Fuori dal tunnel19 ottobre 2011 - numero 32
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19 ottobre 2011 - numero 32 www.confronti.info Fuori dal tunnel Mensile progressista della Svizzera italiana djiama/Fotolia.com editoriale Un milione e non uno di più in questo numero di Marco Cagnotti 2 3 4 6 7 8 I II III VII VIII 9 10 11 12 13 14 15 16 Un milione e non uno di più Crescita e disgusto dell'ultimo «Il risanamento sarà un'occasione» San Gottardo: i lavori e gli scenari Fuggi fuggi all'italiana San Gottardo: i fatti e le leggende 2011: l'anno della svolta Tre tematiche prioritarie Le mie priorità Grazie ai vostri sforzi Il mio canto libero Il fascino discreto del portatile Ricostruire una nazione Ahi, ahi, compagno Pisapia! Giulleria Gli dei e l'Olimpo Fumetto… Rapporto confidenziale Basta ignorarlo Vox populi Somma giustizia Accidenti Hanno collaborato a questo numero 2 Adriano Agustoni, Pietro Canovati, Tita Carloni, cri.bro, Gabriele Croci, Firmino, Marlis Gianferrari, Alice Gioia, Don Juan, Mandrake, Virginio Pedroni, Roberto Rippa, Astutillo Smeriglia, Federico Storni, Silvano Toppi, Cristina Valsecchi, Libano Zanolari. Certe leggi sono davvero bizzarre. Prendi per esempio la Legge sul trasferimento del traffico merci del 2008 (bit.ly/ltrasf). All'articolo 3 dice: «A partire dal 2011 si applica l'obiettivo intermedio di al massimo 1'000'000 di viaggi annui». Insomma pone un limite ai TIR che possono attraversare le Alpi. Un limite chiaro e preciso: un milione di camion e non uno di più. Poi però, quando quel limite viene superato, non succede niente. Niente di niente. A che serve dunque avere una legge? Non si sa. Né sembra importare a molti, per la verità. Proprio pochi giorni fa, alla fine di settembre, è passato il primo camion oltre il milione. Qualcuno se n'è accorto? Sui giornali s'è visto giusto un trafiletto nella cronaca locale per descrivere la protesta dell'Iniziativa delle Alpi alla dogana commerciale di Chiasso, dove alcuni attivisti si sono trovati per sottolineare come la situazione sia «insostenibile». Intanto però in altre pagine, con ampi servizi, si sprecano i piagnistei per i turisti che ci snobbano (di più!… di più!… ne vogliamo sempre di più!) e si esprime tutta la soddisfazione per l'apertura dell'uovo di Chiasso (et voilà, un bel centro commerciale: se ne sentiva proprio il bisogno, in questa triste landa così sprovvista di supermercati). Fatta eccezione per i candidati rossoverdi, durante la campagna per le votazioni federali l'ossessivo mantra di tutti gli altri è stato: «Vogliamo un secondo tunnel al Gottardo». Per le ragioni consuete e ben note: il rischio di incidenti in galleria, le code chilome- triche in estate. Alle quali se ne aggiunge una nuova e (in apparenza) molto convincente: la prospettiva di restare per quasi tre anni, dopo il 2020, isolati dal resto della Svizzera (orrore e raccapriccio!). Come faremo? Ben pochi ricordano che più strade portano più traffico. Sempre, ovunque e comunque. Senza eccezioni. Però i fautori del raddoppio ci rassicurano: il secondo tunnel verrà utilizzato durante i famigerati 900 giorni (sempre ammesso che si riesca a concluderlo prima), dopodiché quello vecchio sarà usato solo per i casi d'emergenza (e allora viene da chiedersi perché rimetterlo a nuovo, se servirà solo come riserva). Ma chi ci crede? Non ci vuole Nostradamus per prevedere che le code estive verranno provvisoriamente sciolte con l'impiego immediato di entrambi i tunnel. Poi, visto che il traffico si sarà fatto piacevolmente scorrevole, la condizione provvisoria si prolungherà… e diventerà definitiva. Il flusso di auto e di camion crescerà. E le code si allungheranno a Brogeda. Per la gioia del Mendrisiotto. Eppure basterebbe ribaltare la prospettiva. Il risanamento potrebbe essere l'occasione per rimettere in discussione tutta la politica dei trasporti commerciali attraverso le Alpi, che per la Svizzera sono un onere senza alcun vantaggio. Come se non ci fosse un'alternativa, del resto: AlpTransit, guarda un po', entrerà in funzione a pieno regime proprio alla vigilia della chiusura della galleria stradale. Vorrà dire qualcosa? Dumping salariale «O mangi la minestra, o salti dalla finestra»: insomma, prendere o lasciare. E per molti, troppi lavoratori non c'è scampo: tocca prendere. Si chiama dumping salariale. E danneggia tutti, perché peggiora le condizioni di lavoro anche di chi non ne è colpito direttamente. Perciò in questo numero inseriamo un formulario per la raccolta di firme per un'iniziativa che vuole rafforzare gli strumenti che lo combattono. Chiediamo più ispettori, una statistica annuale dei salari e delle condizioni di lavoro e il potenziamento dei diritti. Invitiamo tutti i nostri lettori a firmare. economia Crescita. E disgusto di Silvano Toppi Siamo in tempo di elezioni: si discute, si dibatte, si critica, si promette. Però a un osservatore attento e disincantato non possono sfuggire due constatazioni. Christian Schwier/Fotolia.com Votare contro i propri interessi: perché? tra la crisi socioeconomica che sta universalizzandosi, anche nei Paesi emergenti (come la Cina e gli altri) che dovevano fare da paracadute, e l'impossibilità di una crescita illimitata in un pianeta limitato. Si contano sulle dita di una mano gli economisti, anche quelli non organici al sistema, che lo rilevano. Preferiscono le disquisizioni sulle Borse. A maggior ragione i politici, per i quali è più facile continuare a seminare illusioni sull'autostrada della crescita senza limiti che ci rimetterà in corsa. Neppure nella sinistra si è avuta la percezione (ma chi si ricorda ancora del vecchio Marx?) che quell'insana utopia-ideologia ci ha fatto passare dalla proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella denaro-denaro-denaro (D-D-D). Un mutamento che ha sconquassato non solo la produzione e la distribuzione della ricchezza, favorendo al massimo la speculazione, la concentrazione e un accumulo con un rapporto paradossale tra finanza ed economia reale, ma ha mandato a carte quarantotto anche il processo politico e la stessa democrazia. Come si fa a ignorare tutto questo? Nel secondo caso le spiegazioni sono complesse, perché anche psicologiche. Due economisti americani in un articolo apparso sul «New York Times» il 23 settembre scorso coniavano per questo paradosso (assai diffuso negli Stati Uniti: basti pensare all'assicurazione malattia di Obama) una nuova espressione: last place aversion. Potremmo tradurla con «disgusto dell'ultimo posto». In parole povere: si vota contro il proprio interesse economico perché non si vuole che chi è al di sotto di noi (il povero, lo straniero, il vicino meno fortunato, il supposto indolente o scansafatiche eccetera) possa avantaggiarsi, avvicinarsi alla nostra posizione, godere della nostra decisione politica, mentre si ritiene che chi è al di sopra di noi forse potrà essere raggiunto, ottenendo anche noi i vantaggi di cui beneficia (fiscali, ad esempio). Sulla base di un'inchiesta, i due autori propongono proprio l'esempio del salario minimo: sono coloro che guadagnano qualcosa al di sopra del salario minimo a opporsi a ogni suo aumento. È una spiegazione che ha il suo valore. I risultati di alcune votazioni o i fallimenti di alcune iniziative o referendum (disoccupazione, invalidità, casse malati, maternità, salario minimo) non sono espressione in buona parte di quell'atteggiamento paradossale? Qui, più che la politica, potrebbero la cultura e l'etica. Anche se i politici non vogliono crederci. 