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G It Diabetol Metab 2015;35:188-195 Rassegna Fattori di rischio per l’ipoglicemia (farmaci, stile di vita, hypoglycemia unawareness) RIASSUNTO L’ipoglicemia nei pazienti con diabete mellito trattati con insulina o ipoglicemizzanti orali può aumentare la morbilità e la mortalità, il rischio di incidenti stradali, di fratture traumatiche da caduta per perdita di coscienza e di eventi cardiovascolari. È perciò importante conoscerne le cause, identificarne i fattori di rischio che sono prevalentemente legati all’uso inappropriato di insulina e/o di ipoglicemizzanti orali, all’assunzione concomitante di altri farmaci di cui non si valutano le interazioni e da modifiche di comportamenti abituali come la ridotta assunzione di cibo (carboidrati) per digiuno o pasto saltato. La complicanza più frequente dell’ipoglicemia, soprattutto dell’ipoglicemia notturna, è la sindrome della perdita dei sintomi all’ipoglicemia, meglio nota come hypoglycemia unawareness. La mancata percezione dell’ipoglicemia impedisce al paziente di correggere l’ipoglicemia prima della comparsa della neuroglicopenia. È perciò importante educare i pazienti al corretto uso dei farmaci, all’automonitoraggio glicemico e a riconoscere e trattare i sintomi dell’ipoglicemia. SUMMARY Risk factors for hypoglycemia (drugs, lifestyle, unawareness of hypoglycemia) In patients with diabetes mellitus treated with insulin or oral hypoglycemic agents, hypoglycemia can increase morbidity and mortality, and raise the risk of accidents, traumatic fractures secondary to loss of consciousness, and cardiovascular events. It is important to know the causes and identify risk factors, mainly related to inappropriate use of insulin and/or oral hypoglycemic agents, concomitant intake of other drugs and their interactions, behavior changes like inadequate food intake (carbohydrates), fasting, or skipping meals. The most frequent complication, especially nocturnal hypoglycemia, is the loss of the ability to recognize symptoms of hypoglycemia, sometimes referred to as “hypoglycemia unawareness”. This failure to perceive the symptoms prevents the patient correcting the hypoglycemia before it progresses to neuroglycopenia. Therefore, it is important to educate patients about the proper use of drugs, self-monitoring blood glucose, and how to recognize and treat the symptoms of hypoglycemia. M. Agrusta Diabetologia e Dietologia Clinica “Ruggiero” Cava de’ Tirreni, Scuola di Formazione AMD Corrispondenza: dott. Mariano Agrusta, corso Umberto I 266, 84013 Cava de’ Tirreni (SA) G It Diabetol Metab 2015;35:188-195 Pervenuto in Redazione il 03-07-2015 Accettato per la pubblicazione il 15-07-2015 Parole chiave: fattori di rischio di ipoglicemia, hypoglycemia unawareness, educazione terapeutica del paziente Key words: hypoglycemia risk factors, hypoglycemia unawareness, therapeutic patient education Fattori di rischio per l’ipoglicemia 189 Tabella 1 Classificazione dell’ipoglicemia nel diabetico. Sintomi neurologici che richiedono l’intervento di terzi per l’assunzione Ipoglicemia grave di glucosio o glucagone Ipoglicemia sintomatica Sintomi tipici associati al riscontro di glicemia documentata uguale o inferiore a 70 mg/dl Ipoglicemia asintomatica Riscontro di glicemia uguale o inferiore a 70 mg/dl Ipoglicemia inavvertita In assenza di sintomi Sintomi tipici riferiti dal paziente, ma non documentati mediante determinazione Ipoglicemia probabile della glicemia Sintomi tipici riferiti dal paziente, ma associati a un riscontro di glicemia superiore Ipoglicemia relativa a 70 mg/dl Introduzione L’ipoglicemia, che si manifesta quando i valori della glicemia plasmatica sono uguali o inferiori a 70 mg/dl nei pazienti con diabete mellito trattati con insulina o ipoglicemizzanti orali, si basa sull’identificazione della soglia glicemica da parte del sistema nervoso centrale, dove l’ipoglicemia viene riconosciuta e da dove partono i segnali fisiologici