il nostro mondo - Società Italiana di Fisica

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il nostro mondo - Società Italiana di Fisica
in ricordo di
Beppe Nardulli
(1948 - 2008)
È prematuramente mancato Giuseppe (Beppe)
Nardulli.
Non aveva ancora compiuto sessant’anni;
era titolare di una cattedra di fisica teorica
all’Università degli Studi di Bari, sede in cui si è
prevalentemente svolta la sua attività scientifica,
didattica e organizzativa.
Sono molti i campi della fisica teorica ai quali
Beppe Nardulli ha dato importanti contributi, dalla
fisica delle alte energie alla meccanica statistica
delle reti neurali e allo sviluppo di algoritmi per
il riconoscimento delle immagini. Fra i circa
duecento lavori scientifici dei quali Nardulli è
autore, molti sono considerati come testi di
riferimento per vari temi di ricerca.
In fisica delle alte energie, fin dall’inizio della sua
attività Nardulli ha studiato processi di diffusione
profondamente anelastica, la spettroscopia
mesonica, i decadimenti degli iperoni, proponendo
metodi per determinare parametri fondamentali
del Modello Standard come la massa dei quark.
Risultati di rilievo, ottenuti in particolare durante
gli anni ‘90 in collaborazioni che hanno coinvolto,
insieme ad altri, Raoul Gatto a Ginevra, Roberto
Casalbuoni a Firenze e Ferruccio Feruglio a Padova,
hanno riguardato i sistemi adronici comprendenti
quark massivi. Da ricordare è il contributo alla
Chiral Heavy Quark Effective Theory, teoria
che descrive decadimenti degli adroni con un
singolo quark beauty in adroni leggeri. Questa
teoria consente di mettere in relazione un gran
numero di processi differenti, contribuendo in
modo sostanziale alla semplificazione della loro
descrizione: risultati di grande importanza per il
programma di fisica di esperimenti eseguiti negli
ultimi anni alle cosiddette B-factory. Questi studi
si sono svolti nell’ambito di progetti dell’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare, della cui Sezione
di Bari Nardulli è stato autorevole ricercatore e
coordinatore del gruppo di fisica teorica per sei
anni.
92 < il nuovo saggiatore
il nostro
mondo
Un altro tema al quale Nardulli ha profondamente
contribuito riguarda il diagramma di fase della
materia di quark in condizioni di grande densità.
Quando la densità barionica supera alcuni valori
critici, la materia nucleare può presentarsi in varie
fasi con caratteristiche estremamente peculiari.
Ad esempio, in alcune condizioni di densità e
di massa dei quark individuate da Nardulli la
materia nucleare può organizzarsi in strutture
cristalline con vario tipo di simmetria spaziale.
Le implicazioni fenomenologiche di tali studi
riguardano sistemi astrofisici come il nucleo di
quark di stelle di neutroni.
La meccanica statistica delle reti neurali è stata
investigata da Beppe Nardulli con la mente rivolta
alle applicazioni. Le capacità di apprendimento
e classificazione delle reti, infatti, possono essere
utilizzate in campi differenti: sono da ricordare
le ricerche sull’utilizzo di reti neurali nella
ricostruzione di jet in collisioni fra protoni, come
quelle che si produrranno al Large Hadron Collider
del CERN di Ginevra, o nella identificazione della
particella di Higgs. In tutt’altro campo, le reti sono
state studiate per ricostruire immagini biomedicali
o individuare ordigni nascosti, nell’ambito
di iniziative di Fisica Applicata promosse con
determinazione e lungimiranza, come il Centro
di Eccellenza TIRES dell’Università di Bari per le
applicazioni biomediche, o il progetto dell’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare per lo sviluppo di
tecniche di individuazione di mine antiuomo nei
teatri di guerra.
Per promuovere la ricerca scientifica e le relazioni
fra ricercatori di varie istituzioni Nardulli si è
impegnato nell’organizzazione di congressi
internazionali, come quelli realizzati a Martina
Franca, Conversano e Bari, eventi che hanno
rafforzato la considerazione per le istituzioni
scientifiche pugliesi. Questa attività scientifica ed
organizzativa è stata affiancata da una intensa
attività didattica, testimoniata dai numerosi corsi
tenuti all’Università, dal gran numero di studenti
che hanno seguito le sue lezioni e dai molti
che, sotto la sua guida, si sono laureati, hanno
conseguito il dottorato in Fisica e si sono avviati
nell’attività di ricerca. In particolare, è da ricordare il
testo di Meccanica Quantistica redatto in italiano e
di uso corrente fra gli studenti di Fisica.
Beppe Nardulli apparteneva a una generazione
che considerava l’impegno civile come un dovere
e una responsabilità. In particolare egli era molto
sensibile alle sue responsabilità come scienziato,
e conseguentemente si è sempre impegnato
a mettere a disposizione le sue competenze
per battaglie di alta ispirazione. Nel 1982 ha
contribuito (assieme a Carlo Bernardini, Francesco
Calogero, Paolo Cotta-Ramusino, Roberto Fieschi,
Francesco Lenci, Carlo Schaerf e molti altri) a
fondare l’Unione Scienziati Per Il Disarmo (USPID),
un’associazione che ancora oggi è impegnata
a fornire informazioni e analisi su vari aspetti
della proliferazione nucleare, del controllo degli
armamenti e del disarmo. Dell’USPID egli è stato
anche Segretario Generale dal 1988 al 1995. Nello
stesso spirito Nardulli è stato autorevole membro
delle Conferenze Pugwash – una associazione
fondata nel 1957 sotto lo stimolo del Manifesto
Einstein-Russell scritto nel 1955 per mettere in
guardia contro i pericoli delle armi termonucleari –
delle quali egli ha portato a Bari la 57a Conferenza
Internazionale nell’ottobre 2007.
Queste sue iniziative per la pace e il disarmo non
si sono sviluppate solo al di fuori dell’università.
Era infatti ferma opinione di Beppe Nardulli che
esse dovessero trovare cittadinanza ufficiale
anche all’interno dell’accademia, e a questo scopo
egli ha proposto e contribuito a realizzare nel
1989 un’iniziativa che all’epoca era quasi unica
in Italia: il Centro Interdipartimentale di Ricerche
sulla Pace dell’Università di Bari (CIRP-UniBa).
Il CIRP, che è tuttora attivo e che Nardulli ha
anche diretto, promuove ricerca e formazione
sui temi della pace e del disarmo. In particolare a
partire dall’anno accademico 1995-96 egli è stato
promotore e direttore di numerose edizioni del
Corso di Perfezionamento in Politiche e Tecnologie
della Pace e del Disarmo, una iniziativa che nel
corso degli anni ha contribuito a formare qualche
centinaio di studenti.
Pietro Colangelo e Nicola Cufaro
Università di Bari
Domenico Brini
(1923-2008)
Laureatosi in Fisica a Bologna, nel 1947, fin
dall’anno seguente tenne incarichi nella Facoltà di
Scienze della stessa Università. Assistente ordinario
nel 1952, libero docente nel 1959, divenne
professore di prima fascia
di Fisica Sperimentale a Bologna nel 1970,
passando poi alla Cattedra di Fisica Medica. Nel
1959 fondò il gruppo BoRiSpa (Bologna Ricerche
Spaziali), che diresse fino al 1969 quando creò
il laboratorio TESRE (Tecnologie e Studio delle
recensioni
Radiazioni Extraterrestri) del CNR, di cui mantenne
la direzione sino al 1978. Fu direttore dell’Istituto
di Fisica A. Righi nel 1976-1977; direttore
dell’Istituto di Geofisica nel 1981-1982. È autore di
un testo di Fisica Generale 1, e (con O. Rimondi e P.
Veronesi) di una guida alla risoluzione di problemi
di fisica.
