Fuori dal tunnel19 ottobre 2011 - numero 32

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Fuori dal tunnel19 ottobre 2011 - numero 32
19 ottobre 2011 - numero 32
www.confronti.info
Fuori dal tunnel
Mensile progressista della Svizzera italiana
djiama/Fotolia.com
editoriale
Un milione e non uno di più
in questo numero
di Marco Cagnotti
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I
II
III
VII
VIII
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Un milione e non uno di più
Crescita e disgusto
dell'ultimo
«Il risanamento sarà
un'occasione»
San Gottardo:
i lavori e gli scenari
Fuggi fuggi all'italiana
San Gottardo:
i fatti e le leggende
2011: l'anno della svolta
Tre tematiche prioritarie
Le mie priorità
Grazie ai vostri sforzi
Il mio canto libero
Il fascino discreto
del portatile
Ricostruire una nazione
Ahi, ahi, compagno Pisapia!
Giulleria
Gli dei e l'Olimpo
Fumetto…
Rapporto confidenziale
Basta ignorarlo
Vox populi
Somma giustizia
Accidenti
Hanno collaborato a questo numero
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Adriano Agustoni, Pietro Canovati,
Tita Carloni, cri.bro, Gabriele Croci,
Firmino, Marlis Gianferrari, Alice Gioia,
Don Juan, Mandrake, Virginio Pedroni,
Roberto Rippa, Astutillo Smeriglia,
Federico Storni, Silvano Toppi,
Cristina Valsecchi, Libano Zanolari.
Certe leggi sono davvero bizzarre.
Prendi per esempio la Legge sul trasferimento del traffico merci del 2008
(bit.ly/ltrasf). All'articolo 3 dice: «A
partire dal 2011 si applica l'obiettivo
intermedio di al massimo 1'000'000
di viaggi annui». Insomma pone un limite ai TIR che possono attraversare
le Alpi. Un limite chiaro e preciso: un
milione di camion e non uno di più.
Poi però, quando quel limite viene superato, non succede niente. Niente di
niente. A che serve dunque avere una
legge? Non si sa. Né sembra importare a molti, per la verità.
Proprio pochi giorni fa, alla fine di settembre, è passato il primo camion
oltre il milione. Qualcuno se n'è accorto? Sui giornali s'è visto giusto un
trafiletto nella cronaca locale per descrivere la protesta dell'Iniziativa delle
Alpi alla dogana commerciale di
Chiasso, dove alcuni attivisti si sono
trovati per sottolineare come la situazione sia «insostenibile». Intanto però
in altre pagine, con ampi servizi, si
sprecano i piagnistei per i turisti che
ci snobbano (di più!… di più!… ne vogliamo sempre di più!) e si esprime
tutta la soddisfazione per l'apertura
dell'uovo di Chiasso (et voilà, un bel
centro commerciale: se ne sentiva
proprio il bisogno, in questa triste
landa così sprovvista di supermercati).
Fatta eccezione per i candidati rossoverdi, durante la campagna per le votazioni federali l'ossessivo mantra di
tutti gli altri è stato: «Vogliamo un secondo tunnel al Gottardo». Per le ragioni consuete e ben note: il rischio di
incidenti in galleria, le code chilome-
triche in estate. Alle quali se ne aggiunge una nuova e (in apparenza)
molto convincente: la prospettiva di
restare per quasi tre anni, dopo il
2020, isolati dal resto della Svizzera
(orrore e raccapriccio!). Come faremo?
Ben pochi ricordano che più strade
portano più traffico. Sempre, ovunque
e comunque. Senza eccezioni. Però i
fautori del raddoppio ci rassicurano:
il secondo tunnel verrà utilizzato durante i famigerati 900 giorni (sempre
ammesso che si riesca a concluderlo
prima), dopodiché quello vecchio sarà
usato solo per i casi d'emergenza (e
allora viene da chiedersi perché rimetterlo a nuovo, se servirà solo come
riserva). Ma chi ci crede? Non ci vuole
Nostradamus per prevedere che le
code estive verranno provvisoriamente sciolte con l'impiego immediato
di entrambi i tunnel. Poi, visto che il
traffico si sarà fatto piacevolmente
scorrevole, la condizione provvisoria
si prolungherà… e diventerà definitiva. Il flusso di auto e di camion crescerà. E le code si allungheranno a
Brogeda. Per la gioia del Mendrisiotto.
Eppure basterebbe ribaltare la prospettiva. Il risanamento potrebbe essere l'occasione per rimettere in
discussione tutta la politica dei trasporti commerciali attraverso le Alpi,
che per la Svizzera sono un onere
senza alcun vantaggio. Come se non ci
fosse un'alternativa, del resto: AlpTransit, guarda un po', entrerà in funzione a pieno regime proprio alla
vigilia della chiusura della galleria
stradale. Vorrà dire qualcosa?
Dumping salariale
«O mangi la minestra, o salti dalla finestra»: insomma, prendere o lasciare. E per molti, troppi lavoratori non c'è scampo: tocca prendere. Si
chiama dumping salariale. E danneggia tutti, perché peggiora le condizioni di lavoro anche di chi non ne è colpito direttamente. Perciò in questo
numero inseriamo un formulario per la raccolta di firme per un'iniziativa
che vuole rafforzare gli strumenti che lo combattono. Chiediamo più ispettori, una statistica annuale dei salari e delle condizioni di lavoro e il potenziamento dei diritti. Invitiamo tutti i nostri lettori a firmare.
economia
Crescita. E disgusto
di Silvano Toppi
Siamo in tempo di elezioni: si discute, si dibatte, si critica, si promette. Però a un osservatore attento e disincantato non possono
sfuggire due constatazioni.
Christian Schwier/Fotolia.com
Votare contro i propri interessi: perché?
tra la crisi socioeconomica che sta
universalizzandosi, anche nei Paesi
emergenti (come la Cina e gli altri) che
dovevano fare da paracadute, e l'impossibilità di una crescita illimitata in
un pianeta limitato. Si contano sulle
dita di una mano gli economisti,
anche quelli non organici al sistema,
che lo rilevano. Preferiscono le disquisizioni sulle Borse. A maggior ragione
i politici, per i quali è più facile continuare a seminare illusioni sull'autostrada della crescita senza limiti che
ci rimetterà in corsa. Neppure nella sinistra si è avuta la percezione (ma chi
si ricorda ancora del vecchio Marx?)
che quell'insana utopia-ideologia ci ha
fatto passare dalla proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella
denaro-denaro-denaro (D-D-D). Un
mutamento che ha sconquassato non
solo la produzione e la distribuzione
della ricchezza, favorendo al massimo
la speculazione, la concentrazione e
un accumulo con un rapporto paradossale tra finanza ed economia reale,
ma ha mandato a carte quarantotto
anche il processo politico e la stessa
democrazia. Come si fa a ignorare
tutto questo?
Nel secondo caso le spiegazioni sono
complesse, perché anche psicologiche.
Due economisti americani in un articolo apparso sul «New York Times» il
23 settembre scorso coniavano per
questo paradosso (assai diffuso negli
Stati Uniti: basti pensare all'assicurazione malattia di Obama) una nuova
espressione: last place aversion. Potremmo tradurla con «disgusto dell'ultimo posto». In parole povere: si
vota contro il proprio interesse economico perché non si vuole che chi è al
di sotto di noi (il povero, lo straniero,
il vicino meno fortunato, il supposto
indolente o scansafatiche eccetera)
possa avantaggiarsi, avvicinarsi alla
nostra posizione, godere della nostra
decisione politica, mentre si ritiene
che chi è al di sopra di noi forse potrà
essere raggiunto, ottenendo anche noi
i vantaggi di cui beneficia (fiscali, ad
esempio). Sulla base di un'inchiesta, i
due autori propongono proprio
l'esempio del salario minimo: sono coloro che guadagnano qualcosa al di
sopra del salario minimo a opporsi a
ogni suo aumento. È una spiegazione
che ha il suo valore. I risultati di alcune votazioni o i fallimenti di alcune
iniziative o referendum (disoccupazione, invalidità, casse malati, maternità, salario minimo) non sono
espressione in buona parte di quell'atteggiamento paradossale? Qui, più
che la politica, potrebbero la cultura e
l'etica. Anche se i politici non vogliono
crederci.
3
La prima: prevale sempre una sorta di
perimetrazione nazionale o regionale,
un'astrazione dal contesto mondiale.
Nel senso che si ha grande difficoltà a
inserire il proprio discorso in ciò che
sta succedendo altrove e muove ideeforza che non tarderanno a invaderci.
La seconda: non si riesce a capire, seguendo il curriculum politico dei partiti, i comportamenti dei rappresentanti in Parlamento, alcune iniziative
proposte e poi respinte, una singolare
distorsione (o paradosso) che consiste
in una vasta porzione di cittadini che
sceglie rappresentanti o esprime voti
che non collimano per niente con la
loro tipologia sociale e i loro interessi.
