lettera di lucia a Anna/Alessandro corretta 10 Nov
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lettera di lucia a Anna/Alessandro corretta 10 Nov
Londra, 5 Novembre 2014 Cara Anna e Caro Alessandro, vi ringrazio caldamente del vostro invito a partecipare a Radiofonica, purtroppo non ho ancora recuperato piene forze per unirvi a voi come promesso e presentare come mi avete chiesto una vera e propria relazione. Scusandomi con voi e gli ascoltatori per la mia assenza, vorrei tuttavia condividere con voi qualche pensiero nato durante questa prolungata convalescenza. Vi confido che mai come in questi due mesi trascorsi (più o meno a letto) ho ascoltato e apprezzato così tanto la radio! Ma di quale radio sto parlando, vi chiederete? E da cosa nasce tale apprezzamento? Non c’è una singola entità che costituisce ciò che normalmente chiamiamo “radio”, ma esiste piuttosto una moltitudine di radio, ognuna con la sua storia, identità, modalità di trasmissione, apparato. Non voglio entrare qui in merito alle questioni riguardanti i dispositivi tecnologici, l’analogo e il digitale, ma spesso si dice che la specificità della radio, in particolare la radiotrasmissione, consiste nell’avere un tempo specifico. Diversamente da internet, la radio è in altre parole un time-specific media. Cogliendo il suggerimento del musicista Robert Normandeau, vorrei tuttavia suggerire che la vera specificità della radio, è la sua intimità: la radio ha la virtù di parlarti direttamente, di esserti vicina e toccarti nella distanza, ed è per questo che è stata definita da McLuhan un hot media. Ma cosa significa intimità o cosa definisce l’intimità? Nel suo libro Privacy and Publicity, uno studio sul rapporto tra architettura moderna e mass media, Beatriz Columina afferma che l’intimità non è uno spazio ma una relazione tra spazi. Diversamente dallo spazio privato, l’intimità non può essere semplicemente localizzata nella sua opposizione allo spazio pubblico. Riprendendo un’osservazione di Hannah Arendt, Colomina sostiene che contrariamente allo spazio domestico l’intimità del cuore non ha uno spazio oggettivo, tangibile nel mondo, così come la società non può essere localizzata, identificata in termini di spazio pubblico. L’intimità scivola al di fuori della dicotomia pubblico e privato, si manifesta piuttosto come relazione porosa tra un dentro e un fuori che non è rappresentabile da uno spazio fisso, fisico, architettonico, ma è primariamente uno spazio psicologico. Parlando di ascolto, lo stesso Roland Barthes afferma che la differenza tra listening (che potremmo tradurre qui con sentire o ascoltare attentamente) e hearing (udire) consiste nel fatto che l’udire è un fenomeno fisiologico mentre l’ascoltare è un atto psicologico. Su questa falsariga la compositrice Pauline Oliveros afferma che l’udire è una percezione primaria, accade involontariamente, mentre l’ascoltare è un processo volontario che va coltivato attraverso l’esperienza e l’apprendimento. Se cerco di descrivere la mia esperienza di questi giorni annebbiati dall’ansia e la fretta di guarire ma tuttavia allietati dall’ascolto della radio, se penso insomma a come percepisco o vivo l’universo sonoro che entra in contatto con il mio corpo, penso ad un universo che si protrae al di fuori dei miei confini mentali e fisici, e della consueta sinfonia domestica. L’ascoltare altre voci ha il potere di distrarmi dalla mia propria voce, e questo entrare in contatto con un'altra voce, crea, sia pure nella distanza, un certo benessere. Molto è stato scritto riguardo agli effetti psicologici della radio, in particolare sull’effetto estraniante creato dall’ascolto di una voce senza volto. R. Murray Schafer, in un testo intitolato Radical Radio del 1987, dice per esempio che “la radio è un mezzo che crea paura perchè non possiamo vedere chi o cosa produce il suono; è un invisibile potente stimolo per il sistema nervoso”. Radio is a fearful medium because we cannot see who or what produces the sound: an invisible excitement for the nerves. In modo simile l’artista e radio maker Gregory Whitehead scrive in Wireless Imagination, un testo del 1994: Radio happen in sound but sound is not really what matter about radio. What does matter is the bisected heart of infinite