numero 12 - Finzioni Magazine

Transcript

numero 12 - Finzioni Magazine
n.12
Sommario
Recensione/1
Istruzioni per leggere un libro
Lettura Documentale
Inattuale
Recensione/2
La redazione di Finzioni
4
5
6
7
9
10
Recensione/3
I timidi e i prolissi
Ernestvirgola sulla lettura
Lettore-scrittore
5 regole per salvare la rivista
Recensione/4
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15
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19
21
Editoriale
L
a lettura creativa è un simpatico giochino di parole che sfrutta l’ormai abusato epiteto solitamente
abbinato alla scrittura. Ma la lettura creativa è anche
un modo di intendere la letteratura e, di più, la sua fruizione. Su Finzioni non ci scrivono dei professionisti ma,
anche se fosse, non si porrebbero come tali: prima di essere giornalisti, studenti/studiosi, uomini di cultura o semplici cazzoni siamo lettori, come tutti. Gente che si legge
dei gran libri perché sono belli, fanno trascorrere piacevolmente il tempo, fanno venire delle belle idee, cose così.
giusto per dirne due.
Allo stesso modo un giovane o meno giovane scrittore
intellettuale teorico italianista filologo acculturato professore freelance faticherà a farsi due risate con le finte
recensioni di Alessandro Romeo di RivistaInutile e sarà
restio a prendere consapevolezza del validissimo vademecum di Teflon, giusto per citare due ospiti di questo
numero.
Insomma, ognuno scrive per chi è come lui (o quasi) e
noi di Finzioni lo facciamo da ormai dodici numeri; ma
ci sono tante altre persone, tanti progetti più vecchi o più
giovani di noi che portano avanti la nostra stessa missione. Questo è un numero collettivo in cui festeggiamo il
nostro compleanno insieme a loro.
La lettura è creativa quando si ribalta la gerarchia secondo la quale i libri, e tramite loro gli scrittori/angarioni, parlano e i lettori stanno zitti; è un movimento contro
la passività “storica” del lettore che, invece, vuole dire
la sua. Si appropria del libro e, letteralmente, gli fa dire
quello che vuole.
Le riviste di letteratura italiane, ci sembra, si dividono abbastanza nettamente in due frange: quelle scritte
da scrittori e quelle scritte da lettori, e ognuna delle due
fazioni si rivolge essenzialmente al proprio pubblico. Chi
legge quattro libri al mese per divertimento, chi si fa prima due risate con Wodehouse e poi due coglioni così con
Baricco, chi si inquieta con Hoffman e si sorprende con
Roald Dahl e ha brama continua di nuove idee, difficilmente si avventurerà tra le diecimila battute e passa di
Carmilla o nel crescente ermetismo di Nazione Indiana,
Prima di iniziare ringraziamo allora chi ci ha fatto
questo regalo e ha contribuito a creare il primo White
Album dei lettori italiani: Rivista Inutile, Teflon, MilanoRomaTrani, Follelfo, La luna di traverso, Colla, Ernestvirgola.
La Redazione
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3
Recensione/1
Montan Kapanesku, Ü
di Simonetta Tolgolàbito
N
el
gigantesco
mercato
all’aperto di Masaak Ljeni
non esiste il danaro: l’unica moneta è la parola. I cittadini di Masaak
Ljeni raccontano storie e più le loro
storie sono belle più valore commerciale possiedono. Una storia
può valere un tappeto, un pane ai
cereali, uno stivale in cuoio.
vo genere letterario, in cui la parola descrive il gesto che descrive un
parola, in un cortocircuito narrativo senza precedenti: una strepitosa
coreografia descrittiva alla fine della quale scopriamo che tutte le storie hanno un segreto. Mati, asciugandosi le lacrime con le stoffe del
suo negozio, chiederà: “Ma dimmi,
Dopo poche - bellissime - pagine incontriamo la storia di Vladi
Leitonanz, un viaggiatore solitario
collezionista di bussole caduto in
disgrazia per un amore non corrisposto da parte di un transessuale
di nome Stuppenda. Il racconto
commuove Mati, commerciante di
stoffe, che gli regala delle scarpe in
lana cotta. Saranno queste scarpe il
fil rouge di tutto il romanzo. Il viaggio di Vladi Leitonanz non ci viene
raccontato in maniera diretta, ma
lo scopriamo passo dopo passo,
parola dopo parola, dai racconti
che gli altri settantacinque personaggi spargeranno tra i profumi
e i colori del mercato di Masaak
Ljeni. Un giorno, alla bancarella di
Mati, arriva uno straniero avvolto
in un mantello di lana scozzese.
Lo straniero non si presenta, dice
solo: Ü. Presto capiamo che si tratta
dell’unica parola che è in grado di
dire, eppure anche lui deve raccontarci qualcosa di Leitonanz. E’ la
svolta del libro. Il genio di Kapanescu sta nel riuscire a raccontarci la
tragica storia d’amore tra Leitonanz
e la principessa Ballandi descrivendo la sontuosa e onirica gestualità
dello straniero. Per centodiciotto
pagine Kapanescu inventa un nuo-
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straniero, l’amore non è alla fine un
segreto esso stesso?” e lo straniero
dice semplicemente: “Ü”.
Kapanescu (1876-1952) ci ha lasciato un baule pieno di manoscritti mai pubblicati prima di morire in
un incidente aereo. Le quasi novecento pagine di questo romanzo ci
parlano per la prima volta (in Italia)
di lui e del suo straordinario mondo
letterario. A novembre, sempre per
Adepti, uscirà la raccolta di poesie
(unica sua opera pubblicata in vita)
Bestia da rovina.
Queste recensioni sono ovviamente finte e l'autore è Alessandro Romeo, co-fondatore insieme ad amici
di rivistainutile.it. Le puoi trovare
anche qui: maciste.tumblr.com.
Istruzioni per leggere
un libro
di ENRICO Mazzardi / TEFLON
http://teflonrivista.wordpress.com/
S
i inizi col ben disporre animo
e corpo ad una attività di impegno fisico pressoché nullo, collocando una poltrona confortevole
perpendicolarmente a una fonte
luminosa. Sarà opportuno fare un
respiro profondo alzando le braccia
fino al più alto scaffale della libreria e lasciare scegliere un libro ai
polpastrelli, oppure sottrarre alla
polvere del comodino il volume che
usualmente usate per addormentarvi.
Avvisate le persone che frequentano la vostra casa del vostro nuovo
impegno, possibilmente tramite vie
non verbali: in caso di rumori molesti che minaccino la vostra attenzione, potrebbe bastare un colpetto
di tosse ben assestato per richiamare il silenzio perduto.
Le gambe dovranno essere gradevolmente accavallate, sovrapposte a formare una X; la mano
sinistra reggerà il libro, mentre la
destra farà la spola tra la fronte e
le pagine: indicativamente questa
mano compirà il viaggio che la porta a girare le pagine una volta ogni
quattro o cinque minuti, quindi
regolatevi di conseguenza, ché se le
girerete troppo spesso insospettirete chi vi guarda.
Dopo esservi persi in queste procedure, assumete un volto assorto e
lievemente accigliato, corrugate un
poco la fronte senza perdere l’equilibrio ambiguo dell’espressione:
così otterrete il volto del vero letto-
re, interessato alla propria attività e
impegnato nello sforzo di cogliere il
significato profondo del testo. Una
volta trovata la giusta espressione,
tutti penseranno di trovarsi di fronte al più temibile degli esperti in
fatto di lettura.
Solo ora siete pronti per leggere
veramente, quindi, mantenendo
le regole di postura sopraelencate,
iniziate a scorrere con lo sguardo le
righe cominciando da quella in alto
a sinistra, percorrendo le file di lettere da sinistra verso destra. Se riuscite in tutto questo a trarre addirittura un senso dalle righe che state
osservando con espressione tanto
rapita, potrete lasciarvi andare ad
un lieve sorriso, di quelli appena
accennati, badando a non mostrare
però i denti. Se qualcuno vi vedesse
sorridere, in quel momento, vi invidierà molto.
Non tutti i libri sono interessanti, così come non tutte le attività lo
sono. La lettura non fa eccezione:
sorgerà spontanea, dopo venti minuti di pratica, la tentazione di saltare qualche riga. Non spaventatevi
al presentarsi di questo pensiero,
fingete di leggere come al solito, fate
scorrere lo sguardo costante lungo
le righe; a un tratto, se non sentite
nessuno nella stanza che possa cogliere quanto state meditando di
fare, saltate una riga. Per riuscirvi,
vi basterà rientrare con lo sguardo
alla riga sottostante rispetto a quella che sarebbe stata la naturale destinazione. Nello sciagurato caso in
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cui voi steste comprendendo il contenuto delle frasi, non spaventatevi
qualora la frase nuova vi sembrasse
lievemente incoerente e fuori luogo: considerate piuttosto il fatto che
l’autore non aveva previsto la vostra
trovata di saltare una riga. Per sentirvi meno colpevoli, sappiate che
certi lettori professionisti riescono
a saltare addirittura pagine intere,
ma prima di riuscire nell’impresa
bisogna far pratica saltando gruppi
di poche righe.
