La nozione di parco di sculture all`aperto con alcuni esempi
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La nozione di parco di sculture all`aperto con alcuni esempi
I territori della scultura contemporanea. Arte all'aperto in Emilia Romagna. Realtà ed esperienze a confronto - Ferrara, Salone del restauro, 3 aprile 2003 Intervento di Renato Barilli Direttore Dipartimento Arti Visive dell'Università degli Studi di Bologna La nozione di parco di sculture all'aperto con alcuni esempi: la Fattoria di Celle e il Parco di sculture all'aperto di Santa Sofia Io sono notoriamente un difensore dell'arte contemporanea e quindi tra i vari meriti che le riconosco ce n'è uno che ci serve proprio per ribadire quanto ha già detto la dottoressa Carlini, infatti l'arte contemporanea soprattutto negli svolgimenti più recenti ha denunciato un fenomeno gravissimo intervenuto nell'800, ma con gravi riflessi anche per gran parte del 900. Cos'è successo nell'Ottocento? Un fenomeno che potremmo dire di requisizione dell'arte, pittura e scultura, la quale è stata forzosamente privatizzata. Provate un poco anche in questo momento a chiedere attorno a voi, o magari a voi stessi, cosa vuol dire fare un dipinto. La gente, l'opinione pubblica vi risponderebbe che fare un dipinto significa lavorare a un quadro. E che cos'è un quadro? E' un pezzo di tela di formato medio da montare su telaio e possibilmente da incorniciare, il quale quadro è destinato alle pareti delle case delle persone ricche, e quasi per definizione le persone ricche; e quelle che potevano acquistare un quadro per tutto l'800 e anche per gran parte del 900 erano i membri della classe borghese, la classe facoltosa, la quale così privatizzava le opere, le toglieva da una fruizione pubblica e le riservava ad una fruizione di pochi invitati. Perché certo i borghesi acquistavano i quadri, le nature morte, i paesaggi, i ritratti ecc., magari perché li amavano davvero, non voglio mica dire, ma soprattutto per gloriarsene assieme ai loro simili, invitavano cioè le persone del loro stesso rango sociale e tutti assieme fruivano di questi oggetti, che così erano tolti da una pubblica circolazione. Per la scultura più o meno avveniva la stessa cosa, era bene che lo scultore non si lanciasse nei grandi formati, meglio se procedeva al bronzetto, alla sculturina, al bozzetto il quale finiva negli appartamenti degli abbienti che lo mettevano su delle basi, dentro teche e comunque anche in questo caso l'opera veniva segregata da un pubblico circuito. E' vero che esistevano anche i musei, e certo bisogna riconoscere che l'Ottocento ha creato un validissimo sistema di musei che si continua anche nel Novecento, ma curiosamente il museo cioè l'istituzione pubblica eredita o accetta questi stessi criteri se volete di privatizzazione, perché il quadro certo viene comprato dalla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma o dal Palazzo dei Diamanti di Ferrara, ma per essere collocato nelle stanze, appeso alle pareti. Quanto alla scultura, anche questa è destinata a degli interni, e allora è bene che il singolo pezzo non sia molto ingombrante perché se no crea dei problemi. Si potrà obiettare che però il museo è aperto alla cittadinanza, molte volte è anche gratuito, d'accordo, però c'è sempre questo diaframma, potremmo dire, questo ingabbiamento. L'opera, insomma, deve essere tolta dalla fruizione pubblica, dalla comunità e dall'ambiente. Si delinea allora una necessità di segno opposto, di riportare l'opera d'arte nell'ambiente. Ricordate che "ambiente" significa ciò che va attorno a noi, ciò che ci circonda, lo spazio in cui viviamo, che prima di tutto è uno spazio aperto, quindi dobbiamo avere il coraggio di uscire dal chiuso. Senza dubbio la circostanza di vivere in appartamenti, in stanze è ottimale, soprattutto quando ci sono giornate come quella d'oggi con vento e pioggia, però la nostra condizione umana di fondo di esseri sociali è di vivere fuori, di vivere in comunità assieme a tutti gli altri, viceversa l'800 e anche la prima parte del 900 aveva posto delle proibizioni, dei divieti ferrei, per esempio il cosiddetto Movimento Moderno che è stata una grande cosa, negli anni 20, diceva che è bene che le pareti dei nostri edifici, delle case, scuole, banche, chiese, siano fatte con vetro e cemento, e l'ornamento deve essere considerato un delitto; c'è in