dreamland/ghostland, a heart that beats through a series of highly pulsed and fricative oppositions: the radio signal as intimate but untouchable, sensuallly charged but technically remote, reaching deep inside but from way out there, seductive in its invitation but possibly lethal in its effects. “La Radio avviene tramite il suono ma il suono non è ciò che veramente conta della radio. Quello che conta è un cuore diviso tra l’infinito mondo dei sogni e dei fantasmi, un cuore che batte grazie ad una serie di pulsanti, stridenti opposizioni: il segnale radio è intimo ma intoccabile, sensualmente carico ma tecnicamente remoto, penetra nel profondo ma viene da lontano, seducente nel suo invito ma forse letale nel suo impatto.” Potrei naturalmente citare altre fonti sulla falsariga di queste. Ciò che è curioso e interessante notare, è come nel corso dell’ultima decade questo fascino verso la dimensione spettrale ed onirica di certe frequenze radio sembra essere diventata una sorta di topos della letteratura radiofonica e di molta radio sperimentale. Accanto a Schafer e Whitehead penso ad altri artisti e musicisti come per esempio Christof Migone, John Duncan, Carl Michael Von Hausswolff tanto per citare qualche altro nome. A suggellare questa immagine spettrale della radio è certamente un autore eclettico come Allen S. Weiss e il suo straordinario libro Phantasmic Radio del 1995. Tra i passaggi più illuminanti del libro potrei leggervi quanto segue: The true site of radio art is not located in the mere existence of a recorded sound object, but rather in the very manner that this aural fabrication establishes a relationship between an invisible (and perhaps dead!) creator and an equally invisible and usually anonymous (but hopefully living!) listener. “Il vero luogo della radio art non è costituito dalla mera esistenza di un oggetto sonoro registrato ma piuttosto dal modo in cui tale fabbricazione sonora stabilisce una relazione tra un invisibile (e forse morto!) creatore e un ascoltatore in ugual modo invisibile (ma speriamo vivo!) che rimane di norma anonimo.” Mmmh! Dato che il tempo scorre e la giornata si presenta fitta di appuntamenti, vi chiederete dove voglio arrivare con tutti questi riferimenti. Dopo tutto questa lettera voleva essere poco più di un gesto per ringraziarvi e salutarvi … Vi chiederete inoltre che cosa c’entra tutto ciò con la voce, il tema che mi avevate chiesto di presentare … Ebbene! Due mesi fa ascoltando un’intervista su Rai 3, ho scoperto un autore a me sconosciuto, l’umanista americano Jonathan Gottschall. Nell’intervista centrata sul suo libro The storytelling animal, how stories make us human, tradotto con L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Jonathan Gottschall spiega che nessun altro animale dipende dalla narrazione quanto l’essere umano. Ma perché l’istinto di narrare è un istinto primordiale umano, perché le storie sono così importanti? Attraverso le storie, spiega Jonathan Gottschall, impariamo a superare le difficoltà che incontriamo per esempio in situazioni sociali complesse. Un po’ come i simulatori di volo preparano i piloti alle situazioni più difficili, le storie ci aiutano a risolvere ed elaborare problemi. Che le storie abbiano il potere di curare lo diceva d’altro canto anche il noto psicologo post- junghiano James Hilman nel suo celebre libro Healing Fiction del 1983, tradotto con il titolo italiano Le storie che curano. Secondo Hilman, conoscere la mente più profonda, è ascoltarne le storie con un'attenzione poetica che sappia coglierne il carattere estetico insieme a quello terapeutico. E il fine della psicoterapia è secondo lui educare alla capacità immaginativa, far sì che le storie possano essere cambiate. Per venire finalmente alle vostre presunte domande, ciò che lega la voce alla radio, è allo stesso tempo questo istinto di narrare e il bisogno di comunicare con gli altri. Come sostiene la filosofa Adriana Cavarero in polemica con Derrida e il suo fonocentrismo, non abbiamo la voce per ascoltare noi stessi parlare, e di conseguenza proferire monologhi, ma per comunicare con gli altri tramite il dialogo. Tornando all’immagine della radio fantasma, the phantasmic radio di Allen Weiss, la creazione di scenari