3 La prima: prevale sempre una sorta di perimetrazione nazionale o regionale, un'astrazione dal contesto mondiale. Nel senso che si ha grande difficoltà a inserire il proprio discorso in ciò che sta succedendo altrove e muove ideeforza che non tarderanno a invaderci. La seconda: non si riesce a capire, seguendo il curriculum politico dei partiti, i comportamenti dei rappresentanti in Parlamento, alcune iniziative proposte e poi respinte, una singolare distorsione (o paradosso) che consiste in una vasta porzione di cittadini che sceglie rappresentanti o esprime voti che non collimano per niente con la loro tipologia sociale e i loro interessi. Nel senso, ad esempio, che si elegge chi è favorevole alle privatizzazioni dei servizi pubblici e dei beni comuni, alle costrizioni della socialità o della solidarietà o della formazione o dell'agricoltura (ma in compenso è favorevole all'aumento delle spese militari), oppure che si vota contro iniziative per salari più dignitosi, per premi di casse malati in funzione del proprio reddito, per pigioni equilibrate (in un Paese in cui gli inquilini sono il 70%), per pensioni che non siano fondi sinecura di banche e assicurazioni private, per politiche fiscali che non privilegino i ricchi. Nel primo caso è irrealistico e illogico soffermarsi sulle conseguenze e sui dettagli senza mai risalire alle cause. E le cause non sono solo nazionali o regionali, ma globali. Ad esempio non si può discutere di economia o impostare programmi economici semplicemente «nazionali» prescindendo da ciò che sta capitando in Grecia e in Italia, a Barcellona e a Tel Aviv e in modo forse ancora più significativo a New York con la protesta (partita oltretutto dal Canada) autodefinitasi «Occupy Wall Street». Non è solo questione di indebitamento, di condizioni capestro, di malessere sociale. Non è solo questione di economia che si contrae e mette a dura prova le democrazie occidentali, compresa quella Svizzera, anche se è comunque la conclusione più vistosa di comportamenti fuori da ogni logica. È anzitutto la dimostrazione che l'ideologia su cui abbiamo costruito tutto (la causa) sta crollando senza possibilità di inversione di rotta. Che c'è un nesso diretto dossier «Il risanamento sa di Marco Cagnotti Nel tunnel… anzi nel doppio tunnel del Seelisberg, si sa, il traffico è scorrevole. Quasi nemmeno ti accorgi che c'è. Poi arrivi al Gottardo e, se la stagione non è propizia, ti trovi intrappolato in colonna. Estate: caldo, sudore, noia. E tutto perché c'è quella maledetta strozzatura. Sicché la tentazione è forte: facciamo dunque questa seconda canna! O no? Beh, non è così semplice. Intanto costa. E poi bisogna essere un po' lungimiranti. Già ora il traffico di transito appesta il Ticino e non porta alcun beneficio. Non sarà allora che la seconda canna avrà come conseguenza quella di aumentare ancora di più il flusso? E poi le code a Chiasso che cosa diventeranno? Tuttavia, se la strozzatura del Gottardo è un male necessario, è pur vero che così non si può andare avanti. E poi c'è lo spauracchio di quei 900 giorni di isolamento… Che fare? Lo abbiamo chiesto a Fabio Pedrina. Il raddoppio del Gottardo implicherà un aumento del traffico. Ma come si può esserne sicuri? Lo dimostra la storia dello sviluppo della rete stradale: più strade si costruiscono, più traffico si genera. Come un'auto: più benzina le dai, più potenza esprime. E poi magari sballa. Quindi far credere di raddoppiare il Gottardo senza aumentare il traffico significa illudere la gente: è una storiella a cui nessuno può credere. Col rischio che anche il Ticino sballi. Perché il Gottardo è una strozzatura. Sì, è una strozzatura. Una strozzatura che in quel punto contiene il traffico entro un certo quantitativo. Ma non è l'unica: ce ne sono anche nella zona di Basilea, in Argovia, a Lucerna, nel Mendrisiotto… in dogana e poco dopo. Se volessimo estendere la logica del raddoppio del Gottardo, dovremmo quasi ovunque portare l'autostrada a sei corsie, in Ticino almeno da Bellinzona a Chiasso. Noi però non vogliamo aumentare le capacità stradali attuali e vogliamo ridurre il traffico pesante in transito, per un futuro Ticino vivibile. 4 Ma qualcosa bisognerà pur fare. Non si può andare avanti così, con il rischio di incidenti e le code estive… Per quanto riguarda gli incidenti, cominciamo a togliere il traffico dei camion. A quel punto si potrebbe inserire una barriera di separazione fra le corsie nella gal- AlpTransit San Gottardo SA leria attuale, per impedire gli incidenti frontali fra le auto: una soluzione che da sola sarebbe più efficace del raddoppio. D'altronde uno studio del 2003 dell'Ufficio per la prevenzione degli infortuni mostra che anche con la doppia galleria basterebbe un aumento del 6-7% del traffico per compensare i benefici sul piano della sicurezza e giungere a un rischio maggiorato. Perché più traffico significa anche più pericoli. E le code? Le persone in coda al Gottardo in estate sono spesso le stesse che rimangono in coda tutti i giorni andando a lavorare, se abitano in un grande agglomerato urbano. Anzi, alcuni psicologi dicono che la coda in autostrada viene considerata quasi un elemento integrato nelle vacanze, quasi un male necessario, quindi da non drammatizzare. Capisco che non è simpatico, ma d'altronde chi vuole evitare le code può sempre prendere i mezzi pubblici. Perciò per noi in Ticino è essenziale offrire un'alternativa valida anche ai turisti. Alternativa indispensabile a maggior ragione considerando la lunga chiusura del Gottardo per il risanamento. Una seconda galleria sarebbe la soluzione perfetta. O no? No. La seconda galleria sarebbe la premessa per il sabotaggio definitivo della politica di trasferimento. Politica che il popolo vuole, visto che si è sempre espresso a maggioranza contro il raddoppio. Purtroppo in Parlamento la situazione si era ribaltata nel 2004, ma il popolo disse no di nuovo. Se necessario, sarà di nuovo il popolo a dire la sua, anche se oggi la maggioranza dei politici ticinesi è favorevole al raddoppio. E utilizza la giustificazione dell'insopportabilità di una chiusura per il risanamento. E come giustificazione non regge? No, non regge. Anzi, il risanamento, con la chiusura forzata dell'opera per motivi di sicurezza, rappresenta l'ultima occasione per dare la spinta definitiva e promuovere il trasferimento del traffico merci sulla ferrovia. Sì, ma 900 giorni completamente senza galleria… Infatti anche noi siamo contrari a una chiusura continua per 900 giorni. L'Iniziativa delle Alpi chiede invece un risanamento scaglionato su diversi anni, con una chiusura solo durante l'inverno, periodo in cui si può offrire una sufficiente capacità di trasporto sostitutivo con treni navetta per gestire il collegamento Nord-Sud. Parlare di «isolamento del Ticino» è assolutamente fuorviante. È una drammatizzazione strumentale. A maggior ragione considerando che in quel momento AlpTransit sarà in esercizio. È questa l'opportunità da cogliere! Già, AlpTransit. A prescindere dalle necessità create dal risanamento della galleria stradale, AlpTransit è un'alternativa credibile? AlpTransit è la premessa infrastrutturale indispensabile per il trasferimento del traffico merci, ma anche di quello passeggeri. Offre qualità e quantità e permette di trasportare le merci e le persone in modo razionale e veloce. Ma da sola non basterà. dell'innovazione tecnologica, sostegno all'infrastruttura ferroviaria. Questi strumenti vengono già applicati e possono essere migliorati. Sono ancora insufficienti ma sono stati importanti: senza di loro, oggi avremmo 2 milioni di autotreni all'anno lungo l'autostrada, non gli 1,2 attuali. E, come abbiamo detto, l'obiettivo della legge in vigore è dimezzare il flusso attuale. Non basterà? AlpTransit non porterà automaticamente al trasferimento di quantità importanti di merci dalla strada alla ferrovia. Per un cambiamento epocale ci vorranno anche altre specifiche misure di sostegno. Il contingentamento del traffico merci è una possibilità? È anche il maggiore scoglio da superare nelle trattative con gli altri Paesi europei. Però è inevitabile: bisogna far passare politicamente il principio che questo flusso di autotreni non è sostenibile per l'arco alpino, perché danneggia l'ambiente e la salute della popolazione. Se questo presuppone una limitazione quantitativa del traffico, così sia. È chiaro allora che la chiusura forzata per il risanamento diventa la chiave di volta della trattativa, perché costringe tutti gli interlocutori a confrontarsi con questa nuova situazione. Tutti dovranno sedersi a un tavolo per trovare una soluzione, altrimenti dovranno fare i conti con il traffico di aggiramento. E chi la gestirà? Gli elementi di attuazione concreta non sono ancora stati definiti. Potrebbe essere un'unità dell'Ufficio federale dei trasporti. Oppure la gestione potrebbe essere data in appalto al Cantone o a un'organizzazione regionale. Oltre alla Borsa, quali altre misure sono ipotizzabili? La Borsa sarà lo strumento principale, ma altre misure sono già in atto: sovvenzioni ai trasporti sulla ferrovia, promozione della creazione di terminal, promozione Ma queste trattative sono in corso da tempo. Sì, e sarebbero dovute arrivare a una soluzione già quando c'era Leuenberger. Ma lui stesso mi diceva che andavano a rilento proprio perché non c'era interesse da parte degli altri interlocutori. La necessità della chiusura cambierà le carte in tavola. E in più ci sarà AlpTransit. Ma sarà davvero efficace? In fin dei conti, l'Italia non rispetterà gli accordi presi e… Non lo sappiamo. Non possiamo ancora dirlo, anche se lo temiamo. D'altronde la Svizzera non ha ancora chiarito ufficialmente dove vuole arrivare per congiungersi