Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Beppe Severgnini
Signori, si cambia
In viaggio sui treni della vita
Proprietà letteraria riservata
© 2015 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-08499-4
Prima edizione: novembre 2015
@ beppesevergnini
Le illustrazioni sono di Roberto La Forgia
Realizzazione editoriale: Studio Dispari – Milano
Signori, si cambia
I libri di Beppe Severgnini
Ritratti nazionali
Inglesi
Un italiano in America
La testa degli italiani
La pancia degli italiani
Italiani di domani
National Portraits
An Italian in Britain
An Italian in America
An Italian in Italy
Autobiografia
Italiani si diventa
Viaggi
Italiani con valigia
Italians
La vita è un viaggio
Lingue
L’inglese. Lezioni semiserie
L’italiano. Lezioni semiserie
Epopea nerazzurra
Interismi
Altri interismi
Tripli interismi
Eurointerismi
Manuali
Manuale dell’imperfetto viaggiatore
Manuale dell’uomo domestico
Manuale dell’imperfetto sportivo
Raccolte
Manuale del perfetto interista
Manuale dell’uomo normale
Manuale del perfetto turista
Imperfetto manuale di lingue
Manuale dell’uomo di mondo
Per Giles Watson,
scozzese del Friuli
La terapia dei binari
Ho sentito per la prima volta tutta la dolcezza di vivere
in una carrozza del Nord-Express, tra Wirballen e Pskow.
Valery Larbaud, Le poesie di A.O. Barnabooth
Ha senso scrivere e leggere di treni e viaggi, in un momento come questo? Mentre la terra cambia e i popoli si
spostano? Certo: più che mai. In viaggio si riflette, si allenano i pensieri, si controllano le proprie tesi negli occhi
di uno sconosciuto. Si capisce che il mondo – e l’Italia fa
parte del mondo – non è solo quello cupo dei telegiornali, ma un’impresa e una sorpresa quotidiana. Bisogna
andare a vedere, per capire. Gli intolleranti sono spesso
ignoranti pigri: facciamoli muovere, convinciamoli a
partire.
Tra tutti, il viaggio che preferisco è un viaggio antico, graduale, privato e sociale insieme: il viaggio in
treno. Un viaggio apparentemente rettilineo. È invece
il più sorprendente. Niente di meglio, se vogliamo conoscere le curve del mondo.
Ci sono due categorie di amanti dei treni. Quelli che
li guardano e quelli che ci salgono sopra e partono.
Trainspotters e train travellers. Ho ritrovato questa distinzione nella prefazione di un bel libro illustrato del
1980, Great Railway Journeys of the World, tratto da
una serie di documentari della BBC. Personalmente,
non ho mai avuto dubbi. I treni, come gli amici e i ristoranti, bisogna provarli. Guardarli non basta.
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Ho fatto il giro del mondo a puntate, e il giro d’Italia a volontà. Ogni viaggio, una rivelazione. Ho visto le
regioni, le nazioni e i continenti cambiare umori e colori, e sulle ferrovie ho conosciuto più gente che in
quarant’anni di voli aerei. Ogni viaggio, uno spettacolo; a pensarci bene, anche ogni viaggiatore. I treni sono
palcoscenici, caffè, bazar. L’unico talk-show che non
conosce crisi è quello che si replica, quotidianamente,
lungo le rotaie d’Italia, d’Europa e del mondo. I personaggi si ripetono – il progressista e il conservatore, l’indignato e il rassegnato, il giovane e il vecchio, la ragazza intelligente e il ragazzo robusto senza molto da
dire – ma la trama cambia, insieme allo sfondo. La confidenza, quasi sempre, deriva dal senso di libertà: ci ha
messo insieme il caso, ci dividerà una stazione.
Il treno consente di restare passivi senza sentirsi
pigri. Come ha scritto Tim Parks, autore di Coincidenze, la ferrovia «ci esenta da ogni responsabilità di marcia e di manovra». È una condizione invidiabile. Possiamo pensare lavorare sognare; oppure distrarci; o
magari preoccuparci, se quel giorno e quel viaggio ci
spingono in quella direzione.
I treni aiutano a pensare. Confesso d’aver invidiato
a Tishani Doshi, una talentuosa poetessa indiana, il titolo di una sua opera recente: Everything begins elsewhere, tutto comincia altrove. È così. Le fonti delle
nostre idee sono spesso nascoste nelle pieghe di un
viaggio. Muoversi produce una combinazione di fantasia, stimoli, confronti, ricordi. Gli ingredienti vengono
mescolati, aggiunti, sottratti al momento opportuno.
