articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e

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articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e
G It Diabetol Metab 2015;35:188-195
Rassegna
Fattori di rischio per l’ipoglicemia
(farmaci, stile di vita,
hypoglycemia unawareness)
RIASSUNTO
L’ipoglicemia nei pazienti con diabete mellito trattati con insulina
o ipoglicemizzanti orali può aumentare la morbilità e la mortalità,
il rischio di incidenti stradali, di fratture traumatiche da caduta per
perdita di coscienza e di eventi cardiovascolari.
È perciò importante conoscerne le cause, identificarne i fattori di
rischio che sono prevalentemente legati all’uso inappropriato di
insulina e/o di ipoglicemizzanti orali, all’assunzione concomitante
di altri farmaci di cui non si valutano le interazioni e da modifiche
di comportamenti abituali come la ridotta assunzione di cibo (carboidrati) per digiuno o pasto saltato.
La complicanza più frequente dell’ipoglicemia, soprattutto dell’ipoglicemia notturna, è la sindrome della perdita dei sintomi all’ipoglicemia, meglio nota come hypoglycemia unawareness. La
mancata percezione dell’ipoglicemia impedisce al paziente di correggere l’ipoglicemia prima della comparsa della neuroglicopenia.
È perciò importante educare i pazienti al corretto uso dei farmaci,
all’automonitoraggio glicemico e a riconoscere e trattare i sintomi
dell’ipoglicemia.
SUMMARY
Risk factors for hypoglycemia (drugs, lifestyle, unawareness
of hypoglycemia)
In patients with diabetes mellitus treated with insulin or oral hypoglycemic agents, hypoglycemia can increase morbidity and mortality,
and raise the risk of accidents, traumatic fractures secondary to loss
of consciousness, and cardiovascular events. It is important to know
the causes and identify risk factors, mainly related to inappropriate
use of insulin and/or oral hypoglycemic agents, concomitant intake
of other drugs and their interactions, behavior changes like inadequate food intake (carbohydrates), fasting, or skipping meals.
The most frequent complication, especially nocturnal hypoglycemia, is the loss of the ability to recognize symptoms of hypoglycemia, sometimes referred to as “hypoglycemia unawareness”. This
failure to perceive the symptoms prevents the patient correcting
the hypoglycemia before it progresses to neuroglycopenia.
Therefore, it is important to educate patients about the proper
use of drugs, self-monitoring blood glucose, and how to recognize and treat the symptoms of hypoglycemia.
M. Agrusta
Diabetologia e Dietologia Clinica “Ruggiero”
Cava de’ Tirreni, Scuola di Formazione AMD
Corrispondenza: dott. Mariano Agrusta,
corso Umberto I 266, 84013 Cava de’ Tirreni (SA)
G It Diabetol Metab 2015;35:188-195
Pervenuto in Redazione il 03-07-2015
Accettato per la pubblicazione il 15-07-2015
Parole chiave: fattori di rischio di ipoglicemia,
hypoglycemia unawareness, educazione terapeutica
del paziente
Key words: hypoglycemia risk factors, hypoglycemia
unawareness, therapeutic patient education
Fattori di rischio per l’ipoglicemia
189
Tabella 1 Classificazione dell’ipoglicemia nel diabetico.
Sintomi neurologici che richiedono l’intervento di terzi per l’assunzione
Ipoglicemia grave
di glucosio o glucagone
Ipoglicemia sintomatica Sintomi tipici associati al riscontro di glicemia documentata uguale o inferiore a
70 mg/dl
Ipoglicemia asintomatica Riscontro di glicemia uguale o inferiore a 70 mg/dl
Ipoglicemia inavvertita
In assenza di sintomi
Sintomi tipici riferiti dal paziente, ma non documentati mediante determinazione
Ipoglicemia probabile
della glicemia
Sintomi tipici riferiti dal paziente, ma associati a un riscontro di glicemia superiore
Ipoglicemia relativa
a 70 mg/dl
Introduzione
L’ipoglicemia, che si manifesta quando i valori della glicemia
plasmatica sono uguali o inferiori a 70 mg/dl nei pazienti con
diabete mellito trattati con insulina o ipoglicemizzanti orali, si
basa sull’identificazione della soglia glicemica da parte del sistema nervoso centrale, dove l’ipoglicemia viene riconosciuta
e da dove partono i segnali fisiologici di risposta per il rilascio
degli ormoni controregolatori (glucagone, adrenalina, cortisolo
e ormone della crescita).
