Stampa Lettere - Società Italiana di Medicina Interna

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Stampa Lettere - Società Italiana di Medicina Interna
In memoriam
(Ann Ital Med Int 2004; 19: 208-211)
rienza, cosa vuol dire trovarsi improvvisamente da solo di
fronte ad un caso che richiede per la tragedia incombente
pronta ed il più possibile esatta terapia, conosce bene l’angoscia di quel sentirsi paurosamente solo e conserva nel
cuore comprensione profondamente umana”. Egli esprimeva stima e simpatia umana per questi medici di prima
linea: “Pensate al medico condotto, talvolta unico medico,
in un paese isolato; deve essere pronto a tutto”.
Queste parole sono “immagini” storiche della società di
allora, di condizioni che oggi non esistono più.
Chini coltivò molti campi di studio. Ricordo in particolare gli studi di Cardiologia e di Elettrocardiografia, molto precoci, e poi quelli di patologia generale sull’acido urico e sulla relativa flogosi, sulle infezioni focali.
A questi studi si aggiunsero quelli sulle anemie mediterranee, già iniziati a Roma e proseguiti a Catania, e poi
per molti anni a Bari. Qui si appassionò e coltivò con notevoli risultati scientifici lo studio di varie patologie, tra
cui l’infezione melitense nella sua forma cronica, le “malattie del collageno”, ed altre. Aveva la vocazione ed il talento di affrontare problemi di fisiopatologia e di clinica
oscuri e difficili, sempre con un’acuta visione di Clinico,
partendo da un’osservazione clinica e poi giungendo a risultati e conclusioni utili al malato, perché il malato era
diventato la sua vera passione e la verifica inappellabile,
concreta di ricerche e di studi che all’inizio potevano apparire molto astratti.
Dalle osservazioni di Clinico nacquero gli studi sull’organotropismo degli streptococchi e sulle infezioni focali, sui rapporti tra sindrome di Marfan e patologia connettivale, quelli sulle sequele subdole, specie epatiche,
dell’infezione melitense, sull’iperfollicolismo e la sindrome premestruale, sulle disvitaminosi da antibiotici.
Ricordo di Virgilio Chini
Virgilio Chini era nato a Bassano del Grappa il 2 febbraio 1901 e ivi morì il 9 ottobre 1983.
Si era laureato in Medicina e Chirurgia a Padova nel
1924. Dopo aver frequentato la Clinica Medica dell’Università patavina, prima con il Prof. Lucatello e poi con il
Prof. Frugoni, era stato assistente universitario all’Istituto
di Patologia Generale dell’Università degli Studi di Milano,
dal 1928 al 1931, con il Prof. Pietro Rondoni.
Dal 1931 al 1937 fu assistente e poi aiuto nell’Istituto
di Clinica Medica dell’Università degli Studi di Roma “a
cui avevo consegnato – scrisse Chini – gli anni migliori
della mia giovinezza”, con il Prof. Cesare Frugoni. Dopo
aver vinto il concorso a cattedra insegnò Patologia Medica
all’Università degli Studi di Catania nel 1937-1938; fu
chiamato poi dal 1938 all’Università degli Studi di Bari,
ove insegnò prima Patologia Medica e quindi dal 1948 al
1971 diresse l’Istituto di Clinica Medica.
Aveva vinto numerosi Premi: Guido Banti (1933),
Ettore Marchiafava (1935) Guido Baccelli “al merito clinico” (1937). Era membro onorario della Lega Argentina
contro il Reumatismo e socio della Società Francese di
Cardiologia. Era stato rappresentante per l’Italia nella
Lega Internazionale contro il Reumatismo e componente del Comitato di Biologia e Medicina del Consiglio
Nazionale delle Ricerche. Oltre che nei Congressi italiani era intervenuto numerose volte con relazioni e contributi in molti Congressi internazionali.
Chini era Maestro di scienza ma anche Maestro di deontologia e di comportamento medico. Aveva avuto, e lo ricordava, subito dopo la laurea, un periodo di attività come
medico di prima linea, in condotta. Da elegante scrittore
quale era ricordava “Chi sa per giovanile personale espe-
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In memoriam
Gli studi sulle anemie mediterranee per vari anni fecero della Scuola di Chini a Bari, uno dei Centri, non solo
nazionali, più noti per la competenza in queste malattie.
