Monografie: Akira Kurosawa (4/4)

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Monografie: Akira Kurosawa (4/4)
Monografie: Akira Kurosawa (4/4)
Scritto da AkiraK
Domenica 16 Marzo 2003 15:22 - Ultimo aggiornamento Mercoledì 24 Novembre 2010 15:37
In questa quarta parte di “Qualcosa come una biografia” tratteremo il periodo che va dalla
realizzazione di Scandalo e Rashömon, il primo alloro internazionale di Kurosawa, ad un altro
capolavoro: Vivere.
Buona lettura.
Qualcosa come una biografia - quarta parte
Nel 1950, dopo la realizzazione di un capolavoro come Cane randagio (1949), Akira kurosawa
gira Scandalo, un film interessante dal punto di vista del soggetto ma che risulta, così come Il
duello silenzioso
(1949) di cui abbiamo parlato nello scorso numero, discontinuo nella sua struttura e forse
troppo melodrammatico.
Il soggetto di Scandalo è ispirato all'attualità: nel dopoguerra, con la fine della censura militare, i
giapponesi scoprono la libertà di stampa; la stampa scandalistica in particolare prolifera in
maniera incontrollata. La gente, che prima era oppressa dalla tragedia della guerra e ora lo è
dalla miseria del dopoguerra, vuole avere qualcosa con cui distrarsi. E cosa c'è di meglio dei
veri o presunti scandali, amorosi e non, che vede protagoniste le persone famose per non
pensare alle proprie disavventure?
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Il il film è una denuncia della bassa moralità che c'è dietro ai giornali scandalistici, sia da parte
dei produttori e dei giornalisti, sia da parte della gente che si “nutre” di tali giornali.
Ricorda Kurosawa nella sua autobiografia: «Chiunque all'epoca si sentiva autorizzato a
sporcare le personalità più in voga. Ricordo di aver visto sulla copertina di un settimanale sotto
la foto di un'attrice la scritta: chi ha rubato la sua verginità?».
Sempre nel 1950 Kurosawa gira quello che sarà il film di svolta della sua carriera, l'opera che
gli darà i primi meritati riconoscimenti e la notorietà internazionale.
Ha quarant'anni Kurosawa quando nella foresta di Nara, vicino Kyoto, gira Rashömon, il suo
secondo “jidai geki” (film d'avventura in costume). Per la verità Rashömon è il primo che sarà
distribuito nelle sale, perché il suo primo “jidai geki”, Quelli che camminano sulla coda della
tigre, girato nel 1945, era stato proibito dalla censura e verrà riscoperto solo nel 1952.
Con Rashömon Kurosawa porta sullo schermo due racconti brevi (Nel bosco e Rashömon) di
uno scrittore giapponese del primo novecento, Ryunosuke Akutagawa, morto suicida nel 1927
all'età di trentacinque anni.
La vicenda e la struttura del film sono tratte da Nel bosco. Il regista arrichisce però la storia
utilizzando idee tratte dal secondo racconto, che darà poi il titolo al film.
La storia ha luogo nella radura di un bosco dove è stato trovato il cadavere di un samurai.
Davanti ad un tribunale invisibile (lo
spettatore) raccontano la loro testimonianza il boscaiolo che ha trovato il cadavere, un monaco
che aveva visto il samurai e la moglie entrare nel bosco e una spia della polizia che ha
casualmente catturato il bandito Tajomaru; rendono la loro versione dei fatti anche i protagonisti
principali della vicenda (il bandito, la donna del samurai e lo spirito del samurai evocato da una
maga). Ognuno dei tre protagonisti fornisce una versione diversa dei fatti, ma stranamente si
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accolla la responsabilità della morte del samurai (anche lo stesso samurai, che afferma di
essersi suicidato per onore) , salvo poi farne ricadere la responsabilità morale su uno degli altri
tre.
Il racconto letterario di Akutagawa terminava dopo l'ultima confessione, lasciando al lettore il
compito di trovare il vero colpevole, districandosi nel labirinto di menzogne e mezze verità.
Kurosawa invece introduce una quarta confessione: il boscaiolo prende la parola e dice la “sua”
verità, smascherando tutte le menzogne raccontate (chi per salvare la faccia, chi per salvare la
pelle) dai tre protagonisti.
La realizzazione di Rashömon non fu facile per Kurosawa, ostacolato dai produttori della Daiei
che ritenevano la sceneggiatura troppo complicata e addirittura incomprensibile (salvo poi
attribuirsi i meriti del suo successo). Certo il regista, mentre girava il film nel bosco di Nara, non
poteva prevedere un successo tanto ecclatante. Il film venne mandato alla Mostra del Cinema
di Venezia grazie all'insistenza (e contro il parere dei produttori che consideravano il film non
adatto ad un pubblico straniero) di Giuliana Stramigioli, un'italiana che viveva a Tokyo da anni
ed era diventata un'esperta del mondo giapponese.