Gli anni dal 1948 al 1958 dedicati dapprima alla
ricostruzione dell’Istituto di Fisica dopo i disastri
della guerra, videro l’avvio alla ricerca, rivolta
alle scariche elettriche nei gas, alla radiazione
cosmica, a tecniche emergenti per rivelare
particelle con contatori a scintillazione, con nuove
tecniche di elettronica rapida e ad esperimenti di
elettrodinamica quantistica.
Si deve a Brini la nascita, alla fine degli anni ’50,
nell’area bolognese dell’attività spaziale dedicata
alla studio della radiazione X e gamma di origine
cosmica, studi che richiedevano di operare
al limite o al di fuori dell’atmosfera terrestre
utilizzando rivelatori montati su vettori spaziali
quali palloni sonda o stratosferici, razzi o satelliti.
Si dovevano progettare e realizzare esperimenti
atti a funzionare in quota, in un ambiente ostile
in termini di temperature e pressioni, senza il
diretto contatto dello sperimentatore e con
risorse limitate in termini di massa ed energia
elettrica. Ulteriori difficoltà consistevano
nella realizzazione di apparecchiature per la
trasmissione e ricezione dei dati: dal 1960 fu
avviata una serie di lanci pionieristici (il primo
dalla terrazza dell’Istituto di Fisica). L’attività e i
collegamenti internazionali si intensificarono e,
dai voli a carattere principalmente tecnologico, si
arrivò a quelli per lo studio del fondo atmosferico
e cosmico primario dei raggi X fra 20 e 200 keV
e poi allo studio di sorgenti galattiche di raggi X
come la pulsar della Crab. L’eccellenza dell’attività
scientifica e tecnologica del BoRiSpa ottenne
un riconoscimento internazionale da parte della
NASA che approvò la proposta di accogliere a
bordo del satellite americano OSO-6 il rivelatore
Solar X-ray Spectroheliograph interamente
realizzato a Bologna, di cui Brini era il Principal
Investigator. Fu il primo esperimento italiano
accettato dalla NASA a bordo di un suo satellite.
Negli anni ’80 Brini ritornò all’Istituto di Fisica,
dove avviò nuove ricerche con risvolti importanti
per la Fisica Sanitaria. Dopo l’incidente di
Chernobyl mise a punto un metodo puramente
fisico, alternativo alla procedura di tipo chimico,
lunga e complessa, per la determinazione della
concentrazione di 90Sr in matrici ambientali. Così
lo ricorda una sua ex-dottoranda, oggi ricercatrice:
“posso dire che lo sento ancora oggi come un vero
e proprio ‘maestro’, capace di trasmettere ai suoi
allievi quel rigore scientifico che lo distingueva
nell’affrontare i problemi e nel cercare delle
soluzioni adeguate”.
Franco Casali, Guido Di Cocco, Sergio Focardi,
Giorgio Giacomelli, Giuseppina Maltoni, Maria Pia
Morigi
Dipartimento di Fisica, Università di Bologna
H. Karttunen, P. Kroger , H. Oja,
M. Poutanen and K. J. Donner (Editors)
Fundamental Astronomy - forth edition
(Springer-Verlag, Berlin, Heidelberg,
New York, 2003); pp. 479
(The fifth edition of this volume was published
in 2007).
This textbook, suitable for a university first
course in astronomy, is the outgrowth of a
long and outstanding astronomical tradition
in Finland, and the result of an extensive
collaborative effort, which included also
teaching and interaction with many people.
Anybody who has taught such a course knows
how difficult it is to reconcile within a limited
space the striking diversity and the immense
amount of information of the subject matter
with the need of a firm understanding of
its physical and mathematical foundations;
this book strikes with ease and wisdom a
successful compromise. An important asset
of the book is its figures: hundreds of black
and white images, graphs and tables and 36
colour plates, all with clear legends. Some
figures are quite illuminating, like 7.2, the
planetary orbits as seen from the Earth, 3.1,
the scintillation of the star Sirius, Plate 2
with the distorted setting Sun and 7.5, the
librations of the Moon. Its 19 chapters include,
besides the main text, short summaries, more
advanced items singled out by an asterisk,
worked-out examples, appendices devoted
to mathematical background and the theory
of relativity, a collection of numerical tables,
and exercises with their solutions (the
student might have used more). Correctly,
bibliography is limited to important textbooks
(first names of the authors are missing and
few recent books are mentioned). All relevant
concepts are introduced and explained
in some detail, in well-thought didactical
sequences. Mathematics is not shunned, but
developed only to the extent necessary for
an understanding of physical concepts. A
great effort in helping the reader to achieve a
rational understanding from first principles is
apparent; for example, I have appreciated the
way how Kepler’s problem is presented and
the discussion of degeneracy of elementary
particles. Chapter 3 gives a good introduction
to instruments; in the book advanced topics
are not shunned, as, for instance, synchrotron
radiation, the “butterfly” pattern of sun
spots, the X-ray bursters and the asteroid
populations. An eager reader, however, may
be somewhat deluded by the lack of adequate
discussion of hot recent topics. This is of course
a difficult compromise, but I would suggest
three criteria: the novelty should usher a deep
qualitative change, it should not be ephemeral
and, possibly, should be easily anchored to
elementary principles. Extrasolar planets
and the cosmological use of high red-shift
supernovae are two examples which in my
view are treated too summarily; the second
topic would stress two basic problems of
cosmology, the measurements of distances
and the need to be ready to accept peculiar
“laws of physics” which hold only for the
Universe. I hope a fifth edition is in the making
and will help students and scientists in keeping
up with the fast pace of astronomy.
I highly recommend this book for class use;
but, of course, it will be useful for
professionals as well.
Bruno Bertotti
S. Esposito ed E. Recami (a cura di)
E. Majorana – Appunti inediti di fisica
teorica (Zanichelli Editore,
Bologna 2006); pp. 552; Euro 41,80
Esposito e Recami hanno fatto un ottimo lavoro
nella sistemazione di questi quaderni inediti di
Ettore Majorana.
Si tratta di appunti ad uso personale, non tanto
didattico, quanto di aiuto per la preparazione di
elaborazioni future. Per essere personali hanno
in generale un elevato grado di accuratezza
anche formale, come si addice ad una persona
che notoriamente pubblicava poco, solo dopo
aver raggiunto la (presunta) perfezione.
Il significato di un simile documento va molto
al di là della curiosità bibliografica per la
riscoperta di un inedito. Quando ho sfogliato
per la prima volta questo libro, ho pensato
vol24 / no3-4 / anno2008 >
93
subito a una raccolta di disegni di Michelangelo
che tengo nella mia biblioteca. Gli studi
sulle varie posizioni della mano, con cui
Michelangelo cercava di affinare le sue tecniche
rappresentative proprio nel momento in cui
forse gli turbinava nella mente l’idea dei due
indici che si toccano nell’atto della creazione, è
l’equivalente di questa enorme mole di appunti,
con cui il giovanissimo Majorana si preparava
ad affrontare la sua breve e travagliata, ma
intensissima vita di scienziato. Il fatto poi
che non ci sarebbe stato tempo per ideare
la Cappella Sistina che forse aveva in mente,
accresce l’interesse per il materiale pubblicato.
Quest’idea comparativa mi ha poi fatto
compagnia durante tutta la lettura del libro.
Quali tipi di bozzetti guidano il pensiero e
l’elaborazione metodologica del giovane
Majorana che affina i suoi strumenti logicomatematici per curiosare sulla struttura del
mondo, proprio nel momento magico in cui
l’indagine fisica sul microcosmo arriva alla
soglia dei 10–13 cm (cioè del nucleo atomico)
ed oltre? Ci sono elaborazioni parziali, a volte
geniali e sempre meticolose, di problemi di
calcolo combinatorio, algebra matriciale,
dinamiche strambe che poi interpreteranno
nuovi eventi naturali (naturali nella struttura,
ma a volte strambi nei modelli interpretativi),
addirittura tabelle di potenze di numeri, che
erano evidentemente utilissime al Nostro per
fare rapidamente calcoli orientativi, anche se
oggi, in età di computer, suonano obsolete e
destano una certa tenerezza.