di risposta per il rilascio degli ormoni controregolatori (glucagone, adrenalina, cortisolo e ormone della crescita). Sintomi di ipoglicemia: – da attivazione simpatica (fame, sudorazione, tremore, ansietà, pallore, palpitazioni); – da neuroglicopenia (alterazione dell’umore, irritabilità, vertigini, stanchezza, del pensiero, confusione fino al coma e alle convulsioni); – ipoglicemie asintomatiche (pazienti anziani, deficit cognitivi, diabete di lunga durata, anestesia ecc.). Può essere: – lieve (o moderatamente sintomatica): sono presenti i sintomi autonomici (noti anche come sintomi di allarme all’ipoglicemia) che il paziente è in grado di riconoscere per adottare provvedimenti correttivi; – moderata: è caratterizzata dai sintomi autonomici e neuroglicopenici (Tab. 1). Il paziente è capace di riconoscerla e di adottare provvedimenti correttivi; – severa: si tratta di una condizione temporaneamente disabilitante (sopore, convulsioni e coma) che richiede l’assistenza da parte di terzi, la somministrazione di glucagone o glucosio per via parenterale e/o ricovero. Incidenza e prevalenza Mentre esistono maggiori informazioni sulla prevalenza dell’ipoglicemia severa, scarsi sono i dati sulla reale frequenza dell’ipoglicemia lieve/moderata. Nel complesso, la frequenza stimata di ipoglicemia moderata è di circa 0,1-0,3 episodi/paziente-giorno. Purtroppo, l’ipoglicemia moderata non è scevra da rischi e, specie se ricorrente, ha importanti implicazioni cliniche. Senza dubbio, le conseguenze più rilevanti sono la perdita dei sintomi dell’ipoglicemia (hypoglycemia unawareness) e una compromissione di vario grado del sistema di controregolazione. Queste condizioni costituiscono la “sindrome da insufficienza autonomica associata a ipoglicemia ricorrente”, sono clinicamente correlate e predispongono all’ipoglicemia severa. Nello studio DCCT (Diabetes Control and Complications Trial), l’incidenza dell’ipoglicemia severa era tre volte maggiore nei soggetti diabetici di tipo 1 trattati con terapia insulinica intensiva rispetto ai soggetti in terapia convenzionale (0,6 rispetto a 0,2 episodi/paziente-anno). Nel diabete di tipo 2 la frequenza di ipoglicemia severa riportata in letteratura è più bassa rispetto a quella del diabete di tipo 1. Dal punto di vista fisiopatologico il diabete di tipo 2 è caratterizzato da resistenza insulinica, dalla capacità della cellula βpancreatica di ridurre la secrezione insulinica in relazione alla diminuzione della glicemia e da un sistema di controregolazione adeguato. Queste condizioni proteggono dall’ipoglicemia. In diversi studi l’incidenza dell’ipoglicemia severa è risultata elevata in modo simile nei pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 paragonabili per durata di terapia insulinica. L’ipoglicemia inoltre è documentabile anche nei casi di diabete ben controllato, come si evince dal monitoraggio continuo della glicemia per cinque giorni modificato da Weber et al. come riportato nella figura 1(1). Fattori di rischio di ipoglicemia I fattori di rischio per l’ipoglicemia (Tab. 2) sono prevalentemente legati allo stile di vita, all’uso inappropriato dei farmaci specifici o in politerapia e alla glicemia inavvertita. Comportamentali/stile di vita I più frequenti fattori comportamentali sono ritenuti i pasti irregolari o addirittura l’abitudine a saltarli. Per quanto riguarda le abitudini alimentari, il consumo di alcol è stato correlato a un possibile aumentato rischio di episodi ipoglicemici. Il 90-95% della quantità di alcol assunta viene metabolizzata a livello epatico, la rimanente parte a livello del tratto digerente, e in particolare nello stomaco, del rene, dei polmoni e dei muscoli. Per tutti il principale meccanismo metabolico è l’ossidazione a opera di enzimi deidrogenasici. 