Trimestrale regionale delle politiche giovanili I giovani raccontano
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Trimestrale regionale delle politiche giovanili I giovani raccontano
anno VI n. 4 Amministrazione Provinciale di Pordenone Trimestrale regionale delle politiche giovanili 08 Caro diario... Spedizione in abbonamento postale - 70% - D.C.I. PN I giovani raccontano sentimenti e inquietudini del loro tempo 2 3 Trimestrale regionale delle politiche giovanili Scrittura di sé e mondi giovanili [Sommario] Scrittura di sé e mondi giovanili pag. 3 • Scrivere i sentimenti: imparare a conoscersi per educarsi pag. 6 • Inquietudine: stato di coscienza universale pag. 8 • Questione di punti di vista pag. 10 • Canzoni e sentimenti pag. 11 • Le storie di Giulia pag. 12 • Fare Tr im e s t r a l e r e gi o n a l e d e lle p o l i t i c h e gi o va n il i spazio ai giovani, capire il loro linguaggio pag. 13 • Sentimenti: lavori in corso! pag. 14 • I Nuovi Eroi pag. 15 • Conferenza provinciale permanente sulle politiche giovanili 08 anno VI n. 4 pag. 18 • Il sentimento globale: le emozioni descritte da 3 punti di vista particolari pag. 19 • Uno sguardo verso il cielo: l’emozione del rock progressivo in un memorabile incontro triestino pag. 22 • Note d’insieme pag. 23 • La solitudine dei numeri primi pag. 24 • Là dove osano i cineasti pag. 25 Alidee Trimestrale regionale delle politiche giovanili Anno VI n. 4 Registrazione presso il Tribunale di Pordenone n. 491 del 15.10.2002 Editore Provincia di Pordenone Largo San Giorgio 12, 33170 Pordenone Direttore responsabile Massimo De Bortoli Redazione Andrea Aiza, Provincia di Trieste Tito Brusa, Comune di Gorizia Luisa Conte, Comune di Pordenone Annalisa Furlan, Provincia di Pordenone Paola Grizzo, Regione Friuli Venezia Giulia Valentina Pividori, Comune di Udine Martina Tosoratti, Provincia di Udine Paolo Zuliani, Provincia di Gorizia Coordinamento redazionale: Antonio Garlatti, Associazione Intercomunale del Sanvitese A cura del Servizio Programmazione Sociale della Provincia di Pordenone via Sturzo 12, 33170 Pordenone [email protected] Progetto grafico DSF Design Supporto redazionale Erika Biasutti Servizi fotografici originali per Alidee di Lorenzo Crasnich Stampato presso Poligrafiche San Marco, Cormòns Tiratura copie 6.000 Alidee è anche su www.provincia.pordenone.it e su www.aliasfvg.it editoriale Du ccio De me trio Una premessa La scrittura, negli ultimi anni, è tornata in auge soprattutto grazie all’uso e all’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione. Difficile è infatti non ammettere, soprattutto nelle nostre vite private, quanto impulso questo antico mezzo di comunicazione, interazione e narrazione abbia ricevuto dalla rivoluzione informatica. All’inizio, fu guardata con grande sospetto dai più (ma non dai giovani) con quella diffidenza tipica di chi abbia ricevuto una formazione all’uso della lingua scritta prevalentemente morfosintattica e stilistica, poco attenta al valore dello scrivere in sé, che spesso prescinde dal riuscire a realizzare produzioni corrette e accettabili. Quando lo si usi come un prolungamento simbolico e narrativo della propria persona per capirsi e farsi intendere dagli altri, la scrittura, della cui filosofia non ci ha parlato nessuno a scuola e spesso nemmeno al tempo dell’università, è anche un impulso umano di carattere emancipativo, riconducibile al desiderio di affermare la propria presenza e individualità; ai propri occhi e a quelli degli altri. Con le nuove tecnologie, si sono dunque rotti gli argini che convogliavano lo scrivere entro gli esclusivi confini Quando il lavoro educativo raccoglie e promuove un’esigenza evolutiva della scuola. Oggi ci si scrive, si scrive di sé, si entra nelle reti innumerevoli degli scrittori per diletto di ogni età, senza dover dar conto a nessuno. Per il puro piacere di farlo e di farsi leggere da lettori noti o ignoti. Come scrivono i giovani Le resistenze, se non le esplicite opposizioni ad un uso così spigliato della lingua, sono comunque comprensibili. Non si può certo restare del tutto indifferenti, se dotati di una coscienza professionale educativa e docente, dinanzi alle imperfezioni, alla sciatteria testuale, al fiorire di refusi di ogni genere di cui queste nuove scritture, istintive, contingenti, poco meditate, sono responsabili. Un atteggiamento didattico attento soltanto al buon uso delle regole morfosintattiche, rischia però di scoraggiare chi, prima di tutto, dovrebbe essere aiutato a comprendere la risorsa-scrittura per la propria vita (perché scrivere ci fa sentire meno soli, consola, sorregge nei momenti difficili) e non soltanto per ciò che la scuola e poi il lavoro ci richiedono. Una nuova abitudine allo scrivere Se le ricerche in passato hanno mostrato che con l’avvento della televisione gli italiani hanno imparato a parlare la lingua nazionale, oggi possiamo affermare che un’abitudine maggiore a scrivere si va finalmente diffondendo grazie alle grafomediaticità soggettive e interattive. Mettendo da parte le ansie ipercorrettive pur giustificate, è mia convinzione che per avvicinare i giovani all’arte della scrittura nelle sue qualità più raffinate occorra in primo luogo dar spazio a ciò che fanno, sperimentano, vivono emotivamente in più grazie allo scrivere. In quanto, come dirò, se ragazzi e ragazze verranno incoraggiati ad avvalersene anche in modo spregiudicato, libero, eccentrico, i risultati e i benefici a livello motivazionale non tarderanno ad apparire. Le nostre attuali diffidenze sono riconducibili al ritenere che lo scrivere sms, lettere al computer, chattare, entrare nelle blogosfere, interagire in Facebook ecc. costituiscano dei comportamenti scrittori responsabili di abbassare e appiattire le abilità di scrittura e di peggiorare complessivamente le aspettative inerenti il profitto. Se da una parte è senz’altro vero che tali modalità discorsive e narrative obbediscono per lo più a necessità momentanee di contatto, scambio e amicizia in prossimità o a distanza, screditarle e sottovalutarle sarebbe però quanto mai sbagliato. Equivarrebbe ad irridere le folle di giovani che usciti dalla scuola, nella loro stanza, scrivono a profusione. 4 5 Trimestrale regionale delle politiche giovanili Duccio Demetrio Professore ordinario di Filosofia dell’educazione e di Teorie e pratiche della narrazione all’Università degli studi di Milano-Bicocca. Fondatore e presidente della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, di recente ha pubblicato sui temi di questo articolo: Autoanalisi per non pazienti (Cortina, 2003); Per una pedagogia e una didattica della scrittura (Unicopli, 2007); La scrittura clinica (Cortina, 2008). Di imminente uscita: L’educazione non è finita. Idee per difenderla (Cortina, 2009). Qualche suggerimento didattico per gli studenti delle scuole secondarie si può trovare in D.Demetrio, Il gioco della vita (A.Guerini, 1999); Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica (Laterza, 2003). Scrittura e compiti educativi Chi ha il compito di insegnare, educare, accompagnare verso la vita non mostrandosi attento al valore comunque pedagogico, sociorelazionale, formativo di queste scritture on line, perde - a mio parere - una preziosa occasione per accedere al sentire e al pensare giovanile. Si potrebbe obiettare che i ragazzi fuori dalla scuola sono liberi di comunicare in totale autonomia. Su questa posizione nulla da eccepire, se non fosse che scrittura e lettura, da promuovere non solo per l’esecuzione dei compiti ma per il futuro delle loro vite, costituiscono una priorità connaturata alla formazione scolastica. Possiamo pertanto anche non occuparci di quanto i ragazzi e le ragazze fanno per conoscersi, scambiarsi idee, affetti e sentimenti. Ma se entra in gioco la scrittura, nelle sue modalità attive e passive, ecco che l’incentivarle rispetto alle loro necessità personali e interpersonali può essere un’occasione in più per sostenerne l’uso. Diventa un compito docente non trascurarle e sostenerle. Con un gesto lungimirante che travalichi le esclusive applicazioni del mezzo per l’esecuzione di compiti, ricerche, sintesi e riassunti. Scritture in cerca d’identità Ma che cosa scrivono i giovani? Non è indispensabile consultare le indagini condotte dagli osservatori sociologici dediti a scrutare i loro comportamenti. È sufficiente discuterne insieme a loro, in classe e in famiglia (possibilmente evitando di profanare i testi da loro redatti con curiosità che compromettono rapporti e il futuro di una vocazione) per comprendere che le loro scritture riguardano quanto stanno vivendo. Come al tempo in cui, dalla fine del ‘700 in poi, i diari di giovinette e giovinetti - in tanti casi dagli esiti letterari poi divenuti celebri - ebbero una funzione iniziatica, anche nel presente la funzione della scrittura per sé e di sé è rimasta la medesima. Alla penna d’oca e al lapis si sono sostituite le tastiere, in ogni caso i giovani si rivolgono alla scrittura per cercare di capire chi mai siano, agli occhi di chi possa leggerli e ai propri oltre che come ad uno sfogo, quando si avvertano soli, incompresi, abbandonati (e non solo dagli adulti). Tale atteggiamento, da alcuni considerato un universale giovanile nei paesi occidentali, è più diffuso di quanto non sembri. Si presenta più spesso soltanto episodico e frammentario negli anni della prima adolescenza, ma in una miriade di altri casi riesce a diventare un lavoro personale più continuativo, sistematico, controllato. Incoraggia aspirazioni e talenti per il resto della vita. Pertanto tale genere, finalmente non disprezzato dagli studiosi di ‘letterature dell’io o autografiche’ (le cosiddette egoscritture), dagli psicologi dell’educazione, dai terapeuti, svolge una funzione cruciale agli effetti della formazione progressiva e accidentata dell’identità. La differenza dello scrivere Per comprendere che cosa avvenga in chi - e non solo in gioventù - decide di punto in bianco di incominciare a tenere un diario segreto, a scrivere poesie, a corrispondere con uno sconosciuto, è indispensabile però fare un passo indietro. Dobbiamo chiederci quale sia il valore dello scrivere di sé, della propria esperienza, della propria storia e cioè delle tipologie grafematiche di cui stiamo parlando. Non degli altri usi e registri di questa tecnologia scaturita dall’inventività del cervello umano per trasmettere memoria, per dialogare col divino, per commerciare, per sancire leggi e regole, per - finalmente - produrre bellezza, domande religiose, testimonianze. Tutti