Sintomi di ipoglicemia:
– da attivazione simpatica (fame, sudorazione, tremore, ansietà, pallore, palpitazioni);
– da neuroglicopenia (alterazione dell’umore, irritabilità, vertigini, stanchezza, del pensiero, confusione fino al coma e
alle convulsioni);
– ipoglicemie asintomatiche (pazienti anziani, deficit cognitivi, diabete di lunga durata, anestesia ecc.).
Può essere:
– lieve (o moderatamente sintomatica): sono presenti i sintomi autonomici (noti anche come sintomi di allarme all’ipoglicemia) che il paziente è in grado di riconoscere per
adottare provvedimenti correttivi;
– moderata: è caratterizzata dai sintomi autonomici e neuroglicopenici (Tab. 1). Il paziente è capace di riconoscerla
e di adottare provvedimenti correttivi;
– severa: si tratta di una condizione temporaneamente disabilitante (sopore, convulsioni e coma) che richiede l’assistenza da parte di terzi, la somministrazione di
glucagone o glucosio per via parenterale e/o ricovero.
Incidenza e prevalenza
Mentre esistono maggiori informazioni sulla prevalenza dell’ipoglicemia severa, scarsi sono i dati sulla reale frequenza
dell’ipoglicemia lieve/moderata. Nel complesso, la frequenza
stimata di ipoglicemia moderata è di circa 0,1-0,3 episodi/paziente-giorno. Purtroppo, l’ipoglicemia moderata non
è scevra da rischi e, specie se ricorrente, ha importanti implicazioni cliniche. Senza dubbio, le conseguenze più rilevanti
sono la perdita dei sintomi dell’ipoglicemia (hypoglycemia
unawareness) e una compromissione di vario grado del sistema di controregolazione.
Queste condizioni costituiscono la “sindrome da insufficienza
autonomica associata a ipoglicemia ricorrente”, sono clinicamente correlate e predispongono all’ipoglicemia severa.
Nello studio DCCT (Diabetes Control and Complications Trial),
l’incidenza dell’ipoglicemia severa era tre volte maggiore nei
soggetti diabetici di tipo 1 trattati con terapia insulinica intensiva rispetto ai soggetti in terapia convenzionale (0,6 rispetto
a 0,2 episodi/paziente-anno).
Nel diabete di tipo 2 la frequenza di ipoglicemia severa riportata
in letteratura è più bassa rispetto a quella del diabete di tipo 1.
Dal punto di vista fisiopatologico il diabete di tipo 2 è caratterizzato da resistenza insulinica, dalla capacità della cellula βpancreatica di ridurre la secrezione insulinica in relazione alla
diminuzione della glicemia e da un sistema di controregolazione
adeguato. Queste condizioni proteggono dall’ipoglicemia. In diversi studi l’incidenza dell’ipoglicemia severa è risultata elevata
in modo simile nei pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 paragonabili per durata di terapia insulinica. L’ipoglicemia inoltre è
documentabile anche nei casi di diabete ben controllato, come
si evince dal monitoraggio continuo della glicemia per cinque
giorni modificato da Weber et al. come riportato nella figura 1(1).
Fattori di rischio di ipoglicemia
I fattori di rischio per l’ipoglicemia (Tab. 2) sono prevalentemente legati allo stile di vita, all’uso inappropriato dei farmaci
specifici o in politerapia e alla glicemia inavvertita.
Comportamentali/stile di vita
I più frequenti fattori comportamentali sono ritenuti i pasti irregolari o addirittura l’abitudine a saltarli.
Per quanto riguarda le abitudini alimentari, il consumo di alcol
è stato correlato a un possibile aumentato rischio di episodi
ipoglicemici. Il 90-95% della quantità di alcol assunta viene
metabolizzata a livello epatico, la rimanente parte a livello del
tratto digerente, e in particolare nello stomaco, del rene, dei
polmoni e dei muscoli. Per tutti il principale meccanismo
metabolico è l’ossidazione a opera di enzimi deidrogenasici.