Fin dall’inizio degli anni ’40 con i suoi Collaboratori di
allora, Malaguzzi-Valeri e Perosa, comprese che la malattia
era molecolare e già nel 1948 propose una classificazione delle emopatie mediterranee che andava dai portatori
“sani” della stimmata mediterranea alle forme più gravi
del morbo di Cooley.
Questo tema trovava particolare motivazione nei casi e
nelle famiglie affette da questa patologia, particolarmente frequente nel Sud, nelle regioni in cui aveva lavorato,
in Puglia ed in Sicilia.
L’anemia mediterranea si delineò chiaramente come
una malattia genetica; per questo egli amava citare una frase del genetista Gedda “non esistono malati, famiglie di
malati”.
Intuì presto l’importanza dell’autoimmunità in tutta
una serie di malattie prima confuse sotto etichette generiche, dalle “reticoloendoteliosi” alle malattie del collageno.
Si delinearono così chiaramente tra le altre alcune malattie immunoreumatologiche quali l’artrite reumatoide e la
“malattia lupica”.
Per la sua competenza cardiologica aveva spesso frequentato le “Giornate cardiologiche” di Parigi organizzate
da Camille Lian.
In questo campo aveva richiamato l’attenzione sull’importanza dei rapporti tra circolazione coronarica e cerebrale, con la sindrome associata coronarica-cerebrale – sindrome di Chini – in cui la patologia coronarica si associa
a disturbi del circolo cerebrale, fino all’attacco ischemico transitorio e all’ictus.
Negli anni ’30 aveva indagato a fondo i rapporti tra le
cosiddette infezioni focali oggetto di particolare attenzione internazionale. Gli studi di Chini con Lusena e
Magrassi vennero presentati al Congresso Internazionale
di Mosca (1934).
Allora la malattia reumatica era una protagonista di patologia cardiaca, dalle valvulopatie allo scompenso di
cuore conseguente.
Chini sviluppò questi studi per la sua buona preparazione
di base in patologia generale, che veniva dal periodo trascorso a Milano con il grande Pietro Rondoni.
Aveva un’autentica “passione” per l’insegnamento, diceva agli studenti “accingendoci a studiare Medicina noi
abbiamo contratto con noi stessi un obbligo a cui non possiamo più venire meno, ed è quello di conoscere ogni
giorno qualche cosa di più, per il nostro godimento spirituale e più che altro per il bene che possiamo e dobbiamo
fare e che chi si rivolge a noi ha il diritto di prendere” e
ammoniva “guardatevi dal prendere in considerazione
frasi che spesse volte ci vengono rivolte dai famigliari dei
malati con la speranza di conquistare la vostra simpatia,
col parlar male del precedente medico perché alla volta successiva toccherà a voi”.
Il suo è stato un insegnamento ad alto livello clinico e
morale; con saggezza diceva: “portiamo una nota di modestia nella nostra opera, non lasciatevi andare a facili critiche e se qualche medico più anziano potrà avere delle conoscenze meno moderne, egli potrà avere assai più di voi
esperienza e ponderatezza e ciò compenserà largamente
qualche lacuna scientifica”.
Raccomandava di andare a fondo nei molti casi complessi che giungevano in Clinica, e ricordava il detto di
Ippocrate sulla Medicina “Vita brevis, Ars longa, Tempus
preceps, Experimentum periculosum, Judicim difficile”.
E citava più le parole di Maimonide, più che mai attuali:
“O Dio riempi il mio spirito di amore per l’arte (medica)
e per tutte le creature. Non consentire che la sete del guadagno e il desiderio di gloria mi influenzino nell’esercizio della mia arte ... sostieni la forza del mio cuore perché sia sempre pronto a servire il povero e il ricco, l’amico e il nemico, il buono e il malvagio. Che la mia mente
sia chiara al letto del malato e non sia distratta da alcun
pensiero estraneo ... fa che io sia moderato in tutto, ma insaziabile nel mio amore per la scienza.”
