Articolo: L`arte del coraggio

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Articolo: L`arte del coraggio
L’arte del coraggio
di Gregorio Di Leo*
Il Coraggio
L’ipotesi, testata empiricamente e sulla quale con
ISTUD stiamo sviluppando un’analisi più approfondita,
è che la crescente complessità abbia ridotto la
capacità degli individui e delle organizzazioni di agire
in maniera coraggiosa.
Sommersi da nuove e inaspettate sfide, cambiamenti
tecnologici e sociali, ristrutturazioni, chiusure,
outsourcing, offshoring, etc ci si aspetterebbe, almeno
per puro spirito di sopravvivenza, di vedere messi in
atto, tanto dagli individui quanto dai gruppi, incredibili
atti di coraggio.
Dall’osservatorio naturale in cui operiamo,
abbiamo potuto rilevare, proprio a causa dei motivi
sopraelencati, che molti individui e organizzazioni
sono ormai disabituati ad agire in maniera coraggiosa.
Sottoposti alle spinte contrastanti e ambivalenti
con cui la società liquida li spinge a confrontarsi, le
persone si sentono schiacciate e confuse, e l’inazione
vince sul coraggio.
Ho passato gli ultimi venti anni della mia vita
combattendo e calpestando i tatami di tutto il
mondo2 e ho avuto la possibilità di seguire da vicino
i combattenti più forti. In questi micro-universi con
le proprie logiche, spesso distoniche rispetto a
quelle “mainstream”, impari a conoscere il coraggio
e l’energia che genera e trasmette. Non solo, nel
tempo, impari anche a capire come costruire, nutrire
e rinforzare “comportamenti coraggiosi”.
Grazie alle conoscenze maturate in ambito
psicologico e accademico, consolidate con gli anni
di esperienza in ISTUD, che mi hanno visto nella
duplice veste di consulente organizzativo e agente
di cambiamento all’interno della Scuola stessa, sono
riuscito a razionalizzare quegli insegnamenti e a
distillarne una metodologia orientata ai risultati e
semplice da mettere in pratica.
Condividendo questo approccio nel corso di seminari
e attività tanto di coaching one-to-one quanto
di gruppo, ho osservato i piccoli ma significativi
cambiamenti, che il lavoro sul coraggio è in grado di
Anche il mondo del management, della consulenza
e della formazione manageriale molte volte segue le
logiche (spesso effimere) delle mode.
Il processo è un po’ sempre lo stesso: si individua un
problema aziendale o personale, si costruisce attorno
ad esso una soluzione “rivoluzionaria”, si confeziona
un modello e lo si promuove con nomi suggestivi, e
talvolta esoterici, in modo da incuriosire i clienti.
Questo articolo nasce dalla riflessione che i temi
che aziende ed individui si trovano ad affrontare
sostanzialmente non cambiano. Citando il grande
sociologo Zygmunt Bauman1, potremmo affermare,
non solo che le grandi questioni per le persone
e le aziende non cambiano ma che tanto più le
organizzazioni, e le società in generale, diventano
liquide tanto più i problemi di cui soffrono, affondano
le loro radici in dinamiche semplici. Tanto più i sistemi
diventano complessi, flessibili e liquidi, tanto più
quello che senza accorgerci ci lasciamo alle spalle
diventa la causa della nostra incapacità di affrontare
con successo il futuro.
La sfida per chi non vuole cavalcare le mode ma
contribuire a migliorare la vita di individui e aziende e
creare una cultura organizzativa in grado di innovare
continuamente, diventa piuttosto quella di trovare
delle soluzioni efficaci che siano contemporaneamente
percepite come attuali e rilevanti, guardando oltre le
dinamiche superficiali e passeggere delle tendenze.
Nel tempo mi sono convinto che la soluzione a molti
dei problemi che le organizzazioni e le persone si
trovano ad affrontare (innovazione, cambiamento,
coinvolgimento, apertura di nuovi mercati,
internazionalizzazione...) sia più semplice di quanto si
pensi, e che possa venire dal recupero di quella che
Aristotele chiamava la prima delle virtù: il coraggio.