paurosi, onirici o semplicemente fantastici fa parte del nostro istinto di narrare e in questo la voce gioca chiaramente un ruolo di primo piano. Dalla tradizione orale all’arte radiofonica, da Omero ad Artaud, la voce ci riconduce inesorabilmente allo nostro status di animale narrante, di homus fictititious. Come dice Gottschall è la narrazione a renderci umani. Ciò che tuttavia è cambiato dai tempi di Artaud e la censura del suo celebre radio dramma To Have Done With the Judgment of God è naturalmente la nascita di un vero e proprio cosmo radiofonico fatto di tanti dispositivi digitali e una rete infinta di voci che si infiltrano nella nostra vita quotidiana. In questo scenario ramificato non è più il mistero di una voce disincarnata associata alla voce di dio a farci paura, ma piuttosto, oserei dire, l’orchestrazione visiva di torture, decapitazioni e altre forme di violenza distribuite attraverso internet. Non sono insomma gli effetti della voce acusmatica a mantenere la radio un fearful media, come la pensa Murray Schafer, ma piuttosto l’affastellarsi di immagini crudeli che provengono dalla realtà a terrorizzarci. A metà tra una provocazione e una proposta, perdonatemi, forse un po’ affrettata, vorrei chiudere questa lettera proponendo un altro paradigma. Anziché descrivere la radio come fearful media, vorrei coltivare l’idea di una radio che rasserena, a cheerful radio, in breve una radio che rasserena e cura attraverso le storie. E quando parlo di storie penso sia alla funzione comunicativa quanto narrativa del mezzo radiofonico. Questo pensiero non è probabilmente del tutto nuovo, poiché già negli anni ‘30 in The radio as an apparatus of communication, Bertold Brecht criticava l’idea della radio come oggetto che abbellisce la vita pubblica e rende la vita di famiglia sopportabile. Proponeva invece la radio come apparato per la comunicazione anziché mero apparato per la distribuzione. In conclusione, ciò che la radio arte o l’arte in radio può offrirci oggi nelle sue molteplici manifestazioni, è uno spazio narrativo fatto di storie e dialoghi sonori. Se è vero come suggerisce Gottschall che la capacità di narrare evolve per assicurare la nostra sopravvivenza, ed è in tal senso paragonabile agli altri comportamenti umani, la sfida per la radiofonia del futuro consiste forse nel misurarsi con forme narrative sempre più complesse. Creativa, sperimentale o quanto altro la si voglia descrivere, a cheerful radio, una radio che rasserena e cura con le storie, non è quindi necessariamente la radio fatta di puro intrattenimento, facile ascolto, musica leggera, ma una radio che ci spinge ad immaginare e creare altri scenari tramite l’ascolto. Uno spazio che certo può essere rischioso poiché la capacità di ascoltare attentamente significa in ultima istanza aprire se stessi al cambiamento. Scusandomi per le troppe citazioni e ringraziandovi per l’ascolto, vi auguro un buon proseguimento un caro saluto da Londra, Lucia Farinati - Roland Barthes, Listening, in “The Responsibility of Forms: Critical Essays on Music, Art, and Representation”, Hill and Wang, 1985 Bertold Brecht, The radio as an apparatus of communication (1932), pubblicato in Semiotext(e) no 16, Vol. VI, Issue 1, New York, Columbia University, 1993 Adriana Cavarero, A più voci. Filosofia dell’espressione vocale, Feltrinelli, 2003 Beatriz Columina, Privacy and Publicity. Modern Architecture as Mass Media, The MIT Press, 1996 Jonathan Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Bollati Boringhieri, 2014 James Hilman, Le storie che curano, Raffaello Cortina Edizioni, 1984 Robert Normandeau – Interview by Daniela Cascella, in Transmission, a cura di Daniela Cascella e Lucia Farinati, Londra, Sound and Music, 2010 Pauline Oliveros, Quantum Listening: From Practice to Theory (To Practice Practice), MusicWorks issue no 76, spring 2000 R. Murray Schafer, Radical Radio, in EAR Magazine (1987), pubblicato in Semiotext(e) no 16, Vol. VI, Issue 1, New York, Columbia University, 1993 Allen S. Weiss, Phantasmic Radio, Duke University Press, 1995 Gregory Whitehead, Out of the Dark: Notes on the Nobodies of Radio Art, in Wireless Imagination: Sound, Radio, and the Avant-Garde, a cura di Douglas Kahn e Gregory Whitehead, the MIT Press, 1994