gli studiosi a tal proposito sono concordi: la scrittura non è un’ altra versione dell’oralità, non si limita a nobilitarla. È dotata piuttosto di una sua autonomia sul piano della costruzione di modelli cognitivi, stimola quei processi neuronali oggi scoperti dalle neuroscienze definiti ‘a specchio’, i quali ci consentono di riconoscere negli altri e in noi stessi quel che andiamo facendo con il linguaggio e con i gesti. Poiché lo scrivere è combinazione di parole in frasi dotate di senso, prodotte da un’attività motoria, si realizza con semplici gesti un procedimento di rispecchiamento. Chi scrive qualcosa di sé, stimola eventi di natura autocoscienziale. Inoltre, il piacere e lo stato di sollievo che un simile movimento produce anche quando scriviamo di una sofferenza, di ciò che ci fa male, è riconducibile alla produzione di sostanze neurochimiche ora stimolatrici, ora calmanti. Tale attività strettamente privata e intima, dinanzi a situazioni di carattere depressivo, a disorientamenti esistenziali, a perdita di legami e fiducia in se stessi (sintomi quanto mai frequenti nel mondo giovanile) ha effetti in primo luogo autocurativi. In secondo luogo, poiché la scrittura è un’esperienza elettivamente sociale, è stata inventata difatti per comunicare e rendere pubblico, gli scritti diventano altrettanti oggetti tematici da condividere con altri per rispecchiarsi in loro e ricevere il loro consenso. Il potere autoriflessivo della scrittura diventa in tal modo un’attività di reciproco aiuto o dialettica, grazie soprattutto, ed è questa una questione specificamente pedagogica, alla concentrazione, alla ponderazione maggiore, alla riflessione che lo scrivere impone rispetto all’esercizio spesso scomposto, improvvisato, effimero dell’oralità. Ed è evidente che laddove anche le nuove tecnologie della scrittura vengano usate con gli stessi ritmi di tale più arcaica facoltà umana, allora non vi è dubbio, che ci troveremmo dinanzi ad uno uso oralimorfo dello scrivere, ossia spurio. Autobiografia e luoghi educativi Da quanto detto non possiamo allora che sposare la causa di tutti coloro che, non solo nella scuola, oggi vanno promuovendo attività di carattere autobiografico nelle loro aule, in laboratori collaterali o esterni ad esse. L’autobiografia, oltre ad essere una produzione narrativa specifica, è oggi un genere che comprende ogni tipo di scrittura che scaturisca dalla volontà di un io di raccontarsi. Per questo sia ad integrazione dei programmi, come avviene in altri Paesi, sia allestendo momenti autobiografici ad hoc si possono valorizzare le produzioni spontanee come anche livelli di scrittura più complessi ed esteticamente più raffinati. Diventando consulenti di scrittura per i ragazzi, per aiutarli ad esprimere meglio quanto percepiscono, soffrono, cercano. Al contempo è bene oggi introdurre la letteratura autobiografica di scrittori famosi (poeti, letterati, filosofi, musicisti, ecc.) allo scopo di indurre suggestioni utili tanto a rendere i programmi più consoni alle storie di vita degli autori studiati, quanto a indurre l’uso di varietà stilistica. Ad esempio: “provo a scrivere il mio diario, o la mia storia come la scriverebbe Jean Jacques Rousseau, Giacomo Leopardi, Cesare Pavese, Virginia Woolf, Etty Hillesum ecc.”. In conclusione approfittiamo in campo educativo di questo ritorno ‘popolare’ alla scrittura: facciamo in modo di sostenere queste genetiche domande narrative senza eccedere nel ricondurle nell’alveo della scuola, ma piuttosto imparando a sintonizzarsi con esse e a gareggiare con esse al solo scopo, antica questione, di introdurre un poco di vita reale, nella vita spesso irreale, astratta, lontana dalle cose che pulsano fuori, di una scuola che non può più bastare a se stessa. 6 Trimestrale regionale delle politiche giovanili 7 Provincia di Pordenone Abbiamo descritto l’odio, con l’aiuto di poeti come Dante, Shakespeare e Pavese, come un sentimento rivolto ad altro da sé che implica distanza, repulsione e ripudio e come un’esperienza legata a qualcosa di particolare e di specifico non a un’idea generica. A questo punto, dopo che i partecipanti si sono presentati leggendo alcune scritture di autodescrizione e immaginazione, è passata di mano in mano intorno al tavolo circolare la ‘scatola delle parole maledette’. Ognuno era invitato a pescare una o più parole che evocassero un’esperienza da raccontare legata al sentimento dell’odio. Dopo un momento di imbarazzo, la paura di mettersi in gioco, nel gioco della scrittura, sono sgorgate le parole sull’esperienza dell’odio. Come quelle di Dominique: Scrivere i sentimenti: imparare a conoscersi per educarsi Il Servizio Programmazione Sociale della Provincia di Pordenone, proseguendo il percorso rivolto ai ragazzi dei Progetti Giovani del territorio riguardante la promozione del benessere e il protagonismo giovanile, nell’ambito di pordenonelegge.it ha proposto due laboratori di scrittura inseriti nell’iniziativa la Mappa dei sentimenti. Si è trattato di un laboratorio di scrittura autobiografica sul sentimento dell’odio curato da Massimo De Bortoli, direttore di Alidee e collaboratore scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e di un laboratorio di scrittura creativa sul sentimento dell’inquietudine condotto da Patrizia Rigoni, scrittrice e formatrice, e realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASS n. 6 Friuli Occidentale. Nelle pagine seguenti diamo conto delle due esperienze. Le parole che aiutano a imparare la vita La proposta di un laboratorio di scrittura autobiografica rivolto ad adolescenti e giovani suona un po’ strana. Non è la scrittura di sé qualcosa che si riserva alla vita adulta o alla terza età? Cosa mai avrà da raccontare un ragazzo o una ragazza di oggi della sua breve esperienza di vita, cosa potrà imparare da se stesso che non possa apprendere meglio guardando ad altri, agli adulti significativi, agli educatori? In realtà, come suggerisce Duccio Demetrio nel suo editoriale, i giovani scrivono di sé, sebbene in forme che non sempre rispecchiano il canone autobiografico che conosciamo. E i giovani, insieme ad alcuni operatori curiosi dei Progetti Giovani del pordenonese, sono venuti a scrivere di sé, a misurarsi con il tema difficile dei sentimenti, a confrontare le loro parole scritte con la voce di autorevoli filosofi presenti alla manifestazione. La scrittura, a differenza della sfuggente oralità silenziosa del pensiero, opera come filtro e selezione per dare un ordine ai pensieri, agisce per concentrazione e condensazione, procede dall’universale al particolare e viceversa, consente di guardarci per un momento da fuori come se potessimo vedere un film sulla nostra vita e provare a dare un senso, come attenti spettatori, alle sequenze più importanti. Durante il laboratorio di scrittura, promosso dalla Provincia di Pordenone con sensibilità e apertura alle nuove modalità della formazione, i partecipanti si sono misurati con la scrittura sull’odio, sull’esperienza dell’odiare o del sentirsi odiati, provando a superare quella distinzione tra la ragione e i sentimenti che ha costituito per molto tempo un tratto distintivo della nostra cultura. La scrittura di sé prova a riscoprire quella vita emotiva della mente che secondo molti autori è una chiave importante per comunicare con il mondo-a-parte che rappresentano spesso i ragazzi agli occhi degli adulti. Non collego l'odio a un sentimento uniforme. Lo collego più che altro ad un arcobaleno scuro, striato di sfumature dal nero al grigio. Non sono sicura di aver provato al cento per cento questo sentimento. È difficile spiegarsi e capire se sia odio ciò che si sente: esiste la rabbia, la delusione, il dolore. Per questo motivo immagino un arcobaleno: l'odio può essere costruito dal dolore o può essere disegnato dalla delusione. Personalmente una persona mi aveva deluso a un punto tale da sentire dentro di me un ruggito straziante: questo rumore indesiderato l'ho associato a un leggero odio. La delusione ha seminato dentro di me questo germoglio ‘maledetto’, che ha cercato L’odio, come altri sentimenti, va conosciuto e ri-conosciuto anche nella sua insensatezza per poterlo accettare. Dalle scritture che i partecipanti hanno messo in comune è emerso che l’odio si riferisce a una persona o una situazione particolare e precisa, che è collegato a un senso di fastidio, di malessere e di inadeguatezza, che la scrittura aiuta a descrivere le cose prima di interpretarle. L’incontro con il filosofo Massimo Donà ha chiarito la radice unitaria dell’odio che, insieme con l’amore, è anche l’espressione del fondamento originario. Quel fondamento condiviso con l’origine della vita in cui “si può navigare come in un sogno”, descritto da Lia, una di crescere, di svilupparsi, ma ho cercato di reprimerlo con le lacrime, sfogandomi. L'odio leggero, perchè cosi preferisco definirlo, sembra che ti bruci le viscere, ti morsichi, ti scortichi; infatti ho sentito di molte persone che si sono rovinate, perse, annegando nel loro odio. Questo sentimento è una pianta fastidiosa e carnivora da avere nel cuore, ma l'arcobaleno scuro ne rende il panorama più azzeccato: selvaggio, vuoto, buio. giovanissima autobiografa recentemente scomparsa in modo improvviso, i cui intensi scritti sono stati inviati alla redazione di Alidee dalla madre perché fossero fatti conoscere ad altri ragazzi. Immaginate di essere sopra una macchina del tempo e tornate indietro negli anni; ripercorrete tutta la vostra vita ed improvvisamente giungete al momento in cui siete venuti al mondo. Forse questo potrà farvi un po’ “male”: ora voi, anziani, indeboliti, spenti; non vi sembra neanche possibile che una volta foste dei giovinetti… Ora io ho solo 13 anni, ma forse un giorno, chissà, mi verrà voglia di rileggere queste mie parole e navigare nel passato; come in un sogno... Massimo De Bortoli Una proposta formativa della Provincia di Pordenone per adolescenti e operatori 8 Trimestrale regionale delle politiche giovanili 9 Provincia di Pordenone La scrittrice Patrizia Rigoni ci introduce al laboratorio sul tema tenutosi a Pordenonelegge.it Aprire un laboratorio sull’inquietudine. Bene. Non poteva esistere per me migliore sentimento: io sono stata tutta la vita dominata dall’inquietudine. Forse è inquietudine la stessa professione di scrivere, forse è inquietudine la stessa voglia di vivere. Perciò è forse il mio sentimento più intimo, più profondo. Nasce dall’inquietudine la sensazione di non essere mai al posto giusto nel momento giusto, di essere in