Atti dell`Assemblea nazionale donne Spi Cgil
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Atti dell`Assemblea nazionale donne Spi Cgil
Atti della 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil svoltasi a Montesilvano, Pescara, il 12, 13, e 14 aprile 2007 I testi sbobinati non sono stati rivisti dagli autori © Liberetà SpA Sede legale: viale delle Milizie, 12 - 00195 Roma Amministrazione: via dei Frentani 4/A - 00185 Roma Indirizzo Internet: http://www.libereta.it E-mail: [email protected] Coordinamento editoriale: Marilena De Angelis Grafica: Media Graphics Stampa: Litografia Colitti & Figli (Roma) Finito di stampare nel mese di febbraio 2008 Indice Presentazione Le nuove sfide ......................................................................... pag. 5 Apertura lavori Maria Pia Di Nicola .................................................................. “ 7 Relazione introduttiva Gabriella Poli ........................................................................... “ 12 Interventi Graziana Delpierre ................................................................... Zora Mimiche e Malika Chettoubh .......................................... Elisa Castellano ........................................................................ “ “ “ 26 27 30 “ 34 “ 54 “ 60 “ 63 “ 68 Tavola rotonda Le politiche e il luoghi delle donne: esperienze sindacali a confronto ................................................. Coordinatrice Mara Nardini Partecipanti Carla Cantone Susanna Camusso Giovanni Cazzato Susanna Florio Gruppi di lavoro La contrattazione di genere e le politiche del benessere Introduzione Celina Cesari........................................................................ Relazione in plenaria Mina Cilloni ......................................................................... Previdenza e reddito Introduzione Mara Nardini ....................................................................... Relazione in plenaria Lucia Lombardo .................................................................. 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Organizzazione e strumenti del coordinamento Introduzione Renata Bagatin ................................................................... Relazione in plenaria Lia Losa ............................................................................... pag. 73 “ 78 Conclusioni Betty Leone ............................................................................. “ 84 Documento conclusivo ed elezione del coordinamento .......... “ 100 Ordini del giorno ......................................................................... “ 105 Appendice Contributi alla preparazione dell’Assemblea Appunti di lavoro .................................................................... Il benessere ............................................................................. Le disuguaglianze nella salute ................................................. I diritti pensionistici delle donne: l’Europa, l’Italia .................. Contenuti di genere nel confronto sulla previdenza .............. La formazione .......................................................................... Le politiche familiari ................................................................ L’attività internazionale dello Spi ............................................ I pensionati italiani all’estero ................................................... Le donne nello Spi Cgil ........................................................... “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ Documentazione Il regolamento ......................................................................... Il questionario .......................................................................... I grafici ..................................................................................... “ 185 “ 188 “ 193 4 112 125 130 135 144 146 147 168 171 175 L’età delle scelte Presentazione Le nuove sfide P iace alle donne pensionate l’obiettivo della Cgil, riaffermato al congresso, di costruire un’organizzazione in cui donne e uomini siano rappresentati alla pari, a tutti i livelli, nei luoghi della decisione e del potere. Un obiettivo che ha messo definitivamente in soffitta le “quote”, intese come forme di tutela di un soggetto debole, per affermare invece il concetto della democrazia paritaria. Un obiettivo ambizioso, che rafforza la credibilità di un sindacato, la sua capacità di rappresentanza, la sua concezione della democrazia. Un impegno che anticipa (e in qualche modo accompagna) la proposta di legge di iniziativa popolare lanciata dall’Udi, “50E50 ovunque si decide”, rendendola così più forte. Un impegno che provoca e stimola, insieme, forze politiche e gruppi parlamentari ad assumere decisioni concrete in tema di democrazia paritaria, superando resistenze, pigrizie culturali, ritardi accumulati e aggravati poi da una legge elettorale che ha sottratto ai cittadini persino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Anche per queste ragioni è significativa la scelta della Cgil che ha bisogno, però, di coerenze, di tempi certi per la sua realizzazione e di protagonismo delle donne. E le pensionate, con i coordinamenti, vogliono essere parte di questo processo. In quest’ottica e con quest’obiettivo ne hanno discusso in preparazione della loro settima Assemblea nazionale e hanno proposto alle donne delle categorie degli attivi e della confederazione di trovare un terreno comune di lavoro, di riflessione e di confronto utile per la Conferenza di organizzazione (che dovrà definire anche i percorsi per realizzare in tempi certi l’“obiettivo parità”), riprendendo sia le questioni che accentuano una visibilità delle politiche di genere nell’azione negoziale del sindacato, sia gli strumenti organizzativi, “dedicati” o meno, che aiutino le donne a entrare e soprattutto a “restare” nel sindacato, sostenendole nei percorsi di assunzione di responsabilità. Il tema scelto per l’assemblea, “L’età delle scelte, tempi, lavori, relazioni e nuove libertà”, è coerente con l’obiettivo proposto: è un ulteriore contributo, in coerenza, del resto, con tutta l’elaborazione e le proposte dei coordinamenti (lavoro di cura, carta dei diritti, consultori, inclusione sociale), per accentuare una visibilità di genere nei contenuti e nella pratica negoziale del sindacato, ma anche nella sua vita interna, nelle modalità di lavoro, nelle iniziative. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 5 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Una sfida, questa, con cui si è misurato lo Spi, decidendo di rafforzare ruoli e prerogative dei coordinamenti e di assumere la norma antidiscriminatoria come un vincolo per la formazione dei gruppi dirigenti ed esecutivi, come un passaggio obbligato per rendere credibile l’obiettivo parità e riportando primi, significativi risultati: la presenza delle donne è aumentata in tutti gli organismi dirigenti (sfiorando il 40% in molti comitati direttivi) e nelle segreterie. Si tratta ora di consolidare questi risultati (predisponendo progetti, azioni positive, attività formative che aiutino le donne nei percorsi di assunzione di responsabilità) e di rafforzare l’impegno delle strutture per costituire e/o rafforzare i coordinamenti a tutti i livelli, con un’attenzione particolare ai punti più deboli: le leghe. I coordinamenti sono i luoghi della partecipazione e dell’aggregazione e ad essi vanno garantite le necessarie agibilità, mantenendo le caratteristiche, positivamente sperimentate, dei “luoghi aperti”, del lavoro su progetti tematici e mirati, che sappiano coinvolgere le donne pensionate e anziane, scegliendo e privilegiando tematiche che possano aggregare le donne delle diverse categorie e quelle delle altre forme associative presenti nei territori: un modo, anche questo, che rafforza la rappresentatività del sindacato Sono queste le modalità, i contenuti con cui le donne pensionate vogliono partecipare da protagoniste al processo di costruzione di un’organizzazione paritaria. “L’età delle scelte”, delle nuove sfide è questa: e alla domanda di partecipazione e di protagonismo Spi e Cgil non possono che rispondere positivamente. Buon lavoro. Gabriella Poli segretaria nazionale Spi Cgil 6 L’età delle scelte Apertura lavori Maria Pia Di Nicola segretaria Spi Cgil Abruzzo S iamo orgogliosi di ospitare un così grande evento nella nostra regione. Si tratta, infatti, di un’occasione importante nella quale noi donne pensionate iscritte allo Spi porteremo a sintesi le rivendicazioni di genere atte a tutelare le pari opportunità, a ridurre le disuguaglianze fra uomini e donne, a riaffermare la difesa del potere d’acquisto del reddito da pensione e da lavoro, a ribadire il diritto alla salute e al ben-essere come bisogni minimi essenziali. Questa nostra settima Assemblea discuterà, anche, di temi e di proposte per aiutare le donne anziane e pensionate a vivere da protagoniste consapevoli la loro terza età. Altro tema importante di carattere organizzativo che affronteremo riguarderà il valore del ruolo e della funzione del Coordinamento donne ai vari livelli territoriali. Compagne e amiche carissime, tutte noi siamo giunte qui con alle spalle una serie di iniziative finalizzate all’elezione dei coordinamenti donne e alla preparazione della settima Assemblea nazionale. Per quanto riguarda l’Abruzzo, credo di poter dire che, alla luce delle assemblee tenutesi nelle nostre leghe e nei comprensori, si sia aperta nello Spi una fase nuova per la massiccia presenza delle compagne e per l’emersione visibile di un nutrito gruppo di donne pensionate capaci di essere dirigenti complessive. Donne pronte ad assumere ruoli e responsabilità. Chiedono però strumenti più adeguati, pari dignità nella costruzione dei percorsi decisionali, metodi nuovi di lavoro che consentano di conciliare i tempi di lavoro e di vita privata. Questa fase nuova è stata possibile prima di tutto grazie all’elaborazione del coordinamento nazionale, efficacemente guidato dalla compagna Gabriella Poli, che ha fatto compiere grandi passi in avanti a tutte noi (credo che dobbiamo molto a Gabriella e alla sua autorevolezza. Lei ha reso grande il coordinamento nazionale ma, soprattutto, lo ha fatto “contare molto” dentro l’organizzazione). Questa fase è stata possibile anche grazie all’intensa attività del Dipartimento Formazione, nonché alla consapevolezza di molti compagni che considerano le donne non solo un soggetto utile all’organizzazione ma un soggetto indispensabile alla vita del nostro sindacato che è, e resta, uno dei principali presìdi della democrazia compiuta e della difesa dei diritti degli uomini e delle donne. Compagne e compagni, amiche carissime, il cammino dell’emancipazione femminile è stato lungo per noi dell’Abruzzo. Abbiamo dovuto aspettare i grandi insediamenti dell’industria tessile e dell’elettronica, fine anni Sessanta, per assaporare l’indipendenza economica (lo ricordano le compagne intervistate in un video realizzato in occasione del Centenario della Cgil). Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 7 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Poi l’incontro con la Cgil ci ha fatto maturare la presa di coscienza dei diritti e dell’emancipazione femminile, ma ancora oggi, compagne, la nostra strada è in salita. Noi donne del Coordinamento dello Spi Cgil d’Abruzzo, sin dall’inizio, cioè da Pesaro a oggi, abbiamo impostato il nostro stare nel sindacato ponendo l’attenzione principalmente sulla qualità della relazione tra noi e poi tra noi e i compagni, convinte che la qualità della relazione interpersonale è in sé una risorsa e un “capitale” per il nostro sindacato. Le nostre parole d’ordine sono: “Non donne contro ma donne per”. Noi siamo donne per l’unità, per la confederalità, per l’intreccio intergenerazionale, insomma per la “rete” e non per le divisioni. Vogliamo essere nello stesso tempo “centro e periferia” del sindacato come i nodini della immensa rete del villaggio globale. Sembrano parole banali e ovvie, ma difficili da viverle attimo dopo attimo. Queste parole hanno aiutato il coordinamento a sperimentare il metodo della condivisione delle scelte e dei percorsi da compiere, a progettare insieme le iniziative e a mettere in campo la reciprocità e ancor più “il pensare insieme”. Ci hanno aiutate a comprendere che dentro l’organizzazione “si cresce se si cresce insieme”. È chiaro che noi del Coordinamento donne dell’Abruzzo ci siamo chieste: come veniamo percepite dall’organizzazione? E dai compagni? Anche questo è parte di quella modalità di lavoro per migliorare il proprio impegno, per fare condivisione e a volte per fare anche delle potature dolorose. Questa modalità, in tutta onestà, noi donne, però, la chiediamo anche ai compagni! “Il pensare insieme”, compagne e amiche, è oggi una modalità senza la quale non si costruisce una cultura “duale” né una società paritaria. Noi donne dobbiamo aiutare gli uomini a leggere la realtà a due voci, per porsi in modo “uniduale” di fronte a ogni cosa. So che quello delle compagne pensionate dell’Abruzzo è stato un impegno di squadra, è stata un’assunzione di responsabilità reciproca, un prendersi in carico l’una dell’altra, un fidarsi e basta. Per noi del Coordinamento dello Spi abruzzese non sarà difficile praticare il “metodo integrato” o agire una maggiore co-progettualità o co-titolarità tra i vari dipartimenti della Confederazione, con l’Auser e con i nostri servizi. “Dai nidi alla non autosufficienza” è stato, infatti, il filo conduttore per iniziare a costruire in Abruzzo o meglio per sperimentare un luogo nuovo d’incontro tra le lavoratrici attive e le pensionate, un luogo d’incontro non evanescente tra donne di tutte le età della Cgil. Un luogo che abbiamo chiamato “Rete donna Cgil Abruzzo” per meglio intercettare i nuovi bisogni di genere, un luogo utile per piattaforme unitarie di genere da inserire in quella confederale e utile per una continuità d’iscrizione “dalle categorie allo Spi”. Un luogo insomma che ci ricorda che stiamo tutte dentro quel quadratino rosso. Il coordinamento abruzzese desidera mettere in comunione con voi questa neonata piccola esperienza. 8 L’età delle scelte Apertura lavori Care compagne, vi informo che è pervenuta in questo momento la comunicazione che la responsabile nazionale del Coordinamento donne della Fnp Cisl, Valeria De Bortoli, invitata all’assemblea, non può essere presente perché malata. Dispiaciuta, ci ha mandato una bellissima lettera che leggo all’assemblea: «Cara Gabriella, come già ti dissi, desideravo molto partecipare alla vostra conferenza nazionale, il cui titolo ‘L’età delle scelte’ è di forte suggestione e lascia intuire la predisposizione di un importante programma di impegni. Da molti anni le federazioni dei pensionati hanno saputo trovare, pur tra le legittime differenze, intese unitarie sulle politiche rivendicative presentate ai governi. Le stesse intese sono sempre state trovate tra i coordinamenti donne sulle politiche di genere. Le politiche di genere devono essere poste con sempre maggiore forza e incisività agli interlocutori istituzionali che fanno molta resistenza nell’accoglierle. L’anno europeo delle pari opportunità è un’occasione straordinaria per riflettere, per diffondere nuova consapevolezza e per promuovere programmi e piani di azione positivi, che assicurino i diritti ai soggetti discriminati. Noi donne pensionate e anziane facciamo i conti a valle con le discriminazioni, o le non opportunità operate a monte; tuttavia noi siamo per nulla rassegnate e vogliamo migliorare per tutte le condizioni presenti e future. Combattiamo e denunciamo i ritardi e le trascuratezze istituzionali. Quanto impegno unitario di tutti e di tutte si rende ancora necessario per produrre modifiche, culturali, legislative e sociali, e per dare nuova speranza e maggiore sicurezza a coloro che, stanchi di attendere, rischiano di perderle, compresa la fiducia nel sindacato! Cara Gabriella, io non potrò partecipare alla vostra conferenza, causa una brutta bronchite che mi vede febbricitante, ti chiedo però la cortesia di poter avere la tua relazione ed eventuale altro materiale. Invio a te, a tutte le delegate e a voi tutti i migliori auguri perché l’età delle scelte sia produttiva di proposte e di risultati. Un saluto carissimo a tutta l’assemblea». Ringraziamo Valeria De Bortoli, auspicando per lei una pronta guarigione. Carissime, a questo punto non mi resta altro che augurarvi un buon lavoro e una buona permanenza a Montesilvano. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 9 Relazione introduttiva 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 11 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Gabriella Poli segretaria nazionale Spi Cgil C are compagne, è passato appena un anno dalle elezioni politiche che avevano aperto in tutti noi attese e speranze in un cambiamento profondo del nostro paese, in una svolta dopo i danni, e sono tanti, arrecati dai cinque anni di governo del centro-destra. Nessuno di noi si aspettava miracoli, la strada del risanamento sarebbe stata lunga e difficile, troppi i guasti: penso all’idea diffusa sul disvalore delle tasse, alla negazione del ruolo sociale delle forze sindacali. Troppi i danni anche sul piano culturale e alla solidarietà. È inutile negarlo: ci aspettavamo e ci aspettiamo di più nell’azione contemporanea di risanamento, necessario, e di sviluppo, altrettanto necessario e urgente. Le persone che rappresentiamo come Spi, come Cgil e come sindacati in generale, sono quelle che hanno pagato i prezzi più alti della politica berlusconiana, in termini di perdita del potere d’acquisto di salari e di pensioni, di precarietà nel mercato del lavoro, di insicurezza per il futuro. Le risposte date con la legge finanziaria, pur non sottovalutando i provvedimenti sul fisco, sulla precarietà e sul lavoro nero e contro l’illegalità diffusa, sono state per i pensionati e i lavoratori del tutto insufficienti; per di più l’inasprimento della tassazione locale, le cosiddette addizionali Irpef e le misure sui ticket, hanno creato ulteriori difficoltà ai pensionati e alle loro famiglie. Abbiamo valutato positivamente l’apertura dei tavoli di concertazione, con la presenza del sindacato pensionati, che dovevano definire, sulla base dei Memorandum sulla previdenza e dei protocolli sulla sanità, le priorità da assumere nei prossimi mesi; priorità che per i pensionati, come sapete, sono due: la rivalutazione delle pensioni e la legge per la non autosufficienza. Il ritardo nell’avvio dei confronti e le notizie contraddittorie e confuse, come quelle sull’aumento delle pensioni basse e/o minime, non possono che destare preoccupazione e allarme. Il problema non è, insistiamo, soltanto quello dell’aumento delle pensioni più basse (che, tra l’altro, era già stato affrontato nell’articolo 1 della legge finanziaria che stabilisce, appunto, “di destinare agli incapienti, le prime risorse disponibili”) ma quello più generale di individuare un meccanismo misto, automatico, in grado di contrastare la continua erosione delle pensioni. Naturalmente si può partire dalle pensioni più basse se c’è un percorso di legislatura che affronti la questione nel suo complesso. In ogni caso va salvaguardato il principio della valorizzazione dei contributi versati se vogliamo contrastare l’evasione contributiva e soprattutto ridare un valore sociale al lavoro. E poi la legge sulla non autosufficienza a cui occorre destinare risorse, evitando scambi impropri. Sappiamo che non sarà una trattativa facile e la discussione scomposta su come dividere il “tesoretto” a disposizione, risultato della lotta all’evasione e della ripresa economica, lo sta a dimostrare. Ci sarà bisogno, con tutta probabilità, come hanno ricordato sia Guglielmo Epifani sia Betty Leone, di una mobilitazione a sostegno della vertenza unita12 L’età delle scelte Relazione introduttiva ria, per riaffermare il valore delle nostre proposte e la necessità di dare risposte precise alle attese degli anziani, dei pensionati che sono appunto quelle ricordate. C’è un’altra questione che merita di essere seguita e contrastata con decisione: è l’attacco alla laicità dello Stato, esercitato contro i Dico e sul testamento biologico, come era stato fatto con la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita, con toni e minacce inaccettabili, di cui è espressione quel non possumus del Vaticano prima e con la nota della Cei dopo, in una linea di continuità con i tempi più bui della Chiesa, quelli contro il divorzio e contro la legge 194. Un attacco pesante, inaccettabile. Non è in discussione il diritto della Chiesa di manifestare i suoi princìpi e di sostenerli pubblicamente, bensì l’intervento diretto e vincolante dei vescovi sui legislatori, con i richiami al dovere morale dei parlamentari cattolici a votare contro i progetti di legge che il Parlamento assume, sostenendo “che nessun cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica”, fissando criteri e sancendo vincoli. Un attacco, appunto, alla laicità dello Stato. Il family day, la manifestazione del 12 maggio a Roma che si tiene a distanza esatta di trentatré anni dal referendum che aveva bocciato la pretesa di cancellare il divorzio dalle leggi del nostro paese, sarà purtroppo un’ulteriore occasione per una contrapposizione frontale tra l’Italia della ortodossia e del cattolicesimo più radicale e l’Italia della laicità. Uno scontro di cui non sentivamo affatto il bisogno perché finisce per alimentare una campagna omofobica, razzista e intollerante che va invece severamente contrastata. Riporta indietro il paese e ottiene come risultato quello di frenare l’approvazione di leggi che riconoscono diritti, oggi negati, alle famiglie di fatto, a quei milioni di cittadini e cittadine, e tra questi sono tanti i pensionati e le pensionate che hanno liberamente dato vita a una famiglia che, al di là dei timbri di ufficialità, rappresenta il luogo di affetti e di solidarietà, di condivisione delle responsabilità che appunto le leggi dovrebbero riconoscere e sostenere. Care compagne, cari compagni, più di una scadenza si intreccia con la nostra assemblea. Intanto è il primo appuntamento dopo il congresso che ha rappresentato un salto di qualità nelle politiche (benessere come scelta). Un modo di pensare e di agire la politica consolidando il compito di tutela, in particolare per chi è in condizioni di disagio e di non autosufficienza, e contemporaneamente rendendo esplicita un’elaborazione politica verso i nuovi bisogni per una società del benessere. Rappresentare il benessere come diritto di cittadinanza, dove anziane e anziani sono valorizzati come risorsa. Rappresentare il benessere vuol dire rendere l’organizzazione espressione di una platea molto più ampia di soggetti. Vuol dire, come abbiamo scritto nei nostri “appunti”, confrontarsi con una platea eterogenea dove diverse sono le condizioni economiche, culturali, demografiche. Vuol dire diventare più forti e rappresentativi per affrontare nuove, difficili sfide: quelle della piena integrazione sociale, dell’uguaglianza delle Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 13 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil opportunità, della conciliazione dei diversi tempi, della promozione culturale lungo l’intero corso della vita, del diritto alla sicurezza, alla mobilità, alla disponibilità di un alloggio adeguato. Temi sui quali vogliamo esserci a pieno titolo per portare il nostro contributo di idee e di lavoro, declinando al femminile la nostra idea di benessere, sintetizzabile in quattro punti: bisogno di sicurezza, stima di sé, saperi, buone relazioni. Vogliamo esserci anche per dare un senso compiuto alla parola d’ordine della nostra assemblea, “L’età delle scelte”, che definisce i temi sui quali dovrà concentrarsi l’impegno futuro, la sfida, appunto, dei coordinamenti: “tempi, lavori, relazioni, nuove libertà”. Il salto di qualità del congresso sta, anche, nelle scelte organizzative e nelle modifiche apportate allo statuto, in cui il coordinamento e l’assemblea delle donne sono stati inseriti tra gli organismi di rappresentanza e di consultazione, e nell’assumere la norma antidiscriminatoria come un vincolo nella formazione dei gruppi dirigenti, esecutivi compresi, come uno strumento, cioè, che rende credibile l’obiettivo di costruire un’organizzazione paritaria. Vogliamo farlo come Spi ponendoci un traguardo: arrivare al prossimo Congresso con una situazione di parità almeno nei Comitati direttivi, a cominciare da quello nazionale che passerà, con la decisione assunta di ampliarne il numero (le cooptazioni riguarderanno solo donne), dal 43,1 per cento (dato del Congresso) al 46,4 per cento. Ricordo che la media dei Comitati direttivi regionali è oggi del 39,7 per cento, con dieci regioni che hanno rispettato e superato la norma, mentre altre cinque ne sono ancora lontane. Richiamo alla vostra attenzione il fatto che la presenza negli organismi di direzione è il primo passo perché si possa rafforzare anche la presenza negli esecutivi. Per questo mi permetto di suggerire a tutte le segreterie di valutare l’opportunità di adottare lo stesso criterio deciso per il Comitato direttivo. Allargare il numero dei componenti i Comitati direttivi diventa un passaggio d’obbligo, fintanto che i meccanismi di formazione dei gruppi dirigenti, basati essenzialmente su funzioni esecutive, non saranno modificati dall’obiettivo parità. La presenza delle donne nelle segreterie regionali è del 38,5 per cento, con dieci regioni che rispettano la norma, mentre cinque di esse raggiungono la parità. In quelle comprensoriali la media è del 35 per cento con diversità marcate tra regione e regione che evidenziano, però, come solo in cinque di esse la norma venga rispettata. Dati diversi, come si può ben vedere, ma significativi per il risultato, nel complesso positivo, che fanno ben sperare sul raggiungimento dell’obiettivo “parità” per il prossimo Congresso. Occorre, però, operare, da subito, predisponendo progetti, azioni positive, per una politica dei quadri, dal momento che un’organizzazione paritaria diventa tale se, anche nelle responsabilità generali, si raggiunge quel traguardo. Qui le distanze si fanno, invece, più marcate: se le segretarie generali regionali sono cinque, pari al 23 per cento, quelle comprensoriali sono soltanto il 17,1 per cento e quelle di lega il 17,6 per cento. 14 L’età delle scelte Relazione introduttiva Responsabilità generali, in particolare nei comprensori e nelle leghe, sono quindi i punti deboli della presenza delle donne che evidenziano, ancora, il permanere di difficoltà, di resistenze per la promozione dei quadri femminili ai massimi livelli di responsabilità. Si tratta allora, in coerenza con le scelte operate proprio qui a Montesilvano un anno fa, di utilizzare anche la Conferenza di organizzazione della Cgil, che dovrà apportare modifiche significative nella struttura organizzativa, nelle modalità di lavoro, per definire attraverso quali strumenti e con quali azioni positive sia possibile rimuovere tutti gli ostacoli di natura politica e organizzativa che impediscono, o quanto meno non favoriscono, la presenza delle donne. Come coordinamento vogliamo esserci a pieno titolo, per programmare e condividere, insieme alle segreterie, i progetti cui accennavo, proprio per rendere credibile quel diritto di proposta sui criteri per la composizione degli organismi dirigenti che lo statuto riconosce al coordinamento. Le osservazioni che ho avanzato, naturalmente, non tolgono nulla al giudizio positivo, già espresso, a proposito del valore della scelta, resa possibile per la consapevolezza e la condivisione piena dei gruppi dirigenti Spi. Non c’è dubbio, però, che un contributo determinante è venuto dai coordinamenti che hanno aiutato, stimolato, la partecipazione e il protagonismo delle donne, hanno portato nel sindacato tematiche, modalità di lavoro diverse, capacità di leggere bisogni e di indicare soluzioni in un’ottica di genere, contribuendo in questo modo al rafforzamento delle capacità di leggere la rappresentanza dello Spi. Ne sono testimonianza le “buone pratiche” che trovate nello spazio espositivo. Significativo è stato, poi, il ruolo della formazione, che ha aiutato la crescita soprattutto di coloro che si sono avvicinate allo Spi e all’impegno sindacale senza esperienze precedenti di militanza. La preparazione della nostra assemblea è stata un’ulteriore conferma della diversa attenzione data dall’insieme delle strutture al lavoro e alle proposte dei coordinamenti. Le assemblee sono state utilizzate anche come occasione comune di riflessione e ricerca per rendere più adeguate, appetibili, coinvolgenti le modalità, i tempi, le sedi del nostro lavoro, per rimuovere gli ostacoli, le difficoltà che si incontrano soprattutto a livello di lega, per la costruzione dei coordinamenti, oltreché nella promozione delle compagne ai diversi livelli di responsabilità. Eppure la lega dovrebbe essere (o meglio è) il luogo privilegiato dell’iniziativa dello Spi, proprio perché il contatto continuo con le donne e con gli uomini pensionati, con i loro bisogni e aspettative, con la realtà dei nostri quartieri e delle nostre comunità offre occasioni e stimoli per l’attività complessiva del sindacato e quindi per lo stesso coordinamento. Cos’è, allora, che ostacola, che rende difficile il lavoro dei coordinamenti e delle compagne? Perché una forte, motivata presenza nei servizi di tutela non si traduce in un impegno di responsabilità e di direzione? Perché tempi e modalità di lavoro non possono essere diversi, se questo è uno dei maggiori ostacoli evidenziati nelle assemblee? Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 15 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Sono questi i temi che hanno di più appassionato il dibattito e che le donne ripropongono con più forza perché non si rassegnano, giustamente, all’idea di un impegno totalizzante che rende, di fatto, impossibile conciliare i tempi del lavoro sindacale con gli altri tempi con cui è scandita la giornata di una donna, come quelli della famiglia, degli affetti, della cura e del tempo per sé, e dei diversi interessi che donne e uomini che vivono l’esperienza del pensionamento tentano di coltivare. Temi non nuovi che faticano però a entrare nell’agenda sindacale. Eppure le donne hanno già sperimentato forme diverse non totalizzanti di lavoro per rafforzare rapporti e relazioni come la ricerca sui bisogni da cui ricavare indicazioni per le piattaforme negoziali e per il lavoro futuro. Lo hanno fatto, nei coordinamenti, con i progetti e con la verifica degli obiettivi, nelle attività di volontariato (straordinarie quelle dell’Auser), in quelle dei nostri servizi di tutela (da cui si sentono più attratte perché hanno riscontri certi, immediati sull’utilità di un impegno). Perché non provare, allora, a estendere queste esperienze e queste modalità di lavoro? Sono, se ci pensate, le stesse questioni che le donne propongono all’attenzione della politica, dell’organizzazione sociale delle nostre comunità (orari delle città, organizzazione dei servizi). Temi da riproporre anche nella contrattazione sociale perché rientrano a pieno titolo nel nostro concetto di benessere. Questioni alle quali rispondere anche per la parte di problemi che riguardano, appunto, la nostra organizzazione, i nostri tempi, il nostro linguaggio, i nostri riti. La seconda scadenza, che si intreccia con la nostra assemblea, è quella del percorso che ci porterà nei prossimi mesi alla Conferenza di organizzazione della Cgil che dovrà, necessariamente, misurarsi con i temi della rappresentanza nelle politiche e della rappresentatività di genere, “per arrivare – come sostiene Carla Cantone nel forum pubblicato da Rassegna – alla piena applicazione della norma antidiscriminatoria, superando la pigrizia politica nel cercare compagne da inserire e promuovere ai livelli dirigenziali”. La tavola rotonda, in programma per domani, diventa, come lo sono state del resto le presenze e gli interventi non formali delle compagne Cgil nelle nostre assemblee, un’utile occasione, anche per noi che abbiamo già scelto e riconfermato il luogo delle donne e le modalità della sua organizzazione, di provare insieme a ricercare e definire tematiche comuni di lavoro, per incidere con contenuti di genere nella politica sindacale, nelle iniziative negoziali delle categorie e nella contrattazione sociale e naturalmente per rendere concreto, esigibile, anche nei tempi, l’obiettivo della parità, ricercando forme, modalità, luoghi, reti, al di là di come li chiameremo, per riprendere, rendendola forte e visibile, l’elaborazione di una politica delle donne. La terza scadenza è quella dell’anno europeo per le pari opportunità, per tutti, nel lavoro, nell’istruzione, nella formazione, nella protezione sociale, nella rappresentanza istituzionale eccetera. Una scelta importante, quella del Parlamento europeo, che impegna tutti i governi ad adottare politiche coerenti in grado, appunto, di garantire op16 L’età delle scelte Relazione introduttiva portunità e diritti a chi oggi ne è privo, rimuovendo discriminazioni e disuguaglianze come quelle di genere che fanno la parte del leone, attraversandole tutte, aggiungendo discriminazione a discriminazione, aggravando in particolare le condizioni delle donne anziane. È noto, infatti, che nella fascia di povertà si trovano prevalentemente donne anziane sole e che le titolari delle pensioni più basse sono sempre donne. Il nostro paese è interessato quanto il resto d’Europa se non di più, come dimostrano i dati dell’occupazione, quelli salariali, quelli della povertà. Ve ne cito alcuni, i più significativi. Il tasso di occupazione femminile in Italia è del 45,3 per cento e nel Sud è del 31 per cento, contro il 56,3 per cento della media europea, lontanissimo dall’obiettivo del 60 per cento previsto dalla strategia di Lisbona. Oltre il 15 per cento è la differenza dei salari fra uomini e donne. Differenziale salariale e occupazionale è l’espressione evidente della discriminazione che colpisce le donne nel mercato del lavoro e che provoca, non solo in età da pensione, dipendenza, riduzione dell’autonomia, rischio povertà (già oggi è del 19% rispetto al 12% degli uomini). E ancora, sempre in tema di discriminazione: - è il livello di istruzione e di formazione che ha interessato le generazioni di donne che lo Spi rappresenta, determinando esclusione sociale; - sono i problemi legati alla mobilità, ai trasporti che colpiscono di più le donne anziane; - sono le condizioni di salute, con l’alto numero di donne colpite da non autosufficienza. Sono questi i dati che hanno fatto dire al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione dell’8 marzo, che la mancanza di pari opportunità e le discriminazioni di genere sono per il nostro Paese “una grande questione costituzionale e di democrazia”. Sono molte le iniziative assunte da diverse associazioni, istituzioni, scuole, sindacati, partiti; tante anche quelle dello Spi e dei coordinamenti, anche per questi vi rinvio agli spazi espositivi per la documentazione necessaria, a conferma di una diversa sensibilità e attenzione che farebbe ben sperare per il futuro. Si tratta di capire, però, quanto e come tutto questo si tradurrà, nei comportamenti e nelle politiche, in provvedimenti concreti, per ridurre le disuguaglianze e offrire pari opportunità in tutti i campi (lavoro formazione, rappresentanza), quanto cambierà nella cultura del nostro paese, quanto tempo impiegherà il Parlamento per dare piena applicazione all’articolo 51 della Costituzione, per realizzare il principio delle pari opportunità anche nella rappresentanza istituzionale, la più bassa dei paesi europei: 14 per cento al Senato, 17 per cento alla Camera contro una media europea del 33 per cento. “50E50, ovunque si decide” è l’obiettivo contenuto in una proposta di legge di iniziativa popolare lanciata dall’Udi e che sosteniamo convinte. “50E50, ovunque si decide” sintetizza bene e valorizza l’obiettivo nostro e della Cgil, per la costruzione di un’organizzazione paritaria. Facciamo nostra Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 17 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil questa parola d’ordine proprio per sottolineare la nostra volontà, che è insieme la sfida, di partecipare, alla pari, nei luoghi della decisione e del potere. “50E50, ovunque si decide” perché la presenza delle donne può cambiare la politica. Ne abbiamo bisogno, a maggior ragione se guardiamo alla realtà del nostro paese, alle distanze abissali che registriamo nel sentire della gente, nella cultura diffusa che vive la politica come un disvalore. La presenza delle donne può cambiarla, restituendo a essa la dignità che merita perché obbliga a tener conto dei problemi, a guardare con un’ottica diversa al bisogno e alle aspettative delle donne e degli uomini dando a essi risposte certe, sollecitando il protagonismo e la partecipazione. La conferma? Proviamo a guardare a ciò che avviene intorno a noi, alle esperienze di altri paesi in cui la presenza delle donne nei luoghi di potere è più forte (la Spagna per tutte), ma anche agli esempi che ci vengono dai paesi come il Kuwait con la ministra dell’istruzione che rifiuta in Parlamento di indossare il velo e a chi contesta il suo gesto risponde che il Parlamento non è una moschea. Una bella lezione anche per il nostro paese! Non è forse anche questo un modo per ridare alla politica la dignità che si merita? È anche questa ragione che ci porta a sostenere il principio della parità nella rappresentanza istituzionale, proprio per cambiare la politica. Ci auguriamo che sia questa la scelta della nuova legge elettorale. Ci piacerebbe insomma che il Parlamento o, meglio ancora, il governo italiano si assumesse questi segnali di cambiamento, seguendo l’esempio del governo Zapatero e del Parlamento spagnolo che hanno approvato nei giorni scorsi una “legge sulla effettiva uguaglianza fra donne e uomini” che si propone di eliminare ogni forma di discriminazione verso le donne e che inserisce la “cultura delle pari opportunità” tra le materie scolastiche ed educative. Infine, c’è ancora una scadenza che impegna lo Spi e la Cgil e quindi noi tutte, cioè i Congressi della Ferpa e della Ces, per riaffermare la necessità di un rafforzamento del sindacalismo europeo che deve assumere i temi dell’invecchiamento tra le priorità della propria azione e per consolidare il modello sociale europeo dando rappresentanza a pensionati e anziani. Care compagne e cari compagni, “Vogliamo esserci in un sindacato che contratta” è quanto abbiamo scritto in uno dei cartelli dello spazio espositivo, quello delle sfide. È il nostro modo, non nuovo per la verità, di riaffermare l’esigenza che l’ottica di genere attraversi le politiche e tutta l’impostazione negoziale dello Spi, anche quella che promuoviamo insieme con gli altri sindacati dei pensionati rivolta a enti locali, aziende erogatrici dei servizi, regioni. Negoziare non è mai, o non dovrebbe esserlo, un’azione neutra, come non lo sono le politiche e i provvedimenti a essi collegati. Contrattare al femminile non è facile: non lo è quando si contratta nei luoghi di lavoro su qualifiche, salari, formazione; diventa più complicato quando si tratta della contrattazione sociale nel territorio. Noi abbiamo la presunzione di volerci provare perché le disuguaglianze, le discriminazioni si verificano e si evidenziano di più proprio nel territorio. Siamo impegnati insieme con Fnp e Uilp a diversi livelli, regionali e comu18 L’età delle scelte Relazione introduttiva nali, come dimostrano le tante iniziative sviluppate, dal Veneto all’Abruzzo, dall’Emilia Romagna alla Lombardia, dalla Toscana alla Sicilia, proprio per aprire ed estendere spazi di contrattazione sociale, con quei contenuti di genere già indicati, per farli rientrare tra le priorità nelle piattaforme territoriali. Preciso subito, a scanso di equivoci, che quando parlo di priorità do per scontate le questioni che sono oggetto del confronto aperto con il governo sul tema delle pensioni (incapienti, reversibilità, potere d’acquisto) e sul fondo per la non autosufficienza. Tutte hanno “contenuti di genere” evidenti. Il problema di dare alle tutele e ai bisogni una rappresentanza di genere più forte resta in tutta evidenza, come dimostra il dibattito nelle nostre assemblee. Sono i risultati ottenuti a essere, nel complesso, insoddisfacenti; e del resto più difficile è diventato il percorso della nostra iniziativa negoziale, pur avendo alzato e qualificato il livello della elaborazione (vedi la proposta per la Casa della salute e quella sull’educazione permanente “Se non sai non sei”). Anche per questo ribadiamo la necessità di “provare” (coinvolgendo naturalmente i coordinamenti nell’analisi dei bisogni, nell’individuazione delle priorità e delle possibili soluzioni, e ovviamente con una presenza nelle delegazioni trattanti) forme di contrattazione di genere, anche per “sfidare” enti e istituzioni sulla necessità di adottare il Bilancio di genere, strumento utile che va utilizzato ed esteso sia per programmare e definire le risorse sia, poi, per “misurare” efficacia e congruità non solo delle scelte adottate ma anche delle coerenze con gli impegni assunti nell’anno delle pari opportunità. È questo il senso del “voler esserci”, che è la parola d’ordine utilizzata unitariamente per l’8 marzo e contenuta tra le “nuove sfide” del coordinamento. Vi ricordo alcune delle priorità riportate negli “appunti”: da quelle legate al reddito, da difendere attraverso misure fiscali e con interventi sui costi dei servizi, compresi quelli che stanno in capo a Comuni e Regioni (addizionali Irpef e Ici), al riconoscimento del lavoro di cura, dei diritti per chi cura e per chi è curato, a quelli della conciliazione dei tempi, con particolare riferimento al tempo liberato delle donne pensionate. Non sono novità rispetto all’elaborazione del coordinamento: sono indicazioni utili, lo ripeto, per “provare” e sperimentare contrattazione, ma anche per offrire le basi di ricerca per un possibile lavoro comune con le donne attive dei nostri sindacati che porti alla definizione di linee per un progetto, una piattaforma, di lavoro condivise. I fondi europei possono diventare uno degli strumenti a sostegno delle nostre proposte. I gruppi di lavoro che si riuniranno domani hanno il compito di approfondire, in modo più preciso, tutti i punti delle piattaforme e delle proposte politiche del sindacato, convinte come siamo che nessuna di esse possa essere ritenuta “neutra”, e di definire le priorità di lavoro per i coordinamenti. Prevenzione e consultori: un servizio che va inserito nella Casa della salute come punto qualificato per l’attività di prevenzione (il lavoro di ricerca e di analisi sviluppata da tanti nostri coordinamenti è una base utile di partenza). Ne chiediamo il rilancio e l’estensione, allargandone però i compiti di inTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 19 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil tervento a tutte le età e a tutte le problematiche della coppia, perché diventino punti di riferimento e di servizio di tutela anche per le immigrate. Qualche giorno fa i giornali hanno riportato i dati sulla interruzione di gravidanza, in calo per le italiane del 50 per cento rispetto all’82; in aumento drammatico, invece, per le donne immigrate: sono, infatti, più del 30 per cento del totale, vale a dire una su tre, con una percentuale sei volte più alta dell’incidenza di straniere sulla popolazione residente, complici condizioni di vita, clandestinità, mancanza di informazione e di cultura sui mezzi di contraccezione (le stesse condizioni delle nostre donne nell’Italia di trent’anni fa!). Ecco, allora, il valore di una rete di consultori per dare aiuto, assistenza, informazioni anche a quell’esercito di donne presenti nel nostro paese, spesso clandestine. Sono le stesse donne che fanno da supporto alle nostre famiglie nella cura delle persone a noi care. Anche per loro occorre riconoscere i diritti, compresi quelle di una maternità responsabile e di un accesso facilitato alla contraccezione. Rilanciare i consultori, difendere l’autodeterminazione delle donne, anche per l’uso della cosiddetta “pillola del giorno dopo”, se questa può evitare il ricorso all’aborto, evitando la sofferenza per una scelta difficile. Aiutare i percorsi di maternità anche quelli più difficili con mezzi più adeguati, alternativi a quell’idea aberrante della ruota anonima, in cui abbandonare i neonati, che sembra essere la risposta moderna di alcuni ospedali, come se una società non fosse in grado di accettare e di farsi carico delle difficoltà di una madre. Intervenire e rafforzare l’attività di prevenzione dei tumori femminili (ricordo il dato sulla prevenzione che dimostra, appunto, quali possono essere gli spazi di intervento di contrattazione); rivendicare il diritto di accesso alle terapie del dolore. Carta dei diritti per chi cura e per chi è curato, da inserire, come avevamo proposto, nelle carte dei servizi in cui siano elencati, rendendoli esigibili, servizi di formazione e supporto fisico e psicologico, di sollievo cui hanno bisogno le persone che curano, si pensi, in particolare, ma non solo, alle badanti; le donne che si prendono cura delle persone più deboli e che sono diventate così il supporto indispensabile ai servizi e alle famiglie per realizzare l’obiettivo della domiciliarità di cui parliamo. Una carta in cui si definiscano anche le caratteristiche dei servizi rivolti a chi ha bisogno di cura. Riconoscere dignità e valore al lavoro di cura, ribadendo il nostro no all’aumento dell’età pensionabile delle donne. La differenza dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia non può essere contrabbandata come un privilegio. E i dati lo confermano. Il 64 per cento delle pensioni delle donne è inferiore ai 700 euro contro il 26 per cento degli uomini: è questo il risultato di una vita lavorativa fatta di discontinuità. L’uscita effettiva dal lavoro è più alta per le donne rispetto a quella degli uomini, poiché andare in pensione di anzianità è per le donne ancora un obiettivo lontano! La differenza di età è oggi l’unico, parziale riconoscimento del valore sociale 20 L’età delle scelte Relazione introduttiva del lavoro di cura. È inaccettabile l’ipotesi di compensare, con l’aumento di qualche mese di copertura previdenziale la maternità, l’abolizione del differenziale. Come se il lavoro di cura potesse esaurirsi nel solo, importantissimo, impegno di cura ai bambini, che va sicuramente rafforzato con tutele e servizi, investendo nei nidi, nelle scuole d’infanzia: ricordo la bella proposta di legge “da zero a sei anni” da sollecitare e da finanziare. E tutto il resto della cura, quello verso gli anziani e la famiglia di cui le donne si fanno carico sostituendosi ai servizi che non ci sono, o sono del tutto insufficienti? Il nostro è un no convinto anche a chi sostiene la necessità di aumentare l’età pensionabile perché le donne vivono più a lungo; ed è giusto, allora, che lavorino di più. È inaccettabile perché, così, si annulla quel principio di parziale riconoscimento del ruolo sociale del lavoro di cura che le donne sostengono, anche se lavoratrici, sommando lavoro a lavoro, fatica a fatica. Un riconoscimento che vogliamo, invece, sia esteso anche dal punto di vista economico e previdenziale, per far emergere dall’invisibilità il lavoro di chi è costretto, proprio dalla mancanza e insufficienza dei servizi, ad abbandonare il lavoro per dedicarsi alla cura dei propri cari (bambini, genitori anziani, portatori di handicap, non autosufficienti eccetera). Cerchiamo, insieme con le altre donne del sindacato, ma non solo, di individuare e definire le modalità per farlo. Pensiamo che una delle strade possa essere quella, come più volte sostenuto, dell’iscrizione al “fondo del lavoro di cura” da modificare, con una parte di contribuzione figurativa e una volontaria, risolvendo così l’annosa questione delle posizioni silenti. Lavoriamo poi perché sia applicato quanto previsto dalle leggi sui congedi parentali, da ampliare per la cura delle persone anziane, oltre all’individuazione, delle politiche, dei provvedimenti, dei servizi che possano rafforzare la cultura della condivisione sociale del lavoro di cura. Il lavoro di cura non va mai in pensione, anzi, riempie il tempo liberato dal lavoro da cui è difficile, per cultura, per bisogno, sfuggire. Del resto, nessuno di noi vuole questo, perché il lavoro di cura è sì fatica, ma è anche amore, gioia del donare e del ricevere, è la costruzione di relazioni che rafforza i rapporti con le persone che ci stanno intorno. Vorremmo, però, che diventasse una libera scelta sostenuta appunto attraverso servizi che ne esaltano il valore. In questa direzione e con questa ottica pensiamo sia necessario scrivere le nostre piattaforme rivendicative, chiedendo più risorse per i servizi, piuttosto che trasferimenti monetari, cui si ricorre troppo spesso, ma che non risolvono i problemi, non cambiano la cultura prevalente che pretende di ridurre a fatto privato la necessità di cura. Servizi per la non autosufficienza, di conciliazione dei tempi di cura e di lavoro con cui le donne, le famiglie devono giornalmente fare i conti. È necessario intervenire, attraverso una diffusa contrattazione sociale, per ridisegnare le nostre città e i nostri quartieri, utilizzando strumenti e leggi, come quella sui tempi. Vogliamo discutere, e contribuire a individuare priorità e a determinare le scelte, in modo tale che le risorse previste in Finanziaria si traducano in provTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 21 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil vedimenti che cambiano la qualità della vita, a cominciare dai nidi (non accontentandosi però solo di quelli aziendali, sia pure aperti al territorio, assolutamente insufficienti se teniamo conto delle caratteristiche occupazionali, e delle dimensioni delle aziende, dei bisogni delle nostre comunità). Sono questioni, sulle quali, ovviamente, non abbiamo la pretesa di avere l’esclusiva, sia per le implicazioni che comportano, oltreché per i costi e perché vanno al di là delle “rivendicazioni per le sole pensionate”. Possono, però, rappresentare la base, il contributo, lo ripeto, per il rilancio di una “politica delle donne”. Possiamo, allora, provare a farlo insieme, donne, pensionate e lavoratrici per conquistare per tutte un tempo liberato dalla doppia fatica che oggi pesa sulle donne pensionate che sono insieme madri e figlie e che si ritrovano a dover curare contemporaneamente nipotini e genitori? Potrebbe essere questa la base di quel patto tra lavoratrici e pensionate, di cui parlava Betty, sullo speciale di Rassegna sindacale dell’8 marzo, per progettare e programmare i servizi comunali, per una contrattazione sociale sui costi dei servizi. Un patto che aiuti le giovani lavoratrici a combattere nei luoghi di lavoro perché sia applicata pienamente la legge 53 e per rivendicare nei territori l’applicazione di quelle parti della legge che riguardano i tempi delle città, gli spazi per i bambini, i trasporti, i servizi pubblici. Care compagne, mi scuserete se riprendo, prima di concludere, parte delle questioni che avevo proposto all’inizio della relazione e che riguardano l’organizzazione. È, diciamo così, il vizio della vecchia scuola sindacale quella del “prima il progetto politico e poi gli strumenti per realizzarlo”. Me la cavo con poche battute rinviando l’ulteriore approfondimento al gruppo di lavoro, quello dell’organizzazione e degli strumenti del coordinamento che ha tra i suoi compiti (oltre alle modifiche del regolamento) anche quello di individuare e definire le proposte di lavoro che attendono i coordinamenti; insieme, ovviamente alle diverse strutture dello Spi. Tralascio, ovviamente, tutta la parte già affrontata e relativa alla necessità di modificare nei tempi, nelle modalità il lavoro delle nostre leghe, dei servizi e dei recapiti. Tralascio anche di ricordare che il coordinamento è stato ed è lo strumento, il modo per facilitare la presenza e il protagonismo delle donne. Un riconoscimento non formale, significativo, lo ricordo c’è stato al Congresso. Riprendo invece, quei nodi e quelle questioni che sono state oggetto di discussione appassionata nelle nostre assemblee, individuando in essi le priorità su cui impegnare i gruppi dirigenti Spi. - La costituzione dei coordinamenti a tutti i livelli con un’attenzione particolare alle leghe: è questo il punto più delicato e insieme più interessante del nostro lavoro. È a questo livello, infatti, che la presenza delle donne è più forte ma è dove si incontrano le maggiori difficoltà per riconoscere piena agibilità politica alle donne e ai coordinamenti (da riconoscere e garantire attraverso risorse, strumenti, tempi), per realizzare l’idea del luogo aperto, del luogo che aggrega. 