con la rete italiana. E proprio per questo Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, sostiene abilmente che, se non è in grado di pianificare le infrastrutture, è per colpa degli Svizzeri. Sul tema del collegamento con la rete italiana bisognerà arrivare a un chiarimento a breve termine, ma il primo passo dobbiamo farlo noi. Le due varianti per l'allacciamento arriveranno entrambe a Chiasso: almeno questo è chiaro. Poi noi riusciamo a far circolare il doppio dei treni sui nostri doppi binari. A questo punto la proposta provocatoria da fare a Moretti è questa: o portate a quattro binari le vostre linee o imparate a gestire i doppi binari come facciamo noi… oppure ci date in mano la gestione, se non potete garantire una simile efficienza. E comunque le linee attuali basterebbero per un certo periodo. In che senso? Nel senso che, considerando le linee del Lötschberg e di Luino, le capacità di trasporto sono sfruttate in maniera insufficiente. Già oggi si può fare molto di più per portare le merci dall'Europa settentrionale fino al Mediterraneo. Inoltre con un investimento di 200 milioni di franchi per realizzare alcuni miglioramenti puntuali, peraltro già programmati per i prossimi anni, potremmo trasferire su rotaia la metà dei 14 milioni di tonnellate di merci che ogni anno attraversano le Alpi. E senza AlpTransit in funzione, già prossimamente. Chi è Fabio Pedrina è titolare di uno studio di consulenza in materia di territorio, economia e ambiente. È consigliere nazionale del Partito Socialista dal 1999, dove è membro della Commissione trasporti e telecomunicazioni. A livello extra-parlamentare, è attivo in associazioni ambientaliste e in particolare è presidente nazionale di Alpen-Initiative/Iniziativa delle Alpi. Iniziativa delle Alpi 5 Come la Borsa dei transiti alpini. Esatto: come la Borsa dei transiti alpini. Cioè uno strumento di mercato per gestire i diritti di transito. In sostanza, sarà come mettere all'asta i biglietti per un traghetto. dossier arà un’opportunità» dossier di Cristina Valsecchi Mostra i segni del tempo ma non sembra ridotto tanto male, il traforo autostradale del San Gottardo, tanto da giustificare 900 giorni di chiusura per i lavori di risanamento e l'urgenza di concludere il restauro entro il 2025, creando disagi al traffico transalpino. «Infatti non è malridotto. Al momento è percorribile in piena sicurezza», spiega Antonello Laveglia, portavoce dell'Ufficio federale delle strade (USTRA). «Ma, come ogni galleria, ha una durata di vita limitata, in funzione del traffico che determina l'usura di strutture e materiali. Il tunnel del San Gottardo è attivo ormai da più di 30 anni. Nel 1981 l'hanno attraversato quasi 3 milioni di veicoli. Nel 2009 più di 6 milioni. In queste condizioni la necessità di un intervento di radicale risanamento entro 10, al massimo 15 anni, è fisiologica». Gli interventi urgenti L'intervento più urgente riguarda la soletta intermedia, cioè il rivestimento di calcestruzzo che separa la parte percorribile della galleria dai canali di ventilazione e dai camini di aspirazione. Sono poi da risanare il sistema di ventilazione, l'impianto di smaltimento dei liquidi e la pavimentazione del tunnel, che in alcuni tratti ha perduto aderenza. La soletta intermedia presenta già oggi gravi segni di usura, in particolare nei due tratti in prossimità dei portali della galleria. «Non c'è il rischio immediato di crolli», dice Laveglia. «Ma il lavoro va fatto entro il 2025, altrimenti la sicurezza della soletta non potrà più essere garantita». Demolire quella vecchia e costruirne una nuova è un processo lungo. Non è possibile utilizzare elementi prefabbricati, che non garantirebbero adeguata precisione nel montaggio, ed è dunque necessario gettare il calcestruzzo direttamente nella galleria, utilizzando voluminose casseforme che obbligano a chiudere al traffico il traforo. 6 Gottardo i lavori San e gli scenari AlpTransit San Gottardo SA Il risanamento dell'impianto di ventilazione è indispensabile per assicurare il ricambio di aria fresca nella galleria e l'aspirazione del fumo in caso di incendio. Lo stesso vale per l'impianto di evacuazione dei liquidi, che serve a smaltire l'acqua che filtra continuamente dalla montagna ma anche combustibile, olio o altri liquidi che possono fuoriuscire nell'eventualità di un incidente. Infine, la pavimentazione non è stata mai sostituita dalla costruzione del traforo e ha ormai raggiunto i limiti d'età. Gli interventi di adeguamento Sono necessari poi altri interventi per adeguare la galleria del San Gottardo alle nuove direttive vigenti a livello europeo. Le nicchie per le soste di emergenza devono essere allungate e ne verranno costruite di nuove. Oggi sono disposte a intervalli di 1'500 metri, mentre le nuove norme ne prevedono una ogni 600-900 metri. Anche le vie di fuga ai lati della carreggiata devono essere allargate. Sono previsti inoltre dei lavori per aumentare la pendenza laterale della carreggiata e favorire il deflusso dei liquidi in caso di incidente. Infine, è necessario il rifacimento della volta interna e l'innalzamento della soletta intermedia per aumentare l'altezza della galleria e quindi lo spazio utile riservato al traffico. «Si tratta, anche in questo caso, di un provvedimento volto ad aumentare il livello di sicurezza», spiega il portavoce dell'USTRA. Quattro scenari I tecnici dell'USTRA hanno preso in considerazione diversi possibili scenari per realizzare le necessarie opere di risanamento e adeguamento della galleria, calcolando per ciascuno la spesa prevista. Infine hanno delineato le due varianti migliori dal punto di vista tecnico e due alternative. Variante 1 Chiusura ininterrotta del tunnel per 900 giorni, cioè circa due anni e mezzo. Il costo previsto dei lavori è di 650 milioni di franchi, a cui vanno aggiunte le spese per migliorare il livello di sicurezza della strada del passo durante l'inverno e le spese di gestione del traffico durante la chiusura della galleria. Variante 2 Chiusura ininterrotta per 280 giorni all'anno, da metà settembre a fine giugno, per tre anni e mezzo. Il costo previsto è di 752 milioni di franchi, escluse le spese per migliorare la sicurezza della strada del passo e gestire il traffico nei periodi di chiusura. dossier o: Fuggi fuggi all'italiana di Alice Gioia Sul collegamento a sud di AlpTransit, l'Italia che dice? Niente. L'Italia non dice niente. Per due settimane abbiamo tampinato politici e amministratori della Penisola per ottenere le risposte ad alcune domande e farci rilasciare qualche dichiarazione. Certo «Confronti» non è «la Repubblica». Ma questo fuggi fuggi sembra proprio indizio di una bella coda di paglia. Roberto Castelli, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (Lega Nord) Contattato per primo il 22 settembre, ci aveva promesso tramite il suo ufficio stampa di riuscire a fare un'intervista telefonica. Il 27 settembre l'intervista è saltata perché il Viceministro era molto occupato. Si è quindi pensato di avere delle risposte scritte. Il 30 settembre è stata sollecitata una risposta via SMS, a cui sono seguite due telefonate nei giorni successivi. Purtroppo non è stato possibile, secondo il suo ufficio stampa, trovare il tempo necessario per completare la risposta alle domande entro il tempo stabilito. Variante 3 Chiusura per cinque mesi all'anno, in inverno, per sette anni. Il costo previsto è di 890 milioni di franchi, escluse le spese per la gestione del traffico e i lavori sulla strada del passo. Variante 4 Chiusura per sette mesi all'anno, in estate, per cinque anni. Il costo previsto è di 810 milioni di franchi, più le spese per la gestione del traffico. Nell'eventualità che si decida di procedere alla costruzione della seconda canna del San Gottardo, è stata valutata la possibilità di realizzare in tempi brevi gli interventi più urgenti, chiudendo la galleria per 50 giorni a primavera e 90 in autunno per un anno, con un costo di 250 milioni di franchi, in modo tale da garantire l'utilizzo in sicurezza fino al 2035, data entro la quale la costruzione della seconda canna dovrebbe essere completata, per poi procedere con gli interventi più impegnativi. Mauro Moretti, amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Il suo addetto stampa, durante il primo contatto telefonico il 29 settembre, ha sghignazzato. Ha però accettato che gli inviassimo un'email, alla quale comunque non ha risposto. Durante il secondo contatto telefonico, il 7 ottobre, ha confermato il diniego e ci ha detto che, per quanto riguarda le interviste, «su quel versante preferiamo mantenere un profilo prudente». Raffaele Cattaneo, assessore alle infrastrutture e ai trasporti della Regione Lombardia (PdL) Contattato il 30 settembre, ha risposto il giorno successivo tramite la sua addetta stampa. Essendo in partenza per New York, non aveva il tempo di concentrarsi per rispondere, neanche in forma scritta. Soprattutto, avendo visionato le domande, non aveva intenzione di «commentare cose che altri – ovvero il Viceministro Castelli e l'AD di Trenitalia Moretti – avevano detto sull'argomento. Preferirei parlare di quello che ho fatto sulla questione AlpTransit». Debora Serracchiani, europarlamentare, presidente del gruppo di lavoro che si occupa del Recast Ferroviario in Commissione trasporti del Parlamento europeo (PD) Contattata il 4 ottobre, ci ha risposto che avrebbe risposto. Poi gli impegni le hanno impedito di rispondere su tematiche così specifiche entro il termine necessario. 