Gli appunti, che sono stuzzicanti e interessanti
in sè, visti in questa prospettiva possono
suggerire pensieri più generali, sui meccanismi
con cui dalla condizione necessaria ma non
sufficiente della completa padronanza del
mezzo tecnico, si arriva all’opera d’arte quando
scocca la scintilla del genio.
Non ho dubbi sul fatto che i pochi lavori
pubblicati da Ettore Majorana (e in particolare
quello sulla teoria simmetrica dell’elettrone
e del positrone) abbiano diritto ad essere
equiparati a un’opera d’arte; e questo punto ne
suscita subito un altro: del perchè non siano
riconosciuti come tali dal sentimento comune,
mentre tutti (o almeno tutte le persone colte)
conoscono ed amano la Cappella
Sistina. È una questione culturale che potrebbe
essere mutata in un tipo più adulto di società,
dotata di un tipo più intelligente di scuola,
oppure sono (il Giudizio Universale e la scoperta
dell’antimateria) due prodotti del genio
strutturalmente diversi e incommensurabili fra
loro?
Come piccola guida (assolutamente personale
e non motivata) alla lettura del vastissimo
materiale, potrei citare i seguenti punti, che
mi hanno colpito in modo particolare, e fanno
riflettere fra l’altro sulla vastità degli interessi
che bisogna coltivare per arrivare alle frontiere
della conoscenza, e sulle connessioni misteriose
che la logica matematica trova fra cose ed
eventi apparentemente molto diversi.
Paragrafi 1.25 (Errore medio nella
determinazione della probabilità di un evento
mediante un numero finito di prove) e 1.30
94 < il nuovo saggiatore
(Se i figli dei medesimi genitori tendano ad
appartenere allo stesso sesso). Elaborazioni
di meccanica probabilistica, ed applicazioni
che forse meriterebbero più commenti (io
per esempio non ho capito perchè l’autore
assume che il parametro a dell’equazione
1.254 debba essere in generale positivo: sotto
quali condizioni si può dire che statisticamente
nascono più maschi che femmine?).
Questo tema sembra un pò eccentrico rispetto
al resto, e mi ricorda, per associazione di
idee, Fibonacci, che studia la statistica della
riproduzione dei conigli, e trova la sua famosa
serie.
Paragrafo 1.31 (La similitudine dei grilli). Una
metafora sulla propagazione del calore.
Paragrafo 2.21 (Momento di inerzia della terra).
Un esercizio di meccanica celeste.
Paragrafo 3.11 (La curva del cane). Un delizioso
esercizio di cinematica: anche qui è interessante
sia il problema di geometria analitica in sè, che
la sua metafora.
Paragrafi 4.25 (Funzioni sferiche con spin
s=1), 4.29 (Funzioni sferiche con spin, parte
II) e 5.7 (Funzioni sferiche con spin s=1/2).
Sono tutte variazioni sul tema della teoria
quantistica del momento angolare, tema
fondamentale della fisica nucleare teorica, che
oggi è stato fortemente standardizzato, ma
non sostanzialmente semplificato. Si notino
in particolare le connessioni fra i problemi di
invarianza rotazionale in meccanica celeste
(al succitato paragrafo 2.21) e in microfisica (al
paragrafo in esame):
il passaggio dal linguaggio classico al
linguaggio quantistico non distrugge la
riconoscibilità della forte identità fra i due
problemi.
Gualtiero Pisent
A. Pascolini (Editor)
The Scientific Legacy of Bruno Rossi.
A Scientific Colloquium in Honour of
Bruno Rossi on the 100th Anniversary
of his Birth, Padova – Venezia, September
16 – 17, 2005 (Imprimenda, Università
degli studi di Padova, 2006);
pp. VII + 109
In the fall of 1931 the then existing Italian
Royal Academy whose president, at the time,
was Guglielmo Marconi, organized in Rome
an international Scientific Conference. Enrico
Fermi and his group, in the now legendary
Physics Institute building of Via Panisperna,
had already started the nuclear physics
experiments which made them famous around
the globe. All world leading nuclear and
cosmic ray physicists of the time, including
Robert Millikan and Arthur Compton convened
in Rome. Fermi invited Bruno Rossi to give
the opening lecture on the “hot topic” of the
day: the cosmic radiation phenomenon, then
still mysterious. Rossi first sentence was: “ The
most recent experiments have revealed facts
so strange that we are led to ask ourselves
whether the penetrating (cosmic) radiation is
fundamentally different from all other radiation
we know…” Bruno Rossi did not believe in
Millikan’s “atom-birth” origin of cosmic rays
and he proved his point with convincing
arguments and the clarity which characterized
his speeches throughout his whole life.
This opening lecture was all it took to turn
Millikan into a fierce enemy for life. When this
happened Rossi was 28 years old!
Much has changed since then. We know
a lot more about the nature and origin of
cosmic rays although still a lot remains to
be understood. Given time and money
today’s scientists could just move from one
international conference to the next all year
round. Scientists with the calibre of Compton
or Fermi are harder to find than one would
expect, given the exponential growth of
physicists since the thirties. But the most
unlikely event to happen today, I believe, is
that for an opening lecture at an international
meeting a 28 year old scientist is invited!
To celebrate the man and the scientist but also
to describe the science and the way of doing
it in those days at the University of Padova
Physics Department (still operating now in
the same building Rossi built in the few years
he was its Head before leaving Italy, forced
by fascist discrimination laws) this interesting
and precious book has been published.
The ten contributions are from well-known
scientists and cover the state of the art of
some of the Physics themes in which Professor
Rossi contributed most, as well as personal
reminiscences, episodes and anecdotes of both
the early days in Italy and his mature life at MIT
told by his close friends.
All authors are well known, competent
physicists and good writers. Each one of
them has expertise in at least one of the fields
of physics in which Bruno Rossi has been a
scholar and a teacher. Most of them spent
some of their professional lives with him
either in Italy or in the US. One thing all have
in common: a great respect and affection for
their friend and/or teacher Bruno. Anyone
interested in the history of physical discoveries,
the life and adventures of experimental
physicists of the past or, more specifically, in
Bruno Rossi and cosmic rays, should buy and
read this book. However to this reviewer one
missing contribution shines for its absence,
i.e. the contribution of Riccardo Giacconi, the
man who probably was his closest collaborator
for longer than anyone else. Together they
shared the discovery of extrasolar X-rays, put
in orbit Uhuru, the first X-ray satellite, and
opened the new window of X-ray Astronomy
for us all. These discoveries led to a Nobel
price to Giacconi shortly after Rossi left us.
One can speculate on the possible reasons
why Giacconi has not contributed to the book.
Perhaps the simplest reason is the real one:
that story deserves a much thicker book.
Giorgio G. C. Palumbo
R. A. Ricci (Editor)
Flashes of Physics in Italy.
A collection of scientific papers in memory
of Carlo Castagnoli (Società Italiana
di Fisica, Bologna, 2007); pp. XIV + 648;
Euro 40.00
Mi accingo a scrivere la recensione a questo
libro con una certa apprensione, conscio
di avere un profondo “bias” personale. Dico
questo perchè il Professor Carlo Castagnoli,
45 anni fa, fu mio relatore di tesi e non è
facile rimanere obiettivi nei riguardi dei
propri maestri per i quali si è provato rispetto,
reverenza, ammirazione ma anche timore.
Terminato il secondo conflitto mondiale,
per una strana combinazione, in un paese
in ginocchio sia economicamente che
culturalmente, la fisica italiana riprese con
inaspettato vigore trainata da personaggi
di profondo valore, di indomita volontà e,
spesso anche di carattere non convenzionale.
Nel campo della fisica cosmica basti ricordare
Amaldi, Occhialini, Puppi e, naturalmente
Castagnoli.