22 L’età delle scelte Relazione introduttiva - Il diritto di proposta dei coordinamenti nella scelta della responsabile. - Il riconoscimento del ruolo delle responsabili dei coordinamenti, dirigenti sindacali a tutti gli effetti. - L’attività di formazione dedicata che sostiene i percorsi e l’assunzione di responsabilità che aiuta il rapporto delle donne con il sindacato, non solo per chi la militanza l’ha scoperta o ritrovata da pensionata, e che va utilizzato come un investimento per una politica dei quadri. È il patto tra il sindacato e chi si mette in formazione che riproponiamo perché possa diventare un supporto per quel progetto sui gruppi dirigenti di cui parlavo. - La necessità che le politiche di genere siano inserite nei percorsi formativi dello Spi per creare una cultura delle politiche di genere proprio per il valore che esse rappresentano per lo Spi. - La presenza nelle segreterie delle responsabili dei coordinamenti che non può che essere il risultato di una coerente scelta politica dei gruppi dirigenti. - Il rapporto con i dipartimenti in modo che sia praticata pienamente l’impostazione sulla contrattazione di genere. Care compagne e cari compagni, permettetemi ancora una battuta, prima di concludere. Con l’assemblea di oggi termina il mio mandato di responsabile nazionale del coordinamento. Sono stati otto anni di lavoro intenso che abbiamo fatto insieme per dare al coordinamento piena agibilità. Di questo vi devo ringraziare, insieme alle segreterie, prima di tutto, quella nazionale e a Betty Leone in particolare. È stato un viaggio lungo e, questa volta, utilizzo per me la metafora del viaggio che ho usato in qualche assemblea, per ricordare il percorso del Coordinamento delle donne dello Spi. Un viaggio collettivo che ho percorso insieme a tutte voi, tappa dopo tappa, da Chia a Viareggio, a Pesaro, oggi a Montesilvano, scegliendo le parole d’ordine che potevano dare di più l’idea del protagonismo delle donne che si esercita attraverso proposte concrete, definizione di obiettivi per provare a scrivere i contenuti di una politica di genere per difendere e conquistare i diritti. Anche la parola d’ordine della nostra assemblea di oggi, “L’età delle scelte” declinata con titoli significativi: tempi, lavori, relazioni e nuove libertà, precisate con gli appunti che ci hanno guidato nel percorso ricchissimo di partecipazione e di contributi che evidenziano la crescita quantitativa e qualitativa delle donne. L’età delle scelte per sottolineare che anche per le pensionate e le donne anziane questa può e deve essere ancora l’età del protagonismo in un sindacato che sulla partecipazione e il protagonismo delle donne e degli uomini trova la sua ragion d’essere, il suo valore. Può sembrare un paradosso: la vita delle donne è scandita proprio dalle scelte, a volte facili, a volte difficili, nella vita, nel lavoro, negli affetti, nell’impegno sociale e politico. Riaffermarlo è significativo della voglia, della determinazione a cambiare, guardando al futuro. Il bagaglio che mi ritrovo con questo viaggio si è arricchito di conoscenza, di solidarietà, di valori, di nuova determinazione, penso a quella straordinaria Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 23 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil esperienza umana, di solidarietà che è stata la campagna “Cerco una nuova amica” realizzata a Mostar, Prijedor, Sarajevo, nei campi profughi afgani, nel Darfur e con il “Coraggio del dialogo” in Palestina e Israele; che ci permette oggi di cercare nuove amiche in Algeria. E ancora, alle iniziative sulla memoria, realizzate con le ricerche, con le esperienze teatrali, con la valorizzazione delle memorie individuali, delle storie personali e collettive, un arricchimento per la storia dei 100 anni della Cgil, un aiuto a rinsaldare rapporti fra generazioni. Per ultimo, al modo con cui abbiamo affrontato il tema badanti. Proprio a loro, a cui abbiamo delegato il compito più delicato e difficile come la cura e le relazioni con i nostri cari. Abbiamo capito, aprendo le nostre sedi, intessendo rapporti di solidarietà e amicizia, richiedendo per loro il riconoscimento di diritti, quanto appropriata fosse la nostra campagna “Donne come noi ma con meno diritti”; lo abbiamo capito conoscendo le loro storie di vita e le loro sofferenze di donne e di madri, il disagio, la solitudine, spesso l’ostilità di vivere in ambienti non sempre accoglienti. Anche questo ci ha ulteriormente convinte su quella che è stata l’idea forte del coordinamento, il riconoscimento del valore della cura e della Carta dei diritti per chi cura e per chi è curato, e poi l’insieme delle nostre proposte per la contrattazione di genere. Anche loro sono le destinatarie della nostra iniziativa. Anche per loro il nostro luogo aperto ha rappresentato un punto di aggregazione e di accoglienza. È questo il bagaglio che mi ritrovo alla conclusione del mio viaggio. Un viaggio reso più agevole dalla collaborazione, dalla pazienza, in particolare di Marina, Lia, Mirella, Silvia, Marilena e Mara, dal sostegno di tutte voi. È stato arricchito, di conoscenze, di solidarietà e di nuova determinazione. Per tutto questo vi ringrazio. A tutte voi, care compagne, e in particolare al nuovo Coordinamento e alla compagna che ne assumerà la responsabilità, gli auguri per il nuovo viaggio e le nuove mete, con la consapevolezza che sapremo affrontare e superare le sfide che ci attendono. Ancora grazie e buon lavoro. 24 L’età delle scelte Interventi 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 25 Graziana Delpierre segretaria nazionale Uilp Uil C are compagne e cari compagni, voglio cominciare ringraziando Gabriella Poli per l’entusiasmo e il tanto lavoro che ha messo in questa bella relazione. Per quanto mi riguarda, vi porto semplicemente un saluto affettuoso: tanti visi che vedo in questa platea li ho già incontrati nei miei lunghi anni di lavoro nel sindacato pensionati, in assemblee e in altre occasioni. Capisco che apparteniamo a “sigle” diverse, ma penso che noi siamo ugualmente compagne, con gli stessi ideali, le stesse motivazioni, gli stessi scopi. Malgrado la diversità dei percorsi organizzativi e di quelli individuali, tante vicende e battaglie trasversali ci hanno visto da cinquant’anni, noi che siamo un po’ meno giovani, per le strade, nelle piazze, insieme, sempre insieme. Credo che questa sia in assoluto la cosa più importante. Purtroppo abbiamo ancora tante questioni in sospeso e forse avremmo voluto che la nostra, oltre che essere l’età delle scelte, fosse anche quella in cui non ci si ponessero più tanti problemi per vivere, per sopravvivere. Pensavamo che le nostre figlie, i figli e i nipoti non avrebbero dovuto continuare ad affrontare problemi ogni giorno più emergenti, perché pensavamo che le tante lotte combattute avrebbero finalmente assicurato un mondo diverso. Per quanto riguarda la difficoltà di questo momento, anche se pare che le cose comincino ad andare un po’ meglio, credo che competa ancora una volta alle donne e agli uomini pensionati la responsabilità di spiegare alle persone che qualche cosa di positivo è successo e altro sta succedendo. Non possiamo essere noi quelli che fomentano qualunquismo, disfattismo e abbandono. Abbiamo con fatica portato al governo del Paese le persone che abbiamo scelto e ora dobbiamo aiutarle continuando a essere quanto più possibile laici nell’analizzare le nostre scontentezze e le difficoltà che attraversiamo, perché otto, dieci mesi non sono sufficienti per rovesciare il disastro che questo governo ha dovuto affrontare. È stata la nostra scelta e mi auguro che le vicende politiche che si snoderanno nei prossimi giorni non intacchino la compattezza e la forza del sindacato, la nostra capacità di lavorare insieme. Molte di noi, come me, sono venute da altri lidi e sono confluite in una forza politica che oggi ci vede tutte insieme. Spero che questo continui anche nel prossimo futuro perché noi siamo sindacato e abbiamo assunto delle responsabilità verso le persone che rappresentiamo: credo che neanche divergenze politiche possano consentirci il lusso di prendere strade diverse. Noi siamo insieme, questa è la nostra forza. Vi ringrazio e vi saluto. 26 L’età delle scelte Bernadette Rigaud (Istituto per il Mediterraneo) a nome delle invitate: Zora Mimiche (Commissione donne UGTA, Algeria) e Malika Chettoubh (RACHDA, Algeria) Il Progetto Aida: un’esperienza di collaborazione e di solidarietà tra le due rive del Mediterraneo I nnanzitutto, insieme alle nostre amiche algerine, Malika Chettoubh, dell’associazione femminile RACHDA, e Zora Mimiche, della Commissione Donna del sindacato UGTA, siamo felici di partecipare a questo incontro per parlare del “Progetto Aida: Azioni per l’integrità fisica, i diritti umani e l’autonomia delle donne”. Ringraziamo in particolare le donne dello Spi Cgil per averci invitate e soprattutto per il loro costante sostegno al progetto. In un momento storico in cui sembra forte la tentazione di cedere alle contrapposizioni,‘culturali’ o ‘religiose’, un’iniziativa come questa esprime il desiderio di conoscersi e scambiare pratiche e teorie in una relazione dinamica che ha come punto di partenza l’uguaglianza tra le donne delle due rive del Mediterraneo nel rispetto delle specificità locali. Nell’ambito di una storia che è spesso raccontata solo come un susseguirsi di conflitti, vorremmo dunque parlare di un’esperienza di collaborazione e solidarietà, coordinata dall’Istituto per il Mediterraneo (Imed) e realizzata con il contributo della Commissione europea, dello Spi Cgil e della Regione Campania. Questo progetto è il frutto di diversi anni di lavoro comune in Maghreb della Rete Med Espace Femmes. L’iniziativa per la difesa e la promozione dei “Diritti di cittadinanza delle donne in Maghreb”, infatti, è stata avviata da oltre un decennio e ha visto la collaborazione dell’Imed con associazioni di donne e organizzazioni sindacali di Algeria, Marocco e Tunisia. La scelta di fondo è stata quella di guardare alle donne non solo come soggetti deboli, bisognosi di tutela, ma di mettere in luce soprattutto la forza che molte esprimono nei diversi campi di intervento. Basti pensare al ruolo che esse hanno svolto in Algeria nella lotta di Liberazione contro la Francia o a quello giocato in tempi recenti dalle singole donne e dalle associazioni femminili nella lotta contro il terrorismo. Per non parlare del contributo, “invisibile” e pur tuttavia fondamentale, fornito dalla stragrande maggioranza della po- Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 27 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil polazione femminile per il sostegno economico e organizzativo della vita familiare. Un elemento comune ai tre paesi maghrebini e ad altri delle aree meno ricche del mondo. Denunciando la sopraffazione degli aspetti religiosi su quelli sociali e politici e il conseguente snaturamento dei significati originali di quella stessa dottrina, ponendo l’accento, in particolare, sulla posizione delle donne, è stata presa in considerazione la stessa cultura islamica. Questi e altri punti sono emersi con chiarezza dalla prima fase di studio e di ricerca, condotta ancora negli anni Novanta da esperte maghrebine e italiane, che è servita a delineare meglio le “azioni positive per i diritti di cittadinanza delle donne in Maghreb”. Sul piano propositivo, un punto di convergenza fra Algeria, Marocco, Tunisia è rappresentato dalle azioni pilota in favore delle donne nella prospettiva dell’empowerment; azioni, cioè, volte ad acquisire, a rendere visibili e pienamente riconosciuti e ad accrescere ruoli e poteri delle donne nei diversi ambiti della politica, dell’economia, della società nel suo insieme, della famiglia. Azioni capaci di incoraggiare innanzitutto le espressioni della libertà femminile, coinvolgendo gli uomini quali interlocutori per una “revisione” delle relazioni fra i sessi, dalla sfera privata e familiare a quella pubblica. La volontà di accrescere consapevolezza e capacità critica, a partire da un punto di vista delle donne sul mondo, sulla democrazia, sullo sviluppo, è, di fatto, un risultato che è delle e per le donne innanzitutto, ma che si deve estendere anche a tutti gli attori sociali. Le donne sono state al centro dell’azione in qualità di agenti sociali, che in questa fase storica più di altri divengono indicatori del livello di democrazia e di sviluppo di un paese. Sono state dunque realizzate delle azioni specifiche mirate, avendo al tempo stesso l’ambizione di influenzare la società civile e politica nel suo insieme. Per quanto riguarda la realtà dell’Algeria, la scelta è stata quella di non lavorare sull’emergenza, determinata nel decennio scorso dal terrorismo, ma di agire per e nella “normalità”, dando vita ad azioni che possano avere uno sviluppo autonomo nel corso del tempo per una migliore qualità della vita quotidiana delle donne. Così è nata “Nedjma”, la Casa delle donne di Costantina, all’inizio del 2003, dopo le Case delle donne di Tangeri e di Tunisi aperte nel 2001. Il percorso intrapreso ha portato a dare vita, nel 2005 e 2006, a una nuova fase di lavoro: non più sui diritti di cittadinanza in generale bensì sui diritti economici e sull’affermazione pragmatica degli stessi da parte delle donne. Il Progetto Prisme, “Promozione e sostegno dell’empowerment economico delle donne in Maghreb”, prendendo atto delle esigenze emerse nel corso delle fasi precedenti, ha svolto un’azione mirata a rafforzare il ruolo delle donne nell’ambito della sfera economica e professionale. Tutto ciò è parte fondamentale di un processo globale di self-empowerment poiché riguarda la valorizzazione e la visibilità del lavoro professionale, la valorizzazione e la presa in carico del lavoro di cura, ossia il riconoscimento del ruolo socio-economico delle donne per se stesse, per la famiglia e per tutta la società. 28 L’età delle scelte Interventi Con il Progetto Aida, iniziato nel luglio 2006, si è voluto affrontare in particolare il grave problema della violenza nei confronti delle donne in tutte le sue forme, da quella perpetrata in strada a quella subita in famiglia o nei luoghi di lavoro, cercando di mettere a punto strumenti di prevenzione, di emersione e di denuncia ma anche di sensibilizzazione. Sono state proprio le donne che si sono rivolte alla Casa Nedjma a trovare le parole per raccontare il grave problema che devono affrontare nel silenzio e nella solitudine, esprimendo anche, però, il desiderio di uscirne e di intraprendere un percorso di vita alternativo con il sostegno della società civile. È così che è nata l’idea di realizzare la Casa rifugio Dar El Hana, il cui indirizzo sarà segreto, che accoglierà le donne in difficoltà e le accompagnerà nella elaborazione di un nuovo percorso esistenziale. Il Progetto Aida può contare su un partenariato molto ampio, sparso su entrambe le rive del Mediterraneo, che vede insieme le associazioni di donne e i sindacati, nonché gli enti locali che svolgeranno un ruolo fondamentale, soprattutto in una prospettiva di scambio di esperienze e di buone pratiche fra le due rive del Mediterraneo. Tra le attività svolte da Nedjma nel corso di questi anni, ne vogliamo ricordare alcune in particolare: l’accoglienza presso i suoi quattro sportelli (giuridico, psicologico, sociale e diritto del lavoro) di oltre 700 donne, di cui 69 vittime di violenze tra le mura domestiche e di molestie sul posto di lavoro, seguita dal sostegno psicologico e giuridico per una buona parte di loro. Varie iniziative di sensibilizzazione, rivolte principalmente alle ragazze e ai ragazzi, sui temi della cittadinanza, del genere e del rispetto dell’altro. Inoltre c’è stato un intervento delle militanti di Nedjma in un quartiere disagiato che ha permesso di “accompagnare” un gruppo di donne di uno dei quartieri popolari più poveri, El-Guemmas, verso l’autosufficienza e la creazione di microimprese da loro gestite. La prossima tappa sarà, in settembre, l’apertura della Casa rifugio; un luogo che rappresenterà, per le donne che vi saranno ospitate, una luce di speranza per il futuro e la possibilità di riprendere in mano la propria vita e avviare un nuovo percorso di autonomia e libertà. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 29 Elisa Castellano presidente Progetto Sviluppo Cgil I nnanzitutto vi ringrazio per l’invito a partecipare a questa vostra assemblea di donne. Ho colto con molto interesse l’invito per diverse ragioni, la principale delle quali è rappresentata dall’importanza che Progetto Sviluppo riconosce al tema “cooperazione internazionale e politiche di genere”. Questo tema segna la collaborazione tra Progetto Sviluppo e sindacato pensionati così come la collaborazione tra Progetto Sviluppo e altre federazioni nazionali di categoria, Cgil regionali, Camere del Lavoro. Una collaborazione valida per sviluppare e rafforzare gli obiettivi di cooperazione internazionale di Progetto Sviluppo di affermazione dei diritti umani, di contrasto e superamento delle discriminazioni, di lotta alla povertà, di soluzione dei conflitti. A Progetto Sviluppo siamo convinti che è necessaria una strategia e una pratica di cooperazione internazionale che deve assumere: - la relazione tra la condizione delle donne e la riduzione sostenibile della povertà; - la relazione tra la pace e l’emancipazione delle donne e la loro partecipazione ai processi decisionali; - la relazione tra la protezione dei diritti umani fondamentali e la parità tra donne e uomini; - la relazione tra protezione dei diritti umani e contrasto alla violenza contro le donne e alla tratta delle donne. In questo quadro Progetto Sviluppo ha in corso programmi in diverse parti del mondo che prevedono il sostegno all’associazionismo, l’aiuto alla capacità professionale delle donne, la promozione del diritto alla salute e alla maternità, l’aiuto all’auto-impiego. In questi ultimi tempi l’insieme è collocato nell’ambito della campagna dell’Organizzazione internazionale del lavoro “per il lavoro dignitoso”. Tutta la rete di Progetto Sviluppo è impegnata a sostenere il principio secondo il quale non esiste sviluppo sostenibile se esso non contempla il contrasto alle discriminazioni contro le donne. Dicevo di importanti programmi che sono in corso: - in Mozambico, nel Distretto di Morrumbala, per il rafforzamento dell’associazionismo tra donne nelle zone rurali; - in Eritrea, nella regione del Gash Barka, di supporto alle attività agricole con particolare riferimento alle donne; - in Serbia centrale sia il programma per rafforzare le politiche a favore degli anziani sia il programma per una “rete di centri diritti” hanno come obiettivo centrale il miglioramento della condizione delle donne. Nell’ambito del programma per la realizzazione di una rete di “centri diritti”, ha assunto un rilievo particolare la tutela del diritto alla maternità che rappresenta il contenzioso giuridico-legale prevalente; 30 L’età delle scelte Interventi - in Perù il programma in corso con il sindacato CGTP e con l’istituto sindacale Iesi ha varie fasi che sono incentrate sulle politiche di genere, sia che il riferimento sia una nuova legislazione per l’impiego che un nuovo sistema pensionistico; - in Cile il programma con alcune comunità indigene dei Mapuche prevede un fondo di microcredito per gruppi di donne. Più recentemente ho potuto approfondire importanti iniziative che sono in corso in India nelle regioni del Tamil Nadu e del Gujarat e le fotografie che stiamo proiettando riguardano proprio le missioni fatte in quei luoghi. Nel Tamil Nadu, dopo il maremoto del dicembre 2004, Progetto Sviluppo partecipa a un programma di ricostruzione e di sostegno allo sviluppo locale nei villaggi del distretto di Nagapattinam. In questo ambito hanno un particolare rilievo la ricostruzione di un centro per la formazione professionale e l’educazione scolastica che abbiamo voluto dedicare al compianto Angelo Airoldi secondo una decisione presa d’intesa con il Caaf Nord-Est che ha contribuito destinando proprie risorse. Le ragazze che frequentano il centro sono numerose e i programmi didattici sono finalizzati a esse. Un altro impegno importante è quello della riabilitazione della pesca artigianale nelle cui attività è fondamentale il ruolo delle donne che sono, soprattutto, dedite alla conservazione e al commercio del prodotto. Nel Gujarat, invece, abbiamo in corso delle micro-iniziative con Sewa che è un’organizzazione sindacale di donne per le donne e per la costruzione della loro leadership in loco. Le attività di Sewa vanno dal credito attraverso un proprio istituto bancario all’organizzazione di cooperative di donne, dall’educazione per le adolescenti all’alfabetizzazione per le donne adulte analfabete. Infine, è in fase di avvio un programma in territori libanesi in compartecipazione con Arci e, in loco, con il sindacato Fenasol e con la Ong Secours Populaire. Questo programma di ricostruzione sociale è indirizzato per buona parte alle ragazze, soprattutto, con riferimento all’orientamento al lavoro. Per finire voglio sottolineare l’importanza della collaborazione tra Progetto Sviluppo e Spi, come ho già detto in apertura del mio intervento. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 31 Tavola rotonda 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 33 La politica e i luoghi delle donne: esperienze sindacali a confronto Partecipanti: Carla Cantone, segretaria nazionale Cgil Susanna Camusso, segretaria generale Cgil Lombardia Giovanni Cazzato, segretario nazionale Spi Cgil Susanna Florio, responsabile dell’Ufficio europeo della Cgil e componente del Comitato economico-sociale Unione europea Coordina Mara Nardini, Coordinamento nazionale donne Spi Cgil Mara Nardini Q uesta assemblea nazionale si colloca fra due scadenze importanti: viene dopo i congressi (quello dello Spi e quello della Cgil di Rimini) e precede la Conferenza d’organizzazione prevista nel 2008. Questa collocazione ci consente di partire dai risultati dei congressi e dalle strategie che hanno indicato, per guardare alla Conferenza d’organizzazione come occasione di concretizzazione degli obiettivi e di messa a punto degli strumenti per perseguirli. Per quanto riguarda lo Spi, i risultati prodotti grazie al Coordinamento donne sono riconosciuti e lo stesso congresso dello Spi ha sancito un salto di qualità nelle scelte organizzative e nelle modifiche statutarie, inserendo il coordinamento e l’assemblea delle donne fra gli organismi di rappresentanza e consultazione e assumendo la norma antidiscriminatoria come vincolo per la composizione dei gruppi dirigenti con l’obiettivo di fare dello Spi un sindacato paritario. La crescita politica del coordinamento pone con forza alle stesse compagne dello Spi l’esigenza di un proficuo rapporto con la Cgil e con le compagne delle categorie. Le donne dello Spi non vogliono essere né autosufficienti né autoreferenziali. Né lo potrebbero, visto che la condizione delle donne nell’età della pensione dipende per tanta parte dal percorso che le donne hanno nel lavoro. Dirò ancora di più: su molti temi vi è l’esigenza di un’alleanza strategica, un patto fra lavoratrici e pensionate. A partire da tale considerazione, la scelta di questa tavola rotonda serve a offrire uno spazio di discussione perché vogliamo in qualche modo sollecitare una riflessione sulle forme di organizzazione delle donne, perché se ne torni a discutere, misurandoci con il tema della rappresentanza nelle politiche e della rappresentatività di genere, cogliendo l’occasione della Conferenza d’organizzazione. 34 L’età delle scelte Tavola rotonda Vorrei indicare brevemente alcuni quesiti che vogliamo porre. È utile far ripartire la discussione dalle premesse e cioè dalla domanda se c’è bisogno oggi di luoghi di elaborazione e confronto delle donne. Per le donne dello Spi la risposta positiva è ovvia. Porre la domanda sul piano generale, in particolare alla Cgil, deriva dalle seguenti riflessioni. Ci sembra evidente che esiste un gap fra le leggi italiane che riconoscono i diritti delle donne e la pratica che non li realizza sufficientemente (per esempio la legge 125 sulle pari opportunità ha prodotto pochissima contrattazione, la legge sui congedi parentali vede solo un esiguo numero di uomini usufruire dei congedi, l’articolo 9 della stessa legge ha prodotto solo poche centinaia di progetti in cinque anni). Allora è necessario porci il quesito se esiste un nesso fra la scomparsa negli ultimi anni di forme organizzate delle donne nella Cgil e il fatto che, dopo una stagione di conquista di leggi importanti, i progressi normativi si sono arrestati e le stesse leggi già acquisite non hanno prodotto risultati significativi. È verosimile che a tutto questo abbia contribuito la mancata spinta delle donne organizzate della Cgil, che in passato hanno sollecitato il sindacato a portare avanti rivendicazioni negoziali e normative? (Ricordiamoci che i cambiamenti avvengono quasi sempre prima sul piano contrattuale e sociale e poi sul terreno legislativo). Il luogo delle donne scelto dalla Cgil è il forum, che non gode attualmente di grandi consensi, forse con qualche ragione. Qualche esempio: Quando due anni fa c’è stato l’attacco della destra alla legge sull’aborto, la reazione non è partita dal Forum ma dalle compagne del sindacato in Lombardia; da qui è scaturito un movimento di donne che si è mobilitato contro questo attacco. Risulta allora evidente che la mancanza di iniziativa del forum non è causata da un’assenza del movimento. In questi mesi nel dibattito politico è entrata con forza la proposta di innalzare l’età pensionabile delle donne, sostenuta anche da esponenti del governo. Inoltre la proposta di riconoscimento delle unioni di fatto, che interessa le donne anche in quanto componente socialmente più debole della coppia, suscita nel paese reazioni preoccupanti e una discussione con implicazioni molto rilevanti sul terreno della libertà femminile. Di fronte a questi eventi non c’è stata un’iniziativa del forum per promuovere confronto, prese di posizione, possibilità di mobilitazione. Il quesito a cui rispondere, quindi, è se c’è un deficit di iniziativa delle donne della Cgil e se questa deriva dalla scelta di una forma quale il forum. L’assenza di un luogo organizzato come ha influenzato le politiche? Propongo di sentire prima Carla Cantone e poi Susanna Camusso. Carla Cantone Credo che abbia fatto bene Mara a iniziare la tavola rotonda con le valutazioni che ha fatto, sono questioni che voi avete dibattuto in queste giornate di impegno e di lavoro. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 35 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Per cominciare, un primo dato: penso che sia rallentato l’impegno su nuove conquiste perché è aumentato l’impegno per difendere quelle conquiste. Non possiamo dimenticare che cosa è avvenuto nel nostro paese negli ultimi cinque, sei anni; non potevamo aspettarci da un governo di destra, liberista, che si mettesse a disposizione per una nuova legislazione a favore delle donne. Abbiamo dovuto utilizzare le nostre forze per difendere conquiste che si volevano cancellare, che riguardano le donne e l’insieme del mondo del lavoro. Secondo dato: abbiamo dovuto lottare e imporci contro una Confindustria (e non solo) che in questi ultimi anni ha tentato in tutti i modi di ridurre ruolo, compiti e funzioni dei livelli di contrattazione. Anzi, ha tentato di impedire anche solo la possibilità che le organizzazioni sindacali, a livello nazionale, nel territorio e nei luoghi di lavoro, portassero a casa dei risultati sulle parti normative dei contratti; quello spazio per noi così importante perché riguarda le condizioni di lavoro, orario, inquadramenti, proprio gli aspetti che toccano anche la condizione della donna. Anche nella contrattazione sociale abbiamo avuto, e abbiamo ancora, problemi non indifferenti. Non solo per avere a che fare con delle amministrazioni di destra, ma anche con amministrazioni che dovrebbero essere più attente alle questioni che pone il sindacato e che pone anche lo Spi, che ha un forte ruolo nella contrattazione sociale. Quindi me la potrei cavare così: eravamo talmente impegnate a reggere l’urto che non siamo riuscite a realizzare altre conquiste. Però è troppo facile, perché questo rallentamento ha portato molta pigrizia anche fra di noi, e quindi lo scarso impegno del forum su determinati temi. È vero che, quando c’è stato l’attacco alla legge 194, il segretario generale della Lombardia, che è una donna, si è messa a capo del movimento “Usciamo dal silenzio”, provocando quella grande manifestazione a Milano, poi seguita da quella di Napoli e da altre. Va detto che il fatto che il segretario generale della Lombardia sia una donna è stato fondamentale, ma il fatto che ci sono donne nei posti di comando che contano è anche una conquista delle tante battaglie che hanno condotto le donne a tutti i livelli. Poi, conoscendola, so che Susanna Camusso avrebbe comunque organizzato delle iniziative, ma è stato determinante che agisse dalla postazione di direzione della struttura regionale Cgil più grande del nostro paese. Siamo ripartite da lì. Questo è accaduto per il semplice motivo che il forum delle donne è un “corpaccione” lento: per come è formato, per le difficoltà di convocazione derivanti dalla complessità di concordare nei gruppi dirigenti tempi e modi, è uno strumento “burocraticamente” complicato. Allora ci mettono meno tempo a muoversi le donne che stanno nei luoghi dove possono decidere rapidamente. Mi rendo conto che dire “poiché facciamo fatica al centro, meno male che l’iniziativa è rapidamente partita da altre strutture”, è una risposta che non risolve. Però ribadisco che è stata una fortuna avere avuto altri punti da dove sono partite prese di posizione che ci hanno aiutato. Certamente alla Confe36 L’età delle scelte Tavola rotonda renza di organizzazione dovremo interrogarci sul luogo delle donne, come Mara diceva e come ci siamo impegnati a fare con le compagne dirigenti a tutti i livelli dell’organizzazione, perché effettivamente così non può andare. Lo strumento del forum potrebbe anche restare, però dovremmo rafforzarne le regole affinché sia vincolato a funzionare in modo diverso da come ha funzionato negli ultimi anni. Poi ci sono strutture che hanno il coordinamento, altre hanno altre forme di rappresentanza. Il pluralismo è una risorsa, aiuta tutti a stare insieme, ma sicuramente dobbiamo affrontare i limiti degli ultimi anni con molta serenità e trasparenza, esaminando fra noi che cosa, nella forma organizzativa, non ha permesso un immediato intervento politico, per vedere come aggiustare il tiro. Questo è un impegno che ci siamo date tutte e alla Conferenza di organizzazione dovremo insieme portare delle proposte che ci consentano di superare quella crisi a cui Mara faceva riferimento. Superare questa crisi con qualche nuova idea è ovviamente interesse di tutte noi. Susanna Camusso Carla faceva un ragionamento, prettamente sindacale, sulle condizioni esterne all’organizzazione, partendo da politiche di governo e della Confindustria, e quindi del rapporto tra politiche e contrattazione. Io parto da un altro punto di vista, anche perché credo che la ricchezza dell’esperienza delle donne sia sempre stata anche quella di non guardare solo da un punto di vista, ma provare a metterci il proprio, che spesso parte da sé e dai modi in cui si vivono le cose, non solo dalla lettura della situazione politica. Allora io penso che il tema, per noi, sia: ci siamo riprese dalla sconfitta sul referendum sulla fecondazione medicalmente assistita? Prima o poi questa domanda dobbiamo farcela, anche per spiegarci come mai, invece, riuscimmo a lanciare il movimento di “Usciamo dal silenzio”. E perché “Usciamo dal silenzio” esiste ancora e perché una serie di cose si possono affrontare e vivono dentro una logica di movimento, mentre le logiche organizzate sono molto più complicate, e hanno speso se stesse, le loro sigle, la loro direzione in battaglie che non sono finite benissimo. Ancora: perché abbiamo perso il referendum sulla fecondazione medicalmente assistita? Non voglio fare una disamina tecnica ma provare a ragionare in quale contesto quel referendum si è inserito, che distanza c’era tra le ragioni per cui moltissime donne e organizzazioni della sinistra, la Cgil e il forum della Cgil, hanno sostenuto quel referendum; il tipo di campagna elettorale che c’è stata e che effetto hanno avuto le parole spese dagli altri e dalle altre. Credo sia bene tornare su una cosa che abbiamo forse un po’ dimenticato, e cioè che per la prima volta si è così significativamente perso un referendum in ragione del fatto che ai cittadini e alle cittadine si è chiesto di non partecipare al voto; che tale richiesta ha avuto un consenso straordinario e che, appena conseguito il risultato della non partecipazione, invece è stato tradotto nel fatto che le persone non erano d’accordo sui contenuti del referendum. È Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 37 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil stato dato per scontato che una richiesta di estraniazione dalla politica e dalle scelte coincidesse con un giudizio di merito. Ne consegue una riflessione: nel momento in cui vince l’idea che non si deve partecipare e che altri, e altre, decidono per tutte noi, lì c’è un pezzo dell’arretramento della libertà femminile. Non è un caso, secondo me, che dove abbiamo davvero perso è nel fatto che non si è riusciti a dire e a fare emergere che la legge 40 diminuiva i diritti delle donne. Non in tutto il resto, che apre anche discussioni complicatissime, perché su scienza ed etica non abbiamo le stesse opinioni, ma il punto è l’articolo 1 di quella legge, dove per la prima volta il legislatore dice esplicitamente che le donne hanno dei diritti diversi da quelli che hanno gli uomini, e quindi mette in forse l’uguaglianza dei diritti. È lì il punto, come è dimostrato poco tempo dopo con l’attacco alla legge 194, che era invece figlia di un’epoca in cui si è affermato che le donne sono esseri a pari diritto e in grado di decidere e di determinare autonomamente le proprie scelte. Ma se questo è il punto, è la Cgil in grado di essere la promotrice delle iniziative che servono per intervenire su questo piano? Me lo sono chiesto molto spesso, e mi sono sentita chiedere perché a promuovere l’iniziativa fosse un movimento e non la Cgil Lombardia in quanto tale, e mi sono anche domandata se gli effetti sarebbero stati diversi. È vero che quella manifestazione era ampiamente attraversata dalla Cgil e dalle sue strutture, soprattutto dalle donne dello Spi, ed è indiscutibile che la Cgil sia stata fondamentale nella riuscita di quella manifestazione. Ma se fosse stata organizzata dalla Cgil, o da un luogo delle donne della Cgil, avrebbe avuto lo stesso senso e la stessa dimensione? Devo dire, con molta serenità, che penso di no: sarebbe stato un punto parziale che non avrebbe riaperto la discussione generale del movimento delle donne, come poi è avvenuto, e avrebbe riportato una discussione sul diritto di cittadinanza generale, nei termini del diritto sociale o del diritto del lavoro. Noi abbiamo un problema: la relazione con le donne, nel senso più lato possibile, avviene sul tema centrale dei diritti di cittadinanza, mentre su questi la costruzione della Cgil deriva sempre dal mettere in fila diritti sociali e diritti del lavoro. Io invece credo che ormai è epoca di rovesciare il processo: sono i diritti di cittadinanza quelli che determinano le condizioni di riuscita, di successo, di applicazione e di uguaglianza anche dei diritti sociali e del lavoro. È alla luce di questo che mi spiego quanto diceva Mara sull’altissimo livello di legislazione che abbiamo e una pratica che arretra. Se guardiamo non solo alla 194 ma ai dati sull’applicazione della legge sulla maternità, che diamo tutte per scontata e consolidata, e andiamo a vedere le dimissioni in bianco incentivate e i licenziamenti di fronte al primo o al secondo figlio, ci rendiamo conto che lo scarto è molto alto. Quello scarto è risolvibile solo in una lettura dei diritti del lavoro pregiudicati? Oppure l’arretramento intervenuto nella libertà delle donne è tale che non ci permette di recuperare sul solo piano dei diritti del lavoro e dei diritti sociali? Questa è la domanda importante da porsi, per poi arrivare ai luoghi che servono alle donne. Che sono anche spesso dei luoghi piacevoli per pen38 L’età delle scelte Tavola rotonda sare e discutere di cose di cui altrove non si pensa e non si discute, ma i luoghi non sono astratti. Non è un caso che una riflessione da fare è che, mentre continuano a vivere coordinamenti di categorie, nello Spi e in alcune altre, ciò che è entrato in difficoltà è l’idea che la confederazione organizzava anche dei luoghi delle donne. Poi penso che bisognerebbe evitare di riaprire una discussione che ha attraversato molti anni della mia esperienza, tutta nominalistica, per cui, se ci chiamavamo “coordinamento” andava bene, però se eravamo il “forum” andava meglio, se poi facevamo il mainstreaming eravamo bravissime. Quella discussione lì, sinceramente, vorrei non rifarla, perché penso che non porti da nessuna parte. Vorrei invece una discussione diversa, cioè: come è cambiata profondamente l’organizzazione rispetto a quando abbiamo inventato i coordinamenti. Quando io, come tante di quelle che sono qui, discutevo su quali forme organizzate, da nessuna parte era immaginabile che ci sarebbero state segretari generali donne di grandi confederazioni regionali. Non era pensabile. Era scontato ed evidente che il segretario generale dello Spi era un uomo e non ci sarebbe stata una Betty Leone. Questa organizzazione è profondamente cambiata. Questo basta? Assolutamente no. Detto che non ci basta, bisogna anche sapere che non possiamo riproporre gli strumenti e le discussioni che facemmo quando eravamo assolutamente marginali e invisibili nell’organizzazione. Bisogna anche avere un po’ di orgoglio della propria storia e delle conquiste che sono intervenute. Poiché io penso che dobbiamo superare la norma antidiscriminatoria e avere la pari rappresentanza (lo penso per la politica e ovviamente anche per il sindacato), penso che la Cgil debba saperla assumere da tutti i punti di vista, senza costringermi in un luogo che deve “condizionare”. Il mio modo di condizionare deve profondamente cambiare. La dico brutale: penso che sia finita l’epoca delle quote, delle tutele e dei recinti. Siamo cittadine del mondo. Mara Nardini Vorrei sentire su questo l’opinione di Susanna Florio, aggiungendo anche un’integrazione alla discussione. Poiché non tutte conosciamo bene la realtà europea, vorrei chiederle, oltre all’interlocuzione con le cose appena dette da Carla Cantone e da Susanna Camusso, di parlarci di come sono organizzate le donne all’interno della Confederazione europea dei sindacati, del luogo e delle politiche delle donne della Ces. Susanna Florio Dopo l’intervento di Susanna Camusso, riportarvi alla freddezza delle politiche comunitarie e del Nord Europa non è facile. Allora cercherò di riferirmi a qualcosa di mediterraneo per dirvi che nel calendario delle iniziative della noTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 39 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil stra attività sindacale c’è un appuntamento molto importante: il congresso della Confederazione europea dei sindacati (la Ces) che si terrà alla fine di maggio a Siviglia. È importante perché si fa il punto non solo degli ultimi quattro anni, dal precedente congresso di Praga a oggi, ma anche della storia recente delle politiche comunitarie, cosa è successo durante la presidenza della commissione Barroso e con il nuovo Parlamento europeo. Qual è il quadro adesso e quali sono gli ostacoli o le nuove sfide per la Confederazione europea dei sindacati e, soprattutto, per le donne della Confederazione europea? È un quadro, in realtà, difficile. Posso dire che la Commissione europea è uno strano animale con due teste. Una è più rivolta al sociale e ha preso molto dalla conferenza delle Nazioni unite di dieci anni fa a Pechino, che aveva individuato dodici aree importanti su cui intervenire per difendere la posizione delle donne e per rilanciarne i diritti non solo nel mercato del lavoro ma nella società e nella vita quotidiana, in Europa e nel resto del mondo. Gli insegnamenti e gli obiettivi di dieci anni fa avevano portato la commissione a prendere delle decisioni importanti. Per esempio, uffici e dipartimenti per le politiche di pari opportunità in tutte le istituzioni europee e le direzioni generali della commissione (come dire, nei ministeri della commissione). Pertanto sono stati elaborati decine e decine di documenti a favore delle pari opportunità e annualmente vengono proposti i cosiddetti “documenti strategici”. Nel 2006 c’è stato un consistente lavoro di revisione complessiva di tutte le direttive che riguardano, in generale, le pari opportunità. Poi c’è l’altra testa della Commissione europea, che è quella che propone direttive che invece ostacolano e mettono in grandissima difficoltà le donne, nella loro attività lavorativa e nella loro vita privata. La lotta più importante che abbiamo fatto lo scorso anno, lo ricorderete, era quella relativa alla direttiva Bolkestein sulla libera circolazione dei servizi, che, liberalizzando e privatizzando, rendeva e rende molto più difficile l’accesso ai servizi e la loro universalità. Le più penalizzate sono quindi le donne. Un’altra direttiva che è stata respinta con un’importante lotta delle organizzazioni sindacali è quella che riguardava l’orario di lavoro. La direttiva del 1993 prevedeva una revisione dopo dieci anni; il documento proposto dalla commissione per questa scadenza diceva che occorre una maggiore produttività e flessibilità nel mercato del lavoro, cui corrispondere con maggiore elasticità nell’orario di lavoro settimanale, mensile e annuale; ciò significava che la conciliazione tra la vita privata e la vita lavorativa doveva comunque tenere conto delle diverse necessità delle imprese. È ovvio che le donne erano, in questo senso, certamente quelle più messe a rischio. Ancora oggi, in tutte i paesi dell’Unione europea, le donne continuano a risentire della doppia responsabilità, nella vita privata e nella vita lavorativa, e dunque la possibilità che l’orario di lavoro non avesse più limiti e andasse al di là persino dei contratti nazionali, metteva a rischio il diritto a un’esistenza dignitosa per le lavoratrici e per le donne dell’Unione europea. C’è stata una 40 L’età delle scelte Tavola rotonda buona alleanza strategica tra il Parlamento europeo e le organizzazioni sindacali europee e nazionali, e grazie a questo la proposta della commissione è stata respinta. Ho citato i due casi più eclatanti, ma i pericoli, naturalmente, continuano ancora a sussistere. Oggi sono ancora in discussione proposte di direttiva in materia di servizi sociali e di servizi sanitari, con tentativi da parte della commissione di lanciare verso il mercato settori che nel mercato non dovrebbero proprio entrare. In questo la Confederazione sindacale ha avuto certamente un ruolo da protagonista, ma sinceramente non posso dire che le donne siano state altrettanto protagoniste nella grande battaglia di questi mesi. Penso che il Comitato delle donne della Confederazione europea sia un luogo non del tutto valorizzato: non si investe quanto sarebbe necessario, in particolare in questo momento, e rimane comunque un luogo separato, non integrato nella attenta discussione che c’è nelle diverse strutture della Ces. Come partecipano le donne al processo che ci porterà al congresso di Siviglia: credo che anche qui ci sia una sorta di timidezza nell’investire nelle donne e nel gruppo dirigente femminile. C’è una proposta che vedrà come unica candidata, come presidente della Ces, una segretaria generale del sindacato svedese, e non credo, sinceramente, che una presenza femminile, in uno dei posti più importanti e più di rappresentanza, possa di per sé garantire la vecchia trasversalità che avevamo tanto proclamato, difeso e per la quale ci eravamo battute negli scorsi anni. Quindi un impegno in questo senso deve sicuramente essere presente anche da parte nostra, sia in termini organizzativi sia in termini più politici. Mara Nardini L’ intervento di Susanna Florio ci ha richiamato a una maggiore attenzione all’evoluzione della politica europea e a una maggiore efficacia dei luoghi delle donne in Europa. Ora passo la parola a Giovanni Cazzato, per sentire il suo punto di vista sul dibattito che si è svolto finora sui luoghi delle donne. Vorrei chiedere a Giovanni anche di dire la sua sull’impegno organizzativo del nostro sindacato. Con l’ultimo congresso lo Spi si è posto l’obiettivo di raggiungere, nell’arco di un mandato congressuale, la parità negli organismi di direzione e negli organismi di segreteria a tutti i livelli (a cominciare dalle leghe, guardando anche alle posizioni di massima responsabilità) e l’impegno ad applicare la norma antidiscriminatoria come vincolo per l’organizzazione. Penso che questo obiettivo si possa raggiungere solo mettendo in campo un’attenta regia organizzativa che, da un lato, faccia crescere una nuova leva di quadri femminili e, dall’altro, governi, anche attraverso la regola degli otto anni, e quindi con una capacità di previsione rispetto a queste scadenze, la sostituzione di quadri femminili ai quadri maschili. Solo in questo modo si può raggiungere l’obiettivo della parità senza allargare gli organismi dirigenti e le segreterie. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 41 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Nel 2008 ci sarà la Conferenza di organizzazione dello Spi. Il quesito che vorrei porre a Giovanni è come si intreccia questa scadenza con il progetto organizzativo per il sindacato paritario, e quale può essere il coinvolgimento del Coordinamento donne nel progetto. Giovanni Cazzato Mi voglio soffermare sulla prima parte della discussione, che riguarda la necessità del luogo delle donne. Qui vive l’esperienza dello Spi; un’esperienza irreversibile che, alla luce dei fatti, non possiamo pensare di sostituire per inventarne un’altra tutta da verificare. Questa esperienza ha dato molti risultati, possiamo dire che siamo soddisfatti ma non appagati. Il luogo delle donne è un bene per le donne, per le politiche di genere, ed è un bene per l’organizzazione. Quanto alle riflessioni che facevano prima Susanna Camusso e in parte Carla Cantone relativamente ai modelli, credo che dobbiamo abbandonare questa discussione. Ci siamo attardati a discutere del modello migliore: il migliore è quello che è in grado di rispondere alle esigenze che abbiamo, luogo per luogo, territorio per territorio, realtà per realtà. Con Carla abbiamo detto, impostando la discussione sulla Conferenza di organizzazione, di una flessibilità organizzativa che sia davvero capace di stare alla realtà. E penso quindi che questa esperienza, che è valida per lo Spi, non dobbiamo avere la presunzione di esportarla. Semmai dobbiamo avere l’orgoglio di averla realizzata. Con questo percorso le nostre compagne hanno lavorato direttamente, si sono misurate, si sono anche scontrate e hanno prodotto dei risultati assolutamente apprezzabili, sia sul piano interno sia sul piano della proiezione esterna della iniziativa sindacale. Naturalmente c’è da fare di più e meglio. C’è da fare di più, quando parliamo di contrattazione sociale di genere? Sicuramente sì. È un processo che abbiamo innescato e che bisogna sostenere, valorizzando modelli ed esperienze, quando sono positive, e innovando dove non lo sono. Mi riferisco anche al tema e alla discussione di carattere più generale, che la confederazione dovrà affrontare. La flessibilità del modello organizzativo attiene anche alla determinazione delle condizioni migliori per costruire la partecipazione, delle donne in questo caso. Tutti sanno che per lo Spi il tema della partecipazione è strettamente collegato all’innovazione politica che abbiamo introdotto con il congresso. E, prima ancora di pensare a un’organizzazione paritaria, abbiamo pensato a un’organizzazione che consenta la partecipazione di tutte e di tutti, per tutto l’arco della vita. Per la Cgil, questa non può che essere una scelta strategica. Così come si è fatta della Cgil “l’organizzazione della solidarietà e dei diritti”, possiamo ora anche dire “della partecipazione”. Per lo Spi parlare di partecipazione è basilare: quando si organizzano persone che hanno superato tante difficoltà, che lasciano il lavoro per limiti di età, che lasciano il lavoro di cura se la situazione 42 L’età delle scelte Tavola rotonda glielo permette, queste condizioni diventano essenziali di un nuovo protagonismo sociale, di una nuova forza che può essere impressa a tutta l’organizzazione. Torniamo al tema: come sviluppare questa scelta, forte, che abbiamo assunto con il congresso, quella di un’organizzazione paritaria. È chiaro a tutti noi la complessità di questo obiettivo, che in primo luogo è una sfida. Come fare? Alla luce delle discussioni fatte (ho avuto occasione anche di partecipare alle riunioni del Coordinamento donne Spi), penso che questa sfida si vince con due condizioni parallele. La prima è il rispetto rigido, senza se e senza ma, della norma antidiscriminatoria; la seconda è promuovere percorsi che rendano davvero credibile, da qui al congresso, l’avvicinamento all’obiettivo dell’organizzazione paritaria. Mentre possiamo dirci soddisfatti della presenza delle compagne negli organismi dirigenti, nei direttivi provinciali, regionali e nazionale, non altrettanto possiamo dire per le leghe. Ma la vera sfida è soprattutto negli organismi esecutivi. A questo si può arrivare attraverso diverse strade: si parla di pari opportunità, di formazione, di condizioni che possono favorire le scelte, per non trovarci di fronte al “vorrei ma non posso”. Ve lo dico io che sono, per mestiere, più impegnato nella costruzione dei gruppi dirigenti, a livello territoriale e regionale: il “vorrei ma non posso” è quello che io mi sento dire più spesso quando affrontiamo questi ragionamenti. Se può essere accettabile oggi, fra un anno, due, tre, lo sarà sempre meno. Naturalmente non possiamo mettere in campo la bacchetta magica, ma appunto quelle azioni positive che determinano la praticabilità dell’obiettivo. Noi siamo una grande organizzazione; per cui discutere di progetti, di obiettivi mirati, di azioni positive dovrebbe essere pane quotidiano. Non sarà facile, perché ampliare la presenza delle donne nell’organizzazione vuol dire conquistare una fetta di potere che oggi hanno altri. Mara Nardini La parola a Carla Cantone ponendo a lei la stessa domanda che ho fatto a Giovanni Cazzato, però da un altro punto di vista, ricordando un fatto rilevante, che Carla è la prima segretaria confederale che ha la responsabilità dell’organizzazione. Anche la Cgil intende modificare i gruppi dirigenti applicando la norma antidiscriminatoria; inoltre la segreteria confederale ha una composizione paritaria e questo assume un forte valore simbolico che rafforza l’impegno per quanto riguarda il resto dell’organizzazione. Quindi faccio a Carla la stessa domanda: quale progetto organizzativo per raggiungere la piena applicazione della norma e che connessioni ha con la Conferenza di organizzazione. Poi voglio rivolgere a Carla anche un altro interrogativo: noi siamo molto convinte della scelta del Coordinamento donne dello Spi come luogo aperto, abbiamo individuato una formula della quale siamo soddisfatte e la difendiamo, senza pensare che, come ha detto Giovanni, automaticamente rapTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 43 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil presenti il modello per tutta la Cgil. Però sentiamo fortemente l’esigenza che ci sia un luogo della confederazione che raccolga le esperienze, le metta a sintesi e rilanci il progetto politico di genere. Allora, senza cadere nei nominalismi, come diceva Susanna Camusso, resta il problema di arrivare a questo punto di riferimento confederale che lavori in modo diverso rispetto al passato. Ricordo che la scelta del forum avvenne a seguito di quella che fu giudicata un’involuzione dell’allora Coordinamento donne che, dopo l’assemblea di Venezia, perse l’ambizione principale di essere un luogo di confronto fra donne con percorsi e punti di vista diversi, esperienze diverse e diventando soprattutto un luogo di selezione dei gruppi dirigenti, composto come un Direttivo, con i medesimi criteri, che prescindevano dall’effettivo impegno nel lavoro di genere. Pertanto ci fu fra le donne una reazione contraria e prevalse, con la scelta del forum, l’esigenza di avere invece un luogo libero, aperto, di discussione. Però la modalità di realizzare quel luogo si risolse con una formula che nell’esperienza concreta ha mostrato gravi punti di caduta, un’episodicità e una rarefazione del confronto, una mancanza di continuità nell’iniziativa, l’impossibilità a fare rete e a fare sintesi delle diverse esperienze. Non chiedo a Carla la soluzione, perché la discussione ci deve ancora essere, ma come si possa sollecitare una discussione approfondita nella Conferenza di organizzazione che torni a pensare intorno a questi temi, per raggiungere un risultato più efficace. La parola a Carla. Carla Cantone Il problema non è ricominciare daccapo. La necessità di discuterne c’è e lo faremo. Come deve essere il luogo delle donne: aperto oppure no. Il forum è talmente aperto che è scomparso da solo. Bisogna prevedere degli argini attorno a questo luogo aperto, vincoli e regole per vedere come farlo funzionare. Dovremo discuterne durante il percorso della Conferenza di organizzazione, perché non la pensiamo tutti allo stesso modo e quindi bisognerà ragionarci e capire cosa dobbiamo fare. Con un obiettivo, che è sicuramente quello del luogo della discussione. Inoltre vorrei dire che mi sono stancata di un dibattito che si è aperto nel nostro paese ogni qualvolta in un altro paese emerge una donna. In Cile il presidente è donna, in Germania il presidente è donna, in Francia candidano una donna, e tutti i nostri politici il giorno dopo finiscono sui giornali e dicono: “Hanno ragione, anche noi dobbiamo promuovere le donne”. Allora lo facciano! Ho avuto modo di scrivere questa cosa su “Rassegna Sindacale” e siamo state accusate, a partire da me, di volere il potere e di volere occupare le poltrone: ebbene sì, noi vogliamo occupare le poltrone. Le vogliono occupare solo gli uomini? Se le donne sono brave come gli uomini, e lo sono forse anche di più, mi pare del tutto legittimo che pretendano di avere la possibilità di comandare. Si chiama “potere”, ebbene? 