7 I lavori per AlpTransit: quando verrà chiusa la galleria del Gottardo, la ferrovia sarà la migliore alternativa per il trasporto delle merci. Bartolomeo Giachino, Sottosegretario del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (PdL) Insieme con il viceministro Castelli, è stato contattato per primo il 22 settembre. Abbiamo parlato direttamente con lui e la risposta è stata positiva. Ci ha detto di scrivergli un'email a cui avrebbe risposto, o ancora via email oppure al telefono. Il 26 settembre gli abbiamo inviato l'email con le domande. In seguito, ogni giorno è stato contattato telefonicamente. Non ci è mai stato possibile parlargli direttamente di nuovo. Abbiamo solo avuto contatti con la sua assistente e con la segreteria, che ogni giorno ci hanno assicurato che il sottosegretario stava lavorando sulle risposte: addirittura una sera ci hanno detto che si era fermato apposta «per studiare le carte». Ci siamo fidati, ma… Venerdì 7 ottobre siamo stati contattati alle 8 del mattino dalla sua segretaria, che ci ha assicurato che Giachino avrebbe fatto il possibile per rispondere entro il termine stabilito, alle ore 12 dello stesso giorno. Nulla è giunto. Il sottosegretario, di cui finalmente siamo riusciti a farci dare il numero di telefono, non ha mai risposto alle nostre telefonate. La segretaria, interpellata ancora nel pomeriggio di venerdì 7 ottobre, ha detto che il sottosegretario si è accorto all'ultimo momento che «la competenza è del viceministro Castelli». dossier San Gottardo: di Don Juan Nel clima elettorale, il tema del raddoppio della galleria autostradale del San Gottardo torna a dominare il dibattito politico. Benché in Ticino, come nel resto della Svizzera, le votazioni in merito si siano sempre risolte con la vittoria di chi si oppone al raddoppio, tutti i candidati, tranne quelli del fronte rosso-verde, sono allineati sulla richiesta di una nuova galleria autostradale al San Gottardo. Che cosa li motiva? Il terrore panico di dover vivere per qualche tempo con la galleria autostradale chiusa per i lavori di risanamento. Nell’intervista a Fabio Pedrina su questo numero di «Confronti» possiamo leggere gli argomenti per una politica diversa, che affronta senza paure anche situazioni difficili. Qui di seguito ecco alcuni fatti per sfatare le leggende in circolazione, basati sul rapporto del Consiglio federale del 17 dicembre 2010, in attesa di quello annunciato per fine anno (bit.ly/rapportorisanamento). Il risanamento della galleria non è così urgente «Il periodo ottimale per effettuare il risanamento della galleria del San Gottardo si situa fra il 2020 ed il 2025. I lavori devono essere conclusi entro il 2025. In caso contrario, a partire da tale anno, la funzionalità e la sicurezza della galleria autostradale non possono più essere garantite completamente». (Pag. 16) 8 La struttura può resistere ancora per decenni «Allo stato attuale, la soletta intermedia è parzialmente difettosa. (…) In queste aree è stato riscontrato uno stato di avanzata corrosione dell’armatura dove non è quindi possibile garantire la sicurezza strutturale a medio termine. A partire dal 1980, ovvero dalla sua messa in esercizio, la pavimentazione della galleria non è mai stata sostituita. Nel quadro dei lavori di risanamento è necessario rimpiazzare lo strato di usura della carreggiata, la cui durata di utilizzo era stata fissata a 20 anni (…)». (Pagg. 17-20) Poi ci sono situazioni non più conformi alle norme, come la sezione utile per il traffico, il cunicolo di sicurezza, la ventilazione eccetera. Una seconda galleria può essere costruita per tempo «Stima del tempo richiesto per la pianificazione e la progettazione di una seconda canna: 8,5–15 anni. Si stima che per la realizzazione vera e propria della seconda canna (una volta avvenuta l’aggiudicazione) ci vorranno all’incirca sette anni. (…) Se la realizzazione della seconda canna comportasse un aumento di capacità, la votazione popolare sarebbe obbligatoria anche da un punto di vista legale. (…) Ai tempi stimati sopra andrebbe quindi aggiunto un periodo supplementare, necessario alla modifica della Costituzione federale e della LTS [Legge sul transito stradale nella regione alpina, NdR]». (Pag. 58) Se supponiamo che 3 anni bastino per risolvere la modifiche costituzionali e legislative, abbiamo un totale di 11,5– 18 anni! I lavori di risanamento possono essere ritardati fino al momento in cui avremo a disposizione una seconda galleria «Di seguito sono elencate le principali misure necessarie nel caso in cui il ri- sanamento della galleria del San Gottardo venisse rimandato al 2030 o, in extremis, al 2035: A livello della soletta intermedia sono indispensabili diverse misure (…) Per svolgere questo intervento, la galleria deve restare chiusa al traffico per un periodo di 50-140 giorni, ciò che comporta un aumento considerevole del numero di chiusure notturne». (Pag. 59) È possibile costruire una seconda galleria senza aumento della capacità e quindi senza dover modificare la Costituzione federale «Con la realizzazione di un tubo supplementare è semplicemente impossibile adottare misure che impediscano, dal punto di vista tecnico e finanziario, che a lungo termine sia messa in esercizio una terza e persino una quarta corsia di scorrimento. Tutte le misure possibili possono essere eliminate con poco dispendio di mezzi» (Hartmann & Sauter, Una seconda canna quale ausilio al risanamento?, ottobre 2009) Conclusioni: - il risanamento e la chiusura per lunghi periodi sono inevitabili, - il raddoppio arriverebbe troppo tardi o più probabilmente mai. Prepariamoci! Posso vantarmi di essere un viaggiatore di treno con una certa esperienza. Ho tutte le carte viaggio che un uomo può desiderare, conosco i trucchi per non farsi la pipì sulle scarpe e ho accumulato così tante ore di ritardo che i bonus dei rimborsi sono diventati la mia principale fonte di reddito. Tutti i chilometri che ho fatto in treno sarebbero sufficienti per andare su Urano e tornare indietro dieci volte, anche se li ho fatti tutti sulla tratta Pizzighettone–Casalpusterlengo. E poi io sono un tifoso dei treni: sono belli, silenziosi e, a differenza delle auto, non inquinano. Se le auto continuano ad aumentare in questo modo, tra qualche anno le distanze non si misureranno più in chilometri ma in tumori. Ciononostante con i controllori non ho mai avuto grande successo. Mi hanno sempre trattato con indifferenza, se non con sospetto. Mai un sorriso o una frase gentile, niente. Mentre con gli altri passeggeri è tutto un grazie mi scusi per favore: «Già visto il biglietto, signora? Grazie mille. Buon viaggio», «Biglietto, signore? Grazie a lei. Buon viaggio», «Biglietto, prego. Molto gentile. Faccia buon viaggio»,… «Biglietto!» (a me). E questo nonostante abbia deciso di viaggiare in prima classe. Quando viaggiavo in seconda non mi chiedevano neanche il biglietto: iniziavano direttamente a frugarmi nelle tasche e col fischietto chiamavano i cani. Forse è perché non sembro un uomo d'affari? Forse non esistono uomini d'affari coi jeans stinti, tre magliette infilate una sull'altra, occhiali risorgimentali e barba cespugliosa? Ho provato a vestirmi diversamente, a mettermi in giacca e cravatta, frac e farfallino, camice bianco e mascherina, clergyman e aspersorio, salopette e baffi, asciugamano e ciabatte di gomma, ma niente da fare. Una volta mi sono persino vestito da donna, ma è andata anche peggio. Eppure avevo fatto tutte le cose per bene: rossetto, permanente, gonna corta e tentativi di sedurre il controllore. Niente. portatile Alla fine ho deciso che era colpa della barba. – Ti accorcio solo un po'. – Scordatelo. – Non c'è niente di male, sai? Lo fanno tutti. – Accorciati tu, io sto benissimo. – Ma sei