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M. Agrusta
Gli episodi ipoglicemici sono comuni anche
nei pazienti con DMT2 adeguatamente controllato
250
Ipoglicemia borderline:
51-70 mg/dl
Glicemia (mg/dl)
200
150
100
50
Ipoglicemia:
≤ 50 mg/dl
0
-50
12:00 AM
4:00 AM
8:00 AM
12:00 PM 4:00 PM
8:00 PM 12:00 AM
Tempo
La quantità di alcol assorbita arriva al fegato dove viene metabolizzata da sistemi enzimatici diversi: l’alcol deidrogenasi e
l’aldeide deidrogenasi.
Questo sistema, localizzato nel citosol, metabolizza circa il
90% della dose di alcol che arriva al fegato. La prima reazione
Tabella 2 Fattori di rischio per l’ipoglicemia nel diabetico.
– Dosi eccessive di insulina e/o di ipoglicemizzanti
orali
– Assunzione concomitante di altri farmaci
– Ridotta assunzione di cibo (carboidrati)
– Per digiuno o pasto saltato
– Interventi chirurgici
– Consumo di alcolici
– Aumentato esercizio fisico
– Diminuzione del peso corporeo
– Insufficienza renale cronica
– Insufficienza renale acuta (uso di diuretici, disidratazione ecc.)
– Precedenti episodi di ipoglicemia grave o di ipoglicemia asintomatica
– Riscontro di basso valore di emoglobina glicata
– Obiettivo di mantenere basse le glicemie
– Presenza di neuropatia vegetativa
– Rifiuto della malattia
– Preparazione alla trasgressione alimentare
– Età avanzata
– Durata del diabete
– Carenze endocrine
– Presenza di altre malattie (per es: insufficienza del
rene e del fegato)
– Ospedalizzazione recente
Figura 1 Monitoraggio continuo
per 5 giorni (curve di diverso colore):
esempio di un paziente in buon controllo metabolico (HbA1c 6,2%) in terapia con OHA (da: Weber KK et al.,
2007)(1).
trasforma l’alcol in acetaldeide con liberazione di idrogeno e
consumo di NAD+:
1. C2H5OH + NAD+ → C2H4O + NADH + H+
etanolo acetaldeide
La seconda trasforma l’acetaldeide in acetato con liberazione
di H+ e co-consumo ancora di NAD+:
2. C2H4O + NAD+ → C2H4O2 + NADH + H+
acetaldeide acetato
Queste due ossidazioni portano allo sbilanciamento del rapporto NAD+/NADH e all’eccesso di H+ all’interno della cellula.
In tal modo aumenta l’acidità dell’ambiente e la cellula adotta
una serie di misure per rialzare il pH: la via metabolica che dal
piruvato porta alla formazione di glucosio viene bloccata e il
piruvato è trasformato in lattato.
Questa inversione metabolica porta ad alcune importanti conseguenze, in particolare all’ipoglicemia che assume particolare
importanza nell’intossicazione acuta. Esistono poi delle crisi
ipoglicemiche, reattive all’assunzione alcolica. Queste sono secondarie all’effetto di potenziamento dell’alcol sulla secrezione
delle cellule β-pancreatiche e quindi sulla secrezione insulinica(2).
Ipoglicemia da farmaci insulino-sensibilizzanti
La metformina è raccomandata come terapia di prima scelta
per il diabete di tipo 2 nella maggioranza delle linee guida nazionali e internazionali.
Rispetto agli altri farmaci ipo-orali, la metformina presenta il
vantaggio di non causare un aumento ponderale, di avere un
ridotto rischio di ipoglicemia e una significativa efficacia e sicurezza a lungo termine.
Due studi multicentrici, l’ADOPT (A Diabetes Outcome Progression Trial)(3) e l’UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study)(4), hanno evidenziato la presenza di ipoglicemia
in pazienti che assumevano metformina in monoterapia. Lo
studio UKPDS è stato disegnato per mettere a confronto l’efficacia relativa di diversi trattamenti in pazienti con diabete di
Fattori di rischio per l’ipoglicemia
tipo 2 di nuova diagnosi. I dati sull’ipoglicemia, raccolti utilizzando un questionario, hanno evidenziato una prevalenza
annua di ipoglicemia intorno allo 0,1%, mentre la prevalenza
di ipoglicemia di media gravità è stata dell’11,6%.
È generalmente accettato che la metformina conferisca un
basso rischio di ipoglicemia di media gravità e che l’ipoglicemia severa sia rara, il rischio ovviamente aumenta in condizioni di digiuno protratto e patologie intercorrenti.