1 Zygmunt Bauman è un sociologo e filosofo polacco. Noto come
uno dei più influenti pensatori al mondo, Bauman sviluppa il suo lavoro
di ricerca lungo le direttrici più cruciali per capire i cambiamenti della
nostra epoca, dalla sociologia alla teoria politica, dalla filosofia alla comunicazione, dall’etica all’economia. A lui si deve la folgorante definizione di
modernità liquida, di cui è uno dei più acuti osservatori e la cui concettualizzazione ha influenzato gli studi in tutti i campi delle scienze umane.
2 Il riferimento è alla mia attività sportiva agonistica di atleta di arti
marziali.
1
L’arte del coraggio
generare nei comportamenti individuali e collettivi.
Parlo di “piccoli ma significativi” cambiamenti, che
però hanno il potere di rinforzarsi gli uni con gli altri,
perché il coraggio non è soltanto l’atto eroico semmai
dettato dall’impulsività, ma è un abito mentale che
richiede impegno e capacità di pianificazione e può
avere inizio con l’affrontare le proprie idiosincrasie e
piccole paure, con l’imparare a muoversi fuori dalle
proprie zone di comfort allargando di volta in volta il
raggio della propria azione.
Gli individui e le organizzazioni possono mantenere
questo stato di tensione creativa che prende vita
nell’incertezza per lunghi periodi di tempo, ma
devono continuamente costruire le condizioni per
farlo.
Essere coraggiosi non è un atto una tantum, ma
un processo; e non a caso nella società liquida, che
predilige la quantità alla qualità, che sogna la stabilità
ma non concentra le sue energie su nulla, vedere
atti di coraggio è diventato così raro. Per agire con
coraggio bisogna essere dei costruttori instancabili.
Provate a salire su un ring, dentro una gabbia o su un
tatami senza avere costruito giorno per giorno e con
attenzione maniacale il vostro gioco!
Il mio assunto di base è che tutti siamo coraggiosi,
cioè tutti siamo in grado di agire fuori dalle nostre
zone di comfort accedendo a quell’area sconosciuta
in cui si colgono nuove opportunità e si crea nuovo
valore.Tutti possono recuperare questa virtù se sono
aiutati a lavorare in maniera sistemica sul contesto e
su alcune caratteristiche personali.
Il coraggio trae la forza dall’esempio, e il contesto
sociale, economico e culturale può rinforzare o
inibire gesti di coraggio individuale o collettivo.
Non ci muoviamo mai nel vuoto e il terreno su cui
seminiamo determina la qualità del nostro raccolto.
Per questa ragione alcune delle pagine di questo
articolo saranno dedicate alle condizioni organizzative
che supportano o inibiscono l’uscita dalle zone di
comfort e la gestione dei rischio.
Allo stesso tempo per agire fuori dalle proprie zone
di comfort bisogna sviluppare una serie di capacità
personali prima fra tutte quella di sperimentare,
gestire l’incertezza e conoscere se stessi. Capacità
che sono il presupposto fondamentale affinché le
possibilità di una cultura organizzativa centrata sul
coraggio possano essere colte dai singoli individui.
I presupposti di questa riflessione valgono sia per le
persone che lavorano all’interno delle organizzazioni
alle quali è richiesto di pensare out of the box, innovare
e mettere in atto continui processi di cambiamento,
sia per i singoli individui che, in un contesto sociale
ed economico incerto, desiderano essere attori del
proprio destino.
Per agire con coraggio è molto importante conoscere
il contesto (ma quanto tempo passiamo oramai ad
approfondire, invece di “surfare”?), e ovviamente
conoscere se stessi (ma quanto tempo impieghiamo
per allenare la nostra capacità di stare fuori dalle
nostre zone di comfort?), e infine bisogna agire
proattivamente, ovvero con capacità anticipatoria.
