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n° 333 - gennaio 2008
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
La Ricostruzione dell’Universo
La metropoli come ideale futurista: la città è il luogo eletto per esprimere la modernità, il futuro che si traduce in velocità e movimento
«Noi canteremo le grandi
folle agitate dal lavoro;
canteremo le maree multicolori e polifoniche delle
rivoluzioni nelle capitali
moderne; canteremo il
vibrante fervore notturno
degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le
stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese
alle nuvole pei contorti
fili dei loro fumi; i ponti
simili a ginnasti giganti
che scavalcano i fiumi.»
Da queste prime dichiarazioni del 1909, contenute nel Manifesto del Futurismo redatto dal fondatore Filippo Tommaso
Marinetti, si capisce il
vigore delle convinzioni
e la loro portata rivoluzionaria, alle quali quasi
tutte le espressioni artistiche, letteratura, pittura, musica, scultura,
aderiscono fin dalla prima
ora, grande assente l’architettura, nonostante
sia chiaro, già solo da queste poche frasi, come essa
sia implicitamente coinvolta e chiamata in causa
a dare un corpo e un’immagine a questi gridi rivoluzionari.
L’assenza di architetti all’interno del movimento
è vissuta quasi come una
sconfitta e dopo qualche
anno dalla fondazione i
futuristi cominciano a
lamentarne la mancanza
e a guardarsi intorno alla
ricerca di possibili adepti.
Nel panorama architet-
tonico italiano è nel giovane comasco, Antonio
Sant’Elia, che viene individuato lo spirito idoneo a rappresentare la
poetica futurista. Nel
1914, dopo esser stato
contattato da Carlo Carrà
e dopo esser passato dall’esperienza del gruppo
Nuove Tendenze, si può datare l’adesione di Sant’Elia al movimento futurista. Insieme a lui
l’amico architetto Mario
Chiattone che anche se
non ha mai aderito ufficialmente al movimento,
porta i tratti fondamentali della ‘nuova’ architettura futurista.
sotto Antonio
Sant'Elia: La città
nuova. Casamento
con ascensori esterni,
galleria passaggio
coperto, su tre piani
stradali (linea tramviaria, strada per
automobili, passerella metallica), fari e
telegrafia senza fili
Como, Musei Civici
L’atteggiamento futurista, opposto a ogni stile
o criterio prestabilito, a
ogni riferimento a modelli passati o stranieri e
a favore invece di una
città dinamica in continuo mutamento, celebra
il nuovo, il moderno e la
macchina, il movimento
e la velocità. Marinetti,
inoltre, in un’enfasi antipassatista, esorta ad impugnare i picconi e demolire le «città venerate»
senza nessuna pietà; egli
vuole dar voce a una
nuova Italia industriale
che ha i suoi poli in Milano, Genova e Torino,
da contrapporre a una ve-
sopra Umberto Boccioni:
La città che sale
a destra Antonio Sant'Elia:
Centrale elettrica
Fortunato Depero: Grattacieli e tunnel
Rovereto, Mart
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tusta Italia museo che ha
le sue «tre piaghe purulente» in Firenze, Venezia e Roma. L’ambiente
urbano è un argomento
che viene subito affrontato dai futuristi, perché
dietro la spinta del progresso tecnologico si vuole
creare l’ambiente adatto
all’integrazione dell’uomo
in questo nuovo mondo.
La città è il luogo eletto
per esprimere la modernità, il futuro che si traduce in velocità e movimento; essa deve crescere
con la nuova ideologia
del movimento e della
macchina abbandonando
la staticità della tradizione. Già nelle opere del
1911 di Umberto Boccioni La città che sale e La
strada che entra nella casa,
si capisce la potenza rinnovatrice futurista in
quella che vuole essere la
metropoli moderna.