Ipoglicemia da farmaci che stimolano
la secrezione di insulina
Le sulfoniluree stimolano la secrezione endogena di insulina in
maniera glucosio-indipendente e, quindi, possono provocare
ipoglicemia. Le sulfoniluree di prima generazione (acetazolamide, clorpropamide, tolazamide e tolbutamide) attualmente
sono poco utilizzate rispetto alle sulfoniluree di seconda generazione, quali glibenclamide, glipizide, glimepiride e gliclazide.
Uno studio multicentrico osservazionale ha esaminato l’incidenza totale di ipoglicemia in pazienti in terapia combinata
con metformina e sulfoniluree(5).
Dei 400 pazienti che avevano completato il questionario, il 34%
aveva sperimentato un episodio di ipoglicemia durante i sei
mesi precedenti e il 12% degli eventi registrati erano stati severi.
Uno studio prospettico condotto dall’Hypoglicaemia Study
Group in pazienti con buon controllo glicemico (emoglobina
glicata, HbA1c media 7,5%) prevedeva di segnalare prontamente e rigorosamente ogni episodio di ipoglicemia per un
periodo di 9-12 mesi(6). Dei 103 pazienti trattati con sulfoniluree, il 39% ha auto-segnalato almeno un episodio di ipoglicemia di media gravità. La frequenza di ipoglicemia severa
con sulfoniluree è stata identica a quella riscontrata durante i
primi due anni di terapia insulinica.
L’unica metanalisi che ha confrontato le varie sulfoniluree ha
dimostrato che la glibenclamide causa un rischio maggiore di
ipoglicemia rispetto alle sulfoniluree di seconda generazione(7).
Solamente 12 studi hanno soddisfatto i criteri di inclusione
nella metanalisi, che ha individuato un rischio relativo di ipoglicemia di 2,23-3,58 per gliclazide, di 1,42-1,24 per glimepiride e di 2,96 per glipizide(7). Glimepiride ha una ridotta affinità
per il recettore per le sulfoniluree e questo determina una minore secrezione di insulina a digiuno e una ridotta potenzialità di causare ipoglicemia. Va rilevato però che la maggior
parte delle evidenze che supportano tale conclusione ha
messo a confronto glimepiride con glibenclamide, che è riconosciuta conferire un elevato rischio di ipoglicemia. Uno studio che ha confrontato gliclazide a rilascio modificato con
glimepiride ha dimostrato una minore incidenza di ipoglicemia nel gruppo trattato con gliclazide.
Ipoglicemia da meglitinidi
Le meglitinidi stimolano la secrezione di insulina con un inizio
d’azione più rapido e una durata più breve rispetto alle sulfoniluree. Le loro proprietà farmacodinamiche conferiscono il potenziale vantaggio di un ridotto rischio di ipoglicemia (conseguenza
della loro più breve durata d’azione e dell’escrezione epatica).
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Nei pochi studi clinici condotti in confronto con le sulfoniluree, le meglitinidi hanno mostrato un rischio di ipoglicemia sovrapponibile a quello delle sulfoniluree, nonostante la loro
durata d’azione più breve. In uno studio di confronto tra la
monoterapia con repaglinide o glibenclamide, gli episodi di
ipoglicemia si sono verificati nel 13% del gruppo trattato con
glibenclamide e nel 9% del gruppo trattato con repaglinide(8).
Ipoglicemia da terapia con incretine - ipoglicemia
da agonisti del recettore per il GLP-1
Liraglutide
Il GLP-1 stimola la secrezione di insulina in maniera dipendente dalle concentrazioni di glucosio, per cui le terapie con
sostanze capaci di incrementarne l’attività sono caratterizzate
da un basso rischio di ipoglicemia. Due agonisti del recettore
per il GLP-1 sono disponibili sul mercato, liraglutide ed exenatide. Fino a oggi tutti i trial condotti sono stati di breve durata, anche se con numero di pazienti adeguato in ragione
del disegno multicentrico degli studi.