CINQUE TIPI DI CORAGGIO
Il modello che ho sviluppato in questi anni identifica
cinque tipi di coraggio e il suo intento è stato, da
subito, quello di ispirare le persone ad avere maggiore
consapevolezza di se stesse e del contesto, coglierne
i collegamenti tra gli elementi personali e quelli
organizzativi/sociali, suggerire alternative e compiere
azioni che producano risultati migliori.
I. Coraggio di provare
È il coraggio di muoversi nell’ignoto provando qualcosa
di nuovo, cercando nuovi spazi e opportunità agendo
proattivamente anziché reattivamente. É il tipo di
coraggio che richiede più capacità di gestire l’errore.
Questo tipo di coraggio si manifesta in alcuni
comportamenti quali:
• lanciare un nuovo progetto, un prodotto, o un
business
• presentare qualcosa di nuovo
• offrirsi volontari per cambiare ruolo o per un
progetto
• effettuare una riorganizzazione
• fare un cambio di vita
• mettersi in proprio/avviare la propria attività.
Agire in maniera coraggiosa significa entrare in
una zona grigia, in cui é necessario correre dei
rischi. Il problema è che il nostro cervello è stato
bioprogrammato per evitare il rischio e ricercare la
stabilità ma, nel mondo in continuo cambiamento in
cui viviamo, è proprio chi non è disposto a esplorare
nuovi spazi che rischia di più.
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L’arte del coraggio
Ogni tipologia di coraggio ha i suoi rischi connessi
(altrimenti non parleremmo di coraggio) che genera
resistenza all’agire. Per quanto riguarda il coraggio di
provare, il rischio è farci del male sbagliando, o ferire
chi ci è vicino.
a che fare con la paura di offendere gli altri o di non
essere accettati all’interno di un gruppo.
Come dice l’economista Albert O. Hirschman3 nella
relazione con il nostro gruppo abbiamo sempre
almeno tre scelte, parlare, uscire o essere fedeli.
Il coraggio di dire è spesso ostacolato dal nostro
bisogno di affiliazione e dal bisogno di compiacere gli
altri, apparire leali e degni di fiducia.
II. Coraggio di avere fiducia
Mentre il primo tipo di coraggio è di tipo “attivo”,
questo ha una componente “passiva”.
Il coraggio di avere fiducia, infatti, richiede la capacità di
mettersi nelle mani degli altri, accettando l’incertezza
che deriva dalla perdita di controllo.
IV. Coraggio di dare
Il coraggio di dare è quello di donare agli altri in
maniera incondizionata, senza pensare al ritorno che
possiamo ottenere dalle nostre azioni.
Questo tipo di coraggio è il cemento delle relazioni
ed è diametralmente opposto al comportamento
dei cosiddetti “matcher” - che danno solo quando
pianificano strategicamente un ritorno o dei “taker”
- che accentrano tutto su di loro prendendo e basta.
Questa tipologia di coraggio porta a mettere i propri
interessi in secondo piano rispetto a quelli degli altri
e, nella sua forma più alta, mira a creare circoli virtuosi
in cui le persone aiutandosi ottengono di più quanto
potrebbero fare se agissero individualmente.
Lo scopo del dare non è quello di ottenere in
maniera diretta da colui il quale si è dato ma creare
un ambiente in cui le persone, aiutandosi, ne escano
arricchite sia individualmente che come gruppo.
In questo tipo di coraggio rientrano alcuni
comportamenti quali:
• delegare a qualcuno un compito importante
• cedere una posizione di leadership
• assumere le buone intenzioni da parte delle
persone attorno a noi
• affidarci alle informazioni e alle esperienze di
qualcun altro.
Il rischio collegato al coraggio di avere fiducia non è
quello di fare male agli altri, ma che nel concedere
fiducia, gli altri ci facciano del male. Dando fiducia agli
altri offriamo il fianco e ci rendiamo vulnerabili.
III. Coraggio di dire
Il coraggio di dire è quello di fare sentire la nostra
voce per quanto la verità possa essere dura per gli
altri, e a volte anche per noi stessi. É il coraggio di
non mordersi la lingua quando crediamo fortemente
in qualcosa. Dire qualcosa per compiacere gli altri, o
parlare alle spalle degli altri, sono manifestazioni di un
basso grado di questa tipologia di coraggio.