L’ideale architettonico
futurista è dichiarato da
Sant’Elia nel Manifesto
L’architettura futurista
dell’11 luglio 1914. Partendo dal principio che
«Dopo il ‘700 non è più
esistita nessuna architettura» e dalla critica alla
tendenza del momento
a mescolare i più vari elementi stilistici per mascherare l’uso dei nuovi
materiali da costruzione
come il cemento e il ferro,
introduce l’idea dell’architettura futurista che
non vuole essere «un problema di rimaneggiamento lineare» ma vuole
«creare di sana pianta la
casa futurista, di costruirla
con ogni risorsa della
scienza e della tecnica,
appagando signorilmente
ogni esigenza del nostro
costume e del nostro spirito. […] Quest’architettura non può essere
soggetta a nessuna legge
di continuità storica.»
I nuovi materiali da costruzione consentono di
liberarsi dalla staticità e
pesantezza monumentale proprie del passato
e arricchiscono «la nostra sensibilità del gusto
del leggero, del pratico,
dell’effimero e del veloce». Questi quattro
punti riassumono gran
parte della volontà futurista: la leggerezza consentita da questa nuova
architettura del calcolo,
del cemento armato, del
ferro, del vetro e di tutti
i surrogati del legno e
della pietra che permettono di ottenere il massimo della elasticità e alle
città di innalzarsi in modo
agile e dinamico; la praticità, perché la nuova
città deve rispondere alle
nuove esigenze di vita,
non ci si riconosce più
negli uomini delle cattedrali e dei palazzi, ma
in quelli delle stazioni
ferroviarie, delle «strade
immense» degli «sventramenti salutari»; la caducità, «perché ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città» che appunto è in continua evoluzione, «un immenso
cantiere tumultuante» e
la velocità cui la città deve
fare da sostegno accogliendo i mezzi che la
percorrono su strade realizzate anche su parecchi
piani, stazioni, rettifili e
tapis roulants. La città diventa quindi il simbolo
che esprime la modernità e la dinamicità, gli
ambienti auspicati dai
futuristi hanno come caratteristica fondamentale la velocità dei movimenti e dei trasporti,
perché è proprio di questi ultimi che comprendono immediatamente
l’importanza e il ruolo
che avrebbero assunto
nella vita moderna. Per
consentire il massimo
della dinamicità ritengono più adatte le linee
ellittiche e oblique che,
dinamiche per natura,
hanno un impatto emotivo maggiore rispetto
alle ortogonali e al tempo
stesso riescono a negare
ogni simmetria e staticità classica.
Sant’Elia, chiamato dai
futuristi a interpretare la
loro poetica, resterà l’esponente più rappresentativo e i disegni delle sue
fantastiche megalopoli
diventeranno un punto
di riferimento ideale nella
scena dell’architettura
moderna e di avanguardia italiana. I suoi disegni raffigurano una città,
anzi una metropoli contemporanea scenograficamente grandiosa e suggestiva dove, su importanti assi di comunicazione veicolare, si ergono
imponenti edifici spinti
con forza verso l’alto: palazzi-città, centrali elettriche, fabbriche, il tutto
integrato dall’intersecarsi degli spazi pubblici
e privati con gigantesche
interconnessioni. Nonostante le sue opposte asserzioni, i disegni dimostrano, invece, di avvicinarsi a «tutta la pseudoarchitettura d’avanguardia, austriaca, tedesca e
americana», in particolare, nella polemica contro le decorazioni e la battaglia per l’uso dei nuovi
materiali, sono evidenti
le influenze della scuola
viennese di Otto Wagner.
Evidente è anche il riferimento al verticalismo
americano, anche se Sant’Elia lo interpreta rifiutando la frammentazione
della città in tanti punti
isolati: i grattacieli, que-
Fortunato Depero:
scenografia per Le chant du rossignol di Stravinsky
Fortunato Depero: disegno e foto del padiglione
della Bottega del Libro alla III Biennale di Monza Rovereto, Collezione Museo di Depero
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sto perché la nuova città
non è il risultato della
somma di nuovi edifici,
ma di tutta la rete di relazioni organiche della
struttura urbana, perché
il punto di partenza è il
soddisfacimento del
nuovo modo tumultuoso
di vivere, non la soluzione di un singolo intervento. Anche la monumentalità delle sue immagini non va certo d’accordo con l’idea della caducità e transitorietà,
considerati caratteri fondamentali dall’architettura futurista.
