Tu non sei sostituibile…

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Tu non sei sostituibile…
Tu non sei sostituibile…
La Leggenda dei Tre Compagni ci mete davanti agi occhi un’immagine della
Fraternità ricca di umanità e di sapienza…
“Dimorava allora il Padre con i suoi figli in un luogo vicino ad Assisi,
chiamato Rivo Torto, dove sorgeva un tugurio abbandonato da tutti;… L'uomo
di Dio aveva scritto i nomi dei fratelli sulle travi del tugurio, così che,
chiunque volesse riposare o pregare, potesse riconoscere il proprio posto,
senza far rumore e turbare il raccoglimento, in un rifugio tanto piccolo e
stretto”1.
Questo piccolo brano non ci presenta una vita fraterna idillica dove tutto è
comprensione e amore, e dove non si presentano conflitti. Tutto il contrario: ci fa
vedere fin dall’inizio un volto non facile della convivenza fraterna e come i primi
frati hanno cercato di aprire il cuore a questo dono così delicato e difficile di
abbracciare: il dono dei fratelli.
Nel suo Testamento Francesco afferma con tanta semplicità: “il Signore mi dette dei
fratelli”. È senza dubbio un’espressione calorosa e piena di affetto, ma allo stesso
tempo piena di tensione. Tutti sappiamo quanto ha significato questo dono nella sua
vita, quanto ha gioito per esso e quanto ha pianto… e quante ferite aperte aveva
ancora quando ha detto queste parole. Un dono non facile, gratuito e costoso allo
stesso tempo. E, tra l’altro, un dono senza il quale non poteva vivere il Vangelo.
Nessuno può viverlo da solo.
La leggenda dei Tre Compagni ci presenta appunto questo dono prezioso come una
vera palestra di umanità. All’inizio, quando i frati erano a Rivo Torto – dice – si
trovano a vivere in grande strettezza. Francesco prende un atteggiamento previdente:
“scrive i nomi dei fratelli sulle travi”.
Ma questo gesto è stato una questione semplicemente pratica e organizzativa del
momento, o voleva dirci qualcosa di più profondo?
Il fatto è che Francesco ci tiene a scrivere i nomi dei frati. Ci tiene a non dimenticarsi
dell’identità e dell’individualità di ciascuno. Un’altra biografia da poco scoperta – la
Vita Brevior – ci racconta che questo gesto non è stato solo una cosa momentanea,
bensì era una sua abitudine, qualcosa che aveva a cuore. E i luoghi per fare questi
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scritti erano, appunto, le travi. Ci viene in mente il brano dell’Apocalisse nella sua
descrizione della Nuova Gerusalemme: “Le mura della città poggiano su dodici
basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello”2.
Scrivendoli sulle travi, Francesco voleva vivere circondato con i nomi dei fratelli.
Non poteva girare da nessuna parte senza trovarli. Sembra che avesse per loro tanta
venerazione come per i “nomi scritti” del Signore, per i quali aveva tanta premura di
“raccoglierli e collocarli in un luogo decoroso”3. Ugualmente vuole che il nome dei
suoi frati siano collocati in un luogo visibile e importante.
Il tetto della casa viene appunto sostenuto da questi nomi. La Fraternità è la casa, la
nuova casa. Tutti hanno abbandonato da poco le loro case. Adesso vivono sotto uno
stesso tetto, sostenuto dai loro nomi. Sono loro la nuova casa… Ciascuno è colonna
che sostiene il tetto comune, ciascuno è sostegno e protezione per l’altro. Infatti la
funzione di una trave è sostenere e proteggere. Il Celano ci presenta questa grazia
della Fraternità come “nuova casa” con queste parole: “su di essi [sui frati] il beato
Francesco si appoggiava come casa su quattro colonne”4. E come in qualsiasi casa,
tutte le colonne sono necessarie. Nessuna esclusa. Questa visione della vita fraterna ci
porta a mettere in dubbio con forza l’idea a volte tanto diffusa che “nessuno è
indispensabile”. Non è così nell’esperienza di Francesco.
Se lui ha ricevuto da Dio il dono dei fratelli, allora tutti sono importanti, tutti sono
indispensabili, non si può fare a meno di nessuno. Nessun nome è dimenticato a Rivo
Torto. Togliere un nome è come togliere una trave: il tetto rischia di frantumarsi.
Nella vita di Francesco vediamo come lui è stato tanto fedele ai suoi fratelli fino a
permettergli di ferirlo profondamente. Il suo cammino è stato un continuo
accogliergli anche in mezzo al dolore, anche quando lo facevano piangere… Tutti
avevano per lui un nome e un volto non sostituibile, anche se tal volta era difficile di
pronunziare e anche quando doveva cacciare via uno di loro5. Sappiamo, infatti,
quanto temeva e soffriva la divisione.