proposito una frase famosa dell'architetto austriaco Adolf Loos, che proprio all'inizio del secolo ammonisce: ricordatevi che l'ornamento è un delitto. Quanto ai membri del Movimento Moderno, essi proclamano: meno fai e meglio è, (less is more), allora viene fuori quella visione austera appunto del vetro-cemento, quanto poi ai monumenti è meglio lasciar perdere perché i monumenti si prestano alla retorica. Ne segue insomma un clima di rigore puritano che provoca anche quella che è stata definita una deprivazione sensoriale, sarebbe come se nel cibo vi buttaste a mangiare ogni giorno spaghetti all'olio e bistecchine ai ferri; certo sono prodotti molto sani ma alla fine tutto questo determina una deprivazione sensoriale, la vita è bella perché è intensa, i nostri sensi vogliono godere, l'estetica deve essere soddisfatta. Prima l'Assessore accennava giustamente al bello, una parola che può essere anche equivoca, non però se si afferma che la bellezza è l'intensità della partecipazione totale con i sensi ai piaceri della vita. Ebbene, l'arte contemporanea soprattutto negli ultimi decenni ha riaffrontato questo problema e ha proclamato: non è vero che l'ornamento è un delitto, anzi l'ornamento è una necessità, e proprio per questo non deve essere mantenuto solo nel segreto delle stanze, nella dimensione della privacy, ma si deve diffondere nei muri delle case, negli esterni. Questi valori devono tornare a essere fruibili da parte della comunità. Prendete per esempio il problema del graffitismo su cui è di moda oggi dire tutto il male possibile, e senza dubbio con una parte di ragione, non sono certo un sostenitore del cosiddetto graffitismo selvaggio: quando vediamo gli anonimi graffitisti vergare dei segnacci sulle pareti non possiamo frenare un moto di ripulsa, ma dobbiamo anche riconoscere che essi indicano un bisogno effettivo, infatti oggi non possiamo più accettare che i muri siano intonsi, che siano appunto fatti di vetro- cemento, bisogna tornare a decorare i muri in nome del cosiddetto arredo urbano; e in questo l'ente pubblico ha una grossa responsabilità, quando l'assessore Barbieri ha detto che si chiede come la Regione possa intervenire ha posto un giusto problema, la Regione dovrebbe finanziare i giovani artisti, quelli che sanno come fare, quelli che hanno un mestiere, per condurre assieme ad essi grandi operazioni di arredo urbano, di decorazioni dei nostri muri pubblici, scuole, uffici, ospedali, al loro interno ma anche e soprattutto nell'esterno. Se così si facesse, vedremmo sparire il graffitismo selvaggio. Insomma, qual è il modo per rimediare? Non di perseguitare i poveri anonimi graffitisti che in fondo agiscono, conviene ripetere, in quanto spronati da un bisogno fondamentale che è in tutti noi, ma bisogna che i muri si coprano di graffiti intelligenti, fatti come si deve. Un discorso molto simile vale anche per la scultura, cioè per le manifestazioni di carattere plastico, anche queste devono riaffacciarsi all'esterno, non dobbiamo più avere paura di collocare nel nostro contesto ambientale dei segni tangibili dell'arte dell'uomo che devono dialogare nel modo giusto con la natura. Detto questo, riconosciuta cioè la necessità di rilanciare la scultura come elemento dell'ambiente che lo viene a vivacizzare, ad arricchire, possiamo dire però che ci sono due modalità secondo cui un simile discorso di scultura ambientale può essere perseguito. Infatti esso può riguardare l'ambiente urbano, cioè il contesto delle case, delle vie cittadine, dei muri che da noi in genere sono fortemente connotati, hanno la patina del tempo, e allora in questo caso io credo che gli interventi, cioè in sostanza i monumenti, si devono fare, ma in modo da adattarsi in qualche misura a questo spessore storico, fortemente antropico. Insomma e in un contesto urbano vanno bene interventi di scultura diciamo pure figurativa, iconica cioè di una scultura che in qualche modo è monumento, ricorda le operazioni umane quindi ricorda anche la figura umana, naturalmente nei modi che sono leciti al giorno d'oggi. E poi invece c'è l'ambiente naturale di cui siamo così consapevoli, la dimensione ecologica oggi tanto cara a tutti, che è anche l'aspetto in cui la natura dimostra la sua grandiosità nella vegetazione, nelle formazioni geologiche, e allora in questo caso va molto bene l'arte che si dice volgarmente di tipo