Nel senso, ad esempio, che si elegge
chi è favorevole alle privatizzazioni
dei servizi pubblici e dei beni comuni,
alle costrizioni della socialità o della
solidarietà o della formazione o dell'agricoltura (ma in compenso è favorevole all'aumento delle spese
militari), oppure che si vota contro iniziative per salari più dignitosi, per
premi di casse malati in funzione del
proprio reddito, per pigioni equilibrate (in un Paese in cui gli inquilini
sono il 70%), per pensioni che non
siano fondi sinecura di banche e assicurazioni private, per politiche fiscali
che non privilegino i ricchi.
Nel primo caso è irrealistico e illogico
soffermarsi sulle conseguenze e sui
dettagli senza mai risalire alle cause.
E le cause non sono solo nazionali o
regionali, ma globali. Ad esempio non
si può discutere di economia o impostare programmi economici semplicemente «nazionali» prescindendo da
ciò che sta capitando in Grecia e in
Italia, a Barcellona e a Tel Aviv e in
modo forse ancora più significativo a
New York con la protesta (partita oltretutto dal Canada) autodefinitasi
«Occupy Wall Street». Non è solo questione di indebitamento, di condizioni
capestro, di malessere sociale. Non è
solo questione di economia che si contrae e mette a dura prova le democrazie occidentali, compresa quella
Svizzera, anche se è comunque la conclusione più vistosa di comportamenti
fuori da ogni logica. È anzitutto la dimostrazione che l'ideologia su cui abbiamo costruito tutto (la causa) sta
crollando senza possibilità di inversione di rotta. Che c'è un nesso diretto
dossier
«Il risanamento sa
di Marco Cagnotti
Nel tunnel… anzi nel doppio tunnel del Seelisberg, si sa, il traffico è scorrevole. Quasi nemmeno ti accorgi che c'è. Poi arrivi al Gottardo
e, se la stagione non è propizia, ti trovi intrappolato in colonna. Estate: caldo, sudore, noia.
E tutto perché c'è quella maledetta strozzatura. Sicché la tentazione è forte: facciamo
dunque questa seconda canna! O no?
Beh, non è così semplice. Intanto costa. E
poi bisogna essere un po' lungimiranti. Già
ora il traffico di transito appesta il Ticino
e non porta alcun beneficio. Non sarà allora che la seconda canna avrà come conseguenza quella di aumentare ancora di
più il flusso? E poi le code a Chiasso che
cosa diventeranno? Tuttavia, se la strozzatura del Gottardo è un male necessario, è
pur vero che così non si può andare
avanti. E poi c'è lo spauracchio di quei 900
giorni di isolamento… Che fare? Lo abbiamo chiesto a Fabio Pedrina.
Il raddoppio del Gottardo implicherà un
aumento del traffico. Ma come si può esserne sicuri?
Lo dimostra la storia dello sviluppo della
rete stradale: più strade si costruiscono,
più traffico si genera. Come un'auto: più
benzina le dai, più potenza esprime. E poi
magari sballa. Quindi far credere di raddoppiare il Gottardo senza aumentare il
traffico significa illudere la gente: è una
storiella a cui nessuno può credere. Col rischio che anche il Ticino sballi.
Perché il Gottardo è una strozzatura.
Sì, è una strozzatura. Una strozzatura che
in quel punto contiene il traffico entro un
certo quantitativo. Ma non è l'unica: ce ne
sono anche nella zona di Basilea, in Argovia, a Lucerna, nel Mendrisiotto… in dogana e poco dopo. Se volessimo estendere
la logica del raddoppio del Gottardo, dovremmo quasi ovunque portare l'autostrada a sei corsie, in Ticino almeno da
Bellinzona a Chiasso. Noi però non vogliamo aumentare le capacità stradali attuali e vogliamo ridurre il traffico pesante
in transito, per un futuro Ticino vivibile.
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Ma qualcosa bisognerà pur fare. Non si
può andare avanti così, con il rischio di
incidenti e le code estive…
Per quanto riguarda gli incidenti, cominciamo a togliere il traffico dei camion. A
quel punto si potrebbe inserire una barriera di separazione fra le corsie nella gal-
AlpTransit San Gottardo SA
leria attuale, per impedire gli incidenti
frontali fra le auto: una soluzione che da
sola sarebbe più efficace del raddoppio.
D'altronde uno studio del 2003 dell'Ufficio
per la prevenzione degli infortuni mostra
che anche con la doppia galleria basterebbe un aumento del 6-7% del traffico per
compensare i benefici sul piano della sicurezza e giungere a un rischio maggiorato.
Perché più traffico significa anche più pericoli.
E le code?
Le persone in coda al Gottardo in estate
sono spesso le stesse che rimangono in
coda tutti i giorni andando a lavorare, se
abitano in un grande agglomerato urbano.
Anzi, alcuni psicologi dicono che la coda in
autostrada viene considerata quasi un elemento integrato nelle vacanze, quasi un
male necessario, quindi da non drammatizzare. Capisco che non è simpatico, ma
d'altronde chi vuole evitare le code può
sempre prendere i mezzi pubblici. Perciò
per noi in Ticino è essenziale offrire un'alternativa valida anche ai turisti.
Alternativa indispensabile a maggior ragione considerando la lunga chiusura
del Gottardo per il risanamento. Una seconda galleria sarebbe la soluzione perfetta. O no?
No. La seconda galleria sarebbe la premessa per il sabotaggio definitivo della politica di trasferimento. Politica che il
popolo vuole, visto che si è sempre
espresso a maggioranza contro il raddoppio. Purtroppo in Parlamento la situazione
si era ribaltata nel 2004, ma il popolo disse
no di nuovo. Se necessario, sarà di nuovo
il popolo a dire la sua, anche se oggi la
maggioranza dei politici ticinesi è favorevole al raddoppio. E utilizza la giustificazione dell'insopportabilità di una chiusura
per il risanamento.
E come giustificazione non regge?
No, non regge. Anzi, il risanamento, con la
chiusura forzata dell'opera per motivi di
sicurezza, rappresenta l'ultima occasione
per dare la spinta definitiva e promuovere
il trasferimento del traffico merci sulla ferrovia.
Sì, ma 900 giorni completamente senza
galleria…
Infatti anche noi siamo contrari a una
chiusura continua per 900 giorni. L'Iniziativa delle Alpi chiede invece un risanamento scaglionato su diversi anni, con una
chiusura solo durante l'inverno, periodo in
cui si può offrire una sufficiente capacità
di trasporto sostitutivo con treni navetta
per gestire il collegamento Nord-Sud. Parlare di «isolamento del Ticino» è assolutamente fuorviante. È una drammatizzazione strumentale. A maggior ragione
considerando che in quel momento AlpTransit sarà in esercizio. È questa l'opportunità da cogliere!
Già, AlpTransit. A prescindere dalle necessità create dal risanamento della galleria stradale, AlpTransit è un'alternativa credibile?
AlpTransit è la premessa infrastrutturale
indispensabile per il trasferimento del traffico merci, ma anche di quello passeggeri.
Offre qualità e quantità e permette di trasportare le merci e le persone in modo razionale e veloce. Ma da sola non basterà.
dell'innovazione tecnologica, sostegno all'infrastruttura ferroviaria. Questi strumenti vengono già applicati e possono
essere migliorati. Sono ancora insufficienti
ma sono stati importanti: senza di loro,
oggi avremmo 2 milioni di autotreni all'anno lungo l'autostrada, non gli 1,2 attuali. E, come abbiamo detto, l'obiettivo
della legge in vigore è dimezzare il flusso
attuale.
Non basterà?
AlpTransit non porterà automaticamente
al trasferimento di quantità importanti di
merci dalla strada alla ferrovia. Per un
cambiamento epocale ci vorranno anche
altre specifiche misure di sostegno.
Il contingentamento del traffico merci è
una possibilità?
È anche il maggiore scoglio da superare
nelle trattative con gli altri Paesi europei.
Però è inevitabile: bisogna far passare politicamente il principio che questo flusso di
autotreni non è sostenibile per l'arco alpino, perché danneggia l'ambiente e la salute della popolazione. Se questo
presuppone una limitazione quantitativa
del traffico, così sia. È chiaro allora che la
chiusura forzata per il risanamento diventa la chiave di volta della trattativa,
perché costringe tutti gli interlocutori a
confrontarsi con questa nuova situazione.
Tutti dovranno sedersi a un tavolo per trovare una soluzione, altrimenti dovranno
fare i conti con il traffico di aggiramento.
E chi la gestirà?
Gli elementi di attuazione concreta non
sono ancora stati definiti. Potrebbe essere
un'unità dell'Ufficio federale dei trasporti.
Oppure la gestione potrebbe essere data in
appalto al Cantone o a un'organizzazione
regionale.
Oltre alla Borsa, quali altre misure sono
ipotizzabili?
La Borsa sarà lo strumento principale, ma
altre misure sono già in atto: sovvenzioni
ai trasporti sulla ferrovia, promozione
della creazione di terminal, promozione
Ma queste trattative sono in corso da
tempo.
Sì, e sarebbero dovute arrivare a una soluzione già quando c'era Leuenberger. Ma
lui stesso mi diceva che andavano a rilento
proprio perché non c'era interesse da
parte degli altri interlocutori. La necessità
della chiusura cambierà le carte in tavola.