190 M. Agrusta Gli episodi ipoglicemici sono comuni anche nei pazienti con DMT2 adeguatamente controllato 250 Ipoglicemia borderline: 51-70 mg/dl Glicemia (mg/dl) 200 150 100 50 Ipoglicemia: ≤ 50 mg/dl 0 -50 12:00 AM 4:00 AM 8:00 AM 12:00 PM 4:00 PM 8:00 PM 12:00 AM Tempo La quantità di alcol assorbita arriva al fegato dove viene metabolizzata da sistemi enzimatici diversi: l’alcol deidrogenasi e l’aldeide deidrogenasi. Questo sistema, localizzato nel citosol, metabolizza circa il 90% della dose di alcol che arriva al fegato. La prima reazione Tabella 2 Fattori di rischio per l’ipoglicemia nel diabetico. – Dosi eccessive di insulina e/o di ipoglicemizzanti orali – Assunzione concomitante di altri farmaci – Ridotta assunzione di cibo (carboidrati) – Per digiuno o pasto saltato – Interventi chirurgici – Consumo di alcolici – Aumentato esercizio fisico – Diminuzione del peso corporeo – Insufficienza renale cronica – Insufficienza renale acuta (uso di diuretici, disidratazione ecc.) – Precedenti episodi di ipoglicemia grave o di ipoglicemia asintomatica – Riscontro di basso valore di emoglobina glicata – Obiettivo di mantenere basse le glicemie – Presenza di neuropatia vegetativa – Rifiuto della malattia – Preparazione alla trasgressione alimentare – Età avanzata – Durata del diabete – Carenze endocrine – Presenza di altre malattie (per es: insufficienza del rene e del fegato) – Ospedalizzazione recente Figura 1 Monitoraggio continuo per 5 giorni (curve di diverso colore): esempio di un paziente in buon controllo metabolico (HbA1c 6,2%) in terapia con OHA (da: Weber KK et al., 2007)(1). trasforma l’alcol in acetaldeide con liberazione di idrogeno e consumo di NAD+: 1. C2H5OH + NAD+ → C2H4O + NADH + H+ etanolo acetaldeide La seconda trasforma l’acetaldeide in acetato con liberazione di H+ e co-consumo ancora di NAD+: 2. C2H4O + NAD+ → C2H4O2 + NADH + H+ acetaldeide acetato Queste due ossidazioni portano allo sbilanciamento del rapporto NAD+/NADH e all’eccesso di H+ all’interno della cellula. In tal modo aumenta l’acidità dell’ambiente e la cellula adotta una serie di misure per rialzare il pH: la via metabolica che dal piruvato porta alla formazione di glucosio viene bloccata e il piruvato è trasformato in lattato. Questa inversione metabolica porta ad alcune importanti conseguenze, in particolare all’ipoglicemia che assume particolare importanza nell’intossicazione acuta. Esistono poi delle crisi ipoglicemiche, reattive all’assunzione alcolica. Queste sono secondarie all’effetto di potenziamento dell’alcol sulla secrezione delle cellule β-pancreatiche e quindi sulla secrezione insulinica(2). Ipoglicemia da farmaci insulino-sensibilizzanti La metformina è raccomandata come terapia di prima scelta per il diabete di tipo 2 nella maggioranza delle linee guida nazionali e internazionali. Rispetto agli altri farmaci ipo-orali, la metformina presenta il vantaggio di non causare un aumento ponderale, di avere un ridotto rischio di ipoglicemia e una significativa efficacia e sicurezza a lungo termine. Due studi multicentrici, l’ADOPT (A Diabetes Outcome Progression Trial)(3) e l’UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study)(4), hanno evidenziato la presenza di ipoglicemia in pazienti che assumevano metformina in monoterapia. Lo studio UKPDS è stato disegnato per mettere a confronto l’efficacia relativa di diversi trattamenti in pazienti con diabete di Fattori di rischio per l’ipoglicemia tipo 2 di nuova diagnosi. I dati sull’ipoglicemia, raccolti utilizzando un questionario, hanno evidenziato una prevalenza annua di ipoglicemia intorno allo 0,1%, mentre la prevalenza di ipoglicemia di media gravità è stata dell’11,6%. È generalmente accettato che la metformina conferisca un basso rischio di ipoglicemia di media gravità e che l’ipoglicemia severa sia rara, il rischio ovviamente aumenta in condizioni di digiuno protratto e patologie intercorrenti. Ipoglicemia da farmaci che stimolano la secrezione di insulina Le sulfoniluree stimolano la secrezione endogena di insulina in maniera glucosio-indipendente e, quindi, possono provocare ipoglicemia. Le sulfoniluree di prima generazione (acetazolamide, clorpropamide, tolazamide