Chini fu presto riconosciuto come un grande maestro e
perciò attirò molti allievi eccellenti. Alcuni di questi, come Malaguzzi-Valeri, lo avevano seguito da Roma e poi
altri si aggiunsero come Filippo Muratore nel breve periodo, un anno, trascorso a Catania. Oltre ai tanti pugliesi si aggiunsero alla Scuola numerose individualità, da
Roma come Lucillo Perosa, che peraltro era veneto,
Michele Zacco e Francesco Di Raimondo; da Padova più
tardi vennero Paolo Rizzon e Giorgio Avezzù. Tutti questi allievi realizzarono un brillante intenso lavoro clinico
e scientifico e, prima nella Patologia Medica, poi nella
Clinica Medica di Bari; furono affrontati vari campi della ricerca medica, con definite applicazioni cliniche. Tutti
gli allievi contribuirono allo sviluppo delle ricerche secondo i loro talenti, inclinazioni e competenze, ma quasi
sempre i campi di studio venivano suggeriti e seguiti dal
Maestro.
Il Prof. Chini ha portato alla Cattedra Universitaria numerosi e valorosi allievi: Malaguzzi-Valeri, Perosa,
Schiraldi, Giorgino, Rizzon, ma anche altri, che raggiunsero la cattedra, erano passati per la sua Clinica: Albano,
Ambrosi, Pipitone, Tursi, Dammacco, Liso, Capurso,
Schena, Tarmoia, G. Strada, G. Troccoli.
Più numerosi ancora i Primari ospedalieri: si può dire che
tutta la Puglia sia stata costellata da una fitta rete di valenti
Clinici, tutti suoi allievi, alcuni purtroppo scomparsi.
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Ann Ital Med Int Vol 19, N 3 Luglio-Settembre 2004
Ne ricordo alcuni, da Muratore a D’Agostino, a Colonna,
Perrini, Piliego, a De Vita, Di Benedetto, Rizzi, fino a
Marano, Brindicci, Proto e tanti altri. Tutti sono passati vicino a Lui, da Lui, che definiva alcuni di loro “buoni come angeli”, avevano ricevuto una carica d’entusiasmo e
soprattutto avevano appreso il metodo di studio di un tema di ricerca o di un malato.
Bari era stata la città in cui aveva vissuto tanti anni, dal
1938 al 1971, lì aveva realizzato la Sua Scuola formando tanti medici e diffondendo la Sua lezione di clinica e
di umanità. Aveva tanti amici, che lo rispettavano e che
lo amavano: “lo ha detto Chini”, dicevano, e non si discuteva.
Di lui ricordo tante cose, la passione sempre giovane per
le cose nuove e difficili, l’acutezza di un giudizio in cui
era quasi infallibile, l’onestà, il disinteresse, la lezione di
umiltà per imparare sempre di più di fronte al malato e alla malattia, l’impegno ad approfondire, ad andare a fondo. E anche tanti episodi come la fuga dei parenti dei malati, spauriti, al suo avvicinarsi alle corsie o il suo martellante “e poi ... e poi ...” agli esami nel silenzio assoluto, a cui resistevano pochi studenti che lo temevano ma lo
rispettavano enormemente per la sua rara maestria di insegnante. Ho vissuto vicino a Lui dal 1949 al 1971 quando con rammarico di tutti, con un tipico gesto “alla Chini”
quasi improvvisamente lasciò Bari. Gli fui particolarmente vicino negli ultimi dodici anni anche dopo essere
andato per sua generosa iniziativa ad occupare la II
Cattedra di Clinica Medica.
Chini scrisse: “l’Insegnamento clinico crea legami indistruttibili tra Maestro e allievo”.
Chini era anche umanista completo, ottimo conoscitore di latino e di greco e per questo si era certamente molto giovato della educazione del padre, Prof. Lorenzo
Chini. Da lui aveva appreso la “religione” dell’insegnamento. Poteva citare a memoria ampi brani di letteratura
classica; aveva infatti una memoria eccezionale.
Era un lettore instancabile, amava particolarmente la storia, che seguiva anche attraverso la sua archeologia ed in
particolare le strategie militari e la storia moderna, specie
italiana, di Ottocento e Novecento.
Egli definì quella di Bari “la mia Università, seconda soltanto alla mia Università d’origine, dal nome prestigioso
e magico, Padova”. Un discorso alto e luminoso fu il suo
addio alla Puglia e all’Università, nell’occasione del conferimento del “Sigillo Aureo” dell’Università degli Studi
di Bari (1975) con una motivazione che lo definiva
“Clinico Medico illustre, che in fecondità d’ingegno ha saputo sviluppare ardite fusioni tra lo studio clinico fondato su l’indagine semeiotica e le nuove posizioni realizza-
te con le sperimentazioni biochimiche e immunologiche”. Con gli anni Egli amò sempre più profondamente la
Puglia come era naturale per il suo temperamento.
