clicca qui - CRED Ausilioteca Firenze
Transcript
clicca qui - CRED Ausilioteca Firenze
TECNICHE DI NARRAZIONE E SVILUPPO PSICOLOGICO Mariagiovanna Grifi* (febbraio 2014) Questo articolo vuole essere un approfondimento sulla narrazione, la fiaba e il loro rapporto con la psicologia, può essere considerato un paradigma di riferimento per tutti coloro che utilizzano la scrittura e la narrazione con finalità educative e terapeutiche. Dal punto di vista formativo la scrittura, appresa come conoscenza di base insieme alla lettura e al contare (sin dalla scuola per l’infanzia grazie all’insegnamento dei prerequisiti), assume fondamentale importanza per la possibilità di esprimersi in una forma alternativa a quella orale. Imparare a leggere e scrivere permette ai bambini di acquisire padronanza comunicativa, ma risulta di notevole valore anche accedere a un’altra competenza che è a loro collegata: la comprensione del testo scritto. È chiaro, quindi, che scrivere e leggere sono strumenti utili non solo nell’ambito di una sola disciplina (l’italiano, appunto). Avere conoscenza e padronanza della lingua, infatti, serve per lo studio della storia e della geografia, ma anche delle materie scientifiche (pure la matematica ha bisogno del suo apparato teorico). Inoltre bisogna ricordarsi che una buona capacità di espressione scritta è base necessaria per una buona espressione verbale/orale. Questo vale in maggior misura per coloro che presentano difficoltà nell’apprendimento della tecnica di scrittura e nella comprensione del testo (due problematicità molto frequenti nei bambini con DSA). Un altro ambito – che affronteremo nel seguente testo – che ha dato grande importanza alla forma scritta, e in particolare alle tecniche di narrazione, è la psicologia. Imparare a narrare e a individuare la struttura principale di una storia serve sia a comprendere la realtà che ci circonda e a saperla spiegare con ordine (offre ai bambini una specie di mappa per orientarsi), sia a trasformare in forma narrativa i propri vissuti interiori. Molti psicologi, infatti, adoperano la scrittura con finalità terapeutica e in particolare fanno riferimento alle fiabe (la prima forma narrativa con cui entrano a contatto i bambini). 1. Narrazione, fiabe e sviluppo del bambino Il termine “Narratologia” viene coniato nel 1969 dal filosofo bulgaro CVETAN TODOROV (1939), specializzato in filosofia del linguaggio. Studiando il Formalismo russo1 si rese conto che esistevano strutture narrative comuni in testi appartenenti a tipi di narrazione completamente diversa. Tali elementi di base divennero oggetto di studio di una nuova disciplina, ossia la Teoria della narrazione2. Il modo più semplice per riconoscere questa “parte comune” del discorso presente in differenti opere letterarie è l’analisi del testo, ossia dividerlo in segmenti distinguendo il contenuto (i fatti narrati) dalla struttura (le tecniche discorsive). Lo studio delle opere narrative, infatti, rivelava che, sebbene l’intreccio fosse diverso, erano presenti alcune segmentazioni standardizzate (pezzi di narrazione fissi). Queste strutture di base comuni furono definite dai formalisti russi (in particolare da Vladimir Propp e da Cesare Segre) “funzioni”. 1 Scuola di critica letteraria, nata tra il 1914 e il 1915 a Mosca e Pietroburgo, che si dedicò alla struttura e alla forma delle opere letterarie, mettendo in secondo piano i contenuti. 