09-01-2005 Testata - Centro Studi Luca d`Agliano
Transcript
09-01-2005 Testata - Centro Studi Luca d`Agliano
Identificativo: DO20050109006AAA Data: 09-01-2005 Testata: IL SOLE 24 ORE DOMENICA Riferimenti: ECONOMIA E SOCIETA' Pag. 34 Cataclismi e sviluppo - Una lezione storica per comprendere le conseguenze economiche delle catastrofi naturali e le peculiarità di quella che ha colpito l'Asia Tsunami, aiuti oltre l'emergenza Non ci si può fermare alla mera contabilità del Pil, che valuta poco le vite dei bambini e dei poveri. I fattori politici e redistributivi sono cruciali. Come ha dimostrato Amartya Sen Giorgio Barba Navaretti di Giorgio Barba Navaretti Il summit di Giakarta per coordinare gli interventi a favore dei Paesi colpiti dallo tsunami è una buona notizia. Per quanto gli aiuti allo sviluppo siano sempre al centro dell'agenda dei vertici del G8, per quanto l'obiettivo di dimezzare il numero di poveri del mondo entro il 2015 (i Millenium Development Goals) sia condiviso da tutti, i Paesi ricchi sono stati negli ultimi anni particolarmente restii ad aumentare i finanziamenti ai Paesi poveri. Ma l'efficacia di Giakarta dipende da quanto le risorse destinate allo tsunami saranno utilizzate tenendo conto degli effetti economici di lungo periodo e non soltanto dei problemi più contingenti. Le cifre stanziate da governi e istituzioni internazionali sembrano adeguate: circa un miliardo di dollari per gli interventi di urgenza e 4 miliardi di dollari come impegno complessivo. Ma identificare i costi di lungo periodo di un disastro di questa entità e definire una lista di priorità non è semplice. Bisogna tenere conto di effetti diretti e immediati (la perdita di vite umane, la distruzione delle proprietà...), secondari (le epidemie...) e indiretti (la stabilità macroeconomica, la modifica della composizione delle attività economiche, il cambiamento del reddito relativo dei diversi gruppi sociali...). Qualche lezione importante si può però trarre da diversi studi su altri disastri naturali, la tragedia dell'Aids in Africa, le inondazioni del Bangladesh e del Bengala, le grandi siccità del Malawi. Partiamo dal problema dei bambini. Ha suscitato grande commozione la notizia di migliaia di bambini morti o rimasti orfani nell'onda dello tsunami. Ma da un punto di vista economico, come dobbiamo valutare il dramma dei bambini? Qui c'è un parallelo con l'Aids in Africa. Nonostante il numero enorme di persone colpite e di morti, diversi studi hanno stimato che l'epidemia comporti una perdita di prodotto interno lordo pro capite solo dell'1% all'anno. La ragione è che in Paesi sovrappopolati l'Aids riduce la pressione su risorse scarse come terra e capitale e aumenta la produttività del lavoro. In termini di punti di prodotto interno lordo i poveri e i bambini valgono poco. Ma queste stime non tengono conto dell'importanza della catena intergenerazionale, ad esempio per la trasmissione dell'educazione e della conoscenza. Un rapporto di Clive Bell e Hans Gersbach dell'Università di Heidelberg e di Shanta Devarajan della Banca mondiale mette in evidenza come l'Aids abbia effetti devastanti sulla formazione di capitale umano e sulla crescita di lungo periodo attraverso tre canali: uccidendo le generazioni più produttive; uccidendo genitori e dunque tagliando la catena di trasmissione di conoscenza e riducendo la probabilità che i bambini abbiano un'educazione; limitando la capacità dei futuri genitori di dare una buona educazione ai propri figli. L'effetto di questo processo intergenerazionale è un collasso economico ritardato, sulle spalle delle generazioni future. É dunque essenziale che gli interventi per il maremoto si concentrino sui bambini orfani. Non solo per carità e compassione, ma in quanto è in gioco il futuro economico di questi Paesi per diverse generazioni. Altro aspetto importante di cui tenere conto è la struttura dell'economia colpita. I Paesi del maremoto sono molto diversi tra loro: la Thailandia e le Maldive hanno un reddito pro capite molto più elevato degli altri Paesi e una forte