Questo tipo di coraggio si manifesta in alcuni
comportamenti del tipo:
• aiutare qualcuno che non si conosce offrendo la
propria esperienza
• mettere a disposizione degli altri la propria rete di
contatti
• supportare gli altri su qualcosa che riteniamo
giusto, bello o importante ma che non sia
direttamente connesso con il nostro compito/
ambito d’azione.
Questo tipo di coraggio è messo in luce da alcuni
comportamenti come:
• sostenere le proprie ragioni quando si crede
davvero in qualcosa
• dire la verità ed esprimere il proprio pensiero
indipendentemente dal livello gerarchico o
sociale dell’interlocutore
• dare un feedback trasparente sia verso l’alto (il
proprio capo) che verso il basso.
3 Albert Otto Hirschman (1915-2012) è stato un economista tedesco
naturalizzato statunitense, autore di diversi libri di economia politica. Il
suo maggiore contributo si deve nell’area dell’Economia dello sviluppo. In
questo campo ha sviluppato la teoria della crescita squilibrata (unbalanced growth). Poiché i paesi in via di sviluppo mancano di capacità
decisionali, gli squilibri possono stimolarle e aiutare a smuovere risorse
che necessitano di incoraggiamento. Il suo lavoro successivo fu in Economia politica, dove avanzò due semplici, ma potenti, schemi intellettuali. Il
primo descrive le tre possibili risposte al declino: Exit, Voice, and Loyalty
(titolo originale del libro “Lealtà, Defezione e Protesta”). Il secondo descrive gli argomenti di base dei conservatori: perversità, futilità e pericolo,
in The Rhetoric of Reaction.
Il rischio connesso a questo tipo di coraggio ha spesso
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L’arte del coraggio
Il rischio percepito nel dare è quello di perdere
qualcosa di proprio e impoverirsi. Come dice Adam
Grant, giovane professore alla Wharton Business
School, il coraggio di dare vede il rapporto tra le
persone e le reti sociali in maniera radicalmente
diversa dai taker e matcher poiché vede nelle
connessioni, nelle relazioni, negli scambi un veicolo di
creazione di valore per tutti e non solo per se stessi.
Il dono è un modo per creare e scambiare valore in
maniera allargata, non è un semplice atto di scambio.
Il rischio collegato è quello di portare sulle spalle un
peso che nel corso del tempo perda di rilevanza,
oppure di rimanere soli nell’assunzione della propria
responsabilità.
Meta competenze del coraggio
Tutti siamo coraggiosi ma ognuno di noi ha la sua
forma preferita di coraggio poiché possiede una
storia ed è una persona diversa: c’è chi con più
facilità è disposto a rischiare affrontando le possibili
conseguenze dello sperimentare qualcosa di nuovo,
e altri per cui dare o riporre fiducia risulta naturale.
V. Coraggio di assumersi la
responsabilità
Il coraggio di assumersi la responsabilità è quello
di sapere portare dei pesi sulle spalle, significa
rispondere personalmente delle conseguenze delle
proprie azioni, fare delle scelte consapevoli e non
lasciarsi trascinare dagli eventi. Questo tipo di coraggio
richiede forza, fiducia e centratura personale.
Mettere in atto comportamenti coraggiosi nelle aree
in cui siamo meno forti o incrementare la nostra
disposizione al rischio in una certa area è possibile se
sappiamo dove guardare.
Come possiamo mettere in atto sempre più spesso
comportamenti coraggiosi?
La riflessione alla base delle mie esperienze di
formatore, executive coach e allenatore di atleti a
livello internazionale, mi ha permesso di identificare
delle meta competenze chiave, che fungono da
attivatori per tutti i tipi di coraggio.
Perché in un mondo in continuo cambiamento le
persone dovrebbero mai assumersi la responsabilità
per qualcosa che domani è possibile sia scomparsa o
sulla quale sentono di non avere il controllo?