astratto, ma sarebbe meglio forse dirla concreta, intendendo un'arte che non simula le forme umane ma propone delle concrezioni autonome, come sarebbero i cubi o i prismi. Ebbene, è questa che si adatta benissimo al dialogo con l'ambiente naturale. D'altra parte tra le due vie esiste uno scambio continuo, un'osmosi, probabilmente i criteri che io ho indicato sono contestabilissimi, e forse anche cancellabili, superabili. Comunque la cosa fondamentale è che l'operazione d'ambiente si deve fare, questo è un diritto-dovere delle comunità d'oggi, che quindi si trasmette all'ente pubblico, stato, regioni, comuni, province, fondazioni. A loro spetta il compito di muoversi in questo senso, cioè di finanziare gli artisti sia che intervengano a livello pittorico con decorazioni di superficie, sia che invece conducano operazioni plastiche nell'ambiente. In ogni caso è dovere dell'ente pubblico intervenire, finanziare la ricerca, la produzione come avveniva nei tempi migliori, come il romanico o il gotico, le grandi stagioni del passato quando appunto la comunità si faceva carico del lavoro degli artisti e artigiani che lavoravano sotto gli occhi di tutti per tutti. Questa socializzazione dell'arte deve essere sentita come una profonda esigenza. Dopo aver accennato a queste coordinate teoriche del problema, che naturalmente richiederebbero forse un approfondimento ben maggiore, passo a fornire almeno due esempi, partendo da un caso abbastanza lontano da noi, che però è forse il più glorioso ad essere stato condotto nell'Italia del secondo dopoguerra, a partire dagli anni 70 del secolo scorso, ad opera di un privato, Giuliano Gori che ha acquistato una bellissima collina nei pressi di Pistoia e lì ha fatto un esemplare parco di sculture all'aperto. Poiché in questo caso le sculture installate in quel luogo dialogano appunto con la natura, con la formazione geologica del colle, la vegetazione che lo ricopre ecc., le soluzioni più adatte sono del tipo che ho detto astratto o concreto, e così il visitatore che si reca alla Fattoria di Celle (questo il nome della località a pochi chilometri da Pistoia) viene accolto come biglietto da visita, come motivo introduttivo, da una scultura di Burri. Burri normalmente ha lavorato sulla superficie ma è anche un produttore di formazioni concrete su piano o più raramente nello spazio tridimensionale come per esempio questa griglia poderosa, che però forse nelle vie o nelle piazze delle nostre città così connotate striderebbe un poco, mentre la trovo splendida proprio in questo bel prato vicino a motivi vegetali, mentre se posta vicino al vostro Castello Estense probabilmente lo turberebbe, ci sarebbe un attrito tra due espressioni così diverse come mentalità e allora bisogna evitare appunto gli attriti. Vi mostro ora le opere di un artista oggi quasi sessantenne, Mauro Staccioli. Lo rivedremo altre due volte perché è un artista che si presta moltissimo agli interventi ambientali, tant'è vero che io una volta scherzosamente mi sono permesso di usare una battuta, a proposito della questione di come definire sul piano teorico i parchi di sculture all'aperto, formulando una definizione del genere: dicesi parco di scultura all'aperto quel luogo che ha almeno una scultura di Staccioli. Il frequente ricorso a questo artista risponde anche al fatto che egli non è esoso nella richiesta di retribuzione per l'opera svolta. In fondo, è la concezione privatistica che fa dell'opera d'arte una merce di lusso e quindi l'artista è autorizzato a farsi pagare salato; se invece egli diventa una specie di funzionario pubblico, si sa che i funzionari pubblici strappano delle paghe inferiori a quelle ottenute dai grandi professionisti. D'altra parte se le istituzioni entrano in questo ordine di idee di commissionare lavori, la possibilità di intervento si fa più sicura; se insomma le occasioni di lavoro diventano capillari e frequenti, perché la comunità lo esige, i prezzi delle prestazioni possono calare. Questo di Staccioli che vedete è un perfetto intervento del tipo d'arte "concreta", dove l'artista sfida la natura, gareggia con la natura, mentre un'opera del genere probabilmente se inserita in un contesto urbano striderebbe alquanto. Però mai dire mai, perché lo stesso Staccioli in un'altra occasione ha eretto questo bellissimo monolito nella piazzetta di una cittadina del Chianti, Greve, che