qualche modo spostati spazio-temporalmente, con l’obbligo di situarsi più avanti, senza mai poter contare su qualcosa di definitivo. Ed è per questo che, nonostante fosse in qualche modo un ‘mio’ sentimento, volendoci mettere le mani per il laboratorio di lettura e scrittura, mi sono immediatamente accorta che inquietudine è tantissime cose, è vicino al dentro ma anche al fuori, è vicino al terrore e al dolore ma anche al più felice sentimento amoroso, insomma spazia da est a ovest, dal cielo agli abissi. Alla parola inquietudine sullo Zingarelli troviamo: “Inquietudine: la condizione del non avere quiete”. Quindi la sottrazione della quiete, di quella condizione per cui un corpo è dentro uno spazio in un dato tempo. Ma un uomo non è un corpo soltanto. Dunque parlare di stato di quiete per un uomo, per di più di nostra cultura occidentale, è quasi impossibile. Voglio dire l’inquietudine, a mio parere, nel ventunesimo secolo e nel territorio europeo, è la stessa condizione umana. Non si può crescere senza inquietudine. Un uomo non cresce senza inquietudini. Né tanto meno un artista può vivere senza inquietudine. Lo stesso atto del crescere, la pratica trasformativa che ci lega alle mutazioni delle esperienze nella direzione della ricerca è il risultato di continue inquietudini, di questi piccoli movimenti del corpo nello spazio e nel tempo. Movimenti anche minimi, non importa. Piccole lacerazioni che ad un certo punto irrompono sulla scena e, come in un’illuminazione, ci fanno vedere il quadro diverso da quello che è. Vi sarà successo. Certamente vi sarà successo. C’è una poesia di Zavattini straordinaria, fulminea, che esprime benissimo questa convinzione. Zavattini, che ha scritto in poesia, ha scritto saggi, ha lavorato come sceneggiatore con i grandi registi italiani: inquieto e fertile nelle continua ricerca della forma. È proprio per la stima che gli devo come uomo e come intellettuale, che ho scelto di aprire il laboratorio con una sua poesia. Vet o vèt? A tramplava inturn’a la valis, Celso Pirasa Nudul e Binac Bulov Felice Guido Masimèn d’adlà i bablava. Am sum catà cm’an pèr de calset in man E an dobi: vèt o vét? Vai o vieni? Trafficavo intorno alle valigie Celso Pirasa Nudul e Binac Bulov Guido Felice Massimino di là chiacchieravano. Mi sono trovato con un paio di calze in mano e un dubbio: vai o vieni? Inquietudine: stato di coscienza universale Per Zavattini inquietudine è quell’attimo sospeso delle calze in mano, le valigie aperte ai piedi, e una decisione istantanea da prendere: andare o restare? Così inquietudine è male e bene insieme. È la domanda e poi la ricerca della risposta. È il dolore, ma anche il processo per venirne fuori. Certamente è l’amore, e tutto il processo per conquistarlo. Pensateci bene, l’inquietudine è un sentimento che cresce con noi. L’inquietudine si comincia a provare in adolescenza. Da bambini si può essere agitati, pieni di vivacità, irrequieti, esuberanti e malinconici, ma l’inquietudine è un sentimento che io credo sia collegato non solo al corpo e al suo movimento dentro lo spazio, ma alla coscienza di tutto questo. Cioè al pensiero del turbamento, dell’ansia, della paura, del brivido che accompagna questa precisa emozione, così come la sua fatica. Inquietudine è forse il primo sentimento dell’adultità. Accompagna le prime contraddittorie definizioni di sé, della propria identità, di quello che siamo e che sogniamo di diventare. Nasce nel periodo dello sviluppo, e al di là di quello che credono i giovani, non ci abbandona più, nemmeno da adulti. Certamente, cambiano le cose di cui si nutre, non sarà più l’approvazione di una ragazza o il giudizio di un professore a darci inquietudine (forse), ma certamente avremo nuovamente confronti pieni di inquietudine (forse anche le ragazze che sono diventate le mogli e i professori che sono i nuovi direttori nei luoghi di lavoro, o per esempio nel mio caso tutti i lettori che prendono in mano ogni mio libro). Quindi l’inquietudine, di cui ho fatto scrivere a Pordenonelegge, non è una lettura filosofica, né l’inquietudine legata ad analisi economiche: è la ‘nostra’ inquietudine, che in un certo senso si configura come più astratta, legata alla stessa nostra condizione esistenziale, ma dall’altra parte molto più concreta, legata ai nostri piccoli vissuti, nei dettagli delle ore, davanti ad una partenza, all’idea di un incontro amoroso, nella paura di attraversare un luogo ignoto. Legato insomma alla nostra precarietà e alla nostra fragilità, alle prove forti che ci chiede continuamente la vita, con il suo correre di incontri e di mutamenti. Patrizia Rigoni, nata a Monza e residente a Trieste, ha pubblicato i romanzi: Come tenere l’acqua nella mano (MobyDick 2007), La luna e le ore (Helvetia 2003, premio nazionale Spagnol), Giallotondo (MobyDick 1996, Selezione Bancarellino), Il fuoco e la pioggia (Pegaso, 1993) e i LibriMano (Edizioni Coccinella 1989, traduzioni in Francia, Spagna e America). Ha inoltre pubblicato raccolte di poesie e racconti su antologie. Finalista al Premio Morante di Roma, con la raccolta Andature (pubblicata da Fara editore, secondo premio al concorso nazionale) ha vinto nel 2007 il Premio Internazionale di Poesia Fiur’lini in Olanda, con la raccolta di poesie Distanze Astrali. L’emozione della lettura, l’immedesimazione con parole di altri, ci spingeranno a soffiare fuori le nostre, a guardare sul foglio ciò che sappiamo di noi ma anche ciò che non sappiamo. Perché la scrittura collettiva modifica i frammenti, così come la stessa idea di doverli leggere tutti insieme, in una sorta di piccola platea teatrale, che può anche applaudire o non applaudire, ma che comunque, senza sapere prima null’altro di noi, ci potrà dare il suo consenso. Patrizia Rigoni 10 11 Trimestrale regionale delle politiche giovanili Questione di punti di vista [ Incontro con la professoressa Troìa, insegnante di lettere presso il Liceo scientifico Le Filandiere di San Vito al Tagliamento e osservatrice dell’universo giovanile Prof. Troìa, il punto di vista privilegiato da cui osserva i giovani, le consente di cogliere il modo in cui essi vivono i sentimenti e le dinamiche che intercorrono tra di loro? Il nostro osservatorio sul mondo degli adolescenti è sicuramente privilegiato. Noi insegnanti vediamo i ragazzi in una dimensione diversa da quella degli amici e da quella della famiglia. La scuola è il primo ambiente in cui un adolescente ha la percezione delle regole; da questo punto di vista, noi vediamo ragazzi che sono migliori di quello che si vuole far credere. Le dinamiche all’interno della classe sono decisamente complesse ed eterogenee. Per esempio nelle due classi in cui insegno quest’anno, mi ritrovo ad osservare due realtà agli antipodi: una classe è molto unita, vive anche di polemiche e arrabbiature ma fa gruppo; l’altra è fortemente legata ad una dimensione individualistica nella quale i ragazzi relegano le cose prettamente alla loro sfera personale, non considerando la collettività. La scuola rappresenta per i ragazzi l’ambiente ideale in cui dare prova del loro essere adulti. In quest’ottica, quello che io osservo è molto positivo: i ragazzi cercano di tirare fuori il meglio, si mettono in discussione, si interrogano su ciò che li circonda. Quanto si espongono? Anche qui è necessario fare una distinzione: alcuni si espongono Come nasce una canzone? La canzone nasce da quello che io chiamo ‘un treno’, una partenza che può arrivare dalla musica o dal testo, quindi da una serie di note o da una frase, uno slogan. Oggi le canzoni partono da degli slogan. È molto importante non perdere mai ‘il treno’. Puoi lavorare molto su un testo, ma la sostanza è data dal momento in cui è nata l’idea di scrivere qualcosa. ] davvero tanto, mettendo fuori moltissimo, soprattutto nel rapporto interpersonale con me. Altri, invece, innalzano un muro di difesa ma, comunque, in modo non del tutto consapevole, si raccontano. Il loro modo di essere si manifesta inevitabilmente nelle dinamiche interne alla classe. All’inizio sono più attenti e trattenuti ma poi, quando la tensione emotiva nel rapporto con l’insegnante si allenta, vengono fuori per quello che sono. Spesso tra genitori e figli c’è un muro di incomunicabilità; la sua prospettiva le permette di coglierne, almeno in parte, le ragioni? Mi capita di parlare con genitori che mi dicono: “mio figlio non mi racconta, non so niente di lui”; io sono dell’idea che comunicare con i propri figli non significhi chiedergli cosa hanno fatto a scuola ma, piuttosto, appassionarsi a quella che è la loro vita provando interesse anche per cose a cui un adulto non dà valore ma che per i ragazzi sono importanti. Se un figlio percepisce che il genitore si interessa alla sua vita, lui racconterà. E qual è, invece, la chiave d’accesso di un’insegnante? Non chiudere mai il dialogo: ho alunni che mi raccontano cose obiettivamente imbarazzanti: mi confidano cose personali, confessano cose che hanno fatto, mi dicono di aver marinato la scuola; in tutti questi casi, anche se non condivido le loro azioni, manifesto con decisione il mio dissenso ma non credo sia giusto chiudere il dialogo e sentenziare la condanna. Coi ragazzi si deve parlare. Allora, scaviamo un po’ più a fondo nel rapporto insegnante-alunno. È un rapporto in cui i sentimenti sono molto in gioco; quelli dei ragazzi ma anche quelli dell’insegnante. Ci vuole disponibilità ad aprirsi con loro e la voglia di far aprire loro con te. Se si riesce a farlo, si può essere davvero d’aiuto; bisogna trovare la strada giusta per arrivare ai loro sentimenti, al loro cuore. La scrittura rappresenta ancora uno strumento attraverso cui i ragazzi esprimono se stessi? Mi piacerebbe poter dire di si ma i ragazzi purtroppo non scrivono più! Ormai le comunicazioni avvengono con gli sms, con le chat, si sta perdendo il confronto con la scrittura creativa. Sono diventati più superficiali nella lingua scritta come nel parlato. I ragazzi di oggi, immersi in un mondo che cambia a gran velocità, sono diversi da quelli di 15-20 anni fa? No, i ragazzi non sono cambiati, sono sempre uguali. Le loro problematiche sono sempre le stesse. Sono i professori che cambiano e che, col passare del tempo, modificano la loro prospettiva; allontanandosi dall’età dei loro alunni devono ricontestualizzarsi di continuo per non perdere il contatto con il mondo degli adolescenti. A cura di Erika Biasutti Durante i laboratori per facilitare i ragazzi a scrivere propongo loro un tema. La cosa meravigliosa è che da una semplice suggestione emergono