Se la lettura sarà concentrata in
un periodo prossimo all’orario di
cena, probabilmente qualcuno interromperà con insistenza il vostro
lavoro intellettual-posturale per
chiedervi ragguagli sul cibo. Questo è un momento delicato per voi
lettori: dovrete infatti fare sfoggio
della recitazione di tutto il vostro
corpo. Mano destra e gomito alzati, indice eretto, sopracciglia più
aggrottate che mai, e mormorio
di qualche parola sottomessa (per
comodità, lasciatevi suggerire le
parole dalle righe che avete sott’occhio). Il malcapitato penserà quindi
di avervi disturbato, si scuserà e si
defilerà per almeno una decina di
minuti. Avrete così conquistato un
po’ di pace, avrete creato un’illusione, e il vostro corpo sarà coronato
dall’aura del Vero Lettore Professionista.
Lettura Documentale
è questione di adattamento
di SALVATORE PIOMBINO / MILANOROMATRANI
http://milanoromatrani.wordpress.com/
U
na delle principali necessità avvertite negli ultimi
due decenni in ambito storicoletterario è stata quella di definire
e aggiornare canoni e caratteristiche della scrittura e della lettura,
soprattutto in relazione al web e a
quelli che conosciamo come i suoi
«strumenti 2.0». Ci hanno provato
i Wu Ming in merito al canone letterario con il loro saggio-feticcio
New Italian Epic ma è stato il filosofo sans papier Maurizio Ferraris a
centrare l'obbiettivo con il suo lavoro sull'ontologia dell'oggetto/documento nell'era digitale: Documentalità. Perché è necessario lasciar
tracce (Laterza, 2009) si tratta di un
vero e proprio strumento-chiave
pronto a estinguere il bisogno di
ordine e definizione avvertito in diversi ambiti di interesse.
La concezione dell'oggetto sociale elaborata da Ferraris apre a nuove riflessioni in merito alla lettura
come atto di potere lontano dalla
concezione semplicista e bidimensionale a cui si è erroneamente
tornati negli ultimi anni. Secondo
la riflessione di Maurizio Ferraris l'oggetto sociale si pone a metà
strada fra la materialità dell'oggetto
fisico (come un tavolo o un lago) e
l’immaterialità dell'oggetto irreale (come i numeri, le relazioni o i
teoremi) diventando il simbolo del
sovraccarico di tracce di cui andiamo lamentando la presenza. In
un contesto sociale caratterizzato
dalla insostenibile presenza di documenti di varia natura - scriveva-
mo qualche tempo fa su MilanoRomaTrani di racconti, ipertesti, post,
status, note, tweets – quali connotati assume l'atto della lettura?
Oggi siamo tutti in grado di placare il desiderio preponderante e
secolare di «lasciare tracce» grazie
a internet ma guai a vedere in questa immediatezza e estrema accessibilità un'aberrazione o un imbarbarimento della scrittura. Occorre
che il lettore prenda coscienza della
registrazione (uno dei cardini principali della documentalità) come
atto naturale e si allontani quanto
più possibile dalla spaventevole
visione orwelliana di un grande occhio che tutti ci osserva e giudica.
La lettura cosciente delle proprie
potenzialità democratiche viene ad
essere la soluzione primaria al problema. Non paura di affrontare il
mare magnum di testi ma entusiasmo e dinamismo nell'utilizzo delle infinite potenzialità della lettura
documentale. Oggi il lettore è chiamato ad accettare la sfida interpretativa con più testi - potenzialmente
tendenti all'infinito – e a sviluppare
capacità
creative
che lo pongono al
centro di una rete
di stimoli con i quali
costruire la propria
formazione e la propria opinione. Occorre abbandonare
le inutili etichette
di lettore frettoloso
e trascurato per ab-
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bracciare una definizione che sia
quindi dinamica, cosciente e attiva:
i testi vengono "decostruiti" (Derrida il primo a usare questa definizione) non per smontarne la struttura
e mostrarne la funzione (o disfunzione) bensì per ricrearne di nuovi
e compositi. Aggregati temporanei
dalla grande carica immaginifica
e dalle potenzialità praticamente
infinite.
Venendo a mancare una visione
statica del testo qualcuno potrebbe gridare alla perdita del fine ultimo della lettura, all'impossibilità
di completare l'atto finalizzato al
raggiungimento di una qualche
"altissima" verità. La straordinaria
attualità di un approccio dinamico alla lettura sta proprio nel fatto
di non avere bisogno di raggiungere verità alcuna («non c'è catarsi»
scrive Bret Easton Ellis nel delirante finale di American Psycho) quanto piuttosto di un entusiastico (e segretamente escapistico) desiderio
di stare al gioco del continuo scambio di ruoli: da lettore ad autore, da
audience a voce sola e ancora...
Inattuale
Look up! look up! O citizen of London
di Gianluca Senis / FOLLELFO
http://follelfo.wordpress.com/
“L
a ragione dell’irragionevolezza che si fa alla mia
ragione, in tal modo debilita la mia
ragione che a ragione mi lagno della vostra bellezza”; così immersa in
mirabolante cantilena linguistica
veniva Sofia attraversando il corridoio giallastro per giungere allo
studio del padre.
Il consiglio le era stato dato da
un’amica, che se hai come un tozzo in gola col cuore che ti sbatte lì
sotto, te dici quella frase e intanto
ci pensi e vedi come ti passa tutto
o almeno un po’. Si era preparata
da diverso tempo attraverso studi
meticolosi, sopralluoghi furtivi,
mappe topografiche e concettuali,
esercizi di memoria visiva e studio
delle superfici; e quella sera la libreria, appoggiata alla parete frontale rispetto all’entrata dello studio
nascondeva per lei ormai un unico
affascinante segreto.
Un massiccio scheletro di quercia scura variamente decorata
s’arrampicava al muro seguendo
le ispirazioni di una razionalità
sensualmente illusoria; il padre le
raccontò di aver trascorso più di
quarantanove tra giorni e notti nel
tentativo di riordinare tutti i volumi in suo possesso secondo la più
autentica delle perfezioni possibili,
ragionando circa categorie generiche e stilistiche, di spazio tempo
travalicando dalla sociologia alla
psicologia fino alle ricerche applicate del cromatismo; ed infine dopo
tali profondi sforzi immaginifici
contattò un artigiano del luogo con
la cui collaborazione diede forma
ad una struttura talmente bizzarra
ed articolata da sembrare la stessa
creazione di Dedalo posta a cornice dell’immensa mole libresca.
Sofia la osservava giornalmente,
ed aveva imparato dapprima nomi
e titoli di molti volumi di cultura e
tempi dei più disparati, affascinata
dai raggi di luce che attraversando
la sola ampia finestra dello studio
ricadevano con lucentezza plumbea e spettrale su quell’ammasso
organizzato che si ergeva immobile. Tuttavia, nel suo costante studio
maniacale alla ricerca di una logica sottesa, il morbo della curiosità
aveva iniziato a consumarla; in
cima alla libreria era situata infatti
una sezione che sembrava differire
sostanzialmente dalla tramatura che caratterizzava il resto della
scaffalatura, un ripiano non internamente suddiviso in cui era comunque possibile intravedere dei
libri; tuttavia essi risultavano non
riconoscibili, poiché una lista di
legno di alcuni centimetri copriva
quasi interamente lo spazio tra la
mensola d’ appoggio e la parte superiore della libreria.
Come facilmente immaginabile,
Sofia spostò presto la sua attenzione dalle opere facilmente osservabili, cominciando a coltivare un
indiscreto interesse per quanto poteva essere posto nella parte più nascosta della libreria, e conseguentemente la ragion stessa di quella
zona occulta. Fu perciò naturale
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cominciare a riflettere circa il modo
migliore di svelarsi tale segreto, e
risolto che né la piccola scaletta appoggiata nell’angolo sinistro della
stanza, né l’aiuto di alcuna sedia o
altro oggetto potevano sollevarla
così tanto da poterla portare alla
cima, non trovò altra soluzione che
tentare una difficoltosa scalata tra
le fratture dell’ imponente mobile a
scaffali. Ecco quindi che i suoi esercizi di osservazione e memorizzazione assunsero nuovo valore, nel
tentativo di svelare un tragitto percorribile tra quella marea di carta
variamente inchiostrata al fine di
poter raggiungere la cima senza
perdersi negli affascinanti suoi meandri.