2 Per approfondimenti cfr. Tvetan Todorov, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano, 1977; Tvetan Todorov, Teorie del simbolo, Garzanti, Milano, 1984; Fabio Vittorini, Il testo narrativo, collana: Le bussole, Roma, Carocci, 2006; Andrea Bernardelli, La narrazione, Laterza, Roma-Bari, 1999; Remo Ceserani e Andrea Bernardelli, Il testo narrativo, Il Mulino, Bologna, 2005; Claude Brémond, Logica del racconto, Milano, Bompiani, 1973; Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto, trad. di Lina Zecchi; collana: Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, Einaudi, 1956. *Mariagiovanna Grifi, educatrice professionale e insegnante di Scienze Umane presso le scuole superiori. Pag. 1 Nel 1928 fu il russo VLADIMIR PROPP (linguista e antropologo, 1895-1970) a porre la basi del Formalismo scindendo il concetto di “fabula” da quello di “intreccio”: mentre il secondo varia a seconda dell’opera e del suo autore, il primo rappresenta una disposizione naturale e logica degli elementi narrativi, presente sempre. Per lungo tempo Propp si era dedicato allo studio del folklore e, in particolare, alle fiabe popolari russe, fino a scrivere il noto saggio “Morfologia della fiaba”3. Analizzando la “morfologia” delle fiabe, infatti, si era reso conto che esse conservavano alcune strutture di base comuni a cui aveva dato il nome di “funzioni”; secondo lui esse erano 31 e si ripetevano costantemente, e nella stessa successione, in ogni racconto (anche se, in realtà, non comparivano sempre tutte insieme). Studiando le origini storiche delle fiabe nelle società tribali e nei riti di iniziazione, Propp propose uno schema (noto anche come “Sequenze di Propp”) in cui vengono definite 31 funzioni dei personaggi. Propp indicò, in un certo senso, un cambiamento di prospettiva rispetto alle narrazioni: l’ipotesi di fondo è che al centro di qualsiasi trama non c’è, come si è soliti pensare, il personaggio (il protagonista), ma le azioni che esso compie. Ogni fiaba è costruita su uno schema generale: il punto di partenza è una situazione di equilibrio (Equilibrio iniziale), la cui rottura da origine alla storia (Rottura dell’equilibrio). La rottura è il “movente”, la complicazione che permette lo sviluppo della trama. È solo a partire da questa che si mettono in moto le funzioni dei personaggi ipotizzate da Propp, le quali si ritrovano nel terzo punto dello schema (Peripezie dell’eroe) in cui il personaggio (o i personaggi) comincia a compiere una serie di azioni con lo scopo di riportare l’equilibrio perduto (Ristabilimento dell’equilibrio). In ogni narrazione Propp individuava un vero e proprio percorso di iniziazione che riprende il processo di crescita di un essere umano dalla nascita fino all’età adulta. Tutte le prove che il personaggio deve affrontare sono metafora del suo sviluppo evolutivo. Ecco perché l’origine di tale percorso lo si ritrova nei riti e nei miti di tutte le culture del mondo (i quali, appunto, si riflettono nelle fiabe tradizionali). Arrivati a questo punto possiamo elencare le 31 funzioni individuate da Propp, che segnano i passaggi essenziali delle storie: Allontanamento, Divieto, Infrazione, Ricognizione, Delazione, Tranello, Connivenza, Danneggiamento o Mancanza, Mediazione, Consenso, Partenza, Funzione del donatore, La reazione dell’eroe, Fornitura dell’oggetto magico, Trasferimento, Lotta, Marchiatura, Vittoria, Rimozione, Ritorno, Persecuzione, Salvataggio, Arrivo in incognito, Pretese infondate, Prova, Superamento, Identificazione, Smascheramento, Trasfigurazione, Punizione, Matrimonio o Incoronazione. In esse è coinvolto in primo luogo l’eroe, poi il suo nemico e le persone che gli sono accanto (familiari, amata). Per concludere il discorso su Propp e sulla sua “Morfologia della fiaba” elenchiamo anche le 8 categorie di personaggitipo che il linguista russo ritiene siano ricorrenti nelle fiabe: 1) L’antagonista: colui che lotta contro l’eroe. 2) Il mandante: il personaggio che esplicita la mancanza e manda via l’eroe. 3) L’aiutante (magico): la persona che aiuta l’eroe. 4) La principessa o il premio: l’eroe può ottenerla/lo solo alla fine delle sue peripezie. 5) Il padre di lei: colui che fornisce gli incarichi all’eroe e gli da la ricompensa finale (secondo Propp le funzioni della principessa e del padre non sono sempre chiaramente distinguibili). 