riflessioni molto differenti fra loro, perché noi siamo quello che sentiamo. Ognuno avverte qualcosa di diverso e può trasmettere un’emozione speciale, straordinaria, in quanto unica. E alle volte quando l’emozione è grande i ragazzi faticano a gestirla perché non sono abituati a farlo. Come definiresti il tuo lavoro? Il mio lavoro è sicuramente quello di un artigiano, nel senso che come un sarto può fare un vestito per essere utilizzato, io, allo stesso modo, compongo le canzoni affinché siano utili a qualcuno. Le canzoni diventano delle persone in quanto appartengono a chi le ascolta. Che cosa proponi ai ragazzi durante i tuoi laboratori di scrittura di canzoni? Quello che insegno ai ragazzi durante i laboratori è di essere artigiani delle loro emozioni. Ai giovani propongo di vivere quella che oggi è una grande trasgressione, un foglio bianco. Infatti è sempre più difficile trovare degli spazi vuoti da riempire. Penso ai tempi in cui ero un ragazzino, quando durante le giornate d’inverno la nebbia mi stimolava la fantasia e mi faceva vedere delle immagini. Ma anche le distese come la campagna e il mare mi hanno sempre suscitato delle emozioni perché ti lasciano dello spazio per pensare. Credo che il foglio bianco rappresenti tutto questo, uno spazio tuo. E non essendo preconfezionato può spaventare e imbarazzare. Nel mio lavoro devo quindi aiutare i ragazzi a far emergere le loro emozioni, partendo da un’idea o da un sentimento che si manifestano chiaramente. Solo così si può scrivere un pezzo. Creatività e poesia incontrano la musica: si parla ancora di sentimenti nelle canzoni? La canzone non dovrebbe parlare di sentimenti, ma trasmettere un sentire. Le canzoni dei grandi cantautori come Gino Paoli o Lucio Battisti non parlano di sentimenti, ma sono dei sentimenti che ne suscitano degli altri. Come ne parlano i giovani oggi? Oggi rispetto a un tempo non si costruisce più il testo di una canzone come fosse un racconto. Il passaggio cruciale nella musica italiana è avvenuto con gli 883, i testi delle loro canzoni non sono poetici, ma semplicemente descrivono delle situazioni. I giovani ascoltano questo genere di musica, che è più diretta e di conseguenza anch’essi si raccontano con degli slogan. I pezzi che scrivono hanno sempre delle frasi molto concise. Una canzone oggi non va oltre i tre minuti e quindi c’è poco tempo per dire qualcosa e far emozionare. I ragazzi hanno però un bisogno enorme di raccontarsi, di uno spazio mentale per cercare di capire che cosa provano dentro di loro. Sono bombardati da comunicazioni e informazioni di ogni genere, senza avere il tempo di metabolizzarle. Credo che attualmente i progetti giovani e gli oratori abbiano il grande compito di fare una proposta diversa, meno omologata rispetto a quella di certi luoghi di ritrovo come ad esempio le discoteche. Rimango sconcertato se penso che oggi i locali delle nostre zone fanno suonare esclusivamente le tribute band, cioè gruppi che imitano alla perfezione, anche nella gestualità, i cantanti famosi come Vasco Rossi e Luciano Ligabue. Un ragazzo se va in un locale per cantare una sua canzone non lo può fare. Bisogna quindi provare ad aiutarlo, dandogli la possibilità di raccontarsi ed essere se stesso. A cura di Antonio Garlatti [email protected] [ A colloquio con il cantautore Marco Anzovino ] Canzoni e sentimenti 12 Trimestrale regionale delle politiche giovanili 13 Comune di Udine Le storie di Giulia Cosa c’è di più bello e appagante del riuscire a fare emozionare una persona? Far sentire quella sensazione di farfalle allo stomaco, far venire i brividi, far scendere una lacrima di gioia, far galoppare il cuore a quel qualcuno a cui teniamo. E i modi per farlo sono tantissimi: una dedica via messaggio o e-mail, un regalo, una lettera, una sorpresa… una canzone. La musica. Quale mezzo migliore? Nel corso di quest’anno, nel centro d’aggregazione di Tiezzo, ho avuto l’occasione di partecipare ad un progetto musicale insieme ad un noto cantautore della zona: Marco Anzovino. Il laboratorio si è protratto da ottobre 2007 fino a quest’estate e io ed altri ragazzi abbiamo avuto l’opportunità di scrivere dei testi e girare dei video insieme a Francesco Guazzoni. Al termine di questa esperienza sono riuscita a realizzare due canzoni. La prima s’intitola Noi, che si può definire un po’ un inno di ribellione per noi giovani, mentre la seconda, Parole per te, è dedicata a mia madre. Veder nascere una canzone è davvero una bella esperienza, perché non penseresti mai che da qualche parola, qualche rima possa uscirne un vero e proprio capolavoro. Il testo parte sempre da un’idea, o ‘treno’, che ti porta poi a viaggiare nella tua mente tra i vari pensieri. Ricordo che la mia prima canzone è partita da una frase: “siamo giovani e belli dannati e ribelli” per poi affluire tutta velocemente. Ovviamente dopo c’è stato un lavoro di ‘restauro’, in cui ho imparato varie regole che ti guidano in una migliore composizione. Sono rimasta stupita quando tutti nel leggere la mia bozza di testo mi hanno fatto i complimenti, dopotutto era la prima volta che ne scrivevo una. Scrivere una canzone è mettersi in gioco: perché ti esponi, scrivi cose che riguardano te, che ti toccano. Scavi nella tua anima. E quando con le tue parole arrivi agli altri provi una gioia indescrivibile, una flebile fierezza per esser riuscito ad emozionare non solo te, ma anche altre persone. Fare spazio ai giovani, capire il loro linguaggio Ma la cosa più bella di tutto ciò, è che poi siamo andati a cantare per i vari auditorium e teatri della provincia e del Veneto. Poter cantar sul palco, davanti anche a solo poche persone, ti fa provare una strana sensazione. Sei lì, da sola, che ti racconti, che ti metti in gioco, che ti esponi. Con quella paura che ti accompagna prima di entrare in scena e rimane lì durante i primi istanti della canzone. Poi, superate le prime note, ti senti in grado di dominare il mondo, come se niente e nessuno potesse fermarti. La prima volta che cantai Noi un turbine di sensazioni ed emozioni mi hanno avvolta, sentivo di poter toccare il cielo con un dito. Penso che emozionarsi è saper volare senza ali. È qualcosa di complicato da spiegare, ma ti fa sentire vivo come non mai. Giulia Facca NOI PAROLE PER TE Chissà perché non ci state ad ascoltare Sono parole che fanno male Ci tocca usare bombolette per parlare Sembra di essere una peccatrice Insulti frasi d'amore quello che ci pare In un confessionale Scriviamo tutto a carattere cubitale Sono parole che sono amare Anche se poi ci vien voglia di scappare E cerco disperatamente perdono Da tutto questo rumore dal vostro criticare Io cerco disperatamente perdono Siamo giovani e belli Scusa se adesso ti tolgo il sorriso Dannati e ribelli Scusa se a volte so che ti deludo Siamo giovani e fragili Scusa se non te lo dico a parole Per niente facili Ma c'ho provato con questa canzone Siam giovani e basta Scusa se adesso ti tengo lontana Ma quanto ci costa Scusa se a volte io non ti ho ascoltata Siamo giovani soli Scusa se a volte non riesco a guardarti Siamo milioni di cuori Ma da domani tornerò a cercarti Chissà perché ci puntate contro il dito Sono parole che scrivo per te Le vostre prediche son sempre lo stesso rito Che mi ammonisci con uno sguardo E ci sputate addosso solo sentenze E mi perdo nel silenzio Fatevele voi le vostre penitenze Ma non è facile darti ragione Ci regalate auto potenti E cerco disperatamente perdono E poi piangete se facciamo gli incidenti Io cerco disperatamente perdono Siamo giovani e belli Scusa se adesso ti tolgo il sorriso Dannati e ribelli Scusa se a volte so che ti deludo Siamo giovani e fragili Scusa se non te lo dico a parole Per niente facili Ma c'ho provato con questa canzone Siam giovani e basta Scusa se adesso ti tengo lontana Ma quanto ci costa Scusa se a volte io non ti ho ascoltata Siamo giovani soli Scusa se a volte non riesco a guardarti Siamo milioni di cuori Ma da domani tornerò a cercarti Andiamo in giro con i jeans strappati Al cellulare rimaniamo incollati Torniamo a casa e ci ficchiamo un dito in gola E poi domani che palle si ritorna a scuola Siamo giovani e belli Dannati e ribelli Siamo giovani e fragili Per niente facili Siam giovani e basta Ma quanto ci costa Siamo giovani soli Siamo milioni di cuori Una frase che si sente ripetere spesso recita “i ragazzi sono così superficiali, non hanno voglia di pensare!”. Solitamente questa frase è pronunciata con tono di rassegnazione, delusione o rabbia da adulti che per vari motivi hanno a che fare con i giovani. Il Comune di Udine, attraverso la collaborazione di Aracon Cooperativa Sociale Onlus gestisce un progetto denominato Strada Facendo che prevede la realizzazione di percorsi di prevenzione dei comportamenti a rischio nelle scuole secondarie di secondo grado del territorio. Il lavoro svolto da noi educatori nelle classi ci ha permesso di condividere il tempo con gli studenti, di affrontare temi legati sì alla prevenzione e ai comportamenti a rischio, ma soprattutto alla loro vita quotidiana, a quanto costituisce la loro normalità. Dalla condivisione di questi spazi sono emersi elementi che contrastano con quella che pare ormai una verità universalmente riconosciuta: i giovani provano emozioni, sono capaci Percorsi di prevenzione in alcune scuole secondarie di secondo grado di Udine di sentire veramente e in profondità sé stessi e gli altri. Quello che è cambiato e continua a cambiare con velocità sempre maggiore, è il modo in cui questo sentire viene tradotto in parole, comunicazioni, gesti e azioni. È diverso il linguaggio, sono diversi i codici usati dai giovani e la distanza esistente tra questi e quelli utilizzati dal mondo degli adulti rende difficile la reciproca decodifica e comprensione. Eppure i ragazzi e le ragazze hanno voglia di farsi sentire e vedere, a patto che l’interlocutore sia disposto ad andare oltre le apparenze e creare uno spazio di ascolto che sia veramente tale, in cui quello che viene espresso è accolto e valorizzato e soprattutto non giudicato. Nel corso degli incontri il tema più sentito e sostenuto dagli studenti è stato quello della partecipazione, della costruzione di spazi di espressione e protagonismo all’interno della scuola e degli altri contesti istituzionali e non. È emerso che molto spesso le occasioni che vengono loro offerte non rispondono alle reali esigenze o desideri perché predisposte secondo occhi e misure che non li rappresentano. Si è riflettuto sul fatto che le situazioni proposte dal mondo adulto per dare spazio ai giovani