e tolbutamide) attualmente sono poco utilizzate rispetto alle sulfoniluree di seconda generazione, quali glibenclamide, glipizide, glimepiride e gliclazide. Uno studio multicentrico osservazionale ha esaminato l’incidenza totale di ipoglicemia in pazienti in terapia combinata con metformina e sulfoniluree(5). Dei 400 pazienti che avevano completato il questionario, il 34% aveva sperimentato un episodio di ipoglicemia durante i sei mesi precedenti e il 12% degli eventi registrati erano stati severi. Uno studio prospettico condotto dall’Hypoglicaemia Study Group in pazienti con buon controllo glicemico (emoglobina glicata, HbA1c media 7,5%) prevedeva di segnalare prontamente e rigorosamente ogni episodio di ipoglicemia per un periodo di 9-12 mesi(6). Dei 103 pazienti trattati con sulfoniluree, il 39% ha auto-segnalato almeno un episodio di ipoglicemia di media gravità. La frequenza di ipoglicemia severa con sulfoniluree è stata identica a quella riscontrata durante i primi due anni di terapia insulinica. L’unica metanalisi che ha confrontato le varie sulfoniluree ha dimostrato che la glibenclamide causa un rischio maggiore di ipoglicemia rispetto alle sulfoniluree di seconda generazione(7). Solamente 12 studi hanno soddisfatto i criteri di inclusione nella metanalisi, che ha individuato un rischio relativo di ipoglicemia di 2,23-3,58 per gliclazide, di 1,42-1,24 per glimepiride e di 2,96 per glipizide(7). Glimepiride ha una ridotta affinità per il recettore per le sulfoniluree e questo determina una minore secrezione di insulina a digiuno e una ridotta potenzialità di causare ipoglicemia. Va rilevato però che la maggior parte delle evidenze che supportano tale conclusione ha messo a confronto glimepiride con glibenclamide, che è riconosciuta conferire un elevato rischio di ipoglicemia. Uno studio che ha confrontato gliclazide a rilascio modificato con glimepiride ha dimostrato una minore incidenza di ipoglicemia nel gruppo trattato con gliclazide. Ipoglicemia da meglitinidi Le meglitinidi stimolano la secrezione di insulina con un inizio d’azione più rapido e una durata più breve rispetto alle sulfoniluree. Le loro proprietà farmacodinamiche conferiscono il potenziale vantaggio di un ridotto rischio di ipoglicemia (conseguenza della loro più breve durata d’azione e dell’escrezione epatica). 191 Nei pochi studi clinici condotti in confronto con le sulfoniluree, le meglitinidi hanno mostrato un rischio di ipoglicemia sovrapponibile a quello delle sulfoniluree, nonostante la loro durata d’azione più breve. In uno studio di confronto tra la monoterapia con repaglinide o glibenclamide, gli episodi di ipoglicemia si sono verificati nel 13% del gruppo trattato con glibenclamide e nel 9% del gruppo trattato con repaglinide(8). Ipoglicemia da terapia con incretine - ipoglicemia da agonisti del recettore per il GLP-1 Liraglutide Il GLP-1 stimola la secrezione di insulina in maniera dipendente dalle concentrazioni di glucosio, per cui le terapie con sostanze capaci di incrementarne l’attività sono caratterizzate da un basso rischio di ipoglicemia. Due agonisti del recettore per il GLP-1 sono disponibili sul mercato, liraglutide ed exenatide. Fino a oggi tutti i trial condotti sono stati di breve durata, anche se con numero di pazienti adeguato in ragione del disegno multicentrico degli studi. Due studi che hanno analizzato liraglutide in monoterapia hanno confermato la bassa frequenza di ipoglicemia. In particolare, in uno studio non è stato riportato alcun episodio di ipoglicemia in 165 pazienti durante un periodo di 14 settimane(9). Lo studio LEAD(10) è il trial di più lunga durata, che ha fornito dati relativi a due anni di trattamento. Nessun evento di ipoglicemia severa è stato riportato, mentre la frequenza di ipoglicemia di moderata entità è stata di 0,21-0,22 eventi per paziente/anno per le dosi di 1,2 e 1,8 mg rispettivamente. I trial che hanno valutato la combinazione di liraglutide con metformina sono stati di breve