troppo disordinata. Non è per offendere, ma sembri un cespuglietto di peli di mosca. – Una volta ti piacevo così. – Ti do solo una sistematina. – Senti, non è colpa mia se la gente non ti rispetta. È colpa tua se non rispetta me. Ho pensato che potesse aiutare a darmi un tono farmi vedere con un libro in mano, così ho comprato un certo numero di libri da viaggio, tutti scelti precisamente a scopo scenografico: voluminosi, austeri, rilegati in pelle e con almeno due segnalibri di stoffa. Non ha funzionato neanche questo. Al terzo viaggio mi hanno costretto a scendere dal treno (in corsa). Così ho deciso di interrompere la lettura di Che hai da guardare, maledetto controllore? e sono passato al piano B, dove B sta per Brassegnarsi. E non c'è solo il problema dei controllori. Anche i viaggiatori, i cosiddetti «Gentili clienti grazie per aver viaggiato con Trenitalia», sono un problema. Tutti vogliono attaccare bottone, mi mettono i piedi sulle ginocchia o mi si addormentano in braccio. È abbastanza complicato viaggiare in queste condizioni. Un giorno però, per puro caso, ho trovato la soluzione. Invece di passare il viaggio come al solito a guardare fuori dal finestrino e immaginare un enorme bulldozer alieno che rade al suolo tutto quanto, scelgo di giocare a campo minato sul portatile. Appena lo apro, la gente abbassa immediatamente lo sguardo, mi dà del lei e il controllore si precipita dalla carrozza di testa a lustrarmi le scarpe. A fatica trattengo la quinta C dell'educandato di Santa Caterina dal pettinarmi. Chiudo il portatile: tutti mi guardano storto. Lo riapro: tutti mi rispettano. Chiudo: storto. Apro: rispetto. Storto. Rispetto. Storto. Rispetto. Storto. Rispetto. Storto. Rispetto. Alla fine capisco che è qualcosa che ha a che fare col portatile. Da quel giorno non viaggio più senza portatile. La gente mi tratta coi guanti, non importa se sto scrivendo un dialogo fra Gesù e Lex Luthor o sistemando il mio personale archivio pornografico: quando ho il portatile sulle ginocchia, lo sguardo concentrato, e batto rumorosamente le dita sulla tastiera, la gente mi tratta come se stessi componendo La Divina Commedia. Per inciso, tutto questo funziona solo se il computer è acceso. Mikhail Kokhanchikov 9 di Astutillo Smeriglia dossier Il fascino discreto del esteri Ricostruire una nazione di Federico Storni esempio di democrazia, decidendo di riscrivere la Costituzione (quella vecchia, risalente al 1944, era un calco quasi perfetto di quella danese) per sottrarre il Paese allo strapotere dei banchieri internazionali. Lo fanno in modo non convenzionale, vale a dire eleggendo anzitutto un'assemblea costituente composta da 25 persone (per essere eleggibile per l'assemblea, oltre a essere maggiorenne, bisogna non essere iscritto ad alcun partito e avere l'appoggio di almeno 30 persone, e con queste regole si sono presentati 522 candidati) al fine di riscrivere la Carta. Inoltre ogni cittadino islandese può dare il proprio contributo alla creazione grazie a Internet, in quanto le riunioni dell'assemblea sono trasmesse in streaming on line e abbondano le possibilità di esprimere la propria opinione e di essere ascoltati. Questa la condizione dell'Islanda a oggi: la fotografia di un Paese a prima vista libero dal giogo dell'economia e dai «propri» debiti. Due però gli indizi che non son tutte rose e fiori nel Una delle prime conseguenze concrete (forse la più spettacolare) della crisi dei mercati finanziari del 2008 fu la bancarotta dello Stato islandese, uno dei Paesi con il più alto reddito pro capite al mondo. Da allora sono passati tre anni. Vediamo come l'Islanda ha cercato di rimettersi in piedi. 10 I guai dell'Islanda erano cominciati nel 2003, con la completa privatizzazione delle banche nazionali. Infatti, se in un primo momento la scelta degli istituti bancari di puntare sugli investimenti stranieri aveva dato i suoi frutti, d'altro canto il debito estero delle banche stesse aveva continuato ad aumentare, fino a raggiungere il 900% del PIL islandese nel 2007. La situazione, benché preoccupante, può ancora essere tollerabile in un contesto economico florido. Ma nel 2008 ecco arrivare la crisi, a fronte della quale le tre principali banche falliscono e vengono nazionalizzate. Nel contempo la corona islandese perde l'85% del proprio valore rispetto all'euro, decuplicando il debito. Da parte sua, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) garantisce un prestito di circa 5 miliardi di euro, a patto che il governo socializzi il debito contratto dalle banche: ogni cittadino islandese dovrebbe pagare 100 euro al mese per i prossimi 18 anni Reykjavík per restituire i soldi persi. Il governo di sinistra, appena succeduto a quello di destra, accetta, suscitando l'ira popolare, che si traduce in varie manifestazioni e sit-in di protesta di tale impatto da obbligare il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, a non ratificare la legge e a indire invece un referendum. Il 93% dei cittadini islandesi che si presentano alle urne dice di non voler ripagare i debiti contratti da istituti privati. Questa decisione ha conseguenze importanti: il Fondo Monetario Internazionale congela il prestito di 5 miliardi e Inghilterra e Olanda (i principali creditori) arrivano a minacciare l'isolamento del Paese. Per tutta risposta, nel 2010 i cittadini islandesi danno dimostrazione di un raro freddo Nord. Anzitutto nel 2009 si è registrato il più alto flusso emigratorio dal 1887: circa 15 mila dei 330 mila residenti islandesi hanno preferito andarsene, non vedendo un futuro per la propria nazione. Inoltre, benché gli istituti inglesi e olandesi abbiano pagato di tasca propria i clienti danneggiati dalla bancarotta islandese, essi pretendono a tutt'oggi che l'isola ripaghi i propri debiti in qualche modo. Qualcosa di interessante l'Islanda lo ha comunque dimostrato: un popolo sovrano può democraticamente sovvertire le logiche economiche. Una via percorribile anche per quei Paesi a rischio di bancarotta come la Grecia? Sì, in linea di principio. No, in linea pratica. Bisogna infatti mettere a paragone alcune cifre. Per cominciare, come detto, poco più di 300 mila anime vivono in Islanda: grosso modo quante in Ticino. L'Italia, a paragone, di anime ne conta 60 milioni. Una democrazia così diretta come quella islandese risulterebbe improponibile per nazioni più popolose, così come quella svizzera, spesso vista come l'esempio di democrazia più «pura» al mondo, risulterebbe ingestibile per nazioni come Francia, Italia e Spagna. Poi, per quanto un debito di 4 miliardi di euro possa sembrare esorbitante, si pensi che il debito italiano è pari (nel maggio 2011) a quasi 2’000 miliardi di euro. Briciole, su scala globale, il debito islandese. Se l'Italia dovesse dichiarare bancarotta sarebbe un problema ben più grave, perché romperebbe il delicato equilibrio debitore-creditore che governa l'economia mondiale, trascinando con effetto domino svariati altri Paesi nel baratro. Nessun'altra nazione potrà quindi agire come l'Islanda in caso di bancarotta. Ma l'isola del Nord è riuscita a dimostrare che quello imposto «dall'alto» non è l'unico modo per uscire dalla crisi, che un'intera popolazione ha la possibilità e il potere di fare sfoggio di democrazia e di decidere da sé il proprio destino. E non è poco. Barbara Helgason terre Ahi, ahi, compagno Pisapia! di Tita Carloni L'architetto Jacopo Gardella, milanese, che non è un sovversivo e ha rispettabili quarti di nobiltà professionale, ha scritto più di un mese fa che sarebbe meglio rinunciare (e si sarebbe ancora in tempo) alla prossima Esposizione Universale di Milano, la cosiddetta Expo 2015. Egli la considera «un pletorico baraccone vuoto di sostanza». Michele Piacquadio lanese Stefano Boeri, oggi assessore alla Cultura, moda, Expo e design. Il quale ha dovuto fare uno sforzo enorme per far tacere le sue reticenze, i suoi dubbi, la sua originaria contrarietà, considerato anche che le forze del centrosinistra hanno votato il Piano urbanistico «turandosi il naso», temendo che a Expo terminata cresca su quelle aree una speculazione edilizia difficilmente controllabile e che il promesso grande parco urbano finisca per essere tagliuzzato e ridotto in definitiva a poca cosa. E poi c'erano di mezzo le penali che il Bureau International des Expositions avrebbe ap- plicato a Milano nel caso di rinuncia all'impresa. Alcuni erano però dell'avviso che convenisse comunque pagare le penali (non stratosferiche) piuttosto che insistere su un'impresa molto costosa ormai gravemente compromessa dai ritardi e dalla mancanza di un piano organico dei contenuti. A