E in più ci sarà AlpTransit. Ma sarà davvero efficace? In fin dei conti, l'Italia
non rispetterà gli accordi presi e…
Non lo sappiamo. Non possiamo ancora
dirlo, anche se lo temiamo. D'altronde la
Svizzera non ha ancora chiarito ufficialmente dove vuole arrivare per congiungersi con la rete italiana. E proprio per
questo Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, sostiene
abilmente che, se non è in grado di pianificare le infrastrutture, è per colpa degli
Svizzeri. Sul tema del collegamento con la
rete italiana bisognerà arrivare a un chiarimento a breve termine, ma il primo
passo dobbiamo farlo noi. Le due varianti
per l'allacciamento arriveranno entrambe
a Chiasso: almeno questo è chiaro. Poi noi
riusciamo a far circolare il doppio dei treni
sui nostri doppi binari. A questo punto la
proposta provocatoria da fare a Moretti è
questa: o portate a quattro binari le vostre
linee o imparate a gestire i doppi binari
come facciamo noi… oppure ci date in
mano la gestione, se non potete garantire
una simile efficienza. E comunque le linee
attuali basterebbero per un certo periodo.
In che senso?
Nel senso che, considerando le linee del
Lötschberg e di Luino, le capacità di trasporto sono sfruttate in maniera insufficiente. Già oggi si può fare molto di più per
portare le merci dall'Europa settentrionale
fino al Mediterraneo. Inoltre con un investimento di 200 milioni di franchi per realizzare alcuni miglioramenti puntuali,
peraltro già programmati per i prossimi
anni, potremmo trasferire su rotaia la metà dei
14 milioni di tonnellate
di merci che ogni anno
attraversano le Alpi. E
senza AlpTransit in funzione, già prossimamente.
Chi è
Fabio Pedrina è titolare di uno studio di consulenza in materia di territorio, economia e
ambiente. È consigliere nazionale del Partito
Socialista dal 1999, dove è membro della Commissione trasporti e telecomunicazioni. A livello
extra-parlamentare, è attivo in associazioni ambientaliste e in particolare è presidente nazionale di Alpen-Initiative/Iniziativa delle Alpi.
Iniziativa delle Alpi
5
Come la Borsa dei transiti alpini.
Esatto: come la Borsa dei transiti alpini.
Cioè uno strumento di mercato per gestire
i diritti di transito. In sostanza, sarà come
mettere all'asta i biglietti per un traghetto.
dossier
arà un’opportunità»
dossier
di Cristina Valsecchi
Mostra i segni del tempo ma
non sembra ridotto tanto male,
il traforo autostradale del San
Gottardo, tanto da giustificare
900 giorni di chiusura per i lavori di risanamento e l'urgenza
di concludere il restauro entro
il 2025, creando disagi al traffico transalpino. «Infatti non è
malridotto. Al momento è percorribile in piena sicurezza»,
spiega Antonello Laveglia, portavoce dell'Ufficio federale
delle strade (USTRA). «Ma,
come ogni galleria, ha una durata di vita limitata, in funzione
del traffico che determina
l'usura di strutture e materiali.
Il tunnel del San Gottardo è attivo ormai da più di 30 anni.
Nel 1981 l'hanno attraversato
quasi 3 milioni di veicoli. Nel
2009 più di 6 milioni. In queste
condizioni la necessità di un intervento di radicale risanamento entro 10, al massimo 15
anni, è fisiologica».
Gli interventi urgenti
L'intervento più urgente riguarda la
soletta intermedia, cioè il rivestimento
di calcestruzzo che separa la parte
percorribile della galleria dai canali di
ventilazione e dai camini di aspirazione. Sono poi da risanare il sistema
di ventilazione, l'impianto di smaltimento dei liquidi e la pavimentazione
del tunnel, che in alcuni tratti ha perduto aderenza.
La soletta intermedia presenta già
oggi gravi segni di usura, in particolare nei due tratti in prossimità dei
portali della galleria. «Non c'è il rischio immediato di crolli», dice Laveglia. «Ma il lavoro va fatto entro il
2025, altrimenti la sicurezza della soletta non potrà più essere garantita».
Demolire quella vecchia e costruirne
una nuova è un processo lungo. Non è
possibile utilizzare elementi prefabbricati, che non garantirebbero adeguata precisione nel montaggio, ed è
dunque necessario gettare il calcestruzzo direttamente nella galleria,
utilizzando voluminose casseforme
che obbligano a chiudere al traffico il
traforo.
6
Gottardo
i lavori
San
e gli scenari
AlpTransit San Gottardo SA
Il risanamento dell'impianto di ventilazione è indispensabile per assicurare il ricambio di aria fresca nella
galleria e l'aspirazione del fumo in
caso di incendio. Lo stesso vale per
l'impianto di evacuazione dei liquidi,
che serve a smaltire l'acqua che filtra
continuamente dalla montagna ma
anche combustibile, olio o altri liquidi
che possono fuoriuscire nell'eventualità di un incidente. Infine, la pavimentazione non è stata mai sostituita
dalla costruzione del traforo e ha
ormai raggiunto i limiti d'età.
Gli interventi di adeguamento
Sono necessari poi altri interventi per
adeguare la galleria del San Gottardo
alle nuove direttive vigenti a livello europeo. Le nicchie per le soste di emergenza devono essere allungate e ne
verranno costruite di nuove. Oggi sono
disposte a intervalli di 1'500 metri,
mentre le nuove norme ne prevedono
una ogni 600-900 metri. Anche le vie
di fuga ai lati della carreggiata devono
essere allargate. Sono previsti inoltre
dei lavori per aumentare la pendenza
laterale della carreggiata e favorire il
deflusso dei liquidi in caso di incidente.
Infine, è necessario il rifacimento della
volta interna e l'innalzamento della
soletta intermedia per aumentare l'altezza della galleria e quindi lo spazio
utile riservato al traffico. «Si tratta,
anche in questo caso, di un provvedimento volto ad aumentare il livello di
sicurezza», spiega il portavoce dell'USTRA.
Quattro scenari
I tecnici dell'USTRA hanno preso in considerazione diversi possibili scenari per realizzare le
necessarie opere di risanamento e adeguamento della galleria, calcolando per ciascuno la
spesa prevista. Infine hanno delineato le due varianti migliori dal punto di vista tecnico e due
alternative.
Variante 1
Chiusura ininterrotta del tunnel per 900
giorni, cioè circa due anni e mezzo. Il costo
previsto dei lavori è di 650 milioni di franchi,
a cui vanno aggiunte le spese per migliorare
il livello di sicurezza della strada del passo
durante l'inverno e le spese di gestione del
traffico durante la chiusura della galleria.
Variante 2
Chiusura ininterrotta per 280 giorni all'anno, da metà settembre a fine giugno, per
tre anni e mezzo. Il costo previsto è di 752
milioni di franchi, escluse le spese per migliorare la sicurezza della strada del passo e
gestire il traffico nei periodi di chiusura.
dossier
o:
Fuggi fuggi all'italiana
di Alice Gioia
Sul collegamento a sud di AlpTransit, l'Italia che dice? Niente. L'Italia
non dice niente. Per due settimane abbiamo tampinato politici e amministratori della Penisola per ottenere le risposte ad alcune domande e
farci rilasciare qualche dichiarazione. Certo «Confronti» non è «la Repubblica». Ma questo fuggi fuggi sembra proprio indizio di una bella
coda di paglia.
Roberto Castelli, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
(Lega Nord)
Contattato per primo il 22 settembre, ci aveva promesso tramite il suo
ufficio stampa di riuscire a fare un'intervista telefonica. Il 27 settembre
l'intervista è saltata perché il Viceministro era molto occupato. Si è
quindi pensato di avere delle risposte scritte. Il 30 settembre è stata sollecitata una risposta via SMS, a cui sono seguite due telefonate nei giorni
successivi. Purtroppo non è stato possibile, secondo il suo ufficio stampa,
trovare il tempo necessario per completare la risposta alle domande
entro il tempo stabilito.
Variante 3
Chiusura per cinque mesi all'anno, in inverno, per sette anni. Il costo previsto è di
890 milioni di franchi, escluse le spese per
la gestione del traffico e i lavori sulla strada
del passo.
Variante 4
Chiusura per sette mesi all'anno, in estate,
per cinque anni. Il costo previsto è di 810 milioni di franchi, più le spese per la gestione
del traffico.
Nell'eventualità che si decida di procedere alla
costruzione della seconda canna del San Gottardo, è stata valutata la possibilità di realizzare
in tempi brevi gli interventi più urgenti, chiudendo la galleria per 50 giorni a primavera e 90
in autunno per un anno, con un costo di 250 milioni di franchi, in modo tale da garantire l'utilizzo in sicurezza fino al 2035, data entro la
quale la costruzione della seconda canna dovrebbe essere completata, per poi procedere
con gli interventi più impegnativi.
Mauro Moretti, amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato
Il suo addetto stampa, durante il primo contatto telefonico il 29 settembre, ha
sghignazzato. Ha però accettato che gli inviassimo un'email, alla quale comunque non ha risposto. Durante il secondo contatto telefonico, il 7 ottobre, ha confermato il diniego e ci ha detto che, per quanto riguarda le interviste, «su quel
versante preferiamo mantenere un profilo prudente».