La ferrovia costituisce il frullatore più efficace, quello
da cui esce il succo migliore.
Il treno è simbolo di cambiamento. Provate a pensarci. Da trent’anni – forse più – in Italia parliamo sem10
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pre delle stesse cose (la corruzione, la criminalità, i problemi del Sud, la sclerosi della politica, il declino dei
sindacati, la lentezza dell’amministrazione). La narrativa nazionale è ferma. Abbiamo l’impressione di non
progredire. Ecco perché nazioni meno organizzate e
più povere dell’Italia – l’India, la Cina – si dichiarano
più felici di noi. Hanno la sensazione di andare avanti.
Il progresso è eccitante; fermarsi scoraggia. È irritante
restare bloccati in treno in mezzo alla campagna.
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La ferrovia – quando non diventa un obbligo e una
costrizione – è un esercizio di igiene mentale. Siamo da
soli e siamo con gli altri: due condizioni ideali, a patto
di poterle alternare. Mentre scivoliamo sui binari, la
vita di fuori viene a trovarci, sotto forma di un sorriso
inatteso, di una famiglia loquace, di due ragazzi che
parlano con gli occhi.
Il treno fornisce una narrativa, compresa nel prezzo del biglietto. Un inizio e una fine, un itinerario
come canovaccio. Ecco perché i treni compaiono
spesso nei film, e talvolta ne diventano protagonisti:
da Shanghai Express con Marlene Dietrich a Treno di
notte per Lisbona con Jeremy Irons, da Café Express di
Nanni Loy (derivato dal programma televisivo Viaggio
in seconda classe) a molti film di Totò. Ecco il motivo
per cui tanti autori li hanno scelti come ambientazione
(Il treno scomparso di Arthur Conan Doyle, Il mistero
del treno azzurro di Agatha Christie, Jeumont, 51 minuti di fermata! di Georges Simenon, Orient Express
di Ian Fleming). Anche se non avete in programma
indagini o delitti, prendete un treno. Qualcuno – non
ricordo chi – ha scritto: i binari sono una cerniera che
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si chiude. In un momento sbottonato come questo,
una garanzia e una consolazione.
La mia generazione ha amato i treni. Per i cinquantenni la parola «Interrail» ha lo stesso richiamo esotico
ed erotico di «Erasmus» per i trentenni, e di «crociera»
per i settantenni. Molti ragazzi, anche oggi, l’hanno capito: i treni permettono – con pochi soldi, se uno s’organizza – di vedere l’Italia, l’Europa e più in là. Rappresentano la cultura nazionale. Sui treni russi c’è il samovar del tè, sui treni americani eggs and bacon per colazione, sui treni italiani chiacchiere a tutte le ore.
Non scorderò mai il viaggio di nozze in Transiberiana da Mosca a Pechino, nell’estate del 1986. Indro
Montanelli, quando l’ha saputo, ha sgranato gli occhi
azzurri e mi ha detto: «È l’idea più assurda che io abbia
mai sentito. Per punizione, ne scriverai» (così è stato, il
resoconto sta in Italiani con valigia). Di seguito, sempre
in treno e con la stessa moglie, ho viaggiato dal Baltico
al Bosforo durante l’ultima, caotica estate del comunismo (1989). In anni recenti – con Ortensia, con nostro
figlio, da solo, con amici italiani e colleghi tedeschi –
ho attraversato gli Stati Uniti d’America dall’Atlantico
al Pacifico (due volte, passando da nord e passando da
sud); ho seguito le rotaie da Mosca a Lisbona; ho tagliato l’Europa in verticale (da Berlino a Palermo) e
l’Australia in orizzontale (Sydney-Perth, con il rettilineo più lungo del pianeta: 478 km).
La destinazione, tuttavia, non è la cosa più importante. Tutti i grandi viaggi – dai pellegrinaggi cattolici
al Grand Tour, dalla prima partenza con gli amici al
viaggio di nozze – sono, in fondo, una scoperta di se
stessi. Magari con l’aiuto degli sconosciuti. I treni sono
confessionali ambulanti, e quasi mai siamo intimi del
confessore. Cerchiamo chi siamo: luoghi e persone
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