compiere l'opera sono giunti ultimamente i tagli del Governo italiano alle amministrazioni comunali, Milano compresa. Sicché viene spontaneo dire: «Ahi, ahi, compagno Pisapia!». E nello stesso tempo: «Tanti, tanti auguri!». Ci sono talora delle eredità che è molto difficile rifiutare. L’ANEDDOTO In occasione dell'Esposizione Universale di Osaka, in Svizzera fu chiesto a un certo numero di architetti e di grafici di presentare un progetto per un padiglione nazionale e mi capitò di essere invitato a quella specie di gara dove non c'erano graduatorie e premi ma si prevedeva semplicemente la scelta della proposta che sarebbe poi stata realizzata. Nel 1967 io presentai il progetto di un lungo padiglione con un'ardita struttura di legno dentro il quale, in un percorso lineare, i visitatori potevano vedere su un lato la Svizzera tradizionale e sull'altro lato la Svizzera moderna. Per fare un esempio, da un lato il lancio della pietra di Unspunnen e dall'altro una grande partita di calcio nello stadio dell’Hardturm di Zurigo. Non ebbi successo. Una volta saputo l'esito telefonai a Max Bill, della commissione giudicatrice, che conoscevo bene, per sapere le ragioni della scelta e le critiche fatte al mio progetto. La risposta fu, come sempre, lapidaria: «Nicht werbungsfähig», cioè non adatto alla promozione, alla pubblicità. Era stato scelto, e fu poi realizzato, il progetto di un grafico svizzero-tedesco che proponeva una specie di grande croce svizzera sviluppata volumetricamente nello spazio e realizzata con una struttura tubolare e migliaia di lampadine rosse e bianche. Una specie di simbolo allo stato puro, un oggetto sorprendente senza nessuna pretesa di contenuto informativo. Non si seppe poi mai se i Giapponesi si fossero stupiti o meno e quale Werbung ne avesse ricavato la Svizzera. 11 La città di Milano si era vista aggiudicare il mandato nel lontano marzo del 2008. Da allora sono passati più di tre anni senza che si sia concluso gran che. Secondo «la Repubblica», in questo momento il partito dei contrari si aggirerebbe attorno al 39% dei Milanesi interpellati, il partito dei favorevoli malgrado tutto attorno al 44%, il rimanente 17% sarebbe indeciso o indifferente. Queste cifre indicano in modo significativo come l'opinione pubblica non sia particolarmente entusiasta dell'evento e come si tema ancora una volta che esso si trasformi in un gran teatro di interessi interpretato da possessori di aree, organizzatori, imprenditori, pubblicitari. Il tema dell'Expo 2015 è: «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita». Un tema sicuramente nobile ma che non può essere affrontato allineando, Paese per Paese, padiglioni strabilianti dove ognuno «metterà in mostra i propri prodotti agricoli, floreali, ortofrutticoli come in un grande mercato o in una ricca mostra di fiori esotici», come sostiene Gardella. Anche il Ticino si propone di essere presente. È stato creato un gruppo di lavoro, coordinato dall'ex consigliere di stato Luigi Pedrazzini, che si occuperà di tutte le relazioni tra il Ticino e l'Expo 2015. Vi partecipano Lugano, Locarno, Mendrisio, Bellinzona e Chiasso, oltre alle associazioni economiche e Ticino Turismo. Secondo «il Caffè», si prevedono una valorizzazione dell'aeroporto di Agno e del luganese LAC (se sarà pronto), iniziative congiunte col Festival del film di Locarno, la messa in funzione dell'idrovia Locarno-Venezia, nonché la promozione del Rivellino locarnese di Leonardo nel sistema dei castelli del ducato di Milano. Come contributo ticinese al tema «Nutrire il Pianeta» non c'è male. L'ipotesi dell'Expo come pletorico baraccone troverebbe anche in questo caso una modesta ma inequivocabile conferma. L'incaricato del controllo generale dei contenuti, dell'impianto urbano e dell'architettura è il bravo architetto mi- ´ katholikos contrasto Giulleria Gli dei e l'Olimpo di cri.bro di Pietro Canovati Se facciamo discutere un Tizio esperto di comete con un Caio che sostiene di aver incontrato gli extraterrestri, avremo un dibattito sull'astronomia? No. Che cosa può contestare il primo al secondo? È un esempio tirato agli estremi, ma capita spesso nei dibattiti politici. E non è colpa dei moderatori, che devono accettare candidati precotti e preconfezionati. È allora la premessa a una giulleria generale ove ognuno suona i suoi bubboli. Che cos'è quindi un dibattito degno di questo nome? Se intendiamo un confronto di punti di vista argomentati in modo da offrire una tavolozza di contrasti o sfumature che permetta a chi segue di farsi un'opinione elaborata, bisogna ammettere che i veri dibattiti sono stati rari. Per ottenere questo quasimiracolo ci vogliono ingredienti essenziali, come interlocutori, non molti, non figuranti, non improvvisati, non comandati, che sappiano argomentare in modo chiaro, sintetico, accessibile, non fuggitivo, e le cui idee opposte non impediscano di avere in comune la preoccupazione di produrre una pedagogia contraddittoria che permetta di informare. Sappiamo che la parola «pedagogia» genera orrore tra i televisivi. Eppure è di lì che si dovrebbe passare. Altrimenti a che cosa serve? Non è facile, è vero. Anzitutto perché dovrebbe prevalere il vero scopo del dibattito: informare, appunto, con chiarezza. In secondo luogo perché si dovrebbe mandare all'inferno la pretesa dei partiti o dei candidati di ottenere la passerella, equivalente al «santino» televisivo. Un'infilata di candidati in semicerchio in attesa del proprio turno di parola è già una certezza di vuoto pneumatico per chi segue. Dev'essere stata tale la precedenza partitica (combinata con la quadratura del cerchio del «tutti esposti») su quella informativa, che alcuni dibattiti sono finiti proprio nel Tizio e Caio di cui si diceva all'inizio. Esemplifichiamo: presenza di UDC e Lega che la pensano alla stessa maniera (ne bastava uno) e assenza (salvo brevi interviste «esterne», quindi senza replica) di altro interlocutore di opinione diversa. Si parla spesso di Grecia per il suo inabissamento in un debito senza fine, per il giogo cui deve sottostare per ottenere fiato, per la disumanizzazione che le viene imposta da altri Stati e organizzazioni. Un economista ha ventilato l'idea balzana (comunque in linea con l'ideologia economica dominante) che basterebbe vendere il Partenone, già in parte trafugato nell'Ottocento a Londra (almeno per il fregio e per le metope, ora al British Museum), per uscirne. Forse anche per questo motivo son tornato, con volo pindarico, agli dei e all'Olimpo. Atene non ebbe mai difficoltà a collocare nel proprio Olimpo gli dei delle popolazioni con cui entrava in contatto o che conquistava. Le consentiva di mantenere e riconoscere l'identità di ciascun popolo e le credenze della sua gente. Con due grandi virtù: la solidarietà (quella che ora le negano i popoli europei) e soprattutto la tolleranza. La tolleranza cominciava con l'accettazione delle rispettive divinità. Quando questo principio scompare, cominciano le guerre di religione, più terribili di quelle dettate da interessi territoriali o economici. C'è da chiedersi se quella in atto contro Atene non sia per certi aspetti una guerra di religione. Se noi togliamo la parola «Dio» dal Medioevo, quando l'arte era sacra, la letteratura era Inferno, Purgatorio e Paradiso, e persino la donna doveva essere angelo, finiamo per non capire nulla di quell'epoca. Se noi togliamo la parola «Dio» alla nostra epoca, questa si lascia perfettamente comprendere; poco o nulla, invece, se dovessimo togliere la parola «denaro». O quel quasi sinonimo che è attualmente la parola default (debito). Dio, insomma, è bell'e morto. La morte di Dio non ci ha però restituito gli dei, e il nostro paganesimo, tutto economico, rimane senza Olimpo, che era un riflesso dell'umanità. Ci è rimasta l'eredità tipica del monoteismo e cioè l'intolleranza, inevitabile conseguenza di chi crede di possedere la verità assoluta, magari anche solo economica, e il potere per imporla. sussurri Fumetto... di Mandrake Posizione di tiro di Jacques Tardi & Jean-Patrick Manchette Tardi non è nuovo a questo tipo di lavoro, l'adattamento a fumetti di classici della letteratura noir francese. Famosissimi sono quelli dell'ispettore Burma di Malet. Si potrebbe aggiun- gere che siamo anche al secondo lavoro tratto da un soggetto scritto dall'autorevole Manchette. Anche se il precedente era nel lontano '77. Devo dire che ho apprezzato moltissimo questo nuovo connubio. Come mi capita sempre più spesso, scopro degli scrittori interessanti e capaci attraverso i fumetti tratti dai loro romanzi. Per molti sembrerà un'eresia non conoscere il libro