Entrando quella sera nello studio
diede un ultimo sguardo d’insieme alla struttura; respirando forte
si diresse verso l’angolo in basso a
sinistra poiché ritenne che le opere di cultura greca e latina fossero
la base migliore da cui muovere le
prime manovre, e con rapidità iniziò ad aggrapparsi alle mensole,
superando volumi di differenti colori e dimensioni, leggendo ammirata quanto di più splendido natura
umana mai offerse. Mosse poi veloce verso destra, e mentre la polvere
ombreggiava i polpastrelli e s’infiltrava sotto il candore delle unghie,
sorpassò Bisanzio, poi viaggiò presso i filosofi arabi ed arrivò fino alla
più remota cultura orientale; poi
improvvisamente virò verso sinistra e si abbassò di qualche dozzina di centimetri per riposarsi tra le
inconsapevole, Sofia giunse dopo molto vagare ad appigliare la torturata mano a quella lista scura che celava il
luogo più proibito della libreria; restò incosciente ed esitante per alcuni istanti, ma facendosi forza e slanciando
il piede destro riuscì ad afferrare leggermente un libro
piuttosto malandato.
rassicuranti pagine della patristica medioevale. Di nuovo ripartì orizzontalmente e con rinnovato entusiasmo
s’arrampicò tra i testi più importanti dell’Umanesimo e
del rinascimento, e sfuggendo le lusinghe del Barocco si
diresse con cuore maggiormente palpitante verso la cultura cavalleresca; qui sostò un poco per visualizzare il
percorso che ancora le mancava e mentre sorrideva incantata, la punta di non so quale cavaliere s’accanì sull’
indice della mano sinistra tanto che per poco non la fece
ricadere malamente al suolo.
Il momento fu terrificante; la mensola su cui faceva
appoggio si sfondò velocemente, causando un incredibile crollo a catena di buona parte della struttura della
libreria. Mentre fluttuava nel vuoto Sofia vedeva individui a gambe all’aria appoggiati a nubi purpuree, schiere di soldati fronteggiarsi ferocemente, poeti in circolo
divinizzare dinosauri di lamiera, prostitute e fanciulle
ammiccare suadenti a giovani impomatati a cavallo
d’ippopotami luccicanti, paesi diroccati attraversati da
mostruose creature ancora fumanti, vascelli colare a
picco nelle viscere della terra, divinità invidiose schernire scheletri e marionette, ragazzini impudenti rubare
grigi parrucconi a giudici malfermi; e vide amici e nemici brindare oziosi, e vecchi sofferenti puntare il dito
contro vecchi scontrosi e catene d’individui andare in
processione senza termine alcuno… Questo e molto altro vide Sofia finché una copertina rossa ondeggiando
placidamente la raggiunse e le spense la luce degli occhi.
Ferita e dolorante si riparò tra gli amorosi canzonieri
dei poeti italiani, ma, per non lasciarsi avvincere da tanta mollezza, superò d’un baleno il neoclassicismo europeo e s’issò diagonalmente trapassando i romantici fino
a giungere all’imponente raccolta enciclopedica dell’intero scibile umano. Temendo di dovervi perdere troppo tempo, alzando la testa vide che poco mancava alla
vetta; ma era pur vero che la parte ad essa più prossima
era quella meno conosciuta da Sofia, in quanto spesso
male illuminata e difficilmente percepibile da terra. Di
qua di là di giù di su si trasportava Sofia e fu l’avanzata più faticosa, più terribile che si potesse immaginare:
perdendosi per foreste illusorie, non trovò che crudeltà
e freddezza cui chiedere conforto e mentre la sua fiducia veniva a mancare, le si schiudevano sentimenti di
angoscia sino ad ora sconosciuti. Così, quasi del tutto
8
Recensione/2
Elenoire Sabregno, Molly
di Chiara Banana
N
ella Butte aux Cailles, quartiere parigino che sorge sulla sommità di una collina dalle parti di Place D’Italie, vive Molly.
Molly fa la barista, studia psicologia e vive con Benjamin, il suo
ragazzo di sempre. La sera quando non lavora, va al cinema (la sua
vera passione) o si perde in lunghe
chiacchierate con sua nonna Letice. Una vita normale, insomma,
se non fosse per un piccolo problema: Molly ha quarantasette vagine
sparse per il corpo e da una di queste esce in continuazione musica
country. Tutti conoscono questo
piccolo segreto e nel piccolo mondo
della Butte aux Cailles la accettano
incondizionatamente. Benjamin,
quello che più da vicino ha a che
fare con questa stranezza, è anche
colui il quale insegna a Molly l’arte
di accettarsi per quello che è. Nel
primo capitolo le dice quasi in un
sussurro: “l’uomo è fatto così: combatte tutta una vita tra il desiderio
di un amore unico e il desiderio di
una vagonata di fica. E’ una questione matematica, logica e dimostrabile: io con te, sono l’uomo più
felice del mondo”.
producenti. A fare da sottofondo
a questa brillante commedia del
quotidiano c’è la musica country
- grande passione della Sabregno con la forza dei suoi testi e del suo
effetto catartico.
Con il suo ultimo romanzo la
Sabregno, facendo una leva ancora
una volta sui contrasti, il nonsense,
gli sprazzi di una scrittura sempre
attenta a non essere retorica, si
conferma una delle più originali
scrittrici francesi, forse l’unica a
saper trattare il tema della diversità senza dover ricorrere a stereotipi
così scontati da risultare contro-
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Queste recensioni sono ovviamente finte e l'autore è Alessandro Romeo, co-fondatore insieme ad amici
di rivistainutile.it. Le puoi trovare
anche qui: maciste.tumblr.com.
La redazione di Finzioni
parla di Lettura Creativa
di LA REDAZIONE TUTTA
Q
uando leggo mi faccio megaviaggi stile Paura e delirio a Las Vegas. Resto spesso invischiato in due argomenti che per
me sono il massimo della masturbazione intellettuale: le cose che
finiscono e l’amore (che finisce).
Il primo è da paura, non basterebbe la bibliografia intera del Dalai Lama per spiegare l’impermanenza. I monaci tibetani realizzano
mandala di sabbia bellissimi e poi
li distruggono. Io, se non mi viene
restituito un libro dato in prestito,
quasi mi metto a piangere. Come
non bastasse ci innamoriamo di
altri. Ci innamoriamo sempre di
altri. Alexa non sapeva chi fosse
Marquez, questo mi ha scosso, ed
io stavo per volare a New York senza
aver ancora letto John Fante. Chiedilo alla polvere, va bene, ma poi
datti anche una risposta.
In che altro modo si può leggere se non creativamente? Questa è
una domanda retorica. L’alternativa è leggere passivamente? Ed è
possibile? Se sì, tanto vale guardare
i reality show. Io invece mi realito
show da solo.
S
econdo Cesare Pavese “essere
innamorato è un fatto personale che non riguarda l’oggetto
amato”*: che l’amore sia ricambiato
o no, si cercherà sempre nei gesti
e nelle parole dell’altro una corrispondenza che ci illuda di essere
compresi e quindi meno soli. “ma
non c’è ragione, non c’è bisogno che
i contenuti combacino”.
Un lettore appassionato è come
l’innamorato di Pavese: un artigiano di mondi possibili. La sua lettura
diviene creativa quando, a prescindere da ciò che legge e consapevole
della distanza inevitabile che corre
tra intentio auctoris, intentio operis
e intentio lectoris, il lettore riesce a
riempire i vuoti di significato, cogliere analogie, intessere collegamenti, interpretare simboli.
Un buon libro non esisterebbe
se non ci fosse lui a riconoscerne la
bellezza, a ritrovarsi tra le pagine.
E riconoscersi è tutto fuorché passivo, implica essersi letti faticosamente a fondo.
* C.Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi.
Alessandro Pollini
Viviana Lisanti
10
L
a lettura creativa è improvvisazione allo stato puro. E'
salire su un palcoscenico in mutande, tossendo su un microfono
che sibila di fronte un pubblico
armato di bottiglie rotte e verdura
marcia. Il lettore creativo sa cavarsela in questa situazione mettendo
insieme citazioni a casaccio e neologismi tratti da libri aperti due
volte sull'autobus e poi finiti nel
mausoleo di mobilio svedese su cui
poggia il televisore a casa, perchè
la lettura creativa ti insegna a cogliere il massimo contenuto con il
minimo sforzo possibile per stupire
gli astanti quando scendi al bar a
bere la solita Miscela Leone, il tutto
facendo capire alla barista cinese
che Wu Ming non è ciò che lei crede
e che la Miscela Leone una volta la
bevevano solo gli straccioni e non i
radical-chic salutisti.
Alex Grotto
L
a lettura creativa entra nella mia vita con prepotenza
ch'ero imberbe e imbambolato,
forse settenne, intento ad addentrarmi nella medicina attraverso
ricette del pediatra che suggerivano “sciroppo per la tosse tre volte
al dì”, ma tra quei solchi di biro ci
si poteva leggere un mondo. Rinunciai ben presto all'idea di farmi
medico, scornato -tra le altre cosedalla presa di coscienza che la mia
calligrafia, ben leggibile, non mi
avrebbe reso del tutto credibile e
stimato. Qualche giorno fa il mio
calzolaio, che parla una lingua che
non è più spagnolo ma non è ancora
italiano, mi ha consegnato vecchie
scarpe con tacco nuovo, ben risuolate, assieme ad un foglietto in cui
rendeva conto dell'operato. Erano
parole totalmente incomprensibili,
ma questa foga di farsi capire, fossanche per spiegare quanta colla
era stata utilizzata, mi ha fatto pensare che la lettura creativa -tanto
utile coi pediatri- poteva tornare
utile pure coi calzolai. E coi libri, mi
suggeriscono.