non sempre raggiungono l’obiettivo per rispondere al quale sono state pensate. È facile dare spazio ai giovani, altra cosa è fare spazio ai giovani. Fare spazio richiama a un’intenzionalità che va ben oltre la semplice concessione di luoghi o tempi. Fare spazio significa ‘sporcarsi le mani’, impegnarsi a capire i linguaggi e i pensieri dei giovani, ad andare oltre l’immagine con la quale si presentano al mondo esterno. Significa soprattutto essere capaci di non pretendere che i giovani si adeguino a modelli precostituiti prima di poter prendere possesso della scena. Gli insegnanti, gli educatori, gli adulti che si pongono in relazione con i giovani hanno la possibilità di restringere il gap che si è creato tra i due mondi. Possono stravolgere la visione che i giovani hanno del mondo adulto e, nel contempo, farsi portatori di un’immagine nuova dei giovani. Il protagonismo può essere vero e reale solo se è proprio di entrambe le componenti: dei giovani che si impegnano ad esserci e ad attivarsi e degli adulti che nel fare loro spazio agiscono il proprio ruolo di accompagnatori e facilitatori. Stefania Stel Operatrice Centri di Aggregazione del Comune di Udine 14 Trimestrale regionale delle politiche giovanili Esclusi i casi in cui una particolare predisposizione possa considerarsi distorta, parrebbe al di fuori di ogni dubbio che la passione per qualcuno o per qualcosa sia una forza con un’inclinazione benigna: “una passione è qualcosa che ti gratifica e che ti dà gioia” ci racconta Davide, 18 anni, chitarrista; Davide si dice d’accordo quando suggeriamo che una passione possa essere persino una cura e un rifugio dalle insicurezze e dalle mancanze di cui spesso un adolescente si sente circondato. Caterina, 15 anni, sulla sua passione il fumetto - scrive cose bellissime: “quando disegno sento che tutto il mondo intorno a me scompare, esiste solo quello che ho in testa e mi sento libera; con il disegno anche le cose impossibili possono accadere e i tuoi sogni prendono vita”. Sono molti quelli che, come Davide e Caterina, pensano che per realizzare i propri sogni non sia necessario doversi per forza privare di qualcosa, e nonostante in questo campo il sacrificio sia concepito come inevitabile, una contingenza a volte necessaria ma mai opprimente, di fronte alle emozioni suscitate dalle proprie attitudini tutte le rinunce sembrano non contare. A Gabriele, 17 anni, è capitato di dover sacrificare qualcosa per seguire la propria passione ma “ne è sempre valsa la pena e continuerò a farlo se dovesse essere necessario”. Lorenzo, 17 anni, per la sua passione ha speso tempo e denaro; Luis ha sacrificato lo studio e gli amici. Eppure tutti sottolineano le parole di Michele, anche lui diciassettenne, che racconta: “la mia passione è più importante di qualsiasi cosa, la mia passione è la mia anima”. Pensieri positivi, opinioni sul tema delle passioni, che sono maturate nel corso di un confronto tra i ragazzi che frequentano le Officine Giovani del Comune di Udine, uno spazio di aggregazione dotato di sale prova, sala teatro, postazioni Internet, riviste di musica e fumetti, e che nelle sue numerose attività viene gestito per conto del Comune di Udine dalla Cooperativa sociale Aracon. Cerchiamo di tirare le somme di questo dibattito di cui abbiamo condiviso il divertimento, la gioia, l’eccitazione; una discussione che è stata spontanea e leggera ma mai superficiale e che ha spinto chi vi ha preso parte a misurarsi prima con sé stesso, poi con gli altri. Alla fine di questa esperienza tutti noi, educatori e ragazzi, siamo sorpresi dal numero di interrogativi suscitati da un argomento apparentemente così semplice, tanto che per alcuni parlare delle proprie passioni non è stata una cosa immediata. Non solo perché ciò che anima il nostro entusiasmo a volte è protetto da un pudore intimo e personale, ma perché adesso sentiamo quanto sia difficile riuscire a tracciare un quadro preciso del proprio estro se non si è disposti ad indagare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Ci domandiamo se si possa davvero accettare che l’amore verso qualcosa sia di per sé un sentimento scevro da ogni dubbio, ansia, paura, o se dovremmo considerare che anche dietro una forte inclinazione possano nascondersi delle incertezze o addirittura anche qualche problema. Non dobbiamo dimenticare che se è vero che possono regalare molto, le passioni possono anche rivelare dei lati avversi, come quello della delusione di chi spende tante energie con l’obbiettivo di ottenere qualcosa che però poi viene disatteso. Per dedicarsi a una passione c’è chi ha ottenuto tanto, ma anche chi ha perso qualcosa e questo ci racconta dell’importanza di affiancare e di lasciarci affiancare da qualcuno che ci segua nell’impegno, dell’importanza di un appoggio e del valore di un contatto diretto con chi si applica per un risultato. Enrico Librio Operatore Officine Giovani I ragazzi delle Officine Giovani a confronto con le loro passioni 15 Provincia di Udine Sentimenti: lavori in corso! È la mattina di lunedì 10 novembre, giornata di apertura dell’annuale Settimana delle Solidarietà, importante evento promosso dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Udine, articolata in workshop, seminari e convegni volti ad offrire al territorio momenti di sensibilizzazione, riflessione ed anche confronto sui contenuti caratterizzanti i diversi volti e bisogni della solidarietà. Quest’anno la tematica scelta per la giornata dedicata ai giovani ha riguardato il volontariato: è stato infatti proposto un workshop dal titolo I Nuovi Eroi cui hanno preso parte, in qualità di relatori, alcuni fra gli esponenti più significativi di realtà che operano a livello internazionale. Sono intervenuti Francesca Patrone di Emergency, Massimiliano Fanni Canelles, presidente di @uxilia (onlus che si dedica alla tutela dei soggetti deboli) e medico volontario in paesi afflitti da guerre e catastrofi naturali, padre Leonardo Battaglia della congregazione dei Missionari Comboniani che opera nel sostegno materiale di progetti di vita nei paesi del sud del mondo ed il Tenente Colonnello Roberto Di Giorgio responsabile per la cooperazione militare e civile dell’Esercito Italiano. I relatori hanno presentato, agli studenti degli istituti superiori di Udine, svariati spaccati di realtà del nostro tempo caratterizzati quasi esclusivamente da sofferenza, povertà e mancanza di futuro, in netta contrapposizione con la nostra più o meno ‘reale-realtà’ di benessere e privilegi. Hanno presentato i loro volti e le loro mani, hanno raccontato le loro vite di persone comuni, pur non essendolo affatto, prendendo, tutti, le distanze da quel titolo I Nuovi Eroi nel quale non si sono riconosciuti, che hanno sentito non appartenere loro. Persone semplici che hanno catturato l’attenzione prima ancora di dire una parola. Persone diverse: alcuni hanno fatto della loro vita una missione, altri hanno scelto di vivere la propria vita dedicando quanto più tempo possibile ad aiutare chi ha bisogno, incondizionatamente, mossi da un unico sentire, quello della solidarietà. Una platea diligente ha guardato attenta, ha ascoltato curiosa ed ha restituito, attraverso educati silenzi, il rispetto dovuto a questi ‘non eroi’ che hanno agito ed agiscono spinti da un impulso interiore. I Nuovi Eroi Testimonianze dal Workshop sul volontariato nella Settimana delle Solidarietà 2008. 16 Trimestrale regionale delle politiche giovanili [ È difficile riuscire a tradurre le sensazioni ed il senso della mattinata del 10 novembre attraverso ‘parole di carta’, è difficile parlare di sentimenti ed eroi nel momento in cui si presenta a giovani sorridenti, sani e con buone prospettive future, immagini dell’esistenza di altri giovani sempre sorridenti anche se malati, poveri e con scarse prospettive future, senza scadere nella retorica. È difficile perché, come ci spiega il dott. Fanni Canelles, “[…] oggi la confusione nella nostra coscienza è grande, abbiamo bisogno di rimuovere subito la morte, gli stupri, i bambini abbandonati e sfruttati. Questi messaggi vengono scartati in fretta, così come sono venuti, senza che possano scalfire il nostro modo di vivere e di pensare […]”. I relatori attraverso i loro racconti hanno catturato l’attenzione dei giovani presenti trasmettendo passione 17 Provincia di Udine I nuovi eroi rinunciano all'egoismo ] e dedizione per ciò che fanno ed hanno soprattutto aperto gli occhi su molte situazioni geo-politiche spesso dimenticate da quotidiani e telegiornali proprio per la loro drammaticità […]”. Alessandra, IIB del Liceo Classico Stellini afferma: “Quando ci si imbatte in verità tanto amare è impossibile non ripensare un attimo anche alle cose più banali e sentirsi fortunati ma anche in dovere di fare qualche cosa. Ognuno dei presenti è tornato a casa arricchito o perlomeno con in testa qualcosa su cui riflettere andando oltre i problemi che assillano la mera quotidianità o il proprio orizzonte personale. Perché, al contrario di quello che spesso si crede, molti giovani coltivano ideali e valori e non rimangono indifferenti di fronte a problematiche così importanti e ai vissuti di tanti uomini e donne che con coraggio cercano, lontani dalle luci della ribalta, di costruire un mondo migliore, fatto di relazioni umane vere”. Come Alessandra altri ragazzi, studenti del Liceo Scientifico Marinelli, concordano e difendono il loro bagaglio valoriale, non sono indifferenti alle sofferenze altrui e sentono sulle loro spalle, nonostante la giovane età, il peso del futuro e la responsabilità di scelte ed agiti che necessariamente si ripercuoteranno su un sistema precario e profondamente ingiusto. Alla voce degli studenti del Marinelli si sono unite quelle di altri ragazzi che rifiutano la generalizzazione fatta sul conto dei giovani e della loro ‘indifferenza’ verso ciò che accade attorno a loro, come Piergiorgio della 5H dell’Istituto D’Arte Sello: “[…] io ho sentimenti ed ideali ma vedo che tanti miei coetanei non ne hanno e capisco che è questa società che produce delle spaccature [….] bisogna collaborare ed aiutarsi, combattere assieme senza dividerci”. Meno ottimista David, sempre 5H dell’I. A. Sello, che riconosce attorno a sé una società cinica e superficiale, lamentando l’assenza degli adulti guida e riferimento delle nuove generazioni: “il problema più grosso è che nessun valore viene realmente approfondito, tutto si limita ad una serie di luoghi comuni sia d’immagine che di contenuti, manca la volontà di impegnarsi e di fare fatica, è più comodo farsi travolgere