3 Cfr. Vladimir Propp in Gian Luigi Bravo (a cura di), Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi [1928], 2000. *Mariagiovanna Grifi, educatrice professionale e insegnante di Scienze Umane presso le scuole superiori. Pag. 2 6) magico. 7) sconfigge 8) Il donatore: il personaggio che prepara l’eroe o gli fornisce l’oggetto L’eroe o la vittima/il ricercatore: colui che reagisce al donatore, l’antagonista, ottiene il premio/la principessa. Il falso eroe: la persona che si prende il merito delle azioni dell’eroe. Come abbiamo già detto Todorov (1939) ha coniato il termine “Narratologia” per indicare lo studio delle strutture narrative partendo dallo Schema di Propp. Il suo obiettivo (e di altri come Cesare Segre, Henri Brémond, Gérard Genette, Claude Lévi Strauss, Roland Barthes, Algirdas Julien Greimas) era quello di individuare uno schema di base della narrazione che fosse applicabile a qualsiasi testo narrativo, e non solo alle fiabe: una differenza fondamentale con lo Schema di Propp è che negli altri tipi di narrazione a una determinata funzione/azione non segue necessariamente quella successiva. Segre, per esempio, ipotizza tre sole funzioni, le quali implicano la “possibilità” di agire in un certo modo per giungere a una determinata conclusione. Nei testi narrativi letterari, insomma, non è detto che un determinato comportamento o una determinata azione vengano necessariamente attuati, il processo può anche concludersi con un arresto o con un ritorno alla situazione precedente. Anche la catalogazione dei personaggi può essere fatta in vari modi, i principali sono comunque: Protagonista, Antagonista, Aiutante, Nemico, Oggetto/persona desiderato/a o temuto/a (motore dell’azione). 2. Gli archetipi: fiabe, simboli e psicanalisi Il fatto che le fiabe siano ricche di simboli le rende oggetto di studio anche della psicanalisi. Fiabe e miti, infatti, riflettono sentimenti e sensazioni di un popolo, di una cultura o del singolo essere umano. Il simbolo è indissolubilmente legato alle emozioni, è il significato che una persona, singolarmente o in forma collettiva, attribuisce a un determinato contesto. Il simbolo, quindi, rappresenta l’aspetto più profondo e nascosto del vissuto personale, talvolta conservato solo a livello inconscio. Ecco perché nella psicanalisi i significati simbolici vanno spesso ricercati anche nei sogni o nelle opere d’arte (pittura, film, narrazione): essi rivelano aspetti del tutto inconsapevoli dei soggetti che li creano. Diversi studi hanno dimostrato che quando un autore scrive una fiaba tende a mettere qualcosa di sé in quello che produce, non solo le sue idee e i suoi desideri, ma anche le sue angosce e paure. Per cui nella fiaba compaiono sia elementi della sua sfera cosciente che del suo inconscio. Partendo da questo presupposto lo psicanalista svizzero CARL GUSTAV JUNG (1975-1961) ha ipotizzato che le fiabe siano sia il prodotto dell’inconscio personale che di quello collettivo. Per Inconscio collettivo Jung intende quell’insieme di archetipi (forme preesistenti e primitive del pensiero) che l’umanità ha in sé da sempre e tramanda (a livello inconscio appunto) a prescindere dalla cultura e dalla civiltà a cui appartiene4. In questo modo verrebbe spiegato perché motivi e temi base delle fiabe e dei miti sarebbero comuni a tutti i popoli in tutto il mondo: i simboli che li costituiscono hanno origine negli archetipi. Le fiabe, insomma, svelano i processi dell’inconscio collettivo (o anima universale); essendo meno elaborate culturalmente rispetto ai miti, inoltre, permettono di risalire più facilmente alla forma più pura dell’archetipo e quindi riflettono al meglio la storia della psiche umana. La fiaba è metafora della storia della vita della psiche. Nelle fiabe i