Il conflitto mondiale
spezza il filo conduttore
del Futurismo: il sentore
dei segni della crisi sociale e politica derivante
dal conflitto, la morte
prematura di Sant’Elia e
Boccioni smorzano le attività del gruppo e pian
piano il fulcro del lavoro
futurista si sposta da Milano anche in altri poli
come Firenze e Roma delineando una diversa
struttura, policentrica
con varie ramificazioni
regionali.
Nel 1915, i pittori Giacomo Balla, Fortunato
Depero ed Enrico Prampolini affermano, col manifesto di Ricostruzione futurista dell’Universo, l’intenzione di trasformare
totalmente l’ambiente
umano ampliando il raggio di azione dell’atto
creativo dall’oggetto d’uso
all’architettura e all’ambiente. Bisogna annullare le distinzioni fra le
varie espressioni artistiche, l’arte deve uscire dall’ambito del ‘quadro’,
cercare nuove vie di comunicazione per coinvolgere totalmente l’individuo ed estetizzarne
la vita; essi creano ambienti artificiali che per-
mettono e valorizzano
una comunicazione sinestetica, creano un percorso ludico che coinvolge molteplici settori,
dall’arredo urbano all’abbigliamento, dalla pubblicità all’estetica del paesaggio, che concretizzano
nei complessi plastici
«motorumoristi» come
il Vestito trasformabile,
l’Edificio di stile rumorista trasformabile o il Paesaggio artificiale. Ma il
programma del manifesto può collaudare le soluzioni soprattutto nella
scenografia teatrale, a
Balla e Depero, per esempio, è data la possibilità
di trasferire le loro idee
al teatro, nel 1916, dall’impresario dei Ballets
Russes Sergej Djagilev.
L’aver liberato le arti dai
tradizionali confini settoriali innesca un crescente interesse verso le
arti applicate e la creazione, delle cosiddette
«ambientazioni», un filone di attività aperto da
Giacomo Balla, che indica tutte le trasformazioni di spazi interni realizzate con interventi pittorici, plastici ed effetti
di luce senza servirsi di
elementi costruttivi e,
all’inizio degli anni ’20
cominciano a proliferare
queste «architetture d’interni» anche con l’allestimento di vari locali
notturni sedi delle riunioni intellettuali romane.
L’autopromozione, e la
capacità di gestire tutti
i possibili mezzi di comunicazione di massa è
sicuramente un punto di
forza nell’opera dei futuristi, essi attribuiscono
un ruolo di primo piano
alle tecniche di comunicazione visiva e verbale,
arrivando a concepire la
pubblicità come forma
d’arte. L’interprete più
vivace di questa «arte
pubblicitaria» è, nella
seconda metà degli anni
’20, Fortunato Depero,
che in proposito dichiara
«… tutta l’arte dei secoli
scorsi è improntata a
scopo pubblicitario: esaltazione del guerresco, del
religioso; documentazione di fatti, cerimonie
e personaggi nelle loro
vittorie, nei loro simboli,
nei loro gradi di comando
e di splendore …». Depero genera una Architettura Pubblicitaria «adatta
per fiere, esposizioni,
chioschi» e «in perfetta
armonia con il contenuto
esposto» e realizza padiglioni pubblicitari dove
la forma architettonica
arriva a identificarsi col
prodotto reclamizzato,
architetture che diventano oggetti fuori scala.
L’esperienza di Sant’Elia
è affiancata per quel che
riguarda il tema della
città da Mario Chiattone
e, con un atteggiamento
che segue gli sviluppi all’interno del movimento
futurista, da Virgilio Marchi. Chiattone, anche se
non aderisce ufficialmente
al movimento, lo affianca
nell’elaborazione, sempre teorica, di una nuova
metropoli contemporanea. La sua città è un insieme di grattacieli a scala
gigantesca, anche se la
sua attenzione è rivolta
più sulla condensazione
urbana che sul dinamismo e si concentra maggiormente sulle tipologie dei singoli edifici
quali case di appartamenti, stazioni, cattedrali.