Rashömon viene premiato a Venezia con il Leone d'Oro (1951) e l'anno successivo vince
l'Oscar come Miglior Film Straniero.
Il successo del film è dovuto soprattutto all'abilità di Kurosawa nel raccontare per immagini.
«Durante la preparazione del film - ha scritto Kurosawa - sentivo il bisogno di ritornare alle
origini del cinema, di ritrovare la bellezza tipica dell'epoca del muto», l'autore si concentra così
nella ricerca della bellezza evocativa e sul dinamismo delle immagini (basti pensare alla
capacità del regista di animare la natura, fino a farla diventare una vera e propria protagonista
della storia). Non bisogna però dimenticare il grande contributo dato alla riuscita del film dal
direttore della fotografia (Kazuo Miyagawa) e dai suoi protagonisti, fra tutti Toshiro Mifune che
interpreta il bandito (e che con questo film ottiene la popolarità internazionale), Takashi Shimura
che interpreta il boscaiolo e la brava Machiko Kyo nella parte della moglie del samurai.
Per contro, in Giappone il film di Kurosawa non ottiene gli stessi consensi ricevuti all'estero,
anzi i critici giapponesi accolgono Rashömon molto freddamente. Scrive Kurosawa: «Sono
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sempre stati gli stranieri ad apprezzare per primi i valori della nostra cultura».
«Ogni immagine di questo film reca l'impronta del genio» ha detto Michelangelo Antonioni a
proposito di Rashömon.
Il successo ottenuto arriva in un momento alquanto difficile per Kurosawa, che è sull'orlo di un
esaurimento nervoso, dandogli nuovamente la carica.
I motivi di tale sconforto sono ancora i contrasti coi produttori.
Quando gli viene assegnato il Leone d'Oro a Venezia, Kurosawa ha appena terminato il
montaggio di un film monumentale, L'idiota; la casa produttrice però non trova il film di suo
gradimento, e contraddicendo i patti lo fa tagliare riducendone la durata da 245 minuti a 145.
Per rendere definitivi tali tagli, i produttori fanno distruggere i negativi delle parti tagliate.
L'idiota è la trasposizione su schermo dell'omonimo romanzo dello scrittore russo Feodor
Dostoevskij.
Kurosawa, grande estimatore delle opere di Dostoeviskij, effettua una trasposizione
spazio-temporale del romanzo: la storia non è più ambientata nella Russia della seconda metà
dell'ottocento ma nel Giappone del dopoguerra, i protagonisti cambiano classe sociale,
appartengono all'aristocrazia del denaro anziché alla nobiltà. A differenza del romanzo di
Dostoeviskij inoltre, non è tanto il disarmante candore, l'essere “assolutamente buono”, che fa
meritare al protagonista, Kameda, la qualifica di “idiota”, bensì il suo scandaloso disinteresse.
Kameda è un diverso perché non tiene in nessun conto i suoi averi.
L'idiota ha avuto un grande successo di pubblico mentre ha sollevato perplessità tra i critici
giapponesi e americani. Forse non proprio coerente dal punto di vista formale, questo
tredicesimo film di Kurosawa è sicuramente ricco di stimoli e sentimenti, e anticipa gli altri
grandi film della condizione umana, Vivere e I sette samurai.
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Vivere, girato nel 1952, racconta l'avventura interiore di un uomo comune che lotta contro la
morte e il fallimento della propria esistenza. Watanabe è caposervizio in un ufficio comunale, un
burocrate non peggio né meglio di tanti altri; un giorno però scopre che i suoi dolori intestinali
sempre più frequenti non sono altro che i sintomi di un cancro allo stomaco e che quindi non gli
restano che pochi mesi di vita. Watanabe, dopo una discesa nella disperazione più profonda
(tenta anche il suicidio), capisce, anche grazie all'aiuto di una sua ex impiegata, che l'unica
cosa sensata che gli resta da fare è “vivere” il tempo rimastogli.
La toccante interpretazione di Takashi Shimura (Watanabe) e la sensibilità di Kurosawa
riescono a trattare della malattia, e della morte, senza deprimere lo spettatore, comunicando
anzi una insopprimibile voglia di vivere. Ed è questo uno dei pregi di questo film che, assieme
alla profondità dei temi trattati e ad una grande intensità emotiva, lo pongono di diritto fra i più
celebrati capolavori della storia del cinema, quali Umberto D. (1952) di De Sica o Il posto delle
fragole (1957) di Bergman.
Nello stesso anno in cui esce nelle sale I sette samurai e un mese dopo la nascita della sua
primogenita Kazuko, Kurosawa vince con Vivere l'Orso d'Oro al festival di Berlino (1954).
Il 1954, come detto, è l'anno de I sette samurai, uno dei film più famosi e belli di Kurosawa, che
il regista gira, tra mille difficoltà, in un villaggio sperduto fra le montagne; ma per il seguito vi
rimando al prossimo numero.
5/5