I fisici di allora si sentivano, e in diversa
misura erano, allievi di Fermi. Il rispetto per
gli “apprendisti stregoni” come li definì un
famoso libro dell’epoca, era diffuso tra la
gente. Proveniva dalle nefaste esplosioni di
Iroshima e Nagasaki, che avevano consolidato
nella mente dell’uomo della strada il concetto
che gli scienziati fossero divisi in due: i fisici e
quelli che avrebbero voluto fare fisica. Il lancio
dello Sputnik e la conseguente conquista
dello spazio contribuirono ad ampliare il
dominio della fisica. A terra l’energia nucleare
e l’elettronica confermarono che l’intero
cosmo è dominio della fisica. Noi studenti di
allora crescemmo nella convinzione che la
comprensione del mondo, cioè tutto quanto
si potesse sapere, fosse a portata di mano.
La figura del vecchio Einstein capellone era
diventata un simbolo rappresentativo di un
mito.
Carlo Castagnoli, a tutti noi, apparve, fin delle
prime lezioni, una vera forza della natura.
Potrei dilungarmi con aneddoti legati a quella
che fu, per me, più una avventura naturalistica
che una tesi di fisica. Personalmente sono stato
testimone della nascita degli esperimenti di
fisica cosmica sotto il monte dei Cappuccini,
a Torino, sotto la galleria del Monte Bianco a
Courmayeur e nel laboratorio della Testa Grigia
a Cervinia. Tutte creazioni di Castagnoli i cui
risultati seguiva e discuteva con noi all’alba o
a tarda notte costringendoci a rinunciare a ore
di sonno, lui insonne e sempre pronto a “fare
fisica”.
Negli anni ’60 crebbero, in Italia, i Gruppi
CNR diventati laboratori prima e poi istituti.
Il Gruppo Italiano di Fisica Cosmica (GIFCO)
che li accorpava comprendeva: lo studio della
fisica dei raggi cosmici e neutrini in laboratori
sotterranei, guidato da Castagnoli a Torino;
il gruppo di ricerche spaziali, di Occhialini
a Milano; un gruppo di radiazione cosmica
e ricerche spaziali con a capo Galli e Brini a
Bologna, il gruppo di Frascati: razzi e palloni e
astrofisica teorica di Gratton e infine il gruppo
di Scarsi a Palermo.
A Torino Castagnoli iniziò anche un gruppo
di astrofisica teorica , capeggiato da Alberto
Masani, astronomo anomalo per il tempo che
addestrò e istruì pochi ma validi ricercatori
che, come si usava dire, si fecero onore. Ma
gli interessi di Castagnoli non si limitarono a
questi, che peraltro rimasero i più importanti
sempre. Castagnoli si rivolse alla fisica
dell’atmosfera, dei mari, dell’ambiente. Tutti
temi oggi di grande attualità. E curò le relazioni
con INFN e con il CNEN (ora ENEA). Fu in vari
consigli di amministrazione, presidente della
SIF, in vari comitati CNR. Il titolo del “suo”
Istituto, che tale non solo lo sentiva lui ma lo
consideravano anche gli altri, fu esplicativo:
”Cosmogeofisica”. Difficile essere più completi.
Da non trascurare un altro pregio, impossibile
comprimerlo in un acronimo! Carlo Castagnoli,
se ben ricordo, non padroneggiava la lingua
inglese, la conosceva ma ad un livello
alquanto elementare. Non amava viaggiare
all’estero e aprì le porte dei suoi laboratori
molto più spesso a scienziati sovietici che
americani. Lo spirito del gruppo era però molto
internazionale e per anni per lunghi periodi
sostarono a Torino scienziati di fama. Penso a
Kurt Sitte per esempio. Alcuni anche rimasero,
come il boliviano Oscar Saavedra che ancora è
professore all’Università.
“Chi lavora mangia” mi disse un giorno
quando, in visita dall’estero, dove avevo
trovato lavoro, lo ringraziai per il compenso
ricevuto per il seminario che avevo tenuto.
Questa un’altra caratteristica tipica dell’uomo.
Attento ai problemi della scuola secondaria
personalmente curava i rapporti con i
professori di fisica, i seminari, le lezioni di
aggiornamento.
Veniamo al libro in esame. Consiste in una
raccolta di pubblicazioni non solo di Castagnoli
ma di pubblicazioni significative di suoi amici e
discepoli per evidenziare in quante direzioni si
diramassero i suoi interessi.
Da questa raccolta emergono i suoi interessi
scientifici, la varietà degli argomenti, la
complessità delle trattazioni. Le brevi
introduzioni a capo di ogni articolo riprodotto
sono di chiarimento. Le traduzioni in inglese
mirano a rendere il volume accessibile ad un
pubblico internazionale. Questa monumentale
(più di 600 pagine) raccolta rende giustizia
allo scienziato? Forse in parte si, certamente
le foto, quasi tutte inedite, inserite qua e
là, ci dicono qualcosa anche sull’uomo. Nei
miei ricordi una persona travolgente, facile
all’arrabbiatura di fronte alla burocrazia,
intollerante di fronte alla stupidità, con uno
spiccato senso dell’umorismo ma senza troppa
pietà per i perdenti. I tempi sono mutati
rapidamente, anch’egli, come molti, non trovò
facile adeguarsi.
Uomo moderno nelle idee e con visione per
la fisica ma che non prese mai la patente di
guida. Gli eventi in parte travolsero il gruppo,
molti se ne andarono per raggiunti limiti di
età. Non sono rimasti in molti a portare avanti
la tradizione. Sicuramente oggi non esistono
più personaggi simili, poliedrici condottieri
dotati di abilità politiche ed organizzative
che avevano la saggezza di sparire per due
ore a metà pomeriggio, dopo una furiosa
discussione, i tempi le stimolavano, per
ritornare freschi e agguerriti in istituto. Un
pomeriggio, incuriosito, lo seguii. Carlo
Castagnoli lasciato l’istituto accigliato e furioso
a grandi passi era andato alcuni isolati più in la
ed era entrato in un cinema a vedere un film di
cow boy e indiani.
Al ritorno da un viaggio in India dove aveva
partecipato ad una conferenza sulla radiazione
cosmica ci raccontò, con il sorriso sulle labbra,
che, in una università di cui non ricordo il
nome, aveva visto una lapide commemorativa
di un professore definito “costruttore di dighe
e poeta”. L’espressione sul suo viso mi fece
supporre che, forse, gli sarebbe piaciuto essere
ricordato così.
Giorgio G. C. Palumbo
C. Rossetti - Rudimenti di meccanica
quantistica (Levrotto & Bella, Torino,
2008); pp. 1015; Euro 55,00
Rossetti ha tenuto i corsi di Metodi Matematici
e Istituzioni di Fisica Teorica al Corso di Laurea
in Fisica dell’Università di Torino dal 1968
a oggi. Se pensiamo che una “generazione”
di studenti di fisica vuol dire quattro anni ci
rendiamo conto di quante generazioni di
ragazzi hanno imparato il rigore didattico e
si sono presi grandi paure rispettivamente
partecipando ai suoi corsi e presentandosi ai
suoi esami.
Come testimonianza personale posso dire
che sono stato a lungo in commissione
d’esame con Rossetti, era un professore
temuto, ma far bene il suo esame era motivo
di orgoglio sano. Posso dire di più; quando
uno studente veniva da me a chiedere la tesi
in termodinamica di non equilibrio, come
prima selezione per escludere i parolai presi
dalla mistica di Prigogine e pronti a mettere
un termine dissipativo nell’equazione di
Schrödinger prima ancora di aver imparato a
vol24 / no3-4 / anno2008 >
95
lavorare, ponevo come precondizione l’aver
fatto l’esame di Rossetti e preso un bel voto.