durata (16-26 settimane) e hanno confermato una bassa prevalenza di ipoglicemia (0-5%). Ipoglicemia di moderata intensità è stata riportata nell’8,1-9,2% dei pazienti trattati con una combinazione di sulfoniluree e liraglutide(11). Exenatide La terapia con exenatide è stata valutata per 24 mesi in 232 pazienti, un evento di ipoglicemia di lieve intensità si è verificato nel 5 e nel 4% dei pazienti trattati rispettivamente con 5 e 10 mg(12). In combinazione con metformina e sulfoniluree, la terapia con exenatide è stata associata a una prevalenza di ipoglicemia lieve del 3,5% a un anno, dell’8% a 26 settimane(13) e del 25% a 16 settimane(14). Uno studio ha confrontato liraglutide ed exenatide in 464 pazienti per un periodo di 26 settimane(15) e ha messo in evidenza una frequenza di ipoglicemia più bassa con liraglutide (1,93 vs 2,60 eventi per anno). Complessivamente questi due farmaci hanno un basso rischio di ipoglicemia. Ipoglicemia da inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DDP-4) Sitagliptin Molti studi clinici randomizzati sono stati eseguiti nell’ultimo decennio da quando sitagliptin è disponibile in clinica. La 192 M. Agrusta frequenza di ipoglicemia minore con questo farmaco è estremamente bassa, sia come monoterapia sia in combinazione con metformina. Una frequenza più elevata del 12% è stata riscontrata nel trattamento combinato con sulfoniluree per un periodo di 24 settimane(16). – – 5-20 mg QD, raggiungendo la superiorità statistica con alogliptin 25 mg vs glipizide alla settimana 104; lieve riduzione del peso, confrontato con un significativo aumento con glipizide; inferiore incidenza di ipoglicemia confrontata con glipizide, nonostante il basso dosaggio medio di glipizide (5,2 mg)(22). Vildagliptin Empagliflozin Gli studi che hanno analizzato vildagliptin hanno messo in evidenza una bassa frequenza di ipoglicemia. La maggior parte ha avuto una durata inferiore a sei mesi e tutti hanno confermato una frequenza di ipoglicemia al di sotto dell’1%. L’unico trial che ha avuto la durata di 2 anni(17) ha messo in luce una prevalenza più elevata di ipoglicemia di moderata intensità (2,3%). Empagliflozin rientra in una nuova classe di molecole chiamate inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (sodium glucose co-transporter-2, SGLT-2), capaci di ridurre gli alti livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia), indipendentemente dall’azione dell’insulina, bloccando la ricaptazione del glucosio a livello renale e promuovendone, così, l’escrezione nelle urine. Questo meccanismo d’azione fa sì che si riducano i livelli di HbA1c e il peso corporeo indipendentemente dalla funzionalità delle cellule β-pancreatiche e dell’insulino-resistenza. Diversi studi sul rischio di ipoglicemia lieve o grave effettuati verso placebo, verso sulfoniluree e verso insulina long acting dimostrano un rischio sovrapponibile(23). Saxagliptin Un trial condotto con saxagliptin in monoterapia ha messo in evidenza ipoglicemia nel 4,8-13,6% dei soggetti(18). Un altro studio, condotto con un numero maggiore di pazienti, ha dimostrato che l’1,5% dei partecipanti presentava ipoglicemia, sebbene non confermata(19). Questo studio ha anche suggerito che il 3,4-5% dei partecipanti che utilizzava saxagliptin in combinazione con metformina ha presentato ipoglicemia. Uno studio condotto per valutare una combinazione di saxagliptin e glibenclamide, ha dimostrato una prevalenza più significativa di ipoglicemia, durante un periodo di 76 settimane, del 22,9-24,2%, in relazione alla dose, risultato che può essere sicuramente attribuito agli effetti delle sulfoniluree. Linagliptin Uno studio relativamente recente di McGill(20) ha valutato efficacia e sicurezza a lungo termine di linagliptin in pazienti con diabete di tipo 2 (T2D) e severa insufficienza renale (IR) attraverso uno studio prospettico in doppio cieco controllato verso placebo, specificatamente disegnato (fino a quel momento erano disponibili i risultati delle