Il coraggio di assumersi la responsabilità affonda le
sue radici nel desiderio di incidere in maniera positiva
nel mondo e nella consapevolezza che il proprio
contributo possa fare la differenza.
Allenarsi a migliorare queste competenze, significa
allenarsi a migliorare le proprie capacità di giocare
fuori dalle zone di comfort. Le meta competenze
permettono di agire con maggiore sicurezza e ridurre
i rischi connessi all’incertezza, creando le condizioni
basilari per mettere in pratica i tipi di coraggio prima
elencati.
L’ultimo tipo di coraggio implica la capacità di
accettare compiti difficili e non solo quelli di rilievo
o con maggiori possibilità di successo, e di fare leva
sulla propria auto-motivazione per portare a termine
il progetto, nonostante il peso nel corso del tempo
possa apparire insostenibile.
Consapevolezza: conoscere se stessi significa
comprendere prima di tutto quali sono le nostre
zone di comfort, come ci sentiamo quando agiamo al
di fuori di esse e quali sono le nostre reazioni istintive
che sotto stress aiutano o inibiscono il portare a
termine con successo le nostre azioni.
Ognuno di noi ha i suoi punti di forza, aree che lo
contraddistinguono in maniera autentica; c’è chi è
determinato, chi è paziente, chi impulsivo... Quando
ci troviamo fuori dalle nostre zone di comfort le
nostre qualità autentiche, così come definite dallo
Questo tipo di coraggio si osserva in alcuni tipi di
comportamenti come:
• prendere in carico un progetto rifiutato da altri
• portare a termine un progetto anche quando
non espressamente richiesto o l’entusiasmo
iniziale è scomparso
• farsi avanti per ruoli di leadership
• prendere in carico compiti gravosi
• sapere ammettere le proprie colpe
• pagare per le conseguenze delle proprie azioni.
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L’arte del coraggio
studioso olandese Daniel Ofman4, rischiano di essere
estremizzate.
L’impulsivo agisce con ancora più fretta, il paziente
non agisce, e il determinato va per la sua strada senza
curarsi del contesto. Queste sono trappole.
Conoscere la propria trappola, ovvero quell’area in
cui rischiamo di farci auto-gol da soli è fondamentale.
Ritengo che molte persone non agiscano in maniera
coraggiosa perché non si sentono in grado di gestire
le proprie trappole. In sostanza è come dire che il
primo vero nemico del coraggio siamo noi stessi,
quando non abbiamo fiducia nella capacità di gestire
le nostre reazioni naturali sotto stress.
Per affrontare la nostra trappola dobbiamo avere
chiaro qual è la nostra sfida personale.
L’impulsivo, la cui trappola è la fretta, riconoscerà
nella pazienza la sua sfida, mentre il paziente, la cui
trappola è l’inazione, la riconoscerà nella proattività.
Per essere realmente coraggiosi bisogna conoscere
le nostre qualità autentiche, le trappole e le sfide, e
sviluppare il necessario controllo per deviare il corso
delle nostre reazioni istintive.
Tutti abbiamo delle reazioni istintive ma a volte esse
possono essere il nostro peggiore nemico.
Chi agisce con coraggio ha allo stesso modo le sue
trappole, la differenza consiste piuttosto nella sua
capacità di riconoscerle, e cercare di mettere in atto
delle strategie affinché non entrino in gioco proprio
nel momento in cui è necessario utilizzare a pieno
tutte le risorse personali, in altre parole quando si
trova fuori dalle proprie zone sicure.
dalla capacità di sperimentare il nuovo.
Immaginiamo per un attimo la nostra attenzione
come un faro rivolto verso un angolo di una stanza
buia.
La luce illumina solo una parte della stanza. Della
parte illuminata conosciamo in pratica ogni cosa;
dove si trovano gli oggetti, come utilizzarli, quanto
sono grandi e che colori hanno. Quella è la nostra
zona di comfort.