44 L’età delle scelte Tavola rotonda La Cgil ha la norma antidiscriminatoria del 40 per cento. Devo dire che le quote non mi hanno mai appassionata, ma sappiamo tutti che, quando non c’erano, la media della presenza delle donne nei gruppi dirigenti era il 10-12 per cento. Se oggi siamo intorno al 30 è un risultato importante e le quote lo hanno aiutato. Inoltre, la media è del 29 e 30 per cento perché ci sono categorie e territori che non rispettano la norma antidiscriminatoria. Allora sarà necessario davvero trovare il modo per far sì che le donne aumentino, perché le donne iscritte alla Cgil sono tantissime, le dirigenti sono molte, ma non sono ancora sufficienti nelle posizioni di massima responsabilità. Mi riferisco a tutti i livelli, non solo quello nazionale, ma dal territorio alle leghe, dalle Camere del Lavoro ai Regionali. Quanto al fatto, citato da Mara, che per la prima volta la Cgil ha una donna che fa l’organizzatrice, vorrei dire che nel sindacato in Italia ne abbiamo tante, ma non era mai successo per l’organizzatore nazionale, che è sempre stato visto come un luogo di potere forte. Penso – lo dico a quanti fanno l’organizzatore – che le caratteristiche di questo ruolo, a tutti i livelli, devono essere: la determinazione, la capacità di ascolto, la pazienza, il coraggio, la comprensione, un po’ di cattiveria intelligente, cioè quell’intelligenza che serve anche per saper usare un po’ di cattiveria. Queste cose, messe insieme, consentono di far convivere il rigore con l’ironia e con la dolcezza, caratteristiche che trovi molto di più nelle donne che non negli uomini. Penso che le donne si destreggino meglio degli uomini, perché gli uomini sono sempre in alta uniforme, nel senso che sono sempre in servizio, mentre a volte aiuta molto di più un sorriso a sostegno di una proposta che non un ordine che deriva dal potere che rappresenti. Penso che possiamo rivedere il forum, fare il coordinamento, tutto quello che decideremo, ma se noi donne, a tutti i livelli, riusciamo a occupare delle posizioni di potere, dove si assumono le decisioni, vale di più quel piccolo potere lì, per fare avanzare le donne, che tutti i forum di questo mondo. Voglio fare un esempio. Non appena ho preso in mano l’organizzazione, ho dovuto affrontare il cambiamento di responsabilità di strutture importanti. Il segretario generale, come fanno tutti i segretari generali con gli organizzatori, chiede una rosa per poter fare la proposta. Se nel comporre la rosa di cinque persone ci si mettono quattro donne e un uomo, sarà più facile che il segretario generale scelga una donna. Può succedere che va a scegliere quell’unico uomo, ma bisogna tentare di evitarlo con una proposta di qualità, con degli argomenti forti a sostegno della rosa, perché non possiamo cadere nell’errore di inventare le donne. Dobbiamo avere l’intelligenza di proporre delle compagne con esperienza e capacità di direzione, perché altrimenti siamo perdenti. Dato che le compagne con queste capacità ci sono, se aver presentato una rosa di qualità ha determinato la scelta di una donna, questo è un buon risultato. Attenzione, poi, a non farci lusingare dal fatto che ci mettono negli esecuTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 45 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil tivi come fiore all’occhiello: abbiamo bisogno di prendere posti di responsabilità che aiutino a fare anche una politica di quadri delle donne. Per concludere: dobbiamo avere il luogo di discussione; continuiamo la nostra battaglia per far sì che ci siano sempre più donne a tutti i livelli, ma facciamo attenzione anche al posto dove le donne sono collocate, perché il luogo di direzione e la delega che ti viene consegnata non è ininfluente. Mara Nardini Ora do la parola a Giovanni Cazzato perché possa esprimere il suo punto di vista come organizzatore. Gli chiedo di toccare anche un altro punto che per noi è di grande interesse. È vero, come ha detto Carla, che l’esserci delle donne in posizioni di grande responsabilità aiuta e che spesso c’è uno stile di direzione diverso quando a dirigere è una donna, però c’è anche il problema di far crescere dal basso, nei luoghi strategici dell’insediamento sindacale, una leva di quadri femminili che assumano compiti di direzione. Chiedo quindi a Giovanni il suo punto di vista sul fatto che la norma antidiscriminatoria sta trovando più difficoltà di applicazione nelle leghe, che rappresentano per lo Spi il cardine del proprio insediamento territoriale. Questo avviene nonostante il fatto che le leghe siano una struttura di prossimità, le più vicine ai luoghi dove sono e agiscono le pensionate, e che nelle leghe si svolgono attività, funzioni, come quelle di tutela, che sono attrattive per le donne. Chiedo inoltre se, a suo parere, non andrebbero applicate, in queste strutture, quelle strategie di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro che abbiamo elaborato pensando al mondo del lavoro. Giovanni Cazzato Sono consapevole che la discussione che facciamo non è facile. Le difficoltà sono di vario genere. Se parliamo delle leghe, come mi sollecitava Mara a fare, noi abbiamo solo il 17 per cento delle leghe dirette da segretari donne. Non è casuale se questo avviene, perché da qualche parte non si applica la norma degli otto anni, perché non si assume la scelta di ricambio quando si ha un certo limite di età, e questo non per lasciare qualcuno a casa ma per chiedere, a chi prima di noi ha fatto questo lavoro e si è sacrificato, si è impegnato, di lavorare ancora di più per farsi sostituire. Penso che tra tutte le altre caratteristiche che deve avere un buon dirigente sindacale, ci deve essere anche quella di non fare intorno a sé terra bruciata. Lo dico con convinzione, sapendo che non è facile chiedere a un compagno, che magari ha quaranta, cinquanta anni di impegno, di lotte, di sacrifici, di rinunce, un certo giorno di fare un passo indietro. Il punto è costruire insieme a lui, o lei, le condizioni di un processo di rinnovamento generazionale avendone l’adesione, il coinvolgimento e la convinzione. Noi siamo il sindacato che chiede alla gente anziana di non andarsene, ma 46 L’età delle scelte Tavola rotonda di venire con noi. Procedere nel rinnovamento, con un sindacato che vuole gli anziani, non che li manda via, è molto difficile ma bisogna farlo, provarci e insistere. Però abbiamo anche il 17 per cento di donne segretari generali di comprensorio e molte presenze nelle segreterie: perché queste segretarie non possono diventare segretarie generali? Penso che non si debba improvvisare, che non si debba aspettare che quella compagna, in quel determinato territorio, acquisisca da sola i mezzi, la forza anche elettorale per imporsi e farsi eleggere, ma che tocca all’organizzazione coltivare queste prospettive, curarle, non lasciarle al caso. Ripeto: noi abbiamo la consapevolezza che queste scelte sono ineludibili per un sindacato come il nostro, di ex lavoratori e lavoratrici, ma anche di donne casalinghe che non hanno lavorato fuori di casa e che a un certo punto decidono di entrare in un’organizzazione come la nostra. Un sindacato generale, per rappresentare tutte queste condizioni e le complesse soggettività, non può procedere a vista. Per questo credo che l’occasione della Conferenza di organizzazione sia molto importante, per sottolineare queste scelte, per impegnare risorse umane ed energie e per procedere speditamente in questa direzione. Questi processi devono avere anche una capacità di radicamento nelle realtà locali: non possiamo pensare che, quando si tratta di scegliere, ci debba essere una qualche regola o un qualche organismo superiore che da solo determina. Bisogna partire da subito, mettendo in campo strategie di promozione e di rinnovamento dei quadri. Stamattina, nel gruppo di lavoro dell’organizzazione, sentivo sottolineare la necessità per lo Spi di rappresentare le nuove generazioni di pensionati. Ma, ancora di più, di rappresentare nuove generazioni di donne che giungono all’età della pensione, lasciano il lavoro o non hanno più bisogno di svolgere un lavoro di cura. Facciamo fatica ad acquisire nuovi diritti per tutti, e facciamo più fatica ad acquisire nuovi diritti per le donne. In questi anni ci siamo anche misurati, e ci misuriamo ancora, con atteggiamenti che mettono alcuni diritti fuori dalla discussione delle priorità. Il tema della non autosufficienza, per esempio, che è un tema trasversale alla condizione umana, e soprattutto quella femminile, se non è tra le priorità dell’agenda di governo bisogna agire per imporre delle soluzioni serie. Mara Nardini La parola adesso a Susanna Camusso, che naturalmente potrà interloquire con le cose che sono state appena dette. Però vorrei fare a Susanna anche un’altra domanda, per arricchire questa discussione con temi più ampi. Chiedo a lei (che nel suo intervento ricordava gli esiti e le ricadute del referendum sulla legge sulla procreazione medicalmente assistita) di esprimere il suo punto di vista sull’ondata di familismo che si sta manifestando in vari modi: riemergono, per esempio, proposte sulla tassazione della famiglia mediante il quoTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 47 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil ziente familiare. La legge finanziaria ha stanziato ben 583 milioni nel triennio per politiche per la famiglia, e la stessa norma richiede l’individuazione dei “livelli essenziali delle prestazione per la famiglia” che non si sa bene che cosa siano e come possano essere definiti. La domanda che voglio fare è: qual è il ruolo del sindacato e la battaglia che ci aspetta in una situazione in cui c’è il rischio che si faccia largo un’impostazione culturale che fa riferimento a un modello astratto di famiglia, anziché misurarsi con la realtà concreta, la complessità e la varietà delle relazioni familiari quali luoghi di affetti e di solidarietà liberamente scelti. Credo che ci sia il rischio di politiche che ci facciano tornare indietro, oscurando la soggettività delle donne, anziché individuare una politica che guardi ai soggetti che compongono la famiglia e che preveda un sostegno a quelli in maggiore difficoltà. Susanna Camusso La domanda di Mara mi permette di fare un po’ di sintesi sulla storia che abbiamo alle spalle, pur nelle sue grandi diversità. Se si pensa che le forme organizzative, o i luoghi di discussione delle donne, sono un luogo di selezione dei gruppi dirigenti, noi duplichiamo l’organizzazione e questo ci mette in difficoltà. Mentre invece abbiamo uno straordinario bisogno di luoghi di discussione, di nuova solidarietà e di nuovo patto tra le donne, e deve avvenire con grande apertura. Posso dirla così: sono scarsamente interessata alla riunione delle segretarie, perché penso che dovrebbero avere la forza e la capacità di fare del Direttivo il luogo in cui riescono a far emergere il loro punto di vista. Sarei invece interessata al fatto che nei territori, nelle regioni e anche nazionalmente ci siano delle assemblee, dei luoghi dove si parla e si realizza una partecipazione che normalmente negli organismi dirigenti non c’è. Se non si va oltre l’esperienza, in qualche modo si torna indietro. Io vengo da una lunghissima esperienza di categoria e all’inizio l’esperienza confederale era, anche per me, un oggetto un po’ misterioso. Quando, da confederale, ho cominciato a frequentare lo Spi (non solo come luogo che incontravo nei suoi direttivi ma come luogo che ti chiama a fare gli attivi, a un’intensa attività, a discutere), ho visto che parlavo molto di più di precarietà alle assemblee dello Spi che in quelle delle categorie. Ho pensato: c’è qualcosa che non torna. Perché la precarietà è il tema classico per discutere nel contratto di come e quando si stabilizzano i lavoratori; poi però tutta la discussione avveniva fra quelli che volevano stabilizzare tutto domani mattina, se no è di destra, e quelli che dicevano: no, anche farlo progressivamente può essere di sinistra. Invece nelle assemblee dello Spi si parlava moltissimo di precarietà, in quelle degli attivi la precarietà spariva. Così ho colto due cose. La prima è che, per molta parte della nostra organizzazione, c’era l’enunciazione del tema ma non la sua visibilità, cioè non si guardava nei luoghi di lavoro cosa questo voleva dire, in qualche caso non lo si rappresentava neanche più. Invece nello Spi questa discussione c’era forte48 L’età delle scelte Tavola rotonda mente perché l’altra faccia della precarietà, quella non contrattuale, è che le famiglie sono diventate il più straordinario ammortizzatore sociale delle contraddizioni di questo paese. E dato che le famiglie sono l’ammortizzatore sociale, nello Spi se ne parla perché ci sono contemporaneamente tutte le condizioni: la garanzia economica perché i figli continuino a studiare; la sicurezza di continuare ad abitare presso i genitori; il fare le nonne (che è una delle funzioni più importanti poiché gli asili non ci sono) eccetera. Diminuito il reddito, bisogna allungare la catena della famiglia per garantire un livello di sopportazione per tutti, perché la precarietà non concede di essere flessibili rispetto alle esigenze, alla maternità, all’assistenza delle persone, e quindi la famiglia diventava il luogo in cui si ricompongono i ruoli e si moltiplicano. E a parlare di precarietà erano prevalentemente le donne dello Spi, che si trovavano nella moltiplicazione di questi ruoli quando magari avevano pensato di avere esaurito la fase della vita di cura. Allora ho capito una cosa essenziale: che in realtà, nella nostra discussione in Cgil, esiste ancora una divisione tra chi si occupa di sociale e chi si occupa di lavoro, e che questa ricomposizione, che è un pezzo fondamentale di un nuovo patto di solidarietà tra le generazioni e tra le donne, non è avvenuta. Se non avviene, chi fa la contrattazione sociale rappresenta se stesso e non riesce a leggere l’insieme, e chi si occupa di lavoro non vede che cosa scarica sul sociale. Questa è la critica a noi, questa è la ragione per cui io credo che ci deve essere un luogo di donne in cui si ricostruisce il patto tra le donne delle diverse generazioni. La Cgil deve dire, con la stessa forza, che serve il fondo per la non autosufficienza per chi è in quelle condizioni e serve perché altrimenti le donne, a cinquant’anni, abbandonano di nuovo il lavoro per tornare al lavoro di cura. Ma, con la stessa forza, deve dire che non bisogna allungare l’età pensionabile per le donne, non si può costringerle a fare le nonne a tempo pieno, e che i servizi per la non autosufficienza e gli asili hanno la stessa rilevanza. Lì sta il patto che va ricostruito, anche contro la disattenzione delle giovani donne che magari scoprono dopo questi problemi e oggi ci dicono che la precarietà si chiama contraccezione e che hanno bisogno di poter leggere il loro futuro. Poi c’è il conflitto con il paese. Penso che negli arretramenti della libertà femminile ci sia il familismo, ma anche un vizio che è quello di dire: “occupiamoci dell’economia, che i Dico non sono poi così tanto importanti”. Non lo dicono solo la destra e i cattolici del family day, ma anche un pezzo del gruppo dirigente maschile della Cgil, perché si sposta sempre l’angolo di lettura. Io faccio il segretario generale della Cgil Lombardia e vado in giro a spiegare la piattaforma, il problema del reddito, della rivalutazione delle pensioni e mi è chiarissima l’importanza di tutto: ma perché tutto ciò sarebbe in alternativa al fatto che io possa decidere qual è la mia vita morale e la mia scelta? Incide sul “tesoretto”, per usare il linguaggio di questi giorni? Incide sopratTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 49 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil tutto sull’idea di libertà che c’è per le donne, perché quello è il punto di controllo sociale. Se si volesse davvero fare una politica sulla natalità, si direbbe che casa e stabilizzazione sono le grandi emergenze del paese. Il matrimonio non c’entra. È una libera scelta, non c’è nessuna coincidenza fra lo sposarsi e fare figli. Il bonus bebè che cosa mi risolve? Se non ho una casa oppure ho un affitto che mi spinge alla soglia di povertà, non lo risolvo con il bonus. Mi fa pensare alle politiche di incentivazioni delle nascite che abbiamo già visto in altre epoche. Sono molto affezionata al fatto che ci sia un governo di centro-sinistra, e spero che duri a lungo, però c’è un punto di crisi forte nell’idea di un modello di società in cui la famiglia è l’alibi per affermare due ruoli differenti: uno pubblico, lavorativo, nel mercato, che è quello degli uomini; e uno di supplenza in casa, che è quello delle donne. Il quoziente familiare serve appunto all’idea che le donne possano stare a casa. E perché mai bisogna ridurre il lavoro delle donne solo al fatto che bisogna contribuire al reddito? Abbiamo smesso di dirlo negli anni Settanta, quando abbiamo cominciato a dire che le donne esercitavano una presenza nella società e non semplicemente integravano il reddito della famiglia. Ma la cosa che a me pare più delicata è che tutto questo non viene giocato in termini economici ma morali. La famiglia non è giocata per dire che c’è bisogno di un nucleo di partenza che supplisca alle difficoltà della società. Non mi andrebbe bene, ma almeno capirei che questa società è in difficoltà, ha ridotto il livello dei servizi e chiede aiuto alla prima forma organizzata. A quel punto, non dovrebbe essere determinante come è fatta quella forma organizzata. Invece vogliono anche spiegarci che deve essere fatta in un certo modo: da un uomo e una donna, con lo scopo di procreare, religiosamente costituita, ossequiente ai precetti. E chi ne è fuori, è fuori dalla spartizione delle risorse e dal riconoscimento dei diritti civili del paese. Però – lo dico con grande serenità – questo mio parere non è l’opinione della Cgil, perché non è l’opinione di gran parte degli uomini dirigenti, perché è più comodo non vedere e immaginare. Per questo ci vogliono dei luoghi di discussione per dare forza a queste voci, al fatto che parlare di laicità, oggi, non è parlare d’altro rispetto, per esempio, al conflitto sulla redistribuzione del reddito. Anche qui mi si propone un modello “morale” rispetto alle esigenze, dal momento che il grosso delle risorse andrebbe solo a una parte. Bisogna riaprire la discussione anche in termini teorici perché – e torniamo alla legge 40 – ci hanno frastornato con le questioni eticamente sensibili: eticamente sensibile è se mi sposo o non mi sposo; eticamente sensibile è come decido, se decido, di adottare un bambino; eticamente sensibile è che tipo di convivenza costruisco. Ma avete mai sentito qualcuno dire che è questione eticamente sensibile la violenza sulle donne, dove la violenza è quella fisica, morale, sessuale? Ridurre tutto alla famiglia è anche ritornare al vecchio modo di pensare per cui ciò che è pubblico è visibile, ciò che si svolge dentro le mura di casa non 50 L’età delle scelte Tavola rotonda è visibile né commentabile, anche se vi si svolge gran parte della violenza. Allora, dire no alla scelta delle politiche familistiche è dire che le donne stanno sulla scena pubblica, hanno parola e ruolo pubblico. In un ruolo subalterno non intendono tornarci. Mara Nardini Prima di passare all’ultima domanda, vorrei dire a Susanna Camusso che sulla proposta del patto di solidarietà intergenerazionale e di quello tra lavoratrici e pensionate sfonda assolutamente una porta aperta, perché questo è anche il nostro punto di vista, anche noi esprimiamo l’esigenza e l’urgenza di questo patto. Ora la parola a Susanna Florio. A lei chiedo in particolare di dirci qual è la situazione europea su tali questioni. Susanna Florio L’8 marzo la Confederazione europea dei sindacati ha organizzato un’iniziativa, a Berlino, in cui ha presentato una sua ricerca sulla presenza nei vari organismi dirigenti delle donne nei ventisette paesi dell’Unione europea. È un quadro particolarmente problematico. Mi vorrei soffermare su un punto preoccupante, che forse riguarda il tema di oggi: le donne che nel sindacato non ci sono. Uno dei temi che verrà affrontato a Siviglia, al congresso della Ces, è quello della sindacalizzazione delle donne o, per meglio dire, perché il sindacato non riesce a comunicare con le donne. L’Italia è un po’ un paese a sé. Da questo punto di vista, la Cgil è tra le pochissime organizzazioni sindacali a non perdere iscritti. Non solo, ma sta crescendo in maniera importante. Paesi come la Germania perdono ogni anno il 10 per cento, il che vuol dire che nel corso degli ultimi quattro anni c’è stata una diminuzione spaventosa degli iscritti, e tra questi il 65 per cento è formato da donne. L’indagine che ha fatto la Confederazione europea dei sindacati, che mi sembra particolarmente interessante, ci dice due cose. Primo: il sindacato è un’organizzazione di uomini, fatta dagli uomini e per gli uomini, e la struttura organizzativa è ancora maschile, quindi non consente conciliazione tra i tempi di lavoro, di vita e militanza sindacale. Inoltre non dà spazio a una diversa modalità di partecipazione al sindacato che può essere portata dalle donne. Per fare una citazione, Virginia Woolf diceva: “Una stanza tutta per sé”. Non credo che si possa dire che le donne hanno una stanza tutta per sé dentro l’organizzazione sindacale. Noi viviamo in stanze che sono state organizzate e arredate da uomini; non siamo state ancora così brave da occupare delle nostre stanze e arredarle come avremmo voluto. Questo è il grosso limite politico e culturale, non solo organizzativo, del sindacato. Inoltre, se c’è una preoccupazione che dovremmo affrontare con maggiore laicità e meno ideologia è proprio quella di riuscire a parlare alle donne, come Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 51 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil dice Susanna Camusso: giovani generazioni, donne precarie, ma anche cinquantenni che sono espulse dal mondo del lavoro, o che non ce la fanno più a conciliare il lavoro a casa e il lavoro salariato. Dovremmo cominciare anche a porci il problema della rappresentatività. Per questo, nel mio primo intervento, sottolineavo che la presenza di donne nei posti più alti e più importanti non sempre è una garanzia di solidarietà di genere. Per riprendere la metafora precedente, attenzione alle donne che occupano posti condividendo la stessa scrivania che è stata già predisposta da mani maschili. La grossa scommessa sta nel rivoluzionare completamente il modo di fare politica e di fare sindacato, scegliendo di farlo come vogliamo noi. Mara Nardini Con questo auspicio chiudiamo questa tavola rotonda, ringraziando tutti i partecipanti per il prezioso contributo che hanno dato a questa discussione, in attesa di avere modo di discutere in modo proficuo di questi argomenti alla Conferenza di organizzazione. 52 L’età delle scelte Gruppi di lavoro 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 53 Gruppo: La contrattazione di genere e le politiche per il benessere Introduzione di Celina Cesari segretaria nazionale Spi Cgil C omincio con una notizia di economia: gli esperti del Fmi hanno elaborato un nuovo indicatore economico. Ha un nome fantascientifico. Si chiama gap primario intertemporale e serve a valutare la sostenibilità economica dei conti pubblici dei paesi del G7 non più su base annua ma su una proiezione temporale di lungo e lunghissimo periodo. Questo nuovo indicatore tiene conto di tre fattori: - il surplus, oppure il deficit primario, dei conti pubblici; - la componente del debito consolidato; - l’invecchiamento della popolazione. Quest’ultima componente è considerata una causa rilevante dell’aumento del debito pubblico, in quanto gli anziani farebbero lievitare oltre misura i costi della sanità, dell’assistenza e della previdenza. Dunque, in base a questi nuovi calcoli, il Fmi consiglia all’Italia di non spendere il tesoretto derivante dal surplus delle entrate fiscali ma di destinarlo alla riduzione del debito, e soprattutto di prevedere forme severe di contenimento della spesa pubblica a partire dalla spesa previdenziale. Tommaso PadoaSchioppa si dichiara d’accordo. Potremmo dire: nulla di nuovo sotto il sole! Infatti, da tempo contestiamo la valutazione che l’economia neoliberista fa dell’invecchiamento della popolazione. Per questa economia l’invecchiamento della popolazione costituisce un fattore improduttivo e di crescita della spesa pubblica. Questo è quanto. A questa lettura noi opponiamo, con una battaglia culturale forte che ha ancora molto cammino da fare, una visione dell’invecchiamento come risultato dell’esistenza di forme di tutela collettiva, di condizioni di maggior benessere della popolazione. Proprio sulla base di questa valutazione abbiamo assunto fino in fondo l’unitarietà dei diritti del lavoro e dei diritti di cittadinanza e, nell’ultimo congresso, ci siamo dati come obiettivo prioritario la promozione di politiche di benessere. Ho voluto fare questa piccola premessa perché mi serve per introdurre un’idea. Vorrei cioè provare a declinare assieme a voi la parola invecchiamento e il concetto di benessere in modo non neutro, ma ragionando da un punto di vista di genere. Per la parola invecchiamento basta poco. Bastano i dati statistici. Essi ci di54 L’età delle scelte La contrattazione di genere e le politiche per il benessere cono che le donne sono più del 50 per cento della popolazione. Non sono la metà del cielo ma più della metà! La demografia ci insegna, poi, che le donne avanzano nell’età più degli uomini perché, per ragioni biologiche, hanno un’aspettativa di vita più lunga degli uomini. Possiamo dire: si invecchia al femminile. Poi noi guardiamo con particolare attenzione alla qualità dell’invecchiare e concordiamo sul fatto che l’invecchiare bene presuppone l’avere vissuto bene, e siamo portatori di proposte e obiettivi vertenziali che mirano a innalzare la qualità della vita per tutte le età. Rivendichiamo, cioè, la messa in opera di politiche di promozione del benessere. Accesso al lavoro, reddito dignitoso, promozione della salute, istruzione, formazione, informazione, abitazioni sane, sicurezza, diritto all’assistenza sono alcuni dei fattori di creazione di benessere. A questo aggiungiamo il riconoscimento e la valorizzazione di quell’incredibile ricchezza rappresentata dall’universo degli anziani che le comunità hanno a disposizione e, siccome le cose per esistere hanno bisogno di essere nominate, richiediamo altrettanto riconoscimento e altrettanta valorizzazione della differenza di genere. Infatti, se riflettiamo bene sul concetto complesso e articolato di benessere, che è patrimonio ormai di tutta la nostra organizzazione, ci accorgiamo immediatamente che neanche esso è un concetto neutro perché nel linguaggio sindacale è stato introdotto dal pensiero e dai saperi delle donne. Si sa: le donne hanno sempre rifiutato di definirsi in modo spezzato (solo madri, solo mogli, nel nostro caso solo lavoratrici), preferendo – anzi rivendicando – l’essere persona intera. Questo punto di vista, questa modalità orizzontale di vedere le cose, unitamente alla riflessione su di sé e alla necessità di ridefinirsi a partire da sé, ha cominciato a declinare parole nuove. Ne cito alcune: autodeterminazione e libertà di scelta, doppia presenza, divisione di ruoli nella famiglia e nella società, lavoro di cura, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Queste parole nuove hanno cominciato a produrre consapevolezza collettiva, nuovi diritti, nuove leggi, nuove e più estese formulazioni del concetto di benessere, inevitabilmente accompagnate da un’idea di società laica, garante di diritti e capace di promuovere tutele collettive. Per questo ci pare particolarmente inaccettabile l’atteggiamento della chiesa cattolica. Non mettiamo in discussione né la libertà di credere né la libertà che hanno tutti (e quindi anche gli uomini di chiesa) di dire la loro, ma non accettiamo che punti di vista di parte si ergano a verità assolute a cui il resto dell’umana specie debba conformarsi. Né è accettabile il ricatto di sapore eversivo che talvolta dai vertici vaticani proviene a chi è responsabile della cosa pubblica e alle istituzioni stesse, il cui unico riferimento è la Costituzione. Ma torniamo al nostro argomentare. Proprio perché la nostra idea di benessere deriva dal pensiero delle donne e sulla conservazione e promozione del benessere noi fondiamo i princìpi della nostra contrattazione, dobbiamo riconoscere che questa non può essere neutra. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 55 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Difatti, non sono neutri i contenuti della nostra proposta di legge di iniziativa popolare sulla non autosufficienza, perché rendono visibile il lavoro di cura e tendono a collocare la famiglia nel sistema dei servizi; così come non sono neutri i contenuti della legge 328, la legge di riforma dell’assistenza della quale rivendichiamo l’applicazione. Non a caso la stessa piattaforma nazionale Spi, Fnp, Uilp, per il 2007, parte riconoscendo esplicitamente la differenza di genere e rivendicando uguale riconoscimento per uomini e donne nella predisposizione delle politiche sociosanitarie, dei programmi di salute e nella progettazione dei servizi; nella promozione della domiciliarità della cura e nella sperimentazione della Casa della salute. Mi sembra di poter dire che siamo oltre la contaminazione: siamo all’assunzione piena della differenza di genere negli stessi fondamenti della nostra vertenzialità e la assumiamo come cartina di tornasole dell’efficacia delle politiche di benessere. Naturalmente non è tutto risolto. Dalle affermazioni di principio bisogna passare alle politiche concrete. Per questo è importante il lavoro dei coordinamenti e delle compagne dirigenti ai vari livelli dell’organizzazione. Le proposte contenute dal documento preparatorio dell’assemblea, e riprese nella relazione di Gabriella Poli, rappresentano delle direttrici di lavoro molto importanti da questo punto di vista. Penso, oltre all’idea di cominciare a richiedere la predisposizione di bilancio di genere per verificare l’effetto delle politiche pubbliche sulla qualità della vita delle donne, al tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma anche alla proposta di rilancio dei consultori familiari. Tutte queste idee nascono dal cuore dell’elaborazione delle donne. Vedete, l’idea della conciliazione dei tempi delle città nasce più di venti anni fa. Produce iniziative nei territori, una serie di legislazioni regionali, provinciali e comunali e nel 2000 – finalmente – la legge nazionale n. 53. Le donne protagoniste di quella stagione arrivano oggi al pensionamento, sono tra di noi, iscritte allo Spi e hanno bisogno di rappresentanza. E lo Spi deve essere pronto a darla a partire dal Coordinamento delle donne. Noi donne dello Spi vogliamo dare nuovi significati al tema della conciliazione perché vogliamo mettere in relazione, armonizzare, i tempi liberati dal lavoro delle donne attive con i tempi delle città e questi con i tempi vuoti delle anziane, partendo con il dare valore al lavoro di cura di tutte. Questo comporta scelte precise. La prima, non nuova, è liberare le donne dal dovere della cura e riportare la cura degli altri alla libertà di scelta, e quindi al desiderio delle donne di comunicare la loro affettività attraverso la cura dei propri cari. La seconda scelta che noi compiamo riguarda la priorità che diamo alla costruzione di una rete di servizi per le persone. Scegliamo cioè – e prioritariamente – servizi alla persona e non la monetizzazione del disagio. L’assegno di cura deve esistere, ma deve venire un minuto dopo la costru56 L’età delle scelte La contrattazione di genere e le politiche per il benessere zione della rete dei servizi alla persona, perché non vi può essere libertà di scelta se nel territorio non esistono le opportunità tra cui scegliere. Per questo rafforziamo, da un punto di vista di genere, la contrattazione sociale territoriale per la costruzione di un sistema di welfare locale inclusivo, capace di valorizzare il protagonismo delle donne attraverso il riconoscimento e la valorizzazione sociale del lavoro di cura. Con tutto ciò che questo significa in termini di nuovi servizi, della loro qualità, flessibilità, e capacità di presa in carico del disagio. Dispiace da questo punto di vista che alcune regioni meridionali abbiano scelto il voucher per l’utilizzo dei Fondi strutturali europei destinati all’inclusione sociale e non la strutturazione di servizi socio-assistenziali diffusi nel territorio. E – badate bene – nell’ambito di questo ragionamento si ripropone anche il tema ineludibile delle cosiddette badanti. Le proposte a suo tempo avanzate dal Coordinamento donne e dallo Spi nazionale hanno camminato e si sono diffuse nel territorio nazionale alcune sperimentazioni. Gli albi comunali e provinciali delle assistenti familiari hanno cominciato a diffondersi, così come la formazione per questo lavoro di cura destinato alle immigrate. Si è tentata anche qualche forma di emersione del lavoro nero; quella possibile, naturalmente, con la legislazione vigente sull’immigrazione. C’è anche un tentativo di normare, con il Ccnl del comparto, la condizione economica di queste lavoratrici. Sono tutte cose importanti, ma abbiamo la necessità di fare un passo in avanti perché il lavoro dell’assistente familiare non si limita a essere una pura e semplice prestazione d’opera ma ha a che fare con forme di esercizio di solidarietà. Si colloca nel mezzo, tra la prestazione lavorativa e il sostegno, l’aiuto, la partecipazione alla vita familiare degli assistiti. Su questo punto mi permetto di avanzare la proposta di un lavoro da svolgere in comune tra il Dipartimento delle Politiche sociali, quello della Contrattazione e il coordinamento che sarà eletto da questa assemblea. Servizi per la persona, riconoscimento e valorizzazione del lavoro di cura richiamano l’altro grande tema della vivibilità delle città, della sicurezza, della costruzione di occasioni di socialità. Anche qui bisogna saper scegliere. Donne e uomini non sono uguali e, nell’elaborazione dei contratti di quartiere o nella progettazione dei centri sociali, dobbiamo avere l’accortezza di proporre modalità differenti per l’attivazione della partecipazione di donne e di uomini alle scelte collettive. Se per gli uomini basta l’assemblea pubblica, per le donne, forse, sono necessarie altre scelte. Forse bisogna riprendere antiche forme di coinvolgimento, come le riunioni di caseggiato o il casa per casa eccetera. Servizi, promozione della salute e dell’inclusione sociale, sicurezza, vivibilità delle città sono temi quotidiani nel lavoro dello Spi, ma abbiamo scelto da tempo di non svolgerli da soli. La nostra contrattazione si coordina con quella delle categorie interessate, tra le altre la Funzione pubblica e la stessa Confederazione. Credo sia utile ai coordinamenti donne adottare un metodo di laTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 57 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil voro analogo a questo per il complesso delle questioni prima citate, e in modo particolare per il tema della conciliazione dei tempi. I bisogni, i desideri, le esigenze di conciliazione delle donne attive devono sapersi intrecciare con i temi da noi proposti e occorre rilanciare nei territori un’iniziativa diffusa per l’applicazione della legge 53. Così pure per i consultori. Essi sono nati sulla spinta del movimento femminile come luoghi di prevenzione e promozione della salute riproduttiva delle donne. L’orizzonte operativo dei consultori faceva riferimento a un modello sociale di salute che prevedeva uno staff multidirezionale, un approccio orizzontale verso la popolazione interessata e una costante attenzione alle differenze di genere. Questa impostazione andava in rotta di collisione con l’impostazione verticistica e incentrata sull’ospedalizzazione dei servizi tradizionali, perché esprimeva una contestazione radicale alla relazione di subordinazione tra chi cura e chi riceve le cure. Ciò ha comportato nel tempo il confluire sui consultori di una serie di attenzioni negative: nessuna valorizzazione, niente risorse, delegittimazione del personale addetto. Così i consultori hanno perso la loro vocazione primaria di prevenzione e si sono trasformati sempre più in una sorta di servizio ambulatoriale per l’erogazione delle pillole anticoncezionali. Le scelte della politica hanno poi fatto il resto, negando finanziamenti e deprivandoli del personale addetto o facendoli diventare aree di parcheggio per un personale sempre più demotivato. Oggi c’è una ripresa di attenzione verso questo strumento. La Finanziaria 2007 prevede di realizzare una conferenza unificata tra ministero della Famiglia e ministero della Salute (finalizzata a promuovere gli interventi sociali in favore delle famiglie) per definire criteri e modalità di riorganizzazione dei consultori familiari. Vedremo se e quando questa conferenza verrà convocata e quali contenuti avrà. Intanto facciamo bene a segnalare la necessità di una loro riqualificazione e di un loro rilancio nel territorio e nelle case della salute (dove queste verranno realizzate). Vogliamo che i consultori diventino luogo della promozione della salute delle donne per tutte le età. Per fare questo abbiamo bisogno di un modello di funzionamento inverso a quello corrente. Io non immagino un luogo chiuso e autoreferenziale che aspetta la richiesta dell’utente. Al contrario voglio una struttura aperta, che dunque sia capace di sollecitarla e di assumerla nel contesto sociale. Un luogo che non guardi alla famiglia in termini astratti ma ai soggetti reali che la compongono: minori, adulti, anziani, donne di tutte le età. Ogni coordinamento su questo punto dovrà scegliere la sua modalità di lavoro per censirli e per avanzare proposte di riqualificazione. La competenza su questa materia è tutta in mano alle Regioni. Anche questo lavoro dovrà essere condotto in stretta relazione con le 58 L’età delle scelte La contrattazione di genere e le politiche per il benessere donne attive; e pure su questo potremmo programmare un’iniziativa nazionale del nuovo coordinamento con il Dipartimento delle Politiche sociali e quello del Benessere. Poi c’è tutto il tema della lotta alla povertà. Il reddito delle donne è mediamente più basso di quello degli uomini. Ciò accade per ragioni note. Le donne accedono al lavoro più tardi e spesso sono costrette a fuoriuscirne prima per dedicarsi al lavoro di cura. Sono più esposte dunque al lavoro precario ma anche al lavoro nero. Tralascio qui di parlare della rivalutazione delle pensioni delle donne, la cui discussione è in corso nel gruppo di lavoro “previdenza”. Noi qui discutiamo di contrattazione sociale territoriale e sappiamo che il reddito non è fatto solo dalla pensione, dalla sua entità: la difficoltà dell’accesso ai servizi socio-sanitari, l’imposizione dei ticket, il peso delle tasse locali, i costi delle tariffe e dei servizi pubblici locali sono altrettanto determinanti per la tenuta del potere d’acquisto delle pensioni. Lo Spi ha un’esperienza pluridecennale su questi argomenti. Esistono centinaia di accordi, protocolli d’intesa, delibere di amministrazioni pubbliche per ridurre tasse e tariffe locali a testimoniare quanto profonda e diffusa sia l’iniziativa dello Spi per imporre criteri di equità nell’imposizione fiscale per assicurare facilità e gratuità di accesso ai servizi. Ora, noi sappiamo che le pensioni povere sono quelle delle donne e, dunque, quando lo Spi contratta su queste materie interviene precisamente sulle condizioni economiche delle donne. Ma se questo è vero, bisogna cominciare a dirlo! Bisogna cioè cominciare a sessuare anche gli accordi. Qualche esperienza comincia già a esserci – penso, per fare un esempio, al recente accordo con il Comune di Roma – e credo che la contrattazione di genere debba esercitarsi per diffondere iniziative simili. Mi rendo conto di non avere esaurito tutti gli argomenti relativi al lavoro di questo gruppo, ma penso che una relazione debba servire a sollecitare e a liberare il dibattito più che a limitarsi a orientarlo. Spero di esserci riuscita! Buon lavoro a tutte noi. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 59 Relazione in plenaria di Mina Cilloni segretaria Spi Cgil Emilia Romagna responsabile coordinamento donne regionale L a discussione è stata ricca e articolata e ha dato atto al sindacato pensionati di avere prodotto molto in materia di contrattazione sociale territoriale, sia in relazione all’elaborazione di proposte politiche che operative. Il gruppo di lavoro, quindi, si ritrova nei documenti che, in particolare, si sono adottati dal congresso a oggi. Il gruppo di lavoro riconosce il socio-sanitario e il nuovo Dipartimento Benessere come settore fondamentale su cui esercitare la contrattazione sociale. Per meglio comprendere la complessità delle tematiche del socio-sanitario, è utile pensare a momenti di approfondimento, darci strumenti di conoscenza e magari farlo insieme alle donne della Cgil, per una contrattazione nella quale tutte le donne possano riconoscersi. Trentadue interventi corposi (e avendo avuto più tempo sarebbero stati molti di più) hanno messo in evidenza i bisogni personali e collettivi, le esperienze di contrattazione, gli esiti di ricerche fatte nei territori, le difficoltà ad affrontare in una logica negoziale i tempi posti, la necessità di costruire elementi di conoscenza che, oltre a entrare nel merito delle situazioni, aiutino ad affrontare le difficoltà e le distanze derivanti dalla complessità geografica ma, anche, dall’attuale rappresentazione istituzionale (comuni, zone, strumenti di programmazione eccetera). Le materie che stanno all’interno della categoria della salute e del benessere sono fortemente intrecciate e complementari. La persona, i suoi bisogni e il territorio sono per noi punti di riferimento su cui costruire percorsi di rappresentanza sociale. Diventa perciò indispensabile, nel momento in cui si decide di costruire una piattaforma, ricomporre un quadro d’insieme molto contestualizzato. Fattori di promozione del benessere sono molti e, tra questi, molta attenzione nel dibattito è stata dedicata al reddito delle donne anziane. Non solo la pensione è componente del reddito, ma anche la facilità di accesso ai servizi sociali e di cura e una modulazione della pressione fiscale equa, capace di guardare alla possibilità della persona di contribuire con la tassazione al benessere collettivo. Politiche del benessere perché il nostro sindacato deve occuparsi sì del disagio, della non autosufficienza, della povertà ma, anche, di chi vive in una condizione di benessere o parziale benessere. Rappresentare questa molteplicità significa rendere la nostra organizzazione più rappresentativa nell’affrontare la sfida di un nuovo protagonismo 60 L’età delle scelte La contrattazione di genere e le politiche per il benessere consapevole. Ragionare di benessere non significa costruire accordi paralleli, ma sottolineare come in ogni programmazione si deve tener conto delle grandi trasformazioni in atto che inevitabilmente modificano e trasformano il sociale e l’economia. Dobbiamo sì rappresentare il “bisogno” ma anche quella “sfera di bisogni immateriali”, riprendendoci anche il mondo emotivo, affettivo, le relazioni reciproche, familiari, di buon vicinato, la cura della propria vita affettiva e culturale sempre più sacrificata che ci riporti a una dimensione di “persona”, fuggendo così dalla solitudine e dall’alienazione in cui versano migliaia di anziani e in particolare le donne anziane. Le nostre parole hanno cominciato a produrre consapevolezza collettiva, nuovi diritti, nuove leggi, nuove e più estese formulazioni dell’idea di concetto del benessere inevitabilmente accompagnate da un’idea di società laica garante di diritti e capace di promuovere tutele collettive. Proprio da questa nostra idea di benessere deriva una contrattazione non neutra. Non sono neutri i contenuti della nostra proposta di legge d’iniziativa popolare sulla non autosufficienza perché rendono visibile il lavoro di cura e tendono a collocare la famiglia nel sistema dei servizi, senza relegarla al ruolo improprio di ammortizzatore sociale. Le assistenti familiari non possiamo relegarle in un sistema segregato di mercato del lavoro precario, dequalificato senza dare voce alle loro forme di rappresentanza. Così come non sono neutri i contenuti della legge 328 della quale rivendichiamo l’applicazione: non a caso la piattaforma unitaria di Cgil, Cisl, Uil per il 2007 riconosce esplicitamente la differenziazione di genere e rivendica uguale riconoscimento nella predisposizione delle politiche socio-sanitarie. Ricordiamo, schematicamente, che tra le tante priorità quelle messe in maggior evidenza sono le seguenti. I consultori della legge 405, un modello di salute a favore delle donne che va difeso, presidiato e ampliato. Si intende, sui consultori, continuare con forza non solo un’opera di sensibilizzazione ma ribadirne l’attualità del modello, superare la carenza di strutture e di personale (grande divario tra Nord e Sud) e occuparsi della donna e della coppia per tutto l’arco della vita. Sistema di cure domiciliari potenziato che aiuti le donne ad affrontare con più serenità il fenomeno di un invecchiamento che le vede, negli ultimi anni della propria vita, in una condizione di estrema solitudine e fragilità. Benessere come sicurezza, legalità, casa, trasporti, una città delle relazioni sono temi che dobbiamo con più forza affrontare partendo anche dai nuovi input che arrivano dal governo nazionale e dai governi locali. Riteniamo, però, che non si possa anche su questi temi non trovare percorsi che nascono dalla differenza per proporre una parità sostanziale che nasce anche dal mandato costituzionale. Si è sottolineato come sicurezza e legalità siano un binomio inscindibile e che, oltre alle iniziative contro le truffe e di sostegno alle vittime già in atto, Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 61 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil occorre presidiare il territorio contro le forme di illegalità. Un esempio per tutti: le nostre città in molti casi sono vissute come ambienti ostili. Le persone anziane, nella paura e nell’insicurezza, tendono sempre di più a isolarsi nella propria casa, diventando nel tempo più sole e non autosufficienti. Una violenza che ritroviamo sul corpo e nell’anima delle donne. Una violenza che non conosce confini, che è la prima causa di morte e di invalidità per le donne, e che non conosce differenze sociali; violenze che vanno dallo stupro alle percosse, alla negazione della libertà negli ambiti familiari e di lavoro (pensiamo alle donne anziane o alle lavoratrici che hanno salari più bassi a parità di mansioni dei loro colleghi maschi). Abbiamo la necessità di fare della lotta alla violenza un’iniziativa politica e culturale perché la violenza sulle donne è un sistema di valori, un modello di relazioni, un’idea della sessualità che deve essere messa al centro di una pratica di trasformazione collettiva. È necessario aprire, nelle scuole, nelle nostre comunità, nei luoghi collettivi di partecipazione, anche conflitti, per arrivare a trasformare e costruire una nuova civiltà, una nuova relazione tra uomini e donne. Dare un senso compiuto al diritto di cittadinanza delle donne. Diritto di cittadinanza che si esprime anche nel fatto che l’attività di cura sia una libera scelta per le donne. Scelta che deve essere sostenuta da una rete di servizi efficace ed efficiente. Il lavoro di cura prestato agli anziani o ai soggetti più fragili non è percepito come un lavoro ad alto valore aggiunto. Se non ci sarà una svolta sarà sempre un lavoro con alta segregazione al femminile con datori di lavoro, spesso fragili, che hanno difficoltà a sostenere i costi del servizio. Sentiamo la necessità, assieme alle donne della Cgil, di un confronto che vada al di là di clausole contrattuali parziali. Ci sono livelli contrattuali che investono terreni più ampi quali ad esempio le flessibilità orarie, i tempi di vita che diventano temi fondamentali se vogliamo conciliare la vita lavorativa e la vita familiare. Diventa, quindi, per noi necessario e indispensabile costruire e consolidare una rete di relazione con le donne attive ma anche con le associazioni femminili presenti nei territori, con le istituzioni quali gli uffici pari opportunità, il terzo settore e in particolare con l’Auser per rendere visibile e dare forza a una politica di genere a partire dalle leghe. 62 L’età delle scelte Gruppo: Previdenza e reddito Introduzione di Mara Nardini Coordinamento nazionale donne Spi Cgil Q uesta introduzione al lavoro di gruppo non presenta un analitico esame della condizione pensionistica delle donne, perché si possono richiamare i contenuti del documento “Appunti” ma soprattutto i lavori del seminario sulla previdenza di genere, svolto insieme al Dipartimento Previdenza dello Spi il 16 gennaio 2007 come momento di preparazione dell’assemblea. Pertanto, per quanto riguarda l’analisi dei dati, faremo riferimento a quanto emerso in quel seminario e ad alcune delle considerazioni conclusive svolte in quella occasione. Anzitutto vi è un elemento che vorrei proporre alla vostra discussione ed è la questione delle priorità. Il documento “Appunti”, sia per i tempi di preparazione che ha richiesto sia per l’orizzonte temporale nel quale si è collocato, non poteva prospettare, all’interno del quadro degli obiettivi e delle rivendicazioni che propone, una scala di priorità riferita alla fase attuale. Oggi, oltre che confermare o arricchire quel quadro, è necessario, a mio parere, avere anche questa attenzione perché nelle assemblee territoriali e regionali la discussione si è rapportata con i contenuti dei nostri documenti ma anche con i termini del confronto con il governo. Allora la prima riflessione che propongo è il fatto che i temi che lo Spi ha scelto per il confronto con il governo rappresentano delle priorità anche nell’ottica di genere. Questo appare quasi scontato per quanto riguarda la questione della non autosufficienza (su cui non mi soffermo anche perché è materia di un altro lavoro di gruppo), ma è altrettanto vero anche per la rivalutazione delle pensioni, che non solo è stato un tema di spessore congressuale ed è anche uno dei punti del documento unitario di Cgil, Cisl, Uil per il confronto con il governo, ma assume una centralità anche rispetto all’analisi di genere. Sono le donne, infatti, ad avere le pensioni più basse (il 64% delle pensioni erogate alle donne è sotto i 700 euro, contro il 26,8% degli uomini); questo comporta che sussiste un rischio di povertà del 19 per cento per le donne anziane, contro il 12 per cento degli uomini. Ne deriva che l’obiettivo della rivalutazione delle pensioni, che riguarda tutte le pensioni, riveste un’importanza più alta per le donne perché riduce i rischi di povertà; inoltre è intuibile che l’utilità di un incremento di reddito è maggiore per chi ha una condizione economica molto difficile, che costringe a scegliere fra bisogni essenziali. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 63 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Una seconda questione connessa al confronto con il governo è l’età pensionabile delle donne. Proposte per equiparare nel sistema retributivo l’età pensionabile di uomini e donne, che percorrono il dibattito che si svolge sulla stampa, sono allo studio di esperti della materia e potrebbero irrompere nella trattativa. Va osservato anzitutto che il differenziale di cinque anni attualmente in vigore nell’età per la pensione di vecchiaia con il sistema retributivo non è un risarcimento concesso alle donne per il lavoro di cura prestato gratuitamente all’interno della famiglia ma è qualcosa di diverso: è un riconoscimento del valore sociale del lavoro di cura. Vuol dire che il lavoro di cura ha valore per tutta la società. Inoltre la proposta di innalzamento dell’età pensionabile delle donne non ha alcuna attinenza con la discussione relativa alle pensioni di anzianità e alle proposte finalizzate a limitare questo istituto. Qui c’è bisogno di grande chiarezza: non c’è alcuna esigenza di porre un freno ai pensionamenti anticipati delle donne, perché esse non sono sostanzialmente in grado di usufruire delle pensioni di anzianità (dati Inps: nella classe di anzianità contributiva fra i 35 e i 39 anni, le donne sono solo il 16,7% mentre gli uomini sono l’83% del totale). Infatti, le donne stanno allungando il tempo di permanenza al lavoro più di quanto stiano facendo gli uomini e ora si è arrivati al superamento: l’età media di pensionamento delle donne (dati ricavati dal contributo scritto all’assemblea del compagno Caon) è di 61 anni, contro il 60,9 degli uomini. Questo rende ancora più inaccettabile la proposta di allungamento dell’età pensionabile delle donne, che oltretutto viene posta come scambio, per trovare le risorse necessarie a compensare l’eliminazione o la riduzione dello scalone. Ma è impensabile che le donne ultrasessantenni paghino l’uscita precoce dal lavoro degli uomini, consentendo loro l’accesso alle pensioni di anzianità. Inoltre la generazione che ora si vuole colpire (ricordiamo che fra alcuni anni si andrà in pensione solo con il metodo contributivo) è quella nata nel dopoguerra o subito dopo, che ha subìto tutti i contraccolpi di un mercato del lavoro con meccanismi di funzionamento durissimi nei confronti delle donne (penso ai licenziamenti per maternità, ma anche per matrimonio); donne che hanno portato avanti le lotte per l’emancipazione e hanno realizzato conquiste che hanno fatto progredire la condizione delle donne in questo paese. Per concludere su questo punto, ritengo che vada proposto all’assemblea un ordine del giorno che, con le motivazioni che prima ricordavo, respinga in modo molto netto l’eliminazione del differenziale a favore delle donne nell’età pensionabile. È necessario, poi, che il governo mantenga gli impegni assunti in sede di approvazione della legge finanziaria nei confronti degli incapienti, che sono restati fuori dalla redistribuzione di risorse operata con la modifica della tassazione. Questa partita ha un evidente contenuto di genere, in quanto le donne rappresentano più del 76 per cento dei titolari di pensioni nella classe d’importo fino a 500 euro mensili, che coincide con l’area di incapienza fiscale. 