pooled analysis prespecificate, pubblicate in precedenza) e conclude che in pazienti con T2D e IR grave linagliptin ha dimostrato miglioramenti clinicamente significativi nel controllo glicemico con un rischio molto basso di ipoglicemie severe, un effetto neutro sul peso e nessun caso di IR farmaco-correlata e conclude che in pazienti con T2D e IR grave linagliptin ha dimostrato miglioramenti clinicamente significativi nel controllo glicemico con un rischio molto basso di ipoglicemie severe, un effetto neutro sul peso e nessun caso di IR farmaco-correlata(21). Alogliptin Nell’Endure Study, presentato all’ADA 2014, si evidenzia nel confronto con glipizide: – una significativa riduzione delle ipoglicemie ai dosaggi sia di 12,5 sia di 25 mg; – profili di efficacia comparabili con quello di glipizide Ipoglicemia da tiazoldinedioni-pioglitazone I tiazolidinedioni, grazie all’azione sul recettore PPAR-γ, riducono la resistenza periferica all’insulina. Gli studi randomizzati hanno dimostrato un’incidenza molto bassa di ipoglicemia lieve in associazione con metformina (< 1% per 12-24 settimane)(21). Questa aumenta del 5% se usati in combinazione con insulina. Uno studio che ha utilizzato informazioni provenienti dal Drug Safety Research Unit (DSRU), su 12.772 pazienti a cui era stato prescritto pioglitazone o rosiglitazone tra il 2000 e il 2001, ha rilevato almeno un caso di ipoglicemia in soli 77 pazienti(24), mentre pazienti in co-trattamento con sulfoniluree hanno manifestato un rischio di ipoglicemia tre volte maggiore. Ipoglicemia da altre terapie associate Antipertensivi Molti farmaci non ipoglicemizzanti sono potenzialmente in grado di causare o aggravare l’ipoglicemia. Antipertensivi, β-bloccanti e ACE-inibitori. I β-bloccanti adrenergici sono stati, in passato, indicati come farmaci in grado di favorire l’ipoglicemia. Una metanalisi di segnalazioni di farmaci β-bloccanti che hanno indotto ipoglicemia, e che comprendeva 49 pubblicazioni con dati relativi solo a 131 pazienti(25), ha mostrato un valore totale di odds ratio dell’1,9. Non vi sono prove sufficienti e solide, comunque, per confermare che i β-bloccanti aumentino il rischio di ipoglicemia. Per gli ACE-inibitori gli studi mostrano risultati contrastanti. Sono stati proposti meccanismi mediante i quali la terapia con ACE-inibitori potrebbe incrementare il rischio di ipoglicemia(26): per esempio, l’aumento del flusso sanguigno al muscolo scheletrico, migliorare la sensibilità all’insulina e un maggior Fattori di rischio per l’ipoglicemia Tabella 3 Farmaci vari e ipoglicemia. Effetto certo: salicilati, sulfonamidi, pentamidina, chinina, chinidinici Effetto incerto: β-bloccanti, ACE-inibitori, analgesici, antinfiammatori, clofibrato, cloramfenicolo, ketoconazolo, aloperidolo, inibitore delle MAO, sulfinpirazone, colchicina rilascio di glucosio, consentirebbe una migliore risposta delle cellule beta. Uno studio caso controllo, utilizzando il database tedesco PHARMO, ha esaminato l’ospedalizzazione di 300.000 abitanti fra il 1986 e 1992(27). Sono stati rilevati 94 ricoveri per ipoglicemia e gli ACE-inibitori sono stati gli unici farmaci associati, con un odds ratio di 2,8. Lo studio ha esaminato solo casi di ipoglicemia severa e in ogni caso non è stato dimostrato un nesso di causalità dirimente. Antibiotici La principale classe di antibiotici in grado di indurre ipoglicemia è rappresentata dai fluorochinoloni. Il meccanismo d’azione probabilmente risiede in un aumento dei livelli plasmatici di insulina, attraverso l’attivazione dei canali del potassio della cellula β-pancreatica(28). Una metanalisi di 32 pubblicazioni su 826 pazienti in trattamento con fluorochinoloni, ha mostrato, per gatifloxacina, un odds ratio per il rischio di ipoglicemia di 2,0 (0,9-4,1). Per gli altri fluorochinoloni, l’evidenza è stata debole e la proporzione di pazienti che assumevano il farmaco che hanno manifestato ipoglicemia era compresa tra l’1 e il 6%(25). Fibrati I fibrati sembrano