Matteo Bettoli
L
a lettura creativa è la tua. E la
mia. E siamo già a due. Un po’
come quella storia degli elefanti sul
filo: la lettura creativa dondola. Sospetto sia meno funambolica: non
devi per forza leggere a testa in giù,
se non è questione di afflusso ematico. Puoi benissimo stare fermo
immobile, respirare q.b. ma saltare
le righe, ad esempio. Oppure decidere che certa gente di letteratura
proprio si piglia con altra di secoli
dopo e il mondo non cambia mai.
Leggere un libro e trovarci un x senso: andare al supermercato fa incontrare la principessa azzurra, per
dire, che lo scrittore proprio non
ci era arrivato perché lui mentre lo
scriveva, il pezzo del supermercato, pensava al consumismo galoppante che uccide l’equo solidale.
Chiudi il libro e il principio che ti
è rimasto è lo stesso che ti ha dato
Riccidoro e i tre orsi, la quale ti porta
a spasso verso Lorenz (c’erano orsi
a parte le papere?), che si chiama
Conrad come quell’altro che però
era il cognome. Poi basta. Circoli.
Voli pindarici di riciclo informativo
emotivo, perciò vitale. Aria. Tutto
piuttosto creativo, pare.
Licia Ambu
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“L
ettura creativa” non è
strappare una pagina dal
mezzo del libro e farne una barchetta o un origami come inavvertitamente la cosa potrebbe suggerire, ma, si designa in qualche
modo il “tirare fuori qualcosa da
qualcos’altro”. Immettere nel mondo qualsiasi manufatto anche vagamente artistico (una poesia, una
canzone, un libro, naturalmente)
vuol dire accettare che si stacchi
completamente dall’autore e diventi proprietà altrui. Il prodotto è
di chi lo fruisce: un calesse senza
cavalli, una nave senza capitano.
È il paradosso della creazione, che
si traduce banalmente in trasformazione. Il prodotto dell’estro individuale finisce per diventare un
risultato collettivo, un palinsesto
di interpretazioni seconde e terze
e quinte che lo manipolano fino, in
alcuni casi, a renderlo a malapena
riconoscibile. Che meraviglia!
Marina Pierri
È
stato per primo Stephen King
a descrivere, con una ventina d’anni di anticipo, il potenziale
dirompente di quella cosa che oggi
va sotto il nome di lettura creativa,
sarebbe a dire l’idea che noi lettori possiamo fare con i libri un po’
quello che ci pare. Dato alle stampe
nel 1987, Misery racconta la storia
di Annie Wilkes, una corpulenta ex
infermiera che dissipa una quota
oscenamente cospicua di capitale
immaginativo per empatizzare con
un personaggio fittizio – Misery,
appunto – e che, nel momento in
cui scopre che questi muore nell’ultimo episodio della saga romanzesca di cui è protagonista, ne prende
in ostaggio l’autore obbligandolo
– dopo avergli amputato un piede e
rescisso il pollice – a resuscitare Misery nell’ennesimo nuovo episodio
della saga.
Non c’è bisogno di essere particolarmente creativi per intuire che
il romanzo allegorizza la tirannia
cui l’Autore è oggi sottoposto da
un Lettore stanco di essere considerato l’ultimo anello della catena
alimentare editoriale: blog, facebook, twitter, anobii e altre propaggini 2.0 sono in questo senso l’arma
che chiunque di noi può brandire
contro un qualsiasi scrittore arrogandosi il diritto di decretarne la
fortuna o le miserie. Il che, in fin dei
conti, proprio come la storia raccontata in Misery, è una discreta figata ma anche una cosa vagamente
inquietante.
L
’altro giorno avevo voglia di
fare un giro, così mi sono seduto sulla mia poltrona preferita,
quella che ormai c’ha la conca del
mio didietro, e ho iniziato a camminare tra la gente di Dublino. Ma
una pioggia battente mi ha colto
impreparato e mi sono riparato sotto un elce e d’un tratto ero in un bosco. Neanche faccio a tempo a dire
“strano”, che un barone giacobino
mi afferra per i polsi invitandomi a
camminare sui rami. L’ho seguito
tra la fronde fino a che non è sparito
in cielo. Al che ho proseguito la mia
passeggiata per i boschi narrativi,
ma il mio orientamento difettoso
mi porta ai piedi di un castello avvolto nella nebbia. Provo a raggiungerlo ma non ce la fo, e allora cambio rotta e mi dirigo verso il mare,
che mi ha sempre dato consolazione. Magra consolazione poiché
all’orizzonte si staglia solo un’indefinita linea d’ombra. Prendo il
coraggio a due mani e salpo per un
viaggio che se gli déi vorranno mi
riporterà a casa, altrimenti chissà.
Questi percorsi disegnano il
cammino della mia lettura creativa. Io leggo. Io creo. Mondi. Altri.
Vivo. In questi mondi. Un po’. Ma
che bello. Lo so, sono finzioni, ma
mi sembra tutto così vero. Ma che
bello.
Michele Marcon
Filippo Pennacchio
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12
E
sistono le storie. Esiste chi le
scrive. Ed esiste chi le legge.
E se ogni storia è diversa da un’altra
è anche vero che ogni storia non è
nemmeno mai davvero uguale a
se stessa. Perché c’è un impiccione
che può smussarla, muoverla, deformarla... insomma, può farne ciò
che vuole: il lettore. Siamo lettori
abbastanza creativi nella misura
in cui decidiamo di usare le pagine degli Indifferenti di Moravia per
fare il decoupage o friggere le patatine. E lo siamo tanto più (creativi)
se i libri di Federico Moccia ci paiono favolose e paradigmatiche (cit.)
storie d’amore. [Ma ogni interpretazione è davvero lecita?]
La verità è che esistono libri che
anche per lo stesso lettore rischiano
di non essere mai uguali a se stessi.
È per questo che molti di quelli che
leggiamo e che amiamo alla follia
non abbiamo poi il coraggio di riaprirli: rimangono lì in bella vista,
ci sembrano terribilmente sexy.
A volte vorremmo riavvicinarci.
Tuttavia temiamo, rileggendoli, di
trovare un altro al loro posto. I libri
sono un po’ delle canaglie. E anche
un po’ come gli innamorati. Capita
di innamorarsi di una canaglia; ma
anche se lo sai, che puoi farci?
Agnese Gualdrini
I
l bravo scienziato è quello che
si appassiona e gusta il suo
lavoro. L’ha detto Linus Pauling, o
forse no. Ad ogni modo se l’avesse
detto sarebbe vero. Tanta passione
si riflette (dovrebbe) nel gusto di
leggere la propria materia. Letteratura scientifica. Un mare sterminato, a volte nozionistico e noioso, ma
fertile. Infatti gli esercizi di lettura
creativa più forti che io abbia mai
potuto fare sono stati proprio questi: la lettura del lavoro altrui, che
magari poco o nulla ha a che vedere
col mio campo, a cui segue sempre
un momento di rielaborazione più o
meno inconscia finché un’intuizione arriva, normalmente a tarda notte o in un momento inopportuno, e
indica una nuova strada da seguire.
Pochi campi sono così ricchi e poche letture, involontarie o meno,
sono altrettanto foriere di novità:
quella scientifica è una lett(erat)ura
estremamente creativa, nel senso
proprio del termine.
Fabio Paris
C
oi libri c’è un prima e un
dopo. Prima sei un ragazzino, dopo sei un uomo e ti accendi
una paglia nel letto, nudo, nascondendo un colpo di tosse. È il momento in cui passi da studente a
studioso. Quello è il tuo momento
fondamentale, l’iniziazione ad un
cerimoniale sacro, fatto di lunghe
conversazioni dopo cena con amici
barbuti e occhialuti, di litigate con
spocchiosetti che citano a memoria
con l’espressività di un Giorgino e
dal giorno in cui metti in mano a
tuo cugino di quindici anni il suo
primo, infinito, Conrad. Con la letteratura penso sia come coi cani,
devi dimostrare di non aver paura.
Devi focalizzarti su Kafka sul divano, sfondato di depressione, ai
limiti della paranoia totale e dedito
alla disfatta, che scrive gli Aforismi
di Zürau, o Baudelaire: sifilitico,
povero, strafatto e indebitato coi
creditori, così in paranoia da parlare sempre di fughe ma terrorizzato
all’idea di lasciare Parigi. Se vuoi
davvero ascoltare questi signori, se
vuoi davvero lasciarti andare nel
loro mondo è spegnendo il brusio
della tua riverenza, creando uno
scambio, facendo lettura creativa,
che puoi riuscirci.
Ray Banhoff
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Prendete un libro, anche noioso.
Cominciate a leggerlo. L’attenzione non è necessaria, ma un
pizzico di trasporto renderanno le cose più semplici.
Arrivate almeno al secondo
capitolo o, se privo di capitoli,
non fermatevi fino a pagina
34. Se privo di pagina 34, be’,
un po’ di ingegno, ragazzi.
Poi vi fermerete a riflettere sul
perché quel personaggio ha
un volto noto. Oppure sul perché un cuscino rosso vi ha ricordato quell’altro libro, quello che avete comprato mesi
fa e che, ad oggi, non ha fatto
altro che prendere polvere.
Prendetelo in mano e ripartite
dal punto 2.
Presto o tardi riuscirete a finirne un paio e potrete facilmente dividerli in due gruppi.