Virgilio Marchi si inserisce nel periodo successivo alla prima guerra,
egli diventa il nuovo teo-
Mario Chiattone: Costruzioni per una metropoli
moderna - Pisa, Dipartimento di Storia delle Arti
dell'Università
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rico del movimento su
cui i futuristi puntano
per confermare il proprio
peso sull’architettura italiana. Marchi porta avanti
le idee santeliane interpretate nella vena fantastica e ludica del più recente futurismo: gli stimoli sensoriali e l’aspetto
lusorio che trovano nella
città il loro spazio privilegiato. Le città di Marchi fanno riferimento al
circo, al luna-park, al toboga, sfruttando linee
oblique e curve si creano
strutture dinamiche, immaginarie che si riferiscono al tema della velocità, della stimolazione
sensoriale, dell’effetto
sorpresa.
La prima guerra mondiale può essere considerata come lo spartiacque
tra un primo e un secondo
periodo del Futurismo e,
nello specifico, dell’architettura futurista; l’elemento comune a entrambi i momenti è senz’altro l’utopia visionaria di una città nuova, capace di accompagnare la
vita moderna, per il raggiungimento della quale
sono chiamate in causa
tutte le arti, musica, pittura, letteratura che interpretano l’entusiasmo
di questa modernità attraverso suoni, colori, sorpresa.
Incessante è il lavoro del
fondatore Marinetti nella
ricerca di affermare la
forza del Futurismo rispetto ai movimenti
d’avanguardia italiani,
questo continuo sforzo
lo porta ad avvicinarsi
strategicamente a Mussolini e al Fascismo,
l’aspettativa è quella di
ottenere il riconoscimento
di ‘arte di stato’ dell’Italia fascista. Purtroppo
questo contatto segnerà
il futuro del movimento
che legandosi a quello
del partito ne seguirà,
nell’opinione pubblica,
anche le sorti. Le iniziative di questo secondo
periodo tendono tutte
alla ricerca dell’affermazione e all’autopromozione: proliferano le nuove
affiliazioni, a volte politicamente strategiche e
nascono i nuovi gruppi,
si susseguono polemiche
e tentativi di dialogo con
il Movimento Razionalista italiano e incessanti
sono gli sforzi di ridare
slancio all’architettura
futurista con numerose
iniziative editoriali, mostre autopromozionali e
rievocazioni santeliane.
La tendenza a considerare il movimento artistico come un’organizzazione di tipo partitico
porta ad una affannosa e
indiscriminata ricerca di
adesioni, riunendo personaggi che oltre a comuni, ma generiche affermazioni di principi
non riescono a esprimere
una unitaria linea di condotta aggiungendo, inevitabilmente, confusione
e incoerenza. Di conseguenza, nella prima metà
degli anni ’30, prende il
via un graduale disgregamento dovuto ai crescenti dissensi all’interno
del Futurismo, opera di
veri e propri gruppi organizzati sia di nuova costituzione come quello
di Firenze guidato da Antonio Marasco, sia derivanti da scissioni dal movimento come quello torinese di Fillia (Luigi Colombo).
Nonostante tutti i tentativi la città futurista
non trova committenza,
e non per mancanza di
approfondimenti tecnici,
ma perché le proposte
sono troppo innovative
per il periodo. La condanna ideologica per le
implicazioni col fascismo e la mancanza di realizzazioni concrete hanno
sminuito l’apporto dei
Futuristi, che in realtà
meritano un posto nella
storia dell’urbanistica
perché sono stati i primi
ad aver intuito la portata
delle trasformazioni tecniche e scientifiche, della
crescente industrializzazione e della conseguente
espansione urbana, essi
si sono resi conto dell’essenzialità del ruolo dei
trasporti e del movimento
nel contesto urbano. Oggi
i loro progetti ci sembrano profeticamente attuali, ma nei primi decenni del secolo scorso
potevano solo essere letti
come sogni e fantastiche
visioni utopiche conseguenti al desiderio di una
totale ricostruzione artificiale dell’universo.
francesca bardi
Virgilio Marchi: Edificio visto da un aeroplano
virante - Lugano, Collezione privata