Due studi che hanno analizzato liraglutide in monoterapia hanno
confermato la bassa frequenza di ipoglicemia. In particolare, in
uno studio non è stato riportato alcun episodio di ipoglicemia
in 165 pazienti durante un periodo di 14 settimane(9). Lo studio
LEAD(10) è il trial di più lunga durata, che ha fornito dati relativi a
due anni di trattamento. Nessun evento di ipoglicemia severa
è stato riportato, mentre la frequenza di ipoglicemia di moderata entità è stata di 0,21-0,22 eventi per paziente/anno per le
dosi di 1,2 e 1,8 mg rispettivamente. I trial che hanno valutato
la combinazione di liraglutide con metformina sono stati di breve
durata (16-26 settimane) e hanno confermato una bassa prevalenza di ipoglicemia (0-5%). Ipoglicemia di moderata intensità
è stata riportata nell’8,1-9,2% dei pazienti trattati con una combinazione di sulfoniluree e liraglutide(11).
Exenatide
La terapia con exenatide è stata valutata per 24 mesi in 232 pazienti, un evento di ipoglicemia di lieve intensità si è verificato nel
5 e nel 4% dei pazienti trattati rispettivamente con 5 e 10 mg(12).
In combinazione con metformina e sulfoniluree, la terapia con
exenatide è stata associata a una prevalenza di ipoglicemia lieve
del 3,5% a un anno, dell’8% a 26 settimane(13) e del 25% a
16 settimane(14). Uno studio ha confrontato liraglutide ed exenatide in 464 pazienti per un periodo di 26 settimane(15) e ha
messo in evidenza una frequenza di ipoglicemia più bassa con
liraglutide (1,93 vs 2,60 eventi per anno). Complessivamente
questi due farmaci hanno un basso rischio di ipoglicemia.
Ipoglicemia da inibitori della dipeptidil
peptidasi-4 (DDP-4)
Sitagliptin
Molti studi clinici randomizzati sono stati eseguiti nell’ultimo
decennio da quando sitagliptin è disponibile in clinica. La
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M. Agrusta
frequenza di ipoglicemia minore con questo farmaco è estremamente bassa, sia come monoterapia sia in combinazione
con metformina.
Una frequenza più elevata del 12% è stata riscontrata nel trattamento combinato con sulfoniluree per un periodo di 24 settimane(16).
–
–
5-20 mg QD, raggiungendo la superiorità statistica con
alogliptin 25 mg vs glipizide alla settimana 104;
lieve riduzione del peso, confrontato con un significativo
aumento con glipizide;
inferiore incidenza di ipoglicemia confrontata con glipizide,
nonostante il basso dosaggio medio di glipizide (5,2 mg)(22).
Vildagliptin
Empagliflozin
Gli studi che hanno analizzato vildagliptin hanno messo in evidenza una bassa frequenza di ipoglicemia. La maggior parte
ha avuto una durata inferiore a sei mesi e tutti hanno confermato una frequenza di ipoglicemia al di sotto dell’1%. L’unico
trial che ha avuto la durata di 2 anni(17) ha messo in luce una
prevalenza più elevata di ipoglicemia di moderata intensità
(2,3%).
Empagliflozin rientra in una nuova classe di molecole chiamate
inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (sodium
glucose co-transporter-2, SGLT-2), capaci di ridurre gli alti livelli
di glucosio nel sangue (iperglicemia), indipendentemente dall’azione dell’insulina, bloccando la ricaptazione del glucosio a livello renale e promuovendone, così, l’escrezione nelle urine.
Questo meccanismo d’azione fa sì che si riducano i livelli di
HbA1c e il peso corporeo indipendentemente dalla funzionalità
delle cellule β-pancreatiche e dell’insulino-resistenza.
Diversi studi sul rischio di ipoglicemia lieve o grave effettuati
verso placebo, verso sulfoniluree e verso insulina long acting
dimostrano un rischio sovrapponibile(23).
Saxagliptin
Un trial condotto con saxagliptin in monoterapia ha messo in
evidenza ipoglicemia nel 4,8-13,6% dei soggetti(18). Un altro
studio, condotto con un numero maggiore di pazienti, ha dimostrato che l’1,5% dei partecipanti presentava ipoglicemia,
sebbene non confermata(19). Questo studio ha anche suggerito che il 3,4-5% dei partecipanti che utilizzava saxagliptin in
combinazione con metformina ha presentato ipoglicemia. Uno
studio condotto per valutare una combinazione di saxagliptin
e glibenclamide, ha dimostrato una prevalenza più significativa di ipoglicemia, durante un periodo di 76 settimane, del
22,9-24,2%, in relazione alla dose, risultato che può essere sicuramente attribuito agli effetti delle sulfoniluree.