64 L’età delle scelte Previdenza e reddito Inoltre, se la risposta alla richiesta di restituire potere d’acquisto alle pensioni fosse data dal governo attraverso lo strumento fiscale, contemporaneamente è necessario un intervento equivalente per gli incapienti, al fine di evitare una discriminazione nei confronti delle donne che, come abbiamo visto, rappresentano il popolo degli incapienti. Fra i punti salienti che proponiamo in materia previdenziale vi è l’aumento delle pensioni di reversibilità nella misura del 100 per cento quando la pensione o la retribuzione del coniuge deceduto costituiva l’unico mezzo di sussistenza della coppia. Nel seminario sulla previdenza di genere abbiamo visto che la proposta si basa su evidenti motivazioni sociali, perché questa categoria di pensionate ha redditi molto ridotti ed è a rischio di povertà. Inoltre, questa rivendicazione è condivisa unitariamente ed è entrata nella piattaforma Fnp, Spi e Uilp. Nel percorso di preparazione dell’assemblea si sono manifestate fra le compagne preoccupazioni relative al fatto che questo aumento possa rappresentare un fattore di disincentivazione del lavoro delle donne. Io credo che, pur tenendo presenti queste giuste preoccupazioni, dobbiamo guardare al rischio di povertà delle donne pensionate che citavo prima. Inoltre, se consideriamo l’effettivo livello delle pensioni di reversibilità, il rischio risulta davvero ridimensionato. Nel fondo lavoratori dipendenti (2,5 milioni di pensioni di reversibilità), le pensioni attribuite alle donne hanno un importo medio mensile di soli 503 euro, quindi un eventuale aumento non potrebbe che avere un effetto di disincentivo assai limitato. In ogni caso, la proposta a cui pensiamo dovrà contenere dei meccanismi di salvaguardia, rispetto alle possibili ricadute negative sull’occupazione femminile, attraverso la definizione di un limite massimo di importo per la pensione di reversibilità, oltre il quale non si darà corso ad aumenti, o attraverso un meccanismo a scalare che riduca progressivamente la percentuale di aumento in presenza di classi di reddito da pensione via via più elevate. Un altro nostro obiettivo fondamentale è il raggiungimento di una legislazione che riconosca copertura previdenziale a chi svolge lavoro di cura. Consideriamo, infatti, l’attuale Fondo di previdenza istituito con il decreto legislativo 565/1996 uno strumento del tutto inadeguato. Per un reale riconoscimento della funzione sociale del lavoro di cura, e per rendere possibile il raggiungimento di una pensione dignitosa, è necessario prevedere la copertura contributiva dei periodi dedicati alla cura, il cumulo di qualsiasi tipo di contribuzione versata in qualunque gestione e il recupero delle posizioni silenti, che sono la grande iniquità di questo sistema previdenziale perché sottraggono risorse contributive proprio ai soggetti più in difficoltà nel mercato del lavoro e nell’età della pensione. Uno strumento rilevante per migliorare la condizione reddituale dei pensionati è la contrattazione sociale territoriale. Senza entrare nel merito, perché è un tema oggetto dell’apposito gruppo di lavoro, occorre ricordare che ormai gran parte delle entrate dei comuni non sono trasferimenti dallo Stato ma entrate proprie, realizzate attraverso la tasTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 65 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil sazione dei cittadini decisa dalle amministrazioni locali che si aggiunge all’imposizione decisa dalle regioni. Qui c’è un importante spazio per la negoziazione sociale a favore delle fasce sociali a maggiore disagio, che sono in maggioranza donne pensionate, per difendere il reddito attraverso misure fiscali, riduzione del costo dei servizi eccetera, senza tralasciare interventi per realizzare riduzioni tariffarie per i servizi locali. Sul terreno della tassazione del reddito complessivo, attraverso l’Irpef, vorrei riprendere alcune osservazioni contenute nel contributo scritto all’assemblea del compagno Saccoman, per sottolineare che stanno avanzando proposte di tassazione del reddito familiare (splitting, quoziente familiare) sull’onda del crescente familismo che pervade non solo il centro-destra ma anche settori ed esponenti del centro-sinistra. Motivate da intenti di maggior favore fiscale nei confronti delle famiglie, questi metodi di tassazione costano molto ma soprattutto, come è ampiamente provato, scoraggiano il lavoro delle donne e favoriscono solo i redditi medio-alti. Non si tratta di una questione di tecnica fiscale, è invece una problematica profondamente politica perché rappresenta uno dei tasselli di un mosaico che tende a mettere sempre più la famiglia, intesa astrattamente come riferimento ideologico, al centro degli interventi, prescindendo in qualche modo dalle condizioni e dai bisogni dei soggetti che compongono la famiglia e dalle ricadute, anche negative, che dette politiche possono avere sulla loro condizione. Inoltre, sul piano generale, è bene sottolineare che quanto più le politiche sociali sono dirette all’entità famiglia, tanto più vi è il rischio di una limitazione dell’autonomia delle donne. La questione dell’autonomia reddituale delle donne è già presente in tutto il settore degli interventi assistenziali e dell’integrazione al minimo. Il riferimento al reddito coniugale per poter usufruire di questi interventi è una condizione che penalizza le donne, che sono la grande maggioranza in questa area e che, anche per ragioni di età e di esclusione dal mercato del lavoro, non sono in condizioni di trovare alcuna alternativa reale alla dipendenza dal coniuge. Per tali ragioni riteniamo che nella riforma dell’assistenza, proposta unitariamente da Spi, Fnp, Uilp, vada posta la necessaria attenzione a questo aspetto, al fine di non estendere il meccanismo di dipendenza. Considerazioni finali. La condizione pensionistica delle donne pensionate è il risultato di quanto accade loro nella propria vita lavorativa. Quindi, se si vuole che in futuro le donne, quando giungono nell’età del ritiro dal lavoro, non siano prevalentemente destinatarie di pensioni povere o assistenziali, è necessario fare attenzione a ciò che accade nel percorso lavorativo, quanto pesano le barriere nell’accesso al lavoro, la condizione di precariato, le discriminazioni nel lavoro che si traducono in versamenti contributivi rapportati a retribuzioni più basse di quelle degli uomini (dovute al fenomeno dei differenziali retributivi, alle carriere piatte, alla segregazione professionale orizzontale e a quella verticale). Si deve guardare alle maggiori irregolarità re66 L’età delle scelte Previdenza e reddito gistrate nella vita lavorativa, connesse alla necessità di dedicarsi al lavoro di cura, che comportano un numero inferiore di contributi; si deve vedere come viene gestito lo strumento dei congedi parentali, usati oggi in larghissima parte dalle sole donne, come la politica dei tempi (quelli del lavoro, ma anche quelli dei sevizi e i tempi delle città) non tiene conto del doppio ruolo delle donne, come siano scarsi i progressi fatti sul terreno della conciliazione fra tempi del lavoro e impegno familiare, quanto la divisione dei ruoli in famiglia è ancora rigida e asimmetrica e quanto la rete dei servizi sociali è scarsa. Ricordiamo che in Italia la spesa sociale è più bassa che nel resto dell’Europa, mentre le reti familiari si vanno progressivamente indebolendo; inoltre sul lavoro vi è un ridotto uso del part-time e delle flessibilità in favore delle lavoratrici. Su molti di questi temi vi è stata una stagione di conquiste legislative importanti che, come tutte le leggi volute dal sindacato, hanno un’impostazione di sostegno alla contrattazione, non si sostituiscono a essa e lasciano appositamente uno spazio, rinviando alla determinazione delle parti sociali. Il problema è che la contrattazione per la gestione di quelle leggi è stata insufficiente. Mi riferisco alla quantità e qualità dei progetti previsti dalla legge 125 sulle pari opportunità, alla gestione della legge sui congedi parentali, di cui si sono avvalsi pochissimi uomini, dell’articolo 9 della stessa legge, che ha prodotto poche centinaia di progetti in cinque anni, dei rari accordi per far godere alle donne del part-time e così via. Non penso assolutamente che sia stata e sia una contrattazione facile, registro solo battute d’arresto nei risultati. Su gran parte di queste partite noi non possiamo che dare un contributo indiretto. Per questo sollecitiamo la Cgil ad aprire una discussione sui luoghi delle donne e sulle politiche di genere, augurandoci che da questa discussione scaturisca una modalità più efficace che consenta alle donne del sindacato di pesare sulle scelte sindacali e di chiedere attenzione alle forze politiche, anche per migliorare la legislazione esistente. Per le ragioni che prima indicavo, noi siamo fortemente interessate a una politica di alleanza con le donne della Cgil e delle categorie, un patto fra attive e pensionate per far avanzare la condizione di tutte. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 67 Relazione in plenaria di Lucia Lombardo segretaria Spi Cgil Sicilia, resp. coordinamento donne regionale I l gruppo ha approfondito i temi del documento “appunti” preparatorio di questa settima Assemblea nazionale delle donne dello Spi, condividendo i contenuti della introduzione di Mara Nardini, della discussione e degli interventi delle compagne e del contributo del compagno Caon. Ha apprezzato molto la relazione di Gabriella Poli che, tra le altre cose, ci ha ricordato che il dibattito congressuale ha assunto “le politiche del benessere” quale obiettivo centrale per tutelare e affrontare le condizioni degli anziani e delle anziane del nostro paese. La rivalutazione delle pensioni Uno dei maggiori problemi da risolvere è garantire un reddito dignitoso a tutti, individuando nella rivalutazione di tutte le pensioni una delle priorità su cui intervenire. L’obiettivo della rivalutazione delle pensioni, inoltre, non è solo stato un tema di spessore congressuale ma è entrato, a pieno titolo, nel documento unitario di Cgil, Cisl, Uil per il confronto con il governo. Per quanto ci riguarda, è un obiettivo che assume una centralità anche rispetto all’analisi di genere, perché sono le donne ad avere le pensioni più basse (il 64% delle pensioni erogate alle donne è sotto i 700 euro, contro il 26,8% degli uomini); questo comporta che vi è un rischio di povertà più alto per le donne anziane (pari al 19% contro il 12% degli uomini). A questo proposito il gruppo ha espresso grande preoccupazione per la confusione con la quale sta procedendo la trattativa con il governo, e ha condiviso il documento della segreteria nazionale dello Spi che non esclude di intraprendere iniziative per sostenere l’impegno che, attraverso il Memorandum, l’esecutivo ha sottoscritto con le parti sociali. Nel confronto con il governo, inoltre, va ribadito: - il no alla revisione dei coefficienti di rivalutazione per il calcolo delle pensioni contributive; - il superamento dello scalone per l’accesso alla pensione di anzianità e il ripristino della flessibilità in uscita. Oltre a ciò, nella trattativa con il governo è fondamentale continuare a sostenere che bisogna intervenire e trovare soluzione alla questione della separazione fra l’assistenza e la previdenza. I soggetti fiscalmente incapienti Vi è, poi, la questione dell’incapienza, che nella Finanziaria ha parzialmente trovato riscontro ma ora è necessario che il governo mantenga gli impegni 68 L’età delle scelte Previdenza e reddito assunti in quella sede. Questa partita ha un evidente contenuto di genere, in quanto le donne rappresentano più del 76 per cento dei titolari di pensioni nella classe d’importo fino a 500 euro mensili, che coincide con l’area di incapienza fiscale. Le misure a favore degli incapienti devono essere adottate contestualmente agli interventi per la rivalutazione delle pensioni, al fine di evitare una discriminazione nei confronti delle donne che, come abbiamo visto, costituiscono il popolo degli incapienti. La contrattazione sociale territoriale La condizione reddituale delle donne e degli uomini pensionati va migliorata anche attraverso lo strumento rilevante della contrattazione sociale territoriale e di genere in particolare. Bisogna tener presente che ormai molte entrate dei comuni sono realizzate attraverso la tassazione dei cittadini stabilita dalle amministrazioni locali (dunque non trasferimenti dallo Stato), cui si aggiunge l’imposizione disposta dalle regioni. La negoziazione a favore delle fasce sociali a maggiore disagio, in prevalenza donne pensionate, trova qui un importante spazio di tutela del reddito attraverso misure fiscali, riduzione del costo dei servizi, riduzioni tariffarie eccetera. L’intervento deve servire anche a riequilibrare le disparità territoriali, che vedono un innalzamento della imposizione fiscale al Sud che non si traduce in un’adeguata crescita di servizi. Le proposte di trattamento fiscale del reddito familiare A proposito di fiscalità, il gruppo non condivide le proposte di tassazione del reddito familiare (splitting, quoziente familiare), conseguenza del crescente familismo presente non solo nel centro-destra ma anche nel centro-sinistra. Questi metodi di tassazione scoraggiano il lavoro delle donne e favoriscono solo i redditi medio-alti. Più in generale, si ritiene che più le politiche sociali fanno riferimento all’entità famiglia e più vi è il rischio di una limitazione dell’autonomia delle donne. Un’ulteriore preoccupazione nasce dal fatto che, mentre è cresciuto l’intervento fiscale a favore delle “famiglie con figli”, è completamente dimenticata la “famiglia singola”, spesso donne anziane sole, e le famiglie senza figli, come sono quelle dei pensionati, che rimangono fuori dagli interventi fiscali, non da ultimo i provvedimenti della Finanziaria. Le proposte di innalzamento dell’età pensionabile delle donne Una seconda questione connessa alla trattativa con il governo è l’età pensionabile delle donne. Il differenziale di cinque anni attualmente in vigore nell’età per la pensione di vecchiaia con il sistema retributivo non è un Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 69 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil risarcimento concesso alla donne ma è il riconoscimento economico del valore sociale del lavoro di cura. Come ci ricorda Betty Leone, sancisce il fatto che il lavoro di cura ha valore per tutta la società. La proposta di innalzamento dell’età pensionabile delle donne non ha alcuna attinenza con la questione relativa alle pensioni di anzianità; non c’è alcun bisogno di porre un freno ai pensionamenti anticipati delle donne perché esse non sono sostanzialmente in grado di usufruire delle pensioni di anzianità. Infatti le donne stanno allungando il tempo di permanenza al lavoro più di quanto stiano facendo gli uomini e hanno un’età media effettiva di pensionamento superiore a quella degli uomini Questo dato di fatto rende ancora più inaccettabile le proposte di allungamento dell’età pensionabile delle donne, che oltretutto vengono poste come scambio, per trovare le risorse necessarie a compensare l’eliminazione o la riduzione dello scalone. Ma è inconcepibile che le donne ultrasessantenni paghino l’accesso alle pensioni di anzianità degli uomini. Sul tema, il gruppo propone un ordine del giorno per respingere, in modo molto netto, queste proposte che consideriamo inaccettabili. Inoltre riteniamo che i temi del confronto con il governo in materia previdenziale vadano affrontati e sostenuti attraverso un patto fra lavoratori e pensionati, fra uomini e donne e fra generazioni. La previdenza per chi svolge lavoro di cura Il nostro obiettivo è il raggiungimento di una legislazione che riconosca copertura previdenziale a chi svolge lavoro di cura. Consideriamo infatti l’attuale Fondo di previdenza, istituito con il decreto legislativo 565/1996, uno strumento a dir poco inadeguato. Per un reale riconoscimento della funzione sociale del lavoro di cura e per rendere possibile il raggiungimento di una pensione dignitosa, è necessario prevedere la copertura contributiva dei periodi dedicati alla cura, il cumulo di qualsiasi tipo di contribuzione versata in qualunque gestione e il recupero delle posizioni silenti, che sono la grande iniquità di questo sistema previdenziale. In aggiunta a questa proposta, nel dibattito sono state indicate diverse ipotesi tendenti a un ampio recupero delle posizioni silenti, confermando che la questione dei contributi silenti è un punto di sofferenza al quale dedicare un ulteriore approfondimento. Nel confermare l’obiettivo del riconoscimento previdenziale del lavoro di cura sono emerse proposte, nel merito, tendenti a privilegiare il lavoro dedicato, ad esempio, all’accudimento dei bambini in età prescolare e all’assistenza alle persone non autosufficienti (anche come rafforzamento della legge sui congedi parentali). Inoltre, è necessario intervenire sulle implicazioni sociali ed economiche della cura affidata alle cosiddette badanti, anche perché lì si annida la precarietà del lavoro e l’evasione contributiva. 70 L’età delle scelte Previdenza e reddito Le pensioni di reversibilità Per quanto riguarda le pensioni di reversibilità, nel confermare l’obiettivo dell’aumento al 100 per cento della percentuale di reversibilità in assenza di altri redditi, il dibattito, molto ricco, ha evidenziato una diversità di accenti che ribadiscono l’esistenza di preoccupazioni circa l’effetto di scoraggiamento del lavoro femminile determinato dall’aumento di detta percentuale. Occorre pertanto adottare accorgimenti per evitare queste ricadute indesiderate (come, per esempio, l’adozione di tetti di importo della pensione oltre i quali non vi è aumento). In aggiunta a questo, è necessario intervenire sulle pensioni di reversibilità con il sistema contributivo, per assicurare il diritto a un trattamento minimo. Infine, si propone di avviare uno studio approfondito su tutto il tema delle pensioni di reversibilità per analizzare le varie casistiche e individuare una proposta di riforma che coniughi equità e coerenza con gli altri trattamenti previdenziali e assistenziali. Le condizioni lavorative delle donne e le ricadute sulla condizione pensionistica La previdenza oggi non è favorevole alle donne, ma non lo sarà neppure per le giovani che tra 20-30 anni dovranno andare in pensione; ciò a causa della precarietà e della mancanza di lavoro “di qualità”. Se vogliamo che in futuro le donne giungano nella fase della pensione in condizioni migliori, dobbiamo vedere ciò che accade oggi nel percorso lavorativo, quanto pesano le barriere nell’accesso al lavoro, le discriminazioni che si traducono in versamenti contributivi rapportati a retribuzioni più basse di quelle degli uomini (fenomeno dei differenziali retributivi, delle carriere piatte, della segregazione professionale orizzontale e verticale); dobbiamo guardare alla precarietà del lavoro e alle irregolarità registrate nella vita lavorativa, che causano un numero inferiore di contributi, connesse anche alla necessità di dedicarsi al lavoro di cura. A fronte di questa situazione, le donne pensionate assumono insieme alle giovani la lotta al lavoro precario, chiedendo la modifica di tutte quelle norme che ostacolano l’obiettivo di lavori stabili e ben retribuiti e ritengono indispensabile un’alleanza con le lavoratrici per lottare contro tutte le discriminazioni di genere nel lavoro. Inoltre, è essenziale conquistare una maggiore copertura figurativa a sostegno del lavoro discontinuo e il rafforzamento dei cosiddetti lavori deboli (quali quelli delle colf) per disincentivare il lavoro nero attraverso un’emersione che rappresenti anche la costruzione di un futuro previdenziale per questi lavori. Oltre a questi argomenti, nella discussione del gruppo sono emersi ulteriori punti che meritano di essere sinteticamente proposti: - la totalizzazione di tutti i periodi contributivi; - la revisione del trattamento previdenziale dei lavoratori migranti; Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 71 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil - l’armonizzazione di tutti i trattamenti previdenziali, eliminando le situazioni di privilegio ancora esistenti. Come si può vedere, la discussione nel gruppo è stata ampia, sono emersi arricchimenti e contributi interessanti che ci offrono importanti spunti per continuare il lavoro e ci propongono nuovi terreni di approfondimento. 72 L’età delle scelte Gruppo: Organizzazione e strumenti del coordinamento Introduzione di Renata Bagatin segretaria nazionale Spi Cgil V orrei entrare nel merito e verificare assieme tutta una serie di questioni che riguardano l’organizzazione e gli strumenti del nostro coordinamento. È chiaro che noi avevamo fatto una scelta come sindacato dei pensionati: quella di mantenere e di confermare il Coordinamento nazionale delle donne e i coordinamenti ai vari livelli. Scelta che non è stata fatta a suo tempo dalla Cgil (infatti in Cgil noi abbiamo altre forme di incontro delle donne: il forum). Su questo noi siamo appunto convinte che la nostra scelta sia, proprio per la specificità che poi vediamo del nostro sindacato, una scelta corretta e giusta. Detto questo, noi siamo anche dell’avviso che con la scelta del coordinamento andiamo a sviluppare tutta una serie di attività e di impegni che il nostro sindacato deve svolgere nella quotidianità. Per quanto riguarda il rapporto con il forum delle donne della Cgil, noi ci siamo, siamo anche noi ovviamente presenti al dibattito e, dentro a questo ragionamento, noi siamo perché sia esteso. Chiediamo alle compagne della Cgil di essere presenti sempre ai nostri lavori e noi ai lavori della Cgil. Noi abbiamo passato una fase molto importante: la fase dei congressi. Si è da poco concluso il nostro congresso dello Spi nazionale che ha apportato una serie di modifiche statutarie a partire dalla norma antidiscriminatoria all’articolo 27. Oltre a questo, noi oggi abbiamo un ulteriore compito, cioè quello di entrare nel merito del regolamento che vi è stato distribuito e che poi verrà votato dall’assemblea e assunto dal Comitato direttivo nazionale dello Spi. Il regolamento è il modo di far funzionare il nostro lavoro, il lavoro del coordinamento. Quindi, all’interno, voi troverete tutta una serie di articolazioni, di norme, di regole, di impegni. Ovviamente il regolamento è il regolamento nazionale. Se le strutture a livello territoriale vogliono dotarsi di un loro regolamento, come all’interno è scritto, deve essere rispondente al regolamento nazionale, in modo tale che le regole che ci diamo siano regole poi da portare avanti in tutte le realtà territoriali. Le scelte – dicevo – sono state fatte dal congresso; scelte che io ritengo e noi riteniamo molto importanti. La scelta politica dello Spi ha la conferma del coordinamento come luogo aperto di aggregazione e di iniziativa. Il coordinamento ha anche il diritto di avanzare proposte in merito ai contenuti rivendicativi di politica economica e sociale. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 73 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Questo è un aspetto molto importante che non c’era. Noi, di fatto, abbiamo la possibilità, ma anche il compito, di assumerci delle responsabilità. Non è importante soltanto ottenere e scrivere delle cose all’interno degli statuti o dei regolamenti: dobbiamo poi farle le cose, farle nella pratica quotidiana. Si deve entrare nel merito dei contenuti di politica economica e sociale, entrare nel merito con delle nostre proposte, con le nostre sensibilità nel momento in cui si vanno a elaborare le piattaforme rivendicative. Le altre commissioni stanno discutendo nel merito di queste tematiche. Oltre a questo, abbiamo il diritto di proposta sulla definizione dei criteri per le candidature a cariche esecutive. Anche questo è un aspetto molto importante. Si è chiarito un percorso; si è chiarita, da Chia Laguna a oggi, una serie di percorsi che non erano molto comprensibili all’interno dell’organizzazione. Oggi noi parliamo di diritto di proposta sulla definizione dei criteri. L’obiettivo politico della nostra organizzazione, l’obiettivo politico che noi ci diamo, è proprio quello di rispondere alle esigenze degli iscritti allo Spi Cgil, per arrivare a un rapporto paritario tra i sessi (precisato all’interno dell’articolo 10 del nostro Statuto). Dopo tutte queste cose importanti che abbiamo scritto nel nostro statuto, cosa dobbiamo fare? Qual è il nostro percorso perché queste cose diventino concrete? La prima cosa è quella che riguarda la norma antidiscriminatoria. Questa non si ottiene con la bacchetta magica dall’oggi al domani, e non è un percorso che va imposto a nessuno. Il nostro statuto prevede che nessuno dei due sessi debba essere inferiore al 40 per cento. Noi ci siamo dati l’obiettivo politico di arrivare alla parità, al 50 per cento. Dentro questo ragionamento dobbiamo partire con una politica organizzativa adeguata che sia in grado di sviluppare iniziative per arrivare, da qui al prossimo congresso, alla parità dei sessi all’interno del nostro sindacato. Preciso che, come poi avete visto in cartella dai dati che vi sono stati consegnati, la presenza delle donne iscritte allo Spi Cgil supera il 50 per cento nella nostra organizzazione. Non supera il 50 per cento però la presenza delle donne dirigenti del sindacato dei pensionati. Ecco perché dobbiamo eliminare quella “pigrizia” politica di molti compagni nell’individuare le donne. Se loro sono pigri, noi non dobbiamo esserlo; e, se noi non dobbiamo esserlo, dobbiamo mettere in atto iniziative che portino a far ragionare l’organizzazione in maniera concreta rispetto alla definizione e alla presenza delle donne nella nostra realtà. Dobbiamo definire un progetto che, entro il congresso, ci aiuti a individuare e a promuovere le compagne. Per far questo, dobbiamo fare verifiche, una volta definito il progetto come coordinamento, all’interno dell’organizzazione. Noi dobbiamo arrivare al prossimo congresso con la presenza reale delle 74 L’età delle scelte Organizzazione e strumenti del coordinamento donne. Presenza reale vuol dire utilizzare tutte le scadenze, per esempio, che ci sono nel nostro sindacato, i famosi otto anni, due mandati dei vari livelli di rappresentanza politica, previsti appunto dallo statuto, e quando ci sono i cambi avere la compagna pronta per svolgere il ruolo di direzione politica. L’altro appuntamento per noi molto importante come sindacato e come coordinamento, e quindi come compagne all’interno dello Spi, è quello della Conferenza d’organizzazione. È un appuntamento che io definisco strategico e molto importante perché abbiamo l’opportunità di ragionare su alcuni aspetti che riguardano l’organizzazione e le donne che ne fanno parte, che appunto sono la maggioranza degli iscritti. Voglio dire che, per realizzare quel progetto, noi abbiamo bisogno di iniziative proposte dalle donne e discusse dall’intera organizzazione. Non siamo, cioè, una cosa separata. Noi siamo l’organizzazione dello Spi Cgil e, dentro a questa nostra organizzazione, vogliamo avere una presenza importante e svolgere un ruolo importante di rappresentanza politica. Ecco perché la Conferenza d’organizzazione deve tentare di assumere alcune questioni che riteniamo strategiche, come ad esempio i tempi di lavoro dell’organizzazione. Alcune di voi si ricordano che eravamo ad Arezzo quando ho posto questa questione con forza perché la ritengo molto importante. I tempi di lavoro dell’organizzazione noi possiamo metterli al centro del dibattito della nostra Conferenza d’organizzazione per quanto riguarda le donne. E non solo le donne perché i tempi devono cambiare dentro lo Spi. Le nuove persone, donne e uomini che arrivano allo Spi, vogliono avere, a differenza del passato, anche del tempo per loro, vogliono avere del tempo per studiare, per fare delle cose che magari durante l’attività lavorativa non potevano fare. Non vogliono dedicare tutto il loro tempo all’impegno nel sindacato. Questa è una questione che riguarda tutti: riguarda gli uomini e riguarda le donne. L’organizzazione deve assumere questo impegno, tentando delle sperimentazioni. Valutiamo come svolgere un’attività che non sia mortificante per chi non sta lì dall’alba al tramonto, perché abbia la stessa possibilità di essere un grande dirigente all’interno del sindacato. Se noi vogliamo un sindacato di donne e di uomini giovani, dobbiamo ragionare in maniera diversa rispetto al passato. I tempi dell’organizzazione vanno, in qualche modo, rimodulati e ripensati; ripensati senza seguire quello che molte di noi hanno fatto nel sindacato, dedicando l’intera vita lavorativa. Molte hanno fatto questa scelta. Io penso che sia giusto che, se vogliamo avere un sindacato rinnovato con grandi presenze di donne e di uomini giovani, dobbiamo cogliere questi bisogni ed essere in grado di impegnarci su questo versante. L’altro tema è quello che riguarda la formazione: la formazione delle compagne e dei compagni. Anche qui aggiungo una cosa. Molte persone si iscrivono per la prima volta al nostro sindacato quando vanno in pensione. Lo fanno per diversi motivi: erano commercianti, artigiani, hanno perso il proprio compagno o la propria compagna (quindi hanno la pensione di reversibilità) Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 75 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil eccetera. Si iscrivono per la prima volta allo Spi perché trovano un luogo disponibile a dare aiuto, ad ascoltarli, a stare assieme; un modo anche per vivere un percorso diverso. Noi abbiamo, come organizzazione, il dovere di aiutare queste persone che non conoscono la storia del nostro sindacato, non sanno chi siamo e noi dobbiamo informarli. Si deve partire dalla base per inserirli all’interno dell’organizzazione e farli diventare quello che dicevo all’inizio: dei dirigenti sindacali. Le politiche formative per noi sono un aspetto fondamentale ed essenziale. La formazione serve per tutti, donne e uomini. Dunque ci deve essere una formazione specifica, finalizzata alle donne. Su certi temi, però, che riguardano la storia del sindacato, l’identità e i valori, la formazione va estesa a tutti. Noi dobbiamo rivedere i programmi di formazione che si sono fatti nel passato e riequilibrarli rispetto all’attuale situazione e all’attuale percorso, per sviluppare un’azione formativa mirata in tutte le realtà nazionali. Su questo il lavoro fatto nel passato è stato un lavoro egregio. Quelle realtà – e qui voglio citarle – che hanno scelto in maniera forte la formazione di genere, hanno poi avuto il “premio” di avere tanta presenza di donne dentro il sindacato. Investire in formazione è sicuramente un aspetto molto importante e dobbiamo usare la formazione in maniera corretta e concreta dentro la nostra organizzazione. L’impegno è quello di definire questo progetto a ogni livello, in ogni realtà regionale, comprensoriale, di lega, soprattutto di lega. In cartellina voi avete il riepilogo della nostra situazione. Abbiamo la fortuna di avere una segretaria generale donna. Questo sicuramente è un aspetto positivo; però, detto questo, poi entriamo nell’altra realtà e troviamo, su 21 segretari generali, 5 donne. È importante, però sono poche. Nelle segreterie comprensoriali abbiamo, su 117, 20 donne: altrettanto poche. Non parliamo delle leghe che, su 1.737 leghe, 306 sono donne. È importante, ma sono poche. Dobbiamo cominciare da adesso con il nostro progetto, dobbiamo individuare le persone per poi accompagnarle per diventare delle dirigenti sindacali. Come segreteria nazionale abbiamo proposto all’ultimo Direttivo nazionale l’aumento di donne. Infatti, su 16 persone, 14 sono donne; passando dal 43,1 per cento al 46,4 per cento la presenza nel Direttivo nazionale. Ognuno deve svolgere questo lavoro nel proprio territorio. Vorrei dirlo non come contrapposizione ma come esigenza politica dell’organizzazione. Non è una questione di donne: è una questione dell’organizzazione, nel senso che noi dobbiamo rappresentare i nostri iscritti e la maggioranza dei nostri iscritti sono donne. Noi dobbiamo avere, nella nostra organizzazione, la stragrande maggioranza di donne. È un aspetto proprio di rappresentanza politica dell’organizzazione. Questo è il lavoro, l’impegno e l’attività da svolgere nel nostro sindacato. 76 L’età delle scelte Organizzazione e strumenti del coordinamento L’obiettivo è il lavoro continuo e costante, l’impegno continuo e costante a partire dalle leghe. La Conferenza di organizzazione è una tappa importante, e il lavoro che dobbiamo svolgere è un lavoro altrettanto importante che deve vederci continuamente e costantemente impegnati e impegnate. Dobbiamo definire un progetto per far sì che il nostro sindacato dei pensionati sia un luogo di impegno e di crescita organizzativa. Questo noi lo facciamo per aver un numero sempre maggiore di donne iscritte e per avere un’organizzazione che rispecchi la sua rappresentanza. Questo è un fatto politico per noi molto importante. La realizzazione non dipende dagli altri: dipende da noi, dal nostro impegno, dal nostro lavoro e dalla nostra attività quotidiana. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 77 Relazione in plenaria di Lia Losa Coordinamento nazionale donne Spi Cgil I lavori del gruppo sono partiti dalla constatazione che il congresso ha segnato una svolta per il coordinamento. Le modifiche dello statuto hanno una valenza sia sul piano organizzativo sia su quello politico: il Coordinamento donne, già sede di relazione politica e confronto di esperienze, viene inserito fra gli organismi statutari (articolo 12) e assume un ruolo meglio definito di elaborazione e di proposta per le politiche dello Spi (articolo 23), acquisendo il diritto di proposta sui criteri per le candidature a cariche esecutive. Un’apposita modifica al regolamento del Coordinamento donne stabilisce le modalità attuative di tale diritto, affinché esso diventi esigibile nella pratica. Il congresso si è dato un obiettivo strategico che va oltre la norma antidiscriminatoria: la “parità fra i sessi”. È un obiettivo ambizioso, “50E50”, che richiede politiche organizzative adeguate, così esplicitate dal gruppo: - politiche formative di genere che stimolino l’attivazione delle donne, l’acquisizione di autostima e il senso di appartenenza al sindacato; che le accompagnino nella crescita, nell’assunzione e nell’esplicazione dei ruoli, perché le donne non siano semplici numeri posti nelle caselle dei diversi organismi sindacali; - un progetto che aiuti l’individuazione e la promozione delle compagne, utilizzando tutti gli strumenti formativi e organizzativi, per avere da qui al prossimo congresso compagne al massimo livello dirigenziale in tutti i livelli, a partire dalle leghe; - verifiche periodiche sull’andamento del progetto. Il gruppo ha esaminato la situazione attuale, rappresentando il quadro della presenza delle donne negli organismi dirigenti: - segretaria generale nazionale: 1, - segretarie regionali: 5 donne su 21, - segretarie comprensoriali: 20 su 117, - responsabili di lega: 306 su 1737, - presenza donne nel Direttivo nazionale: 43,1 per cento. Il Direttivo nazionale si è impegnato a portare la presenza femminile al 46 per cento e questo obiettivo dovrebbe essere esteso a tutti i territori. Il prossimo appuntamento è la Conferenza di organizzazione, che viene considerata una grande opportunità per assumere la questione di genere e consolidare i coordinamenti donne: in tale sede occorre riflettere e agire per un avanzamento democratico dell’organizzazione, consapevoli che i processi di democratizzazione favoriscono “inclusioni” di donne e uomini, superando le cristallizzazioni, a partire dalle leghe. Tutto questo determinerà un naturale e graduale rinnovamento che dovrebbe basarsi sui seguenti passaggi: 78 L’età delle scelte Organizzazione e strumenti del coordinamento - accoglienza, perché nel sindacato si deve stare bene; non è un obbligo rimanerci, occorre essere attratti, sentirsi utili. Occorre prestare attenzione ai problemi personali sia di chi opera nello Spi sia di coloro che allo Spi si rivolgono. La formazione può aiutare questa cultura di maggior sensibilità, di apertura nel rapporto con gli altri; - modalità di lavoro, che non devono essere necessariamente totalizzanti; linguaggio inclusivo, non specialistico, accessibile a tutte/i; - passaggio di saperi, competenze ed esperienze sindacali. Vecchi e nuovi sindacalisti, anziani e giovani, devono agire in un rapporto intergenerazionale che favorisca un rinnovamento graduale, senza fratture, in cui le esperienze acquisite non vadano disperse. Tempi di lavoro nel sindacato. Questo è un tema posto con forza dalle donne, ma che riguarda tutti, perché una nuova generazione incrocia lo Spi: sono donne e uomini con maggiore cultura e interessi diversificati, non ci stanno a essere imprigionati in tempi totalizzanti. Si potrebbe distribuire l’attività fra più persone per ridurre i tempi di lavoro individuale. Le donne si pongono l’obiettivo di estendere la rappresentanza sindacale ricercando nuove forme di aggregazione e di coinvolgimento. In molti territori i coordinamenti stanno sperimentando progetti di proselitismo, con una particolare attenzione alle donne. Grande importanza assume ovunque il ruolo dell’informazione e della comunicazione, perché la divulgazione delle politiche sindacali, delle rivendicazioni contrattuali e dei diritti conquistati fanno conoscere all’esterno il ruolo del sindacato e danno la motivazione a donne e a uomini per avvicinarsi allo Spi, quindi attivarsi al suo interno. La formazione di genere Assume una grande importanza: - per coinvolgere, aggregare e attivare le donne; - per dare consapevolezza e senso di appartenenza al sindacato, anche attraverso la conoscenza del suo ruolo e della sua storia; - per la crescita e l’assunzione dei ruoli (assunzione che deve essere concreta); - per fare acquisire i temi della solidarietà verso le altre donne dentro e fuori del sindacato. Si tratta del valore culturale “donna con donna” da esercitare anche nelle relazioni più difficili. Le donne propongono una sfida: estendere anche agli uomini la formazione di genere come questione culturale, e non solo, per dare loro consapevolezza del senso delle politiche di genere e del valore della presenza delle donne nelle politiche complessive del sindacato; per condividere l’importanza dei comportamenti solidali, contro ogni forma di cultura patriarcale. Il comportamento solidale risolverebbe molti problemi nei rapporti fra donne e uomini nelle leghe. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 79 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Il Coordinamento donne Non solo sede di relazione politica fra le donne, ma anche luogo diverso di lavoro, in cui si rafforzano: - la consapevolezza sindacale e di sé; - i valori; - le politiche di genere che si intrecciano con l’agire dell’organizzazione. Luogo che si apre alle altre donne fuori, per rappresentarne i bisogni. Le donne credono davvero in un modo nuovo di fare politica! Se privilegiano i servizi perché vi trovano un agire concreto, diamo loro strumenti affinché questa azione diventi politica a tutto campo. Facciamo in modo che i luoghi dei servizi siano davvero osservatori in cui si attua l’ascolto dei bisogni, in particolare dei bisogni delle donne, acquisendo la capacità di leggere oltre il bisogno dichiarato. La responsabile del coordinamento Il ruolo: - si fonda su un riconoscimento politico ed economico, sul riconoscimento del valore dell’ottica di genere; - si svolge in piena autonomia, operando dentro le politiche complessive dell’organizzazione; - è agevolato da una direzione politica autorevole. È auspicabile che le responsabili dei coordinamenti facciano parte delle segreterie a tutti i livelli. Nei casi in cui la coordinatrice non è in segreteria, è auspicabile che risponda direttamente al segretario/a generale, evitando deleghe delle politiche di genere ad altri componenti della segreteria. Perché la responsabile possa svolgere al meglio il suo ruolo, è necessario un giusto equilibrio negli incarichi che le si affidano; occorre una grande attenzione perché non vi sia un sovraccarico di compiti. Agibilità politica e risorse finanziarie Occorre assicurare ai coordinamenti l’agibilità politica, quindi l’accesso agli strumenti e ai luoghi dell’organizzazione, sostenendo l’attività dei coordinamenti con risorse finanziarie. È necessario prevedere comunque un riconoscimento economico per le coordinatrici, quando non fanno parte della segreteria, pur tenendo conto delle diverse condizioni dei territori. Le sfide dell’Assemblea: - costituire i coordinamenti donne in tutte le leghe, perché proprio la lega è il luogo in cui si possono incontrare le altre donne e intercettarne i bisogni; 80 L’età delle scelte Organizzazione e strumenti del coordinamento - dare gli strumenti perché il lavoro delle donne incida sull’organizzazione della lega; - avere segretarie generali a ogni livello, a partire dalla lega, superando tutti gli stereotipi… e anche le modalità di lavoro di molti capi-lega “plenipotenziari” dai tempi forzati; - verificare l’esercizio della rappresentanza. Poiché si afferma che il rinnovamento della Cgil passa attraverso il reinsediamento sul territorio, di conseguenza proprio le leghe sono il luogo privilegiato delle politiche di genere e di inclusione. Rapporti con le donne della Cgil Occorre ricercare una relazione con le compagne della Cgil per definire obiettivi di azione politica comune e condividere il nodo della contrattazione di genere, sapendo che questo può essere l’ambito privilegiato di un agire comune per affrontare le problematiche del lavoro di cura, dei servizi, dei consultori, come punti di incontro dei bisogni delle donne giovani e di quelle anziane. Le donne dello Spi chiedono alle compagne della Cgil di costruire insieme un luogo di elaborazione e di visibilità, qualunque sia la forma che esse vorranno scegliere: non intendono imporre modelli, ma proporre un’azione comune. Le donne della Cgil, insieme a quelle dello Spi, possono fare molto per mobilitarne tante altre. È importante agire insieme in questo momento in cui pesanti attacchi vengono rivolti alla laicità dello Stato e al corpo, alla libera autodeterminazione delle donne, in un clima di involuzione culturale che può riportarci indietro di decenni e distruggere i risultati di tante lotte. Progetto Memoria Come si è detto, il coinvolgimento e la valorizzazione di donne e uomini passano attraverso la conoscenza e la formazione, ma questo non basta: per agire con passione nel sindacato occorre un grande senso di appartenenza che si basi sulla conoscenza della sua storia, occorre andare alla ricerca delle “nostre radici”. Il Progetto Memoria dello Spi ha dunque un ruolo importante, non solo per la rappresentazione storica ma anche e soprattutto per la costruzione del futuro dello Spi e della Cgil. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 81 Conclusioni 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 83 L’età delle scelte Betty Leone segretaria generale Spi Cgil C redo che questa assemblea, come quelle precedenti, ancora una volta testimoni tutta la ricchezza dell’elaborazione delle donne della Cgil e dello Spi. In questa assemblea noi abbiamo rielaborato e attualizzato idee nate in anni importanti per l’emancipazione e la libertà delle donne in Cgil e in Italia, perché la storia delle donne della Cgil è, in fondo, la storia delle italiane. Il dibattito di questi giorni ha testimoniato la determinazione delle donne dello Spi a portare avanti gli obiettivi nei quali credono, e ha anche dimostrato che c’è nello Spi una nuova classe dirigente costituita da tante donne. È per questo che noi possiamo ritenere credibile l’obiettivo che ci siamo date di arrivare a un’organizzazione paritaria, un’organizzazione composta da donne e uomini e perciò diretta in ugual numero da dirigenti donne e dirigenti uomini. Nella sua relazione, Gabriella Poli ci ricordava che c’è una proposta di legge dell’Udi, intitolata “50E50 ovunque si decide”. Noi questa sfida l’abbiamo lanciata al congresso e la Cgil l’aveva lanciata simbolicamente quando, prima tra tutte le organizzazioni sociali italiane, aveva deciso di darsi, almeno al vertice, una costituzione paritaria: metà donne e metà uomini. Possiamo anche discutere sul risultato di questa scelta ma il simbolo era ed è evidente: il vertice della Cgil è un vertice paritario. Abbiamo messo così fine a un dibattito annoso sulle quote, sulla norma antidiscriminatoria, sul “che fare”. Noi abbiamo detto, per la prima volta: vogliamo andare oltre il dibattito sulle quote. Se dobbiamo rappresentare donne e uomini e siamo convinti che i generi sono differenti non solo nel loro corpo ma anche nella loro storia sociale e politica, e perciò sono portatori di interessi diversi, la democrazia vuole che questi soggetti siano ugualmente rappresentati. Dunque, la risposta di una dirigenza paritaria non è un risarcimento per le donne, non è solo una questione di pari opportunità ma è una questione di democrazia. Siamo consapevoli, come risulta dai dati posti in cartella, che le affermazioni e anche le decisioni spesso non producono gli effetti voluti: purtroppo in tante strutture siamo molto al di sotto della norma antidiscriminatoria, anche se in altre, anche grandi, siamo al di sopra. Comunque non sono soltanto le piccole strutture che possono avere delle difficoltà. Guardiamo bene quei dati e vedremo che ci sono difficoltà che non dipendono solo dalla volontà delle compagne ma anche dalla resistenza dell’organizzazione. Quindi, perché in questa situazione decidiamo di andare oltre, cioè di dire che il nostro obiettivo deve essere più ambizioso del 40 per cento di presenza nei luoghi di decisione? Ebbene, lo decidiamo proprio perché vogliamo rimettere al centro la questione sfida della democrazia partecipata, che è la 84 L’età delle scelte Conclusioni grande sfida della società moderna. Pensiamo che le donne siano una spinta importante per rinnovare la politica, o perlomeno per avere l’ambizione di rinnovarla, per portare contenuti diversi, per continuare a tenere alta l’idea che la politica, innanzitutto, è organizzazione della città, cioè del luogo dove vivi, del tuo lavoro, del tuo territorio, del tuo paese, del tuo gruppo di amiche. La politica, dicevamo una volta, è il personale e il personale è politico; la politica è governo del luogo dove viviamo e noi siamo state capaci almeno di dare voce a quest’idea che non è vincente nella politica italiana; noi però non ci scoraggiamo. Dunque vogliamo usare l’affermazione “cinquanta e cinquanta” per dire che una società moderna ha bisogno di nuove pratiche di democrazia che non possono risolversi nella semplificazione del leader riconosciuto. Questo messaggio ha camminato attraverso le nostre parole coraggiose trovando riscontro nella proposta di legge dell’Udi. Naturalmente le donne dell’Udi, quando hanno fatto questa proposta al loro congresso, non pensavano al cammino della Cgil e neanche al Congresso dello Spi, che per primo, e unico nella Cgil, ha lanciato la sfida dell’organizzazione paritaria. Credo, però, che la nostra iniziativa abbia avviato un cammino. Era un’idea, nessuno aveva osato dirla prima, anche se molte ci pensavano e le idee devono trovare le condizioni per affermarsi, ma poi procedono e qualche altro prende coraggio. Ecco perché penso che la legge dell’Udi è anche la nostra legge, perché credo che le donne della Cgil hanno fatto crescere questo “lievito”. Ci dobbiamo anche chiedere: perché è venuta per prima in mente a noi l’idea “cinquanta e cinquanta”? Perché alle donne della Cgil? La risposta sta nella mostra fotografica che voi avete visto fuori, a testimonianza che il lavoro della memoria che noi facciamo con molta passione nello Spi, e che non casualmente è guidato da una donna, Alba Orti, è un lavoro che ci permette di capire i processi e dare risposte alle domande che ieri ci ponevamo nella tavola rotonda. La mostra testimonia innanzitutto la presenza delle donne nel sindacato, sin dai suoi esordi, in ruoli importanti di direzione. Sicuramente erano poche, mosche bianche, ma si trattava di dirigenti autorevoli e riconosciute. La dirigente del più grande sindacato di allora, la Federterra, era una donna. Il sindacato non ha mai considerato le donne incapaci di assumersi delle responsabilità, fin dagli inizi del Novecento. Non è una cosa banale, anzi significa che le organizzazioni del lavoro, fortemente radicate nella società e impegnate nella difesa delle condizioni di vita delle persone, vedevano un protagonismo forte e convinto delle donne. Infatti le donne, proprio per questo legame delle battaglie sindacali con la vita reale, quotidiana, hanno percepito il sindacato come il luogo politico a esse più vicino. C’era una relazione forte fra l’azione sindacale, per chiedere più diritti nel lavoro, più salario, orari diversi, e la ricerca di un benessere non solo economico. Si pensi, per esempio, alla battaglia delle lavoratrici per ottenere asili nido territoriali che fossero non solo parcheggi di bambini ma luoghi accoTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 85 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil glienti e stimolanti per la loro crescita: quelle donne pensavano al bene dei propri figli ma chiedevano anche di condividere socialmente la propria responsabilità di madri e di lavorare senza sensi di colpa. Così cambiava la società e il senso comune. La mostra evidenzia come il cammino di emancipazione delle donne sia fortemente legato al lavoro. Nella storia del femminismo italiano il lavoro è stato sempre considerato uno strumento di liberazione per le donne. Non dimentichiamo che nella cultura della sinistra e del movimento operaio il lavoro era sfruttamento. Le donne hanno ribaltato questo concetto facendo del lavoro, fonte di reddito e quindi di autonomia, uno strumento di emancipazione. Le donne non sono entrate nel lavoro per scelta: sono entrate per necessità propria o necessità del paese durante la guerra. Quando hanno capito la forte valenza che il lavoro aveva per loro e per la loro autonomia, ne hanno fatto una leva per l’emancipazione femminile e una leva di cambiamento per tutta la società. Hanno costretto la società a cambiare tutta la propria struttura, persino quella familiare. La discussione sulla famiglia che si fa in questi giorni e che da tempo occupa le pagine dei giornali non tiene conto dell’evoluzione della famiglia, della forma famiglia e del suo rapporto con la presenza delle donne nel lavoro. Le donne nel sindacato si sono sentite sempre protagoniste. Certo, quasi sempre sono state comandate dagli uomini, ma poi è arrivata la stagione in cui si sono rese conto che se riuscivano così bene a parlare con le colleghe e a mettersi alla testa delle lotte operaie, perché non aspirare anche a dirigere questa organizzazione in cui si sentivano a casa e stavano bene, in cui il rapporto con la compagna di lavoro faceva fare loro un altro passo in avanti? Quella che avevano considerato sempre una condizione di vita individuale (la fatica di alzarsi ogni mattina, di preparare il pranzo, i figli per la scuola e poi andare a lavorare), nel luogo di lavoro diventava la condizione di vita di tutte le donne, rappresentava il passaggio dal soggettivo alla politica. Ecco perché in quella cultura il personale e il politico avevano un legame molto forte. Il ruolo nella famiglia si intrecciava con il ruolo sociale che le donne potevano, dovevano, aspirare ad avere nella società, per cambiarla. Queste donne hanno cominciato a pensare che forse avrebbero potuto anche dirigere e in questo modo creare un rapporto tra il dire e il fare, realizzando un modo nuovo di fare politica misurando la coerenza tra le parole e le azioni. Il pensiero degli uomini è più astratto. Per le donne, invece, la parola ha un legame fortissimo con quello che si realizza perché la parola non è mai vuota ma crea le condizioni per produrre cambiamenti sociali. Ebbene, questa concretezza, questo rapporto tra il dire e il fare dove si può esplicitare meglio che in un sindacato costretto