Buona regola, infatti il mio miglior laureato,
che è stato una ragazza, Giovanna Tinetti,
al nostro colloquio mi aveva confessato che
era orgogliosa di saper trovare il modo di
calcolare integrali con ogni tipo di trucco alla
stessa velocità di Rossetti e ho pensato: “una
buona educazione, questa fa per me” e non ho
sbagliato, ora è professore a Londra.
La didattica è una cosa seria, il talento non
viene fuori dal nulla, come le rose che se son
rose fioriranno, viene dal duro lavoro formativo,
dall’apprendimento degli strumenti
matematici di base, all’uso del linguaggio della
meccanica quantistica non relativistica, che
non è poco.
Partendo di qui il ragazzo potrà in seguito
decollare verso i cieli della cromodinamica
e della stringa. Ma all’università deve sapere
dov’è l’officina in cui può trovare l’atomo di
idrogeno, la teoria dello scattering, il concetto
di osservabile quantistica, di stato asintotico, di
metodo perturbativo.
“Rudimenti di Meccanica Quantistica”
è forse per i fisici torinesi un libro di
nostalgia. Per gli studenti nuovi è un testo
di consultazione esteso a un dominio ben
delimitato, l’opposto del saggio tuttologico.
Penso che la precisa delimitazione del
dominio degli argomenti trattati, tema sul
quale ho avuto delle discussioni con Rossetti
in corso d’opera, sia stata una giusta scelta;
poi l’abbondanza degli approfondimenti e
dei dettagli può essere vista con confidenza. Si
sa chiaramente cosa si vuole e cosa si compra.
Ho molto apprezzato l’impostazione
epistemologica, altro argomento di discussioni
con l’autore, che è classica, ortodossa. E infine,
da antibourbakista quale sono, mi sembra che
sia un contributo gratificante, alle pagine 9931000, l’”Elenco degli Scienziati Citati”, con cenni
biografici. Il progresso della scienza non è
scandito dai teoremi ma, come dice Lucrezio, è
esperienza della mente che procede. E questo
procedere è attaccato al lavoro di uomini
intelligenti e alla loro fatica.
I confini essendo quelli della meccanica
quantistica non relativistica, da questo testo
vengono esclusi alcuni domini dell’astrofisica
di altissima densità e temperatura, o la
cosmologia del big bang, che richiedono
ulteriori strumenti.
Tuttavia il materiale incluso è molto grande
e il bello è che i problemi sono trattati con
rigore, dalla esposizione logica del formalismo
di partenza, ai calcoli che si debbono fare
con padronanza del dettaglio, fino alle
stime numeriche finali. A me sembra che un
paragone giusto sia quello di un negozio
con tanti scaffali nei quali lo studente può
trovare gli argomenti di ricerca a cui accedere
imparando il valore della completezza di un
buon manufatto.
Alcuni esempi. Parto dalle Appendici, dove si
trovano condensate in cento pagine nozioni
essenziali usualmente riposte in vari libri di
analisi: gli spazi L2, le equazioni differenziali
lineari, i polinomi ortogonali, le funzioni
sferiche di Bessel, gli spazi vettoriali lineari.
96 < il nuovo saggiatore
Molti libri di fisica teorica se la cavano
assumendo che il lettore conosca tali cose,
oppure che si arrangi a studiarsele in altri libri
o corsi accessori; qui invece ci sono a portata
di mano. Centoventi pagine sono dedicate
alla teoria dell’urto, si parte dalla trattazione
rigorosa del formalismo di base, ma poi
andando avanti si trovano tante estensioni al
mondo fisico, dalla sezione d’urto per collisione
di meteoriti sulla terra, all’effetto RamsauerTownsend, alla formula di Dyson, che apre la
porta a formulazioni generalissime della teoria
dello scattering.
L’approssimazione semiclassica è approfondita
e implica quaranta pagine; sui metodi di
approssimazione c’è una trattazione estesa,
le ottanta pagine del capitolo 13. Sono anche
succulenti il capitolo sul moto di una particella
in un campo elettromagnetico esterno (cap 15)
e quello, abbastanza inusuale, su insiemi puri e
miscele (cap 16). Molto completo il capitolo 6,
sui problemi unidimensionali, che contiene in
pratica tutti quelli risolubili esattamente.
Quindi, riassumendo, questo libro educa al
lavoro del fisico teorico, insegna a usare gli
strumenti dell’arte e infine ti porta a capire
come mai la meccanica quantistica ha avuto
tale importanza nel mondo moderno, a
partire dagli inizi del Novecento.
Luigi Sertorio
G. F. Bassani and The Council of The
Italian Physical Society (Editors)
Ettore Majorana Scientific Papers on the
occasion of the centenary of the birth
(SIF, Bologna - Springer, Berlin,
Heidelberg, New York, 2006); pp. 284;
Euro 61,95
L’opera omnia e le ultime intuizioni di Ettore
Majorana.
L’iniziativa della Società Italiana di Fisica
di onorare Ettore Majorana nel centesimo
della nascita pubblicandone l’opera omnia
in versione originale e in traduzione inglese
ha definitivamente consegnato il grande
fisico, prematuramente e misteriosamente
scomparso nel 1938 a soli trentun anno e
sei mesi, alla storia universale della scienza.
I commenti bilingue scritti per ogni lavoro
da fisici italiani particolarmente esperti di
ciascun settore non solo evidenziano la
genialità innovativa di Majorana in quegli
anni di impetuoso sviluppo della meccanica
quantistica, ma rivelano anche quali importanti
conseguenze le intuizioni di Majorana hanno
avuto su alcuni fondamentali sviluppi della
fisica nella seconda metà del ‘900. Grande
merito di questa edizione va al Presidente
uscente Franco Bassani e al Consiglio di
Presidenza della SIF, curatori del volume, ai
colleghi Arimondo, Cabibbo, Guerra, Inguscio,
Majani, Mantegna, Minardi, Radicati di Brozolo,
Robotti, e Sasso che hanno scritto i commenti,
alla redazione che ha curato le traduzioni degli
11 lavori di Majorana, e a Preziosi e Recami
che hanno recuperato gli appunti e curato
l’edizione della lezione inaugurale di Majorana
all’Università di Napoli. L’opera omnia porta a
compimento le azioni intraprese a metà degli
anni sessanta per restituire ad Ettore Majorana
il posto che si merita tra i grandi della fisica.
Due azioni in particolare: la nascita nel 1963,
ad opera di Nino Zichichi, del Centro Ettore
Majorana di Erice, la cui fama straordinaria ha
molto contribuito alla conoscenza di Majorana
in settori lontani dalla fisica teorica, e la
pubblicazione de “La vita e le opere di Ettore
Majorana”, curata nel 1966 da Edoardo Amaldi
per l’Accademia Nazionale dei Lincei, della
quale è parzialmente riprodotta nel presente
volume la nota biografica.
Sebbene il nome di Majorana sia oggi
definitivamente associato a diversi concetti e
oggetti della fisica teorica atomica e nucleare,
e vi sono particelle, forze, modelli, coefficienti,
risonanze e curve che portano ufficialmente
il suo nome, molti suoi contributi sono stati
apprezzati in ritardo e forse solo parzialmente,
essendo stati pubblicati in italiano o in tedesco,
quando ormai la grande fisica, costretta dalle
dittature fasciste che infestavano l’Europa
continentale, emigrava in terre di lingua
inglese. Nel suo ottimo commento al sesto
articolo Massimo Inguscio spiega bene come
alcuni straordinari progressi della fisica atomica
degli ultimi decenni, quali la spettroscopia
di doppia risonanza, l’intrappolamento degli
atomi, la condensazione di Bose-Einstein e
il laser atomico, debbano molto al lavoro di
Majorana. Un esempio per tutti è il concetto o,
meglio, il problema della “lacuna di Majorana”
(Majorana hole) che, Cornell, Wieman e Ketterle
hanno dovuto risolvere per realizzare la
condensazione di Bose-Einstein, come hanno
esplicitamente ricordato a Stoccolma nel
ricevere il premio Nobel per la Fisica 2001.