Linagliptin
Uno studio relativamente recente di McGill(20) ha valutato efficacia e sicurezza a lungo termine di linagliptin in pazienti con
diabete di tipo 2 (T2D) e severa insufficienza renale (IR) attraverso uno studio prospettico in doppio cieco controllato verso
placebo, specificatamente disegnato (fino a quel momento
erano disponibili i risultati delle pooled analysis prespecificate,
pubblicate in precedenza) e conclude che in pazienti con T2D
e IR grave linagliptin ha dimostrato miglioramenti clinicamente
significativi nel controllo glicemico con un rischio molto basso
di ipoglicemie severe, un effetto neutro sul peso e nessun
caso di IR farmaco-correlata e conclude che in pazienti con
T2D e IR grave linagliptin ha dimostrato miglioramenti clinicamente significativi nel controllo glicemico con un rischio molto
basso di ipoglicemie severe, un effetto neutro sul peso e nessun caso di IR farmaco-correlata(21).
Alogliptin
Nell’Endure Study, presentato all’ADA 2014, si evidenzia nel
confronto con glipizide:
– una significativa riduzione delle ipoglicemie ai dosaggi sia
di 12,5 sia di 25 mg;
– profili di efficacia comparabili con quello di glipizide
Ipoglicemia da tiazoldinedioni-pioglitazone
I tiazolidinedioni, grazie all’azione sul recettore PPAR-γ, riducono la resistenza periferica all’insulina. Gli studi randomizzati
hanno dimostrato un’incidenza molto bassa di ipoglicemia
lieve in associazione con metformina (< 1% per 12-24 settimane)(21).
Questa aumenta del 5% se usati in combinazione con insulina. Uno studio che ha utilizzato informazioni provenienti dal
Drug Safety Research Unit (DSRU), su 12.772 pazienti a cui
era stato prescritto pioglitazone o rosiglitazone tra il 2000 e il
2001, ha rilevato almeno un caso di ipoglicemia in soli 77 pazienti(24), mentre pazienti in co-trattamento con sulfoniluree
hanno manifestato un rischio di ipoglicemia tre volte maggiore.
Ipoglicemia da altre terapie associate
Antipertensivi
Molti farmaci non ipoglicemizzanti sono potenzialmente in
grado di causare o aggravare l’ipoglicemia. Antipertensivi,
β-bloccanti e ACE-inibitori.
I β-bloccanti adrenergici sono stati, in passato, indicati come
farmaci in grado di favorire l’ipoglicemia. Una metanalisi di segnalazioni di farmaci β-bloccanti che hanno indotto ipoglicemia,
e che comprendeva 49 pubblicazioni con dati relativi solo a
131 pazienti(25), ha mostrato un valore totale di odds ratio
dell’1,9. Non vi sono prove sufficienti e solide, comunque, per
confermare che i β-bloccanti aumentino il rischio di ipoglicemia.
Per gli ACE-inibitori gli studi mostrano risultati contrastanti.
Sono stati proposti meccanismi mediante i quali la terapia con
ACE-inibitori potrebbe incrementare il rischio di ipoglicemia(26):
per esempio, l’aumento del flusso sanguigno al muscolo
scheletrico, migliorare la sensibilità all’insulina e un maggior
Fattori di rischio per l’ipoglicemia
Tabella 3 Farmaci vari e ipoglicemia.
Effetto certo: salicilati, sulfonamidi, pentamidina,
chinina, chinidinici
Effetto incerto: β-bloccanti, ACE-inibitori, analgesici, antinfiammatori, clofibrato, cloramfenicolo, ketoconazolo, aloperidolo, inibitore delle MAO,
sulfinpirazone, colchicina
rilascio di glucosio, consentirebbe una migliore risposta delle
cellule beta. Uno studio caso controllo, utilizzando il database
tedesco PHARMO, ha esaminato l’ospedalizzazione di
300.000 abitanti fra il 1986 e 1992(27). Sono stati rilevati 94 ricoveri per ipoglicemia e gli ACE-inibitori sono stati gli unici farmaci associati, con un odds ratio di 2,8. Lo studio ha
esaminato solo casi di ipoglicemia severa e in ogni caso non
è stato dimostrato un nesso di causalità dirimente.