alla concretezza materiale della difesa delle condizioni di vita delle persone che rappresenta? Ecco perché il rapporto tra donne e sindacato è stato sempre molto forte, e forte è stata (fenomeno peculiare in Italia) la contaminazione fra il femminismo e il movimento sindacale. La mostra dà conto anche di questa contaminazione culturale che ha cam86 L’età delle scelte Conclusioni biato il sindacato e la Cgil in particolare. Una contaminazione che ha prodotto il riconoscimento dell’indissolubilità tra diritti sociali e diritti del lavoro. I cartelli delle manifestazioni che appaiono nelle foto della mostra raramente parlano di diritti astratti; sono cartelli che, pur essendo portati da lavoratrici, difendono la 194, la libertà delle donne, e la solidarietà tra donne. C’è, ad esempio, la bellissima foto della donna giovane sorridente che ha un fiore su cui è scritto “a casa non ci torno”: si potrebbe portare questa foto dove si discute tanto di famiglia e usarla a sostegno di un ragionamento sulle differenze tra famiglia aperta e chiusa. L’idea del lavoro come fondamento anche dei diritti sociali è stata fondamentale per l’elaborazione e la pratica sindacale delle donne in Cgil. Il lavoro nella esperienza femminile non annulla la soggettività e, se non diviene strumento di libertà anche nella vita, allora viene percepito come oppressivo. Il vero problema è come noi costruiamo libertà e condizioni di libertà nei luoghi dove viviamo e lavoriamo. Spesso mi sono chiesta: perché nello Spi è più facile realizzare tutto questo? Perché nello Spi sono rimasti i coordinamenti donne? Perché le compagne dello Spi discutono tanto di contrattazione sociale, previdenza e diritti di cittadinanza? Penso che la risposta stia proprio nella necessità, sia per lo Spi sia per il Coordinamento donne, di agire sulle condizioni di vita delle persone che rappresentiamo. Infatti lo Spi, se vuole tutelare gli anziani, non può limitarsi a difenderne il reddito ma deve agire, attraverso la contrattazione sociale territoriale, sui servizi, sulla sanità, sull’organizzazione dei tempi e degli orari della città. I pensionati non possono, come i lavoratori, contrattare una quota di produttività, non avendo più relazioni con i datori di lavoro: per difendere il loro reddito da pensione devono agire sulla redistribuzione delle risorse pubbliche anche attraverso il sistema dei servizi. C’è dunque un’oggettiva convergenza tra le politiche sindacali dello Spi e le rivendicazioni delle donne che guardano soprattutto all’organizzazione dei luoghi di vita delle persone. Questo potrebbe spiegare il protagonismo delle donne nello Spi e il permanere dei coordinamenti. Tuttavia rimane un’altra domanda: se l’analisi sul rapporto tra sindacato e protagonismo delle donne è vera, perché lo stesso percorso non si è verificato nella Cisl e nella Uil? Perché in queste organizzazioni le donne sono molto più deboli e meno presenti nei gruppi dirigenti? Credo che la risposta stia nel fatto che la Cisl e la Uil, per motivi diversi, non hanno adottato le quote nell’epoca in cui andavano usate. Le donne della Cisl hanno incontrato molte difficoltà a farle approvare, mentre le donne della Uil, socialiste e più radicali di quelle della stessa Cgil, sostenevano che non si debbono accettare recinti e non hanno mai voluto le quote perché le consideravano, appunto, un recinto. Dentro la Cgil il dibattito sulle quote è stato forte e ha fatto la differenza. Le donne lo hanno risolto affermando: per noi le quote sono uno strumento di passaggio, poi avanzeremo; ed è quello che è successo. Partendo dalle quote siamo arrivate alla norma antidiscriminatoria. Oggi diciamo “cinquanta e cinquanta” e non perché abbiamo raggiunto gli obiettivi. Non si è trattato di un Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 87 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil percorso lineare: abbiamo il 30 per cento, possiamo aspirare al 40 o, essendo al 40, è possibile aspirare al 50 (vi ricordo che nello Spi ci sono ancora territori che stanno al 25%). La questione è che nel frattempo è emerso un gruppo sempre più forte di donne; un gruppo che cresceva, creava relazioni, maturava un dibattito che spostava in avanti la posizione dentro l’organizzazione. È per tutto questo che possiamo porci la sfida, non scontata, del cinquanta e cinquanta. Non sono interessata a ripetere un dibattito che abbiamo già superato, sarebbe inutile, perché non siamo più al punto in cui stavamo venti anni fa, quando abbiamo cominciato con le quote. Tuttavia questo non significa svalorizzare il percorso fatto, il ruolo che le quote hanno avuto. Parliamone con le donne che stanno in altri luoghi, con le donne che stanno nella politica, con quelle che non riescono a emergere e a vincere questa sfida. Se nella nuova legge elettorale c’è una quota per le donne, io non mi scandalizzo. So che non è quello il riconoscimento del valore delle donne, ma so anche che da qualche parte bisogna cominciare. Dopo queste riflessioni pongo la seconda domanda: i luoghi delle donne sono ancora necessari? Siccome siamo tante, siccome siamo dappertutto, è vero che i luoghi delle donne, oggi, potrebbero essere messi tra parentesi? Penso di no, penso piuttosto che le forme cambiano e i luoghi delle donne si sono trasformati anche con le nostre battaglie. I luoghi delle donne sono stati sempre presenti nel movimento sindacale e nei partiti che derivavano dal movimento operaio e da quello contadino: ricordiamo che una delle prime leghe nella storia della Cgil era una lega di donne, costituita da maestre. All’inizio i luoghi nascevano come necessità di avere un punto di aggregazione delle donne, per attrarle alla politica, farle uscire da casa: le donne che non andavano alla riunione del partito, o della Camera del Lavoro, andavano però alla “riunione delle donne del partito”. Erano per questo luoghi marginali? Luoghi che non tenevano in conto il valore delle donne? No, erano luoghi che crescevano in quel momento storico per costruire un primo legame tra le donne e la politica, e non c’era altra strada per arricchire la politica se non la contaminazione con le domande che facevano le donne. Noi abbiamo molto criticato quei luoghi, li abbiamo distrutti con la nostra battaglia, ma le commissioni femminili, l’ufficio delle lavoratrici, erano nati così, ed è grazie a loro se poi abbiamo potuto cercare un’altra idea di luogo, che era appunto il luogo dell’elaborazione delle donne. Negli anni Settanta, Ottanta, i coordinamenti sono stati forti in Cgil e in tutte le categorie perché avevano l’ambizione di portare il pensiero delle donne dentro l’organizzazione. Volevano essere un luogo in cui le donne elaboravano una strategia, che poi sostenevano nei luoghi plurali di direzione, a qualunque livello. Questo era lo schema di quegli anni: avevamo bisogno di stare insieme per elaborare, per contare e per darci forza reciprocamente. È nata allora un’altra discussione: quella sulla separatezza. “Sono luoghi separati”, fu l’accusa che ci venne fatta. Questo pregiudizio oggi non esiste più, è stato ampiamente superato dalla pratica, perché noi abbiamo dimo88 L’età delle scelte Conclusioni strato di essere donne dell’organizzazione, “donne della Cgil”, quindi fiere del loro essere donne e del contenuto specifico che potevano portare alla cultura femminile in quanto sindacaliste. Tuttavia in questi anni abbiamo perso il filo della strategia comune delle donne. È avvenuto dentro la Cgil. Noi ce lo dobbiamo dire, perché altrimenti non riusciamo ad andare avanti. Il che non significa che ciascuna di noi nei luoghi dove si trova non cerca di portare avanti quello che ha imparato negli anni precedenti, ma la nostra elaborazione ormai è vecchia perché si basa sempre sulle acquisizioni di quegli anni. Non abbiamo più avuto un luogo in cui mettere insieme i nostri saperi, le esperienze tra noi donne dei coordinamenti Spi, le giovani lavoratrici e le altre, per pensare a una nuova strategia, nuove idee. Se i luoghi delle donne non servono a questo, non dobbiamo più discutere di luoghi separati ma di luoghi subalterni, che diventano un modo per trasformare al femminile la politica generale dell’organizzazione, cioè l’opposto di quello che pensavamo prima: trasformare la politica generale attraverso una nostra idea, una nostra visione del mondo, guardare il mondo con occhi di donna. In questi anni non siamo state capaci di fare questo, e secondo me siamo più deboli, non dentro lo Spi ma in generale nella Cgil; e non tanto perché non abbiamo luoghi organizzati ma perché non abbiamo avuto la capacità di avere luoghi di elaborazione. E il forum, che doveva essere questo, non è stato in grado di esserlo. Quindi ci dobbiamo interrogare su tutto ciò e portare la nostra riflessione alla riunione delle donne che sarà fatta in preparazione della Conferenza di organizzazione della Cgil, anche per capire quale discussione si può rimettere in piedi. Allora, luoghi delle donne sì, ma luoghi aperti, che diano una capacità di elaborazione, sapendo che su molti temi è possibile una trasversalità tra pensionate e lavoratrici che può rafforzarci reciprocamente. Nella tavola rotonda di ieri abbiamo parlato anche dei temi che riguardano la soggettività femminile, il valore del corpo, la libertà come valore che non attraversa solo il mondo del lavoro che deve aprirsi a tutte le donne. Non possiamo dimenticare una nostra responsabilità: noi siamo un grande luogo organizzato, e i movimenti sopravvivono se i grandi luoghi organizzati danno loro le gambe per avanzare. Per questo abbiamo bisogno di luoghi aperti che siano permeabili a tutto quello che viene dal di fuori. Quindi non vogliamo essere chiuse in noi stesse ma neppure dimenticare la nostra responsabilità, che è quella di dare gambe ai pensieri radicali perché diventino politica, perché diventino senso comune, perché diventino elemento di battaglia. I pensieri radicali più facilmente nascono nei movimenti, perché spesso le organizzazioni sono pesanti e la nostra è un’organizzazione pesante, siamo la più grande organizzazione sociale in Europa, non solo in Italia e abbiamo questa grande responsabilità, non la dimentichiamo mai. Luoghi aperti, dunque, ma non subalterni. Non spetta a noi tradurre al femminile le politiche dell’organizzazione, ma spetta all’organizzazione, dunque anche a noi in quanto dirigenti, fare politiche generali che parlino anche alle donne. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 89 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Gabriella Poli ha giustamente detto che a noi, come coordinamento, spetta di affinare il punto di vista delle donne su quello che succede. Poi dobbiamo gestire, nelle segreterie, nei direttivi, altrove, una politica che parli a tutti, altrimenti succede quello che è avvenuto in questi anni: abbiamo parlato molto di mainstreaming (stare nel flusso, scorrere nel mezzo della storia) ma, avendo perso il luogo di affermazione del punto di vista delle donne, il mainstreaming è diventato lo strumento che nasconde il pensiero delle donne. Quando ci si mette in mezzo a una corrente senza avere una sorgente riconoscibile, si rischia di perdersi in mille rivoli. Nello stesso modo, senza luoghi dedicati delle donne non c’è mainstreaming efficace. Questo è l’altro punto che dobbiamo mettere al centro della riflessione, perché molti vedono il mainstreaming come contrapposto a una pratica precedente, che era quella dei luoghi dedicati alle donne. Credo, invece, che quello che è successo in questi anni dice esattamente l’opposto: se non ci sono luoghi dedicati non c’è vero mainstreaming: c’è solo occultamento del pensiero e della forza delle donne. Questo non l’abbiamo mai messo in discussione neanche in Cgil: forse abbiamo sbagliato politica. Dico “abbiamo” perché non dimentico che io, quando in Cgil abbiamo deciso di costituire il Forum delle donne, sono stata una delle sue sostenitrici. Ho sostenuto il forum perché pensavo che la forma del coordinamento, così come Mara ci ha ricordato e così come era stata definita a Venezia, non ci serviva più. Tuttavia il forum non ha funzionato come luogo dedicato all’elaborazione delle donne, come luogo di affinamento dello sguardo delle donne. Si tratta perciò di capire come sia possibile ricostruire un luogo di relazione tra le donne della Cgil. Questo non significa che si può fare il Coordinamento donne in tutte le categorie e nella Cgil. Ci sono storie diverse. Il problema vero – e lo avete detto voi nel gruppo di lavoro – è che bisogna ricostruire un luogo in cui le esperienze che ciascuno fa, con la forma che sceglie e che ritiene più opportuna per la sua situazione, possano essere messe a confronto con altre esperienze per aiutare l’affinamento del pensiero femminile. Questa è la questione che noi dobbiamo porre. Ma a che cosa ci servirebbero questi luoghi se noi non fossimo capaci, poi, di proporre contenuti che diventino strumenti di tutta l’organizzazione? Credo che il grande successo dei coordinamenti donne dello Spi sia stato proprio questo: che molte delle politiche che le donne dello Spi hanno praticato in questi anni sono diventate le politiche dell’organizzazione. Penso a tutta l’elaborazione sulla dignità di chi cura e di chi è curato, sulla non autosufficienza; penso alla questione delle badanti, che è stata messa al centro della discussione dal Coordinamento donne dello Spi e da molto tempo è diventata problema della stessa Cgil. In alcuni comuni abbiamo stimolato riflessioni e sperimentazioni pratiche su questi temi. L’attenzione è nata proprio dal riconoscimento che la necessità di ridurre il carico di lavoro di cura ci porta a trasferirlo su un’altra donna che ci sostituisce nei compiti più faticosi. Questa contraddizione ci ha imposto di interrogarci sui diritti di queste donne, su come vivono e sulle nuove forme di schiavismo, perché non è normale che 90 L’età delle scelte Conclusioni uno lavori ventiquattro ore su ventiquattro e molte badanti sono sottoposte a questa nuova forma di schiavismo. Questa contraddizione che viviamo sulla nostra pelle ci ha portato quindi a dire: bisogna fare qualche cosa, bisogna ragionare insieme dei loro e dei nostri diritti se si vuole stringere un patto di solidarietà con queste donne quasi sempre immigrate. Non dimentichiamo mai che tante di queste donne lasciano i loro anziani e i loro figli per venire a curare i nostri anziani e i nostri figli. Questo può essere, credo, uno dei grandi temi di impegno per noi, per riuscire ad andare oltre quello che già abbiamo prodotto ragionando sulla carta dei diritti delle “badanti,” contribuendo alla scrittura del documento dello Spi sulle assistenti familiari, poi del documento della Cgil con il coinvolgimento della Filcams e della Funzione pubblica. Il problema non è risolto, ci dobbiamo ragionare ancora e questo mi pare l’esempio più calzante di come un’elaborazione diventi interrogativo politico per un’organizzazione. Quello che noi ci dobbiamo proporre è condizionare in qualche modo positivamente la politica dell’organizzazione. Questo tema è stato affrontato benissimo da Gabriella Poli nella sua relazione e quindi salto tutto questo pezzo, perché sarebbe ripetitivo e perché voi ne avete parlato con molta forza nei gruppi di lavoro. Voglio solo sottolineare che il grande interesse dedicato dal Coordinamento donne dello Spi al tema della cooperazione internazionale è reso evidente da come è stata organizzata questa assemblea, che ha dato uno spazio alle donne algerine e uno spazio a Progetto Sviluppo. Vorrei sottolineare che l’idea di sostenere la cooperazione internazionale come cooperazione che promuove i diritti delle persone, è un’azione di pace e oggi è in difficoltà. La vicenda di Emergency e del suo ruolo nella liberazione di Mastrogiacomo è emblematica: il fatto che sia possibile aprire un dibattito sulla questione che una Ong riconosciuta sia o no fiancheggiatrice dei talebani, offusca l’idea che può esistere un volontariato pacifista, un volontariato che non si schiera nei conflitti ma difende il diritto alla vita di tutti. Non si tratta di una fatto secondario, non lo sottovalutate, qualunque sia il giudizio che noi diamo sulla vicenda Mastrogiacomo, qualunque sia il nostro pensiero. Non stiamo parlando di questo, ne discuteremo in altri luoghi, non dimentichiamo però che in gioco c’è quell’idea di cooperazione per i diritti umani a cui noi abbiamo sempre creduto. Se oggi questa questione è messa in discussione, non abbassiamo la guardia perché da qui può prodursi un punto di rottura molto forte del fronte pacifista che abbiamo costruito in questi anni. È importante trasformare in politica concreta le cose che ci siamo dette, su cui abbiamo riflettuto anche nei seminari di questi giorni e che vanno rilanciate con molta forza. Innanzitutto occorre costruire una vera e propria campagna per rispondere al familismo imperante. Le donne non hanno mai rinnegato la famiglia, perché sono loro a stimolare e garantire le relazioni tra i soggetti. Oggi ce lo riconoscono persino le imprese. “Il Sole 24 ore” sta facendo una serie di articoli per dimostrare che le donne sono più brave a mediare i conflitti, a stringere le reTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 91 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil lazioni. Se persino il mercato riconosce la nostra qualità, è troppo chiedere alla politica di avere più rispetto e più fiducia per le scelte di vita delle donne? Per noi la famiglia è un luogo, scelto liberamente, di relazioni e di affetti e perciò un nucleo di solidarietà, intorno al quale crescono altri nuclei di socialità e solidarietà. Questo non avviene sempre e solo con i figli: anche quando si costruisce una rete di amici si realizza un’idea di socialità e di relazione. Le donne pensano che la famiglia debba essere questo, un luogo che apre alla socialità, e quindi non un luogo chiuso, non un luogo che ti trattiene (ricordate “a casa non ci torno”), non un luogo che ti limita. La famiglia è tale se è un luogo che ti dà libertà, perché è una sicurezza affettiva ed esistenziale. Sapere che accanto a te c’è la rete di quelli che ti vogliono bene ti permette di rischiare nel mondo. Questo tipo di famiglia guarda alla società, ai giovani; è una famiglia che dice: andatevene da casa, siate liberi, perché poi, se avete bisogno, noi siamo qua. Oggi non si può dire questo, perché fuori non c’è la casa, non c’è il lavoro, non ci sono i servizi, non ci sono i nidi, non ci sono le strutture. Perché le città non sono organizzate in maniera tale che sia possibile in poco tempo percorrerle; per cui, anche quando qualcuno (un’amica) ti può dare una mano, è difficile avere un aiuto. Allora devi ricostruire reti parentali, amicali e di vicinato, costruire i quartieri in un altro modo. Questa è la grande questione: se la famiglia deve ritornare a essere il luogo della solidarietà e degli affetti, fuori ci vuole un tessuto sociale che l’aiuti a essere questo. In mancanza di ciò, tutto il resto sono chiacchiere e, come abbiamo detto all’inizio, noi donne pensiamo che le chiacchiere non servano, che bisogna invece costruire un legame tra le parole e i fatti. Perciò credo che noi dobbiamo scegliere un obiettivo simbolico per caratterizzare il nostro impegno politico e sindacale per affermare un’idea di famiglia che restituisce libertà alle donne e ai giovani. Questo obiettivo può essere l’applicazione della legge 53, cosiddetta “legge per i congedi parentali”. Questa legge non è perfetta, sappiamo che soprattutto nella parte lavoristica è legata a un mercato del lavoro che oggi è assai trasformato, comunque possiamo sfidare le donne della Cgil a fare una campagna sulla applicazione della legge 53. In tutti i luoghi di lavoro si dovrebbe aprire la questione dei progetti per il controllo dei tempi e gli orari flessibili rispetto ai bisogni delle lavoratrici e non dell’impresa. In una riunione di segretari, Epifani ci ricordava che oggi il tempo per l’impresa ha un valore diverso e che quindi noi lo dobbiamo contrattare in maniera diversa rispetto al passato. È vero, sono d’accordo se però teniamo conto che anche per le persone il tempo è diverso: questo modo di produrre e di lavorare ha riassorbito tutto il tempo dentro il bisogno di impresa e non ha lasciato nulla alla scelta delle persone. Non è vero, infatti, che la diversità produttiva delle imprese ha prodotto maggiore flessibilità per noi: l’impresa ha usato quel tempo liberato per accumulare sempre di più e per ridurre sempre di più i costi, non l’ha usato per migliorare la vita dei lavoratori e delle lavoratrici. 92 L’età delle scelte Conclusioni Questa cosa bisogna cominciare a dirla anche rivendicando l’applicazione della legge 53 sui posti di lavoro. Noi sappiamo che spesso la contrattazione afferma contenuti che poi diventano legge; quindi usiamo la legge per aprire la contrattazione, poi la supereremo se nella pratica contrattuale saremo capaci di inserire i bisogni di oggi e di modificare le regole. Bisogna quindi usare lo strumento della legge 53 per cominciare a intrecciare tempi di vita e di lavoro, a riorganizzare una rete di servizi che colleghino luoghi di lavoro e territorio, usando anche quella parte della legge, meno conosciuta, che riguarda i tempi della città. Si può quindi fare un patto in cui chiediamo alle donne della Cgil di lanciare una campagna sull’applicazione della legge 53 nei luoghi di lavoro, mentre noi possiamo assumerci l’impegno di fare una campagna per la sua applicazione nelle città. Poi costruiremo insieme una piattaforma territoriale sui servizi. Credo che questo sia il tema su cui dobbiamo sfidare le donne della Cgil; questa è la campagna che noi dobbiamo cominciare a fare, a partire dal mese di maggio, perché può essere la nostra risposta al family day. Quando gli altri lanceranno il family day, noi potremo rilanciare, luogo per luogo, coordinamento per coordinamento, una campagna, un patto tra le donne giovani e le anziane per rimettere al centro delle politiche economiche, contrattuali, del sindacato e del paese la questione della vita delle persone in carne e ossa, donne e uomini con i loro bisogni e rispondere così a questo familismo imperante che dimentica i diritti delle persone. Ieri Susanna Florio è stata brava su questo punto e ci siamo riconosciute nella sua analisi. Voglio solo aggiungere che questo familismo non è soltanto una nuova lesione della nostra dignità e della nostra libertà di donne, ma è l’altra faccia del liberismo, come dico da tempo, perché più il pubblico, gli enti e la politica pubblica si disinteressano della qualità della vita delle persone, tanto più questo problema viene rinviato alla famiglia. Pertanto dobbiamo contrastare qualunque politica che punti alla riduzione della spesa sociale e dei servizi sociali, non solo per difendere il nostro benessere ma perché si tratta di una politica che redistribuisce la ricchezza solo a vantaggio dell’accumulazione del capitale. Possiamo dire ancora che esiste una contraddizione tra accumulazione capitalistica e bisogni delle persone? Credo che le donne pensionate, per l’autorevolezza che viene loro dall’essere donne sagge, sono titolate a mettere al centro della propria azione questo patto tra giovani e anziane. Per tutto questo abbiamo scelto di utilizzare il prossimo numero di LiberEtà, quello di maggio, per contrastare il family day. Il nostro giornale dirà: “siamo dalla parte di chi non ha famiglia, delle donne sole, dei non autosufficienti, di quelli che soffrono, ma anche dalla parte dei diritti delle persone” perché siamo convinti che la famiglia si aiuta se si sorreggono i soggetti che a essa appartengono, cioè i bambini, gli anziani, le donne, i portatori di handicap. La famiglia è fatta di questi soggetti. Tutto ciò ha una qualche relazione con il confronto che è in corso con il governo? Credo di sì e vorrei metterlo al centro della vostra attenzione, perché Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 93 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil quello che ci aspetta nei prossimi giorni non è semplice. Siamo in una situazione in cui continuiamo da mesi un confronto virtuale con il governo, virtuale perché non avviene attraverso una contrattazione trasparente. Certo, i tavoli di contrattazione sono stati avviati in una riunione in cui erano presenti quaranta organizzazioni, duecento persone. Il governo ha enunciato i propri princìpi, quelli scritti in tutti i documenti, e quindi ha rinviato la discussione ad altri tavoli. Noi siamo andati al tavolo del welfare (lì è presente il sindacato dei pensionati) e ci è stato spiegato che prima bisogna pensare al mercato del lavoro; il che per noi è ovvio, però ci chiediamo: visto che dobbiamo fare tanti tavoli, non si possono fare dei tavoli paralleli? Mentre su uno si discute del mercato del lavoro, su un altro potremmo discutere di pensioni e su un altro di non autosufficienza e casa. Poi facciamo una riunione finale, al tavolo generale. Noi abbiamo lavorato sempre così. Perché è necessario discutere prima di tutto degli ammortizzatori, del mercato del lavoro e poi, forse, delle pensioni? Probabilmente perché dietro c’è un’idea che i tempi vanno graduati, che la discussione sulle pensioni può essere una discussione difficile, ed è meglio farla traguardare a dopo le elezioni amministrative. Ma questo per noi è molto complicato, perché abbiamo bisogno di dare delle risposte agli anziani e alle anziane che da tempo ci chiedono quelle risposte che non hanno avuto dalla legge finanziaria. Come avete visto, ieri il Presidente Prodi ha fatto pubblicare una lettera sul “Corriere” e oggi tutti i giornali discutono di questa lettera. Le cose che dice il Presidente del Consiglio sono condivisibili, ma qual è il luogo dove noi possiamo esprimere i nostri dubbi? Qual è il luogo in cui gli possiamo chiedere: quando dici che il 60 per cento del cosiddetto “tesoretto” va ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati, che intendi? Con quali strumenti? Spiegaci. In quale luogo lo possiamo dire? Possiamo continuare con la pratica che qualcuno fa un’intervista e un altro gli risponde: “Sì, noi siamo d’accordo”. Su che siamo d’accordo? Sui princìpi? Beh, se non fossimo d’accordo con un governo di centro-sinistra nemmeno sui princìpi, sarebbe veramente un bel guaio. Il problema è “quali sono gli strumenti” per attuare i princìpi enunciati, e non lo si saprà mai se non c’è un tavolo di confronto in cui il governo porta le proprie carte, i numeri e noi portiamo le nostre carte, i nostri numeri (che abbiamo pronti da mesi). Poi si fa un confronto e vediamo. Può darsi che noi sbagliamo. Può essere che il governo abbia delle idee più avanzate delle nostre. Cerchiamo di verificarlo. Noi vogliamo un tavolo di trattativa, così non si può andare avanti, perché non sappiamo dire più niente alle donne e agli uomini che rappresentiamo. Vado, come ci siete andate voi, nelle assemblee che lo Spi sta facendo sul documento Cgil, Cisl e Uil e non so cosa devo dire. Allora, su che cosa consulto gli iscritti? Se non c’è una trattativa trasparente, non c’è una partecipazione dei nostri iscritti alla sua conduzione. Credo che non si possa andare avanti così e per di più abbiamo un altro cruccio, come è stato scritto da tutti i giornali e confermato all’incontro con il governo: dal tavolo del welfare è scomparsa la non autosufficienza. Il ministro Ferrero continua anche lui a rilasciare interviste, ne ha rilasciata una anche a 94 L’età delle scelte Conclusioni LiberEtà, che troverete nel mese di maggio, in cui dice: “Non vi preoccupate, farò la legge delega, cercheremo i soldi”. Ma io mi chiedo perché non ci sia un tavolo di trattativa su questo tema che è scomparso dalla trattativa sul welfare. In effetti, noi non pensiamo che quella trattativa debba servire a redistribuire il tesoretto, riteniamo che quel tavolo debba verificare le emergenze, le priorità, e su queste fare un piano. Può essere addirittura un piano pluriennale, di legislatura. Non è che vogliamo tutto nella Finanziaria del 2008, ma sollecitiamo un piano sul quale lavorare e sul quale chiedere anche affidamento a quelli che rappresentiamo. Ne abbiamo bisogno, non ci basta continuare a sentire: “ci sarà la rivalutazione delle pensioni basse”. Questo l’abbiamo capito, ormai tutti parlano di “pensioni basse”, e sarà vero che cominciamo da lì, ma che significa “pensioni basse”? Significa pensioni assistenziali che sono per la maggioranza donne? Significa pensioni integrate al minimo? Anche queste, maggioranza donne. Significa rivalutare i contributi lavoristici? Noi chiediamo che questa volta non si guardi solo all’assistenza, ma ci sia una rivalutazione dei contributi pagati. Il nostro tema non è “le pensioni basse”, il nostro tema è come si rivalutano le pensioni, perché questo paese invecchia, perché le persone, fortunatamente, vivono di più e quando vanno in pensione con il loro reddito devono vivere più anni. Se non salvaguardiamo questo reddito dalla perdita e dall’erosione progressiva che proviene dall’inflazione non controllata, non siamo in grado di garantire nemmeno alle persone che beneficiano di una pensione media di poter vivere in modo dignitoso fino agli ultimi anni della loro vita. Quando un reddito deve affrontare, fortunatamente per tutti, venti, venticinque anni, se non c’è uno strumento chiaro di rivalutazione è un reddito che anno per anno si depaupera. È questo il tema che noi mettiamo sul tavolo, non si può cambiarlo col tema delle pensioni basse e quindi dei più disagiati. Dopo di che, cominceremo dalle pensioni basse? Certo che cominceremo dalle pensioni basse, cioè da quelle che hanno più bisogno, ma dentro un’ipotesi strutturale, perché altrimenti non usciamo da questo tema e nessuno ne vuole assumere un altro, cioè quello che l’invecchiamento della popolazione richiede un cambiamento delle politiche economiche, di welfare, di redistribuzione della ricchezza. Se il 25 per cento della popolazione è ultrasessantenne, un quarto della domanda interna di questo paese dipenderà dagli ultrasessantenni. Bisogna cambiare lo sguardo con cui si guarda agli anziani, perché non si tratta di soggetti da assistere. Ci sono gli anziani fragili, certo la vecchiaia è un’età più fragile, ma non si tratta solo di questo. Si tratta di persone che stanno bene, che possono dare molto, che con tutta la loro attività possono contribuire anche alla crescita del paese. Sono persone che vogliono continuare a lavorare per la società, in mille forme, ma lo possono fare solo se si riconosce che è cambiata la struttura demografica del paese e questo richiede politiche nuove. Ciò non significa che, essendoci più anziani che utilizzano i servizi sociali e sanitari, dobbiamo ridurre la spesa per il welfare: significa esattamente l’opposto, cioè che nella redistribuzione della ricchezza noi dobbiamo dedicare più Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 95 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil attenzione al welfare, per avere tanti anziani che possano contribuire alla crescita del paese in quanto godono del benessere necessario. Dobbiamo sostenere il reddito di queste persone, se vogliamo sostenere la crescita economica del paese e anche dell’Europa, che dipende da come si affronta la questione dell’invecchiamento. L’Europa comincia a capirlo, anche se ragiona sempre di innalzamento dell’età pensionabile e poco di come le mille attività degli anziani contribuiscono alla crescita. In Europa c’è un dibattito serio sulla questione dell’invecchiamento attivo che non ha alcuna ricaduta nel dibattito politico italiano. Il vero problema non è se il sistema pensionistico sarà sostenibile quando la popolazione anziana aumenterà. Il vero problema è: una società che invecchia può continuare a essere produttiva? Se non è così, che futuro avranno i giovani? Questa è la domanda che si dovrebbe porre la politica, questa è la vera domanda strutturale che noi cerchiamo di porre. Allora non ci basta parlare degli anziani come di soggetti deboli, e quindi dire: “alziamo le pensioni più basse”. Vogliamo dire invece: “rivalutiamo le pensioni e cominciamo dalle più basse”, perché, certo, vogliamo anche noi partire da quelli più in difficoltà. Ma vogliamo un tavolo in cui si discutano i mille problemi di cui voi avete dibattuto in questa assemblea tra cui la questione della reversibilità, la cui revisione nella legge Dini ha prodotto la povertà di larghissime fasce di donne in questi anni. Noi dobbiamo affrontare questo problema e dobbiamo rifiutare di scambiare la questione dell’età pensionabile delle donne con la revisione dello scalone. È stato presentato un ordine del giorno sul tema, lo condivido, e su questo punto non possiamo cedere! Penso siano troppo poche le donne che ne parlano e non possiamo lasciare questa discussione solo alle donne forti, quelle che stanno al governo e ci dicono: “Siccome vivete di più, care donne, lavorate un po’ di più”. Ma questo vale per le donne forti, può valere per me, può valere per tante di noi, ma vale anche per quelle che rappresentiamo, tutte quelle che rappresenta la Cgil? Credo che poi ci sia un’altra questione che dovremmo sottolineare. Quando si parla di aumento dell’età pensionabile non si sta parlando del futuro del sistema pensionistico, in cui bisognerà ripristinare la legge Dini dove è prevista l’età flessibile per donne e uomini: stiamo parlando di quella generazione di donne che oggi ha cinquantotto anni, che ha lavorato nelle fabbriche, dove le donne sono entrate a quindici anni, poi hanno lasciato il lavoro per allevare i figli e hanno ripreso il lavoro molto più tardi. Oggi queste donne che hanno faticato nella fabbrica e nella famiglia dispongono anche di pochi contributi e avranno una pensione bassa. Stiamo parlando di quella generazione, non stiamo parlando in astratto delle donne. Dovremmo chiedere ai politici di pensare ai soggetti a cui si rivolgono le politiche proposte. Non si può ragionare solo matematicamente. Se noi guardiamo solo ai numeri, è matematicamente razionale affermare che, se si allunga la vita, si può lavorare di più. Ma la matematica, che serve molto come indicatore delle politiche, non rappresenta le realtà sociali, non è una scienza 96 L’età delle scelte Conclusioni utile a rappresentarle: serve a semplificare per darci degli indicatori. Poi è necessario capire che cosa succede alle persone quando quelle leggi si applicano. Quindi la questione dell’età pensionabile delle donne ci interessa, perché riguarda la generazione nostra e quella delle altre donne che oggi arrivano allo Spi, non è solo una questione delle donne lavoratrici. Per quanto riguarda la non autosufficienza, di cui ho già parlato riferendomi alla famiglia, dobbiamo assolutamente rimettere al centro dell’attenzione questa questione, perché riguarda due milioni e mezzo di famiglie in Italia che hanno un grande carico economico e un grande carico affettivo. Chi parla di famiglie non può mettere tra parentesi tale problema e quindi dobbiamo affrontare anche questa sfida. Come vedete, ci sono molti punti in comune tra le cose che noi sosteniamo e la piattaforma dello Spi. Penso che le donne dovranno lavorare in questi giorni, parlare molto, dire che noi vogliamo riprendere un protagonismo, come pensionate e pensionati. Abbiamo fatto una segreteria nella quale abbiamo deciso di chiedere a Fnp e Uilp una grande iniziativa di mobilitazione nazionale, che pensiamo sia ineludibile. Questa iniziativa ci deve servire a fare una trattativa vera, a renderla trasparente, e le donne devono portare i loro contenuti dentro la mobilitazione. Quindi vi chiedo un impegno: da domani siate presenti nei vostri territori, parlate con le altre donne, anche con quelle dell’Fnp e della Uilp. Abbiamo bisogno di rimettere in piedi un punto di vista nazionale molto forte, perché gli anziani, come già detto, non possono permettere di essere considerati soltanto soggetti da assistere. Noi ci sentiamo protagonisti e tali vogliamo essere anche in questa fase di svolta politica ed economica del paese. A questo punto devo innanzitutto ringraziare tutte voi per la passione che avete messo nella discussione in questi giorni; ringraziare tutte le compagne e i compagni del Nazionale che con il loro lavoro hanno reso possibile il nostro soggiorno sereno qui; ringraziare anche a nome vostro i compagni e le compagne dello Spi Abruzzo, che ci hanno fatto un bel regalo ospitandoci e ci hanno regalato una spilla a me molto cara, perché sono abruzzese, che si chiama la “presentosa”. Sapete la sua storia? La “presentosa” si regala alle ragazze che raggiungono la maturità e sono pronte per essere spose. La “presentosa” regalata dal padre ha un solo cuore, perché si cerca il compagno, quella regalata dal fidanzato ha due cuori. A questo punto un grazie fortissimo, naturalmente da parte di tutti noi, a Gabriella Poli: grazie a Gabriella per tutto il lavoro che ha fatto in questi anni. Il lavoro delle donne dello Spi è un lavoro lungo, un lavoro che precede Gabriella, anche lei ne è un frutto, quindi nel suo lavoro c’è anche il lavoro di tutte le compagne che l’hanno preceduta nell’incarico. Tuttavia Gabriella ha dato una spinta molto forte al lavoro del coordinamento e alla sua identità; è stata una donna che ha dato molta autorevolezza alle donne dello Spi, e credo che dobbiamo anche a lei se possiamo proporci l’obiettivo del cinquanta e cinquanta. Credo che Gabriella abbia qualche responsabilità se lo Spi ha una segretaria donna e quindi la ringrazio anche per questo. Lei ha guidato il coTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 97 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil ordinamento con assoluta lealtà verso l’organizzazione, con un equilibrio molto difficile; ha contrastato l’idea dei luoghi separati ed è stata ed è una grande dirigente della nostra organizzazione. Non è un caso che io non abbia usato mai la parola “salutiamo”: ieri abbiamo fatto una festa di ringraziamento a Gabriella e la ringraziamo oggi. Non la salutiamo non solo perché lei rimane nella segreteria nazionale, ma anche perché sappiamo che quando si entra nello Spi non si va mai via e quindi Gabriella è, comunque, una donna dello Spi. Perciò noi la ringraziamo, soprattutto di una cosa: che la forza di questo coordinamento e l’autorevolezza delle donne che oggi sono qui ci permette di guardare con molto ottimismo al cambiamento che avverrà. Ci sarà una nuova responsabile e ogni donna che arriva, pur rispettando la continuità del percorso, porta la sua storia, il suo carattere, la sua indole. Non sarà tutto come prima, ci sarà una novità e le novità qualche volta fanno paura, ma non a noi che siamo forti e di questo dobbiamo ringraziare Gabriella, perché siamo forti anche grazie al suo lavoro. 98 L’età delle scelte Documento conclusivo Elezione del Coordinamento 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 99 Documento conclusivo L’ Assemblea delle donne dello Spi Cgil approva la relazione di Gabriella Poli e le conclusioni di Betty Leone, assume tutti i contributi che le compagne hanno portato nei gruppi di lavoro su “Previdenza e reddito”, “Contrattazione” e “Organizzazione e strumenti del Coordinamento”e i contributi della Tavola rotonda su “La politica e i luoghi delle donne: esperienze sindacali a confronto”. Le indicazioni di lavoro che sono scaturire dai gruppi rappresentano le linee guida, le sfide per l’impegno del coordinamento: - nella contrattazione, assumendo compiutamente l’ottica di genere e rappresentare così, nelle politiche e nelle rivendicazioni, i diversi bisogni e le aspettative delle donne. Fra le priorità individuate rientrano: il riconoscere valore al lavoro di cura e la carta dei diritti per chi cura e per chi è curato; - nelle politiche previdenziali, riconfermando gli obiettivi della piattaforma unitaria e proponendo un patto fra uomini e donne e fra lavoratori e pensionati, a sostegno dei temi del confronto con il governo e per respingere ogni ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile delle donne; - nella costruzione di un’organizzazione paritaria. “50E50 ovunque si decide” è l’obiettivo da perseguire per costruire un sindacato che assuma la differenza come valore e prepari con la formazione i suoi quadri; un sindacato che si rinnova nelle modalità e nei tempi di lavoro e che promuove la partecipazione attiva, il protagonismo delle donne e degli uomini; - nel rapporto con le donne della Cgil, per contribuire alla messa in rete delle varie esperienze, nell’arricchimento reciproco. L’Assemblea approva le proposte di: a) lavorare per stabilire un patto fra lavoratrici e pensionate perché sia pienamente applicata la legge 53 nei luoghi di lavoro e si sviluppi nel territorio una vertenzialità diffusa sui servizi; b) rispondere al familismo imperante attraverso politiche che rafforzino l’idea di famiglie che si aprono alla socialità e alla solidarietà; politiche mirate ai singoli soggetti che compongono la famiglia e ai loro bisogni specifici piuttosto che alla famiglia astrattamente intesa. 100 L’età delle scelte Elezione del Coordinamento L’Assemblea nazionale ha eletto il Coordinamento nazionale delle donne dello Spi Cgil. Ne pubblichiamo l’elenco. Subito dopo è stata eletta la responsabile nazionale del Coordinamento, Mara Nardini. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 BAGATIN RENATA CESARI CELINA POLI GABRIELLA BARTOLI LISA BULTRINI RICCARDA DE ANGELIS MARILENA LOSA ITALIA NARDINI MARA ORTI ALBA SIGNORIS MIRELLA TEMPESTINI CLAUDIA BAUDIN MARIA TERESA BELLEZZA GIUSEPPINA CHIALVA PASQUA FESTA CATERINA RIBICCHINI EUFEMIA SALMOIRAGO GIOVANNA BRANCATO CARMELA TADDEI FLORIANA FRANZONE RENZA NEVOLI GIOVANNA SCARRONE ILEANA VIGLIAROLO IDA ANDRETTO ANNA BENEGGI MIRELLA BONOMI CECILIA DOMENIGHINI LILIA FANZAGA GABRIELLA FUSAR POLI TINA LANCISI GIULIANA LONGHI MEAZZI GRAZIA Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà SPI NAZIONALE “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ VALLE D’AOSTA PIEMONTE “ “ “ “ “ “ LIGURIA “ “ “ LOMBARDIA “ “ “ “ “ “ “ 101 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 102 ERIOLDI ELIDA GREGGIO RENATA GIORGI GABRIELLA MEROLA ADRIANA ORLANDO A. MARIA BETTELLA ROSANNA CAMPELLO GIUSEPPINA FRANCIONI M. GRAZIA PAPPALARDO MATILDE SCAVAZZINI LUIGINA CASALI MARIA NELLA CERRUTI SILVANA CILLONI MINA DRADI MARA GENNASI VERDIANA GUGLIELMINI MURIEL NICOCIA ANNA MARIA RICCARDI SILVANA BRUSCO GABRIELLA DEL GIUDICE LUCIA GERVASI M. GRAZIA ORSI CARLA PIRRONE PINA SALVADORI GIUSEPPINA CIRILLO TERESA COLAFRANCESCO ANNA DAVID MIRELLA GABRIELLI ELISABETTA IALACCI NILLA MOSSA LUCIA TOKDEMIR SELMA CASTELLANI MARIANNA LALLI GRAZIA MARTINELLI ANNA LAURA MUSTO OLIMPIA ATTANASIO MARISA CUCCINIELLO ANGELA MINGUZZI ANNA ALTO ADIGE TRENTINO FRIULI VENEZIA GIULIA “ “ VENETO “ “ “ “ EMILIA ROMAGNA “ “ “ “ “ “ “ TOSCANA “ “ “ “ “ MARCHE “ “ “ UMBRIA “ “ LAZIO “ “ “ CAMPANIA “ “ L’età delle scelte Elezione del Coordinamento 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 PALMIERI ANNAMARIA PETROLI RAFFAELA CARUSO ANNA DI BIASE ALBERTA DI NICOLA MARIA PIA VILLANI VANDA FRANCABANDIERA ANNA LISI ROSANGELA LOSCALZO GIULIA PANICO CARMELA PINNA ANNA SCHIENA FILOMENA GALASSO BEATRICE QUINTO ANGIOLA IANNELLO MIMMA MINNITI ROSALBA MUSOLINO CONCETTA PRINZI MICHELA DAVÌ AURELIA GRANELLO ANTONELLA LOMBARDO LUCIA MARLETTA ANNA RUSSO MARIA CARTA LIDIA CERVERA SPERANZA CUGINI LINA Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà CAMPANIA “ ABRUZZO “ “ MOLISE PUGLIA “ “ “ “ “ BASILICATA “ CALABRIA “ “ “ SICILIA “ “ “ “ SARDEGNA “ “ 103 Ordini del giorno Nel corso dell’Assemblea sono stati presentati ordini del giorno su temi di attualità: pensioni, casa, stragi nel lavoro, laicità dello Stato, 50E50 ovunque si decide, Medio Oriente e nuovi attentati, solidarietà con Emergecy, donne e organizzazione. Sette di essi sono stati accolti e uno è stato respinto. 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 105 La democrazia non si esporta L’ Assemblea nazionale delle donne pensionate dello Spi Cgil, riunita a Montesilvano dal 12 al 14 aprile 2007, esprime viva preoccupazione per i tragici avvenimenti che continuano a colpire e a mietere vittime nel Medio Oriente. I tre attentati di ieri, che hanno bersagliato il cuore della capitale algerina, ucciso 24 persone ferendone altre 200, insieme al tragico attentato al Parlamento di Baghdad, non possono e non devono lasciarci indifferenti. La città di Baghdad, come Mostar, ha perso, insieme al ponte che collegava la città sciita con la città sunnita, la propria composita identità. Le donne pensionate ben sanno, per aver praticato concreta solidarietà con la Bosnia fin dai tempi del conflitto, cosa significhi spezzare vite, rapporti interetnici e intergenerazionali, cosa significhi infine uccidere tutte le speranze di dialogo. Con Mostar ancora nel cuore e nella testa, insieme a tutti gli altri paesi che sono attraversati da guerre e devastazioni, esprimiamo preoccupazione e condanna, sempre e comunque, per l’uso della forza, delle armi e della violenza nella risoluzione dei conflitti e negli scontri fra le culture. Dichiariamo, inoltre, il nostro più vivo consenso alle parole che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha pronunciato ieri: “La democrazia non si esporta. Si lavora semmai per sanare la democrazia o farla ricrescere là dove sia stata ferita o cancellata. La quota di responsabilità che ciascun paese deve assumersi va solo nella direzione di contribuire alla soluzione delle crisi”. Le donne pensionate ribadiscono il loro profuso, ininterrotto e concreto impegno a favore della pace. Solidarietà con Emergency L e donne del Coordinamento nazionale Spi Cgil, riunite in assemblea il giorno 12 aprile 2007, esprimono la loro piena solidarietà a tutti gli operatori dell’organizzazione Emergency e auspicano che il governo di Kabul si adoperi affinché Hanefi venga liberato, consentendo così a Gino Strada e ai suoi collaboratori di continuare la loro indispensabile opera per alleviare le sofferenze del popolo afgano. No all’aumento dell’età pensionabile per le donne L’ Assemblea nazionale delle donne dello Spi esprime la propria ferma contrarietà rispetto a ogni ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile delle donne. Ciò in quanto: 1) il differenziale di cinque anni attualmente in vigore nell’età per la pensione di vecchiaia con il sistema retributivo al momento è l’unico riconoscimento economico del valore sociale del lavoro di cura. Sancisce il fatto che il la106 L’età delle scelte Ordini del giorno voro di cura ha valore per tutta la società; 2) già oggi le donne vanno in pensione a un’età effettiva superiore a quella degli uomini, pertanto non c’è alcuna necessità di indurre un allungamento obbligatorio della permanenza al lavoro per le donne; 3) oltretutto le proposte di allungamento dell’età pensionabile delle donne vengono poste come scambio, per trovare le risorse necessarie a compensare l’eliminazione o la riduzione dello scalone. Ma è impensabile che le donne ultrasessantenni paghino l’uscita dal lavoro degli uomini attraverso le pensioni di anzianità. Per questi motivi l’Assemblea delle donne, così come la Cgil, respinge con forza queste ipotesi e chiede che, nell’anno europeo delle pari opportunità, le forze sociali e politiche diano un segnale di coerenza rispetto alle affermazioni formali e alle celebrazioni di un’astratta parità di opportunità. Ritiene inoltre che i temi del confronto sulla previdenza vengano sostenuti attraverso un patto fra lavoratori e pensionati, fra uomini e donne e fra generazioni. Laicità dello Stato L’ Assemblea nazionale delle donne pensionate dello Spi Cgil, riunita a Montesilvano dal 12 al 14 aprile 2007, ritiene necessario e doveroso prendere posizione rispetto all’attacco continuo e ripetuto alla laicità dello Stato, perpetrato dalla Conferenza episcopale italiana e da quanti, facendo leva su un presunto concetto di moralità, influenzano la politica e la pubblica opinione. Le donne pensionate ritengono che temi che attengono a diritti individuali, quali ad esempio il diritto a strutturare il proprio nucleo familiare in maniera del tutto personale, che i Dico si propongono di regolamentare, non possono essere impediti. Sono davvero troppe le ingerenze, su temi troppo importanti per migliaia di individui. Pensiamo, tra gli altri, a quanti uomini e donne guardano con speranza a una legislazione sul testamento biologico e su altre questioni di fondamentale importanza. Non è in discussione il diritto della chiesa di manifestare i suoi princìpi e di sostenerli pubblicamente, ma l’intervento diretto e vincolante dei vescovi sui legislatori, con i richiami al dovere morale dei parlamentari cattolici a votare contro i progetti di legge che il Parlamento assume, sostenendo che “nessun cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica”, fissando criteri e vincoli, è un attacco appunto alla laicità dello Stato. Le donne pensionate, protagoniste di tante battaglie per i diritti civili di questo paese, difendono quotidianamente e da sempre la laicità dello Stato. 50E50 ovunque si decide L e donne del Coordinamento nazionale Spi Cgil, riunite in assemblea il giorno 12 aprile 2007, guardando alla realtà del paese e a come la gente Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 107 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil vive la politica sempre più lontana dai propri bisogni, ritengono di affermare che la presenza delle donne può dare a essa una svolta concreta e positiva restituendole dignità e valore. La proposta di legge di iniziativa popolare, lanciata dall’Udi “50E50 ovunque si decide”, risponde pienamente alle nostre convinzioni e all’obiettivo della Cgil, mirato alla costruzione di un’organizzazione paritaria. Pertanto sosteniamo fortemente questa proposta, al fine di rafforzare ulteriormente la nostra ferma volontà di essere partecipi alla pari nei luoghi della decisione e del potere, per costruire una società più equa, solidale e democratica. Diritto all’abitare N el corso dell’Assemblea nazionale delle donne dello Spi, svoltasi a Montesilvano nei giorni 12, 13 e 14 aprile 2007, nell’affrontare i tanti problemi che ostacolano la realizzazione del benessere delle persone anziane, in particolare delle donne, quali il reddito, la sanità, l’esclusione sociale, la soggezione culturale, la solitudine e l’insicurezza, si è posto l’accento anche sul problema abitativo che, in assenza da anni di politiche mirate e a seguito della dismissione del patrimonio pubblico residenziale, ha assunto toni drammatici. Molte famiglie che hanno tentato l’acquisto della casa ove abitavano, hanno un indebitamento che ha indotto a sfratti per morosità, non essendo più sostenibili le rate del mutuo. La possibile perdita dell’abitazione nella quale sono nati o vivono da moltissimi anni, pone seri rischi alla salute fisica e psichica delle persone anziane, in particolare delle donne che vivono più a lungo e in solitudine, spesso sprovviste di qualunque strumento di difesa. La perdita dell’abitazione comporta contestualmente la perdita di punti di riferimento e di identità che per le persone anziane sono vitali: l’ambiente conosciuto, i rapporti amicali, le strade e i luoghi quotidiani dei negozi e del mercato di sempre, persino il medico di famiglia che da anni è di fiducia. Drammaticamente le statistiche rilevano che la vita delle persone anziane sradicate dal proprio contesto declina molto più rapidamente. Pertanto l’Assemblea nazionale delle donne dello Spi chiede a tutta l’organizzazione di porre con forza al governo, alle istituzioni, ai partiti politici di accelerare quanto più è possibile le soluzioni di questo drammatico problema e di evitare l’allontanamento forzato delle persone anziane dai luoghi della loro vita. Basta con le morti sul lavoro L e donne dello Spi Cgil riunite a Montesilvano, esprimono dolore e rabbia rispetto alle quattro vittime sul lavoro verificatesi ieri. Queste morti si sommano a tanti, troppi che perdono la vita sul lavoro che sono da considerarsi vittime e non martiri. 