da mode ed ideologie di passaggio […] soffriamo e gioiamo molto senza soffrire e gioire veramente: come gli ideali anche i sentimenti si fondano su parvenze esteriori e quindi con questi presupposti difficilmente si costruiscono rapporti umani profondi. Le nuove generazioni avrebbero i mezzi per crescere, quello che manca è la guida. Per Valentina 4G dell’I. A. Sello “noi giovani siamo molto indifferenti, per noi la nostra vita è molto più importante di quella altrui. Di fronte a questo mi sento impotente perché penso che cambiare questo modo di pensare sia abbastanza complicato. Quindi prima di cercare di migliorare la società, cercherei di migliorare me stessa impegnandomi ancora di più in servizi di volontariato per la mia comunità”. Sono tante le testimonianze che gli studenti intervenuti all’evento ci hanno regalato, impossibile in questo contesto riportarle tutte; di certo è possibile una considerazione su quanto hanno evidenziato i ragazzi che combacia con il pensiero di Elisabetta Patrone: “ho molta fiducia nei giovani e nelle loro potenzialità, hanno valori e sentimenti diversi dai nostri ma li hanno e vanno guidati nell’esprimere queste virtualità, vanno aiutati a comprendere gli altri, vanno sostenuti nei momenti di difficoltà, sottolineando però che questi momenti fanno comunque crescere e rendono forti nel corso della vita”. [ Alcuni studenti del L. S. Marinelli hanno indicato come eroi contemporanei coloro che si mettono a disposizione degli altri rinunciando al proprio egoismo. È eroe colui che decide di dimenticarsi di se stesso per dedicarsi agli altri. Chiunque riesca a fare qualcosa per rendere questo mondo migliore è un eroe perché fa la differenza. Ci pare non serva aggiungere altro. A cura di Elisa Marras Osservatorio delle Politiche Sociali [email protected] Patrone: i giovani vanno guidati nell'esprimere i sentimenti ] 18 Dopo un anno di lavoro si è giunti al primo momento formale di verifica del processo attivato dalla Provincia di Gorizia con la conferenza Provinciale Permanente sulle politiche Giovanili. Il 2 dicembre scorso, nella Sala Consiglio dell’Amministrazione provinciale, si è fatto il punto della situazione sui due assi portanti del percorso intrapreso: il coordinamento degli Enti locali attraverso la costituzione del Tavolo Provinciale degli Assessori alle Politiche Giovanili e l’avvio del Forum Giovani Provinciale, con il coordinamento tecnico di uno staff composto da personale della Provincia, del Comune di Gorizia, del Comune di Monfalcone e dell’associazione Lab Centro Promozione Benessere. Nei mesi passati la Provincia si è fatta promotrice di un articolato processo di concertazione con le Amministrazioni comunali del territorio per concordare linee di indirizzo e strategie di intervento relative alle politiche da rivolgere al mondo giovanile. Da questo percorso di condivisione e riflessione sul ruolo delle istituzioni nei confronti dei ragazzi è nato un documento che gli Assessori e i Consiglieri delegati dei Comuni, coordinati dall’Assessore provinciale Licia Rita Morsolin e 19 Provincia di Gorizia Trimestrale regionale delle politiche giovanili Tempo di primi bilanci per le iniziative intraprese supportati da Flavio Montanari, consulente esterno di comprovata esperienza nel campo, hanno redatto per proporre alla Regione Friuli Venezia Giulia, da un anno dotata di una legge quadro in materia, alcuni suggerimenti per rendere tale legge più aderente alle reali necessità del territorio. Sul fronte del lavoro con i giovani l’obiettivo perseguito è stato quello di avviare un Forum Giovani cercando di trovare modalità, linguaggi, codici e significati in grado di sperimentare una nuova forma di rappresentanza. Se le nuove generazioni sembrano essere disaffezionate alle forme della politica così come gli adulti la intendono, la scommessa della Provincia è stata quella di proporre dei percorsi che partissero dagli interessi, dalle competenze, dalle ‘eccellenze’ di alcune realtà giovanili locali, per avvicinare altri giovani e promuovere la partecipazione, il protagonismo, la progettualità, l’espressione. Il ‘fare’ diventa allora lo strumento per ‘il saper fare’, per il ‘saper essere’, per stimolare la riflessione sulla politicità in generale dello stare al mondo, dentro un contesto dal quale non si può, nonostante il disinteresse o il rifiuto della politica intesa in senso stretto, prescindere dall’appartenere. La Conferenza ha visto dunque l’esito dei due percorsi, illustrati rispettivamente dai ragazzi protagonisti di questa sperimentazione e dagli Assessori che hanno partecipato al Tavolo. Non solo. L’intento della Provincia è quello di ampliare questo articolato processo coinvolgendo tutte le ‘molte vite’ che costituiscono lo sfaccettato mondo giovanile: la scuola, il mondo della Chiesa, i Servizi del territorio che in modo più o meno diretto hanno i giovani come destinatari, ma anche la società civile, il mondo del volontariato, l’associazionismo. L’Assessore ha esplicitato l’intenzione della Provincia di dare vita, progressivamente e con la diretta partecipazione degli altri attori sociali, ad un Sistema Formativo Integrato, dove tutte le agenzie intenzionalmente educative si mettano in rete a favore dei giovani. La sintesi di tutti i contributi e degli interventi dei partecipanti è stata ascoltata ed accolta dall’Assessore Regionale Alessia Rosolen, che si è detta concorde con molte delle proposte avanzate e che ha sostenuto il lavoro svolto dal territorio isontino, tanto da ritenere che, il percorso degli Enti locali possa essere un modello replicabile su scala regionale. Segno inequivocabile che la Provincia di Gorizia è riuscita a mettere in atto un progetto di qualità, non solo per le modalità di realizzazione, ma anche e soprattutto per i risultati che ha ottenuto. Una giornata densa dunque di significati e di stimoli per proseguire, nel futuro con una precisa e condivisa intenzionalità: portare le politiche giovanili al medesimo livello di tutte le altre. Grazia Maniacco Coordinatrice progetto AzioneProvinceGiovani - Provincia di Gorizia Conferenza provinciale permanente sulle politiche giovanili Il sentimento globale: le emozioni descritte da 3 punti di vista particolari Un cuore dietro le sbarre Davide, 27 anni, detenuto presso la Casa Circondariale Guardo una vecchia foto: io e lei a Roma, un viaggio, le nostre cose, i cani, la nostra gioia. Un bel ricordo, un’emozione ancora viva nella mente. Che cos’è un’emozione? Provo a pensarci: è qualcosa mossa da tante sensazioni che si uniscono, fatta di tanti attimi. È come una rosa formata da tanti petali che la compongono. Ci si potrebbe poi chiedere che differenza passa tra emozioni e stati d’animo. Forse gli stati d’animo sono sensazioni forti, magari diverse l’una dall’altra, che ti si conficcano dentro, che rimangono nei giorni. Oggi, per esempio, mi è venuto in mente un ricordo della scuola elementare, tornato a galla così, forse perché ero a scuola, mentre si stava parlando delle notizie del giorno. Quella volta la maestra, a fine lezione, mi ha chiuso in classe da solo e lì davvero ho provato un’emozione fortissima: la paura di rimanere solo, appunto. Da adolescente, frequentavo una sala giochi con i miei amici. Avevo i capelli dipinti e anche la cresta. E così forse ho attirato l’attenzione di quella che poi è diventata la mia ragazza. Ripenso ancora a come me l’aveva fatto sapere che gli piacevo, tramite una sua amica, e rivivo la sorpresa, la gioia che ho provato quando c’è stato il primo incontro. Era proprio una bella ragazza a ripensarci! Ed io mi sentivo felice di essere stato scelto da lei. Poi è arrivata Silvia, ed è stato l’incontro più importante della mia vita. Insieme a lei ho provato emozioni fortissime, qualcosa che prima non avevo mai vissuto. Viaggi, libertà, amore: stare insieme è stato questo e molto, molto altro. Poi è morto mio padre: un’emozione dolorosissima. Ed io che non ho potuto rivederlo, non ho potuto sentirlo, né salutarlo per l’ultima volta perché mi trovavo a San Patrignano e non mi è stato permesso di allontanarmi. Ancora oggi, a ricordarlo, provo una violentissima rabbia. In carcere si provano tante emozioni, alcune belle, altre brutte. Spesso le emozioni sono legate a buone o cattive notizie che filtrano da fuori e tutto poi viene amplificato dalla solitudine. Il momento più bello qui è sabato, il giorno dei colloqui con i parenti: l’emozione nel rivederli, nel sentirti ancora qualcuno, nel sapere che conti ancora per qualcuno. 20 21 Trimestrale regionale delle politiche giovanili Nella sempre più multiculturale società italiana, la conoscenza dell’altro, del diverso da noi presuppone una conoscenza approfondita (non solo folcloristica) di tutti questi meccanismi che governano il pensiero e l’azione individuale. Le singole situazioni emotive, se non vengono mediate in una società sempre più multietnica, possono essere una fonte crescente di tensione. L’essere giovane può in qualche modo rappresentare il luogo ideale per l’incontro fra più emozioni, proprio perché il giovane è per definizione privo di preconcetti e più aperto a sperimentare nuove emozioni. La consapevolezza che la mia emozione, anche se simile a quella altrui, può manifestarsi in modo diverso permette di relazionarmi meglio con gli altri. Sentimenti, emozioni, passioni sono concetti universali che spesso, però, tendiamo a relegare alla nostra quotidianità. Un excursus nella ‘normalità che non ci appartiene’ è un viatico per aprire gli occhi di fronte alle mille accezioni che questi termini portano con sé. La mia emozione è nera Lydie, Caritas Gorizia, Africa Cos’è l’emozione, cosa la contraddistingue da tutte le altre cose che siamo in grado di provare come esseri umani? Le nostre culture ne possono influenzare l’espressività? L’emozione è una parola che va utilizzata sempre al plurale perché ogni emozione nasconde una serie infinita di emozioni o situazioni che danno un ritratto di noi. È come se noi avessimo diversi cliché che rappresentano la medesima fotografia di una persona. L’emozione può essere più o meno nascosta, è un qualcosa di espressivo, di comunicabile con un grado di controllo più o meno esteso. L’emozione è negativa o positiva, la massima espressione del dualismo e della versatilità di ogni situazione umana, a conferma del fatto che le cose non sono sempre come sembrano. Se è vero che ogni uomo è in grado di provare delle emozioni, è altrettanto vero che le emozioni vengono influenzate dalle varie società nelle quali nasciamo e cresciamo, e