originale, e forse altri potranno pensare che «di sicuro» il fumetto non sarà mai all'altezza del romanzo. A me importa solo aver letto un bel noir di uno scrittore che, anche se è famoso, non conoscevo. Uno di quei classici che mi ricordano tanto il cinema francese Anni Settanta, freddo, grigio, con un ritmo tutto suo, che oggi non avrebbe più mercato. Un eroe negativo, un killer con delle regole… e pronto a difenderle con la vita. Rapporto confidenziale Gonçalo Tocha Premio speciale della giuria della sezione «Cineasti del presente» al 64.esimo Festival internazionale del film Locarno, conclusosi appena qualche settimana fa, É na terra não é na lua (It’s the Earth Not the Moon) del portoghese Gonçalo Tocha è stata senza dubbio una tra le opere in assoluto più rilevanti di quest'edizione. Documentario sulla sconosciuta isola di Corvo (440 abitanti), nell'arcipelago delle Azzorre, è un'opera densa di fascino e cui l'ironia non fa mai difetto, dove l'eclettico Tocha mescola storia, antropologia e semplice curiosità. Nella speranza di poter rivedere il film, che in questo momento sta circolando per vari festival nel mondo, si può guardare il suo documentario precedente, l'opera prima Balaou, del 2007, in cui il tocco peculiare e il personalissimo approccio di Tocha al cinema è già ben visibile. Balaou prende spunto dalla necessità di Tocha di elaborare il lutto della madre, scomparsa prematuramente Basta ignorarlo di Marco Cagnotti «il Mattino» è volgare, monotono, razzista? Onestamente non lo so. Non leggo «il Mattino». Non l'ho mai letto. Nemmeno una volta. Talvolta ho gettato un'occhiata sui titoli in prima pagina, ma tale è stato lo schifo che m'è scappata la voglia anche solo di prenderlo in mano. Sicché non so se «il Mattino» sia davvero volgare, monotono, razzista. E non me ne frega niente. Le ultime settimane hanno visto un pullulare di iniziative opporsi al domenicale di Bignasca. C'è chi non lo vuole nelle scuole, chi chiede solidarietà per le vittime degli insulti del Nano e della sua cricca, perfino chi ne diffonde una parodia (idea graziosa, però!). Risultato: se ne parla. Se ne riparla. Se ne straparla. E intanto Bignasca gongola, memore del proverbio: «Che se ne parli bene o se ne parli male poco importa, perché l'importante è che se ne parli». È difficile contrastare la stupidità. Anche se la condanni, fai comunque il suo gioco. Le attribuisci almeno il merito della tua attenzione. Le dai di- di Roberto Rippa pochi mesi prima. Da qui la decisione di intraprendere un viaggio sull’isola di São Miguel, luogo di origine della donna. Tra bambini che nascono e una prozia 91.enne che attende impazientemente di morire, la vita chiede attenzione. Il difficile viaggio di ritorno in barca verso Lisbona suggellerà, nelle difficoltà dovute all’impetuosità della natura, un diverso ritorno alla vita. Balaou è visibile gratuitamente e integralmente, grazie a un accordo con lo stesso regista, sul sito di Rapporto Confidenziale (bit.ly/gonzalotocha). eve. erolti molto br Rispuose: «Dic morte, di za o speran Questi non hann a, ta è tanto bass e la lor cieca vi sorte. a tr al ne og d' n che 'nvidïosi so n lassa; no r mondo esse Fama di loro il : na eg sd li giustizia misericordia e passa». e da ar gu a m di lor, non ragioniam III 45-51) media, Inferno, m Co na vi Di a (L gnità. La soluzione più efficace è allora disinteressarsene. Lasciamo il Nano da solo a ruttare tutto il proprio livore. E facciamo passare un messaggio costruttivo: chi legge «il Mattino» è uno sfigato. P.S.:Sì, certo: anche un invito a ignorare «il Mattino» costringe a parlarne. Accidenti all'autoreferenzialità! 13 www.rapportoconfidenziale.org politica Vox populi? di Virginio Pedroni maggioranza non può più contare su alcuna legittimità particolare e gode solo della forza del numero, che spesso, quando è in gioco il potere, conta meno di quella dell'intelligenza, delle armi o dei soldi. Comunque, se è solo un problema di potere e non anche di giustizia e diritti, la maggioranza sconfitta non ha nulla da recriminare. Forse che sarebbe illegittimo sottrarsi a un linciaggio per rispettare la volontà di una maggioranza di esagitati? Sappiamo che nel nostro Paese la questione dei limiti della volontà popolare è molto delicata. Da un lato, in quanto democrazia diretta che conosce l'istituto dell'iniziativa popolare per la revisione parziale della Costituzione, la Svizzera sottopone spesso la sua Carta fondamentale alla prova (potremmo dire «allo stress») della maggioranza, con il rischio di vedere messe in votazione anche proposte lesive dei principi fondamentali della Costituzione stessa, che alla logica maggioritaria dovrebbero essere sottratti. La questione è resa ancora più acuta dall'assenza di una Corte costituzionale, per cui è il Parlamento a valutare l'ammissibilità di un'iniziativa, in base a pertinenti considerazioni non solo di principio e giuridiche ma anche politiche. Tutti ricorderanno il caso clamoroso della votazione sui minareti, in occasione della quale il popolo svizzero ha deciso di inserire nella Costituzione un articolo giudicato dal Governo e dal Parlamento contrario ad alcuni valori fondamentali della nostra carta. D'altro canto la Svizzera, in quanto Stato federale e multiculturale, è chiamata più di altri a contemperare il principio di maggioranza con altri criteri, attinenti ai di- L'iniziativa dell'UDC per l'elezione diretta del Consiglio federale è riuscita. Si tratta di uno dei numerosi esempi di quella santificazione della volontà della maggioranza oggi in voga, soprattutto in ambito populista. Questa retorica dimentica che il principio di maggioranza, fondamentale in democrazia per permettere l'espressione della volontà popolare, è parte di un sistema di regole e che tale volontà si deve manifestare entro i limiti di una Costituzione e della concezione della giustizia che la sorregge. Fra le altre cose, una Costituzione serve proprio a garantire i diritti di chi maggioranza non è e, in primo luogo, di ogni individuo, che in quanto tale è sempre minoranza rispetto alla collettività. La retorica della legittimazione popolare dimentica che una violazione del patto costituzionale non è meno grave se è perpetrata da una maggioranza (e a questo punto verrebbe da chiedersi, rotti i confini costituzionali del corpo politico: «maggioranza di che cosa?») invece che da una minoranza. Fuori da tale patto valgono solo i rapporti di forza e la morale personale: saremmo in quello che il pensiero politico moderno chiamava «stato di natura». In questo contesto una ritti e alla considerazione per le sue varie componenti, a prescindere dalla loro consistenza numerica. Per non parlare della difficile conciliazione fra logica meramente maggioritaria e varie forme di concordanza politica che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese (forme che l'UDC mira apertamente a scardinare). In questo quadro, l'elezione diretta del governo si scontrerebbe chiaramente, ad esempio, con le esigenze di rappresentanza nell'Esecutivo delle minoranze linguistiche. Lo riconoscono anche i suoi sostenitori, i quali prevedono una garanzia (sarebbe meglio dire un «contentino») per le minoranze latine: almeno due membri del Consiglio federale dovrebbero provenire dalle loro file, anche se meno votati degli altri, con l'evidente rischio di essere ministri «di serie B». Il delicato tema del peso della maggioranza in democrazia, peso che storicamente ha giocato anche a favore di una sinistra tesa a difendere legittimi interessi sociali fortemente sentiti e assai diffusi, è diventato più spinoso e di difficile gestione nel momento in cui è stato investito dall'ondata populista, che fa della retorica della legittimazione popolare un suo cavallo di battaglia. Se il popolo «ha sempre ragione» e «vota UDC» o «vota Lega», come ci ripetono con sfacciataggine i manifesti elettorali di quei partiti, UDC e Lega si accreditano, per converso, come i partiti che vogliono far votare, sempre e comunque, il popolo. Il riferimento alla volontà popolare è tutto giocato in chiave di affermazione dell'appartenenza identitaria e di diffidenza nei confronti dei limiti costituzionali a salvaguardia delle minoranze (in primo luogo gli stranieri), nei confronti dei poteri rappresentativi (Parlamento e partiti) e dei trattati internazionali (vedi «libera circolazione»). Certamente, ancora una volta, grazie a questa proposta la destra populista saprà condizionare l'agenda politica, riuscendo nell'arte tipica dei demagoghi: far sembrare i loro avversari come avversari del popolo. Il colmo è che qualcuno arriverà, da noi, ad aggiungere: «Anche