Nei libri del primo, arrivare
alla fine sarà stato liscio come
l’olio; in quelli del secondo, invece, sarà stato difficilissimo
sfogliare pagina dopo pagina
senza pensare ai mille titoli
che si vorrà leggere dopo.
Tornate in libreria o in biblioteca e siate certi di snobbare
il primo gruppo. Nel secondo
troverete solo i libri più belli.
Jacopo Donati
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13
Recensione/3
Ed Mendoza, Foe catches
di Edo Raudo
Puttane, bourbon, troie. Puttane
nere, bianche, meticce, quasi sempre ubriache. Puttane in festa, tristi, a lutto, puttane tragiche. Ma soprattutto puttane ovunque, a ogni
angolo della strada, nei cessi, sopra
una poltrona. E poi troie. Troie che
combattono, che salgono le scale,
che ammazzano per una cotoletta,
troie che bucano le gomme di una
bici. Troie che scavalcano muri,
controvento. Troie controvoglia,
controcorrente, controtendenza.
Troie trans, busone, acchiappafantasmi. Troie con la giacchetta, troie
affezionate al locale di Peppo. Troie
che partono per l’Amazzonia, che
tornano dall’Amazzonia, che suonano le congas in un posticino che
conosco. Troie bianche che si fingono nere, troie all’uscita A e troie
all’uscita B. Un letto pieno di troie
all’inizio del capitolo 2, uno vuoto
al capitolo 8. Ma le troie sono sotto
al letto! Bellissimo.
Mendoza è proprio l’irrazionalità
a farla da padrona, l’intuito dello
sciamano, la magia nera, il dubbio
risolto facendo tintinnare i nocciuoli di pesca in un contenitore di
sabbia ricoperto di capelli tagliati
In mezzo c’è il bourbon e un detective, Foe, che cerca di ricostruire
i tasselli di una faccenda intricata.
Tutto ha inizio una sera di Novembre a Detroit, quando una
giovane puttana viva viene trovata all’interno di una giovane troia
morta. Com’è possibile? Chi ha
compiuto l’efferato crimine? La giovane puttana viva c’entra qualcosa?
Foe si muove a stento, in mezzo ai
fumi dell’alcol che gli rallentano
i riflessi e gli annebbiano la vista.
Eppure sarà proprio il suo stato di
semicoscienza a indicargli la strada giusta, perché nel mondo di Ed
14
di una vedova zoppa.
Non c’è dubbio che Foe Catches
sia il capolavoro di Ed Mendoza: un
libro in cui la fitta selva di richiami metaletterari, metalinguistici
e metametafisici trova una precisa
collocazione stilistica, una lucentezza intransigente che colloca
Mendoza nell’olimpo degli scrittori
noir di tutti i tempi del mondo.
Queste recensioni sono ovviamente finte e l'autore è Alessandro Romeo, co-fondatore insieme ad amici
di rivistainutile.it. Le puoi trovare
anche qui: maciste.tumblr.com.
I timidi e i prolissi
di Stefano Peloso / COLLA
http://www.collacolla.com/
M
i è capitato di ritrovarmi
in un “focus group sulla
lettura”. Mi sono lasciato adescare dalla promessa di ricchi premi
e cotillons, lo ammetto, ma anche
dalla curiosità di scoprire cosa
fosse esattamente un “focus group
sulla lettura”. Le regole del gioco,
alla fine, erano queste: dieci “lettori
forti” – dai 15 libri annui in su, secondo le più recenti definizioni – a
confrontare le proprie abitudini e
i propri vizi in materia di lettura,
in un salottino borghese e austero,
moderati e condotti da due ricercatrici. La prima cosa che ho notato è
stato l’aspetto dei presenti. Erano
tutte persone normali, nonostante
si trattasse di “lettori forti”; avrebbe
potuto essere una rimpatriata di excompagni delle medie.
Parlando, poi, però, qualcos’altro
mi è balzato all’occhio. Tra noi dieci presenti, due macro-categorie ho
individuato. Da una parte i “timidi”, al limite dell’autismo, immobili
cercando di dissimulare la propria
presenza, silenziosi ad osservare,
avari negli interventi ma sempre
precisi e puntuali. Dall’altra parte i “prolissi”, quelli che tenevano
banco, avevano la loro da dire su
qualsiasi argomento e un pensiero
pronto da esprimere in ogni occasione. Non che lo facessero a sproposito, però. Tutto ciò che dicevano
era comunque ragionato, concreto,
strutturato ed espresso forbitamente.
Allora mi sono domandato: è un
caso che su dieci “lettori forti”, tutti
rientrino senza esclusione in questi due gruppi, i timidi e i prolissi?
E guarda caso in un’equilibrata
divisione di cinque dei primi e cinque dei secondi? Facendo un passo molto azzardato e logicamente
scorretto, posso immaginare ogni
“lettore forte” del mondo in una di
queste due categorie? Ma soprattutto, come legge un timido e come
legge un prolisso?
A sentire i miei compagni di “focus group”, senz’altro il prolisso è
onnivoro e vorace. È un “lettore fortissimo” e si butta su qualsiasi cosa
gli capiti a tiro. Legge più cose contemporaneamente, le confronta tra
loro ed è sempre affamato di nuove
parole. Non si dà pace se non ha almeno un libro sempre con sé. Che
siano saggi, poesia o narrativa poco
importa. Quello che conta è invece
la qualità della scrittura: fondamentale. Però raramente al prolisso
capita di leggere qualcosa che non
lo soddisfi, perché per natura si circonda di lettori con cui parla molto
di libri e scambia opinioni e suggerimenti per nuove letture.
Il timido invece è tutto l’opposto,
almeno apparentemente. Segue
con attenzione i discorsi, ma interviene solo raramente. Non sente
la necessità di condividere le sue
letture, ma è un ottimo ascoltatore e quando incontra un prolisso
assorbe silenzioso tutto quello che
può. Si esprime, a volte, ma sempre
coinciso e in un’unica tirata: è difficile trascinarlo in un vero e proprio
dibattito articolato. Il timido legge
tendenzialmente narrativa e poesia, ama il suono delle parole e va
in visibilio per la scrittura di qualità. Però è molto più riflessivo di un
prolisso ed ha la capacità di sopravvivere senza libri per periodi relati-
15
vamente lunghi, anche se quando
non ha nulla da leggere sottomano
prova una sensazione di disagio
che non riesce a spiegarsi.
Sul rapporto con il libro-oggetto
però, devo ammetterlo, sono rimasto spiazzato. Mi aspettavo sì un
amore verso la carta stampata, ma
credevo ne avrei visto due espressioni molto diverse. Invece il feticismo per il libro resta universale:
tutti e dieci i “lettori forti” facevano
emergere la carnalità e l’intimità
del loro rapporto con le pagine. Alla
fine, tutti ammettevano di sentire
il bisogno di possedere i libri che
amano, in maniera
quasi
morbosa.
Di una cosa
sono certo da
quel giorno: i
“lettori forti”,
timidi, prolissi o altro che
siano,
non
sono disposti
a rinunciare al
libro stampato,
all’odore della
carta, alle piccole imperfezioni, ai segni
del tempo e
dell’affettuosa
incuria sulle
pagine, sulla
rilegatura; non
sono disposti
a
rinunciare
a qualcosa di
bello e ingombrante come la
carta.
Ernestvirgola parla
della lettura creativa
ovvero di fumetti senza data di scadenza
di Sara Pavan / ERNESTVIRGOLA
www.ernestvirgola.blogspot.com
E
rnestvirgola è una piccola
etichetta indipendente che si
occupa principalmente di fumetti.
La lettura del fumetto è di per se
creativa perché lascia a chi legge il
compito di colmare gli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra. L’abilità del fumettista è quella di rendere
gli spazi bianchi il più possibile non
ambigui. Insomma si guida il lettore come tenendolo per mano. Se
questo sembra un andare contro il
concetto stesso di lettura creativa è
importante precisare che, se la narrazione a fumetti è una narrazione
matura, i vincoli posti dal fumettista sono gli stessi posti dallo scrittore di prosa. Il fatto che esista una vicenda chiara non vieta che la stessa
vicenda possa essere aperta a più
interpretazioni. La narrazione a fumetti uccide la lettura creativa solo
quando usa mezzucci come le didascalie. Le didascalie sono come
la pornografia, svelano il trucco del
prestigiatore togliendo ogni magia
al racconto. Ernestvirgola, anche se
è il primo a non riuscire nell’intento, è per l’abolizione della didascalia e di quei dialoghi che dicono le
emozioni, i fatti e i pensieri.
Il fumetto è un’arte piuttosto
giovane, nata insieme al cinema
ma cresciuta in modo più lento. A
lungo relegato al rango di semplice
intrattenimento, lettura da toilette
o roba per bambini, in Italia inizia
solo oggi a essere considerato un
mezzo di comunicazione degno
dello stesso rispetto della letteratura o del cinema d’autore. Una
narrazione matura è quella che
attraverso gli eventi, a volte piccoli
pezzi del quotidiano, fa intuire al
lettore i rapporti che intercorrono
tra i personaggi senza doverli esplicitare: proprio come succede nella
vita vera, in cui si è in grado di cogliere lo stato d’animo di qualcuno
dai suoi atteggiamenti. Però proprio perché di narrazione si tratta,
anche se a fumetti, per preservare
la comprensibilità stessa dell’opera, non si può ridurre il tutto ad una
semplice trascrizione della realtà.
