il-sole-24-ore - Elliot Edizioni

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il-sole-24-ore - Elliot Edizioni
IL – SOLE 24 ORE
http://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2016/09/le-provenienze-dellamore/
PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE
Pubblichiamo un estratto del libro su Nick Drake, che esce oggi nelle librerie
Stefano Pistolini
Le provenienze dell’amore. Vita, morte e postmortem di Nick Drake, misconosciuto cantautore
inglese, molto sexy
Elliot Edizioni, 2016
190 pagine, 16,50 euro
Forse sono comparse le prime immagini video del cantautore inglese, brevissime, confuse e
incerte. Una delle firme di IL, nel suo libro che esce oggi per Elliot Edizioni, spiega perché
sono così importanti
Aspettate ancora un momento. Non andate via. Com’è spietato il nostro mondo d’oggi! E cosa
diavolo c’entra, con questi tempi, un ragazzino viziato e lunatico che cantava degli uccelli che
volavano via, pensando fosse meglio restare lassù, nell’aria alta? Come sapete, adesso nulla si
nasconde, le protezioni sono sbriciolate, siamo tutti esposti e tracciati. Anche Nick Drake.
Un’infinità d’anni dopo la sua morte, è stato individuato. Forse, soltanto forse. Ma noi vecchi
habitué pensiamo sia vero. Sono saltate fuori delle immagini in movimento di Nick. Le prime.
Sapete bene che differenza ci sia tra una foto posata e il vedere un corpo muoversi, esprimersi. Per
carità, niente di rilevante e soprattutto niente di musicale. Niente di veramente riconoscibile, per di
più. Solo il frammento di un vecchio filmino, della risibile durata di 12 secondi. Un tipo inglese l’ha
ricevuto da un appassionato di folk britannico, ci ha pensato su e poi l’ha pubblicato sulla bacheca
globale di YouTube con un titolo sensazionale: Nick Drake ’70 festival. La scena, completamente
muta, è ripresa sul sentiero d’accesso a un rock festival. È giorno pieno. Verso di noi vengono
alcuni giovani, con barbe, capelli lunghi, jeans scampanati, borse di cuoio a tracolla, magliette
colorate. Di spalle invece avanzano a figura intera due ragazzi connotati dalla diversità con
l’ambiente circostante: il primo ha una giacca di velluto nero, jeans grigi, è altissimo e magrissimo e
si muove con un passo d’inconsueta levità, quasi galleggiasse nell’aria – e non è suggestione,
garantito. Ha i capelli neri, lisci e lunghi fin sulle spalle. Un paio di metri dietro di lui, cammina il
compagno, stesso stile e stessa andatura, solo è vestito di chiaro, giacca e pantaloni color sabbia.
L’uomo in nero è Nick – sarei pronto a giurarlo, anche se nulla potrà confermarlo. È Nick con un
amico, arrivato a uno di quei festival che popolavano le estati inglesi. Non lo vediamo in faccia, non
si volta mai, cammina ingobbito, assorto e distante da ciò che lo circonda. Il compagno invece si
guarda intorno più rilassato e per un momento ci offre la fuggevole visione del suo profilo. Il
silenzio della scena la rende esoterica, perfino drammatica. È l’atto della riapparizione. Grottesca
per come avviene, su un social, con la scena rubata da un cineamatore di passaggio.