Vorrei qui soffermarmi su un aspetto della
personalità scientifica di Majorana, rimasto in
ombra a causa della sua morte prematura e
forse dai suoi timori di avventurarsi in terreni
dominati, allora, dalla filosofia idealista che
tacciava i fisici di elettricisti. Eppure Ettore era
amico e collega di Giovanni Gentile Jr., col
quale scrisse il primo articolo, e fu Giovanni
che nel 1942 curò la pubblicazione postuma
su Scientia dell’ultimo lavoro di Majorana dal
Fig. 1 Ettore Majorana (1906-1938): Il valore delle leggi
statistiche nella fisica e nelle scienze sociali (1942); Adolphe
Quetelet (1796-1874): Essai de physique sociale (1835-).
titolo, straordinario per quei tempi “Il valore
delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze
sociali”. Merito di Rosario Mantegna avere
riportato questo lavoro all’attenzione degli
economisti, traducendo l’articolo in inglese
per la rivista internazionale Quantitative
Finance (2005), traduzione ora riprodotta e
commentata nel presente volume. Mantegna
ha inoltre discusso estesamente questo lavoro
su Europhysics News (2006) e, naturalmente,
al 3° Workshop dell’International School of
Complexity di Erice del 2006, apparendo le
considerazioni postume di Majorana come
prolegomeni all’attuale fisica della complessità.
In quell’occasione proposi un suggestivo
confronto tra Ettore Majorana e il grande
matematico belga dell’800, Adolphe Quetelet
(fig. 1). Entrambi, nei loro trent’anni, giunsero
all’intuizione che le leggi statistiche della fisica
fornissero il paradigma per comprendere
e descrivere le dinamiche sociali. Quetelet
secondo la meccanica classica di Laplace, del
quale era stato allievo; Majorana secondo la
meccanica quantistica di Heisenberg. Mentre
però la meccanica classica è perfettamente
deterministica e la descrizione statistica
sarebbe misura della nostra ignoranza, la
meccanica quantistica con l’indeterminazione
di Heisenberg implica la descrizione statistica
quale misura della nostra conoscenza. In
questo senso la meccanica quantistica,
ovvero la matematica che la governa, fornisce,
secondo Majorana, lo strumento adatto a
studiare quantitativamente le dinamiche
sociali, ossia di sistemi di oggetti complessi che
comunicano tra loro, si adattano e compiono
scelte. Laplace, intuendo la possibilità di una
teoria statistica della meteorologia, ci avverte
però: “La regolarità che l’astronomia ci rivela
nei moti delle comete esiste indubbiamente
in tutti i fenomeni. La curva descritta da una
semplice molecola d’aria o di vapor acqueo è
regolata in modo altrettanto certo quanto le
orbite dei pianeti: la sola differenza tra queste
è quella introdotta dalla nostra ignoranza.
La probabilità è relativa in parte a questa
ignoranza e in parte alla nostra conoscenza”
(Essai philosophique sur les probabilités, 1814).
In quel tempo la visione statistica del
mondo vivente si faceva strada ad opera
di celebri scienziati inglesi come Thomas
Malthus, Charles Babbage e Charles Darwin
e di un altro illustre matematico belga del
tempo, Pierre François Verhulst, ideatore
dell’equazione logistica. A quella visione fa
esplicito riferimento Quetelet nel suo Essai
de physique sociale (1835): «La partie la plus
curieuse du travail sera, je crois, la théorie de
la population. Je suis parvenu à la transporter
entiérement dans le domaine des sciences
exactes au moyen de deux thèorèmes dont l’un
m’appartient. J’ai soumis ma théorie à l’épreuve
de l’experience et le résultats calculés s’accordent
parfaitement avec les résultats observés. Je ne
fais au fond que montrer que ce qui est admis
par les principaux économistes et ce qui se trouve
si bien exposé dans les ouvrages de Malthus
peut s’énoncer d’une manière plus précise et se
formuler de la manière la plus élégante ». Quel
« je crois » rivela nel giovane Quetelet, come
in Majorana, il timore che si prova di fronte a
un’intuizione rivoluzionaria. Così in una lettera
a Van de Weyer del 1834: «Je crois avoir réalisé
en partie ce que j’ai dit depuis longtemps sur
la possibilité de faire une mécanique sociale
comme l’on a une mécanique céleste; de formuler
les mouvements du corps sociale comme on a
formulé les mouvements des corps célestes et
d’en reconnaître toutes les propriétés et les lois
conservatrices ».
La statistica, si sa, si nutre di medie e
fluttuazioni, e della teoria di Quetelet furono
spesso recepite soltanto le medie, con molta
ironia: l’uomo medio è privo di qualità, noioso
e inutile, come Der Mann ohne Eigenschaften
di Robert Musil. Certamente l’uomo non è
un punto materiale. Gradualmente e con
ottime ragioni la psicologia ha cominciato a
considerare l’essere umano come un sistema
cognitivo adattabile e un processore di
informazioni. Una statistica sì, ma di oggetti
individualmente complessi. E qui si innesta il
discorso di Majorana:
“Una differenza sostanziale si potrebbe invece
scorgere nel carattere matematicamente
definito delle leggi statistiche della fisica a
cui fa riscontro quello chiaramente empirico
delle leggi statistiche sociali; ma è plausibile
attribuire l’empirismo delle statistiche sociali
... alla complessità dei fenomeni che essi
considerano, per cui non è possibile definire
esattamente le condizioni o il contenuto della
legge.” Occorre dunque una modellizazione
plausibile di un qualsivoglia sistema complesso
affinché le sue leggi statistiche acquistino
carattere matematicamente definito.
“Naturalmente – avverte Majorana – anche le
leggi statistiche note alla meccanica classica e
riguardanti sistemi complessi, conservano la
loro validità secondo la meccanica quantistica.”
E conclude: “Se è così, come noi riteniamo, le
leggi statistiche delle scienze sociali vedono
accresciuto il loro ufficio che non è soltanto
quello di stabilire empiricamente la risultante
di un grande numero di cause sconosciute,
ma sopratutto di dare della realtà una
testimonianza immediata e concreta. La cui
interpretazione richiede un’arte speciale, non
ultimo sussidio dell’arte di governo.”
L’ultimo scritto di Majorana si chiude dunque
con un auspicio che l’arte del governo
tragga beneficio dalla (futura) capacità
degli scienziati di quantificare le dinamiche
sociali. Se tale prospettiva appariva utopica
in tempi di dittature imperanti, essa appare
oggi un’inderogabile necessità a fronte del
drammatico medioevo che incombe, fatto
di cambi climatici, minacce alla biodiversità,
penuria di risorse vitali, crolli finanziari,
migrazioni, epidemie, insomma il verificarsi
di circostanze che già occupavano le menti di
Malthus e Darwin, Quetelet e Verhult, molto
derisi dai sapienti di un tempo, aristotelici,
idealisti o pragmatici che fossero. Questi
problemi riguardano sistemi complessi, e solo
la moderna scienza della complessità può dare
di questa realtà “una testimonianza immediata
e concreta”, e proporre soluzioni secondo
quella “arte speciale” che dovrebbe costituire
“non ultimo sussidio dell’arte di governo”. Oggi
anche i governanti meno responsabili (non
ne mancano purtroppo) comprendono che
bisogna fare qualcosa. L’OCSE ha recentemente
costituito un Forum della Complessità con
lo scopo di mettere intorno a un tavolo gli
studiosi di quell’arte speciale e i consiglieri di
coloro che decidono le sorti politiche (e non
solo) del pianeta. Il primo workshop del Forum
sarà tenuto a Erice con l’auspicio che Ettore
Majorana illumini le loro menti!