Si tratta piuttosto di selezionare gli
eventi, tradurli in sequenze di immagini, compilando nel frattempo i
dialoghi perché il tutto risulti verosimile. Così si sfrutterà lo specifico
del fumetto e non si otterrà solo la
brutta copia di un libro o di un film
bensì un’opera che entra in risonanza con l’esperienza e l’emotività
di chi legge.
Il vero problema ora si sposta sul
lettore che trovandosi di fronte a un
fumetto spesso e volentieri non si
predispone a una lettura interpretativa come se si trovasse davanti a
un’opera in prosa o in poesia. Pretende lui per primo che tutto gli sia
dato esplicitamente, in particolare
16
attraverso il linguaggio verbale. Ma
il fumetto non è solo parola, è anche
immagine. Ed è proprio dalla combinazione di questi due elementi in
ciascuna vignetta, e dalla sequenza delle singole vignette che nasce
la narrazione. Purtroppo il lettore
medio è ancora poco educato alla
lettura delle immagini e tende per
lo più a considerare il disegno accessorio al racconto verbale. Nei
film, attraverso la durata delle inquadrature e altri escamotage, lo
sguardo dello spettatore si focalizza facilmente sui dettagli più importanti anche senza il sostegno del
dialogo. Nel fumetto tutto questo è
più difficile da ottenere. Si è sempre
sul filo del rasoio: si corre il rischio
da un lato di cadere nella banalizzazione del racconto, dall’altro di
risultare incomprensibili. Sembrerà assurdo ma questa immaturità
del mezzo espressivo è una grazia
per chi fa fumetti adesso perchè, a
parte qualche grande classico, la
storia del fumetto è ancora tutta da
scrivere.
Ernestvirgola non sarà mai qualcosa di memorabile, ma rivolgendo
al mondo del fumetto uno sguardo
più ampio, il sapere che si è all’inizio di qualcosa di nuovo induce uno
stato di ebbrezza in chi vi prende
parte. Magari alcuni dei fumettisti
di questi anni diventeranno quello
che sono stati Giotto o Caravaggio
do di portare un messaggio che non si esaurisca in una
lettura univoca (proprio come i grandi classici della letteratura!) bensì un messaggio capace di germogliare anche sul terreno fertile della lettura creativa di chi questi
anni zero non li ha vissuti ma li studierà sui libri.
per la storia dell’arte, e le loro opere godranno dello
stesso rispetto con cui si trattano i libri dei grandi romanzieri russi.
Insomma si spera in storie a fumetti che siano in gra-
Lettore-scrittore
Per sempre Ri-Legati
di Francesca Alacevich
“L
eggendo non cerchiamo
idee nuove, ma pensieri
già da noi pensati, che acquistano
sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri parole
che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo- e facendola
vibrare ci permettono di cogliere
nuovi spunti dentro di noi”1.
17
Cosa spinge leggere? La voglia di
ascoltare chi ha qualcosa da dire in
modo talmente prepotente da arrivare a pubblicarlo. Un misto tra
rispetto per chi scalpita tanto, per
nostra dignità: e, quando siamo soli, siamo soltanto più
vicini a chi è assente.
chi vuole raggiungerci ad ogni costo rompendo le barriere
tradizionali spazio-tempo, ed avida curiosità. Noi lettori
siamo spinti da una “Missione”… scegliamo, frugando
tra i dorsi colorati o sbiaditi, fiutando gli arzigogoli inchiostri, con chi avviare la sinergica “terapia”.
Ogni libro è, se letto in profondità, una lettera circolare
agli amici di colui che lo scrive. Essi solo possono comprender il significato e trovarvi messaggi privati, testimonianze d’amore ed espressioni di gratitudine lasciate
cadere qua e là, ad ogni occasione. Il pubblico è soltanto
un generoso mecenate che si accolla le spese postali”6.
“Ma ora che per la prima volta li ho messi per iscritto, ho capito una cosa di cui non mi ero mai resa conto
prima”2.
Noi lettori siamo dunque i “guaritori” degli scrittori!
“Forse dunque è la capacità di ricevere scosse che
fa di me una scrittrice. Posso azzardare la spiegazione
che a ogni scossa nel mio caso segue immediatamente il desiderio di spiegarla. Lo sento, il colpo, ma non è
più, come credevo da bambina, un colpo sferrato da un
nemico nascosto dietro l’ovatta della vita quotidiana; è
o diventerà la spiegazione di un altro ordine; è il segno
di qualcosa di reale che si cela dietro le apparenze; e
sono io che lo rendo reale esprimendolo in parole. Solo
con l’esprimerlo in parole gli conferisco unità; e questa
unità significa che ha perduto il potere di farmi male;
mi dà una grande gioia, forse perché così facendo tengo
lontano il dolore, rimettere insieme i frammenti. Questo
è forse il piacere più intenso che io conosca. È l’ebbrezza che provo quando scrivendo mi sembra di scoprire i
collegamenti precisi; di rendere vera una scena; di dare
coerenza a un personaggio. Di qui nasce potrei dire una
filosofia; o comunque un’idea che ho sempre avuto; che
dietro l’ovatta si celi un disegno; che noi – tutti noi esseri
umani – rientriamo nel disegno; che il mondo intero è
un’opera d’arte; che noi siamo parte di quell’opera d’arte.
“(…), il sogno cosmico è la rappresentazione del mio
cervello. Ogni oggetto è attratto in me. Io creo trasfiguro
invento. Non accetto nulla di fuori. Non posso più tollerare nulla di estraneo. Né credo che di una qualunque
natura o di una qualunque cosa io possa arricchirmi;
perché non v’è cosa né creatura che nell’approssimarsi
ai miei sensi non si dissolva per fondersi nella mia vita
profonda. (…). Nato per esprimere, non mai come ora fui
una potenza di espressione in continua opera (…). Non
considero la parola come un mezzo di scambio. Mi sembra di non poter adoperare quel che Ugo Foscolo chiama
‘linguaggio itinerario’. Lo studio lo studio lo studio mi
ha reso tal maestro ch’io so esprimere l’inesprimibile e
che supero nel mio stile di scrittore tutti gli uomini che
scrissero in tutti i secoli”3.
Bè… insomma… facciamo del nostro meglio…
Lo scrittore trova nel lettore il suo interlocutore privilegiato, quello che riscatta la superficialità dei rapporti
umani. Prima finge di scrivere esclusivamente per sé.
L’ ’Amleto’, o un quartetto di Beethoven, è la verità su
questa massa immane che chiamiamo mondo. Ma non
esiste nessuno Shakespeare, non esiste nessun Beethoven; sicuramente non esiste nessun Dio; noi siamo le
parole; noi siamo la musica; noi siamo la realtà. E io lo
vedo, tutto questo, quando subisco una scossa”7.
“Quando uno tiene un diario vuol dire che dà importanza alla sua vita. Questo sarebbe giusto. Soltanto che
l’uomo non deve dare importanza alla sua vita nel senso
sbagliato, come di solito succede”4.
“Nel diventare parola della mia vita interiore, non
soltanto di fronte agli uomini ma anche nella solitarietà
del mio diario, ho un regolatore segreto del mio pensare:
non soltanto dal punto di vista formalmente estetico o
logico, ma soprattutto riguardo al contenuto”5.
“Quanto a me, la composizione di una poesia avviene in modo che – se non me lo mostrasse l’esperienza
– mai avrei creduto. Muovendomi intorno a un’informe
situazione suggestiva, mugolo a me stesso un pensiero,
incarnato in un ritmo aperto, sempre lo stesso. Le diverse parole e i diversi legami colorano la nuova concentrazione musicale individuandola. E il più è fatto. Non resta
ora che ritornare su questi due, tre, quattro versi, quasi
sempre già a questo stadio definiti e iniziali e tormentarli, interrogarli, adattare loro svariati sviluppi, finché
capito su quello giusto”8.
Voi scrittori liberate parole tra le ciglia dei lettori. È un
leale incontro. Si decide di fidarsi …solo così, allacciati
insieme, si affrontano mirabili imprese.
“Ma siamo tutti viaggiatori in quella che John Bunjan
chiama la desolazione di questo mondo; tutti viaggiamo
con il nostro asinello e il massimo che possiamo aspettarci del nostro viaggio è di trovare un amico sincero.
Davvero fortunato è il viaggiatore che ne trova più di
uno. Viaggiamo dunque per trovarli: essi sono il fine e
la ricompensa per la vita, essi ci aiutano a preservare la
1
PAVESE, CESARE, Il mestiere di vivere, 3 dicembre 1938,
Torino, Einaudi, 1952, p.130.
2
WOOLF, VIRGINIA, Momenti di essere, Milano, La Tartaruga edizioni, 1993, p.90.
18
3
D’ANNUNZIO, GABRIELE, Cento e cento e cento e cento
pagine del libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire, ed. Mondadori, Milano 1977, pp.239-240.
4
EBNER, FERDINAND, La parola è la via, 26 dicembre 1918,
ed. cit., p.58.