Allora disse: “Terra di Puglia! Col tuo fascino misterioso
e malinconico, con il tuo profondo doloroso silenzio, con
le tue stupefacenti bellezze ... Io ho a lungo vissuto con
te e ho cercato di amarti”.
Pochi hanno scritto così, queste parole ricordano quelle di Cesare Brandi nel suo mirabile Pellegrino di Puglia.
Non potrebbero esprimere meglio amore e comprensione
per la Puglia, che così: “Questa terra di Puglia dagli orizzonti quasi sconfinati, rievocante nel suo malinconico silenzio la storia millenaria della sua gente e delle sue contrade” e “il fascino del tutto singolare emanante dalla terra che si stende dal mare attraverso le caratteristiche ondulazioni e fratture delle Murge, sino alle lontane propaggini degli Appennini, dai monti della Daunia e
dell’Irpinia fino agli spenti vulcani del Vulture”; o come,
ricordando un amico, “la terra che si stende all’ombra del
maniero di Federico II di Svevia ti ha riportato talvolta nel
lontano Duecento, a rivivere le vicende della tua terra, alla vicina Andria fidelis.
Chini amava “le tante cose belle che la regione ci dona, dai vetri arcaici ai magnifici vasi di scavo, alla ceramica geometrica, quel bello che ci viene da lontano”.
Egli ha donato al Museo di Bassano, l’intera preziosa
collezione di reperti archeologici apuli. Essa ha trovato degna sistemazione nelle sale del Museo di Bassano del
Grappa.
Egli ricorda in una commossa descrizione “le lunghe file di traini” siamo negli anni ’50 ed esistevano ancora gli
arcaici traini di legno, che non si vedono più da tempo sulle strade del Sud ... Sono situazioni che non esistono più
e queste descrizioni ormai storiche si riferiscono a una società, diversa e lontana.
Chini rileva “la mancanza di contentezza del lavoro, di
gioia della vita sui volti dei lavoratori che in Puglia tornavano alle povere case” e “quanto contrasto con altre regioni dove proprio nei periodi di più dura fatica si leva pur
sempre dalla terra un canto”. E certo pensava alla amata
Bassano, a Padova, alla “mia” Patavium, alla mia dolce
terra veneta”.
Le sue parole sembrano far eco ad altre molto antiche:
“Va canzonetta mia,
va in Puglia piana,
la grande Capitana,
ove vola il mio cor,
la notte e l’dia”.
È il canto accorato di re Enzo prigioniero a Bologna, il
figlio del grande Federico II.
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In memoriam
Nel 1976 la Città di Bari conferì a Virgilio Chini la cittadinanza onoraria per “aver svolto a Bari per oltre trent’anni il suo alto magistero didattico e scientifico”.
Egli fu certamente Clinico come pochi, personalità
umanistica che si inquadra nella tradizione della più alta
Clinica Europea e Latina, illustre continuatore della Scuola
Clinica di Cesare Frugoni. Egli ci ha trasmesso l’ansia di
verità che non fa mai paghi nello studio del malato e la modestia consapevole delle infinite insidie del giudizio diagnostico.
Dopo il suo ritorno a Bassano l’ho incontrato poche volte ma posso dire di ricordarlo sempre, di ripetermi le sue
frasi, tante, piene di arguzia e di saggezza.
“Pregare Dio no malarse” gli piaceva dire al termine di
una difficile discussione diagnostica ..., così smorzava
un po’ il tono, dato che evitava sempre di sconfinare nel
patetico e nel trionfalistico.
Nella sua ultima conferenza tenuta a Bari il 14 dicembre 1975 diceva agli studenti: “la mia parola, ora un invito, che è una preghiera: amate i vostri studi. Nella vita
che vi attende troverete vero conforto nel Sapere ... Ma dovrete trovare un po’ di tempo per coltivare quando potrete anche nobili studi umanistici, il messaggio eterno
dell’Arte, della Poesia, della Storia”.
In queste ultime parole è il credo di Virgilio Chini, grande Clinico e appassionato umanista, una grande figura classica nella storia della Medicina e della Cultura italiana.
Lorenzo Bonomo
Emerito di Clinica Medica
Università degli Studi “La Sapienza” di Roma
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