Raffaele Cattaneo, assessore alle infrastrutture e ai trasporti della Regione
Lombardia (PdL)
Contattato il 30 settembre, ha risposto il giorno successivo tramite la sua addetta
stampa. Essendo in partenza per New York, non aveva il tempo di concentrarsi
per rispondere, neanche in forma scritta. Soprattutto, avendo visionato le domande, non aveva intenzione di «commentare cose che altri – ovvero il Viceministro Castelli e l'AD di Trenitalia Moretti – avevano detto sull'argomento.
Preferirei parlare di quello che ho fatto sulla questione AlpTransit».
Debora Serracchiani, europarlamentare, presidente del gruppo di lavoro
che si occupa del Recast Ferroviario in Commissione trasporti del Parlamento europeo (PD)
Contattata il 4 ottobre, ci ha risposto che avrebbe risposto. Poi gli impegni le
hanno impedito di rispondere su tematiche così specifiche entro il termine necessario.
7
I lavori per AlpTransit: quando verrà chiusa la galleria del
Gottardo, la ferrovia sarà la migliore alternativa per il trasporto delle merci.
Bartolomeo Giachino, Sottosegretario del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (PdL)
Insieme con il viceministro Castelli, è stato contattato per primo il 22
settembre. Abbiamo parlato direttamente con lui e la risposta è stata
positiva. Ci ha detto di scrivergli un'email a cui avrebbe risposto, o ancora via email oppure al telefono. Il 26 settembre gli abbiamo inviato
l'email con le domande. In seguito, ogni giorno è stato contattato telefonicamente. Non ci è mai stato possibile parlargli direttamente di nuovo.
Abbiamo solo avuto contatti con la sua assistente e con la segreteria,
che ogni giorno ci hanno assicurato che il sottosegretario stava lavorando sulle risposte: addirittura una sera ci hanno detto che si era fermato apposta «per studiare le carte». Ci siamo fidati, ma… Venerdì 7
ottobre siamo stati contattati alle 8 del mattino dalla sua segretaria, che
ci ha assicurato che Giachino avrebbe fatto il possibile per rispondere
entro il termine stabilito, alle ore 12 dello stesso giorno. Nulla è giunto.
Il sottosegretario, di cui finalmente siamo riusciti a farci dare il numero
di telefono, non ha mai risposto alle nostre telefonate. La segretaria, interpellata
ancora nel pomeriggio di venerdì 7 ottobre, ha detto che il sottosegretario si è
accorto all'ultimo momento che «la competenza è del viceministro Castelli».
dossier
San Gottardo:
di Don Juan
Nel clima elettorale, il tema del raddoppio della
galleria autostradale del San Gottardo torna a
dominare il dibattito politico. Benché in Ticino,
come nel resto della Svizzera, le votazioni in
merito si siano sempre risolte con la vittoria di
chi si oppone al raddoppio, tutti i candidati,
tranne quelli del fronte rosso-verde, sono allineati sulla richiesta di una nuova galleria autostradale al San Gottardo. Che cosa li motiva?
Il terrore panico di dover vivere per qualche
tempo con la galleria autostradale chiusa per i
lavori di risanamento.
Nell’intervista a Fabio Pedrina su questo numero di «Confronti» possiamo
leggere gli argomenti per una politica
diversa, che affronta senza paure
anche situazioni difficili. Qui di seguito ecco alcuni fatti per sfatare le
leggende in circolazione, basati sul
rapporto del Consiglio federale del 17
dicembre 2010, in attesa di quello annunciato per fine anno (bit.ly/rapportorisanamento).
Il risanamento della galleria non è
così urgente
«Il periodo ottimale per effettuare il risanamento della galleria del San Gottardo si situa fra il 2020 ed il 2025. I
lavori devono essere conclusi entro il
2025. In caso contrario, a partire da
tale anno, la funzionalità e la sicurezza della galleria autostradale non
possono più essere garantite completamente». (Pag. 16)
8
La struttura può resistere ancora
per decenni
«Allo stato attuale, la soletta intermedia è parzialmente difettosa. (…) In
queste aree è stato riscontrato uno
stato di avanzata corrosione dell’armatura dove non è quindi possibile
garantire la sicurezza strutturale a
medio termine.
A partire dal 1980, ovvero dalla sua
messa in esercizio, la pavimentazione
della galleria non è mai stata sostituita. Nel quadro dei lavori di risanamento è necessario rimpiazzare lo
strato di usura della carreggiata, la cui
durata di utilizzo era stata fissata a 20
anni (…)». (Pagg. 17-20)
Poi ci sono situazioni non più conformi alle norme, come la sezione
utile per il traffico, il cunicolo di sicurezza, la ventilazione eccetera.
Una seconda galleria può essere costruita per tempo
«Stima del tempo richiesto per la pianificazione e la progettazione di una
seconda canna: 8,5–15 anni. Si stima
che per la realizzazione vera e propria
della seconda canna (una volta avvenuta l’aggiudicazione) ci vorranno all’incirca sette anni. (…) Se la
realizzazione della seconda canna
comportasse un aumento di capacità,
la votazione popolare sarebbe obbligatoria anche da un punto di vista legale. (…) Ai tempi stimati sopra
andrebbe quindi aggiunto un periodo
supplementare, necessario alla modifica della Costituzione federale e della
LTS [Legge sul transito stradale nella
regione alpina, NdR]». (Pag. 58)
Se supponiamo che 3 anni bastino per
risolvere la modifiche costituzionali e
legislative, abbiamo un totale di 11,5–
18 anni!
I lavori di risanamento possono essere ritardati fino al momento in cui
avremo a disposizione una seconda
galleria
«Di seguito sono elencate le principali
misure necessarie nel caso in cui il ri-
sanamento della galleria del San Gottardo venisse rimandato al 2030 o, in
extremis, al 2035:
A livello della soletta intermedia sono
indispensabili diverse misure (…) Per
svolgere questo intervento, la galleria
deve restare chiusa al traffico per un
periodo di 50-140 giorni, ciò che comporta un aumento considerevole del
numero di chiusure notturne».
(Pag. 59)
È possibile costruire una seconda
galleria senza aumento della capacità e quindi senza dover modificare
la Costituzione federale
«Con la realizzazione di un tubo supplementare è semplicemente impossibile adottare misure che impediscano,
dal punto di vista tecnico e finanziario, che a lungo termine sia messa in
esercizio una terza e persino una
quarta corsia di scorrimento. Tutte le
misure possibili possono essere eliminate con poco dispendio di mezzi»
(Hartmann & Sauter, Una seconda
canna quale ausilio al risanamento?,
ottobre 2009)
Conclusioni:
- il risanamento e la chiusura per
lunghi periodi sono inevitabili,
- il raddoppio arriverebbe troppo
tardi o più probabilmente mai.
Prepariamoci!
Posso vantarmi di essere un viaggiatore di
treno con una certa esperienza. Ho tutte le
carte viaggio che un uomo può desiderare, conosco i trucchi per non farsi la pipì sulle
scarpe e ho accumulato così tante ore di ritardo che i bonus dei rimborsi sono diventati
la mia principale fonte di reddito. Tutti i chilometri che ho fatto in treno sarebbero sufficienti per andare su Urano e tornare indietro
dieci volte, anche se li ho fatti tutti sulla tratta
Pizzighettone–Casalpusterlengo. E poi io sono
un tifoso dei treni: sono belli, silenziosi e, a differenza delle auto, non inquinano. Se le auto
continuano ad aumentare in questo modo, tra
qualche anno le distanze non si misureranno
più in chilometri ma in tumori. Ciononostante
con i controllori non ho mai avuto grande successo.
Mi hanno sempre trattato con indifferenza, se non con sospetto. Mai un
sorriso o una frase gentile, niente.
Mentre con gli altri passeggeri è tutto
un grazie mi scusi per favore: «Già
visto il biglietto, signora? Grazie mille.
Buon viaggio», «Biglietto, signore?
Grazie a lei. Buon viaggio», «Biglietto,
prego. Molto gentile. Faccia buon
viaggio»,… «Biglietto!» (a me).
E questo nonostante abbia deciso di
viaggiare in prima classe. Quando
viaggiavo in seconda non mi chiedevano neanche il biglietto: iniziavano
direttamente a frugarmi nelle tasche
e col fischietto chiamavano i cani.
Forse è perché non sembro un uomo
d'affari? Forse non esistono
uomini d'affari coi jeans
stinti, tre magliette infilate
una sull'altra, occhiali risorgimentali e barba cespugliosa? Ho provato a
vestirmi diversamente, a
mettermi in giacca e cravatta, frac e farfallino, camice bianco e mascherina,
clergyman e aspersorio,
salopette e baffi, asciugamano e ciabatte di gomma,
ma niente da fare. Una
volta mi sono persino vestito da donna, ma è andata anche peggio. Eppure
avevo fatto tutte le cose
per bene: rossetto, permanente, gonna corta e tentativi di sedurre il
controllore. Niente.
portatile
Alla fine ho deciso
che era colpa della
barba.
– Ti accorcio solo
un po'.
