. Kis Aladár: Az olasz fasizmus története, Budapest, Kossuth, 1970.
10. Vené, Gianfranco: Pirandello fascista, Milano, Sugar, 1971
11. Petronio, Giuseppe, "Il dramma dell'uomo solo in Pirandello", 1950, in Di
Salvo-Romagnoli, Scrittori e poeti d'Italia nella critica 3/2. Cultura e
letteratura del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1972.
12. Salinari, Carlo, "Pirandello e la crisi della coscienza contemporanea", 1967, in
Di Salvo-Romagnoli, Scrittori e poeti d'Italia nella critica 3/2.Cultura e
letteratura del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1972.
13. Ormos Mária, Incze Miklós: Európai fasizmusok 1919-1939. Budapest,
Kossuth, 1976.
14. Manacorda, Giuliano: Storia della letteratura italiana tra le due guerre 19191943. Editori Riuniti, 1980.
15. Zappulla Muscarà, Sarah: "Luigi Pirandello e Ugo Ojetti", in: Pirandello,
Luigi: Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De GubernatisDe Filippo, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Roma, Bulzoni, 1980.
16. Abba, Marta: "Prefazione", in: F.V. Nardelli: Pirandello. L'uomo segreto,
Milano, Bompiani, 1986.
17. Puppa, Paolo: "Teatro pubblico", in: Teatro: teoria e prassi, a cura di Enzo
Scrivano, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986.
18. Gavino Olivieri, Franca, Un secolo di narrativa 1880 1980, Roma-Bari,
Editori Laterza, 1990.
19. Ferroni, Giulio: Profilo storico della letteratura italiana, Milano, Einaudi
Scuola, 1992.
20. Almond, Dowell: Összehasonlító politológia, Budapest, Osiris, 1996.
21. Szociálpszichológia. Szerk. Csepeli György, Budapest, Osiris, 1997.
22. Madarász Klára: "Széljegyzetek Kosztolányi és Pirandello esztétikájához", in:
Irodalomtörténet, 2000/2, pp. 235-261.
23. Rosselli, Alessandro: „Pirandello visto da Alvaro: Le note pirandelliane in
Quasi una vita”. Il dattiloscrito fa parte del volume: Rosselli, Alessandro: Una
lunga passione civile. Corrado Alvaro testimone disincantato del ’900., di
prossima pubblicazione presso l’ Editore Costantino Marco.