sta benissimo. Diciamo allora che Staccioli è quasi in equilibrio indifferente, ci dà delle produzioni plastiche così felici nella loro semplicità che stanno bene dovunque. Nel parlare di questa realizzazione di Staccioli mi sono allontanato un momento dalla fattoria di Celle per accennare ad un'operazione ambientale in grande stile che ha realizzato un nostro corregionale, il romagnolo Fabio Cavallucci quando ha lavorato in Toscana organizzando la cosiddetta "Tuscia Electa", disseminando nel bellissimo territorio del Chianti una serie di monumenti, cioè commissionando agli artisti opere per questi luoghi. Ma torniamo alla Fattoria di Celle dove fra le altre vediamo anche l'opera dei coniugi francesi Anne e Patrick Porier, che sta benissimo in questa forra del parco, però il loro tipo di arte si presenta volutamente con un forte spessore storicista, rientra cioè nella problematica che si dice anche della citazione. Oggi molti artisti hanno capito che bisogna fare i conti col passato o col museo e lo citano, però in forme straniate, come si dice, lo recuperano ma in modi ingegnosi e rinnovati, infatti sembra di vedere dei frammenti di opere ciclopiche emerse grazie a qualche scavo archeologico. Si tratta insomma di forme ricche di spessore antropico, molto lontane dalla morfologia della natura. Ritorniamo invece alla casistica di una piena immersione in essa con l'opera di Mario Merz, che ricorre a elementi elettronici; usa molto i numeri al neon appartenenti alla serie detta di Fibonacci, un matematico pisano vissuto nel XIII° secolo: serie che regola in qualche modo i grandi fenomeni naturali della crescita di piante e animali, così è provvidenziale per chi vuole operare in un contesto di natura. Un bellissimo parco di sculture all'aperto è sorto nella nostra regione Emilia Romagna, in provincia di Forlì, nel paese di S. Sofia, ai piedi dell'appennino tosco-emiliano, nell'ambito di un parco fluviale previsto lungo il Bidente, il fiume che anima questa vallata. Qui di nuovo è di scena Staccioli che in realtà ha collocato questi dischi macroscopici nel giardino pubblico del paese, il che conferma quanto questo artista è adatto a un contesto. Lo possiamo ripetere anche per un altro artista, Eliseo Mattiacci, con le sue costruzioni massicce, che forse turberebbe se collocata in un contesto urbano. Ecco poi i massi squadrati di Carrino, che vengono collocati l'uno sopra all'altro, come se un gigante si divertisse a giocare con essi. Abbiamo tra noi a questo tavolo la presenza di Luigi Mainolfi, che a S. Sofia ha costruito una specie di stele ricoperta di piastrelle di terracotta finemente lavorate, c'è anche una scaletta all'interno proprio come le colonne cocliti della romanità. Anche in questo caso si può parlare di un esito in equilibrio indifferente, dato che questa costruzione sta benissimo in un prato naturale, ma starebbe altrettanto bene in una piazza di città, e lo si può ripetere anche per i coniugi Porier di cui vi ho parlato per quel bel lavoro che hanno collocato alla Fattoria di Celle. Sono intervenuti anche il letto del Bidente a S. Sofia costruendo una situazione mitologica. Fate conto che Ulisse o qualche altro eroe del mondo greco, risalendo i nostri fiumi, sia approdato lì e dalla imbarcazione abbia tolto il tempietto dei penati, e dunque hanno sparso nel letto del fiume alcuni oggetti pieni di sapore storicista, cittazionista, rievocativo e ne è venuta di nuovo una soluzione perfettamente intonata al il contesto urbano. In conclusione, le vie per fare un'arte ambientale possono essere diverse, bisogna fare differenza se il contesto è urbano o naturale, però la necessità assoluta è di intervenire comunque. E dunque portiamo l'arte fuori dai musei, fuori dalle collezioni private, rimettiamola a contatto con la vita, cioè facciamo di essa sia sotto l'aspetto pittorico con la decorazione dei muri, sia sotto quello plastico, la costruzione di i monoliti, un fatto ambientale che la comunità deve poter fruire, e in un'impresa del genere c'è lavoro per tutti, per gli artisti in primo luogo, per i committenti pubblici o privati, per noi critici, per il pubblico che ritorna ad essere il fruitore naturale e spontaneo di questa produzione. Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Via Galliera 21, 40121 Bologna tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - [email protected]