Il problema è che spesso non sappiamo nulla della
parte in ombra: non conosciamo cosa contiene,
non sappiamo quanto è grande e se ci siano delle
porte che potrebbero farci accedere ad altre stanze.
Per osservare questa parte di stanza dobbiamo
consapevolmente spostare la luce.
La parte in ombra è ciò che sta fuori dalla nostra
zona di comfort. E’ quell’area che non conosciamo e
in cui abbandoniamo le nostre sicurezze.
Spostare la luce verso la parte in ombra ci permette
di conoscere meglio il mondo che ci circonda
e ampliare la nostra visione. Non solo, quando
riportiamo l’attenzione nell’angolo preferito abbiamo
la possibilità di notare dei nuovi particolari che
l’abitudine ci aveva nascosto.
Auto-sperimentare significa allenarsi continuamente
ad agire fuori delle zone conosciute mettendo in atto
delle azioni di sperimentazione “reversibile”, cioè
degli esperimenti dai quali è possibile tornare indietro
e in cui la percentuale di rischio è ridotta. Prima di
cambiare ruolo o addirittura lavoro, per esempio, è
consigliabile fare una prova (ad esempio offrirsi per
guidare un progetto), o cominciare ad agire “come
se” quel cambiamento fosse già avvenuto.
Molti non agiscono in maniera coraggiosa perché
sono spaventati dal fare un salto nel buio ma in realtà
una buona capacità di auto-sperimentazione fornisce
da sé le informazioni necessarie e l’energia per fare
il salto.
Auto-sperimentazione: per muoversi in
territori sconosciuti è richiesta la passione per
l’ignoto. L’auto-sperimentazione è la capacità di porsi
volontariamente all’interno di esperienze nuove con
l’obiettivo di conoscere qualcosa in più su noi stessi e
il mondo che ci circonda. Il coraggio trae nutrimento
Auto-motivazione
e
pensiero
indipendente: navigare fuori dalle proprie zone
di comfort non è piacevole e richiede una buona di
capacità di gestire il disagio. Nessuno meglio di te
stesso può motivarti a trovare un senso a quello che
stai facendo.
La capacità di auto-motivazione consiste nel collegare
le nostre azioni a quello che per noi realmente
conta. La maggior parte di noi non sono né soldati
4 Daniel Ofman, consulente olandese, è tra i primi ad aver focalizzato
i suoi studi sull’analisi dei processi di sviluppo delle organizzazioni
sulla centralità e l’importanza dei valori. L’approccio ideato da Ofman
rappresenta un utile strumento per la creazione e la conduzione di
team di lavoro, per aumentare la propria consapevolezza, affrontare
con una nuova prospettiva, e valorizzare, anche le relazioni più critiche.
Attraverso il “Quadrante delle qualità autentiche”, l’innovativo schema
concettuale proposto dall’autore, l’individuo ha la possibilità di vedere
come i suoi comportamenti ed i suoi stili relazionali rimandino a
caratteristiche latenti o manifeste della propria personalità, a qualità
autentiche che formano l’essenza di ogni persona. Si tratta di qualità che
influenzano in qualsiasi situazione i rapporti tra le persone, che rendono
più o meno funzionali le relazioni con colleghi, capi o collaboratori.
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L’arte del coraggio
né guerrieri, collegare quindi le nostre azioni
coraggiose a ciò che realmente ci interessa è una
delle condizioni essenziali affinché possiamo mettere
in atto comportamenti coraggiosi.
Nelle organizzazioni, infatti, perché mai le persone
dovrebbero mettere in atto comportamenti
coraggiosi? Perché dovrebbero essere disposte a
sostenere una certa dose di disagio quando non
hanno punti di riferimento, le relazioni sono fluide,
e la complessità crescente rende difficile trovare un
senso alle proprie azioni?
Cambiare il business ma mantenere i sistemi
incentivanti, portare avanti progetti pensati per
gruppi composti da un certo numero di persone ma
a ranghi ridotti, ingaggiare le persone su una visione
che dopodomani potrebbe cambiare, sono solo
alcune delle polarità inconciliabili con cui le persone
si confrontano all’interno delle organizzazioni.