5
EBNER, FERDINAND, La parola è la via, 1 settembre 1918,
ed. cit., p.128.
6
STEVENSON, ROBERT L., Viaggio nelle Cévennes in compagnia di un asino, ed. Ibis, Pavia, 1993, pp. 19-20.
7
WOOLF, VIRGINIA, Momenti di essere, ed. La Tartaruga,
Milano, 1993, pp. 91, 92.
8
PAVESE, CESARE, Il mestiere di vivere, 15 dicembre 1935,
ed. Einaudi, Torino, 1973, p.23.
Le 5 regole per salvare
una rivista letteraria che va sulla Luna
che sta di Traverso
di La Luna di Traverso
http://www.lalunaditraverso.com/
I
n principio viene il Bando. A
tema. Non libero. Dio sa cosa ci
arriverebbe, altrimenti. Poi vengono i racconti.
Direte: «Cioè, che vuol dire? Che
vi vien fame dopo aver letto tot racconti?» Ovviamente no. Cioè sì, ma
in questo caso no.
Il Verbo inizia così. È da dieci anni
che inizia così, il Verbo. Il nostro,
eh! Non quello là. Quello là, obiettivamente, è iniziato un po’ prima.
Innanzitutto dovreste ragionare
sull’importanza del numero 3: è
un numero primo di Mersenne, di
Fermat, di Sophie Germain, il quarto numero di Fibonacci e pure un
asteroide. Nella smorfia napoletana
è un gatto! Per cui, chi l’ha detto che
non potrebbe essere un numero importantissimo anche per la Luna?
Infatti, non l’ha detto nessuno. E allora io vi dico che il Verbo 3 è super
importante. Sì.
Verbo numero 2: Leggere.
L’idea è quella di separare il materiale commestibile da quello un
po’ commestibile e da quello francamente immangiabile. La nostra
Missione, con la M maiuscola. Sincronizziamo i cervelli (wow!): ciascun membro e ciascuna membra
si legge tutto quanto. Esatto. L’ho
proprio detto: TUTTO QUANTO.
Davvero, lo giuro.
E siamo già al Verbo numero 3:
Griglia. Con la G maiuscola.
È una vera (vera davvero, addirittura la facciamo in Word: i potenti
mezzi della tecnologia!) tabella!
Sì, ce la tiriamo un po’ e facciamo
come nelle grandi aziende o nei
grandi uffici di comunicazione che
intabellano tutto, anche la media
dei passi fatti per andare in bagno
19
e il numero dei pistacchi mangiati
in pausa pistacchio. Ci mettiamo
i racconti, li scegliamo proprio lì,
nella tabella. Io li commento. Ci
scrivo quello che penso sui racconti
e non mi appello a nessuna censura. Bella o brutta. Questione di onestà. Ovviamente.
Verbo numero 4: Riunirsi.
Stasera siamo a casa della Federica. Quasi dimenticavo: io sono il
Segretario. Non è colpa mia: hanno scelto loro di chiamarmi così. A
me spetta l’incombenza di redigere
(con modalità stilistiche del tutto
personali, s’intende) il verbale della riunione. Per questo ho portato
con me il registratore (di quelli vecchia maniera, che vanno ancora ad
audiocassette e cigolano). Niente
taccuino, né penna. Appunti ne ho
presi abbastanza quando frequentavo l’Università.
La rivista letteraria La Luna Di Traverso è edita dalla
Casa editrice Monte Università Parma con il contributo dell’Archivio Giovani Artisti di Parma e Provincia,
struttura dell’Assessorato al Benessere e alla Creatività
Giovanile del Comune di Parma, nasce nel novembre
del 2001 a Parma e, ad oggi, ha all'attivo l’uscita di 25
numeri tematici.
Il dibattito ribolle. Ci siamo arenati su un racconto.
Non riusciamo a decidere se scartarlo oppure no. La
Federica ne è convinta. Lo difende a spada tratta. Mena
fendenti che nemmeno Daltanious, o uno degli altri robottoni giapponesi che hanno la spada come Arma Finale. Ci vede cose che, evidentemente, agli altri sfuggono.
Me compreso. Trovo le sue argomentazioni ineccepibili
e convincenti. È il racconto che non mi convince. Non
mi piace, mi sembra banale e maldestro. Però nessuno
alza alcuna barricata. Primo, perché non è nel nostro
modo di pensare. E poi possiamo sempre sbagliarci. Siamo fra le creature più perfettibili che esistano. Un po’ di
scetticismo non guasta, ovviamente.
L’obiettivo della “Luna” è quello di creare, nelle proprie pagine, un luogo d’incontro tra nuovi, giovani
scrittori, nel quale essi possano sperimentarsi e confrontarsi, dare vita ad uno spazio mirato dove vedere
finalmente pubblicati i propri scritti. La rivista vuole
porsi dunque come territorio d’esercizio letterario, momento di dialogo culturale, aperto alle diverse forme
di linguaggio artistico e come proposta e possibilità di
crescita e miglioramento delle potenzialità narrative
dei giovani scrittori. Seguendo questi obiettivi la Redazione della rivista lancia quadrimestralmente concorsi
letterari-fotografici a tema, volti alla raccolta di racconti, fotografie e illustrazioni inediti. Infatti, i redattori
della “Luna” hanno sentito l’esigenza di aprirsi a nuove
forme espressive, abbinando la narrativa alla fotografia
e all'illustrazione, intesa come una forma di racconto.
Nel 2006 esce l'antologia I Lunatici (Mup editore), una
selezione di quindici autori, tra i tanti che hanno potuto
raccontare storie sulle pagine della rivista, e dal 2009 La
Luna Di Traverso è parte integrante dell'iniziativa Born
to Write, inserita all'interno di Italia Creativa.
Ognuno dice la sua. Motivando. Adducendo pezze
giustificative. Attingendo alla propria esperienza di
lettore. Aggrappandosi ai propri gusti. Accapigliandosi
con gli altri, se necessario. La bellezza della discussione
sta nella eterogeneità dei contendenti. Siamo universi a
sé stanti. Abbiamo un vissuto diverso. E, naturalmente, letture diverse, che ci portiamo appresso nei nostri
zaini mentali.
Alla fine, raggiungiamo un compromesso. Sì al racconto, ma...
«Però lo devi spiegare, Fede… devi dire per quale (deviata e perversa) ragione ti piace così tanto!»
«E va bene. Ti sfido: scrivo una rubrica e te lo dimostro!
Guarda che ti minaccio: faccio un sondaggio sul nostro
sito, eh!»
«Sfida accettata. Vedremo chi l’avrà vinta… ma, si
mangia o no?»
«Ovviamente!»
Verbo numero 5: Pazzeggiare. No, non è un neologismo. Esiste davvero, lo dice anche lo Zingarelli: “esprimere la propria gioia in modo chiassoso e stravagante”.
Spengo il registratore. La parte “seria” della serata finisce in archivio. Comincia il pazzeggio vero e proprio.
L’unico e solo motivo reale che ci spinge all’aggregazione. Arriviamo fino a mezzanotte, all’una. E tu come stai
e tu cos’hai fatto e tu cos’hai letto. Poi leviamo le ancore.
Ciascuno a casa sua. Qualcuno di noi scambia due parole in strada, intanto che si va alla macchina.
L’immenso Pirandello una volta disse che la vita o la
si scrive, o la si vive. Secondo noi, si può anche leggere.
Anzi, si deve.
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Recensione/4
Mito Manera, 45 grado
di Pietro Bar Maurizio
C
ioè non so come dire. C’è
questo Mahashi Gula, un
indiano di trentotto anni, che è inclinato di quarantacinque gradi. Fa
tutto inclinato di quarantacinque
gradi: sta seduto, sta in piedi, mangia, esce con gli amici, va al lavoro,
fa all’amore.
E in effetti è questo il punto: si resta perplessi. Anche perché il libro
finisce a pagina 78, con la frase che
ho appena citato e ti chiedi: ma perché? Ma fai sul serio? E poi perché
45 gradO? E il plurale? Ho letto su
Pulp un’intervista a Manera in cui
gli veniva chiesto il perché del titolo al singolare. Manera ha risposto:
La questione del baricentro,
avete presente, no, (che non deve
“uscire dai piedi”, tanto per capirci)? Ecco, niente, con lui non vale.
E poi il bello è che pure la casa e gli
oggetti di tutti i giorni sono inclinati di quarantacinque gradi.
A un certo punto arrivano gli
alieni e distruggono il mondo, ma
Mahashi Gula si salva, perché si
dà il caso che questi alieni abbiano un raggio laser che non riesce a
distruggere tutto ciò che è inclinato
di quarantacinque gradi. E quindi
in tutto il mondo restano Mahashi
Gula, la sua casa, e le squadre da disegno (quelle 45-45, non quelle 3060). E sarà proprio con le squadre da
disegno che Mahashi Gula sconfiggerà gli alieni, tirandogliele dietro.
Poi mentre c’è questa guerra terrificante, Gula contro tutti, subentra la
voce dell’autore, che si dice talmente perplesso dalla storia che non riesce proprio proprio a continuare.
Dice: “Sgafanz, sbidump, BANG!