specializzazione nel turismo. Le aree colpite di Indonesia, India e Sri Lanka sono povere, rurali o dedicate alla pesca. Un recente studio della Banca mondiale e dell'Overseas Development Institute di Londra sui disastri naturali in Bangladesh, nella Repubblica Dominicana, in Malawi e in Sudafrica dimostra come l'incidenza di questi fenomeni sia tanto minore e la capacità di recupero economico maggiore quanto più l'economia è diversificata. Il caso del Bangladesh è piuttosto emblematico. Nel 1970 il Bangladesh fu colpito da un ciclone catastrofico che uccise più di 300mila persone. Allora, l'economia del Bangladesh era fortemente specializzata nella coltivazione di riso e di juta, entrambe estremamente vulnerabili alle inondazioni. A partire dagli anni Ottanta la struttura dell'economia del Bangladesh è cambiata radicalmente. In agricoltura sono state introdotte specie di riso che vengono coltivate durante la stagione secca e dunque non subiscono il rischio delle inondazioni. Inoltre è cresciuto il peso dell'industria manifatturiera e dei servizi, attività in genere meno soggette ai disastri naturali. Di conseguenza le inondazioni del 1998, pur confrontabili con quelle precedenti, hanno avuto effetti molto limitati sulla crescita dell'economia. Tornando al maremoto è chiaro che i Paesi più poveri e specializzati in attività esposte ai disastri naturali sono quelli che risentiranno le maggiori conseguenze nel lungo periodo e verso i quali sarà necessario concentrare gli sforzi. I meccanismi di "early warning" serviranno comunque a poco se non si riuscirà anche a modificare e a diversificare la struttura produttiva verso attività meno vulnerabili. Infine, un'ultima lezione ci viene da un classico straordinario, lo studio di Amartya Sen del 1981 sulle carestie in Bengala nel 1942, in Etiopia nel 1973 e in Bangladesh nel 1974, tutte scatenate da disastri naturali. In queste situazioni, come nel caso del maremoto, la principale preoccupazione è la mancanza di cibo, e gli interventi di aiuto cercano di compensare questa carenza inviando derrate alimentari. In realtà, dimostra Sen, molto spesso il problema non è la disponibilità, l'offerta di alimenti, ma bensì il loro costo relativamente al potere di acquisto di diversi gruppi sociali. Sen dimostra che nei tre casi studiati il cibo era effettivamente disponibile, ma per molti era troppo caro. Infatti, i disastri naturali possono modificare in maniera non ovvia il potere d'acquisto degli individui, ad esempio attraverso una riduzione dei salari di chi lavora in settori colpiti dal disastro, o attraverso una riduzione dei trasferimenti dallo Stato le cui risorse vengono utilizzate per altri interventi di urgenza. Il contributo fondamentale di Sen allo studio delle carestie, che ci torna utile anche nel caso dello tsunami, è che le politiche di supporto alimentare devono non solo garantire un'offerta di cibo adeguata ma anche il livello di reddito delle fasce più deboli della popolazione. Insomma, i milioni di Giakarta saranno molto utili, ma devono essere spesi con oculatezza e in parte al di fuori della logica dell'emergenza. Soprattutto, devono essere milioni aggiuntivi e non sottratti dagli aiuti a qualche altro Paese povero, Africa in testa. Sarebbe una vera beffa se alla fine il costo degli interventi per il maremoto cadesse sulle spalle degli africani. barba unimi.it Clive Bell, Shanta Devarajan e Hans Gersbach, <The Long-run Economic Costs of Aids: Theory and an Application to South Africa>, World Bank, 2003, worldbank.org; Charlotte Benson ed Edward J. Clay, <Understanding the Economic and Financial Impacts of National Disasters>, World Bank, 2004, worldbank.org oppure odi.org.uk/tsunami.html; Amartya Sen, <Risorse, valori e sviluppo>, Bollati Boringhieri, 1992, capitolo 10: <Elementi dell'analisi delle carestie: disponibilità e attribuzioni>. Foto: 5 gennaio 2005, una bambina del villaggio di Vilunthamavadi nell'India sud orientale descrive l'arrivo dello tsunami a un gruppo di psicologi che valutano gli impatti emotivi sulle vittime della tragedia (Ap)