Il fatto che i primi frati non erano tanto “dolci” ce lo fa capire la stessa Leggenda
quando ci spiega il motivo di questa scrittura sulle travi…: voleva che ciascuno
“potesse riconoscere il proprio posto, senza far rumore”.
Francesco, evidentemente, non vuole che tutti siano la sua fotocopia, né tanto meno
che siano gli uni la copia degli altri. Lui non ama l’uniformità. Al contrario, ci tiene a
fare scoprire il proprio posto e il proprio volto all’interno della “casa comune”: “a
ciascuno… è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”6. Ciascuno
era ricevuto da lui come un dono diverso e importante.
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Ap 21,14
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I casi dell’ozioso e del fornicatore…
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Allora, non solo non era d’accordo con la comoda idea dei fratelli “non
indispensabili” ma, in più, considerava prioritario aiutare a scoprire a ciascuno il
proprio posto all’interno della casa; aiutargli a riconoscere il proprio volto.
Quando un fratello trova il suo posto all’interno della vita fraterna può donare tutta la
bellezza di Dio che porta in sé. E questo genera libertà, fiducia, trasparenza. Al
contrario, quando non lo trova diventa rumoroso: la sua vita si trasforma in un
continuo mormorio. La leggenda infatti ci racconta che Francesco assegnava a
ciascuno un posto diverso allo scopo di eliminare il “rumore”. Ma di quale tipo di
rumore ci parla?
Evidentemente non si tratta di rumori più o meno “normali e sopportabili”, come può
essere il fatto che mentre alcuni pregavano altri dormivano e… logicamente…
ruzzavano. Alla fine, i posti scelti erano per “riposare e pregare”… Ma non si parla
di questi rumori più o meno accettabili.
Si tratta invece di un rumore che non può essere acconsentito all’interno della
Fraternità. La Leggenda lo chiama “rumor insolens”, un rumore impertinente e
insolente, che nel medio evo veniva allacciato – tra l’altro – all’atteggiamento di
difesa contro la persecuzione e alla confusione creata dal tumulto, dall’indiscrezione,
dalla diceria e dal pettegolezzo.
Può succedere che all’interno di una Fraternità un fratello si senta “non visto”, non
riconosciuto, non importante o messo da parte, senza nome e senza posto. Può
accadere che pian piano diventi invisibile o che la Fraternità stessa entri
progressivamente nell’indifferenza nei suoi confronti, cancellando – senza volerlo – il
suo nome dalle travi. Questo facilmente può generare nel suo cuore la diffidenza e il
sospetto, e farlo sentire quasi perseguitato… col bisogno di difendersi, confuso e
generatore di confusione. Ed ecco il rumore insolente!
In questa forma, “non vedere” il fratello è consegnarlo all’anonimato e al rumore. È
quasi come fargli pregustare un po’ la morte. A volte però è lo stesso fratello a voler
rimanere invisibile, ed è lì che Francesco ci consegna la pazienza di riscrivere
continuamente il suo nome, lottando così contro l’invisibilità e contro l’indifferenza.
Appunto, scrivere il nome dei fratelli sulle travi è dire a ciascuno: “tu non sei
sostituibile”, “sei importante per noi”, “abbiamo bisogno di te”. Ma non è questa
“una funzione di coro”. È un’esperienza personalizzata, faccia a faccia. E Francesco
nella Regola ci insegna una maniera molto pratica di farlo: iniziare dalla nostra
fragilità e dal nostro bisogno: “ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue
necessità”7.
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Manifestare la propria necessità al fratello è scrivere il suo nome, fare spazio per lui
all’interno della casa; è permettergli di risorgere, di diventare visibile, di manifestare
la sua grazia… Liberare il fratello dall’indifferenza è riconoscere e amare la sua
differenza, e gioire dal fatto che ha un volto diverso dal mio e che tutte e due siamo
specchio dello stesso Mistero.
Ma nella Leggenda è chiaro che a scrivere il nome dei frati sulle travi è lo stesso
Francesco, e cioè: chi ha il servizio dell’autorità. Sono i ministri quelli che – per
primi – scrivono il nome dei suoi fratelli dentro della casa. Per tanto, sono loro quelli
che – per primi – devono manifestare la loro debolezza e fragilità davanti ai suoi frati.
Questa è la forma – lo abbiamo appena detto – di aprire un posto per loro e trovare
spazio per ciascuno.