Lo stesso può avvenire nella vita extra-lavorativa. Per
cosa davvero vale la pena di sacrificare il proprio
benessere se tanto tutto è così volubile?
Nella società liquida siamo sempre più vulnerabili, i
legami sono più deboli e le relazioni con gli oggetti
puro atto di consumo; viviamo nell’epoca delle
“passioni tristi” come direbbe Spinoza.
Auto-motivarsi significa coltivare il proprio pensiero
indipendente, farsi una propria idea della realtà
complessa in cui viviamo, scegliere su quali basi
costruire e agire di conseguenza in maniera coerente
nel tempo. Nell’attuale contesto paga di più essere
tenaci che intelligenti.
L’atto di coraggio è in fin dei conti un atto di autodeterminazione.
che il sacrificio, per sua stessa natura, comporta.
Il coraggio trae forza dai nostri sogni e dai nostri
desideri, da quanto di bello potremmo realizzare sia
a livello individuale che collettivo.
Le fondamenta del coraggio
nelle organizzazioni
All’interno dei gruppi ho spesso sentito dire dai leader
che vorrebbero le proprie persone più coraggiose,
proattive e ricche di spirito d’iniziativa.
Questi stessi leader dovrebbero sapere che prima di
parlare di coraggio dovrebbero chiedere a se stessi
se nel loro ambiente:
•
Esistono dei modelli di riferimento
e loro stessi in quanto leader del
gruppo agiscono in maniera coraggiosa?
Non si può chiedere alle persone di agire in un
certo modo e poi aspettare che siano gli altri a dare
l’esempio. Chi chiede comportamenti coraggiosi
deve mostrare comportamenti coraggiosi.
•
Sono presenti reti di sicurezza: le persone hanno
la possibilità di sbagliare, sono solo premiati i risultati
o sono premiati anche i comportamenti coraggiosi?
Le persone sono disposte a rischiare nel
grado in cui sentono di potere gestire le
conseguenze negative delle proprie azioni.
Se i gruppi, le organizzazioni o i sistemi sociali,
non supportano e premiano i comportamenti
coraggiosi (e di conseguenza accettano anche
la possibilità di errore), ma solo i risultati, è
difficile che qualcuno si assuma dei rischi.
La domanda è piuttosto come riconoscere
questi comportamenti così da poterli premiare.
Una persona all’interno dell’organizzazione si sta
comportando in maniera coraggiosa se si assume
delle responsabilità che altri non vogliono, cerca
di risolvere dei problemi fino a quel momento
ritenuti impossibili, prova a fare qualcosa di nuovo,
aiuta gli altri senza che nessuno glielo abbia chiesto.
Premiare i comportamenti coraggiosi è una
delle condizioni organizzative fondamentali
affinché gli individui siano maggiormente
predisposti ad assumersi rischi. Fare ciò richiede
un vero e proprio cambio di paradigma in molte
Immagine positiva: coltivare infine l’immagine
positiva di un futuro possibile e rimanere concentrati
su di essa, nonostante il disagio temporaneo, è
l’ultima delle meta competenze chiave necessarie a
mettere in atto comportamenti coraggiosi.
La possibilità di costruire un’immagine positiva non
è però una cosa automatica, nasce dalla capacità di
trovare delle connessioni in un mondo altamente
caotico.
Costruire un’immagine positiva è la capacità di unire i
puntini -come direbbe Steve Jobs- e creare un senso
positivo e un futuro possibile legato al nostro agire.
È nel momento in cui si ha un’immagine positiva che
possiamo agire con coerenza e resistere alle difficoltà
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L’arte del coraggio
organizzazioni poiché significa spostare il focus
dal risultato al processo, adottando una visione
di medio-lungo termine piuttosto che reagire
alle richieste dell’ambiente in maniera passiva nel
breve periodo.