Vorrei concludere con un’altra citazione di
Majorana dal suo ultimo lavoro:“Dobbiamo
invece rilevare che il principio pragmatista
di giudicare le dottrine scientifiche in base
alla loro utilità non giustifica in alcun modo
la pretesa di condannare l’ideale di unità
della scienza che si è rivelata più volte un
efficace stimolo al progresso delle idee”.
Sotto il paradigma della complessità molte
discipline diverse trovano metodologie comuni
e soprattutto una visione scientifica unitaria.
Al di là dell’utilità che può avere ogni piccolo
passo avanti tecnologico, è il solo progresso
delle idee generato da quella visione unitaria
della scienza che può recare duraturo beneficio
al genere umano. Tra i vari romanzi costruiti
intorno alla scomparsa di Majorana v’è quello
di una visione pessimistica del futuro che
l’avrebbe spinto al suicidio. Ma il suo ultimo
scritto Ettore Majorana ci tramanda un
messaggio di speranza nella scienza del quale
dovremmo fare tesoro.
Giorgio Benedek
vol24 / no3-4 / anno2008 >
97
F. Guerra and N. Robotti
Ettore Majorana, Aspects of his Scientific
and Academic Activity (Edizioni della
Normale, Pisa, 2008); pp. XII + 116;
Euro 24,00
Questa breve e densa monografia mantiene in
pieno le promesse contenute nel titolo. Essa
infatti è dedicata prevalentemente ad una
ricostruzione puntuale dei percorsi scientifici
di Ettore Majorana e dei suoi tentativi di
sviluppare una vita accademica,
adeguata al livello dei risultati ottenuti nelle
sue ricerche. Gli aspetti più personali, così
come la vicenda della sua scomparsa, sono
volutamente descritti solo in modo molto
indiretto. Ci sono alcune caratteristiche
generali di questo libro che vanno messe in
evidenza. Innanzitutto i contenuti sono basati
esclusivamente su fonti primarie, fornite
dalla letteratura scientifica dell’epoca e da
numerosi documenti originali di archivio, di cui
alcuni inediti. Una larga parte dei documenti
utilizzati sono allegati al libro, e sono riprodotti
splendidamente, rendendoli fruibili al
lettore, che può verificare personalmente le
analisi sviluppate nel testo. Un altro aspetto
importante di quest’opera è che gli autori non
sono solo studiosi di storia, ma entrambi fisici,
e quindi in grado di illustrare e interpretare
con cognizione di causa il significato fisico
dei lavori di Majorana. Il libro percorre le
varie tappe della vita scientifica e accademica
di Majorana, a partire dagli anni della
formazione nei licei Massimo e Tasso di Roma
e nell’Università di Roma. La tesi di laurea
sul decadimento a costituisce un notevole
progresso rispetto alla teoria di Gamow, ma
è notevole il fatto che, prima di laurearsi, lo
studente Majorana trascuri di dare esami per
dedicarsi a un importante lavoro sul modello
statistico degli atomi, lavoro che solo molto
più tardi sarà riconosciuto e fatto proprio da
Fermi. Nel periodo fino alla libera docenza
Majorana frequenta “liberamente l’Istituto
di Fisica di Roma”, lavorando intensamente
sulla interpretazione di linee spettroscopiche,
sulla teoria del legame chimico e sulla teoria
relativistica di particelle con spin arbitrario,
manifestando anche una precisa volontà di
pubblicare e far conoscere i propri risultati. C’è
poi il soggiorno all’estero, principalmente a
Lipsia da Heisenberg, durante il quale Majorana
viene definitivamente consacrato come uno
studioso di livello internazionale attraverso i
suoi lavori sulla struttura nucleare. Seguono
anni di silenzio, a partire dal suo ritorno a Roma
fino al concorso per una cattedra di Fisica
Teorica a Palermo, concorso terminato con la
sua chiamata per chiara fama all’Università
di Napoli. Qui termina la sua vicenda nota.
La sua scomparsa è analizzata brevemente,
sempre alla luce dei documenti (anche in
questo caso ci sono importanti inediti), ma con
quale spirito lo si capisce da quanto gli autori
dicono nell’introduzione: “Noi non conosciamo
quali siano le sue decisioni alla fine del Marzo
1938, ma rispettiamo le sue motivazioni e ci
98 < il nuovo saggiatore
asteniamo da illegittime intrusioni in questi
delicati argomenti”. In conclusione, da questo
libro la figura di Majorana esce sotto una
nuova luce: uno studioso interessato a far
conoscere i suoi risultati e a inserirsi nella
carriera accademica, a interagire con i colleghi,
sui quali, grazie alle sue capacità scientifiche,
esercita probabilmente anche una profonda
influenza. Si conferma uno scienziato con
una grande vastità di interessi (spettroscopia,
fisica nucleare, teoria dei campi, equazioni
relativistiche, teoria dei gruppi), ma si configura
in modo molto più chiaro la sua attualità e
soprattutto il suo grande spirito anticipatore.
A questo proposito sono molto istruttivi i
programmi dei corsi che Majorana, nella sua
qualità di libero docente, propone, senza
peraltro mai ottenere da parte della Facoltà
la possibilità di tenerli, nei tre anni accademici
a partire dal 1933; l’ultimo programma,
in particolare, ha il titolo “Elettrodinamica
quantistica”. In conclusione, la lettura di questo
libro stimolerà il lettore a farsi la sua personale
opinione sul “caso Majorana”, ma questa volta
basata esclusivamente sui documenti esistenti.
Mauro Giannini
A. Bettini
Introduction to Elementary Particle
Physics (Cambridge University Press,
2008); pp. 442
This textbook by Alessandro Bettini is very
interesting. Apart from what is written on the
back cover of the volume about its originality
(“while most texts on this subject emphasise
theoretical aspects, this textbook contains
examples of basic experiments, before going into
the theory”), its structure is nicely configured
so as to enrich and highlight the contents
themselves which span a wide range of
introductory notions on elementary particle
physics in a comprehensive way.
With the intent to “introduce” the reader to the
attractive world of elementary particle physics,
nevertheless the author all throughout goes
deep to the roots of the various questions
addressed in his description of the Standard
Model that governs today the theory of
fundamental interactions. Avoiding useless
(and heavy) details, he always comes straight
to the point and gives the essential. He has a
talent to render complicated things as simple
and clear as possible. His phrasing is very
agreeable and effective. He has been capable
to write a “conceptual” book, giving immediate
answers to many intriguing questions the
students often ask. He picks appropriate
examples, makes rigorous statements
about key notions, describes the historical
evolution in the understanding of physical
phenomena, quotes correct and exhaustive
references, gives warnings about delicate and
sometimes misleading terminology. The many
numerical examples, problems and exercises
introduced together with their accurate
solutions are extremely useful, explanatory and
enlightening. The choice to introduce in many
occasions reliable Internet reference material is
very topical and beneficial for a young-people
public.
Instead of reproducing here the table of
contents, let us just make a brief list of topics
addressed in this book that cannot but
capture the reader’s interest: symmetries, and
in particular parity (which is always a little
tricky to understand); resonance formation
and production; virtual effects and vacuum
fluctuations; the top quark distinction with
respect to all other quarks (why there are no
top hadrons); the subtle difference between
the electric charge and the colour charges
(and its drastic consequences); the precise
drawing and meaning of Feynman diagrams
(showing, in particular, the details of colour
lines); the attractive or repulsive nature of
colour forces; the various contributions to
hadron masses; helicity, chirality and their
diversity; the theoretical origin of antiparticles;
the construction of the CKM matrix and the
CP violation issue; the neutral flavouredmeson (K°, D°, B°) oscillations; the peculiarities
of charged and neutral weak currents (in
particular, neutral currents between coloured
quarks), the role of right-handed neutrinos, the
problem of neutrino mixing and oscillation.
Everything all along the various chapters of the
book is written in a lively way, thanks to a wise
interplay between history, experiment, theory,
vision (and only a few basic formulae and key
plots).