indurre ipoglicemia solo in presenza di altre terapie ipoglicemizzanti, infatti spiazzano le sulfoniluree dal legame con le proteine plasmatiche, aumentando così il loro effetto ipoglicemizzante(29). Distinguiamo nella tabella 3 farmaci con sicuro effetto sull’ipoglicemia da farmaci con effetto dubbio. Ipoglicemia da insulina L’iperinsulinemia è la causa iniziale dell’ipoglicemia. Infatti, la necessità terapeutica di “insulinizzare” adeguatamente il paziente, per sopprimere la produzione epatica di glucosio, somministrando l’insulina nel circolo sistemico tramite la via sottocutanea invece che nel circolo portale, determina concentrazioni ematiche di insulina non sempre appropriate in relazione alle esigenze metaboliche attuali. Può derivarne un’eccessiva insulinizzazione, assoluta o relativa, che espone il paziente al rischio d’ipoglicemia. Tuttavia, quando pazienti con diabete di tipo 1 e soggetti non diabetici sono esposti alla stessa iperinsulinemia in condizioni sperimentali e controllate, l’ipoglicemia è più severa e prolungata nei diabetici(30). Quindi, se l’eccessiva insulinizzazione costituisce la causa iniziale del- 193 l’ipoglicemia, la compromissione del sistema di controregolazione è responsabile della gravità dell’ipoglicemia. Il difetto più comune è la perdita precoce della risposta di glucagone all’ipoglicemia(30). Allora, è la risposta di adrenalina che risulta critica per la prevenzione e/o correzione dell’ipoglicemia(30). Tuttavia, molti pazienti con diabete di tipo 1 presentano anche ridotte risposte di adrenalina, particolarmente dopo ipoglicemie ricorrenti(31), e/o in presenza di diabete di lunga durata(32). Senza dubbio, i pazienti che presentano un difetto associato di secrezione di glucagone e adrenalina hanno un rischio maggiore di ipoglicemia severa. Nel diabete di tipo 2 l’ipoglicemia è meno frequente rispetto al diabete di tipo 1 a causa della resistenza insulinica e di una controregolazione adeguata, anche se l’ipoglicemia indotta da sulfoniluree può essere estremamente severa e prolungata. Nei diabetici di tipo 2 trattati con insulina si osserva una ridotta risposta di glucagone e di adrenalina all’ipoglicemia(33). In questi pazienti, come nei pazienti con diabete di tipo 1, la combinazione d’iperinsulinemia e di una controregolazione inadeguata aumenta il rischio d’ipoglicemia(33). Conseguenze L’ipoglicemia può avere diverse conseguenze in relazione alla gravità, durata e frequenza, oltre che alla presenza di eventuali malattie associate. Hypoglycemia unawareness La complicanza più frequente dell’ipoglicemia, soprattutto dell’ipoglicemia notturna, è la sindrome della perdita dei sintomi all’ipoglicemia, meglio nota come hypoglycemia unawareness. Si tratta di una condizione in cui l’ipoglicemia si manifesta senza sintomi autonomici di allarme, per essere più precisi, il paziente non è consapevole della propria ipoglicemia. La mancata percezione dell’ipoglicemia impedisce al paziente di correggere l’ipoglicemia prima della comparsa della neuroglicopenia. L’hypoglycemia unawareness è piuttosto diffusa in quanto interessa circa il 25% dei pazienti con diabete di tipo 1(34) e meno del 10% dei pazienti con diabete di tipo 2(35). La sua presenza aumenta il rischio di ipoglicemia grave sia nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2(34,35). L’hypoglycemia unawareness è causata dalle ipoglicemie ricorrenti. Infatti, la prevenzione dell’ipoglicemia è seguita dal recupero di adeguate risposte dei sintomi e di adrenalina all’ipoglicemia(31). L’effetto della prevenzione dell’ipoglicemia sulla risposta di adrenalina è più evidente nel diabete di breve, rispetto a quello di lunga durata(34), e nel diabete senza, rispetto a quello con neuropatia autonomica clinicamente evidente(34-36). Conclusioni La metformina, i tiazolidinedioni, gli inibitori DPP-4 e gli agonisti GLP-1 presentano un basso rischio di ipoglicemia lieve e 194 M. Agrusta molto basso di ipoglicemia severa. Al contrario, le