Ci sono poche cose tanto illuminanti come vedere il proprio ministro arrivare al cuore
dei suoi frati come un bisognoso che chiede aiuto. In questa forma, il ministro diventa
non solo modello per tutti, aiutando a ciascuno a portare fuori il meglio di sé, ma
diventa pure una madre. La maternità inizia quando si manifesta apertamente la
propria necessità. Quest’immagine della “madre povera” è palese nella Lettera a tutti
i fedeli quando Francesco ci parla di Maria, dal cui utero Gesù “ricevette… la nostra
umanità e fragilità”8.
La madre si riconosce non solo dal fatto che “nutre e ama il suo figlio carnale”9 ma,
prima ancora, perché gli fa dono della sua fragilità. Allo steso modo, ogni volta che il
ministro manifesta a uno dei suoi frati la propria necessità, egli diventa madre e il
fratello diventa figlio, e cioè viene nutrito e amato.
Manifestare la propria necessità è una delle forme immediate di “nutrire e amare” i
fratelli. Il fratello a cui il ministro manifesta volontariamente il suo bisogno si sente
valorizzato, tenuto in conto; si sente visto; ricupera la sua voce; la sua opinione
diventa importante e, ancora di più, può sentirsi incoraggiato a sua volta a fare
altrettanto, non solo con il suo ministro ma pure con gli altri. Ciascun fratello che
arriva a casa porta con sé il dono della sua fragilità.
Ma questo scrivere i nomi sulle travi manifestando la propria fragilità non è mai una
specie di ricetta “per guarire tutti i mali comunitari”, né tanto meno una cosa facile o
vittoriosa. Lungo le Fonti Francescane troviamo qua e là alcuni nomi che Francesco
non è riuscito a scrivere, relazioni lacerate mai rimarginate e ferite mai cicatrizzate.
Basta ricordare Pietro di Bernardone che rimane sempre nel cuore come un
interrogativo doloroso10… o il frate mosca cacciato via11… o l’illusionista silenzioso
che fecce la bruta fine12… oppure i frati che Francesco dichiara non voler vedere con
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EpFid II, 4
RegB VI, 8
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i suoi occhi13… Nomi difficili di scrivere, occasioni in cui aver manifestato la propria
fragilità non è servito a nulla o, forse, a portato appunto alla rottura, com’è il caso che
ci presenta la stessa Leggenda subito dopo la scrittura dei nomi:
“un giorno, mentre i frati si trovavano colà, ecco giungere un contadino
seguito dal suo asino, con l'intenzione di entrare nel tugurio con l'animale.
Perché i frati non facessero resistenza, si affacciò e disse al giumento: Entra,
entra, ché faremo del bene a questo luogo”.
Ecco un nome che non è stato mai scritto a Rivo Torto: quello del contadino povero.
Il contadino della Leggenda è immagine del fratello il cui nome scivola dalle travi
della casa… Non è che Francesco non vuole accoglierlo, ma il problema è l’asino che
porta con sé. Infatti, subito dopo il suo ingresso, l’asino ha cacciato via tutti i fratelli e
Francesco ha dovuto costatare molto turbato: “fratelli, Dio non ci ha chiamati a
preparare una stalla per l'asino!”.
Quando un fratello desidera essere accolto nel seno della casa fraterna ma non ha
abbandonato il suo asino, finirà per “fare fraternità” solo con sé stesso. Un fratello
che vuole portare con sé i suoi propri amori, interessi, gusti e comodità che – secondo
lui – “fanno del posto un luogo migliore”, finirà per relazionarsi solo con il suo asino,
cacciando via tutta la fraternità e cancellando il nome di tutti pur di mettere il suo. Per
quanto i fratelli provino a raggiungerlo e coinvolgerlo manifestandoli il bisogno che
hanno di lui, egli non avrà occhi e orecchie se non per il suo amato giumento.
Appunto, com’è successo a Rivo Torto.
Questo ci fa toccare con mano che l’amore non assicura la vittoria. È sempre un
rischio che vale la pena prendere, senza però la sicurezza dell’esito. Vale la pena
continuare sempre a manifestare la propria necessità e fragilità, aprendo spazio per i
fratelli all’interno del cuore e della casa, sapendo allo stesso tempo che non tutti i
nomi rimarranno scritti. Essere madri gli uni degli altri non ha nulla di romantico né
di trionfalistico. Molte mamme conoscono il dolore di perdere i suoi figli. Ogni nome
che si auto-cancella allo scopo di conservare il proprio asino è una ferita aperta nel
cuore… Ma vale la pena non smettere di scriverli, e non smettere di insistere dicendo
faccia a faccia: “abbiamo bisogno di te… tu non sei sostituibile”.
La nostra fragilità e il nostro bisogno sono un prezioso dono che facciamo alla
Chiesa. È il ponte che possiamo tendere verso tutti gli uomini e, come dice Francesco
nella quinta Ammonizione, il nostro unico motivo di gloria14.
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