Gula distrusse la falange D75. Ci fu
un’esplosione immensa e per un attimo fu come se il mondo tirasse un
sospiro di sollievo. E in tutto questo
io, Mito Manera, sono perplesso: ditemi, che storia ho scritto? Scrivete
qui: [email protected]”.
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“Sa che non me n’ero accorto?”.
Ma come?!
E’ che alla fine sei talmente perplesso che nemmeno ti incazzi...
Quando ho letto che la Adepti inaugurava una nuova collana
Pop non posso nascondervi che ho
esultato. Però adesso, boh. Sono
perplesso. Oppure... no vabbè, dai.
Non ha senso. Magari un’altra volta. O magari... naaaaa.
Queste recensioni sono ovviamente finte e l'autore è Alessandro Romeo, co-fondatore insieme ad amici
di rivistainutile.it. Le puoi trovare
anche qui: maciste.tumblr.com.
Contributi da:
Jacopo Cirillo non è mai riuscito a spiegare a sua
nonna cosa fa nella vita. Prima per colpa della semiotica, adesso per colpa di una casa editrice. Ha cofondato
questa rivista solo per poterle dire: faccio il co-fondatore di una rivista. E anche, ma secondariamente, per
poter dire quello che gli pare sui libri che legge.
Alex Grotto è la conseguenza di un'adolescenza sbagliata fatta di TV spazzatura, fumetti spinti e musica
sgangherata. Un eterno precario del buon gusto che
ancora non sa come trasformare la sua colta apatia in
denaro e affitti pagati, ma cerca di ovviare al problema
abitando in una stanza rancida di provincia e scrivendo
di musica su Vitaminic. E' sovrappeso, si veste malissimo ed ha occhiali grandi per darsi un tono che non può
permettersi.
Carlo Zuffa nelle ultime due decadi non ha raggiunto traguardi degni di nota e ritiene che la sua infanzia
sia stata traviata dal finale di “Marcellino Pane e Vino”.
Ora, di notte nel buio della sua cameretta, studia piani
segreti per i COBRA, i quali gentilmente gli hanno concesso un pò di tempo libero per co-fondare Finzioni.
Agnese Gualdrini, 27 anni, laureata in Filosofia nel
lontano 2005. Da ormai un anno vive e lavora a Roma in
una casa editrice con un non ben definito ruolo di giano bifronte (saltella tra l’ufficio diritti esteri e la valutazione degli innumerevoli dattiloscritti che ogni giorno
invadono la posta). Adora il caffè amaro, il lungotevere,
i libri di Natalia Ginzburg e cantare anche se violentemente stonata.
Licia Ambu pensa che avere una sola personalità sia
uno spreco di spazio. In fase di definizione a ciclo continuo, ama in ordine sparso (e intercambiabile) un sacco
di cose. Attualmente la posizione più quotata per guardare il mondo le sembra a testa in giù.
Sono Davide La Rosa e faccio i fumetti anche se non
so disegnare (so che questa cosa potrebbe far strabuzzare lo strabuzzabile ma avrei potuto fare il chirurgo senza
saper nulla di medicina). Sono nato il 23 giugno del 1980
e un giorno morirò ma non so darvi una data precisa.
Una volta morto, comunque, voglio essere caramellato.
Vabbè non c'è molto altro da dire su di me. Chi volesse leggere i miei fumetti può trovarli qui: http://www.
lario3.splinder.com/
Matteo Bettoli nasce in epoca reaganiana su un carro
di bovini, dal quale eredita la passione per la dinamicità. A 21 anni controlla i principali media di casa: 3 televisioni, 2 computer, l’abbonamento all’Espresso e la
radio ricevuta in regalo per la cresima. Decide allora di
trasferirsi. Studia a Bologna. Passa diverse giornate in
Sud Africa, Austria e Belgio. L'acronino di questi tre paesi è SAAB, che non a caso produce automobili brutte ed è
sull'orlo del fallimento. Abita a Roma e si sveglia presto.
Viviana Lisanti è laureata in scienze storiche e studia cultura editoriale all’Università Statale di Milano.
Momentaneamente si guadagna da vivere spacciandosi
per grafica nonostante non possa vantare alcuna conoscenza in merito. Nessuno fin’ora se ne è ancora accorto,
quando verrà smascherata sarà costretta a far fruttare
una laurea a detta di molti “inutile”.
Jacopo Donati studia Filosofia estetica a Bologna. La
sua carriera universitaria gli permetterà, al massimo, di
suonare l’organetto per strada: conscio di ciò, per non
pensarci, passa buona parte del suo tempo a scrivere, a
leggere e a inseguire innumerevoli passioni che, per lo
più, svaniscono nel giro di pochi giorni lasciando il posto a nuove manie.
n. 12 / Aprile 2010
[email protected]
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Edoardo Lucatti. Edo. Ode. Deo. Un essere flesso
nell’edibile, nella lirica e in un soprannaturale deodorante. Performer di incauta protervia, aruspice della significazione e calciapalle di poca morale. Semiònte per
alcuni, semiòta per altri, è una piccola fucina di omaggi
al vostro personale sconcerto teoretico.
Alessandro Pollini sta sviluppando le proprie capacità
medianiche con l'obiettivo di essere invitato a Misteri
e conoscere Ruggeri e Bossari con la faccia cattiva. Un
giorno diventerà anche un templare così sposerà la figlia di Giacobbo e passeranno la luna di miele in Egitto
saltellando allegramente tra le piramidi.
Michele Marcon ama così irrazionalmente le lettere
da aver avuto la leggerezza di confessare in famiglia una
certa velleità letteraria. Il giorno dopo il padre si presenta a casa con una maglietta del Milan autografa: “Allo
scrittore Michele, Kakà”. Nonostante incertezze sull’autenticità, Michele si sente fregato: gli tocca diventare
uno scrittore, non è più un affare privato. Per ora è un
abile lettore, ma la cosa triste è che tifa Juve praticamente dalla nascita.
Marina Pierri ha 28 anni e vive a Milano, dopo dieci
gloriosi anni passati a studiare/lavorare/fare radio/ fare
la dj in quel di Bologna. Si occupa a tempo pieno del portale musicale Vitaminic.it ma scrive anche su Rolling
Stone, PIG Magazine e Blow Up. Ascolta una media di
tre nuovi dischi al giorno, legge, guarda un sacco di film
e serie televisive americane.
Simone Rossi vive e scrive e suona alla Casa del Cuculo, “un posto dove ci piove dentro” (cit.). Sta volentieri
senza scarpe e fa un po’ fatica ad arrivare a fine mese.
Una volta è stato in Etiopia, poi è tornato e ha scritto La
luna è girata strana (Zandegù). Un'altra volta si è messo
davanti a internet e ha detto: Ciao internet, ho scritto un
(altro) libro. Se me lo finanzi in anticipo me lo pubblico
da solo. Ha funzionato: è nato sbriciolu(na)glio. A questo
punto dovresti andare su simonerossi.tumblr.com per
vedere come continua.
Andrea Meregalli è un pensatore di quasi venticinque
anni. In questo istante medesimo si arrovella su quesiti
del tipo: “Cosa farò da grande?”. Assiduo frequentatore
di autostrade nonché massimo esperto in campo internazionale di prodotti quali friggitrici, scalda patate,
piastre per panini e salamandre, ama molto abbinare
correttamente i boxer con le calze. Passa buona parte
della sua giornata a leggere le scritte oscene sulle porte
dei cessi nei centri commerciali.
Fabio Paris nasce impagliato, e così finirà, per evitare
che gli amici ballino sulla sua tomba. Zingaro, in accezione monicelliana, ha studiato chimica, seguendo la
sua passione per la geopolitica. Ora vive facendo l’inviato da Pittsburgh per Finzioni e spacciandosi per esperto
di nanotecnologie.
Greta Travagliati, semiotica appassionata di arte,
Proust e culturalizzazione della merce. Si interessa di
tendenze e chincaglierie del contemporaneo anche se
avrebbe preferito vivere nell’800. Attualmente vive a
Milano dove lavora in un centro ricerche e dove spera
aprano presto Starbucks colorati, una pasticceria turca
ed un centro di gravità permanente a forma di pera.
Filippo Pennacchio, già in tenera età plagiato dalla
figura di Lee Harvey Oswald, a tutt’oggi suo eroe personale, vive a Milano, dove studia, fa la spesa alla Pam, frequenta concerti di dubbio gusto e beve dei gran birroni.
Quando non sa che fare, ammortizza i propri desideri
nel sapere, manco fosse un personaggio delilliano, leggendo libri dalle cinquecento pagine e oltre. Di conseguenza, alle volte si annoia tantissimo.
Maria Giovanna Ziccardi, laureata in giurisprudenza
a Trento nel lontano 2008, sotto una nevicata epocale, ha
una spiccata vocazione per i lavori non pagati. Si barcamena tra case editrici, udienze e cronaca locale. Pensa
che la matematica sia alla base del declino della civiltà
moderna e crede che chi è capace di fare la conversione
euro-lira sia dotato di capacità divinatorie. Ama leggere
e scrivere, ma non leggere quello che ha scritto.
Finzioni è disponibile
solo su abbonamento.
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