dai valori che ci vengono inculcati sin dalla nostra infanzia. L’uomo è un animale sociale e le sue emozioni sono, assieme a lui, frutto della sua società. Léopold Sédar Shengor, ex capo di Stato e grande intellettuale africano, scriveva suscitando la rabbia delle élites appena scaturite dalle indipendenze degli Stati africani: “La ragione è ellenica, l’emozione è negra”. L’Africano è, agli occhi di chi lo vede da fuori, un essere emotivo, le emozioni associate alla sua vita sociale sono rese visibili da una serie infinita di rituali che cospargono tutto l’arco della sua vita, il rito è la vita. La contraddizione nasce dal punto di vista del soggetto stesso, dalla percezione che l’africano ha di sé stesso. In una società che da tutti i punti di vista rappresenta per l’osservatore esterno la massima espressione dei sentimenti, c’è una sorta di censura sociale nell’espressione delle emozioni, delle passioni. E ciò può arrivare a produrre delle situazioni contraddittorie: per esempio, portare troppa attenzione alla persona amata è segno di un carattere frivolo cosicché, dai Senufo (Popolo del Nord della Costa D’Avorio), un ragazzo si accorge delle simpatie di una ragazza se quest’ultima si nasconde appena lo vede. Il corteggiamento, che si basa su delle regole precise, deve rimanere entro un margine molto ristretto di modi autorizzati perché la brava ragazza non può esporsi oltremodo o concedersi troppo all’uomo che la sta corteggiando. La censura sociale viene però attenuata a seconda del genere: è consentito ad una donna piangere mentre nell’uomo può essere percepito come un segno di debolezza oppure, paradossalmente, il pianto di un uomo può essere il segno manifesto di una grande sofferenza, il parossismo del dolore. Questo pensiero è stato cristallizzato nell’espressione ‘piangere come una donna’. In nome di Dio Anna Lucia, 28 anni, monaca Sono Anna Lucia, ho 28 anni e sono una monaca nelle Fraternità Monastiche di Gerusalemme: nel cuore delle città, nel cuore di Dio. Sono cresciuta in una famiglia numerosa a Lucinico (Gorizia) tra le attività parrocchiali e una grande passione per l’atletica; dopo il liceo classico, ho studiato architettura. Niente di straordinario? Certo che no ma il tutto vissuto sempre con il desiderio di donarsi a fondo, senza riserve, di rispondere in verità alla sete d’infinito e ai mille interrogativi che agitano il cuore. A poco a poco il bisogno di amare ha preso un nome e un volto: Gesù. Allora il desiderio di grandezza diventa desiderio non di realizzarsi ma di perdersi, non di guadagnare ma di donare e di donarsi, per amore; di lasciare posto nel proprio cuore a Dio che è amore che viene ad amare in noi, di imparare ad ascoltarlo e a rispondergli. I pellegrinaggi a Lourdes, l’esperienza delle Gmg (Giornate mondiali della Gioventù) e la vita da studente Erasmus hanno certamente allargato i confini del mio cuore alla dimensione dell’universo che ora ritrovo quotidianamente nei fratelli e nelle sorelle di tante nazionalità diverse e nella liturgia della Chiesa. L’arte e l’architettura mi hanno portato ad amare il mistero della città dove l’uomo ha posto il meglio della sua intelligenza, del suo lavoro, della sua fede, ma che rimane il luogo dell’orgoglio, del frastuono, della miseria; luogo di contemplazione di tante bellezze e sfida contro tanti problemi, luogo della preghiera solitaria e del lavoro solidale, la città rimane per me culla di un progetto: quello dell’amore di Dio per ogni uomo. “Scegliendo di pregare nel cuore delle città, vuoi manifestare che la tua vita è nel cuore di Dio”. Gioia di credere! Gioia di vivere semplicemente, da figli di Dio! Che cosa desiderare di più nella vita??? Le Fraternità Monastiche di Gerusalemme sono nate nel 1975. Il fondatore, Pierre-Marie Delfieux, ebbe chiara la chiamata a dar vita ad un monachesimo cittadino che potesse costituire un’oasi nel deserto urbano. Le Fraternità sono oggi presenti in Francia a Parigi, Vézelay, Strasburgo e Mont Saint Michel, in Belgio a Bruxelles, in Canada a Montreal, in Italia a Firenze, Gamogna e Roma, in attesa delle prossime fondazioni in Germania a Colonia e in Polonia a Varsavia. La preghiera di Gesù: “Padre, non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal maligno” (Gv 17,12) orienta tutta la loro vita. Poiché l’uomo è la più bella immagine di Dio, monaci e monache vogliono pregare e incontrare Dio attraverso la città degli uomini, testimoniando con la loro vita contemplativa e fraterna la presenza di Dio nel cuore del mondo. 22 Comune di Trieste Trimestrale regionale delle politiche giovanili Uno sguardo verso il cielo: l’emozione del rock progressivo in un memorabile incontro triestino Fino a sabato 13 dicembre 2008 una decina di gruppi di Trieste e dintorni non si conoscevano, i nomi delle band erano noti ma un’occasione di contatto e una riflessione serena sul proprio produrre, suonare e creare non c’era mai stata. Un vero peccato se si pensa a fenomeni quali la dispersione e lo scarso dialogo che viene imputato a ‘questi giovani d’oggi’! Cos’è accaduto il 13 dicembre al Ricretoti di Trieste? Chi scrive (un appassionato ricercatore e scrittore e una giornalista molto emozionata), ben avallato da ‘complici locali’, ha proposto una tavola rotonda sul rock progressivo italiano. Un misterioso fenomeno, quello del rock progressivo, che ha irrimediabilmente rapito ammiratori sparsi in tutto il mondo. Se poi si tratta del ‘prog’ italiano, allora ci troviamo di fronte ad un genere di alta qualità, amato sempre di più all’estero, oltre che in patria. Formazioni leggendarie come Orme, Premiata Forneria Marconi, Banco Del Mutuo Soccorso, Area e Osanna (i capofila di un movimento che in Italia tra 1971 e 1977 ha contato svariate centinaia di gruppi) hanno lasciato una traccia indelebile nella storia della musica italiana e oggi, in tempi di decadenza, volgarità e ‘immondizie musicali’, una legione di appassionati si muove tra concerti, libri, collezionismo e nuove pubblicazioni. Creatività, libertà di espressione e industria discografica: una tavola rotonda lancia un ponte tra passato e presente. Nove giovani gruppi presenti e la celebre Donella Del Monaco ospite speciale L’incontro triestino è servito a fare il punto della situazione sulla vitalità del rock progressivo in Italia e in quest’epoca: nove gruppi di area differente (il jazz-rock dei Magnetic Sound Machine e il metal-prog dei Sinestesia, l’alternative-prog dei J’Accuse, il vintage-rock di Hypnoise e Mr. Moog, passando per la fusione klezmer-psichedelico dei Passover, il viaggio nell’estremo dei Garden Wall, la prog-fusion degli Aphelion e la ricerca dei Watashiwa Cactus) hanno consegnato al pubblico le loro riflessioni valorizzate dalla presenza di Donella Del Monaco. Celebre soprano, nipote dell’indimenticabile Mario Del Monaco e artefice del progetto Opus Avantra, Donella ha portato la propria testimonianza, quella di un passato importante ma anche di un presente prestigioso, vista l’emozionante tournèe giapponese recentemente conclusasi. Il ‘prog’ non è stato solo un modo di fare la musica ma un modo di immaginare: dal vestiario ai colori, dalla liberazione del corpo alla liberazione dell’anima. Oltre alla proiezione di video anni ’70, grazie all’esposizione di vinili e giornali d’epoca a cura di Maurizio Giugovaz, si è potuto toccare con mano il valore che si è attribuito e che si continua a dare all’opera come concetto, come produzione unica. Creare musica come terapia dell’anima, il suonare come unica forma di espressione, la gioia nell’atto stesso della creazione, i problemi che sorgono nel confrontarsi con il mercato, il dilemma eterno se un passato osannato vada conservato o superato. Questo stuolo di gruppi -estrazioni, età, esperienze e proposte diverse- ha contribuito in modo unico ad alimentare quella domanda virtuosa da sempre: come si nutre l’anima e come si esprime? Solo un paio di ore per confrontarsi sui percorsi dell’anima: misteriosi ma anche densi e sereni. Se oggi si discute del passato è evidente che lo stesso ha prodotto energie che si rinnovano ancora e che proseguono il loro corso anche con altri nomi, incontrando altre aree espressive, altri modi di fare musica dal vivo. A conferma di questa vitalità ogni estate Trieste propone il Summer Rock Festival: una rassegna organizzata dall’associazione Musica Libera che da anni lavora sodo per portare in Piazza Unità d’Italia (ingresso gratuito) nomi del calibro di PFM, New Trolls, Alan Parsons, Ian Paice, Osanna, Carl Palmer. I ragazzi protagonisti di questo memorabile incontro -musicisti, organizzatori o semplici appassionati che siano- non vogliono etichette ma vogliono creare, emozionarsi e far emozionare: in questo i ‘giovani d’oggi’ ci ricordano che il ‘prog’ non è affatto morto. Francesca Grispello e Donato Zoppo 23 Provincia di Trieste La città di Trieste fa spazio all’espressione musicale, veicolo di emozione e aggregazione Note d’insieme “È stato costruito un assassino, dai coltelli lunghi e l’ombra corta che fugge. È ovunque puoi vedere ed ascoltare e ti dice che la musica sono i Blue e i Britney Spears che muovono le labbra su basi copiate in TV. Lentamente così uccide e il cantante non canta, non serve. È importante solo l’immagine, quella più utile a vendere di più. A vendere te. Ma se non compri non vende e uccidi l’assassino. Musica cos’è? Chiediti a cosa serve a te. Quando chiudi gli occhi non è per ricevere da lei ma per entrare dentro di te e darle qualcosa. La musica non crea le emozioni, sono le emozioni a riempire la musica. Con le mie mani suono come con gli occhi parlo e ti do ciò che sono. Decidi di prenderlo! Guardati intorno, vicino. Vedi noi, non siamo di ‘serie’ solo perché non abbiamo la corta catena di una casa produttrice. Siamo liberi. Ti sussurriamo dal basso che andare ad un concerto non è pagare per vedere un tizio famoso, è sentire in ogni nota un pezzo d’anima e mescolare i tuoi pezzi con i miei. Provaci: spegni la TV e scendi, noi siamo sotto casa tua sopra ad un palco ad aspettarti con pezzi freschi. Prendi la musica com’è per te falla assieme a noi…..grazie al progetto Ricrerock dei Poli di Aggregazione Giovanile del Comune di Trieste”. Il brano è stato scritto da Antonio, bassista dei Watashiwa Cactus ed è un valido esempio di come i giovani, per mezzo della musica, trovano il modo di comunicare i propri sentimenti e le proprie emozioni. La musica dunque: è questa forma artistica che viene maggiormente utilizzata dai ragazzi come veicolo delle proprie ansie, paure, gioie, frustrazioni