– Scordatelo.
– Non c'è niente di
male, sai? Lo fanno
tutti.
– Accorciati tu, io
sto benissimo.
– Ma sei troppo disordinata. Non è
per offendere, ma
sembri un cespuglietto di peli di mosca.
– Una volta ti piacevo così.
– Ti do solo una sistematina.
– Senti, non è colpa mia se la gente
non ti rispetta. È colpa tua se non rispetta me.
Ho pensato che potesse aiutare a
darmi un tono farmi vedere con un
libro in mano, così ho comprato un
certo numero di libri da viaggio, tutti
scelti precisamente a scopo scenografico: voluminosi, austeri, rilegati in
pelle e con almeno due segnalibri di
stoffa. Non ha funzionato neanche
questo. Al terzo viaggio mi hanno costretto a scendere dal treno (in corsa).
Così ho deciso di interrompere la lettura di Che hai da guardare, maledetto controllore? e sono passato al
piano B, dove B sta per Brassegnarsi.
E non c'è solo il problema dei controllori. Anche i viaggiatori, i cosiddetti
«Gentili clienti grazie per aver viaggiato con Trenitalia», sono un problema. Tutti vogliono attaccare
bottone, mi mettono i piedi sulle ginocchia o mi si addormentano in
braccio. È abbastanza complicato
viaggiare in queste condizioni.
Un giorno però, per puro caso, ho trovato la soluzione. Invece di passare il
viaggio come al solito a guardare fuori
dal finestrino e immaginare un
enorme bulldozer alieno che rade al
suolo tutto quanto, scelgo di giocare a
campo minato sul portatile. Appena lo
apro, la gente abbassa immediatamente lo sguardo, mi dà del lei e il
controllore si precipita dalla carrozza
di testa a lustrarmi le scarpe. A fatica
trattengo la quinta C dell'educandato
di Santa Caterina dal pettinarmi.
Chiudo il portatile: tutti mi guardano
storto. Lo riapro: tutti mi rispettano.
Chiudo: storto. Apro: rispetto. Storto.
Rispetto. Storto. Rispetto. Storto. Rispetto. Storto. Rispetto. Alla fine capisco che è qualcosa che ha a che fare
col portatile.
Da quel giorno non
viaggio più senza portatile. La gente mi
tratta coi guanti, non
importa se sto scrivendo un dialogo fra
Gesù e Lex Luthor o
sistemando il mio personale archivio pornografico: quando ho
il portatile sulle ginocchia, lo sguardo concentrato, e batto
rumorosamente
le
dita sulla tastiera, la
gente mi tratta come
se stessi componendo
La Divina Commedia.
Per inciso, tutto questo funziona solo se
il computer è acceso.
Mikhail Kokhanchikov
9
di Astutillo Smeriglia
dossier
Il fascino discreto del
esteri
Ricostruire una nazione
di Federico Storni
esempio di democrazia, decidendo
di riscrivere la Costituzione (quella
vecchia, risalente
al 1944, era un
calco quasi perfetto di quella danese) per sottrarre il Paese allo
strapotere dei banchieri internazionali. Lo fanno in modo non convenzionale, vale a dire eleggendo anzitutto
un'assemblea costituente composta da
25 persone (per essere eleggibile per
l'assemblea, oltre a essere maggiorenne, bisogna non essere iscritto ad
alcun partito e avere l'appoggio di almeno 30 persone, e con queste regole
si sono presentati 522 candidati) al
fine di riscrivere la Carta. Inoltre ogni
cittadino islandese può dare il proprio
contributo alla creazione grazie a Internet, in quanto le riunioni dell'assemblea sono trasmesse in streaming
on line e abbondano le possibilità di
esprimere la propria opinione e di essere ascoltati.
Questa la condizione dell'Islanda a
oggi: la fotografia di un Paese a prima
vista libero dal giogo dell'economia e
dai «propri» debiti. Due però gli indizi
che non son tutte rose e fiori nel
Una delle prime conseguenze concrete (forse la
più spettacolare) della crisi dei mercati finanziari del 2008 fu la bancarotta dello Stato islandese, uno dei Paesi con il più alto reddito
pro capite al mondo. Da allora sono passati tre
anni. Vediamo come l'Islanda ha cercato di rimettersi in piedi.
10
I guai dell'Islanda erano cominciati
nel 2003, con la completa privatizzazione delle banche nazionali. Infatti,
se in un primo momento la scelta degli
istituti bancari di puntare sugli investimenti stranieri aveva dato i suoi
frutti, d'altro canto il debito estero
delle banche stesse aveva continuato
ad aumentare, fino a raggiungere il
900% del PIL islandese nel 2007.
La situazione, benché preoccupante,
può ancora essere tollerabile in un
contesto economico florido. Ma nel
2008 ecco arrivare la crisi, a fronte
della quale le tre principali banche falliscono e vengono nazionalizzate. Nel
contempo la corona islandese perde
l'85% del proprio valore rispetto all'euro, decuplicando il debito. Da
parte sua, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) garantisce un prestito di
circa 5 miliardi di euro, a patto che il
governo socializzi il debito contratto
dalle banche: ogni cittadino islandese
dovrebbe pagare 100 euro al
mese per i prossimi 18 anni
Reykjavík
per restituire i soldi persi. Il
governo di sinistra, appena
succeduto a quello di destra,
accetta, suscitando l'ira popolare, che si traduce in
varie manifestazioni e sit-in
di protesta di tale impatto da
obbligare il capo dello Stato,
Ólafur Ragnar Grímsson, a
non ratificare la legge e a indire invece un referendum. Il
93% dei cittadini islandesi
che si presentano alle urne
dice di non voler ripagare i
debiti contratti da istituti privati. Questa decisione ha
conseguenze importanti: il
Fondo Monetario Internazionale congela il prestito di 5
miliardi e Inghilterra e
Olanda (i principali creditori)
arrivano a minacciare l'isolamento del Paese.
Per tutta risposta, nel 2010 i
cittadini islandesi danno dimostrazione di un raro
freddo Nord. Anzitutto nel 2009 si è
registrato il più alto flusso emigratorio
dal 1887: circa 15 mila dei 330 mila
residenti islandesi hanno preferito andarsene, non vedendo un futuro per la
propria nazione. Inoltre, benché gli
istituti inglesi e olandesi abbiano pagato di tasca propria i clienti danneggiati dalla bancarotta islandese, essi
pretendono a tutt'oggi che l'isola ripaghi i propri debiti in qualche modo.
Qualcosa di interessante l'Islanda lo
ha comunque dimostrato: un popolo
sovrano può democraticamente sovvertire le logiche economiche. Una via
percorribile anche per quei Paesi a rischio di bancarotta come la Grecia?
Sì, in linea di principio. No, in linea
pratica. Bisogna infatti mettere a paragone alcune cifre. Per cominciare,
come detto, poco più di 300 mila
anime vivono in Islanda: grosso modo
quante in Ticino. L'Italia, a paragone,
di anime ne conta 60 milioni. Una democrazia così diretta come quella islandese risulterebbe improponibile
per nazioni più popolose, così come
quella svizzera, spesso vista come
l'esempio di democrazia più «pura» al
mondo, risulterebbe ingestibile per
nazioni come Francia, Italia e Spagna.
Poi, per quanto un debito di 4 miliardi
di euro possa sembrare
esorbitante, si pensi che il
debito italiano è pari (nel
maggio 2011) a quasi 2’000
miliardi di euro. Briciole, su
scala globale, il debito islandese. Se l'Italia dovesse dichiarare bancarotta sarebbe
un problema ben più grave,
perché romperebbe il delicato equilibrio debitore-creditore che governa l'economia mondiale, trascinando
con effetto domino svariati
altri Paesi nel baratro.
Nessun'altra nazione potrà
quindi agire come l'Islanda
in caso di bancarotta. Ma
l'isola del Nord è riuscita a
dimostrare che quello imposto «dall'alto» non è l'unico
modo per uscire dalla crisi,
che un'intera popolazione ha
la possibilità e il potere di
fare sfoggio di democrazia e
di decidere da sé il proprio
destino. E non è poco.
Barbara Helgason
terre
Ahi, ahi, compagno Pisapia!
di Tita Carloni
L'architetto Jacopo Gardella, milanese, che
non è un sovversivo e ha rispettabili quarti di
nobiltà professionale, ha scritto più di un mese
fa che sarebbe meglio rinunciare (e si sarebbe
ancora in tempo) alla prossima Esposizione
Universale di Milano, la cosiddetta Expo 2015.
Egli la considera «un pletorico baraccone
vuoto di sostanza».