sulfoniluree hanno più probabilità di indurre ipoglicemia, probabilmente a causa del loro meccanismo d’azione. Il rischio complessivo di ipoglicemia da sulfoniluree è inferiore rispetto a quello associato a insulina. Il trattamento combinato con vari ipoglicemizzanti sembra aumentare il rischio di ipoglicemia. Altri fattori predisponenti includono l’avanzare dell’età, patologie concomitanti e il digiuno prolungato. Inoltre, altri farmaci comunemente prescritti nel diabete di tipo 2, associati a ipoglicemia, sono gli ACE-inibitori, i β-bloccanti, i fluorochinoloni e i fibrati. Un modo per ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia farmaco-correlata può essere quello di prescrivere molecole che aumentano la sensibilità all’insulina (metformina e tiazolidinedioni), oppure agire attraverso l’asse delle incretine (inibitori DPP-4 e agonisti GLP-1). Strategie terapeutiche individualizzate sono, quindi, importanti per ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia. La comparsa di episodi ipoglicemici lievi o moderati nei pazienti diabetici, trattati con insulina o secretagoghi, determina da un lato una ridotta risposta degli ormoni controregolatori, soprattutto di adrenalina, e dall’altro un’iniziale perdita dei sintomi fino allo sviluppo dell’hypoglycemia unawareness. Sia il deficit di adrenalina sia l’hypoglycemia unawareness predispongono all’ipoglicemia severa. Per questo motivo la prevenzione di forme anche lievi di ipoglicemia deve rappresentare un obiettivo primario in tutti i pazienti diabetici. In generale, la prevenzione dell’ipoglicemia si snoda su vari livelli. Innanzitutto è importante tener conto di condizioni che predispongono a essa. Tra queste, la storia di pregressi episodi di ipoglicemia severa e l’hypoglycemia unawareness sono le più importanti perché aumentano notevolmente il rischio di ipoglicemia severa. L’hypoglycemia unawareness è il risultato di ipoglicemie iatrogeniche, conseguenti all’uso di regimi non fisiologici di sostituzione insulinica, associati a una insufficiente istruzione del paziente da parte del diabetologo. Tale sindrome è reversibile nei limiti in cui venga perseguita una prevenzione meticolosa dell’ipoglicemia. A questo scopo è fondamentale che vengano impiegati regimi terapeutici di somministrazione insulinica fisiologici per raggiungere la quasi normoglicemia, minimizzando il rischio di ipoglicemie. Questo obiettivo è di fatto realizzabile nel momento in cui: 1) si adotti un piano razionale di terapia insulinica; 2) siano individuati obiettivi glicemici realistici; 3) vengano attuati programmi educativi adeguati. Il paziente diabetico deve essere informato sulle caratteristiche delle preparazioni insuliniche utilizzate e conoscere i momenti della giornata a maggior rischio di ipoglicemia, deve essere istruito sull’utilità dell’automonitoraggio glicemico, deve poter stabilire l’impatto glicemico del pasto in relazione al contenuto di carboidrati, deve essere in grado di gestire correttamente l’esercizio fisico ed essere a conoscenza degli effetti ipoglicemizzanti dell’alcol. Altri elementi importanti per il paziente sono il controllo della glicemia in presenza di sintomi sospetti per ipoglicemia, la correzione dell’ipoglicemia con carboidrati a pronto assorbimento, il possesso in casa di una fiala di glucagone, il coinvolgimento di familiari e amici nella prevenzione e terapia dell’ipoglicemia. Conflitto di interessi Nessuno. Bibliografia 1. Weber KK, Lohmann T, Busch K, Donati-Hirsch I, Riel R. High frequency of unrecognized hypoglycaemias in patients with type 2 diabetes is discovered by continuous glucose monitoring. Exp Clin Endocrinol Diabetes 2007;115:491-4. 2. Turner BC, Jenkins E, Kerr D, Sherwin RS, Cavan DA. The effect of evening alcohol consumption on next-morning glucose control in type 1 diabetes. Diabetes Care 2001;24:1888-93. 3. Viberti G, Kahn SE, Greene DA, Herman WH, Zinman B, Holman RR et al. 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