•
•
I leader devono inoltre assumere un ruolo
compensatorio: quando le persone sono
nelle loro zone di comfort devono creare le
condizioni affinché ne escano e possano quindi
trovarsi in zone in cui è possibile creare valore;
quando le persone sono fuori dalle loro zone di
comfort, devono fare in maniera che si sentano
protetti e che non stiano per troppo tempo in
un’area in cui potrebbero, nel lungo periodo,
perdere fiducia in se stesse o andare in burn out.
Il leader é un coach che deve avere sviluppato
egli stesso il proprio coraggio per capire che
cosa significhi agire nello sconosciuto e tutte le
difficoltà che questo comporta anche per gli altri.
Le persone sono supportate nell’incremento
delle loro capacità necessarie a risolvere i
problemi? Hanno le informazioni necessarie
a svolgere quello che gli è chiesto di fare?
Hanno la possibilità di ricevere del mentoring?
Possono ricercare il sostegno da altri colleghi?
Parte della capacità di agire nell’ignoto
consiste nel sapere di cosa non avere paura.
L’organizzazione offre gli strumenti adeguati alle
persone per ridurre la complessità e li supporta
fornendogli gli strumenti per agire con successo?
A volte mi sembra che le organizzazioni vogliano
andare in montagna senza fornire scarponi,
piccozza e ramponi alle proprie persone.
Questo non vuole dire che i più impavidi non se
li portino da casa o li affittino, ma organizzare una
spedizione è tutta un’altra storia.
In queste pagine ho provato a descrivere che cosa sia
per me il coraggio e come in ISTUD supportiamo il
fiorire di ambienti forti e pronti ad affrontare il rischio.
Allo stesso tempo, c’è una cosa molto importante di
cui non ho parlato: la paura.
Provare, concedere fiducia, dire, dare e assumersi la
responsabilità può fare paura.
Aristotele diceva che il coraggio è la prima delle virtù
perché rende possibili tutte le altre. Avere coraggio
non significa non avere paura, ma utilizzare l’energia
che proviene dalla paura, avendo la consapevolezza
che qualcosa di più bello e importante della paura
esiste.
Vi auguro di agire con coraggio, perché oggi come
non mai il mondo ha bisogno di gente coraggiosa.
E’ in quello spazio incerto che nuove opportunità e
nuovo valore sono generati, ed è proprio grazie ai
nostri gesti di coraggio che diamo forma al nostro
destino e costruiamo il nostro futuro.
D’altronde siamo sempre stati coraggiosi, forse
semplicemente a volte dobbiamo ricordarcelo.
I leader sono in grado di modulare l’entrata e
l’uscita dalle zone di comfort delle loro persone:
i leader sanno creare obiettivi sfidanti e ancorarli
ai desideri, alle ambizioni e ai valori delle loro
persone? I leader conoscono le loro persone?
Per potere davvero spingere le persone ad
agire con coraggio i leader devono essere
in grado di creare un nesso tra gli obiettivi
dell’organizzazione e quelli dei singoli individui, ma
non solo, creare senso e costruire opportunità
di sovrapposizione tra gli uni e gli altri.
* Gregorio Di Leo: Psicologo esperto di Leadership, sviluppo personale, e 4 volte
Campione del Mondo di Kick Boxing suddivide la propria attività lavorativa tra
la direzione della Faculty della Fondazione Istud, la consulenza organizzativa,
l’executive coaching e l’insegnamento di una innovativa metodologia di
allenamento per le arti marziali da lui stesso creata (Intensive Point Fight
Training) oggi presente in più di 20 paesi. Nel corso della sua carriera ha
condotto seminari in Italia, Norvegia, Grecia, Inghilterra, Belgio, Germania, Korea,
Cile, Brasile, Canada, USA... Gregorio ha seguito diverse specializzazioni sul
tema della organizational leadership, della strategia, dello sviluppo personale
e dell’allenamento mentale negli Stati Uniti presso la Boston University e la
Wharton Business School. Oggi aiuta le aziende e le persone a creare ambienti
più coraggiosi attraverso attività di consulenza e formazione.
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