Michele Piacquadio
lanese Stefano Boeri, oggi assessore
alla Cultura, moda, Expo e design. Il
quale ha dovuto fare uno sforzo
enorme per far tacere le sue reticenze,
i suoi dubbi, la sua originaria contrarietà, considerato anche che le forze
del centrosinistra hanno votato il
Piano urbanistico «turandosi il naso»,
temendo che a Expo terminata cresca
su quelle aree una speculazione edilizia difficilmente controllabile e che il
promesso grande parco urbano finisca per essere tagliuzzato e ridotto in
definitiva a poca cosa. E poi c'erano
di mezzo le penali che il Bureau International des Expositions avrebbe ap-
plicato a Milano nel caso di rinuncia
all'impresa. Alcuni erano però dell'avviso che convenisse comunque pagare
le penali (non stratosferiche) piuttosto
che insistere su un'impresa molto costosa ormai gravemente compromessa dai ritardi e dalla mancanza di
un piano organico dei contenuti. A
compiere l'opera sono giunti ultimamente i tagli del Governo italiano alle
amministrazioni comunali, Milano
compresa. Sicché viene spontaneo
dire: «Ahi, ahi, compagno Pisapia!».
E nello stesso tempo: «Tanti, tanti auguri!». Ci sono talora delle eredità che
è molto difficile rifiutare.
L’ANEDDOTO
In occasione dell'Esposizione Universale di Osaka, in Svizzera fu chiesto
a un certo numero di architetti e di grafici di presentare un progetto per
un padiglione nazionale e mi capitò di essere invitato a quella specie di
gara dove non c'erano graduatorie e premi ma si prevedeva semplicemente la scelta della proposta che sarebbe poi stata realizzata.
Nel 1967 io presentai il progetto di un lungo padiglione con un'ardita
struttura di legno dentro il quale, in un percorso lineare, i visitatori potevano vedere su un lato la Svizzera tradizionale e sull'altro lato la Svizzera
moderna. Per fare un esempio, da un lato il lancio della pietra di Unspunnen e dall'altro una grande partita di calcio nello stadio dell’Hardturm di
Zurigo. Non ebbi successo. Una volta saputo l'esito telefonai a Max Bill,
della commissione giudicatrice, che conoscevo bene, per sapere le ragioni
della scelta e le critiche fatte al mio progetto. La risposta fu, come sempre,
lapidaria: «Nicht werbungsfähig», cioè non adatto alla promozione, alla
pubblicità.
Era stato scelto, e fu poi realizzato, il progetto di un grafico svizzero-tedesco che proponeva una specie di grande croce svizzera sviluppata volumetricamente nello spazio e realizzata con una struttura tubolare e
migliaia di lampadine rosse e bianche. Una specie di simbolo allo stato
puro, un oggetto sorprendente senza nessuna pretesa di contenuto informativo. Non si seppe poi mai se i Giapponesi si fossero stupiti o meno e
quale Werbung ne avesse ricavato la Svizzera.
11
La città di Milano si era vista aggiudicare il mandato nel lontano marzo del
2008. Da allora sono passati più di tre
anni senza che si sia concluso gran
che. Secondo «la Repubblica», in questo momento il partito dei contrari si
aggirerebbe attorno al 39% dei Milanesi interpellati, il partito dei favorevoli malgrado tutto attorno al 44%, il
rimanente 17% sarebbe indeciso o indifferente. Queste cifre indicano in
modo significativo come l'opinione
pubblica non sia particolarmente entusiasta dell'evento e come si tema ancora una volta che esso si trasformi in
un gran teatro di interessi interpretato
da possessori di aree, organizzatori,
imprenditori, pubblicitari.
Il tema dell'Expo 2015 è: «Nutrire il
Pianeta, Energia per la Vita». Un tema
sicuramente nobile ma che non può
essere affrontato allineando, Paese
per Paese, padiglioni strabilianti dove
ognuno «metterà in mostra i propri
prodotti agricoli, floreali, ortofrutticoli
come in un grande mercato o in una
ricca mostra di fiori esotici», come sostiene Gardella.
Anche il Ticino si propone di essere
presente. È stato creato un gruppo di
lavoro, coordinato dall'ex consigliere
di stato Luigi Pedrazzini, che si occuperà di tutte le relazioni tra il Ticino e
l'Expo 2015. Vi partecipano Lugano,
Locarno, Mendrisio, Bellinzona e
Chiasso, oltre alle associazioni economiche e Ticino Turismo. Secondo «il
Caffè», si prevedono una valorizzazione dell'aeroporto di Agno e del luganese LAC (se sarà pronto), iniziative
congiunte col Festival del film di Locarno, la messa in funzione dell'idrovia Locarno-Venezia, nonché la
promozione del Rivellino locarnese di
Leonardo nel sistema dei castelli del
ducato di Milano. Come contributo ticinese al tema «Nutrire il Pianeta»
non c'è male. L'ipotesi dell'Expo come
pletorico baraccone troverebbe anche
in questo caso una modesta ma inequivocabile conferma.
L'incaricato del controllo generale dei
contenuti, dell'impianto urbano e dell'architettura è il bravo architetto mi-
´
katholikos
contrasto
Giulleria
Gli dei e l'Olimpo
di cri.bro
di Pietro Canovati
Se facciamo discutere un Tizio esperto di comete
con un Caio che sostiene di aver incontrato gli extraterrestri, avremo un dibattito sull'astronomia?
No. Che cosa può contestare il primo al secondo?
È un esempio tirato agli estremi, ma capita spesso
nei dibattiti politici. E non è colpa dei moderatori,
che devono accettare candidati precotti e preconfezionati. È allora la premessa a una giulleria generale
ove ognuno suona i suoi bubboli. Che cos'è quindi
un dibattito degno di questo nome?
Se intendiamo un confronto di punti di vista argomentati in modo da offrire una tavolozza di contrasti o sfumature che permetta a chi segue di farsi
un'opinione elaborata, bisogna ammettere che i veri
dibattiti sono stati rari. Per ottenere questo quasimiracolo ci vogliono ingredienti essenziali, come interlocutori, non molti, non figuranti, non
improvvisati, non comandati, che sappiano argomentare in modo chiaro, sintetico, accessibile, non
fuggitivo, e le cui idee opposte non impediscano di
avere in comune la preoccupazione di produrre una
pedagogia contraddittoria che permetta di informare. Sappiamo che la parola «pedagogia» genera
orrore tra i televisivi. Eppure è di lì che si dovrebbe
passare. Altrimenti a che cosa serve?
Non è facile, è vero. Anzitutto perché dovrebbe prevalere il vero scopo del dibattito: informare, appunto, con chiarezza. In secondo luogo perché si
dovrebbe mandare all'inferno la pretesa dei partiti
o dei candidati di ottenere la passerella, equivalente
al «santino» televisivo. Un'infilata di candidati in semicerchio in attesa del proprio turno di parola è già
una certezza di vuoto pneumatico per chi segue.
Dev'essere stata tale la precedenza partitica (combinata con la quadratura del cerchio del «tutti esposti») su quella informativa, che alcuni dibattiti sono
finiti proprio nel Tizio e Caio di cui si diceva all'inizio. Esemplifichiamo: presenza di UDC e Lega che
la pensano alla stessa maniera (ne bastava uno) e
assenza (salvo brevi interviste «esterne», quindi
senza replica) di altro interlocutore di opinione diversa.
Si parla spesso di Grecia per il suo inabissamento in
un debito senza fine, per il giogo cui deve sottostare
per ottenere fiato, per la disumanizzazione che le
viene imposta da altri Stati e organizzazioni. Un economista ha ventilato l'idea balzana (comunque in
linea con l'ideologia economica dominante) che basterebbe vendere il Partenone, già in parte trafugato
nell'Ottocento a Londra (almeno per il fregio e per le
metope, ora al British Museum), per uscirne. Forse
anche per questo motivo son tornato, con volo pindarico, agli dei e all'Olimpo.
Atene non ebbe mai difficoltà a collocare nel proprio
Olimpo gli dei delle popolazioni con cui entrava in
contatto o che conquistava. Le consentiva di mantenere e riconoscere l'identità di ciascun popolo e le
credenze della sua gente. Con due grandi virtù: la solidarietà (quella che ora le negano i popoli europei)
e soprattutto la tolleranza. La tolleranza cominciava
con l'accettazione delle rispettive divinità. Quando
questo principio scompare, cominciano le guerre di
religione, più terribili di quelle dettate da interessi
territoriali o economici.
C'è da chiedersi se quella in atto contro Atene non
sia per certi aspetti una guerra di religione. Se noi
togliamo la parola «Dio» dal Medioevo, quando l'arte
era sacra, la letteratura era Inferno, Purgatorio e Paradiso, e persino la donna doveva essere angelo, finiamo per non capire nulla di quell'epoca. Se noi
togliamo la parola «Dio» alla nostra epoca, questa si
lascia perfettamente comprendere; poco o nulla, invece, se dovessimo togliere la parola «denaro». O
quel quasi sinonimo che è attualmente la parola default (debito). Dio, insomma, è bell'e morto.
La morte di Dio non ci ha però restituito gli dei, e il
nostro paganesimo, tutto economico, rimane senza
Olimpo, che era un riflesso dell'umanità. Ci è rimasta
l'eredità tipica del monoteismo e cioè l'intolleranza,
inevitabile conseguenza di chi crede di possedere la
verità assoluta, magari anche solo economica, e il
potere per imporla.
sussurri
Fumetto...
di Mandrake
Posizione di tiro di Jacques Tardi & Jean-Patrick Manchette
Tardi non è nuovo a questo tipo di lavoro, l'adattamento a fumetti di classici della letteratura noir francese.