Tra chi ha studiato questo frammento, s’ipotizza che la scena sia stata ripresa nel weekend dal 14 al
16 agosto 1970, allo Yorkshire Folk, Jazz e Blues Festival, a cui Nick era stato invitato a
partecipare, sebbene la sua presenza non fosse annunciata in cartellone e ricadesse
malinconicamente in quel “& many others” che pubblicizzava l’evento come l’unico nel Regno
Unito con oltre cinquanta ore di top band. In programma Elton John, gli Who, Mungo Jerry, gli
Yes, ma anche amici di Nick, come Fairport Convention e Pentangle. Non è difficile pensare che
Nick si sia fatto convincere a salire lassù, a Krumlin, Barkisland, con la chitarra e il vago impegno a
suonare tre o quattro canzoni. Il festival, comunque, finì in un disastro, per colpa dei temporali che
lo flagellarono da subito, strappando le tende dei 25.000 convenuti, messi in fuga dal cielo
tempestoso – lo racconta la cronaca di International Times, che parla addirittura della morte di una
persona e del ricovero per assideramento di 330 ragazzi. Nick, se avesse suonato, avrebbe dovuto
farlo il venerdì, nel genericamente annunciato “all night folk, blues concert”. Le cose però andarono
male subito. La musica doveva cominciare alle tre del pomeriggio, ma alle sette e mezza ancora non
era stata suonata una sola nota, tra la disorganizzazione generale e gli allarmi per il maltempo. La
polizia aveva già chiuso l’accesso al prato che ospitava il festival e infine le cose erano cominciate
alla meno peggio. Un Elton John su di giri era riuscito a finire una notevole esibizione. Poi era
scoppiato il finimondo e la fuga generale.
Il filmato lo collochiamo, a nostro insindacabile giudizio, tra la mattina e le prime ore del
pomeriggio di venerdì 14 agosto 1970. E così lo spettro scuro di Nick fa il suo maestoso ingresso
nella nostra vita. Svelandoci, nei dodici secondi prolungati ad arte col ralenti, come fosse davvero.
Come fosse vederlo. Sia pure solo di spalle. Seguirne qualche passo. È lui, siamo sicuri. È stato
dissepolto, si offre, e subito s’allontana, a larghe falcate. Le spalle sono più strette di quel che ci
aspettavamo, la sagoma è più affusolata di come per decenni l’abbiamo immaginata. La sua
andatura ha qualcosa di disturbante, come esprimesse un ansia mal controllata. L’amico deve averlo
accompagnato là per il concerto, poi le cose si sono messe male, regnava il caos, Nick si è
innervosito, ha pensato d’andarsene, forse cammina in senso contrario alle altre figure perché sta
lasciando il festival. Forse, forse, forse di qua, forse di là. Non contano i dodici secondi, non conta
se il festival è quello o un altro, e se Nick c’era o non ha mai pensato di andarci, o se è un altro
posto. In realtà non conta nemmeno se quello è davvero lui (ma è lui, c’è da giurarci: nessuno è
così).
Questo è il nocciolo della questione: cosa facciamo, anzi, cosa ciascuno di noi può fare dei suoi eroi
attraverso il proprio immaginario? Come possiamo plasmarli e modificarli, impersonarli,
manipolarli e rigenerarli? Come possiamo esercitare il supremo procedimento del transfert: loro
perfetti e intatti al nostro fianco, mentre noi invecchiamo e ci dissolviamo? Come possiamo
riversare, in un corpo magro esile e senza identità, i nostri desideri e i nostri sogni? Come la morte
diventa la complice ideale, in questo gioco perverso per macchine desideranti. La morte che
cristallizza e crea l’eterna gioventù. Che ricama sulla bellezza e sull’eternità dell’arte. Che rende
solenne e assoluta la bellezza. Nick diventiamo noi. Nick è il nostro sogno infinito, di ciò che non
sappiamo essere.
Anche noi volevamo essere decadenti e magnifici come i due ragazzi snob che camminano
controcorrente in quel remoto weekend di festival, col loro stile d’élite, l’ironica, sofisticata
eleganza che irradiano con naturalezza. Ci sarebbe piaciuto commuoverci osservando il volo
sfuggente degli uccelli e i riflessi del cielo che cambia. Per anni abbiamo scelto un fantasma per
modello e ora – miracolo! – davvero l’abbiamo intravisto. Ma no, no, non servono conferme,
testimonianze e prove. Siamo noi, è la prova dei nostri desideri. Perché siamo noi la nostra cultura e
le nostre sottoculture. Siamo noi il luogo dell’amore, a cui vorremmo sempre tornare. Per poi andar
via. Girare il mondo. E tornare di nuovo. Sempre. All’infinito.