del popolo ticinese!». E ci sarà chi gli crederà pure. 14 Robert Hillman Se la volontà della maggioranza è assoluta, anche il linciaggio diventa legittimo? di Libano Zanolari giustizia sport Somma Natalya Gerasimova Lo sport nasce grazie alle regole stabilite di recente in Inghilterra. Nel Medioevo il football (definito da Shakespeare «vile») è più volte proibito perché «causa risse e persino morti, ciò che Dio non vuole». Il Re teme sommosse e lamenta l'imprecisione degli arcieri che invece di allenarsi giocano a calcio. Il conflitto di potere fra l'assolutismo del monarca e la libertà di «impresa» del popolo si è trasformato in conflitto fra le regole dello sport e quelle della moderna giustizia civile, in qualche caso togliendo giustamente potere ai presidenti-signorotti feudali del calcio, in qualche altro sfiorando il ridicolo. Il caso del Sion sembra chiaro, ma nasconde clamorose insidie. Il club vallesano ingaggia all'ultimo istante (il 14 febbraio 2008) il portiere egiziano Essam El-Hadary, eroe nazionale, legato al club Al-Ahli fino al 2010. Secondo il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna si tratta di rottura di contratto senza giusta causa. Il lodo condanna il Sion a versare 796.500 franchi agli Egiziani e alla proibizione di ingaggiare giocatori durante due periodi di «mercato»: estate e inverno 2009-2010. Il Sion di Con- libertà di commercio, avrebbe agito come un nuovo potere feudale approfittando in eccesso di una posizione di monopolio. Nel frattempo quattro giocatori del Sion (Adeshina, ex Bellinzona, Fermino, ex Locarno, Prijovic e Ogararu), avendo un contratto da professionisti, chiedono al giudice civile di potersi allenare con la prima squadra e non con i dilettanti dell'Under 21. Lo stesso motivo che ha indotto il Sindacato italiano dei calciatori a proclamare uno sciopero in quanto, pur pagati a fine mese, i giocatori scartati dalla prima squadra, non potendosi allenare con i più forti, subivano un danno professionale e perdevano valore di mercato. Le squadre di calcio o le staffette alle Olimpiadi saranno decise da un giudice? Sarebbe possibile, per esempio, se si provasse che un allenatore nutriva una particolare simpatia per il secondo frazionista, allenando poco e male un ragazzo più forte, demoralizzato ed escluso dopo lunghe pratiche di mobbing. Tutto chiaro in attesa del prossimo colpo di scena, quando le donne pretenderanno l'abolizione dello sport femminile e l'avvento delle squadre miste. Il calcio passerà da 11 a 10 giocatori (pardon, esseri umani) per poter dividere in perfetta parità maschi e femmine: cinque per sesso, rimanendo aperto il problema dei transgender. Cicerone (summum ius, summa iniuria) era un dilettante. 15 stantin ne rispetta uno solo. Nel secondo acquista sei giocatori. Il presidente della Federazione Svizzera, Walter Grimm, li blocca a poche ore dal debutto a Basilea. Ha paura che la Svizzera possa essere esclusa da ogni competizione per Nazionali e club, secondo le norme UEFA. Il presidente Constantin consiglia ai sei giocatori di rivolgersi alla giustizia civile vallesana, che impone la loro presenza in campo. L'esclusione sarebbe Berufsverbot, arbitrario impedimento all'esercizio di una professione. A questo punto il Sion decide di far scendere in campo i sei anche contro il Celtic, a livello europeo. Elimina gli Scozzesi, che però protestano e ottengono ragione. Il Sion, squalificato, si rivolge al procuratore del Canton Vaud (sede dell'UEFA) Eric Cottier, che ha già dichiarato non validi i risultati del gruppo in cui gioca il Celtic, suscitando l'ilarità degli Scozzesi, convinti di essere nel giusto. Cottier convoca il presidente Michel Platini e il suo segretario Gianni Infantino. I due cercheranno di spiegare in primo luogo che nello sport tutti firmano un documento in cui si impegnano a dirimere le questioni all'interno delle istanze giuridiche sportive. Il Sion punta su un aspetto che, se provato, provocherebbe un nuovo terremoto nel mondo dello sport. Imponendo due periodi di «embargo», l'UEFA avrebbe violato la Nel 1995 la Corte di Giustizia Europea stabilì che il calciatore belga Jean-Marc Bosman a scadenza di contratto poteva andare a lavorare (a segnare reti) dove voleva senza che il club (cioè il datore di lavoro precedente) potesse decidere il suo destino. Scavalcando la giustizia sportiva, nel 2011 l'FC Sion potrebbe aprire un'altra breccia nella cittadella dello sport. Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona GAB 6500 Bellinzona di Firmino Accidenti Eccheccacchio! PLRT: intendiamoci Caverzasio, a scuola! Lorenzo Quadri, il flatulento deputato xenofobo che è ormai diventato la principale voce di spesa nei conti dello Stato, tra mille suoi assurdi ha inoltrato un atto parlamentare anche per sapere se è vero che uno spacciatore di colore volato giù dal tetto sia tornato a vendere bolas una volta guarito. Bene, a interrogazione, interrogazione e mezzo. Chiediamo pertanto a questo lodevole Consiglio di Stato se è al corrente che l'editore e principale datore di lavoro dell'onorevole Quadri è un noto cocainomane. Se ci può dire di che nazionalità siano i di lui fornitori. Se essi abbiano o meno precedenti penali. Se gli risulta che nelle «festicciole» organizzate dal summenzionato datore di lavoro dell'onorevole Quadri circoli droga. Se, in caso affermativo, può dirci se l'onorevole Quadri partecipi a siffatti festini. Se è in grado di dirci di che nazionalità siano i fornitori della sostanza stupefacente eventualmente in distribuzione in queste occasioni. Se gli pare giusto che i disturbi di salute arrecati a questa perlomeno singolare parte della popolazione dall'uso e abuso di sostanze stupefacenti vengano pagati dalla collettività, senza distinzione di reddito, attraverso i sempre più esosi premi delle casse malati. Con la massima stima Firmino La tenda itinerante vuole (ri)portare l'ex partitone vicino alla popolazione. Da quanto afferma Maristella con ubriacanti giochi di parole, loro se ne intendono e con gli elettori vogliono intendersi. Intanto Morisoli & Co hanno levato le tende. Stendiamo un velo pietoso… Dalla posta email del Credit Suisse (che si presume lo stipendi) alla voce «conversazione», il deputato della Lega Daniele Caverzasio insorge contro l'iniziativa che vorrebbe espellere dalla scuola pubblica quell'Oscenità con la O maiuscola che è «il Mattino della domenica», il quale tra foto di prostitute e trans, fotomontaggi di avversari diffamati e insultati e altre schifezze del genere imperversa ogni domenica. Dal sito del CS, insomma, l'elemento in questione fa un'interrogazione al Governo nella quale prospetta che l'evacuazione di questo letame dalla scuola pubblica equivarrebbe a una censura. Come se un giornale porno non distribuito ai giovani allievi delle Medie configurasse una violazione della libertà di stampa! Il bello è che il Caverzasio nelle poche righe del suo atto parlamentare infila tanti di quegli strafalcioni («tra i simpatizzanti a questa iniziativa sono innumerevoli attive»; «un educazione» – senza apostrofo –; «mi fà ricordare» – con l'accento – eccetera) da farci giungere a una conclusione: «il Mattino» lasciatelo fuori dalla scuola, ma il Caverzasio fatecelo entrate, ché ne ha bisogno! Vegn bun anca i Taglian! Oltre a prendersi epiteti e sberleffi, i nostri vicini dell'Insubria si prenderanno anche i nostri rifiuti edili. Osiamo immaginare un certo imbarazzo ad andare con il cappello in mano dai sindaci comaschi e varesini (i famosi «ratti», ai quali peraltro la maggioranza del Governo ticinese ha anche sequestrato parte dei ristorni dei frontalieri). In quanto a rifiuti, noi Ticinesi abbiamo anche parecchia «tolla»… da smaltire. L'uomo del Monte Nasce il «Gruppo di solidarietà per le persone aggredite dal Mattino della domenica». Il domenicale si inalbera e annuncia nuove diffamazioni contro gli sfacciati promotori dell'iniziativa. Proprio vero: da aprile ormai l'uomo del monte non è più Pelli ma il Bigna. Di Monte Boja. Mensile progressista della Svizzera italiana Editore Confronti Sagl, [email protected] Redazione Marco Cagnotti, direttore, [email protected] Abbonamenti 50.- franchi all’anno (12 numeri), solidarietà da 70 franchi, sostenitore 100 franchi. Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona Tel. 091 825 94 62, [email protected] Cambiamenti d’indirizzo Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona [email protected] Inserzioni Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona [email protected] Grafica e impaginazione Studio POP, S. Antonino Stampa Tipografia Aurora, Canobbio Tiratura 2’000 copie