e allegrie. È l’elemento unificante per trasmettere, non solo ai propri pari ma al mondo intero, i sentimenti più intimi e reconditi che si celano all’interno di ognuno di loro. Il brano è anche un invito ad uscire di casa per incontrarsi, ascoltare o fare della musica così da condividere le proprie emozioni. Fare musica a Trieste è possibile anche grazie al progetto Ricrerock e ai poli di aggregazione del Comune di Trieste, Toti e Borgo San Sergio, promotori dell’iniziativa che permette ai giovani musicisti di incontrarsi e suonare grazie ai due spazi messi a disposizione e alla sala di incisione del polo di B.go San Sergio. Questa iniziativa è un dinamico laboratorio che permette ai giovani di esprimere il proprio talento e la propria creatività non solo all’interno delle mura dei ricreatori ma organizzando eventi pubblici per far conoscere alla città quello che questi ragazzi sanno offrire. Portare all’esterno dei ricreatori la propria musica ed esibirsi nel cuore della città è infatti uno degli obiettivi principali del progetto anche se spesso questo risulta difficile o impraticabile; nel 2006, ad esempio, una decisione del sindaco, presa al fine di tutelare la quiete del quartiere in cui si sarebbe svolto un festival di musica rock, impedì ai musicisti del progetto Ricrerock di esibirsi. L’episodio provocò la mobilitazione dei giovani dei Poli di Aggregazione che si adoperarono per promuovere le loro iniziative e sensibilizzare la cittadinanza attraverso l’allestimento di banchetti informativi che consentissero il contatto diretto con le persone. Da questa mobilitazione nacque anche uno ‘storico’ concerto che si svolse all’interno delle sale comunali in presenza del sindaco stesso. La musica fuori dai ricreatori di Trieste è anche il cardine intorno al quale ruota l’iniziativa di scambio con gli altri centri di aggregazione fuori provincia. I giovani di Ricrerock vanno a Udine a suonare e fare musica assieme ai musicisti di quel centro per poi contraccambiare. Questo scambio avviene, poi, con diverse altre realtà dando vita così a un circolo virtuoso che porta a una vivace contaminazione di idee e a una sana espressione di sentimenti ed emozioni, linfa vitale preziosissima per rinverdire con la freschezza dei vent’anni questa amata ‘vecchia’ città. Andrea Aiza 24 Trimestrale regionale delle politiche giovanili 25 Rubrica [ La recensione ] Strumenti di lavoro Emozioni nero su bianco La solitudine dei numeri primi La solitudine dei numeri primi è un titolo che racchiude in sé il concetto chiave che permea il romanzo di Paolo Giordano: i numeri primi, metafora di unicità e distinzione dalla massa, sono destinati a fare i conti con la loro condizione, incapaci di conformarsi ad un tutto a cui non appartengono e con cui non sanno interagire. Mattia e Chiara, i protagonisti della storia, sono proprio due numeri primi: due persone diverse, troppo diverse, che si trovano, si riconoscono nella loro estraneità ma non riescono a superare le barriere che si sono costruiti intorno. Il romanzo percorre l’arco della loro esistenza a partire dall’infanzia per giungere fino all’età adulta ma concentra la maggior parte della narrazione negli anni giovanili; è proprio in quegli anni cruciali, infatti, che le difficoltà di Mattia e Chiara sembrano diventare insostenibili perché sottoposte all’ulteriore sovraccarico della precarietà emotiva tipica dell’adolescenza. Giordano descrive con grande tatto gli imbarazzi, le incertezze, i sussulti, le parole taciute che caratterizzano il rapporto tra questi due ragazzi; attraverso le loro storie, pur al limite, il lettore ritrova i sentimenti e le sensazioni che anch’egli ha provato, si immerge nella solitudine e nel dolore di due anime che si sentono sperdute come tutti i giovani, prima o poi si trovano ad essere. Lo sguardo dell’autore è lucido ma mai privo di partecipazione emotiva; grazie alla cura per i dettagli descrittivi, restituisce un’impressione di estremo realismo. Lo si coglie nei momenti corali, come le feste di classe o gli incontri nei corridoi della scuola, e nei lunghi segmenti narrativi che vivono unicamente dell’introspezione dei personaggi. Il risultato è una lettura scorrevole, mai scontata e profondamente toccante con l’unico piccolo limite di concedersi un po’ troppo nella seconda parte che finisce per appesantirsi di alcuni segmenti narrativi tutto sommato superflui. Erika Biasutti Là dove osano i cineasti Incomprensibile, imperscrutabile, impenetrabile: il mondo degli adolescenti rappresenta un territorio off-limits per chi non vi appartiene. Questa difficoltà rappresenta, per il cinema e per i suoi autori, uno stimolo fortissimo ad investigarlo, nel tentativo di entrare dentro una realtà a cui gli adulti difficilmente hanno accesso. I percorsi, attraverso cui il cinema mostra il mondo dei giovani, sono molteplici; le ultime stagioni cinematografiche hanno sancito il successo di pellicole sui giovani e per i giovani: La notte prima degli esami, Come tu mi vuoi, Tre metri sopra il cielo sono esempi di un genere che racconta storie di ragazzi in modo fruibile e leggero. Ma l’indagine su un mondo complesso come quello degli adolescenti passa soprattutto attraverso autori che si propongono, evidentemente, obiettivi più ambiziosi. Diversi registi hanno investito in soggetti che propongono temi delicati e ‘pericolosi’ ma che rappresentano il modo più vero di mostrare l’universo giovanile. Si pensi, ad esempio alla filmografia di Gus Van Sant che si è occupato spesso di giovani; due delle sue pellicole più recenti, Elephant (2003) e Paranoid Park (2007) sono entrambe ambientate tra i ragazzi, mostrati nel loro lato più inquietante e problematico. Elephant ripercorre la strage del liceo Columbine negli USA mettendo in luce il vuoto esistenziale che riempie la quotidianità di ragazzi inspiegabilmente ‘sbagliati’; Paranoid Park entra nelle vite di ragazzi di periferia, osserva la loro incapacità di affrontare la vita, l’immaturità che permea i loro comportamenti, lasciando trasparire una perdizione morale che finisce per diventare una condanna pendente sulla generazione adulta, incapace di fornire gli strumenti di cui i giovani necessitano. Quando il cinema racconta i sentimenti dei giovani 26 Trimestrale regionale delle politiche giovanili La produzione della stagione cinematografica in corso offre ulteriori spunti di discussione sul tema: una pellicola su tutte incarna il malessere del sentirsi inadeguati tipico dell’età giovanile; si tratta de Il papà di Giovanna di Pupi Avati. Al centro di una pellicola che, comunque, vira spesso verso una visione d’insieme molto più ampia, c’è Giovanna, una liceale degli anni ’30, imprigionata tra il troppo amore di un padre onnipresente e l’assenza (non fisica ma affettiva) di una madre che rappresenta un modello che la ragazza ritiene irraggiungibile. La sua inadeguatezza nei confronti della vita ha origine da un’instabilità psichica che la porterà a compiere un atto estremo. Avati indaga con infinita delicatezza il rapporto padre-figlia, toccando le corde più profonde di una relazione in cui, a volte, l’eccessivo istinto a fare del bene finisce per diventare una colpa. Tutt’altro tipo di approccio ma identico intento caratterizza l’indagine del rapporto madre-figlio secondo la commedia Il matrimonio è un affare di famiglia (2008); l’ironia e la leggerezza sono l’arma vincente di questo piccolo grande lungometraggio australiano che racconta la storia di una madre single alle prese con il suo mai sopito desiderio di realizzazione artistica e la difficile gestione di un figlio adolescente, coinvolto con una relazione sentimentale piuttosto tumultuosa. La leggerezza che permea il film non impedisce però che essa viva anche di momenti di amarezza che stimola la riflessione sui difficili equilibri che il mondo adulto deve sforzarsi di mantenere con quello dei giovani. Il cinematografo ha, per tendenza, la predisposizione a raccontare gli estremi piuttosto che la normalità; è più facile, infatti, imbattesi in pellicole che raccontino di giovani disagiati, emarginati, abbandonati che lottano per trovare una loro identità in un mondo da cui non si sentono compresi; nello stesso tempo però, nei ragazzi che il cinema moderno propone, al di là di tutti i disagi che le loro condizioni ‘al limite’ comportano, emergono quelle insicurezze e quegli eccessi che accomunano tutti i giovani e che la macchina da presa, magicamente, riesce a mostrare con un tocco di sensibilità e di paterna comprensione. Una nota infine sul film che ha fatto parlare di più recentemente a proposito di un luogo di vita e di sentimenti molto frequentato dai ragazzi, la scuola. La classe (Francia, 2008) di Laurent Cantet, basato sul libro d’esperienza dell’insegnante e protagonista François Bégaudeau, racconta l’intrecciarsi di relazioni che avviene dentro le mura di un liceo di periferia parigino. Con un punto di vista inedito, una telecamera che si incunea tra i banchi con l’intento di scomparire e di non assumere un punto di vista privilegiato fra quelli in gioco, il film-documentario, girato con studenti veri e non attori professionisti, mette in luce il complesso meccanismo del rapporto tra insegnante e alunni e tra compagni. La pellicola, Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes, non intende essere l’ennesima indagine sui problemi della banlieu o di tutte le realtà sociali giovanili marginali, ma si ritaglia letteralmente uno spazio di narrazione all’interno dei muri della classe da cui lo sguardo non esce mai. Cosa succede in quel tempo misterioso e prezioso che i ragazzi trascorrono in classe con l’insegnante? Il film prova a dare una risposta non scontata e autentica, invitando tutti coloro che hanno a che fare con la scuola direttamente o indirettamente a ricostruire il proprio punto di vista, a non accontentarsi di descrizioni banali o di parte, ad accettare l’ira, la rabbia, la comprensione, l’affetto, le sfumature della colpa come sentimenti necessari della relazione educativa. Scrivi alla redazione di Alidee: [email protected] Alidee è anche su www.provincia.pordenone.it e su www.aliasfvg.it Erika Biasutti www.ilpapadigiovanna.it www.gusvansant.com Alidee - Trimestrale regionale delle politiche giovanili è un progetto del Piano Triennale per le Politiche Giovanili 2007-2009 della Provincia di Pordenone inserito nell’Accordo di Programma Quadro tra il Ministero della Gioventù e la Regione Friuli Venezia Giulia. 08 T rime st ra l e re g io n a l e de l l e po l it ic he g io va n il i