Antibiotici
La principale classe di antibiotici in grado di indurre ipoglicemia è rappresentata dai fluorochinoloni. Il meccanismo
d’azione probabilmente risiede in un aumento dei livelli plasmatici di insulina, attraverso l’attivazione dei canali del potassio della cellula β-pancreatica(28). Una metanalisi di
32 pubblicazioni su 826 pazienti in trattamento con fluorochinoloni, ha mostrato, per gatifloxacina, un odds ratio per il
rischio di ipoglicemia di 2,0 (0,9-4,1).
Per gli altri fluorochinoloni, l’evidenza è stata debole e la proporzione di pazienti che assumevano il farmaco che hanno
manifestato ipoglicemia era compresa tra l’1 e il 6%(25).
Fibrati
I fibrati sembrano indurre ipoglicemia solo in presenza di altre
terapie ipoglicemizzanti, infatti spiazzano le sulfoniluree dal legame con le proteine plasmatiche, aumentando così il loro effetto ipoglicemizzante(29).
Distinguiamo nella tabella 3 farmaci con sicuro effetto sull’ipoglicemia da farmaci con effetto dubbio.
Ipoglicemia da insulina
L’iperinsulinemia è la causa iniziale dell’ipoglicemia. Infatti, la
necessità terapeutica di “insulinizzare” adeguatamente il paziente, per sopprimere la produzione epatica di glucosio,
somministrando l’insulina nel circolo sistemico tramite la via
sottocutanea invece che nel circolo portale, determina concentrazioni ematiche di insulina non sempre appropriate in relazione alle esigenze metaboliche attuali. Può derivarne
un’eccessiva insulinizzazione, assoluta o relativa, che espone
il paziente al rischio d’ipoglicemia. Tuttavia, quando pazienti
con diabete di tipo 1 e soggetti non diabetici sono esposti alla
stessa iperinsulinemia in condizioni sperimentali e controllate,
l’ipoglicemia è più severa e prolungata nei diabetici(30). Quindi,
se l’eccessiva insulinizzazione costituisce la causa iniziale del-
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l’ipoglicemia, la compromissione del sistema di controregolazione è responsabile della gravità dell’ipoglicemia. Il difetto più
comune è la perdita precoce della risposta di glucagone all’ipoglicemia(30). Allora, è la risposta di adrenalina che risulta
critica per la prevenzione e/o correzione dell’ipoglicemia(30).
Tuttavia, molti pazienti con diabete di tipo 1 presentano anche
ridotte risposte di adrenalina, particolarmente dopo ipoglicemie ricorrenti(31), e/o in presenza di diabete di lunga durata(32).
Senza dubbio, i pazienti che presentano un difetto associato
di secrezione di glucagone e adrenalina hanno un rischio
maggiore di ipoglicemia severa.
Nel diabete di tipo 2 l’ipoglicemia è meno frequente rispetto
al diabete di tipo 1 a causa della resistenza insulinica e di una
controregolazione adeguata, anche se l’ipoglicemia indotta
da sulfoniluree può essere estremamente severa e prolungata. Nei diabetici di tipo 2 trattati con insulina si osserva una
ridotta risposta di glucagone e di adrenalina all’ipoglicemia(33).
In questi pazienti, come nei pazienti con diabete di tipo 1, la
combinazione d’iperinsulinemia e di una controregolazione
inadeguata aumenta il rischio d’ipoglicemia(33).
Conseguenze
L’ipoglicemia può avere diverse conseguenze in relazione alla
gravità, durata e frequenza, oltre che alla presenza di eventuali
malattie associate.
Hypoglycemia unawareness
La complicanza più frequente dell’ipoglicemia, soprattutto dell’ipoglicemia notturna, è la sindrome della perdita dei sintomi
all’ipoglicemia, meglio nota come hypoglycemia unawareness. Si tratta di una condizione in cui l’ipoglicemia si manifesta senza sintomi autonomici di allarme, per essere più
precisi, il paziente non è consapevole della propria ipoglicemia. La mancata percezione dell’ipoglicemia impedisce al paziente di correggere l’ipoglicemia prima della comparsa della
neuroglicopenia.
L’hypoglycemia unawareness è piuttosto diffusa in quanto interessa circa il 25% dei pazienti con diabete di tipo 1(34) e
meno del 10% dei pazienti con diabete di tipo 2(35). La sua
presenza aumenta il rischio di ipoglicemia grave sia nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2(34,35).