Famosissimi sono quelli dell'ispettore
Burma di Malet. Si potrebbe aggiun-
gere che siamo anche al secondo lavoro tratto da un soggetto scritto dall'autorevole Manchette. Anche se il
precedente era nel lontano '77. Devo
dire che ho apprezzato moltissimo
questo nuovo connubio. Come mi capita sempre più spesso, scopro degli
scrittori interessanti e capaci attraverso i fumetti tratti dai loro romanzi.
Per molti sembrerà un'eresia non conoscere il libro originale, e forse altri
potranno pensare che «di sicuro» il
fumetto non sarà mai all'altezza del
romanzo. A me importa solo aver letto
un bel noir di uno scrittore che, anche
se è famoso, non conoscevo. Uno di
quei classici che mi ricordano tanto il
cinema francese Anni Settanta, freddo,
grigio, con un ritmo tutto suo, che oggi
non avrebbe più mercato. Un eroe negativo, un killer con delle regole… e
pronto a difenderle con la vita.
Rapporto confidenziale
Gonçalo Tocha
Premio speciale della giuria della sezione «Cineasti del presente» al
64.esimo Festival internazionale del
film Locarno, conclusosi appena qualche settimana fa, É na terra não é na
lua (It’s the Earth Not the Moon) del
portoghese Gonçalo Tocha è stata
senza dubbio una tra le opere in assoluto più rilevanti di quest'edizione.
Documentario sulla sconosciuta isola
di Corvo (440 abitanti), nell'arcipelago
delle Azzorre, è un'opera densa di fascino e cui l'ironia non fa mai difetto,
dove l'eclettico Tocha mescola storia,
antropologia e semplice curiosità.
Nella speranza di poter rivedere il
film, che in questo momento sta circolando per vari festival nel mondo, si
può guardare il suo documentario
precedente, l'opera prima Balaou, del
2007, in cui il tocco peculiare e il personalissimo approccio di Tocha al cinema è già ben visibile. Balaou
prende spunto dalla necessità di
Tocha di elaborare il lutto della
madre, scomparsa prematuramente
Basta ignorarlo
di Marco Cagnotti
«il Mattino» è volgare, monotono,
razzista? Onestamente non lo so. Non
leggo «il Mattino». Non l'ho mai letto.
Nemmeno una volta. Talvolta ho gettato un'occhiata sui titoli in prima pagina, ma tale è stato lo schifo che m'è
scappata la voglia anche solo di prenderlo in mano. Sicché non so se «il
Mattino» sia davvero volgare, monotono, razzista. E non me ne frega
niente.
Le ultime settimane hanno visto un
pullulare di iniziative opporsi al domenicale di Bignasca. C'è chi non lo
vuole nelle scuole, chi chiede solidarietà per le vittime degli insulti del
Nano e della sua cricca, perfino chi
ne diffonde una parodia (idea graziosa, però!). Risultato: se ne parla.
Se ne riparla. Se ne straparla. E intanto Bignasca gongola, memore del
proverbio: «Che se ne parli bene o se
ne parli male poco importa, perché
l'importante è che se ne parli».
È difficile contrastare la stupidità.
Anche se la condanni, fai comunque
il suo gioco. Le attribuisci almeno il
merito della tua attenzione. Le dai di-
di Roberto Rippa
pochi mesi prima. Da qui la decisione
di intraprendere un viaggio sull’isola
di São Miguel, luogo di origine della
donna. Tra bambini che nascono e
una prozia 91.enne che attende impazientemente di morire, la vita chiede
attenzione. Il difficile viaggio di ritorno in barca verso Lisbona suggellerà,
nelle
difficoltà
dovute
all’impetuosità della natura, un diverso ritorno alla vita.
Balaou è visibile gratuitamente e integralmente, grazie a un accordo con
lo stesso regista, sul sito di Rapporto
Confidenziale (bit.ly/gonzalotocha).
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Rispuose: «Dic
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III 45-51)
media, Inferno,
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Di
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(L
gnità. La soluzione più efficace è allora disinteressarsene.
Lasciamo il Nano da solo a ruttare
tutto il proprio livore. E facciamo passare un messaggio costruttivo: chi
legge «il Mattino» è uno sfigato.
P.S.:Sì, certo: anche un invito a ignorare «il Mattino» costringe a
parlarne. Accidenti all'autoreferenzialità!
13
www.rapportoconfidenziale.org
politica
Vox populi?
di Virginio Pedroni
maggioranza non
può più contare su
alcuna legittimità
particolare e gode
solo della forza del
numero, che spesso, quando è in
gioco il potere,
conta meno di
quella dell'intelligenza, delle armi o
dei soldi. Comunque, se è solo un
problema di potere
e non anche di giustizia e diritti, la
maggioranza sconfitta non ha nulla
da recriminare.
Forse che sarebbe illegittimo sottrarsi
a un linciaggio per rispettare la volontà di una maggioranza di esagitati?
Sappiamo che nel nostro Paese la
questione dei limiti della volontà popolare è molto delicata. Da un lato, in
quanto democrazia diretta che conosce l'istituto dell'iniziativa popolare
per la revisione parziale della Costituzione, la Svizzera sottopone spesso la
sua Carta fondamentale alla prova
(potremmo dire «allo stress») della
maggioranza, con il rischio di vedere
messe in votazione anche proposte lesive dei principi fondamentali della
Costituzione stessa, che alla
logica maggioritaria dovrebbero essere sottratti. La questione è
resa ancora più acuta
dall'assenza di una Corte
costituzionale, per cui è il
Parlamento a valutare l'ammissibilità di un'iniziativa, in base a
pertinenti considerazioni non
solo di principio e giuridiche
ma anche politiche. Tutti ricorderanno il caso clamoroso della
votazione sui minareti, in occasione della quale il popolo svizzero ha deciso di inserire nella
Costituzione un articolo giudicato
dal Governo e dal Parlamento
contrario ad alcuni valori fondamentali della nostra carta.
D'altro canto la Svizzera, in
quanto Stato federale e multiculturale, è chiamata più di altri a
contemperare il principio di maggioranza con altri criteri, attinenti ai di-
L'iniziativa dell'UDC per l'elezione diretta del
Consiglio federale è riuscita. Si tratta di uno
dei numerosi esempi di quella santificazione
della volontà della maggioranza oggi in voga,
soprattutto in ambito populista. Questa retorica dimentica che il principio di maggioranza,
fondamentale in democrazia per permettere
l'espressione della volontà popolare, è parte di
un sistema di regole e che tale volontà si deve
manifestare entro i limiti di una Costituzione e
della concezione della giustizia che la sorregge. Fra le altre cose, una Costituzione serve
proprio a garantire i diritti di chi maggioranza
non è e, in primo luogo, di ogni individuo, che
in quanto tale è sempre minoranza rispetto
alla collettività.
La retorica della legittimazione popolare dimentica che una violazione del
patto costituzionale non è meno grave
se è perpetrata da una maggioranza
(e a questo punto verrebbe da chiedersi, rotti i confini costituzionali del
corpo politico: «maggioranza di che
cosa?») invece che da una minoranza.
Fuori da tale patto valgono solo i rapporti di forza e la morale personale:
saremmo in quello che il pensiero politico moderno chiamava «stato di natura». In questo contesto una
ritti e alla considerazione per le sue
varie componenti, a prescindere dalla
loro consistenza numerica. Per non
parlare della difficile conciliazione fra
logica meramente maggioritaria e
varie forme di concordanza politica
che hanno caratterizzato la storia del
nostro Paese (forme che l'UDC mira
apertamente a scardinare). In questo
quadro, l'elezione diretta del governo
si scontrerebbe chiaramente, ad
esempio, con le esigenze di rappresentanza nell'Esecutivo delle minoranze linguistiche. Lo riconoscono
anche i suoi sostenitori, i quali prevedono una garanzia (sarebbe meglio
dire un «contentino») per le minoranze latine: almeno due membri del
Consiglio federale dovrebbero provenire dalle loro file, anche se meno votati degli altri, con l'evidente rischio di
essere ministri «di serie B».
Il delicato tema del peso della maggioranza in democrazia, peso che storicamente ha giocato anche a favore di
una sinistra tesa a difendere legittimi
interessi sociali fortemente sentiti e
assai diffusi, è diventato più spinoso e
di difficile gestione nel momento in cui
è stato investito dall'ondata populista,
che fa della retorica della legittimazione popolare un suo cavallo di battaglia. Se il popolo «ha sempre
ragione» e «vota UDC» o «vota Lega»,
come ci ripetono con sfacciataggine i
manifesti elettorali di quei partiti, UDC
e Lega si accreditano, per converso,
come i partiti che vogliono far votare,
sempre e comunque, il popolo. Il riferimento alla volontà popolare è tutto
giocato in chiave di affermazione dell'appartenenza identitaria e di diffidenza nei confronti dei limiti
costituzionali a salvaguardia delle minoranze (in primo luogo gli stranieri),
nei confronti dei poteri rappresentativi (Parlamento e partiti) e dei trattati
internazionali (vedi «libera circolazione»). Certamente, ancora una
volta, grazie a questa proposta la destra populista saprà condizionare
l'agenda politica, riuscendo nell'arte
tipica dei demagoghi: far sembrare i
loro avversari come avversari del popolo. Il colmo è che qualcuno arriverà,
da noi, ad aggiungere: «Anche del popolo ticinese!». E ci sarà chi gli crederà pure.