To conclude, Bettini provides the reader with
a deep insight of the main steps which have
brought to the present formulation of the
Standard Model, with its essential ingredients,
its limits and open questions. His description
is fluent and appealing. With the eyes of a
highly skilful and cultured experimentalist, the
accurate selection of subjects he presents to us
denotes his passion for subnuclear physics, the
beauty of which he never fails to point out. We
should simply wait for a second volume.
Luisa Cifarelli
scelti per voi
Il mesone Bs
Orologi campione
Viene dato normalmente per scontato che,
nella fase iniziale di formazione dell’Universo,
materia e antimateria fossero presenti in
ugual quantità. Da questo discende una
domanda abbastanza naturale sulle cause
che hanno determinato il prevalere della
materia e la scomparsa dell’antimateria. La
spiegazione che viene data normalmente è
legata all’ipotesi che la forza nucleare debole, a
differenza delle altre interazioni fondamentali,
agisca in modo differente sulla materia e
sull’antimateria. Un tale comportamento
antisimmetrico, normalmente spiegato come
violazione di CP, non è giustificato nell’ambito
del modello standard e richiederebbe teorie
alternative. Recenti risultati legati allo studio
del decadimento del mesone Bs, sembrano
indicare che questa è la situazione.
Il mesone Bs è formato da un quark strano
e da un antiquark del tipo bottom; esso
oscilla, ad un ritmo frenetico, tra questa
configurazione e quella della sua antiparticella
costituita da un quark bottom e da un
antiquark strano. Due gruppi sperimentali,
comunemente denominati CDF e D-zero,
studiando all’acceleratore Tevatron del
Fermilab interazioni prodotte dalla collisione
di protoni con antiprotoni hanno reso
disponibile un numero tale di eventi da
permettere una analisi dell’insieme dei dati
sperimentali dai quali appare una violazione
di CP maggiore di quanto possa essere
accettato restando nell’ambito del modello
standard. Presumibilmente una risposta
definitiva si potrà avere non appena avrà
inizio il programma sperimentale del nuovo
acceleratore, LHC, nel laboratorio del CERN
di Ginevra. Infatti uno degli esperimenti,
denominato LHC-b è stato progettato per
studiare i decadimenti dei mesoni contenenti
quark bottom. Nel giro di un paio di mesi, tale
apparato dovrebbe dare una risposta priva
di ambiguità sui modi del decadimento del
mesone Bs. Comunque, secondo gli autori che
hanno condotto l’analisi dei dati sperimentali
di CDF e D-zero, la probabilità che esista la
violazione di CP è del 99,7%.
Il problema che deve affrontare chi progetta
orologi di elevata precisione è la mancanza
di orologi altrettanto precisi da permetterne
la calibrazione. Lo sviluppo degli orologi
al cesio ha permesso di ridurre, durante gli
ultimi quaranta anni, l’incertezza sistematica
dovuta a tutte le perturbazioni note da 10−12
a 5×10−16. L’opinione generale è che ulteriori
miglioramenti nella precisione non siano
possibili, il limite essendo dovuto al fatto che
gli orologi al cesio utilizzano una transizione la
cui frequenza è nella regione delle microonde.
Gli orologi atomici, destinati nel tempo a
sostituire quelli al cesio, utilizzano transizioni
tra i livelli di energia di atomi e di ioni. Infatti,
assumendo che la precisione nelle misure delle
frequenze di transizione non dipenda dai valori
della frequenza, la precisone dell’orologio
risulta proporzionale alla frequenza di
transizione. Poichè le frequenze nel campo
dell’ottica sono maggiori di un fattore 100000
rispetto a quelle delle microonde, si può
stimare che gli orologi basati sulle transizioni
ottiche hanno la possibilità di risultare assai
più precisi degli orologi al cesio. Il confronto
fra due orologi, funzionanti l’uno con ioni
di Al e l’altro con ioni di Hg, ha permesso
di misurare il rapporto delle due frequenze
con una precisione di 5,2×10−7. I due orologi
utililizzano un singolo ione che è tenuto da
campi elettrici all’interno di una trappola, in
modo da realizzare al meglio delle possibilità
la situazione ideale di una singola particella in
quiete, senza perturbazioni esterne. A questi
livelli di precisione, il contributo agli errori
include anche quello dovuto alla gravitazione,
perchè una differenza di quota di 1 cm fra i due
orologi si traduce in un effetto di 10-18. Quando
gli orologi fra cui effettuare il confronto sono
situati in edifici lontani non si può far uso di
comunicazioni radio ma occorre impiegare
trasmissione in fibra ottica.
Orologi atomici, funzionanti con singoli
ioni intrappolati, raggiungono la massima
accuratezza essendo gli ioni poco soggetti
alle perturbazioni, mentre orologi atomici, che
impiegano decine di migliaia di atomi neutri,
hanno il vantaggio di segnali di intensità
maggiore. Esitono numerosi candidati per
New Scientist , 22 marzo 2008, p. 10
Erratum
Nella rubrica Il Nostro Mondo del Nuovo Saggiatore, Vol. 24, n. 1-2, nell’articolo
“La Società Europea di Fisica alla Frontiera delle Sfide del XXI secolo”, pubblicato
a p. 88, la didascalia della figura riporta per errore “Società Italiana di Fisica”
invece di “Società Europea di Fisica”; ce ne scusiamo con i lettori e con l’autore.
una nuova generazione di orologi atomici
e probabilmente in futuro il secondo verrà
ridefinito per mezzo di uno di questi.
Science, vol 319, 28 marzo 2008, p.1768
Lenti gravitazionali e materia
oscura
L’unico modo per mettere in evidenza la
presenza di materia oscura si basa sulla
utilizzazione dell’effetto gravitazionale. Esso
consiste nell’incurvare raggi luminosi che nella
loro propagazione dalla sorgente al nostro
punto di osservazione passano nelle vicinanze
di ammassi di materia oscura. In pratica,
l’immagine delle galassie, osservate in questo
modo, risulta leggermente modificata, dando
così la prova dell’esistenza di una massa, non
altrimenti osservabile.
Il programma di ricerca è stato condotto
utilizzando un telescopio di 3,6 metri che
nasce da una collaborazione tra Francia,
Canada e Università delle Hawaiii, installato
sul vulcano Mauna Kea delle Hawaii, a 4200
metri di quota. Questo strumento è dotato di
Megacam, la più grande camera CCD esistente
al mondo, costituita da 40 rivelatori CCD per
un numero complessivo di 18400×18400
sensori. L’alta quota offre un’atmosfera più
limpida e secca, un cielo più scuro, un maggior
numero all’anno di notti serene e, cosa più
importante, immagini più nitide grazie alla
bassa turbolenza atmosferica sulla vetta della
montagna. Il vulcano Mauna Kea, situato a Big
Island (Hawaii), è il miglior sito di osservazione
dell’emisfero settentrionale della Terra.
In alcuni anni di lavoro sono state osservati
quasi due milioni di galassie, in tre regioni del
cielo: l’analisi statistica delle immagini ottenute
ha messo in evidenza l’esistenza di strutture
con dimensioni fino a 270 milioni di anni luce.
Le informazioni sperimentali hanno permesso
di ottenere i valori di due parametri necessari
per definire la struttura generale dell’Universo:
la densità di materia e il grado di strutturazione
dell’Universo. Dall’analisi dei dati, l’Universo
risulta non molto strutturato né molto diffuso. I
nuovi valori ottenuti risultano in buon accordo
con le osservazioni della radiazione di fondo
eseguite dal satellite WMAP.
Il successo fin ora ottenuto è un incentivo a
continuare l’analisi dei dati di Megacam con
l’obiettivo di studiare in tre dimensioni le
strutture gia trovate.
La Recherche, aprile 2008, p. 8
a cura di Sergio Focardi
vol24 / no3-4 / anno2008 >
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