L’hypoglycemia unawareness è causata dalle ipoglicemie ricorrenti. Infatti, la prevenzione dell’ipoglicemia è seguita dal
recupero di adeguate risposte dei sintomi e di adrenalina all’ipoglicemia(31). L’effetto della prevenzione dell’ipoglicemia
sulla risposta di adrenalina è più evidente nel diabete di breve,
rispetto a quello di lunga durata(34), e nel diabete senza, rispetto a quello con neuropatia autonomica clinicamente evidente(34-36).
Conclusioni
La metformina, i tiazolidinedioni, gli inibitori DPP-4 e gli agonisti GLP-1 presentano un basso rischio di ipoglicemia lieve e
194
M. Agrusta
molto basso di ipoglicemia severa. Al contrario, le sulfoniluree
hanno più probabilità di indurre ipoglicemia, probabilmente a
causa del loro meccanismo d’azione. Il rischio complessivo
di ipoglicemia da sulfoniluree è inferiore rispetto a quello associato a insulina. Il trattamento combinato con vari ipoglicemizzanti sembra aumentare il rischio di ipoglicemia. Altri fattori
predisponenti includono l’avanzare dell’età, patologie concomitanti e il digiuno prolungato. Inoltre, altri farmaci comunemente prescritti nel diabete di tipo 2, associati a ipoglicemia,
sono gli ACE-inibitori, i β-bloccanti, i fluorochinoloni e i fibrati.
Un modo per ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia farmaco-correlata può essere quello di prescrivere molecole che
aumentano la sensibilità all’insulina (metformina e tiazolidinedioni), oppure agire attraverso l’asse delle incretine (inibitori
DPP-4 e agonisti GLP-1).
Strategie terapeutiche individualizzate sono, quindi, importanti per ridurre al minimo il rischio di ipoglicemia.
La comparsa di episodi ipoglicemici lievi o moderati nei pazienti diabetici, trattati con insulina o secretagoghi, determina
da un lato una ridotta risposta degli ormoni controregolatori,
soprattutto di adrenalina, e dall’altro un’iniziale perdita dei sintomi fino allo sviluppo dell’hypoglycemia unawareness. Sia
il deficit di adrenalina sia l’hypoglycemia unawareness
predispongono all’ipoglicemia severa. Per questo motivo la
prevenzione di forme anche lievi di ipoglicemia deve rappresentare un obiettivo primario in tutti i pazienti diabetici.
In generale, la prevenzione dell’ipoglicemia si snoda su vari livelli. Innanzitutto è importante tener conto di condizioni che
predispongono a essa.
Tra queste, la storia di pregressi episodi di ipoglicemia severa
e l’hypoglycemia unawareness sono le più importanti perché
aumentano notevolmente il rischio di ipoglicemia severa.
L’hypoglycemia unawareness è il risultato di ipoglicemie iatrogeniche, conseguenti all’uso di regimi non fisiologici di sostituzione insulinica, associati a una insufficiente istruzione del
paziente da parte del diabetologo. Tale sindrome è reversibile
nei limiti in cui venga perseguita una prevenzione meticolosa
dell’ipoglicemia. A questo scopo è fondamentale che vengano impiegati regimi terapeutici di somministrazione insulinica fisiologici per raggiungere la quasi normoglicemia,
minimizzando il rischio di ipoglicemie. Questo obiettivo è di
fatto realizzabile nel momento in cui: 1) si adotti un piano
razionale di terapia insulinica; 2) siano individuati obiettivi glicemici realistici; 3) vengano attuati programmi educativi adeguati.
Il paziente diabetico deve essere informato sulle caratteristiche delle preparazioni insuliniche utilizzate e conoscere i momenti della giornata a maggior rischio di ipoglicemia, deve
essere istruito sull’utilità dell’automonitoraggio glicemico, deve
poter stabilire l’impatto glicemico del pasto in relazione al contenuto di carboidrati, deve essere in grado di gestire correttamente l’esercizio fisico ed essere a conoscenza degli effetti
ipoglicemizzanti dell’alcol. Altri elementi importanti per il paziente sono il controllo della glicemia in presenza di sintomi
sospetti per ipoglicemia, la correzione dell’ipoglicemia con
carboidrati a pronto assorbimento, il possesso in casa di una
fiala di glucagone, il coinvolgimento di familiari e amici nella
prevenzione e terapia dell’ipoglicemia.
Conflitto di interessi
Nessuno.
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