14
Robert Hillman
Se la volontà della maggioranza è assoluta, anche il linciaggio diventa legittimo?
di Libano Zanolari
giustizia
sport
Somma
Natalya Gerasimova
Lo sport nasce grazie alle regole stabilite di recente in Inghilterra. Nel Medioevo il football (definito da
Shakespeare «vile») è più volte proibito perché «causa risse e persino
morti, ciò che Dio non vuole». Il Re
teme sommosse e lamenta l'imprecisione degli arcieri che invece di allenarsi giocano a calcio. Il conflitto di
potere fra l'assolutismo del monarca
e la libertà di «impresa» del popolo si
è trasformato in conflitto fra le regole
dello sport e quelle della moderna giustizia civile, in qualche caso togliendo
giustamente potere ai presidenti-signorotti feudali del calcio, in qualche
altro sfiorando il ridicolo.
Il caso del Sion sembra chiaro, ma nasconde clamorose insidie. Il club vallesano ingaggia all'ultimo istante (il 14
febbraio 2008) il portiere egiziano
Essam El-Hadary, eroe nazionale, legato al club Al-Ahli fino al 2010. Secondo il Tribunale Arbitrale dello
Sport (TAS) di Losanna si tratta di rottura di contratto senza giusta causa. Il
lodo condanna il Sion a versare
796.500 franchi agli Egiziani e alla
proibizione di ingaggiare giocatori durante due periodi di «mercato»: estate
e inverno 2009-2010. Il Sion di Con-
libertà di commercio, avrebbe agito
come un nuovo potere feudale approfittando in eccesso di una posizione di
monopolio.
Nel frattempo quattro giocatori del
Sion (Adeshina, ex Bellinzona, Fermino, ex Locarno, Prijovic e Ogararu),
avendo un contratto da professionisti,
chiedono al giudice civile di potersi allenare con la prima squadra e non
con i dilettanti dell'Under 21. Lo
stesso motivo che ha indotto il Sindacato italiano dei calciatori a proclamare uno sciopero in quanto, pur
pagati a fine mese, i giocatori scartati
dalla prima squadra, non potendosi
allenare con i più forti, subivano un
danno professionale e perdevano valore di mercato.
Le squadre di calcio o le staffette alle
Olimpiadi saranno decise da un giudice? Sarebbe possibile, per esempio,
se si provasse che un allenatore nutriva una particolare simpatia per il
secondo frazionista, allenando poco e
male un ragazzo più forte, demoralizzato ed escluso dopo lunghe pratiche
di mobbing. Tutto chiaro in attesa del
prossimo colpo di scena, quando le
donne pretenderanno l'abolizione
dello sport femminile e l'avvento delle
squadre miste. Il calcio passerà da 11
a 10 giocatori (pardon, esseri umani)
per poter dividere in perfetta parità
maschi e femmine: cinque per sesso,
rimanendo aperto il problema dei
transgender. Cicerone (summum ius,
summa iniuria) era un dilettante.
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stantin ne rispetta
uno solo. Nel secondo acquista sei
giocatori. Il presidente della Federazione Svizzera,
Walter Grimm, li
blocca a poche ore
dal debutto a Basilea. Ha paura che
la Svizzera possa essere esclusa da
ogni competizione per Nazionali e
club, secondo le norme UEFA. Il presidente Constantin consiglia ai sei giocatori di rivolgersi alla giustizia civile
vallesana, che impone la loro presenza in campo. L'esclusione sarebbe
Berufsverbot, arbitrario impedimento
all'esercizio di una professione.
A questo punto il Sion decide di far
scendere in campo i sei anche contro
il Celtic, a livello europeo. Elimina gli
Scozzesi, che però protestano e ottengono ragione. Il Sion, squalificato, si
rivolge al procuratore del Canton
Vaud (sede dell'UEFA) Eric Cottier, che
ha già dichiarato non validi i risultati
del gruppo in cui gioca il Celtic, suscitando l'ilarità degli Scozzesi, convinti
di essere nel giusto. Cottier convoca il
presidente Michel Platini e il suo segretario Gianni Infantino. I due cercheranno di spiegare in primo luogo
che nello sport tutti firmano un documento in cui si impegnano a dirimere
le questioni all'interno delle istanze
giuridiche sportive. Il Sion punta su
un aspetto che, se provato, provocherebbe un nuovo terremoto nel mondo
dello sport. Imponendo due periodi di
«embargo», l'UEFA avrebbe violato la
Nel 1995 la Corte di Giustizia Europea stabilì
che il calciatore belga Jean-Marc Bosman a
scadenza di contratto poteva andare a lavorare
(a segnare reti) dove voleva senza che il club
(cioè il datore di lavoro precedente) potesse
decidere il suo destino. Scavalcando la giustizia
sportiva, nel 2011 l'FC Sion potrebbe aprire
un'altra breccia nella cittadella dello sport.
Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona
GAB 6500 Bellinzona
di Firmino
Accidenti
Eccheccacchio!
PLRT: intendiamoci
Caverzasio, a scuola!
Lorenzo Quadri, il flatulento deputato
xenofobo che è ormai diventato la
principale voce di spesa nei conti dello
Stato, tra mille suoi assurdi ha inoltrato un atto parlamentare anche per
sapere se è vero che uno spacciatore
di colore volato giù dal tetto sia tornato a vendere bolas una volta guarito. Bene, a interrogazione, interrogazione e mezzo.
Chiediamo pertanto a questo lodevole
Consiglio di Stato se è al corrente che
l'editore e principale datore di lavoro
dell'onorevole Quadri è un noto cocainomane. Se ci può dire di che nazionalità siano i di lui fornitori. Se essi
abbiano o meno precedenti penali. Se
gli risulta che nelle «festicciole» organizzate dal summenzionato datore di
lavoro dell'onorevole Quadri circoli
droga. Se, in caso affermativo, può
dirci se l'onorevole Quadri partecipi a
siffatti festini. Se è in grado di dirci di
che nazionalità siano i fornitori della
sostanza stupefacente eventualmente
in distribuzione in queste occasioni.
Se gli pare giusto che i disturbi di salute arrecati a questa perlomeno singolare parte della popolazione
dall'uso e abuso di sostanze stupefacenti vengano pagati dalla collettività,
senza distinzione di reddito, attraverso i sempre più esosi premi delle
casse malati.
Con la massima stima
Firmino
La tenda itinerante vuole (ri)portare
l'ex partitone vicino alla popolazione.
Da quanto afferma Maristella con
ubriacanti giochi di parole, loro se ne
intendono e con gli elettori vogliono
intendersi.
Intanto Morisoli & Co hanno levato le
tende. Stendiamo un velo pietoso…
Dalla posta email del Credit Suisse
(che si presume lo stipendi) alla voce
«conversazione», il deputato della
Lega Daniele Caverzasio insorge contro l'iniziativa che vorrebbe espellere
dalla scuola pubblica quell'Oscenità
con la O maiuscola che è «il Mattino
della domenica», il quale tra foto di
prostitute e trans, fotomontaggi di avversari diffamati e insultati e altre
schifezze del genere imperversa ogni
domenica. Dal sito del CS, insomma,
l'elemento in questione fa un'interrogazione al Governo nella quale prospetta che l'evacuazione di questo
letame dalla scuola pubblica equivarrebbe a una censura. Come se un giornale porno non distribuito ai giovani
allievi delle Medie configurasse una
violazione della libertà di stampa! Il
bello è che il Caverzasio nelle poche
righe del suo atto parlamentare infila
tanti di quegli strafalcioni («tra i simpatizzanti a questa iniziativa sono innumerevoli attive»; «un educazione»
– senza apostrofo –; «mi fà ricordare»
– con l'accento – eccetera) da farci
giungere a una conclusione: «il Mattino» lasciatelo fuori dalla scuola, ma
il Caverzasio fatecelo entrate, ché ne
ha bisogno!
Vegn bun anca i Taglian!
Oltre a prendersi epiteti e sberleffi, i
nostri vicini dell'Insubria si prenderanno anche i nostri rifiuti edili.
Osiamo immaginare un certo imbarazzo ad andare con il cappello in
mano dai sindaci comaschi e varesini
(i famosi «ratti», ai quali peraltro la
maggioranza del Governo ticinese ha
anche sequestrato parte dei ristorni
dei frontalieri). In quanto a rifiuti, noi
Ticinesi abbiamo anche parecchia
«tolla»… da smaltire.
L'uomo del Monte
Nasce il «Gruppo di solidarietà per le
persone aggredite dal Mattino della
domenica». Il domenicale si inalbera
e annuncia nuove diffamazioni contro
gli sfacciati promotori dell'iniziativa.
Proprio vero: da aprile ormai l'uomo
del monte non è più Pelli ma il Bigna.
Di Monte Boja.
Mensile progressista della Svizzera italiana
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Redazione
Marco Cagnotti, direttore, [email protected]
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