personaggi affrontano una serie di problematicità per raggiungere uno scopo, proprio come avviene 4 Per approfondimenti cfr. Jung C. G., Gli archetipi dell'inconscio collettivo, in Opere vol. 9, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1997; Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Mondatori, Milano, 1985. *Mariagiovanna Grifi, educatrice professionale e insegnante di Scienze Umane presso le scuole superiori. Pag. 3 all’interno della mente umana: attraverso peripezie, dolori, tormenti, la psiche giunge a una sua maturazione liberandosi dalle forze negative e nutrendosi degli archetipi. Questa teoria spiegherebbe la forte attrazione dei bambini per le fiabe: in esse loro si sentono inconsciamente partecipi. Secondo lo psicanalista austriaco BRUNO BETTELHEIM (esperto in autismo e disturbi emotivi della crescita – 1903-1930)5 il bambino sente di far parte di quella storia: avverte (a livello conscio o inconscio) che i conflitti interni dei personaggi sono anche i suoi. La struttura della fiaba consta di 4 fasi nelle quali compaiono alcuni processi che appartengono anche alla storia della psiche umana: Inizio dell’azione (definizione di luogo, tempo e personaggi principali). Svolgimento dell’azione (intrecci, eventi, fatti, avventure). In questa fase vi è il processo di Identificazione (che rappresenta anche la funzione catartica della fiaba): il bambino si identifica con i personaggi e le loro situazioni conflittuali, attraverso il dipanarsi della narrazione arriva alla liberazione di sentimenti ed emozioni negativi. Ecco il motivo per cui la fiaba-terapia è molto usata nella psicoterapia infantile6. Momento fondamentale dal punto di vista psicologico è la parte della Trasgressione: c’è sempre un momento in cui i personaggi subiscono una “deviazione”, perdono la strada (la “retta via”). Secondo lo schema psicanalitico è dovuta al dominio dell’Es. Il Super-Io è ancora molto debole (le sue rappresentazioni all’esterno sono vane, come i personaggi che cercano di aiutare il protagonista a ritrovare l’equilibrio), l’Io non è abbastanza formato. Affinché questo momento passi è necessario che la costruzione della personalità sia completa. La trasgressione spinge il soggetto a compiere un’Immersione, prima nell’inconscio personale (con conflitti interni individuali, angosce e paure) e poi in quello collettivo (Regressione). In questo secondo caso il personaggio fa esperienza contemporaneamente della potenza distruttiva e dell’energia creativa degli archetipi. Durante l’immersione il personaggio incontra figure fantastiche, intese come apparizioni (negative o positive), immagini proiettate, visioni, altri tipi di rappresentazione. Crisi (momento catastrofico e difficile, affiorare del problema). È il momento in cui il personaggio rischia di soccombere sotto le forze negative inconsce, ma viene poi “recuperato” dall’elemento salvifico. Lisi (uscita dal problema, vittoria). L’ultima fase comporta la Trasformazione del personaggio, che può essere esterna o solo interna (miglioramento, crescita psicologica), rappresenta una “rinascita”. Come abbiamo visto la psicologia analitica junghiana è stata molto utile per studiare il simbolismo delle fiabe. Allieva e continuatrice degli studi di Jung in questo senso è stata la psicanalista svizzera MARIE-LOUISE VON FRANZ (1915-1998)7, che ha dato vita alla teoria delle quattro funzioni psicologiche, le quali descrivono le varie figure archetipiche che rappresentano i diversi aspetti della psicologia maschile e femminile. I personaggi delle fiabe sono sempre espressione di queste figure archetipiche. Jung, infatti, definiva quattro funzioni psicologiche: Pensiero, Sentimento, Sensazione, Intuizione. Pensiero e Sentimento sono intese come le funzioni razionali, che operano tramite valutazioni. Sensazione e 5 Cfr. Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 2002. 6 7 Cfr. Verena Kast. Cfr. Marie-Louise Von Franz, Il mondo dei sogni. Il simbolismo onirico nella psicologia junghiana. Marie-Louise Von Franz intervistata da Fraser Boa, Red Edizioni, Como, 1990; Marie-Louise Von Franz, Le fiabe interpretate, Bollati Boringhieri, Torino, 1988. *Mariagiovanna Grifi, educatrice professionale e insegnante di Scienze Umane presso le scuole superiori. Pag. 4 Intuizione sono le funzioni irrazionali, che operano tramite le percezioni. Ognuna di queste da vita a un personaggio femminile e a uno maschile; inoltre ogni personaggio può avere valenza positiva e valenza negativa. In tutto, quindi, esistono 8 personaggi archetipici femminili (4 positivi e 4 negativi) e 8 personaggi archetipici maschili (4 positivi e 4 negativi), a cui si aggiungono due archetipi sintetici: il Vecchio Sapiente (totalità del principio maschile e spirituale) e la Madre Terra (totalità del principio femminile e materiale). I personaggi sono: Padre/Orco (legge, ordine; autorità, oppressione) – Sensazione; Giovane/Vagabondo-Cacciatore (in trasformazione; infantile, avventuroso) – Sentimento; Eroe/Cattivo (volontà, dominio; aggressività, egoismo) – Pensiero; Imbroglione-Mago bianco/Mago nero (utile; pericoloso) – Intuizione; Madre/Madre Terrificante (protezione; possessività) – Sensazione; Principessa/Seduttrice (spontaneità, amore; attrazione, ammaliatrice) – Sentimento; Amazzone/Cacciatrice (compagna o rivale) – Pensiero; Sacerdotessa/Strega (potere magico; figura rifiutata) – Intuizione. 3. La terapia della fiaba Infine desideriamo fare un ultimo riferimento alla fiaba-terapia, per sottolineare il valore che le fiabe hanno non solo nella crescita di tutti i bambini, ma anche nello sviluppo di coloro che presentano determinati disturbi psichici. Il processo di trasformazione del personaggio della fiaba, infatti, è molto simile a quello di un paziente in terapia psicanalitica. Anche lui affronta i suoi “mostri” interiori (viene immerso nell’inconscio personale e in quello collettivo), anche lui giunge alla disperazione per poi “risorgere”. La fine della fiaba è in fondo la storia di una guarigione psichica. Gli effetti catartici e liberatori dovuti alla fiaba costituiscono la più valida forma di psicoterapia infantile. Scopo primario durante la terapia è giungere alla consapevolezza: accettare che la vita è fatta di esperienze positive e negative e imparare a combattere le proprie negatività. Una psicoanalista junghiana che si è occupata del lavoro psicoterapeutico con la fiaba è l’analista svizzera VERENA KAST (1943)8. Secondo la sua tesi la fiaba è la rappresentazione simbolica di un problema, per cui chi è soggetto allo stesso conflitto interiore rappresentato da una determinata fiaba ne subisce maggiormente il fascino e l’effetto emotivo. La storia riflette i suoi conflitti inconsci, va a colpire il suo blocco emozionale. In questo senso ci sono due modi di affrontare i conflitti attraverso le fiabe, al fine di divenire consapevoli delle proprie emozioni e di cercare nuove prospettive di soluzione al problema: calarsi direttamente nella fiaba (catarsi), oppure proporre una versione alternativa di essa. Scrivere una versione personale della fiaba permette alla persona di esprimere il modo in cui essa stessa cerca di risolvere il conflitto. Questo atto creativo presuppone un potenziale cambiamento della situazione, anche solo nella sua mente il bambino immagina di modificare la situazione e di volgerla al meglio; tale creazione, quindi, prima di tutto gli regala una speranza, poi potrebbe divenire una strada da seguire concretamente. 8 Cfr. Verena Kast, Le fiabe che curano. Racconti popolari e psicoterapia, Red Edizioni, Comom, 2002. *Mariagiovanna Grifi, educatrice professionale e insegnante di Scienze Umane presso le scuole superiori. Pag. 5