108 L’età delle scelte Ordini del giorno Le donne dello Spi Cgil ritengono che gli incidenti sul lavoro, che troppo spesso sono mortali, siano il frutto di un lavoro sempre più precario, non solo nell’accesso ma anche nell’organizzazione degli orari nei ritmi e carichi di lavoro; un lavoro sempre più condizionato da un mercato spregiudicato, indifferente alle normative vigenti che presentano comunque scappatoie per i datori di lavoro. Le donne dell’Assemblea dello Spi Cgil chiedono a tutte le istituzioni, dal governo agli enti locali agli istituti di controllo e vigilanza, di intervenire per migliorare le normative, rendere applicabili ed esigibili le norme vigenti, effettuare controlli mirati a impedire gli abusi degli imprenditori. Le donne dell’assemblea invitano le donne delle categorie e la confederazione tutta a vigilare, a denunciare, a intervenire in ogni luogo di lavoro affinché sicurezza, dignità e rispetto siano condizioni garantite a tutti i lavoratori. Organizzazione e Coordinamento (odg non approvato) C ome stabilito dai documenti congressuali, sancito dallo statuto e dagli adeguamenti nel regolamento del Coordinamento donne Spi, il sindacato pensionati della Cgil ha deciso di mettere in atto una politica di quadri più aderente alla realtà di un sindacato che è costituito da oltre il 50 per cento da donne iscritte, ponendosi come obiettivo politico, nell’arco del mandato congressuale, il raggiungimento di un’organizzazione paritaria a tutti i livelli (dalle leghe al livello nazionale). Scelta politica importante dalla quale devono discendere proposte importanti che possano realizzare il cambiamento cui auspichiamo, realizzando così una politica che tenga conto dei nuovi bisogni e che possa far convivere democraticamente le diversità, a partire da quella di genere. La rappresentanza di genere però non può essere delegata alle sole donne e ai coordinamenti: è l’insieme dell’organizzazione che deve sostenerci, esserci, complice in percorsi, modalità, strumenti, risorse che aggreghino, avvicinino le donne al sindacato rendendo così praticabile il percorso del mandato congressuale e cioè la realizzazione di un’organizzazione paritaria e la costituzione dei coordinamenti in tutte le leghe. Affinché i coordinamenti abbiano forza e incisività, vanno praticate tutte quelle azioni di supporto per dare gambe alle scelte che lo statuto e il regolamento del Coordinamento donne nazionale indica; è perciò indispensabile definire il ruolo e la responsabilità nonché il riconoscimento legato al mandato politico della responsabile del Coordinamento donne a tutti i livelli, valutandone anche gli aspetti economici, almeno per livello territoriale e regionale, fissandone l’inquadramento come membro di segreteria. Per attuare compiutamente il mandato congressuale e per la sfida politica di andare alla costituzione dei coordinamenti in tutte le leghe, affermiamo la necessità che alla responsabile sia riconosciuto il tempo e lo spazio politico ne- Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 109 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil cessario ad assolvere il suo mandato (è necessario contrastare l’attribuzione di più incarichi che, nel lavoro quotidiano, rendono poi impraticabile o da farsi quando “si ha tempo” il lavoro con le donne). La responsabile del coordinamento a tutti i livelli deve partecipare ai luoghi delle decisioni politiche perché le politiche delle donne devono misurarsi con i punti dove si definiscono le politiche di genere dell’organizzazione. 110 L’età delle scelte Appendice Contributi alla preparazione dell’Assemblea 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 111 Appunti di lavoro Premessa P rotagonisti consapevoli è molto più di uno slogan congressuale. È il punto di partenza per un salto qualitativo e concettuale di consapevolezza sulla condizione anziana. Il XVII Congresso dello Spi ha sancito un nuovo modo di pensare e di agire la politica, consolidando di fatto il compito di tutela nei confronti di coloro i quali sono in condizioni di disagio e di non autosufficienza (riaffermando reddito e salute come bisogni minimi essenziali) e rendendo esplicita un’elaborazione politica indirizzata ai nuovi bisogni dei nuovi anziani e pensionati per una società del benessere. Rappresentare il benessere vuol dire rendere l’organizzazione espressione di una platea molto più ampia di soggetti. Vuol dire confrontarsi con una platea eterogenea dove diverse sono le condizioni, siano esse culturali, economiche o demografiche. Vuol dire diventare più forti e più rappresentativi e vuol dire anche affrontare nuove e difficili sfide. Le sfide della piena integrazione sociale, della uguaglianza delle opportunità, della promozione culturale lungo l’intero corso della vita, del diritto alla sicurezza, alla mobilità, alla disponibilità di un alloggio adeguato. Ma soprattutto vuol dire affrontare la sfida di un nuovo protagonismo consapevole delle donne e degli uomini anziani e pensionati. Alla luce degli importanti cambiamenti apportati da questo percorso congressuale, diventa oltremodo rilevante stabilire i nuovi confini che questa organizzazione dovrà definire rispetto alle politiche di genere. Ridefinire l’organizzazione sociale, rafforzare l’organizzazione politica, maturare le nuove politiche complessivamente intese come politiche del benessere. Questi gli obiettivi da raggiungere. Non possiamo dimenticare gli importanti risultati conseguiti dalle donne nella nostra organizzazione. Il congresso, come è noto, ha portato complessivamente sempre più donne alla guida dello Spi, a diversi livelli. Un successo che riguarda tutta l’organizzazione, con punte di eccellenza in alcune realtà territoriali. Non dobbiamo dimenticare che questi risultati sono frutto di un indubbio protagonismo dei coordinamenti. L’obiettivo politico di rendere nel breve e medio periodo il sindacato dei pensionati un’organizzazione paritaria, è obiettivo individuato e doveroso. Sappiamo bene che il percorso prevede un impegno da parte di tutte e di tutti, affinché, davvero, il genere abbia peso dentro e fuori dall’organizzazione. Affinché possano finalmente pesare nelle scelte politiche e organizzative, le tante, diverse, protagoniste; affinché questa organizzazione possa aiutare in ogni modo le donne anziane e pensionate a vivere bene questa nuova stagione della vita, esprimendo tutte le potenzialità; affinché i tempi di vita, quelli 112 L’età delle scelte Appendice: appunti di lavoro del lavoro attivo e della cura non rappresentino una frattura insanabile rispetto ai tempi della pensione. L’assemblea di Pesaro ha affermato il valore dell’attività dei coordinamenti donne sull’insieme delle tematiche dello Spi, sottolineando che non si trattava di un agire separato bensì di un’azione intrecciata con le politiche dell’intera organizzazione, a cui l’ottica di genere conferiva un valore aggiunto. Oggi, nell’intraprendere il cammino verso la nuova assemblea, possiamo riaffermare con forza tale principio e far ripartire da questo la discussione e le proposte dei gruppi di lavoro. La nostra elaborazione vuole essere coerente con il respiro internazionale che ha il tema della condizione della donna e che comporta la ricerca di collegamenti con l’agire di altre donne, iniziando dall’Europa. Nel rapporto con la Ferpa e con la Ces, riconfermiamo l’obiettivo della creazione di una forte rappresentanza sindacale europea. I temi in discussione La contrattazione di genere La contrattazione di genere, affermata dai coordinamenti e valorizzata dall’azione delle donne in ogni territorio, è divenuta ormai patrimonio dell’intera organizzazione e contamina le piattaforme rivendicative dello Spi. Si tratta oggi di operare affinché questa affermazione diventi una pratica diffusa, per rendere esigibili bisogni e diritti delle donne, verificandone i risultati. I bilanci sociali e i bilanci di genere sono gli strumenti utili per farlo. Le politiche per il benessere e le pari opportunità Il dibattito congressuale ha posto l’esigenza di muoversi su un terreno più ampio di quello tradizionale dello Spi, allargando l’area di intervento alla concezione del benessere della persona anziana come condizione derivante da una società che riconosce diritti e offre tutele. È evidente che i requisiti ineludibili per una condizione di benessere sono un reddito dignitoso e un efficace sistema di servizi: il benessere è organizzazione sociale, capacità di redistribuire la ricchezza per migliorare la qualità della vita di tutti. Per quanto riguarda le donne, questo percorso di conquiste è intrecciato con quello dell’affermazione di sé come soggetto autonomo titolare di diritti, dall’indipendenza economica a un diverso ruolo nella famiglia e nella società. Tutto questo presuppone un mutato rapporto dei tempi di lavoro e di cura dei familiari rispetto al tempo libero, in quanto la persistenza degli obblighi generazionali a sfavore delle donne è un dato di fatto, così come la divisione asimmetrica del lavoro di cura non pagato: in questo modo sfumano le responsabilità pubbliche verso il benessere sociale dei cittadini. Una particolare attenzione deve essere dedicata alle donne anziane che sono troppo spesso “soggetti invisibili”. Questo aspetto assume una rilevanza particolare oggi, sulla base delle decisioni del Parlamento europeo che ha diTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 113 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil chiarato il “2007 anno europeo delle pari opportunità per tutti”, nei campi della formazione, della protezione sociale eccetera. La direttiva vieta ogni forma di discriminazione, fra cui quelle legate al genere e all’età, intendendo attuare il principio della parità di trattamento tra uomini e donne anche per quanto riguarda l’accesso ai beni e ai servizi. Dobbiamo attivarci per rendere visibile e fattiva la partecipazione delle donne dello Spi all’anno europeo. Bilancio sociale e bilancio di genere Partendo dall’assunto che la contrattazione e le leggi non sono neutre, possiamo affermare che il bilancio di genere è uno strumento di lettura della realtà che può rafforzare la contrattazione di genere: la disaggregazione dei dati per genere consente un confronto più chiaro fra interventi previsti e bisogni delle donne. L’assunzione del tema risale all’anno 2000 e ha avuto un andamento diversificato nel territorio nazionale. Gli obiettivi principali del bilancio di genere sono: - l’equità e quindi la riduzione delle disuguaglianze fra donne e uomini; - l’adozione di misure per le pari opportunità; - una maggiore trasparenza nel rapporto con cittadini/e. Una diffusa richiesta dei bilanci di genere implica una modalità nuova dell’agire della nostra organizzazione, di fatto rafforza il concetto della contrattazione di genere e accresce la necessità di una presenza dei coordinamenti nelle delegazioni trattanti. Guardare ai bilanci ragionando sul diverso impatto che i provvedimenti e gli stanziamenti hanno per donne e uomini significa declinare per genere la lettura dei bisogni e delle politiche. Si sviluppa così un intreccio significativo fra aspetti sociali (bilancio sociale) e ottica di genere (bilancio di genere), che permette di analizzare a fondo bisogni differenziati per assumerne la rappresentanza. Le nostre proposte sono: - la valorizzazione delle competenze femminili e un’adeguata formazione sui bilanci di genere, terreno di lavoro comune con le compagne della Cgil, per rafforzare il punto di vista di genere su contenuti condivisi da donne di età diverse; - mettere in moto un processo di rinnovamento nella nostra contrattazione che dovrà esigere un’informazione e documentazione precisa e disaggregata per genere da parte degli interlocutori istituzionali. Tempi di vita – Tempi di lavoro La nostra rappresentanza è oggi costituita, oltre che da una parte – minoritaria ma per noi centrale – di donne in condizioni di grande disagio, anche da una parte consistente di donne che appartengono a diverse fasce d’età, in buone condizioni di salute, con energie e interessi, in grado di riprogettare la propria vita anche in funzione di un impegno sociale oltre che familiare. Aspettative spesso deluse da un’organizzazione sociale che tende a relegarle in funzioni di cura nei confronti delle altre generazioni (più giovani e più 114 L’età delle scelte Appendice: appunti di lavoro anziane). La naturale disponibilità a farsi carico di altri per affetto deve essere una scelta e tale da lasciare spazi di libertà personale, non una via obbligata dalla mancanza di servizi. Le politiche di monetizzazione dei servizi non liberano il tempo delle donne e non favoriscono il loro benessere. Il tempo “liberato” dal lavoro non può essere obbligato da bisogni sociali e familiari ma corrisponde a una scelta, ed è la condizione perché l’anziano diventi risorsa: per la ricostruzione di legami sociali, a sostegno delle responsabilità familiari, a presidio dei beni comuni. Richiamiamo qui le preziose esperienze di vita, di valori, di memoria, sollecitate e raccolte attraverso il “Progetto Memoria” dello Spi. Le esigenze sopra evidenziate chiamano in causa il bisogno di una diversa organizzazione sociale, capace di valorizzare tutte le fasi della vita, con una diversa organizzazione dei tempi, che per le donne e per le famiglie significa servizi, diversità di consumi e condivisione sociale del lavoro di cura, ponendosi anche l’obiettivo di città capaci di offrire socializzazione, sicurezza, occasioni culturali, valorizzazione del protagonismo delle persone. Ciò significa: - dare valore alla cittadinanza attiva e al protagonismo delle donne anche dentro le organizzazioni sindacali, ripensando in tale chiave i modi e i tempi di funzionamento delle stesse; - riflettere, per rilanciarli, su ruolo e funzioni degli spazi di aggregazione (centri sociali); - operare per un maggior intreccio con le associazioni di volontariato, a partire dall’Auser. Nella contrattazione vanno posti alcuni obiettivi per noi strategici: - una nuova vivibilità dei quartieri, dei paesi, delle città, con il fine di favorire la piena inclusione delle donne anziane in una città attiva; - spazi di aggregazione e di socializzazione; - la rete dei servizi alla persona che deve essere aumentata in termini qualitativi e quantitativi, per liberare il tempo delle donne. Tutte questioni che richiedono un’alleanza stretta fra le donne delle diverse generazioni. Occorre ricercare un terreno comune di lavoro e di iniziativa con le compagne delle categorie per l’elaborazione di proposte, in particolare sulla legge 53/2000 per il coordinamento dei tempi delle città. Reddito/Previdenza Il Memorandum sul sistema previdenziale che Cgil, Cisl e Uil hanno firmato con il governo, oltre a sottrarre il sistema pensionistico a interventi strutturali realizzati con la Finanziaria, ha fissato alcuni punti fondamentali da perseguire nel confronto che si aprirà a gennaio 2007. Fra questi vi è il tema del potere di acquisto delle pensioni, che risponde all’esigenza dei pensionati di partecipare alla redistribuzione dell’aumento della ricchezza del paese e di combattere la perdita di potere di acquisto dei redditi da pensione che si è realizzato in questi anni. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 115 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Senza interventi adeguati, infatti, il processo di impoverimento dei pensionati tende progressivamente ad accentuarsi e a estendersi anche alle pensioni di livello medio. Il tema del potere di acquisto delle pensioni assume così un carattere prioritario per il sindacato; ciò vale in particolar modo per le donne che sono le titolari delle posizioni previdenziali e assistenziali più deboli (trattamenti minimi, pensioni sociali e di reversibilità eccetera). Infatti: - ogni intervento sulla fascia fino a 750 euro riguarda quasi esclusivamente le donne, che costituiscono i due terzi dei soggetti con pensioni fino a tale importo; - l’età media effettiva di pensionamento delle donne è più alta di quella degli uomini per effetto di una vita lavorativa discontinua e meno remunerata (per molte donne la pensione di anzianità, di fatto, non è un’alternativa reale per la mancanza dei contributi necessari); - una recente indagine dell’Unione europea sul rischio di povertà degli anziani ha calcolato che in Italia si trova in tale condizione il 18 per cento di donne con più di 65 anni rispetto al 13 per cento degli uomini. In altre parole, sono a rischio di povertà 1,38 donne per ogni uomo. La condizione delle donne rispetto alla copertura previdenziale e all’andamento pensionistico è ampiamente assunta dalle proposte dello Spi, anche per il tavolo che si aprirà a gennaio. Reversibilità È necessario sciogliere il nodo delle pensioni ai superstiti; prestazione che interessa per la maggioranza dei casi le donne. Da una parte occorre rendere adeguati gli importi, soprattutto quando la pensione è l’unica fonte di reddito per i superstiti; dall’altra, però, si deve evitare che la pensione ai superstiti si traduca in un disincentivo al lavoro femminile. In questo senso, l’aumento fino al 100 per cento dell’aliquota di reversibilità – che va rivendicato nei casi di assenza di altri redditi – potrebbe essere condizionato alla riduzione della capacità lavorativa e/o all’importo della pensione stessa (ovviamente in misura inversamente proporzionale). Contestualmente, è necessario ridurre le aliquote di abbattimento della pensione di reversibilità, introdotte con la tabella F della legge 335/1995, in presenza di reddito da lavoro o di pensione da lavoro. La previdenza per chi svolge lavoro di cura Ancora una volta si sottolinea l’esigenza di una legislazione che riconosca copertura previdenziale “reale” a chi svolge lavoro di cura, considerando inadeguata la normativa contenuta nel decreto legislativo 565/1996 “Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavoro di cura non retribuito derivante da responsabilità familiari” per la quale si confermano le critiche già espresse. Avanziamo proposte di cambiamento e, in particolare: - il riconoscimento della funzione sociale del lavoro di cura, per rendere possibile il raggiungimento di una pensione dignitosa; 116 L’età delle scelte Appendice: appunti di lavoro - la possibilità di cumulare i diversi tipi di contribuzione e in particolare le posizioni “silenti”; - la reversibilità; - l’adeguamento della pensione al costo della vita; I temi relativi a un’efficace tutela previdenziale del lavoro di cura e al recupero delle posizioni silenti possono rappresentare un incisivo contributo di genere affinché il confronto con il governo sul sistema pensionistico tenga conto delle diverse condizioni di uomini e donne nel lavoro e nella vita sociale. Infortuni domestici Si riconfermano le criticità già espresse in merito alla legge sugli infortuni domestici, pur prendendo atto della recente modifica che riguarda il risarcimento in caso di infortunio mortale. Lavoro di cura e carta dei diritti L’invecchiamento della popolazione, il crescente numero di “grandi vecchi” maggiormente esposti a condizioni di disabilità o non autosufficienza, determinano situazioni di grande disagio per le famiglie su cui grava il compito dell’assistenza e della cura, senza il supporto di servizi pubblici adeguati. Questo peso è sostenuto soprattutto dalle donne, che spesso sommano l’assistenza ai genitori anziani con la cura dei nipoti a loro affidati. E quasi sempre di donne si tratta anche quando ci si rivolge a soggetti estranei alla famiglia (assistenti familiari). Il lavoro di cura, spesso svolto in solitudine, comporta non solo un pesante impegno fisico ma anche un carico psichico, affettivo e relazionale; per questo deve essere scelto e non imposto dal contesto sociale e/o dalle condizioni economiche. Da tempo siamo impegnate, come Coordinamento donne, a ricercare soluzioni che privilegino la domiciliarità, migliorando la qualità della vita dei soggetti più deboli, che lo Spi rappresenta, ma dando contemporaneamente sostegno alle famiglie che se ne prendono il carico. Le nostre proposte incidono sulle condizioni e sui tempi di vita delle donne. Il sostegno prioritario deve essere un’adeguata rete dei servizi e per questo occorre rilanciare la legge 328/2000. Per quanto riguarda le persone che si dedicano al lavoro di cura, ne rivendichiamo il riconoscimento come già indicato nella parte sulla previdenza. Carta dei diritti Rivendichiamo l’attuazione “concreta” della carta dei diritti di chi cura e chi è curato, inserita nella carta dei servizi, da ottenere attraverso la contrattazione. Assistenti familiari Un grande capitolo riguarda le assistenti familiari, per la maggior parte provenienti da paesi extra-europei, a cui si ricorre sempre più spesso, incontrando Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 117 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil grandi difficoltà legate alla legge Bossi-Fini che ne impedisce la regolarizzazione e vanifica anche la possibilità per le famiglie di accedere all’apposita detrazione prevista dalla Finanziaria 2007. Sarebbe opportuno indagare sul fenomeno in ambito europeo per capirne la dimensione e confrontare le diverse risposte che vengono date. Molti territori hanno realizzato buone pratiche ed esperienze importanti, concludendo accordi con i Comuni per la qualificazione e la regolarizzazione delle assistenti, nonché per il sostegno delle famiglie interessate. Per iniziativa dei coordinamenti, lo Spi ha assunto un ruolo anche culturale di aggregazione e ha agevolato la nascita di associazioni fra donne immigrate che possono così ritrovarsi e socializzare nel tempo libero, migliorando la propria condizione di vita. Tali esperienze devono proseguire. Confermiamo le proposte definite nell’assemblea di Pesaro: emersione del lavoro nero, sostegno economico alle famiglie (andando oltre le limitate misure previste dalla Finanziaria 2007), ruolo delle istituzioni, vigilanza, sostegno per l’onere del riconoscimento previdenziale e assistenziale, albo, regolamentazione contrattuale e formazione. Consideriamo tutto questo un terreno di lavoro comune con la Cgil e le categorie. I consultori familiari e la prevenzione I coordinamenti donne hanno sempre sostenuto che l’attività di prevenzione deve essere un punto centrale delle politiche e dell’attività programmata dalle Asl: in questo ambito i consultori assumono un ruolo importante. L’indagine conoscitiva parlamentare sull’applicazione della legge 194/1978 ha riscontrato carenze, disomogeneità tra punti di eccellenza e dismissioni, la riduzione delle risorse e delle figure professionali, l’inadeguatezza degli interventi, la medicalizzazione della salute della donna e il fallimento dell’obiettivo di un consultorio ogni 20mila abitanti. Riteniamo che i consultori vadano rilanciati e riqualificati, inserendoli, fra l’altro, nel complesso di servizi e funzioni che la Casa della salute potrà contenere, come “sede pubblica dove la popolazione si organizza per il fine della salute e del ben-essere sociale e dove si collocano tendenzialmente tutti i servizi, per assicurare la presa in carico del bisogno di salute e di cura e per garantire la continuità assistenziale”. Tutto questo richiede il coinvolgimento delle donne attraverso un’azione anche culturale; non vi è dubbio che occorre un’alleanza fra chi ha lottato per avere diritto a una maternità consapevole, alla prevenzione, ai consultori, e le donne giovani. Respingiamo con forza ogni attacco alla 194, alla legge 405/75 istitutiva dei consultori e all’autodeterminazione delle donne. Occorre verificare e ricostruire il quadro dei consultori, procedendo con indagini territoriali che mettano a confronto la loro situazione reale. Riteniamo essere punti da inserire nella contrattazione territoriale, con una particolare attenzione per il Sud: - un’attività di prevenzione, non solo sanitaria, corrispondente ai bisogni 118 L’età delle scelte Appendice: appunti di lavoro delle donne “oggi”, senza discriminazioni legate all’età o alla nazionalità, che tenga conto anche del problema della solitudine e dei rischi che possono derivarne, compresi quelli di natura psicologica; - la presenza di personale specializzato e di equipe multidisciplinari; - la personalizzazione degli interventi (presa in carico dei soggetti); - l’incentivazione dell’afflusso ai consultori attraverso l’informazione, la sensibilizzazione, la formazione I consultori familiari possono inoltre svolgere un ruolo importante per la rilevazione di nuovi bisogni sul territorio ed essere punto di aggregazione con altri servizi di base. Il protagonismo e la partecipazione delle donne sono determinanti per il raggiungimento di questi obiettivi. L’educazione permanente La nostra elaborazione di politiche contro l’esclusione sociale, per la cittadinanza attiva, la riorganizzazione delle città e la valorizzazione della risorsa anziani è una leva strategica per lo Spi. Particolare importanza assume la promozione di attività di educazione degli adulti: i dati confermano che un’ampia fascia di donne anziane non ha strumenti sufficienti di conoscenza e di partecipazione, anche per una storia che le ha tradizionalmente escluse dall’accesso ai saperi. È forte il processo di “analfabetismo di ritorno” di tante donne anziane nella società tecnologica. Esclusione dai saperi significa esclusione dalla socializzazione e una maggiore esposizione ai rischi legati alla sicurezza, oltre all’incapacità di fruire delle informazioni e delle opportunità. Occorre che la contrattazione Spi sia indirizzata a interventi di inclusione attraverso l’educazione per tutto l’arco della vita, come previsto dalla proposta Spi Cgil-Auser di una legge quadro nazionale sull’educazione degli adulti. Contemporaneamente vanno aperti, con la contrattazione territoriale, spazi per un’ampia offerta di occasioni formative, rivolte nel territorio soprattutto a chi oggi non vi accede perché privo di competenze per comprendere o esprimere il bisogno. Contro ogni tipo di violenza, per la sicurezza Vanno combattute tutte le forme di violenza – e le culture che ne favoriscono il terreno – che si esprimono in particolare verso le donne, e sono spesso una combinazione di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. Esistono forme specifiche di violenza verso gli anziani e sulle donne in particolare, anche nell’ambito della famiglia. Nonostante la difficoltà di denuncia da parte delle stesse donne, il fenomeno è ampiamente dimostrato, fra le altre, dalle indagini Istat e Dafne. È stata attivata una rete nazionale antiviolenza che coordina le reti organizzate in un numero sempre maggiore di città. La parola d’ordine della campagna contro la violenza, usata anche nella giornata del 25 novembre, è rompere il silenzio: su questo tema occorre l’impegno di tutte le donne. Aumentano anche i casi di truffa e raggiri nei confronti degli anziani, in particolare delle donne, spesso in condizioni di solitudine e quindi indotte alla fiTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 119 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil ducia per il bisogno di socializzare e di rendersi utili. Situazioni, queste, che determinano gravi danni sulla stima di sé e sulla propria autonomia. I problemi della sicurezza, così importanti per la qualità della vita delle persone, in particolare per donne e uomini anziani, non possono essere affrontati solo sul piano della repressione ma investono ancora una volta la vivibilità e la socializzazione nelle città (la città sicura è quella abitata dai suoi cittadini, non quella di cittadini blindati). La contrattazione va perciò indirizzata: - a stimolare la nascita dei centri e delle reti territoriali antiviolenza; - a promuovere o sostenere punti di ascolto e accoglienza; - a promuovere iniziative di informazione e formazione, per informare e prevenire; - a negoziare interventi sulla qualità delle città e sulla socializzazione. Democrazia, rappresentanza, partecipazione Torniamo a discutere di organizzazione, democrazia, rappresentanza, partecipazione perché resta ancora aperta la questione di una compiuta democrazia di organizzazione, anche se è innegabile il salto di qualità verificato al congresso. La presenza delle donne è infatti aumentata in tutte le fasi dell’attività congressuale. Negli organismi dirigenti ed esecutivi di molte strutture regionali e territoriali è stata rispettata la norma antidiscriminatoria; aumenta anche il numero delle segretarie generali. Maggiori difficoltà si registrano nelle leghe, anche se non mancano risultati significativi soprattutto dove si è investito sull’attività di formazione. L’impegno convinto (e coerente) dei gruppi dirigenti Spi ha facilitato questo risultato. Determinante però è stato il lavoro dei coordinamenti che hanno saputo sollecitare la partecipazione e il protagonismo delle donne. Il congresso ha apportato modifiche significative allo statuto: ha inserito il coordinamento e l’assemblea delle donne tra gli organismi di rappresentanza e consultazione, rafforzando anche in questo modo il valore della scelta sulla forma di autorganizzazione delle donne Spi; ha assunto come un vincolo il rispetto della norma antidiscriminatoria, precisando meglio i percorsi per esercitare il diritto di proposta sui criteri per le candidature alle cariche elettive (segreterie e segretarie generali). L’assemblea dovrà adeguare il regolamento, quello approvato a Viareggio, alle nuove norme statutarie per renderle applicabili ed esigibili. Determinante, come sempre però, resta la volontà e l’impegno politico dei gruppi dirigenti, non solo per il rispetto delle norme statutarie ma nel promuovere e sostenere l’attività dei coordinamenti, nel facilitare percorsi e condizioni che possano sostenere le donne nell’assunzione di responsabilità. La preparazione dell’assemblea diventa anche l’occasione per riprecisare obiettivi, caratteristiche e modalità di lavoro dei coordinamenti, a cui lo statuto riconosce anche il diritto di proposta sulle politiche. Il coordinamento va inteso come un luogo di aggregazione, di elabora120 L’età delle scelte Appendice: appunti di lavoro zione e di iniziativa, che stimola partecipazione e protagonismo delle donne; capace di attuare una politica che sappia rappresentare le diversità di condizioni, di bisogni, di aspettative. Tutto questo per far diventare i “temi delle donne” e le questioni di genere parte delle politiche e dell’iniziativa del sindacato, in coerenza, del resto, con i richiami dell’Unione europea a proposito “delle politiche di genere necessarie per la crescita, per la coesione sociale e per la stabilità”. Un luogo aperto e dedicato, capace di sollecitare la partecipazione di tutte le donne impegnate nel sindacato; un luogo che sappia aprire spazi di rappresentanza adeguati, rendendo credibile l’obiettivo della costruzione di un’organizzazione paritaria. Tutto ciò contribuisce al processo di rinnovamento dello Spi che non può prescindere dalla valorizzazione delle competenze femminili. Lo statuto riconosce al coordinamento il diritto di proposta sulle politiche. Le questioni affrontate e le proposte sul lavoro di cura, la carta dei diritti per chi cura e per chi è curato, il tema della non autosufficienza, il connotato di genere della povertà, le proposte sulla previdenza (posizioni silenti, reversibilità, infortuni domestici) sono diventate parte delle politiche Spi. È questo per noi il concetto di mainstreaming. Nessuna azione separata o parallela, dunque, ma assunzione dell’ottica di genere nelle piattaforme negoziali rivendicative del sindacato. Va perseguito il metodo di lavoro già ampiamente sperimentato nei nostri coordinamenti: quello di costruire le rivendicazioni attraverso una pratica di conoscenza (analisi dei bisogni) e di coinvolgimento delle donne. Anche per questo la presenza nelle delegazioni trattanti di una rappresentanza del coordinamento diventa più che mai necessaria. Il Coordinamento delle donne è dunque la forma, lo strumento che aiuta e sollecita la partecipazione e il protagonismo attivo delle donne: per questa ragione i coordinamenti vanno costituiti (con le modalità previste dallo statuto e dal regolamento) in tutte le strutture, comprese le leghe. È infatti il territorio, luogo privilegiato dell’iniziativa sindacale, compresa quella della negoziazione sociale, la sede in cui la presenza delle donne diventa fondamentale per interagire con i problemi e i bisogni delle anziane, rafforzando così la capacità di rappresentanza del sindacato pensionati. Occorre, allora, promuoverla questa presenza, valorizzarla e considerarla anche come uno dei parametri per la valutazione del processo di reinsediamento del sindacato. Il coordinamento è strumento utile per le leghe in quanto può diventare il luogo di aggregazione e protagonismo non solo per le donne pensionate e anziane ma anche per le lavoratrici, le immigrate e le altre forme organizzate nel territorio. Tutto questo accresce la capacità di sviluppare un’iniziativa sindacale e sociale sui servizi, sulle politiche di inclusione, sui tempi, sulle attività culturali, su quell’insieme di problemi che impegnano le nostre leghe (il concetto di luogo aperto del coordinamento può essere arricchito proprio da questa nuova esperienza). Sono queste le questioni che, in preparazione delle assemblee, proponiamo Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 121 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil alla riflessione e al dibattito delle nostre strutture e dei gruppi dirigenti Spi, perché diventino parte dei temi e del contributo dello Spi alla Conferenza di organizzazione della Cgil. Gli strumenti del coordinamento e le modalità di lavoro necessari La formazione L’attività di formazione ha rappresentato uno degli strumenti più significativi; un’azione positiva, concreta, promossa dallo Spi per rimuovere tutte le difficoltà oggettive e soggettive che ancora permangono per la promozione dei quadri femminili, per accompagnare le donne nell’assunzione di incarichi di responsabilità. Il “patto formativo” assunto in molte delle nostre strutture è stato l’elemento determinante che ha aiutato le donne a entrare e a restare nell’organizzazione, assumendo incarichi di responsabilità anche a livello di lega. L’attività di formazione, nelle diverse forme già sperimentate (dedicata, mista, per ruoli), va rafforzata ed estesa, se vogliamo che il vincolo assunto dallo Spi per l’applicazione della norma antidiscriminatoria sia rispettato a tutti i livelli e una nuova leva di quadri femminili possa assumere responsabilità di direzione del sindacato. La formazione così intesa (per i grandi numeri, come investimento e azione positiva) diventa strumento per una coerente, programmata politica dei quadri. Bisogna inoltre promuovere una formazione dedicata che tenga conto di un approccio diverso che le donne esprimono nei confronti del sindacato, di come la differenza diventa ricchezza in un gruppo dirigente consapevole e solidale. La memoria Il tema “memoria” è uno degli ambiti su cui si è concentrato l’impegno delle donne, che spesso hanno anticipato la riflessione teorico-culturale e le pratiche di un suo recupero, cogliendone in pieno l’essenza di elemento costitutivo dell’identità individuale e collettiva. A dimostrazione di ciò, si vedano le numerose iniziative di mobilitazione nelle scuole e Università per anniversari densi di significato (25 aprile, 8 marzo, 1° maggio, 27 gennaio) e quelle che hanno caratterizzato la battaglia referendaria di difesa della Costituzione e il 60° della Resistenza. Un esempio significativo è stato il convegno “Le ragazze che cambiarono il mondo” che ha raccolto presenze, testimonianze e preziosi contributi di donne partigiane (ormai anziane e pensionate) venute da ogni regione italiana, insieme a senatrici e deputate. Allo stesso filone di attività appartengono le iniziative dedicate alla memoria e alla storia dell’organizzazione sindacale. Sono stati prodotti ricerche e materiali, pubblicazioni, eventi teatrali e film di grande spessore politico e culturale. 122 L’età delle scelte Appendice: appunti di lavoro Per il filone memoria e storia di genere, vanno segnalati i due progetti realizzati in collaborazione con la Fondazione Gramsci: il convegno “Memoria della politica: donne e uomini tra esperienza e auto-rappresentazione” e la realizzazione della mostra fotografica itinerante e del volume “Donne nella Cgil: una storia lunga un secolo. 100 anni di lotte per la dignità, i diritti e la libertà femminile” inserito nel nostro ampio programma di attività del Centenario Cgil. Altro filone importante è quello legato alla valorizzazione delle memorie individuali, delle storie personali e collettive che, attraverso autobiografie e biografie, ci aiutino non solo a recuperare la Storia e le storie ma anche a costruire rapporti con le donne e gli uomini attivi, con gli studenti, per interagire e costruire quel “ponte di solidarietà” e di trasmissione della conoscenza di cui abbiamo bisogno. Lavorare sulla memoria non è soltanto un ripasso nostalgico del passato, ma ci consente di trovare risposte per il nostro futuro perché ha intrecci e valenze con molti aspetti della vita politica, sindacale e organizzativa. È impegno che deve essere condiviso, per far sì che tutte le donne possano uscire dal silenzio, per far sì che la memoria di tante divenga un patrimonio storico diffuso. L’informazione Le Assemblee nazionali di Viareggio e Pesaro hanno discusso e di fatto sancito l’importanza del corretto e completo utilizzo di tutti i mezzi di informazione, interni ed esterni. Le donne dello Spi ribadiscono la centralità dell’informazione e il suo utilizzo globale sia attraverso l’informazione interna (LiberEtà, sito nazionale) che la comunicazione nel suo complesso (dalle campagne di comunicazione all’utilizzo pieno del logo del coordinamento). Una valutazione positiva viene espressa sulla quantità e sulla qualità che l’informazione di genere ha assunto nelle politiche comunicative dello Spi. Le modalità di lavoro Anche le nuove modalità di lavoro sperimentate e da estendere (i progetti e i tempi certi, limitati) possono, devono, diventare le risposte concrete alle esigenze che pongono sia le donne sia tanti giovani pensionati: quelle di un impegno sindacale non esclusivo e/o totalizzante proprio per poter conciliare questo tempo dedicato al lavoro nel sindacato con gli altri tempi, cioè quelli della famiglia, degli affetti, degli interessi culturali. Assumere queste tematiche nelle nostre modalità di lavoro è qualcosa di più di un’azione positiva: è un modo concreto per estendere e sollecitare partecipazione e protagonismo. Un luogo, tanti luoghi, una politica e iniziative conseguenti La presenza delle donne nei luoghi delle decisioni e del potere si è rafforzata. È una presenza forte, visibile ma a questa presenza non corrisponde automaticamente la realizzazione di politiche adeguate, di azioni e interventi di tutela che migliorino le condizioni di vita delle donne. L’esercizio della rappresentanza e l’elaborazione di politiche e di iniziative Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 123 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil conseguenti non possono essere disgiunte: è del tutto aperta, allora, la questione dei luoghi e delle modalità dell’iniziativa sindacale. Lo Spi ha scelto il coordinamento, riconoscendo a esso prerogative e autonomie: i risultati ottenuti ne confermano la validità. Non c’è alcuna pretesa che questo diventi il modello per l’insieme delle strutture Cgil confederali e di categoria. Poniamo, invece, l’esigenza di individuare modalità, reti di relazione, confronto e dibattito più strutturate e definite perché si possano affermare contenuti di genere nell’insieme delle politiche del sindacato e dei suoi metodi di lavoro: anche così si può rafforzare il metodo del mainstreaming. È questa esigenza e questa riflessione che proponiamo alle donne della confederazione e delle categorie per farne insieme oggetto di confronto, di dibattito, di proposte da sottoporre poi alla stessa Conferenza di organizzazione. 124 L’età delle scelte Il benessere S arebbe interessante formulare la stessa domanda a persone anziane di genere diverso: “cosa è per te il benessere?”. Forse una risposta sarebbe comune: un reddito dignitoso per la qualità della vita che ognuno vorrebbe, perché nella condizione economica si interpretano le più diverse opportunità di ben-essere. Ma le donne hanno un reddito inferiore agli uomini anche in gioventù, nel lavoro fuori casa, quando lo hanno, e soprattutto da pensionate, quando l’età più avanzata porta maggiori disagi. Se però indaghiamo più a fondo sulle condizioni che negano il benessere alle donne anziane o, per meglio dire, su quanto può promuovere migliori condizioni di vita, realizziamo che ci sono obiettivi sindacali non tradizionali nella cultura della Cgil, trasversali ai più consolidati diritti del lavoro, che possono affermare il benessere quale diritto di cittadinanza per tutto l’arco della vita. Realizziamo che occorrono politiche di tutela del reddito, della salute e dei servizi sociali che si integrino con politiche di promozione centrate sull’insieme delle esigenze della persona, non su quelle di quanti “erogano” risposte. Pensiamo a un welfare moderno, non limitato alla pura sussistenza, che guarda non solo al benessere soggettivo ma a dinamiche sociali, economiche e organizzative che progettano una “società del benessere” dove le anziane e gli anziani, in numero sempre crescente, sono valorizzati come risorsa. Con questa ottica, una riflessione dello Spi e della Cgil sulle politiche di genere è utile e attuale. - L’Abc del benessere per le donne A nostro avviso è sintetizzabile in quattro ambiti: bisogno di sicurezza (reddito, casa, mobilità, ambiente); stima e cura di sé (vita attiva e valorizzazione della propria età); saperi (conoscenze e competenze); buone relazioni (legami sociali e affettivi). 1. La sicurezza Sul tema si sono incentrate campagne elettorali ed è un problema serio per ogni parte politica che non si limiti a propaganda ideologica o strumentale (la Moratti manifesta a Milano!). L’insicurezza “percepita”, amplificata dai media, non è preoccupazione esclusiva delle persone anziane ma su di esse ha effetti gravi, soprattutto in presenza di scarse relazioni sociali e limitati strumenti culturali, che spesso connotano le donne sole e di età avanzata. Il problema della sicurezza ha molte facce e non è risolvibile solo con politiche repressive: occorre affermare una rete di legami sociali, di solidarietà inTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 125 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil tergenerazionale, di integrazione con le diverse etnie, per affermare una cultura che favorisca la legalità condivisa. Le statistiche individuano nelle donne anziane le più colpite da truffe e raggiri, che poi segnano i comportamenti e le relazioni anche in famiglia, per la vergogna e la perdita di autostima. Molti sono gli episodi di violenza di cui sono vittime e il più delle volte in casa, non tutti rilevabili statisticamente perché non vengono denunciati per pudore, per soggezione, per amore e giustificazione del familiare. Che fare come sindacato: - analisi del territorio e della rete di associazionismo e volontariato attivabile; - ascolto, informazione per la prevenzione; - assistenza e orientamento per la tutela; - negoziazione sul complesso delle condizioni ambientali e sociali per rendere il contesto più sicuro. È indispensabile una stretta collaborazione già sperimentata con il Silp per la Cgil, la Funzione pubblica, l’Auser, la Federconsumatori, le istituzioni e le associazioni esistenti nel territorio. Altra faccia della sicurezza sta nei problemi della casa, che spesso è inadeguata alle esigenze degli anziani, in particolare delle donne che più la vivono per tradizione casalinga e longevità e che più ne soffrono i disagi anche economici quando restano a viverci da sole. I problemi più rilevanti: - il dramma degli sfratti (circa 26mila nuclei familiari interessati, spesso con anziani); - i costi di affitto che di media incidono per oltre la metà del reddito da pensione, già molto ridotto; - i costi di manutenzione, spesso di case ben più vecchie di chi le abita; - i costi di utenza (luce, gas, acqua, condominio) e le tasse (Ici, Tarsu); - le case di proprietà che diventano costose e fatiscenti, un patrimonio immobilizzato; - l’accessibilità (assenza di ascensori, barriere architettoniche); - l’inadeguatezza delle strutture e della domotica nelle abitazioni per la prevenzione degli incidenti domestici. Questi problemi vengono spesso acuiti dal contesto urbano, dal sistema di trasporto, da fermate non protette, da viabilità compromessa da assenza di marciapiedi, da asfalto sconnesso, da illuminazione insufficiente, da sporcizia nelle strade, da degrado e assenza di luoghi di aggregazione e di socialità frequentabili dalle donne. Che fare come sindacato: - un’indagine mirata a conoscere le buone pratiche già esistenti sul territorio per i luoghi della socialità delle donne, per progetti da realizzare e diffondere in collaborazione tra Coordinamento donne e Dipartimento Benessere Spi; 126 L’età delle scelte Appendice: il benessere - una campagna di informazione per la sicurezza e la prevenzione degli incidenti domestici. Contrattare ai diversi livelli istituzionali per: - rivendicare nuove politiche abitative per affermare il diritto costituzionale alla casa come diritto di cittadinanza (tema che anche l’Europa affronta per l’“housing sociale”); - politiche per lo sviluppo del mercato degli affitti e interventi fiscali per incentivare contratti di affitto concordati; - risorse adeguate al Fondo nazionale per gli affitti; - politiche di edilizia residenziale pubblica; - contratti di quartiere: recupero di aree degradate con progetti partecipati di integrazioni fra alloggio e rete dei servizi, integrazione sociale, qualità dell’ambiente; - modifica dei criteri dei bandi di assegnazione alloggi per consentire alle persone anziane di riavvicinarsi ai familiari; - modifica del Prestito vitalizio ipotecario di Tremonti con nuove soluzioni per lo smobilizzo protetto del patrimonio costituito dalla casa di proprietà. 2. Stima e cura di sé per una vita attiva Lo Spi intende valorizzare la risorsa anziani. Il dibattito congressuale ha fatto emergere il possibile forte protagonismo delle donne quando hanno la consapevolezza del loro valore. A differenza degli uomini, che si identificano prevalentemente nel lavoro e nelle relazioni sociali, le donne – specie quelle di età più avanzata – consumano le maggiori energie nella cura della famiglia e della casa. Tra queste, alcune si trovano “costrette” a un pesante carico di lavoro di cura, strette fra due o più generazioni da sostenere: i giovani e i grandi vecchi; altre, senza più famiglia accanto, si ritrovano svuotate del ruolo che aveva dato loro il senso della vita. Dobbiamo lavorare per fare assumere alle donne anziane consapevolezza delle proprie potenzialità, che ancora possono esprime nei confronti di una più ampia collettività se imparano a “volersi bene”, ad avere stima di sé. Ciò è possibile: - promuovendo stili di vita sani, recuperabili a qualsiasi età, solidali, aperti a relazioni amicali e di buon vicinato, al rapporto intergenerazionale e interculturale; - favorendo e sostenendo la vita indipendente e la libertà di scelta; - sostenendo le donne e coloro che scelgono di prestare cura ai propri cari. La cura di sé produce benefici anche nelle attività di socializzazione, ludiche e ricreative, e nello sport adatto al genere e all’età. L’invecchiamento attivo che con ciò perseguiamo, non può significare solo far lavorare più a lungo le persone, ma deve dare un senso sociale a quella parte della nostra vita (non sempre disagiata) resa disponibile da uno sviluppo che non ci impone più di lavorare sino all’ultimo fiato. La risorsa anziani nasce con il benessere, con i diritti, con le tutele, in asTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 127 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil senza dei quali le anziane e gli anziani non sono una risorsa ma un problema, per sé e per gli altri. Che fare come sindacato: promuovere le attività sociali e di volontariato, valorizzando in particolare le attitudini e i saperi delle donne, mettendo il protagonismo civico e lo scambio di valori a disposizione del tessuto sociale del territorio; riconoscere e sostenere il lavoro di cura liberamente e per affetto scelto, non considerando le donne quale ammortizzatore sociale alternativo alla responsabilità pubblica; impegnare le istituzioni locali a riconoscere e sostenere tali necessità. 3. Saperi Le veloci e profonde trasformazioni culturali e tecnologiche producono una progressiva emarginazione della popolazione più debole. La situazione nel nostro paese è allarmante. Le diverse ricerche testimoniano una vera e propria emergenza: quasi 12 milioni di italiani non hanno alcun titolo scolastico e il fenomeno dell’“analfabetismo di ritorno” non ha uguali in Europa. Solo il 20 per cento della popolazione adulta è in grado di rispondere efficacemente alle esigenze di vita e di lavoro del mondo attuale. Per quanto riguarda gli anziani, i due terzi (66%) degli ultrasessantacinquenni non hanno alcun titolo di studio, e il dato delle donne sale al 75 per cento. Le persone non in grado di esprimere un bisogno formativo (la cosiddetta “domanda debole”) rappresentano il principale problema; ben difficilmente sono in condizione di riaprire consapevolmente processi di apprendimento. Problema particolarmente diffuso fra le donne anziane prive di scolarità, che hanno molti saperi accumulati nella vita ma che difficilmente – per scarsa autostima – si fanno coinvolgere in processi formativi. D’altro lato, dove c’è maggiore scolarizzazione sono proprio le donne anziane che maggiormente frequentano i corsi delle Università della Terza età, per curiosità di sapere e per voglia di socialità. Occorre quindi intervenire sulle fasce più deboli, che sono anche quelle più in difficoltà a comprendere i nuovi linguaggi della comunicazione e i cambiamenti quotidiani nell’uso della tecnologia (bancomat, prenotazione informatica delle attese alla posta e all’Asl, spesa elettronica, telecomandi, cellulari eccetera). Promuovere politiche per l’apprendimento rappresenta uno dei pilastri di un welfare orientato alla promozione della persona; per gli anziani rappresenta uno strumento ineludibile per la conquista di nuove conoscenze, la valorizzazione della memoria e delle competenze e l’esercizio della cittadinanza attiva, per combattere solitudine ed emarginazione sociale. Il Progetto Memoria dello Spi e la valorizzazione delle autobiografie offrono una grande testimonianza di quanto le persone anziane, e le donne in 128 L’età delle scelte Appendice: il benessere particolare, sanno esprimere e donare quando ricorrono, con fiducia, alla propria esperienza e storia di vita. Le compagne che lavorano nelle leghe Spi, testimoni della soggezione culturale che disarma e rende fragili molte donne, devono dare un forte contributo per favorirne la consapevolezza nella rivendicazione dei diritti e la partecipazione democratica. Sarà un lavoro gratificante per le compagne, apprezzato dalle donne coinvolte, di arricchimento per tutta l’organizzazione e la collettività. Che fare come sindacato: - rivendicare la definizione di una legge nazionale “di sistema” per l’educazione degli adulti; - promuovere valori, saperi e competenze della persona anziana; - favorire nel territorio l’emersione dei bisogni formativi inespressi, integrandoli con gli interventi sociali (legge 328/2000). Testo a cura di Claudia Tempestini e Mirella Signoris Dipartimento Politiche del benessere Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 129 Le disuguaglianze nella salute M olti studi nazionali e internazionali hanno svelato l’esistenza di disuguaglianze sociali ed economiche nelle condizioni di salute e hanno dimostrato come la medicina e l’assistenza sanitaria insieme costituiscano soltanto uno dei fattori che influiscono sulla salute della popolazione. Altri fattori, altrettanto importanti se non principali, sono rappresentati dalle condizioni sociali ed economiche nelle quali vivono le persone e vengono definiti determinanti sociali della salute. Difatti, in negativo, la povertà, la carenza di istruzione, l’insicurezza alimentare, l’esclusione e la discriminazione sociale e di genere, il degrado urbano, le abitazioni malsane, la violenza diffusa, le stesse lacune e inadeguatezze dei sistemi socio-assistenziali sono causa di malattia, di malessere psichico, di minore possibilità di sopravvivenza agli eventi morbosi. È stato osservato infatti che le malattie croniche, quali ictus, artrite, diabete, disturbi al sistema nervoso, affliggono maggiormente i meno istruiti, mentre gli anziani con redditi bassi hanno maggiori limitazioni delle attività quotidiane e sono più esposti a problemi di non autosufficienza. Le disuguaglianze di genere Le donne in generale e le pensionate in particolare sono più diseguali perché: - non hanno avuto le stesse possibilità di accesso all’educazione e alla formazione professionale riconosciute agli uomini della stessa generazione; - hanno un più alto rischio di povertà. Le donne hanno guadagnato meno nel corso della loro vita lavorativa, hanno interrotto la loro carriera più spesso e avuto minore possibilità di accesso a posizioni qualificate e ben retribuite, con il risultato di trovarsi in condizioni di vita e di alloggio più precarie rispetto agli uomini anziani, e le donne singole rispetto alle coppie; - sono soggette a maggiori problemi di mobilità. A causa della loro maggiore aspettativa di vita sono più esposte a limitazioni nella possibilità di muoversi, per problemi di salute; d’altra parte le anziane, rispetto agli uomini, utilizzano di meno l’automobile e sono maggiormente dipendenti dai mezzi pubblici; - hanno una maggiore probabilità di essere isolate socialmente negli ultimi anni della loro vita proprio perché sono più longeve e quindi più esposte a disturbi cronici. Oltre a essere affette da patologie tipicamente femminili come l’osteoporosi, per la quale si osserva un’incidenza di otto volte superiore tra le donne, presentano una maggiore esposizione a pluripatologie legate all’età. Per tutti questi motivi le principali istituzioni internazionali (l’Oms, l’Onu, il Consiglio europeo) indicano la promozione della salute delle donne come 130 L’età delle scelte Appendice: le disuguaglianze nella salute obiettivo prioritario per ridurre le disuguaglianze nella salute e per incidere sui determinanti socio-economici dello stato di salute della popolazione. La contrattazione di genere La recente elaborazione della piattaforma unitaria dei pensionati di Cgil, Cisl e Uil per il 2007, avente per titolo “Una politica nazionale per la salute e il ben-essere delle anziane e degli anziani”, contiene fin dal titolo un’acquisizione culturale di estrema importanza. Il documento riconosce e afferma l’esistenza di una specificità della questione anziana e, contestualmente, mette in evidenza che “si invecchia soprattutto al femminile e questo richiede conoscenze, culture e interventi appropriati […]. Pertanto le organizzazioni sindacali dei pensionati chiedono che nella predisposizione delle politiche socio-sanitarie sia sempre presente la condizione di genere, per quanto riguarda i programmi e le legislazioni, la ricerca scientifica e i servizi.” È quindi opportuno analizzare e ripercorrere, tra i temi indicati dalla richiamata piattaforma unitaria, quelli che, in via prioritaria, possono essere agiti dall’iniziativa del Coordinamento donne. Questi appunti riportano, in maniera schematica, un indice argomentato dei principali temi contenuti nella recente legge finanziaria sui quali è possibile produrre le opportune elaborazioni nonché indicare i necessari obietti rivendicativi per i relativi livelli di confronto negoziale (nazionale, regionale e territoriale). Fondo politiche per la famiglia1 La Finanziaria 2007 prevede lo stanziamento di 210 milioni di euro per l’anno 2007, e di 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, a favore del Fondo nazionale delle politiche per la famiglia, che si aggiungono alla dotazione iniziale di 13 milioni, per un investimento complessivo pari a 583 milioni di euro nel triennio. Al fine di individuare alcuni punti qualificanti la proposta rivendicativa, si riportano brevemente le principali finalità del fondo che attengono alle politiche per il ben-essere. Istituire e finanziare l’Osservatorio nazionale sulla famiglia prevedendo la rappresentanza paritetica (Istituzioni centrali, Regioni, Enti locali, Associazionismo e Terzo settore). Realizzare il 1° Piano nazionale per la famiglia, per individuare i Lef (Livelli essenziali delle prestazioni per la famiglia), in grado di tutelare i diritti della famiglia, mettere a punto la cosiddetta “Valutazione di impatto familiare” e monitorare le ricadute sulla famiglia delle altre politiche del governo, promuovere 1 Il Fondo per le politiche della famiglia è stato introdotto dall’art 19 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (decreto Bersani), convertito dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006. La legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006) assegna maggiori risorse al fondo (art. 1, comma 1.250), ne precisa le finalità (art. 1, commi 1251, 1254 e 1255) e ne disciplina il riparto (art. 1, comma 1252). Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 131 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil e organizzare con cadenza biennale una Conferenza nazionale sulla famiglia. Realizzare con il ministero della Salute un’intesa in sede di Conferenza unificata sui criteri e modalità di riorganizzazione dei consultori familiari finalizzata a potenziare gli interventi sociali in favore delle famiglie. Promuovere e attuare in sede di Conferenza unificata un’intesa per la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari per bambini, disabili, anziani, non autosufficienti, facilitando l’incontro tra domanda e offerta, la formazione e l’inserimento nelle famiglie di queste nuove figure di lavoratrici. Finanziare le iniziative volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Inoltre, per sostenere la conoscenza e la diffusione delle “buone pratiche” adottate da Enti locali e imprese, sarà creato un apposito attestato di qualità che individua “l’ente o l’impresa amico/a della famiglia”. Attuare progetti in favore della lavoratrice madre nonché azioni in favore di lavoratori con figli minori o disabili o con anziani non autosufficienti. Sperimentare e incentivare iniziative di risparmio per le famiglie numerose sul costo dei servizi (corrente elettrica, acqua, gas eccetera). Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità2 Istituito dal “decreto Bersani” con una dotazione finanziaria di 3 milioni di euro per il 2006 e 10 milioni di euro a decorrere dal 2007, il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità è stato incrementato dalla legge finanziaria di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Spetta al ministero per i Diritti e le Pari opportunità, d’intesa con i ministeri della Solidarietà sociale, del Lavoro, della Salute e delle Politiche per la famiglia, stabilire i criteri per la ripartizione del fondo che dovrà comunque prevedere: - una quota da destinare all’istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere; - una quota da destinare al piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Piano asili nido3 La Finanziaria prevede la realizzazione e il finanziamento di un piano straordinario per i servizi socio-educativi e in particolare un sistema integrato di 2 3 Il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità è stato istituito dall’art. 19, comma 3 del decreto legislativo 4 luglio 2006 n. 223 (decreto Bersani) convertito dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006. La legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006) assegna maggiori risorse al fondo e ne poesia finalità e modalità di riparto (art. 1, comma 1.261). Il Piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi è istituito dalla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006), art. 1, comma 1.259. 132 L’età delle scelte Appendice: le disuguaglianze nella salute asili nido, teso al raggiungimento entro il 2010 dell’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Lisbona di arrivare al 33 per cento della copertura territoriale. Spetta al ministero delle Politiche per la famiglia, di concerto con i ministeri della Pubblica istruzione, delle Pari opportunità e della Solidarietà sociale, promuovere un’intesa in sede di Conferenza unificata per le seguenti finalità: - stabilire i criteri per il riparto delle risorse; - individuare i livelli essenziali delle prestazioni e i criteri e le modalità sulla cui base le regioni dovranno attuare il Piano regionale per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrati (diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento), i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati. Per tali finalità viene autorizzata una spesa di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 20094. Progetto “Salute donna” Coerentemente con quanto stabilito all’interno del Patto per la salute, la legge finanziaria prevede l’istituzione di un apposito fondo per il cofinanziamento di progetti regionali attuativi del Piano sanitario nazionale5. L’importo complessivo è pari a 65,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 di cui 5 milioni di euro vincolati per iniziative nazionali del ministero della Salute. Obiettivo del fondo è la rimozione degli squilibri sanitari connessi alla disomogenea distribuzione registrabile tra le diverse realtà regionali. Tale fondo finanzierà, prioritariamente, i progetti in materia di: - sperimentazione del modello assistenziale case della salute, per 10 milioni di euro; - iniziative per la salute della donna e iniziative a favore delle gestanti, della partoriente e del neonato, per 10 milioni di euro; - malattie rare, per 30 milioni di euro; - implementazione della rete delle unità spinali unipolari, per 10,5 milioni di euro. L’importo di 60,5 milioni di euro sarà assegnato, su proposta del Comitato permanente della verifica dei Lea, alle regioni che presentano i progetti attuativi relativi alle materie di cui sopra in coerenza con le linee progettuali che saranno indicate da apposito decreto ministeriale. 4 5 Alle risorse destinate al Piano straordinario, la legge finanziaria 296/2006 prevede la possibilità di utilizzare una parte delle risorse stanziate per il Fondo per le politiche della famiglia (art. 1, comma 1.260). Il Fondo per il cofinanziamento degli obiettivi del PSN è disciplinato dalla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006), articolo 1, commi 805, 806 e 807. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 133 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Screening oncologici6 La continuità degli obiettivi del Piano nazionale della prevenzione è assicurata con il rifinanziamento, per 20 milioni di euro per l’anno 2007 e 18 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, degli interventi per gli screening oncologici che, sebbene inclusi nei Lea, non hanno raggiunto lo stesso grado di sviluppo in tutto il paese. Vi sono ancora forti differenze e va data priorità alle regioni meridionali e insulari per garantire quindi a tutta la popolazione l’equità di accesso ai programmi di prevenzione. I traguardi finali che si propone il Piano Screening entro il 2007 sono: - l’estensione pari al 50 per cento dell’offerta degli screening nelle aree non coperte da alcun programma; - un’estensione pari al 90 per cento dell’offerta degli screening nelle aree in cui sono già attivi programmi di screening. Si può aprire così una nuova stagione per la contrattazione di genere. Guardare ai processi sociali, economici e legislativi con occhi di donna significa vedere il mondo per come è: maschile/femminile e non neutro. Ma significa soprattutto rendere lo Spi Cgil più attento nella lettura dei bisogni degli anziani e delle anziane e quindi più capace di rappresentanza. Testo a cura di Celina Cesari Segretaria nazionale Spi Cgil Dipartimento politiche sociosanitarie 6 Legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006), articolo 1, comma 808. 134 L’età delle scelte I diritti pensionistici delle donne: l’Europa, l’Italia I n Italia, come in Europa, percorsi di lavoro sostanzialmente differenti tra donne e uomini si riflettono in termini economici sulle pensioni di oggi e di domani, condizionando la parità economica e sociale tra i due sessi. Il primo rapporto europeo sulle pensioni adottato dal Consiglio e dalla “Commissione” nel 2003, tiene conto del fatto che i sistemi previdenziali nazionali per la maggior parte sono stati concepiti in epoche dove si guardava essenzialmente: - alle esigenze dei lavoratori uomini; - ai lavoratori occupati a tempo pieno; - ai lavoratori occupati stabilmente, senza interruzioni di carriera. Per le donne e il loro sostentamento ci si affidava al reddito del coniuge, ai trattamenti di famiglia, alla pensione di reversibilità. Oggi le donne, in Europa come in Italia, costituiscono la maggioranza della popolazione anziana: il 60 per cento tra la popolazione ultrasessantacinquenne e il 66 per cento tra la popolazione ultrasettantacinquenne. L’analisi Le donne vivono più a lungo, come si può vedere dalla tabella 1. Ma la loro vita professionale attiva è più breve e contemporaneamente meno intensa, a causa del diffuso ricorso al tempo parziale e al tempo determinato, nei contratti di lavoro delle donne, quando non al lavoro saltuario o occasionale. Inoltre, la vita lavorativa delle donne è meno retribuita rispetto a quella degli uomini, e non soltanto come conseguenza della diffusione delle forme di lavoro atipiche e parziali ma anche per l’esistenza di veri e propri differenziali salariali di fatto a parità di forme d’occupazione. Questo ha conseguenze dirette sulla maturazione dei diritti pensionistici futuri e ciò nonostante il fatto che le donne dispongano in media di titoli di studio più elevati degli uomini. Il rapporto percentuale tra la popolazione europea effettivamente occupata con un lavoro retribuito e il totale della popolazione di età lavorativa (1564 anni) residente in Europa è fortemente differenziato tra donne e uomini, come dalla tabella 2. La differenza è minore nell’Europa del Nord mentre è più evidente nei paesi mediterranei. Questa diversità geopolitica è legata a fattori socio-culturali, con riferimento al ruolo delle donne nella società, ma anche al ruolo delle istituzioni nel fornire servizi pubblici alle famiglie, quali asili nido eccetera. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 135 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Tabella 1 Speranza di vita alla nascita 2003 % Uomini % Donne Differenza Austria Belgio Cipro Danimarca Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Malta Paesi Bassi Polonia Portogallo Regno Unito Repubblica Ceca Slovacchia Slovenia Spagna Svezia Ungheria 75,9 75,9 77,0 75,1 66,6 75,1 76,7 75,7 76,5 75,8 76,8 65,7 66,5 75,0 76,7 76,2 70,5 74,2 76,2 72,1 69,9 72,6 76,9 77,9 68,4 81,6 81,7 81,4 79,9 76,9 81,8 83,8 81,4 81,3 80,7 82,5 75,9 77,7 81,0 80,7 80,9 78,8 80,5 80,7 78,7 77,8 80,4 83,6 82,5 76,7 5,7 5,8 4,4 4,8 10,3 6,7 7,1 5,7 4,8 4,9 5,7 10,2 11,2 6,0 4,0 4,7 8,3 6,3 4,5 6,6 7,9 7,8 6,7 4,6 8,3 Eur 25 73,8 80,4 +6,5 L’Italia è il paese europeo con il più basso tasso di occupazione femminile in tutte le fasce di età. Come si può constatare nella tabella 3, nella classe d’età iniziale e finale il ritardo rispetto agli altri paesi è ancora più marcato. Il problema va affrontato sia favorendo l’ingresso delle donne nel lavoro sia facendo in modo che possano continuare a lavorare tra i 25 e i 54 anni, con politiche di sostegno, servizi adeguati, specifiche tutele previdenziali. Per quanto riguarda i servizi sociali, la situazione in Italia è particolarmente grave. 136 L’età delle scelte Appendice: i diritti pensionistici delle donne: l’Europa, l’Italia Tabella 2 Tasso di occupazione e occupazione part-time 2005 Tasso di occupazione % Uomini % Donne Austria Belgio Cipro Danimarca Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Malta Paesi Bassi Polonia Portogallo Regno Unito Repubblica Ceca Slovacchia Slovenia Spagna Svezia Ungheria Eur 25 75,4 68,3 79,2 79,8 67,0 70,3 68,8 71,2 74,2 76,9 69,9 67,6 66,1 73,3 73,8 79,9 58,9 73,4 77,6 73,3 64,6 70,4 75,2 74,4 63,1 71,2 62,0 53,8 58,4 71,9 62,1 66,5 57,6 59,3 46,1 58,3 45,3 59,3 59,4 53,7 33,7 66,4 46,8 61,7 65,9 56,3 50,9 61,3 51,2 70,4 51,0 56,3 Diff. -13,4 -14,5 -20,8 -7,9 -4,9 -3,8 -11,2 -11,9 -28,1 -18,6 -24,6 -8,3 -6,7 -19,6 -40,1 -13,5 -12,1 -11,7 -11,7 -17,0 -13,7 -9,1 -24,0 -4,0 -12,1 -14,9 Occupazione part-time % Uomini % Donne 5,7 6,6 3,4 11,0 3,8 8,6 5,4 7,2 2,3 5,4 4,3 5,9 5,4 2,4 4,3 22,0 7,2 3,4 9,0 1,6 1,2 6,0 4,1 10,5 2,4 7,4 40,2 40,3 13,2 33,0 8,2 18,9 30,5 43,4 9,3 31,1 26,0 9,0 9,7 38,2 21,2 74,8 13,3 12,8 41,7 8,2 4,2 11,1 23,2 40,0 5,5 32,6 Diff. 34,5 33,7 9,8 22,0 4,4 10,3 25,1 36,2 7,0 25,7 21,7 3,1 4,3 35,8 16,9 52,8 6,1 9,4 32,7 6,6 3,0 5,1 19,1 29,5 3,1 25,2 Gli asili nido I dati dimostrano che in Italia sono pochi, costano molto e ci sono solo in alcune regioni. L’Italia è all’undicesimo posto nell’Europa a 15 come sussidi agli asili nido pubblici. Il numero di posti in asili nido, sia pubblici sia privati, è tra i più bassi d’Europa: meno del 10 per cento, contro il 50 per cento in Danimarca e il 35-40 per cento in Svezia e Francia. Il Sud d’Italia è quasi inesistente con l’1-2 per cento contro il 15 per cento del Nord e i dati peggiorano. Aumentano le liste d’attesa in Abruzzo, CamTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 137 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Tabella 3 Tasso di occupazione femminile Paese Italia Spagna Francia Germania G. Bretagna Ue a 25 Ue a 15 15-24 anni 25-54 anni 55-64 anni 20,8 32,8 26,3 40,2 52,5 33,8 36,8 57,9 61,5 72,9 71,0 74,8 68,9 69,1 20,8 27,4 35,2 37,5 48,1 33,7 35,4 Totale 45,3 51,2 57,6 59,6 65,9 56,3 57,4 pania, Puglia, Calabria, Molise, Sardegna, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. Preoccupano le regioni del Sud dove l’occupazione femminile è a livelli minimi. Per quanto riguarda le politiche di sostegno all’occupazione femminile, bisogna tenere conto dei risultati di alcuni studi che dimostrano che, per arrivare al livello del 60 per cento di partecipazione femminile al mercato del lavoro, come fissato da Lisbona, ci dovrebbe essere un’offerta del 40 per cento (insieme a una riorganizzazione degli orari). Il tasso di occupazione generale, pari al 58,4 per cento, è in linea con l’obiettivo fissato in sede europea, con notevoli scostamenti tra aree geografiche e di genere. È evidente che per raggiungere il 70 per cento entro il 2010 occorre aumentare l’occupazione al Sud e quella femminile, che rimane molto al di sotto del necessario, pur crescendo più di quella maschile. Come si vede dalla tabella 4, le donne hanno meno opportunità degli uomini di cumulare periodi di carriera utili ai fini previdenziali dato il forte aumento dei paesi europei più direttamente confrontabili con l’Italia. In Italia l’occupazione maschile tra i 55 e i 64 anni è calata dell’11 per cento: si conferma una tendenza positiva dell’occupazione femminile (+31%) anche se in Tabella 4 Ripartizioni geografiche Nord Centro Sud Totale 138 Tasso di occupazione 15/64 anni per sesso e ripartizione geografica II semestre 2006 Maschi e femmine Maschi Femmine Maschi e femmine % su II sem. 2005 Maschi Femmine 66,4 62,9 47,2 58,9 76,3 72,7 62,5 70,7 56,3 51,0 31,0 46,1 1,3 1,0 0,8 1,1 1,1 1,8 -0,1 0,9 1,4 0,2 1,7 1,3 L’età delle scelte Appendice: i diritti pensionistici delle donne: l’Europa, l’Italia termini assoluti la partecipazione femminile continua a risultare la più bassa tra i paesi considerati. In conclusione, le donne hanno meno possibilità di avere un’occupazione di lunga durata – stabile a tempo pieno – in regola con la legislazione del lavoro: l’onere del lavoro domestico, della cura dei figli o dei familiari non autosufficienti le obbliga a optare per lavori flessibili, a tempo parziale, discontinui-precari o a interruzioni di carriera. Le donne incontrano maggiori ostacoli nell’accesso a posti di responsabilità e meglio retribuiti. Per fare un esempio, il 33 per cento delle donne europee occupate ha un lavoro a tempo parziale contro il 7 per cento degli uomini; anche per questo il salario medio delle donne è inferiore del 15 per cento rispetto a quello degli uomini. Per quanto riguarda le tutele previdenziali mirate, si deve partire dalle ragioni che determinano la situazione pensionistica prima descritta. Sono infatti le sostanziali differenze di percorso lavorativo che si riflettono sulle pensioni di oggi e di domani delle donne. Se, come abbiamo visto, le disparità salariali sono di circa il 15 per cento a svantaggio delle donne, le differenze pensionistiche sono molto superiori e oscillano tra il 16 per cento del Regno Unito e il 45 per cento dell’Austria. In Italia, nel 2004, il 64 per cento delle pensioni erogate alle donne si è collocato entro 700 euro mensili contro il 26,8 degli uomini, determinando anche per questo un rischio di povertà del 12 per cento degli uomini contro il 19 per cento delle donne anziane, soprattutto nelle situazioni di assenza di prestazioni derivate (pensioni di reversibilità). Se la pensione è il risultato di un insieme di fattori che accompagnano la vita delle persone, i sistemi di finanziamento devono essere sempre correlati alle prestazioni garantite dal regime previdenziale (vedi tabella 5). È evidente che mettere le donne nella condizione di sviluppare percorsi lavorativi più continui e di qualità significa anche migliorarne le prospettive previdenziali. Tuttavia, alcune misure di carattere previdenziale, definibili come “risarcitorie”, sono necessarie: misure che tengano conto della particolare condizione delle donne. In alcuni casi esse esistono già: ad esempio, l’anticipo dell’età legale della pensione per le donne, rispetto agli uomini, insieme al noto differenziale di durata della vita media, porta in teoria a una maggiore durata dei loro benefici pensionistici fino a 10-12 anni. In pratica le cose stanno diversamente. La tabella 6 dimostra che in tutta la Comunità europea, quale che sia l’età legale della pensione, quella effettiva di uscita dal mercato del lavoro è già pressoché identica per i due sessi: l’età media di uscita dal mercato del lavoro delle donne si colloca intorno ai 60 anni, indipendentemente dall’età legale, e in alcuni paesi – Italia compresa – le donne escono in media addirittura qualche mese dopo gli uomini. Inoltre, stime demografiche e sociologiche sostengono che la vita media degli uomini nel medio-lungo periodo si allineerà a quella delle donne, come frutto dell’avvicinamento degli stili di vita dei due sessi. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 139 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Tabella 5 Confronto tra regimi previdenziali di alcuni paesi europei Età pensionabile Normale Anticipata Italia retributivo: uomini 65 donne 60 contributivo: 57/65 (dal 2008 60/65) retributivo: 57 con 35 di contributi; (60 dal 2008, 61 dal 2011) 39 anni di contributi (40 dal 2008) Spagna Finanziamento Osservazioni 33,00% (datore di lavoro 23,80 lavoratore 9,00) copre vecchiaia, reversibilità, invalidità 60 anni per assicurati prima del 1/1/1967; 61 anni uomini e donne: con 30 anni di 65 anni contribuzione oppure disoccupati involontari 28,3% (datore di lavoro 23,6 lavoratore 4,7) copre vecchiaia, invalidità reversibilità, maternità. Le pensioni minime sono a carico del fisco Francia uomini e donne: non prevista 60 anni 16,15% (datore di lavoro 9,80 lavoratore 6,35) copre vecchiaia e reversibilità, l’invalidità è coperta da prestazioni mutualistiche Germania 60 anni e 35 di contributi fino al uomini e donne: 2011, 63 dal 2012 con penalizzazione 65 anni mensile dello 0,3%; 63 anni invalidi gravi 19,1% (datore di lavoro 9,55 lavoratore 9,55) il bilancio federale copre il 37% della spesa pensionistica. Dovrebbe scendere al 31% entro il 2030 21,9% (datore di lavoro 11,9 lavoratore 10) reddito minimo garantito, crediti pensionistici e le pensioni dei dipendenti pubblici sono a carico della fiscalità generale G. Bretagna uomini 65 donne 60, non prevista 65 entro il 2020 Perciò, se si vuole tener conto della particolare condizione delle donne, per superare le differenze negative, il nodo da sciogliere non è tanto quello dell’età pensionabile in funzione dell’appartenenza di genere ma puntare a elevare il tasso di occupazione delle donne attraverso buona occupazione, con politiche sociali del lavoro atte ad avviare i seguenti obiettivi: 140 L’età delle scelte Appendice: i diritti pensionistici delle donne: l’Europa, l’Italia Tabella 6 Durata media della pensione 2001, età legale della pensione 2004 ed età media di uscita dal mercato del lavoro Durata media della pensione Uomini Donne Differenza Austria Belgio Danimarca Francia Germania Grecia Italia Paesi Bassi Polonia Portogallo Regno Unito Spagna Svezia Ungheria Eur 25 16,3 15,5 15,3 20,0 15,5 16,2 16,2 15,2 13,6 14,7 15,6 16,1 16,9 14,8 15,8 24,2 21,2 18,2 25,2 19,2 18,7 24,6 18,9 21,4 18,3 23,0 20,1 20,0 22,4 21,5 7,9 5,7 2,9 5,2 3,7 2,5 8,4 3,7 7,8 3,6 7,4 4,0 3,1 7,6 5,7 Età legale della pensione Uomini Donne Differenza 65 65 67 60 65 65 65 65 65 65 65 65 65 60 63,5 60 63 67 60 65 60 60 65 60 65 60 65 65 57 61,4 -5 -2 0 0 0 -5 -5 0 -5 0 -5 0 0 -3 -2,1 Età media di uscita dal mercato del lavoro Uomini Donne Differenza 59,4 58,6 62,3 59,7 61,9 63,4 60,9 61,0 59,8 63,7 61,2 61,7 63,5 60,9 61,5 58,2 58,7 62,0 59,6 61,4 62,2 61,0 60,1 56,4 60,6 59,0 61,3 62,8 62,1 60,5 -1,2 0,1 -0,3 -0,1 -0,5 -1,2 0,1 -0,9 -3,4 -3,1 -2,2 -0,4 -0,7 1,2 1,0 - favorire, per entrambi i sessi, la conciliazione tra vita privata e vita lavorativa attraverso un maggiore sviluppo dei servizi sociali, a partire da quelli per l’infanzia e per le persone non autosufficienti (settori, questi, dove tra l’altro è maggiormente possibile favorire la crescita dell’occupazione femminile) e sviluppare per conseguenza nuove forme di “welfare locale”; - tenere conto del valore sociale e anche economico della presenza degli anziani nella società, non soltanto come utenti passivi beneficiari delle prestazioni e consumatori dei servizi ma anche come soggetti attivi e attivabili, attraverso forme di impiego alternativo delle loro capacità, ad esempio nell’ambito stesso delle politiche di welfare locale; - conciliare le esigenze di sostenibilità finanziaria e di flessibilità del lavoro con quelle della continuità e delle garanzie di tutela, soprattutto per le lavoratrici e i lavoratori più deboli; in altri termini, possibilità di essere flessibili intesa come “diritto alla scelta” anche nella vita lavorativa (flexecurity), offrendo tra l’altro ai più anziani percorsi di uscita progressiva e flessibile dal mercato del lavoro; - valorizzare maggiormente i titoli e le qualifiche ottenute attraverso l’esperienza favorendo in particolare l’accesso delle donne alla formazione continua (anche con misure di discriminazione positiva) e alle carriere professionali, con uguale trattamento economico a parità di funzioni; Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 141 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil - garantire un adeguato sostegno al reddito durante le interruzioni di carriera per la cura e l’educazione dei figli e il mantenimento dei diritti pensionistici individuali nei periodi di cure sanitarie, di formazione professionale e di disoccupazione involontaria. In questa direzione, possiamo rilevare qualche interessante novità nella legge finanziaria per il 2007 nell’ambito delle elaborazioni e delle misure prese per la riduzione del cuneo fiscale, del sostegno alle imprese che stabilizzano l’occupazione, alle imprese del Sud e alle imprese che incrementano l’occupazione femminile. E l’impresa del Sud che assume una donna anziché un uomo risparmierà quanto un’azienda del Nord per tre dipendenti. Sempre con la legge finanziaria 2007 è stato istituito un fondo per la famiglia per finanziare iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro, per abbattere i costi dei servizi per famiglie con più di quattro figli, diffondere e valorizzare buone politiche familiari adottate da Enti locali e imprese. È solo un inizio, ma la direzione è quella giusta e chiama in causa la qualità e i contenuti della contrattazione sociale. Dal punto di vista delle pensioni, con la legge finanziaria 2007 sono state garantite più entrate al sistema previdenziale pubblico grazie all’aumento dei contributi da lavoro dipendente e autonomo, compreso quello per contratti di lavoro parasubordinato, per gli apprendisti eccetera. Inoltre, sono state date alcune prime risposte ai redditi da pensione: - sgravio fiscale per i redditi fino a 40mila euro annui; - detassazione per pensioni fino a 7mila e 500 euro annui; - ulteriore detrazione d’imposta pensionati ultrasettantacinquenni; - particolari condizioni per carichi di famiglia con aumento delle detrazioni e con aumento dell’assegno al nucleo familiare; - aumento della detraibilità fiscale dei compensi alle badanti fino al 19 per cento delle spese per un importo non superiore a 2mila e 100 euro su un reddito complessivo non superiore ai 40mila euro. Di contro, è prevista la definizione dei requisiti professionali delle assistenti familiari nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni e con la responsabilità del ministro delle Politiche familiari. Anche se molti sono i problemi a cui dare risposte immediate e da avviare a soluzione, con la Finanziaria 2007 è stato avviato un percorso e in alcuni casi l’aumento del reddito disponibile raggiunge 500 euro annui. In ogni caso questi primi provvedimenti vanno visti nell’ambito delle grandi intese realizzate tra organizzazioni sindacali e governo con il cosiddetto Memorandum; il quale prevede: - al punto 6: la garanzia di pensioni di importo adeguato a tutti gli anziani; - al punto 9d: la ricerca di soluzioni volte ad assicurare ai pensionati trattamenti di importo adeguato (rivalutazione dei trattamenti in essere, revisione del requisito minimo di pensione a calcolo, potenziamento delle forme di solidarietà nel sistema previdenziale); - al punto 9h: il superamento dei privilegi ancora esistenti all’interno del sistema pensionistico con l’avvio di un processo di riordino; 142 L’età delle scelte Appendice: i diritti pensionistici delle donne: l’Europa, l’Italia - al punto 8b: l’agevolazione dei lavoratori anziani, dando loro la possibilità di forme di lavoro volontarie e flessibili; - al punto 9c: la rimozione delle restrizioni all’attività lavorativa degli anziani superando il divieto di cumulo. A questo proposito va detto che i cinquantenni non possono essere un problema ma devono diventare una risorsa per le aziende e nel mercato del lavoro. Bisogna alzarne il tasso di occupazione. In Italia gli attivi in complesso sono 22 milioni e mezzo pari al 57,5 per cento della popolazione, contro il 71,7 per cento della Gran Bretagna e il 63,1 della Francia; per i lavoratori “anziani” – quelli fra i 55 e i 64 anni – la forbice è più ampia: solo il 31,4 per cento è al lavoro in Italia contro il 42,5 per cento della media europea, con la Svezia al 69,4 per cento. Questi dati soprattutto in Italia fanno i conti con il lavoro nero. Alcune questioni che riguardano il reddito dei pensionati, e in particolare delle donne pensionate, sono ancora aperte e rimangono al primo posto nell’agenda sindacale, come dimostra la trattativa che si aprirà tra breve sull’aumento delle “pensioni basse”: - il recupero del potere d’acquisto dei redditi da pensione con scelte e strumenti che riguardino tutte le pensioni, riconoscano un differenziale per quelle che hanno perso più valore, valorizzino di più quelle a più alto contenuto di contribuzione previdenziale; - l’eliminazione del fenomeno del drenaggio fiscale; - il riconoscimento di benefici fiscali anche ai soggetti incapienti; - la riforma della normativa che regola i trattamenti economici assistenziali e i trattamenti previdenziali che sono legati al reddito, unificando le diverse maggiorazioni esistenti in un’unica prestazione con correttivi che facciano emergere la parte a calcolo ottenuta a fronte di contribuzione previdenziale; - la previsione di una forma di adeguamento delle pensioni ai superstiti e degli assegni d’invalidità liquidati esclusivamente con il sistema contributivo, oggi erogati in importi irrisori e non integrabili al minimo; - l’aumento dell’aliquota di reversibilità per le pensioni liquidate a superstiti senza altri redditi propri, in considerazione del fatto che le spese fisse sopportate dal superstite di una coppia monoreddito non si riducono al 60 per cento per il venire meno di uno dei soggetti. Testo a cura di Luciano Caon segretario nazionale Spi Cgil Dipartimento previdenza e mercato del lavoro degli anziani Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 143 Contenuti di genere nel confronto sulla previdenza Età pensionabile delle donne La questione dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel sistema retributivo è entrata prepotentemente nel dibattito che si svolge sulla stampa in vista del confronto sindacati-governo sul Memorandum pensioni ed è oltretutto posta in termini – inaccettabili – di possibile scambio con altri punti del previsto confronto. La questione va respinta senza riserve, perché il mantenimento del differenziale di età rappresenta oggi l’unico modo per riconoscere il valore sociale del lavoro di cura svolto dalle donne in maniera non retribuita nell’ambito della famiglia. Inoltre le ipotesi sopra richiamate propongono una visione riduttiva del lavoro di cura, che prende in considerazione unicamente la funzione di accudire i figli, e su questo basa vaghe ipotesi compensative dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne. La definizione della piattaforma rivendicativa dei pensionati per il recupero del potere d’acquisto delle pensioni Le organizzazioni sindacali dei pensionati della Cgil, della Cisl e della Uil stanno elaborando una serie di rivendicazioni mirate al recupero del potere d’acquisto delle pensioni, che si erode di anno in anno a causa dei limiti del sistema attuale di indicizzazione e che ha subito una forte penalizzazione negli anni 1992-1995, i cui effetti si manifestano ancora oggi e si sono aggravati nel tempo. Nel definire gli obiettivi rivendicativi, occorre tener conto della diversa condizione pensionistica in cui si trovano uomini e donne anziani; in particolare: - è necessario tener conto del differenziale di età pensionabile tra uomini e donne nel sistema retributivo, è necessario prevedere che qualunque intervento di recupero del potere d’acquisto, con qualunque strumento venga realizzato (di natura fiscale o meno), se legato all’età, tenga conto di questo differenziale; - in campo fiscale, è necessario che qualsiasi intervento di riduzione dell’imposizione venga accompagnato da misure equivalenti in favore degli incapienti, da attuare contestualmente e non in un secondo momento. Ciò al fine di evitare un’evidente discriminazione nei confronti delle donne che rappresentano più del 76 per cento dei titolari di pensioni nella classe d’importo fino a 500 euro mensili, che coincide con l’area di incapienza fiscale. La riforma dei trattamenti assistenziali e comunque legati al reddito Le organizzazioni sindacali dei pensionati della Cgil, della Cisl e della Uil hanno elaborato una proposta di riforma generale dell’assistenza nella quale si prevede una netta separazione tra interventi di tipo puramente assistenziale, che dovrebbero essere unificati in un solo trattamento che abbia riferi144 L’età delle scelte Appendice: contenuti di genere nel confronto sulla previdenza mento al “minimo vitale”, e interventi integrativi di prestazioni a base contributiva, che dovrebbe essere valorizzata con il riconoscimento di livelli più favorevoli di reddito influente. Una riforma generale è auspicabile e urgente; bisogna però tenere conto del fatto che il riferimento al reddito coniugale, per poter usufruire di una serie di interventi assistenziali nonché dell’integrazione al minimo, è una condizione che penalizza le donne perché sono la grande maggioranza nell’area dei pensionati che percepiscono assistenza in forma esclusiva o integrativa. Fin dalla sua introduzione, il riferimento al reddito coniugale spesso è stato visto come un elemento che priva le donne di una fonte autonoma di reddito e, quindi, ne limita concretamente l’autonomia. Infatti, il limite all’autonomia è il presupposto stesso della norma, che prevede la non attribuzione di un reddito in quanto la donna può contare (cioè dipendere) sul reddito del coniuge. Ciò è tanto più rilevante in quanto colpisce donne in età anche avanzata che dispongono di scarsissime risorse economiche e che non sono in condizioni di trovare in un’occupazione un’alternativa reale alla dipendenza dal coniuge. Per queste ragioni, nella riforma dell’assistenza va posta la necessaria attenzione a questo aspetto, al fine di non estendere il meccanismo di dipendenza. La pensione di reversibilità La piattaforma rivendicativa unitaria in materia di previdenza propone fin dal 2001 l’aumento dell’aliquota di reversibilità in assenza di altri redditi, cioè quando la pensione o la retribuzione del coniuge deceduto fosse l’unico mezzo di sussistenza della coppia. È necessario fissare al 100 per cento la misura dell’aliquota di reversibilità in questi casi, limitatamente a pensioni di reversibilità non eccedenti un determinato limite da fissare. Occorre, inoltre, estendere il trattamento minimo alle pensioni di reversibilità liquidate con il sistema contributivo. La previdenza per chi svolge lavoro di cura Si sottolinea l’esigenza di una legislazione che riconosca copertura previdenziale a chi svolge lavoro di cura, considerando il Fondo di previdenza istituito con il decreto legislativo 565/1996 uno strumento del tutto inadeguato, del quale è necessaria una profonda revisione. Per un reale riconoscimento della funzione sociale del lavoro di cura, e per rendere possibile il raggiungimento di una pensione dignitosa, è necessario prevedere la copertura contributiva dei periodi a esso dedicati, il cumulo di qualsiasi tipo di contribuzione versata in qualunque gestione e il recupero delle posizioni silenti, nonché la reversibilità dei trattamenti. Inoltre il lavoro di cura va riconosciuto in tutta la sua complessità; in tale ambito, è necessario estendere l’utilizzo della legge 53/2000 al lavoro di cura rivolto agli anziani Testo a cura di Mara Nardini Coordinamento nazionale donne Spi Cgil Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 145 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil La formazione U na formazione pensata per le donne, nella selezione dei contenuti e nella composizione dei partecipanti, non è più soltanto una questione di genere ma, per innegabili ricadute che questa ha nella vita sociale e sindacale delle stesse, diviene essenziale espressione di partecipazione democratica. La formazione è di certo uno degli strumenti più adatti a favorire e sostenere la partecipazione delle donne impegnate ai vari livelli nella vita dell’organizzazione. Nelle sue diverse possibilità progettuali, la formazione deve farsi veicolo di promozione dell’entrata delle donne nell’organizzazione e strumento di qualifica della loro partecipazione alle attività sindacali, favorendone la crescita organizzativa e soggettiva nell’assunzione di incarichi di responsabilità. Le attività formative a livello di base, diffuse e consolidate nei diversi territori, sono opportunità per introdurre le compagne, con poca o nessuna esperienza sindacale, alla comprensione del ruolo del sindacato, la sua struttura, il suo funzionamento e la sua storia, a intendere concetti di rappresentanza e rappresentatività anche in rapporto al ruolo assunto dai coordinamenti donne, a conoscere tematiche e fasi della contrattazione. La formazione di base così intesa, oltre a offrire a tutte le compagne la possibilità di accesso a saperi specifici (sindacali), è strumento adeguato a sostenere e potenziare la partecipazione attiva, il proselitismo, e a incrementare processi di socializzazione interni ed esterni all’organizzazione. La formazione può, inoltre, svolgere un’azione positiva per la promozione dei quadri femminili e l’assunzione di incarichi di responsabilità, tenendo conto del modo diverso che le donne hanno di vivere il sindacato e di quanto la differenza diventi ricchezza in un gruppo dirigente motivato e consapevole. I progetti formativi, auspicando una distribuzione numerica dei partecipanti che rispetti una quota paritaria di compagne e compagni, sono opportunità che realmente contribuiscono al rinnovamento dello Spi, valorizzano conoscenze, competenze e abilità delle compagne e dei compagni e introducono, sensibilizzando tutti alla comprensione di tematiche di genere, nuove forme di protagonismo femminile dell’impegno sindacale e sociale. Le esperienze formative realizzate, presenti nel Rapporto attività sulla formazione, dimostrano quanto la collaborazione con i coordinamenti donne e il rapporto tra progetto organizzativo e progetto formativo siano necessari nel fondare il legame tra formazione e politica dei quadri declinata anche a una maggiore sensibilità femminile. Bisogna guardare alla valorizzazione delle differenze passando attraverso la proposta di temi e contenuti di genere e l’ideazione e la realizzazione di percorsi e attività che siano espressione di specifici bisogni formativi. A cura di Renata Bagatin segretaria nazionale Spi Cgil responsabile Formazione 146 L’età delle scelte Le politiche familiari I differenti aspetti della famiglia La Carta costituzionale recita che la Repubblica tutela “i diritti della famiglia che è riconosciuta come società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29). L’articolo 31 recita: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. Da un punto di vista economico, la famiglia, definita in tal senso come economia domestica (household), è, in rapporto alla struttura economica a essa esterna, l’unità elementare del modo di produzione capitalistico, ma al proprio interno non ne fa parte perché è strutturata sulla base di un modo di produzione e consumo pre-capitalistico, in quanto fra i suoi componenti non vige un rapporto di scambio di mercato ma una distribuzione solidaristica delle risorse sulla base dei bisogni. In tal senso la famiglia è costituita da tutti coloro che partecipano a tale comunità solidale, indipendentemente dal genere e dai legami di parentela. Se però passiamo dal terreno economico a quello religioso, culturale e ideologico, le cose si complicano notevolmente. Per le religioni monoteiste, lo scopo della famiglia è finalizzato unicamente a una funzione riproduttiva. Per la chiesa cattolica e per altre chiese cristiane, la famiglia è un’entità il cui fattore istitutivo è costituito dal sacramento del matrimonio, che rende lecita l’unione sessuale, altrimenti condannata, finalizzata alla riproduzione. Si tratta di una visione ideologica che ormai poco ha a che fare con la realtà effettiva e con la stessa opinione comune. Infatti si sta verificando una duplice separazione fra matrimonio e procreazione: - da un lato, il matrimonio è sempre meno finalizzato alla procreazione, data la drastica riduzione del tasso di fertilità. Anche la sessualità assume sempre più il ruolo ludico e relazionale e sempre meno quello riproduttivo, spesso del tutto inesistente (coppie senza figli) o limitato a un solo figlio; - dall’altro lato, si sta diffondendo la convinzione che “il matrimonio non deve essere più la condizione della procreazione”, come rilevava un articolo di “Le Monde” nel febbraio 2002. Cresce il numero delle nascite fuori del matrimonio. La definizione del nucleo familiare Il concetto di nucleo familiare assume un’importanza decisiva sia rispetto alle obbligazioni giuridiche (eredità, alimenti eccetera) sia rispetto alle conseguenze economiche, che riguardano sia le erogazioni pubbliche sia l’imposizione fiscale, perché, assumendo il nucleo familiare come unità impositiva, impone una precisa definizione del suo perimetro. Il perimetro del nucleo familiare è stato fino a oggi definito, in modo eterogeneo, da varie fonti normative. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 147 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Il Codice civile del 1942 (libro primo, parte seconda), emanato sotto il regime fascista, enunciava una disciplina normativa le cui linee fondamentali erano il prodotto di una concezione chiusa e gerarchica che riconosceva solo l’unione fondata sul matrimonio indissolubile, blindata da una disciplina estremamente rigorosa che escludeva ogni rilevanza giuridica a situazioni diverse. In particolare escludeva i figli nati fuori dal matrimonio da ogni rapporto di natura familiare, fatti salvi gli effetti, assai limitati, che derivavano dal riconoscimento o dall’accertamento giudiziale della paternità naturale. Tale impostazione è stata completamente rovesciata dalla Costituzione repubblicana che poneva la persona umana al centro del sistema ordinamentale, dedicando una particolare attenzione alla famiglia, la cui disciplina è contenuta nel titolo secondo della prima parte, dedicato ai “Rapporti etico sociali”. Il primo comma dell’articolo 29 recita che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. La “famiglia anagrafica”, come definita nello stato di famiglia, include anche persone che sono semplicemente “legate da vincoli affettivi”, indipendentemente dal genere, dai legami di parentela e dalla procreazione di figli. Tale concetto è stato utilizzato per la definizione dell’Isee. Già nell’ipotesi di riforma dell’assegno familiare, elaborata nel 1985 sotto il governo Craxi dalla Commissione sulla povertà presieduta da Ermanno Gorrieri, si operava una decisa svolta rispetto al passato, facendo riferimento, anziché al nucleo familiare come veniva definito giuridicamente, alla “unità di convivenza”, proprio al fine di “tener conto della evoluzione del costume quale si manifesta nella caduta del numero di matrimoni e nella diffusione delle unioni di fatto”. La legge delega 29 dicembre 1990, n. 408, prevedeva l’emanazione, entro il 31 dicembre 1992, di decreti concernenti la revisione del trattamento tributario dei redditi della famiglia, decaduto per la mancata emanazione del decreto attuativo determinata dalla mancanza di risorse a causa della grave crisi economica che attraversava in quel momento il paese. La delega prevedeva una definizione del nucleo familiare in cui si comprendevano i coniugi non legalmente ed effettivamente separati, i figli adottivi e gli affidati o gli affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, di età non superiore a 26 anni dediti agli studi o al tirocinio gratuito, nonché le persone indicate nell’articolo 433 del Codice civile purché conviventi e a condizione che non possedessero redditi propri di importo superiore a quello della pensione sociale. Il richiamato articolo 433 del Codice civile riguarda le persone obbligate al dovere di passare gli alimenti, che sono così definite: - il coniuge; - i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi e, in loro mancanza, i discendenti anche naturali; - i genitori e, in loro assenza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; - i generi, le nuore e i cognati; - il suocero e la suocera del coniuge; - i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali suddetti. 148 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari I problemi sono posti, oltre che dalle convivenze e dalle unioni di fatto, anche nel caso di genitori separati o divorziati con figli a carico perché ognuno dei coniugi separati, anche senza costituire nuovi legami, potrebbe costituire un nucleo separato comprendente i figli per la parte a suo carico, o al contrario potrebbe essere ricostituito fittiziamente, per ragioni di vantaggio fiscale, un nucleo che non esiste più. Vi è poi il problema di nuovi nuclei familiari in cui almeno uno dei componenti abbia figli di unioni precedenti. Il concetto di “nucleo familiare” è stato ridefinito in modo ampiamente eterogeneo da ormai innumerevoli leggi e norme regionali e locali connesse alle prestazioni sanitarie e assistenziali nonché alla definizione dell’Ise. Viene oggi sottoposto a ulteriori revisioni, a seguito del disegno di legge delega per il governo a modificare le disposizioni relative al riconoscimento della piena equiparazione tra figli legittimi e naturali e del disegno di legge sui Dico che prevede importanti modifiche al riguardo, estendendo i diritti riconosciuti alle unioni di fatto e incrementando in tal modo anche i diritti dei figli. La situazione demografica e socio-economica dei nuclei familiari Tutto ciò si riflette nella composizione dei nuclei familiari che è ormai radicalmente mutata: - si è ridotta la dimensione numerica delle famiglie (2,5) mentre ne aumenta il numero: sono 21 milioni e 800mila; - è cresciuto il numero dei singoli, che rappresentano ormai il 25,9 per cento dei nuclei familiari e si tratta in gran parte di donne anziane singole; il 26,8 per cento dei nuclei ha due componenti e il 21,8 per cento ne ha tre; solo il 5,2 per cento ne ha cinque e solo l’1,3 per cento ne ha sei o più. Fra i singoli, il 66 per cento delle donne è una donna anziana contro il 28 per cento degli uomini; - è cresciuto il numero delle coppie conviventi non coniugate, con o senza figli: sono 600mila ovvero il 3,6 per cento delle coppie totali; - è cresciuto il numero delle famiglie monoparentali, formate da un solo genitore (per lo più donne) con uno o più figli: sono 1 milione e 941mila ovvero l’8,9 per cento del totale delle famiglie. Un terzo delle coppie coniugate non ha figli e, sommandole ai nuclei costituiti da singoli senza figli, raggiungono il 45 per cento del totale dei nuclei; - i nuclei monopersonali sono più diffusi al Nord mentre al Sud si concentrano le famiglie con cinque o più componenti; - le famiglie con quattro o più figli erano 3 milioni nel ’61, 300mila nel 2001, 185mila nel 2005 di cui il 20 per cento di nuclei extracomunitari; - a seguito dell’allungamento della vita media (effetto Matusalemme) e della permanenza prolungata dei figli nella famiglia (sindrome di Peter Pan), si assiste, per la prima volta nella storia, alla presenza nello stesso nucleo familiare di tre o anche quattro generazioni; - si stanno diffondendo composizioni familiari non standard: coppie omosessuali, famiglie con figli con almeno un genitore omosessuale (100mila figli), famiglie estese a seguito di divorzi e ricongiunzioni, con una comTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 149 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil plessa relazione di parentela fra i figli nati dalle diverse coppie che si sono successivamente formate; - le coppie senza figli sono il 19,8 per cento, quelle con figli il 39,5 per cento e la metà di queste ha un solo figlio. Al Nord prevale il modello figlio unico, con il 53,7 per cento, i nuclei composti da un solo genitore con figli sono 2 milioni (1,7 milioni con la madre) e un terzo vive in condizioni di povertà; - due terzi dei giovani venticinquenni sono favorevoli alla convivenza e il 40 per cento prevede di attuarla personalmente; - il matrimonio diventa sempre più tardivo, avvicinandosi ai 35 anni. Tale situazione si intreccia con il rapido invecchiamento della popolazione che è il risultato congiunto dell’aumento della speranza di vita, raddoppiata in un secolo, e della consistente riduzione del tasso di fecondità, sceso a 1,33 figli per donna contro un tasso di rimpiazzo della popolazione che è pari a 2,1 figli per donna. Tale riduzione del tasso di fecondità ha motivazioni essenzialmente economiche, come mostra bene il fatto che esiste infatti una netta differenza fra il numero dei figli che, secondo i sondaggi d’opinione, le coppie auspicherebbero di avere (due o più) e quelli che invece effettivamente hanno. Infatti la carenza di abitazioni economicamente accessibili, di un lavoro stabile e adeguatamente retribuito, di idonei servizi sociali determina il ritardo nella fuoruscita dalla famiglia e dunque del matrimonio e dell’età della prima procreazione, salita dai 27 anni degli anni Settanta ai 29,8 degli anni Novanta e a 30,8 anni nell’ultimo decennio. Ciò si riflette in una netta riduzione della fecondità fisiologica maschile e femminile e nella maggiore difficoltà a procedere a una nuova procreazione. Occorre riflettere sul fatto che, data l’assenza di adeguati servizi di sostegno, ben il 13,5 per cento delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio, contribuendo così ad abbassare ulteriormente un tasso di occupazione femminile che, con il 45,25 per cento, è fra i più bassi d’Europa. Ciò determina anche una situazione di povertà delle famiglie monoreddito con figli. Secondo un’indagine del Cnel, nel 2003 si trovava al di sotto della soglia di povertà relativa il 20,9 per cento delle coppie con almeno tre figli. Rilevante è anche la differenza territoriale: tra le famiglie con quattro componenti, sono povere il 6,1 per cento al Nord e il 21,5 per cento al Sud; fra quelle con cinque o più componenti sono povere il 10,3 per cento al Nord e il 29,8 per cento al Sud (dati Istat del 2004). All’arrivo del primo figlio una famiglia subisce una decurtazione del reddito tra il 18 per cento e il 45 per cento e una spesa aggiuntiva fra i 500 e gli 800 euro mensili. Secondo Federico Perali dell’Università di Verona, il costo di mantenimento di un figlio con meno di 6 anni aumenta la spesa di una coppia senza figli del 19,4 per cento e corrisponde al 38,9 per cento del costo di un adulto equivalente; fra i 6 e i 13 anni il costo è del 32,6 per cento e fra i 13 e i 18 anni al 35,8 per cento di un adulto equivalente. La nascita di un figlio è determinante per la entrata in povertà nel 20 per cento dei casi. 150 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari L’incidenza della povertà tra le famiglie con figli è cresciuta dal 13,9 per cento del ’97 al 14,8 per cento del 2005 ed è salita in particolare per le famiglie con tre o più figli a carico (27,7%) e i monogenitori con figli a carico (17,7%) o con almeno un figlio maggiorenne a carico (20,1%). In tale situazione non sono efficaci gli interventi puntuali e isolati, come sussidi economici una tantum, perché per intervenire efficacemente occorre innanzitutto una politica strutturale di sviluppo dei servizi di sostegno alla famiglia. Le politiche familiari in Italia L’Italia presenta una situazione a cavallo fra il modello di solidarietà familiare allargata e il modello lavoristico. Le erogazioni per trasferimenti diretti Sul piano dei trasferimenti diretti esistono numerosi strumenti, introdotti nel corso del tempo, che sono sovrapposti fra loro ma eterogenei per tipologia di finanziamento, struttura delle prestazioni e categorie di destinatari. “I vari provvedimenti rispondono a logiche e criteri differenti, quindi producono diseguaglianze non accettabili sul piano dell’equità; a parità di redditi e di composizione familiari, infatti, alcune famiglie traggono notevoli benefici, mentre altre, di solito le più povere, solo l’assegno per chi ha meno di tre figli” (Daniela Del Boca, “Lavoce”). I tentativi di razionalizzazione del sistema hanno dato luogo a sperimentazioni, poi abbandonate, del Reddito minimo di inserimento (Rmi) che rompeva la tradizione delle provvidenze sociali italiane, legate allo status nel mercato del lavoro e carenti di un vero e proprio contrasto alla povertà. A ciò si aggiunge il fatto che gli interventi di contrasto alla povertà, che si intrecciano con il sostegno ai carichi familiari, hanno un peso marginale in termini di risorse allocate e operano secondo un disegno assolutamente caotico e di difficile comprensione. Gli interventi disorganici che si sono succeduti nel corso degli anni hanno determinato un’incoerenza dal punto di vista dell’equità verticale (ovvero sulla scala della ricchezza) e orizzontale (ovvero in situazioni familiari diverse in presenza di un medesimo reddito). Rispetto all’obiettivo di sostenere i nuclei familiari più poveri, si registra l’incoerenza per cui il grado di copertura della protezione sociale rispetto al divario di povertà (poverty gap, ovvero la distanza del reddito familiare dalla soglia di povertà) è crescente al crescere del reddito e variabile al variare della numerosità familiare. La situazione esistente nei trasferimenti diretti per carichi di famiglia vede la presenza di: - Assegni familiari (Af), che sopravvivono solo per alcune categorie di lavoratori autonomi e sono condizionati a limiti di reddito familiare annuo. - Assegno al nucleo familiare (Anf), che, a partire dal 1988, ha sostituito i precedenti assegni familiari per i lavoratori dipendenti, attivi o pensionati, cassintegrati e disoccupati indennizzati; è stato recentemente esteso anche ai lavoratori parasubordinati con almeno due figli a carico. Esclude i lavoratori autonomi e gli inoccupati. - Assegno di maternità (Am). Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 151 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil - Assegno per i nuclei con almeno tre minori (A3f), introdotto dal 2001, finanziato dalla fiscalità generale, universalistico quanto alla platea dei beneficiari ma sottoposto alla prova dei mezzi (Ise). La situazione attuale vede dunque una “balcanizzazione” degli istituti e la mancanza di una netta distinzione fra interventi previdenziali e assistenziali. Nel corso del tempo si è assistito al succedersi di diverse proposte di razionalizzazione avanzate da commissioni parlamentari, come la Commissione povertà (1995), la Commissione Onofri (1977), la Commissione tecnica della spesa pubblica. Al centro del dibattito sulle ipotesi di riforma sta la natura peculiare dell’assegno al nucleo familiare che è un istituto contributivo e categoriale, mentre la natura del sostegno ai carichi familiari presenta un carattere chiaramente assistenziale e universalistico che va posto a carico della fiscalità generale. La Commissione Onofri ha proposto di unificare la funzione di sostegno alle responsabilità familiari e di lotta alla povertà in un unico istituto, il minimo vitale familiare (dove per famiglia si intende anche quella costituita da un singolo individuo), a carattere selettivo, in sostituzione di diversi istituti oggi esistenti (pensioni sociali, integrazione al minimo, assegno al nucleo familiare eccetera). Tutto ciò ha prodotto la sperimentazione del Reddito minimo di inserimento, che avrebbe dovuto essere poi generalizzato e che è stato invece abbandonato dal governo Berlusconi 2. I trasferimenti indiretti per via fiscale Nell’ambito dei trasferimenti indiretti per via fiscale, si è assistito nel tempo a un rafforzamento delle detrazioni per carichi familiari (trasformate in deduzioni dall’imponibile dal governo Berlusconi 2 e poi ritrasformati in detrazioni, mantenendo però la struttura differenziata per reddito che caratterizzava le deduzioni) e all’introduzione delle detrazioni per i titolari di contratti di locazione riferiti all’abitazione principale. Non è mai stato però affrontato, nonostante le ripetute sollecitazioni delle varie commissioni parlamentari che si sono succedute, il problema dell’incapienza, da risolvere attraverso l’introduzione dell’imposta negativa, diffusa nei paesi anglosassoni. Il governo Berlusconi ha voluto introdurre una prova dei mezzi per le maggiorazioni a favore delle famiglie a basso reddito ma, in presenza di una tassazione definita su base individuale e non familiare, tale modello determina notevoli problemi. Inoltre va considerato che, essendo la selettività fondata sulla prova dei mezzi familiari (Ise), rischia di disincentivare (o almeno di clandestinizzare) quel lavoro femminile nelle famiglie a basso reddito, che invece vorrebbe incentivare. Il trattamento fiscale del nucleo familiare Il prelievo fiscale familiare in Occidente La tassazione familiare viene giustificata sulla base del fatto che il benessere individuale e la capacità contributiva del singolo dipendono non solo dal reddito individuale ma anche dalle risorse del nucleo a cui l’individuo appartiene e dalla numerosità dello stesso. Al contrario, la tassazione individuale viene 152 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari motivata con la necessità di affermare la sovranità individuale sulle scelte di impiego del proprio reddito. Le indicazioni teoriche fornite dall’economia del benessere suggeriscono due princìpi fondamentali di equità orizzontale in tema di tassazione: - il singolo (famiglia monocomponente) ha minori bisogni rispetto alla famiglia monoreddito, a parità di sforzo lavorativo; - a parità di dimensione numerica, la famiglia monoreddito ha gli stessi bisogni della famiglia bireddito con uno sforzo lavorativo inferiore. La maggior parte dei sistemi fiscali dell’Occidente contempla interventi finalizzati ad accrescere l’equità orizzontale del prelievo, introducendo dei bilanciamenti per correggere le disparità di trattamento delle diverse tipologie di famiglie. La scelta dell’unità impositiva La scelta dell’unità impositiva, individuale o familiare, della tassazione sul reddito, influisce su diversi comportamenti economici e sociali. Incide diversamente sulla elusione fiscale, sulla legalizzazione delle unioni con il matrimonio, sull’offerta di lavoro femminile, sulle politiche demografiche. Nella tassazione puramente individuale, l’imposta si applica separatamente a ciascun componente della famiglia, che mantiene la piena titolarità giuridica sul suo reddito prodotto; per cui, in termini fiscali, le scelte di ciascuno non influenzano quelle degli altri componenti. Nella tassazione puramente familiare si prevede il cumulo obbligatorio dei redditi, che riguarda, a seconda dei casi, i soli coniugi o tutti i componenti del nucleo familiare, sulla base della individuazione della famiglia come unità economica fondamentale, per cui ciascun componente perde la propria autonomia fiscale. In linea generale si può affermare che l’imposizione su base individuale è neutrale rispetto alle scelte individuali, mentre quella su base familiare favorisce la convivenza e la procreazione. Inoltre la tassazione su base familiare influenza l’offerta di lavoro del coniuge con il reddito più basso (e dunque, in generale, la donna) la cui aliquota marginale cresce al crescere del reddito. Come spiegava Antonio Tamborrino, direttore centrale dell’Area ricerca economica della Banca d’Italia nella sua audizione al Senato (Indagine conoscitiva sul trattamento fiscale del reddito familiare e delle relative politiche di sostegno, 9 novembre 2004), “i paesi che adottano la tassazione separata e sostengono le scelte procreative attraverso l’offerta di servizi sociali piuttosto che con trasferimenti, hanno maggiori probabilità di registrare una più elevata partecipazione femminile al lavoro e un più alto tasso di attività”. Dunque per l’Italia resta aperto il problema se, date le conseguenze sull’occupazione femminile, una scelta come quella della tassazione su base familiare sia auspicabile in un paese dove il tasso di attività femminile è fra i più bassi d’Europa. Il rapporto fra progressività e la scelta della base impositiva In presenza di una “tassa piatta”, ovvero proporzionale, l’adozione di un’unità impositiva individuale o familiare risulta neutrale, ovvero il prelievo fiTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 153 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil nale non cambierebbe, mentre in presenza di un’imposizione progressiva, come è appunto l’Irpef, gli effetti sono profondamente diversi. Nel caso della tassazione individuale, l’imposta si applica singolarmente a ogni componente il nucleo familiare e si tiene conto della esistenza di familiari a carico attraverso detrazioni dall’imposta o deduzioni dall’imponibile. In tal caso l’aliquota media familiare (che in questo contesto riveste un valore unicamente statistico) è data dal rapporto fra la somma delle imposte dovute singolarmente dai due coniugi e il reddito complessivo del nucleo. Se invece la tassazione è familiare, l’aliquota media dipende dal reddito familiare complessivo e si può effettuare applicando due diversi metodi: - il cumulo dei redditi, in cui l’aliquota media è calcolata sulla somme dei redditi dei familiari; - la tassazione per parti, in cui l’aliquota è calcolata sulla somma dei redditi dei familiari, divisa per un certo numero di parti. La tassazione per parti è stata applicata sulla base di due diverse varianti: - il “frazionamento” (splitting), che interessa solo i coniugi; - il “quoziente familiare”, che interessa tutti i componenti familiari. Nel “frazionamento” (splitting) coniugale del reddito, l’aliquota progressiva si applica al reddito convenzionale derivante dalla media dei due redditi. Si effettua la somma dei redditi dei due coniugi e si divide per due, applicando a ciascuna delle due parti l’aliquota corrispondente. L’imposta così ottenuta si moltiplica per due, per determinare la tassazione complessiva del nucleo. Non viene considerata nel calcolo la presenza di figli o di altri familiari a carico, per i quali vengono utilizzate detrazioni o deduzioni specifiche. Viene utilizzato in Germania, nel Portogallo e negli Stati Uniti. Il risultato è quello di ridurre in tal modo l’aliquota che si applica al reddito complessivo della famiglia. Si verifica così un alleggerimento fiscale per le famiglie monoreddito sia rispetto ai singoli che alle famiglie bireddito. Per evitare distorsioni sono anche spesso previsti dei limiti di reddito per la sua applicazione. Il frazionamento favorisce particolarmente la coppia bireddito in cui non c’è un’uguale ripartizione del reddito: infatti il vantaggio è tanto maggiore quanto più è elevato lo scarto fra i due redditi, mentre se i due redditi sono uguali non v’è alcun vantaggio. Il beneficio massimo va alle famiglie monoreddito il cui valore del reddito è dimezzato ai fini della determinazione dell’aliquota, ma queste vengono generalmente escluse dall’applicazione del frazionamento e vengono agevolate solo attraverso il ricorso a deduzioni o detrazioni. Un metodo che può essere considerato un’evoluzione del frazionamento coniugale è quello del “quoziente”, applicato ai soli coniugi (“quoziente coniugale”, applicato in Belgio) o esteso a tutti i componenti della famiglia (“quoziente familiare”, applicato in Francia). Esso prevede l’applicazione di un “peso”, ovvero un coefficiente, ai vari componenti della famiglia considerati nel calcolo. Il reddito complessivo della famiglia viene diviso per la somma dei pesi (o, in taluni casi, più semplicemente per il numero totale dei componenti, indipendentemente dal fatto che 154 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari siano o meno percettori di un reddito) per determinare il reddito complessivo familiare equivalente e, di conseguenza, l’aliquota da applicare e la relativa imposta, che risultano in tal modo più basse. La storia dell’imposizione familiare in Italia Da oltre trent’anni si discute dell’unità impositiva, individuale o familiare, da adottare. L’Irpef, introdotta in Italia con la riforma fiscale del 1974, prevedeva l’unità impositiva familiare utilizzando il cumulo dei redditi al di sopra di un certo limite di reddito. La Corte costituzionale, nel 1976, ha dichiarato incostituzionale il cumulo dei redditi perché incompatibile con il principio di uguaglianza in quanto il cumulo: - negava alla moglie lo status giuridico di contribuente, imponendole di imputare i suoi redditi al marito; - attribuiva un indebito vantaggio alla convivenza di fatto rispetto al matrimonio. A seguito di tale sentenza, dal 1976 in Italia l’unità impositiva dell’imposta sul reddito è individuale (tassazione separata) e le persone a carico sono state considerate, a seconda dei diversi momenti, unicamente attraverso un sistema di detrazioni o deduzioni. Tuttavia il problema della differente capacità contributiva di nuclei con diverse caratteristiche socio-demografiche (per numero dei percettori e di carichi) è stato oggetto di numerosi interventi di riforma, e il dibattito ha più volte riproposto la introduzione del “quoziente familiare”. In particolare, in occasione della legge finanziaria per il 1991, il governo era stato delegato a predisporre un decreto legislativo per la introduzione del quoziente, ma il governo Amato accantonò il procedimento, anche a seguito della decisa opposizione della Cgil motivata dagli effetti fortemente regressivi che esso avrebbe prodotto (la Cgil aveva parlato di “Robin Hood alla rovescia”). Con l’abbandono del secondo modulo della riforma Tremonti, il ripristino delle detrazioni e la necessità di correggere le incoerenze che le caratterizzano, ha ripreso vigore la proposta, già più volte avanzata negli scorsi anni, di introdurre il “quoziente familiare”, in sostituzione delle detrazioni per carichi familiari. Le prese di posizione sul trattamento fiscale della famiglia in Italia La questione del passaggio dalla tassazione individuale, attualmente presente in Italia, alla tassazione familiare del reddito è stata oggetto di dibattito con particolare intensità negli ultimi anni. Ciò si basa sulla constatazione dell’effetto penalizzante della tassazione individuale sui redditi delle famiglie monoreddito rispetto a quelle che dispongono di più redditi. Anche il riconoscimento dello sforzo familiare, che viene realizzato nell’ambito dell’attuale sistema, attraverso il sistema delle detrazioni per carichi familiari (sostituite nella scorsa legislatura dalle deduzioni per l’area familiare, la no tax family area, ora abrogata con il ritorno alle detrazioni), non rimedia a tale disparità perché non riesce comunque a determinare una completa equiparazione tra le diverse situazioni familiari. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 155 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil I problemi di costituzionalità La Carta costituzionale italiana recita che la Repubblica “agevola con misure economiche e altre provvidenze” le famiglie, in particolare quelle numerose (art. 31). La Corte costituzionale, con le proprie sentenze (n. 179/1976, n. 358/1995, n. 12/1998), ha ripetutamente affermato che l’attuale trattamento fiscale della famiglia penalizza i nuclei familiari monoreddito e le famiglie numerose. Con la sentenza del ’73 la Consulta ha asserito l’impossibilità di imporre una tassazione familiare in quanto ciò contrasterebbe con i princìpi costituzionali di uguaglianza di tutti i cittadini, e dunque anche del singolo coniuge, di fronte alla legge, pur sollecitando il legislatore a stabilire un sistema più equo che garantisca la famiglia, in particolare quella numerosa. Sempre la Consulta, con la sentenza del ’95 denunciava l’iniquità delle differenze di trattamento tra le famiglie mono e bireddito, invitando il legislatore a intervenire per risolvere tale problema. Il combinato disposto dei due pronunciamenti, pur escludendo le possibilità del cumulo dei redditi familiari, invitava nel contempo il legislatore a stabilire misure idonee a operare un adeguato riconoscimento del carico familiare in termini di equità orizzontale fra famiglie mono e bireddito. Antonio Tamborrino, nella sua audizione al Senato, ha evidenziato il fatto che non si è ancora ottemperato alla sentenza della Consulta n. 179/1976 che sancì l’incostituzionalità del principio del cumulo dei redditi coniugali in quanto “a questa sentenza non ha mai fatto seguito un intervento del legislatore finalizzato ad attuare il cosiddetto ‘cumulo corretto’, idoneo, da un lato, a consentire il giusto riconoscimento di una propria oggettività passiva alla moglie e, dall’altro, a evitare sperequazioni, costituzionalmente ingiustificabili, fra famiglie monoreddito e non”. Il problema del trattamento fiscale familiare nel dibattito più recente Nel programma del governo Berlusconi (punto 23) si precisava che “la famiglia è oggi un soggetto penalizzato dal punto di vista fiscale, perché è chiaro che chi vive da solo e fruisce di un certo reddito è più ricco e ha una capacità contributiva maggiore di chi ha lo stesso reddito, ma deve mantenere più persone: occorre invece che soggetto del reddito imponibile sia considerata la famiglia stessa più che la singola persona”. Il quoziente era uno dei cavalli di battaglia dell’Udc che era riuscita a coinvolgere su tale obiettivo anche gli altri partiti del centro-destra. In occasione delle ultime elezioni, Berlusconi aveva promesso di realizzare, in caso di riconferma, il “quoziente familiare” che però non aveva attuato durante gli anni del suo governo perché il suo costo era stato giudicato incompatibile con l’equilibrio dei conti della Finanziaria. A tale proposito uno studio delle Acli aveva evidenziato come l’introduzione della no tax area avesse fortemente penalizzato le famiglie meno abbienti: “per le famiglie plurireddito le imposte si sono ridotte del 30 per cento, per quelle monoreddito e monoparentali solo del 3 per cento, a parità di reddito”. Dal canto loro le gerarchie ecclesiastiche, attraverso un intervento del car156 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari dinale Ruini, allora ancora presidente della Cei, hanno sostenuto che “è importante l’introduzione del quoziente familiare che consente una ripartizione del carico fiscale che tenga conto del numero dei figli”. Analogo atteggiamento hanno avuto numerosissime associazioni di stampo cattolico. Anche il governo Prodi ha in più occasioni mostrato un atteggiamento “familista”, motivato dalla presenza di una componente cattolica nella compagine governativa e dal desiderio di attrarre le simpatie dell’elettorato cattolico nonostante la freddezza o l’ostilità delle gerarchie ecclesiastiche, riservando una particolare attenzione alle “politiche familiari”, individuando nella famiglia il soggetto sociale centrale delle politiche di “welfare”, come dimostra la scelta di istituire, per la prima volta nella storia del nostro paese, un ministero per le Politiche della famiglia. La introduzione del quoziente non era tuttavia presente nel programma elettorale dell’Unione. Le conseguenze sul reddito familiare della reintroduzione delle detrazioni per i carichi familiari Ma proprio sul terreno del sostegno alla famiglia il governo Prodi è incorso in un infortunio nella modulazione della riforma dell’Irpef. Infatti l’effetto congiunto della trasformazione delle deduzioni dal reddito in detrazioni dall’imposta, assieme all’applicazione delle nuove aliquote Irpef, delle deduzioni per carichi familiari e delle addizionali locali, ha determinato un effetto perverso che ha svantaggiato le famiglie più numerose e, a parità di numero dei figli, quelle con figli disabili. Proprio a seguito di tale constatazione si è riaperto un dibattito sulla necessità di procedere, nell’ambito delle previsioni di spesa consentite dal cosiddetto “tesoretto” dell’extragettito fiscale, a una correzione degli effetti distorsivi introdotti dalla nuova normativa. Fino al 31 dicembre 2006 la base imponibile delle addizionali era depurata dalle deduzioni della cosiddetta no tax family area (deduzioni per carichi di famiglia e badanti) di cui all’articolo 12 del Tuir, che erano efficaci anche per le addizionali. Dal 1° gennaio 2007 tali deduzioni sono state sostituite dalle detrazioni per familiari a carico, che valgono però solo per l’Irpef nazionale con la conseguenza che, come chiarisce l’Ifel (ex Anci-Cnc), la base imponibile delle addizionali viene incrementata per tutti i contribuenti con familiari a carico. La eliminazione delle deduzioni per carichi familiari che abbattevano l’imponibile in misura crescente con il numero dei familiari a carico, produce un impatto particolarmente perverso in quanto comporta, rispetto alla precedente legislazione, un aumento della base imponibile soggetta al fisco locale per chi ha moglie e figli a carico, che fa lievitare automaticamente l’ammontare del prelievo. Una circolare della Agenzia delle entrate (6 giugno 2005, n. 31) ha chiarito che la deduzione per carichi di famiglia e badanti (family no tax area) comportava la riduzione della base imponibile sia dell’Irpef sia delle addizionali regionali e comunali a essa applicate. Le detrazioni di imposta che hanno sostituito la family no tax area non comportano invece alcuna riduzione della Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 157 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil base imponibile delle addizionali Irpef, perché la riforma prevede che l’imposta sia calcolata sul reddito complessivamente prodotto dal contribuente nel periodo d’imposta, ridotto esclusivamente degli oneri deducibili di cui all’articolo 10 del Tuir, per assicurare la progressività dell’imposizione. Nella sostanza, a partire dal periodo di imposta 2007, i contribuenti con familiari a carico debbono corrispondere le addizionali Irpef anche con riferimento alla quota di reddito complessivo che sarebbe stata invece esclusa dalla family no tax area, con un conseguente aumento automatico del prelievo anche al netto degli incrementi delle aliquote previste. Gli incrementi maggiori del prelievo riguardano le famiglie con un reddito più basso, anche nel caso in cui le aliquote restino invariate rispetto allo scorso anno, perché la vecchia deduzione diminuiva con l’aumento del reddito; se invece le aliquote sono state modificate si sommano i due effetti, legati alle nuove regole di determinazione dell’imponibile e al rincaro delle nuove percentuali. Sono state dunque ripristinate le detrazioni per carichi di famiglia che però, a differenza del passato, sono selettive in base al reddito e diminuiscono con l’aumentare del reddito, imitando in tal senso il meccanismo utilizzato per le deduzioni. Prendendo a riferimento la base imponibile per il meccanismo delle detrazioni per carichi familiari nella tassazione locale, si pongono inevitabilmente sullo stesso piano i singoli e le famiglie numerose, penalizzando di conseguenza queste ultime in modo crescente al crescere del numero dei figli. Per questo l’imponibile di un singolo, ai fini della addizionale comunale, risulta identico a quello di un padre di famiglia, perché i due soggetti vengono tassati dal prelievo locale nella stessa misura. La manovra Irpef 2007 è completata dalla nuova tabella degli assegni per il nucleo familiare. La combinazione tra la nuova Irpef e gli assegni agevola i dipendenti con redditi non superiori a 40mila euro annui, mentre benefici minori riguardano i lavoratori autonomi e gli imprenditori con reddito fino a 30mila euro. Ma l’aumento degli assegni familiari non riesce a compensare interamente i vantaggi fiscali previsti dalla Finanziaria 2007 che vengono comunque ridotti o annullati dalle addizionali locali. Per questo motivo, secondo un’indagine de “Il Sole 24 ore”, in 11 capoluoghi di regione su 20 chi ha meno figli paga meno di chi ha più figli. Anche prendendo in considerazione la rimodulazione degli assegni familiari, che secondo il governo avrebbero dovuto compensare l’abbandono delle deduzioni, il risultato resta negativo. Le famiglie con due figli sono sfavorite rispetto alle famiglie con un solo figlio e le famiglie con figlio disabile sono sfavorite rispetto a quelle con figlio non disabile. Più aumenta il numero dei figli più il prelievo cresce rispetto allo scorso anno. I rincari riguardano tutti i contribuenti, ma crescono in misura maggiore per le famiglie numerose: ad aliquote inalterate rispetto allo scorso anno, per redditi rispettivamente di 20mila e 40mila euro un contribuente con coniuge e un figlio a carico ha un rincaro medio di 106 euro, che però divengono, con tre figli a carico, 190 euro. Gli aumenti maggiori riguardano le famiglie con redditi più bassi, non salvati nep158 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari pure dall’incapienza, perché la vecchia deduzione si riduceva all’aumento del reddito. L’incidenza della casa di proprietà sulle detrazioni familiari Per effettuare una valutazione complessiva delle conseguenze della trasformazione delle deduzioni per carichi di famiglia in detrazioni di imposta, occorre tener conto della perdita di neutralità fiscale della prima casa (con le relative pertinenze) perché, nella determinazione delle detrazioni di imposta effettivamente spettanti, dovrà essere preso in considerazione il reddito complessivo lordo (Riga RN1 del modello Unico) che comprende anche la rendita catastale della prima casa. Tale reddito complessivo rappresenta una variabile fondamentale ai fini del calcolo delle detrazioni di imposta. Dato che il nuovo sistema della Finanziaria prevede una modulazione che dà luogo a una diminuzione delle detrazioni all’aumentare del reddito complessivo, la rendita catastale della prima casa, anche se non è tassata, proprio per il fatto che partecipa alla determinazione del reddito complessivo, concorre indirettamente a un aggravio della tassazione, causando la diminuzione delle detrazioni di imposta effettivamente spettanti. Il reddito da fabbricati derivante dal possesso della prima casa non è soggetto a imposizione, per cui viene dedotto ai fini della determinazione della base imponibile, ma concorre ad aumentare il reddito complessivo (dato che rientra, ai sensi dell’articolo 37 del Tuir, nella nozione di reddito complessivo) che rappresenta una variabile fondamentale ai fini del calcolo delle detrazioni di imposta. Va inoltre considerato il fatto che, mentre in precedenza la proprietà della casa di abitazione non incideva sull’esenzione dalla dichiarazione Irpef, con la nuova normativa la proprietà della casa determina la necessità di presentare comunque la dichiarazione complicando i compiti dei contribuenti e dei sostituti d’imposta; inoltre l’eventuale mancata presentazione della dichiarazione conseguente al solo possesso della casa di abitazione darà luogo, con qualche anno di ritardo, a sanzioni relative al mancato adempimento di tale obbligo. Le addizionali previste per i nuclei familiari con disabili Un’anomalia particolarmente sgradevole e assurda riguarda la rimodulazione degli assegni familiari per i nuclei familiari con disabili. Infatti l’aggiornamento degli importi previsti dalla Finanziaria 2007 ha riguardato le tabelle Inps 11 (famiglie con entrambi i genitori senza componenti disabili) e Inps 12 (famiglie con un solo genitore senza componenti disabili), ma non Inps dal 13 al 19 (altre tipologie di nuclei con figli, tra cui gli inabili maggiorenni), che sono perciò rivalutati in misura minore dei casi precedenti, determinando in tal modo un notevole svantaggio per la famiglie con disabili. Gli strumenti più idonei a garantire un corretto sostegno alle famiglie Proprio i problemi emersi nel trattamento fiscale dei nuclei familiari rendono attuale la ricerca degli strumenti più idonei a sostenere adeguatamente le famiglie. Le sole politiche fiscali rischiano di essere del tutto inadeguate a Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 159 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil tal fine, in particolare per i redditi più bassi che subiscono il fenomeno dell’incapienza e che, privi di reddito, risultano assolutamente esclusi sia dalle politiche di agevolazione fiscale che da quelle di sostegno economico. Infatti le politiche di tassazione familiare attualmente in discussione, come il quoziente familiare, rischiano di escludere completamente i percettori di redditi più bassi, sia da lavoro sia da pensione, a causa della conseguente riduzione della progressività. Occorre dunque risolvere due problemi: quello dell’equità orizzontale e l’effetto di disincentivo al lavoro: - equità orizzontale della tassazione. Il nostro sistema di tassazione è fondamentalmente individuale ma prevede aggiustamenti legati alla presenza di carichi familiari. La conseguenza di questa impostazione è che risultano favorite le famiglie nelle quali il reddito è prodotto da entrambi i coniugi, determinando una differenza che, a prima vista, può apparire iniqua ma che affonda le sue radici nella necessità di riconoscere il maggior sforzo sostenuto da una famiglia per produrre più redditi e di non costituire un disincentivo al lavoro; - effetto disincentivo al lavoro femminile conseguente all’adozione di un sistema di tassazione familiare. Un’equiparazione dell’Irpef mono e bireddito determina una minor propensione al lavoro del coniuge più debole nel mercato del lavoro (generalmente la donna). Si tratta di un rischio assai grave in un paese come il nostro dove sono troppo numerose le donne, di qualsiasi età, escluse dal mercato del lavoro, ed esiste una rilevante dimensione dell’economia sommersa e del lavoro nero. Il quoziente familiare Cos’è e come funziona il “quoziente familiare”? Il “quoziente familiare” è un criterio di “tassazione per parti” che funziona come “equalizzatore di situazioni familiari” per equiparare, in termini di “equità orizzontale” il prelievo tra nuclei con reddito di eguale ammontare ma diversamente ripartito tra i coniugi, parificando il trattamento delle famiglie monoreddito a quelle bireddito. Incorpora nella determinazione della capacità contributiva familiare una “scala di equivalenza”, che tiene conto delle economie familiari di scala e consente di confrontare fra loro i redditi di nuclei familiari con diverse caratteristiche socio-demografiche, dato che il costo marginale di un componente familiare aggiuntivo è inferiore a quello di un singolo individuo. Viene calcolato come segue: - si sommano i redditi dei coniugi (quoziente coniugale) o di tutti i componenti (quoziente familiare); - per determinare l’imponibile familiare pro capite si calcola il reddito familiare totale (ottenuto sommano i redditi percepiti da tutti i componenti il nucleo familiare) e lo si divide per un coefficiente familiare complessivo che viene calcolato attribuendo un coefficiente specifico a ciascun componente 160 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari della famiglia e poi facendone la somma totale. Al contribuente viene attribuito il coefficiente 1, mentre al coniuge e a ciascun figlio viene attribuito un determinato coefficiente che varia nelle diverse proposte; - all’imponibile familiare medio pro capite, così determinato, si applica l’aliquota individuale vigente ottenendo un risultato che viene poi moltiplicato per il coefficiente familiare complessivo, ottenendo così l’imposta che la famiglia deve versare al fisco. Tutto ciò serve a far sì che le tasse pagate dalla famiglia siano nettamente inferiori a quelle che verrebbero pagate sulla base di una fiscalità individuale. Gli effetti redistributivi del “quoziente familiare” Il “quoziente familiare” sostituisce le detrazioni per carichi familiari che con la sua introduzione vengono perciò soppresse. Ma il passaggio dalle vecchie detrazioni per carichi familiari agli sconti di aliquota determinati dall’applicazione del quoziente non è neutrale ma produce un effetto regressivo. Ciò deriva dal diverso effetto prodotto dagli sconti di aliquota determinati dal quoziente, rispetto alle detrazioni per carichi familiari che vengono soppresse. Con l’applicazione del quoziente, all’aumentare del numero dei componenti il nucleo familiare si riduce l’ammontare del reddito su cui viene applicata l’imposta, che finisce per ricadere in uno scaglione più basso e dunque vene assoggettato a un’aliquota inferiore. Ma questo effetto ha conseguenze assai disomogenee, più consistenti per i redditi elevati e meno consistenti per quelli medi e bassi. Ne consegue infatti una riduzione della progressività dell’imposta, con una consistente redistribuzione dalle famiglie con reddito medio e basso verso le famiglie con redditi più elevati, accentuando le diseguaglianze. Si tratta, nella sostanza, del ben noto “effetto Robin Hood alla rovescia”. I risultati sono del tutto evidenti. In presenza di aliquote progressive, che crescono al crescere del reddito, il vantaggio rispetto al sistema attualmente in vigore, che prevedeva una tassazione individuale e deduzioni per carichi di famiglia, è tanto maggiore quanto più è elevato il reddito complessivo dei coniugi perché si riducono in tal modo le aliquote più alte, applicando un’aliquota più ridotta, ottenendo in tal modo una forte riduzione della progressività del prelievo, assai superiore alla perdita delle detrazioni che sono invece progressive, cioè incidono in modo inversamente proporzionale al reddito. Al contrario, una famiglia a basso reddito collocata nel primo scaglione Irpef, e dunque al livello delle aliquote più basse, non trarrebbe alcun vantaggio dalla riduzione perché la riduzione convenzionale del reddito imponibile prodotta dal quoziente non determinerebbe alcuna riduzione dell’aliquota applicabile, diversamente da quanto avviene per le coppie più abbienti, e inoltre sarebbe svantaggiata dalla soppressione delle detrazioni per carichi di famiglia. Anche gli incapienti, il cui reddito è inferiore al minimo imponibile, non trarrebbero alcun vantaggio. Infatti, per effetto del passaggio agli scaglioni di aliquota inferiori conseguente alla divisione del reddito per i componenti del nucleo familiare, i conTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 161 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil tribuenti più ricchi godono di un consistente sconto di aliquota, e dunque di imposta, mentre per i contribuenti con un reddito medio e basso gli sconti di aliquota sono assai limitati. Per questo per ciascun figlio a carico il contribuente con un reddito elevato si avvantaggia di uno sconto di imposta assai superiore a quello di cui godono i contribuenti con redditi medi e bassi. Infatti per i primi lo sconto sorpassa largamente le detrazioni che sono state cancellate, mentre per i secondi è nettamente inferiore alle detrazioni perse, producendo in tal modo un significativo aggravio di imposta. Almeno una famiglia su quattro, collocata nei decili inferiori e centrali, subisce un forte incremento del carico fiscale e ciò impone l’introduzione di una clausola di salvaguardia, per evitare un eccessivo aggravio del prelievo sulle famiglie meno abbienti. I vantaggi sono concentrati sulle famiglie più ricche che appartengono ai due decili superiori di reddito, e specialmente su quelle del decimo, cioè quello più alto, mentre le famiglie degli otto decili più bassi, e in particolare quelle presenti nei decili centrali, subiscono perdite significative. A guadagnare di più sono le famiglie abbienti monoreddito, ovvero quelle che vedono la presenza di un contribuente con un reddito elevato e un coniuge privo di reddito, perché la riduzione di imposta risulta tanto più consistente quanto maggiore è la differenza tra il reddito elevato (generalmente quello del marito) e quello basso o nullo (generalmente quello della moglie, specie se casalinga) che, sommato al primo e diviso per il numero ponderato dei familiari, abbassa lo scaglione per il reddito più elevato e dunque riduce l’aliquota e l’ammontare dell’imposta. Quando ambedue i coniugi lavorano e dunque la differenza di reddito è più contenuta, lo sconto di aliquota è molto più modesto e si annulla del tutto quando ambedue i redditi sono collocati nelle fasce più basse, come avviene per coniugi operai o pensionati. Dato che ciascun figlio contribuisce alla riduzione del reddito imponibile per una quota percentuale, ciò significa che per il fisco il figlio di un ricco vale molto più del figlio di un povero che, in caso di incapienza, non varrebbe nulla. Gli effetti negativi sul lavoro femminile Una delle principali obiezioni all’introduzione del “quoziente familiare” riguarda il fatto che, per ammissione unanime, condivisa pure dai suoi sostenitori, costituisce un formidabile disincentivo alla partecipazione al lavoro delle donne perché il vantaggio maggiore è offerto quando la differenza fra il reddito dei due coniugi è massima, e ciò avviene normalmente quando la donna non possiede un proprio reddito da lavoro, perché in tal caso il suo ingresso al lavoro potrebbe comportare per il marito una perdita persino maggiore del nuovo introito prodotto dal lavoro della moglie. Inoltre, nel caso ambedue i coniugi lavorino, sposta una parte dell’onere fiscale in capo al coniuge con il reddito più basso, che è generalmente la donna, per cui alla riduzione della aliquota marginale sul reddito del marito corrisponde un aumento della aliquota marginale per la donna lavoratrice. Tutto ciò allontanerebbe ancor più il raggiungimento dell’obiettivo dell’Agenda di Lisbona che punta a un tasso di partecipazione femminile alla 162 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari forza lavoro pari al 60 per cento, mentre oggi in Italia supera di poco il 40 per cento. Occorre considerare il fatto che in Italia esiste uno dei più bassi tassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro esistente in Europa. Per questo una misura che disincentiva ulteriormente tale partecipazione, che potrebbe essere tollerabile in altri paesi, caratterizzati da tassi di partecipazione assai più elevati, aggraverebbe pesantemente la situazione italiana dove esiste invece la necessità di incrementare in misura molto consistente la partecipazione della donna al mercato del lavoro. Come spiegava in senatore Buonadonna, il rischio è che il quoziente “più che un sostegno alla famiglia sia un incentivo alla separazione programmata”. Per eliminare tale difetto occorrerebbe introdurre incentivi, estremamente consistenti e costosi, per il lavoro femminile. I fautori del quoziente, pur riconoscendo l’esistenza di un effetto di disincentivo per il lavoro femminile, sostengono che la sua introduzione potrebbe comunque favorire un maggiore ricorso delle donne con figli a un lavoro a tempo parziale, che in Italia è più basso che negli altri paesi europei, e ai congedi familiari. Altri argomenti utilizzati a sostegno del quoziente I fautori della introduzione del quoziente sollevano anche un argomento di carattere ideologico. Attraverso l’utilizzo delle detrazioni e degli assegni per carichi di famiglia, i figli vengono considerati un onere, sia pure detraibile, e non soggetti che partecipano al possesso del reddito familiare. Ciò avviene perché la tassazione è separata, definita su base individuale, mentre se venisse effettuata su base familiare, attraverso l’introduzione del quoziente, verrebbe riconosciuto il fatto che le spese per il mantenimento di figli e coniugi non devono far parte dell’imponibile. La famiglia non verrebbe più vista come un onere da detrarre ma come una risorsa su cui investire; i figli non sarebbero più una scelta individuale ma un investimento per l’intera società che se ne deve far carico. In tal modo, sostengono i fautori dell’introduzione del quoziente, verrebbe ottemperato il precetto costituzionale del riconoscimento della famiglia. Altri soggetti sostenitori della introduzione del quoziente, come ad esempio il Moige (Movimento italiano genitori), particolarmente attivo su questo tema, sostengono che favorirebbe una ripresa della natalità, riducendone il costo. La replica da parte degli oppositori è che in tal modo si favorirebbe un incremento delle nascite limitato alle famiglie più abbienti, dei due decili più ricchi della popolazione, i soli a trarre vantaggio dall’introduzione del quoziente. Il costo del quoziente e gli aspetti redistributivi Il costo di tale manovra, conseguente alla perdita di gettito complessivo e ai maggiori oneri, può variare, in ragione delle sue diverse caratteristiche del provvedimento presente nella varie proposte, dato che il quoziente può trovare applicazione in molti modi, con esiti sostanzialmente diversi: Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 163 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil - secondo Chiara Ripellino della Società italiana di economia pubblica, la perdita di gettito ammonterebbe al 3 per cento del totale; - secondo il Nens ammonta a 15 miliardi; - secondo l’Isae il costo ammonterebbe a 7,8 miliardi; - secondo “Lavoce.info”, da un minimo di 3,5 miliardi di euro annui, fino a oltre 9 miliardi nel caso venga applicata la clausola di salvaguardia; - secondo il progetto di legge Vichi attorno ai 10 miliardi annui; - secondo Luigi Bobba attorno ai 18 miliardi annui, ma ciò costituirebbe solo una parte di un intervento più vasto (deduzioni dall’imponibile per spese di cura dei figli, integrazione al reddito per il tempo parziale finalizzato all’assistenza ai figli, maggiore sostegno finanziario ai congedi parentali, aumento degli assegni al nucleo familiare) per un costo complessivo di 38-40 miliardi di euro annui, da realizzare però in modo graduale nel corso della legislatura. Come si può ben comprendere, tale impegno implica una ridefinizione complessiva del bilancio e della spesa sociale, a danno di altre finalità, a partire innanzitutto dalla spesa previdenziale. Se invece la manovra venisse realizzata, come sostengono alcuni, a parità di gettito fiscale, ciò comporterebbe un aumento fortissimo dell’onere tributario per i nuclei monoreddito e i singoli. Dato che gli anziani (e in particolare le vedove, che costituiscono, per il fenomeno della premorienza maschile, larga parte della popolazione anziana) non hanno generalmente figli a carico, la manovra si tradurrebbe in una complessiva consistente redistribuzione dei redditi a danno degli anziani. Le proposte in campo nell’attuale dibattito Esistono attualmente tre proposte di legge (presentate da Ermanno Vichi, Luigi Bobba e dalla Casa delle libertà) relative all’introduzione di un “quoziente familiare”che condividono gli effetti redistributivi a favore dei redditi alti e il peggioramento della posizione relativa delle donne lavoratrici. La proposta del quoziente Ici A seguito delle pressioni volte all’introduzione del quoziente familiare nel nostro paese e delle sollecitazioni che spingono in particolare le amministrazioni locali per una riduzione dell’Ici finanziata dall’erario, è emersa una proposta, poi apparentemente accantonata per la notevole dimensione delle risorse necessarie, che intreccia riduzione dell’Ici sulla prima casa e composizione del nucleo familiare. Guglielmo Epifani ha manifestato il suo deciso rifiuto nei confronti di questo provvedimento. Si tratta di una proposta sbagliata per molti motivi: - la commistione fra due strumenti così eterogenei, come l’Ici da un lato e la imposizione familiare dall’altro, non può che accentuare la già grave situazione di confusione in materia che deriva dalla sovrapposizione irrazionale di strumenti eterogenei, che determina incoerenze e profonde ingiustizie; - già molti comuni hanno fatto ricorso all’aumento della addizionale Irpef e nel contempo hanno operato una riduzione dell’Ici, in quanto mentre l’ad164 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari dizionale è prelevata dal sostituto d’imposta e appare come assimilata a un tributo erariale, nascondendo la responsabilità dell’amministrazione comunale, l’Ici è invece immediatamente e direttamente percepita in rapporto all’intervento dell’amministrazione comunale e dunque produce maggiori effetti in termini di consenso. Però vale il giudizio di un studio effettuato dall’Università di Modena, che conclude come l’imposizione dell’Ici “risulta indubbiamente preferibile, sotto il profilo redistributivo, all’addizionale Irpef, la quale ha addirittura effetti redistributivi complessivamente negativi”. Dunque se si intende operare per una maggiore equità occorre ridurre le addizionali Irpef e non l’Ici. Il giudizio sulla introduzione del quoziente In sostanza l’adozione del quoziente determina un vantaggio unicamente per i due decili più ricchi e ostacola l’occupazione femminile; inoltre ridistribuisce il reddito a danno degli anziani. Rispetto all’esigenza di sostenere le famiglie con redditi medio-bassi, di cui c’è bisogno nel nostro paese, ha un effetto decisamente negativo. Sembra dunque trattarsi di uno strumento che non è idoneo a raggiungere gli obiettivi che si sono proposti i suoi sostenitori per rimediare alla crisi del matrimonio e della natalità in Italia. Inoltre si esporrebbe a un giudizio di incostituzionalità proprio sulla base dei criteri su cui sono state emesse le precedenti sentenze della Consulta. Per questi motivi, accanto alle numerose iniziative volte all’introduzione del quoziente, non sono mancate le voci di coloro che vi si oppongono. Rosy Bindi, ministro per le Politiche familiari, nel corso di un’audizione parlamentare alla Commissione bilancio della Camera, si è dichiarata apertamente contraria all’introduzione del quoziente nel nostro sistema tributario. Gli economisti de “Lavoce.info”, fra i quali Claudio De Vincenti, componente del Consiglio degli esperti economici della Presidenza del Consiglio, obiettano che “si tratta di una redistribuzione del reddito dalle classi basse e medie a quelle alte; a guadagnare di più sono i contribuenti con elevati redditi e i coniugi privi di reddito: la riduzione risulta tanto più consistente quanto maggiore è il differenziale tra il reddito alto (generalmente del marito) e quello basso o nullo (generalmente della moglie). In pratica solo il 20 per cento delle famiglie con il reddito più alto ha vantaggi mentre il rimanente subisce perdite significative”. Il fisco si comporterebbe così come “lo sceriffo di Nottingham: toglierebbe ai poveri per dare ai ricchi”. Vincenzo Visco, viceministro dell’economia, sostiene che “è una soluzione del tutto sbagliata, serve alle famiglie ricche con uno dei coniugi che non lavora: se uno è ricco e la signora va in palestra a divertirsi non vedo alcun motivo per diminuire il reddito tra i due coniugi per abbattere l’aliquota”. Le ipotesi alternative di intervento Il giudizio sul “quoziente familiare” è dunque del tutto negativo sia per gli effetti economici fortemente regressivi sia per le conseguenze per l’occupaTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 165 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil zione femminile. Proprio tale giudizio ha lasciato aperto il problema di come intervenire sul terreno del sostegno alle responsabilità familiari. Un primo intervento di carattere non economico può riguardare gli aspetti normativi e sociali. Occorre stimolare politiche aziendali dell’orario di lavoro che tengano conto delle responsabilità familiari e che interagiscano con le politiche degli Enti locali, ampliando le esperienze di banche delle ore che consentano ai lavoratori e alle lavoratrici una certa flessibilità nell’orario e la possibilità di scegliere tra essere pagati di più (straordinari) o invece essere compensati attraverso una maggiore libertà degli orari. In alcune esperienze, per aumentare la flessibilità dell’orario e dei congedi per i genitori, ai bambini sotto gli otto anni è stato intestato un libretto di assegni tempo (di 150 ore) che i genitori possono utilizzare quando ne hanno necessità. Le scuole potrebbero essere utilizzate in modo più amichevole nei confronti delle famiglie, incoraggiando non solo il tempo pieno ma anche l’allargamento di esperienze già esistenti sull’utilizzo dei locali nelle ore extrascolastiche da parte sia delle famiglie sia di associazioni e altri enti che forniscano servizi come le attività di intrattenimento e cura dei bambini al di fuori degli orari standard. Le misure di flessibilità oraria pensate per chi ha bambini potrebbero essere allargate anche a chi ha responsabilità di cura verso familiari fragili a motivo dell’età o della malattia, innanzitutto facilitando l’utilizzo dei permessi di legge. Un ulteriore terreno di intervento riguarda la razionalizzazione dei benefici finanziari attualmente in vigore. La spesa assistenziale per il sostegno del reddito in Italia, se confrontata con gli altri paesi, risulta insufficiente e soprattutto mal organizzata. Occorre adeguare il sistema nel senso di un “universalismo selettivo”, sottoposto alla prova dei mezzi e slegato dalla condizione di lavoro. Occorre anche evitare di disincentivare la partecipazione al mercato del lavoro della donna, per cui a un aumento del reddito lordo (ovvero prima dell’imposta) corrisponde una riduzione del reddito netto (ovvero dopo l’imposta). In tal modo, quando uno dei coniugi ha un aumento di reddito che lo porta a superare la soglia per essere considerato a carico, l’imposta si mangia completamente l’aumento di reddito ottenuto. Occorrerebbe operare con una modulazione progressiva che eviti il salto degli scalini. Sarebbe auspicabile una riforma del sostegno alle responsabilità familiari inclusiva degli obiettivi di contrasto alla povertà all’interno del sistema fiscale, trasformando le detrazioni per carichi familiari in un “credito fiscale”, che preveda anche l’erogazione di una tassa negativa per risolvere il problema degli incapienti, strutturato per scaglioni di reddito, sottoposto alla prova dei mezzi e destinato a tutti i cittadini a prescindere dalla collocazione nel mercato del lavoro. Tale strumento dovrebbe essere finanziato attraverso la fiscalità generale. Tenuto conto di tali considerazioni, le politiche di sostegno alla famiglia potrebbero riguardare, a titolo esemplificativo: - la soluzione del problema dell’incapienza che non permette a moltissime famiglie di lavoratori e pensionati di usufruire delle detrazioni per carichi fa166 L’età delle scelte Appendice: le politiche familiari - - - miliari, attraverso l’istituzione di un’imposta negativa che riconosca il vantaggio fiscale direttamente attraverso un’erogazione monetaria; la unificazione delle deduzioni per familiari a carico e degli assegni al nucleo familiare in un’unica prestazione modulata per scaglioni di reddito familiare complessivo, riducendosi al crescere del reddito; la modificazione delle modalità con le quali viene considerato il carico familiare che crea il meccanismo della cosiddetta “trappola della povertà”; la sperimentazione della tassazione su base familiare attraverso l’introduzione del “frazionamento temperato”, per le famiglie il cui reddito derivi esclusivamente da pensione. Ciò infatti non presenterebbe il problema del disincentivo al lavoro femminile, in quanto si tratta di donne ormai al di fuori dal mercato del lavoro, e si tradurrebbe in un vantaggio fiscale per le famiglie di pensionati con un solo reddito; la riduzione delle differenze tra famiglie mono e bireddito, mantenendo tuttavia una distinzione che tenga conto, per i coniugi che lavorano, dello sforzo, anche economico, per la produzione del reddito e delle maggiori spese sostenute per comprare servizi di cura (babysitter, badanti eccetera) e che eviti così di trasformare tale equiparazione in un disincentivo per le donne che intendono entrare nel mercato del lavoro; una revisione del meccanismo di erogazione degli assegni al nucleo familiare che oggi vengono pagati a un numero troppo ridotto di famiglie, escludendo in modo significativo anche i redditi medi. Testo a cura di Giancarlo Erasmo Saccoman segretario nazionale Spi Cgil Dipartimento politiche economiche Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 167 L’attività internazionale dello Spi L’attività internazionale dello Spi è proseguita sui terreni ormai consolidati: - del rafforzamento e dello sviluppo di relazioni bilaterali con organizzazioni di pensionati e persone anziane europei, dell’area balcanica, dell’area del Mediterraneo e dell’America latina; - della realizzazione di iniziative e di interventi di solidarietà internazionale nei confronti di organizzazioni dei pensionati o di gruppi di anziani o di soggetti deboli in paesi economicamente e socialmente meno avanzati o in aree colpite da eventi naturali o bellici. Nell’ambito della Ferpa, lo Spi ha proseguito il suo impegno per la qualificazione dell’attività dell’organizzazione europea dei pensionati e delle persone anziane e, nel 2006 e 2007, si è impegnato nella fase preparatoria del congresso che si svolgerà nel corso del 2007, elaborando proposte originali per la definizione dei contenuti del documento politico congressuale, per definirne il ruolo nello scenario sindacale e associativo europeo. L’obiettivo di questo impegno è stato quello di favorire: da un lato, l’adesione alla Ferpa di organizzazioni di pensionati che, pur non essendo di natura sindacale ma associativa, condividono valori e attuano pratiche analoghe a quelle delle organizzazioni sindacali già aderenti alla Ferpa; e, dall’altro, di promuovere il riconoscimento del sindacalismo dei pensionati e degli anziani nel sindacalismo europeo e nella Confederazione europea dei sindacati. Da un altro punto di vista, si è sviluppato il confronto per affermare le opportunità di una maggiore partecipazione alla vita della Ferpa e all’elaborazione delle proprie politiche e iniziative dell’insieme delle organizzazioni affiliate, anche – e in particolare – delle più deboli. Di segno analogo è stata l’attività dello Spi sul terreno delle relazioni bilaterali, sia a livello europeo sia internazionale. Da questo punto di vista, di particolare rilievo è stata la partecipazione di ventidue delegazioni estere al Congresso nazionale dello Spi, durante il quale si è sviluppato anche un intenso momento di dibattito. In Europa si sono inoltre sviluppati i rapporti con le principali organizzazioni nazionali, già presenti nella Ferpa, di Austria, Francia, Regno Unito, Spagna. Incontri e attività si sono sviluppati, sia per iniziativa dello Spi nazionale sia di alcuni Spi regionali (in particolare del Friuli, della Lombardia, del Veneto), con le organizzazioni aderenti alla Ferpa di paesi di più recente ingresso nell’Unione europea. Per quanto riguarda le relazioni bilaterali con le organizzazioni dei pensionati dei paesi europei non appartenenti all’Unione, sono proseguiti i rapporti di collaborazione con Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Serbia. Allo stesso tempo, in Bosnia ed Erzegovina e, soprattutto, in Serbia, è pro168 L’età delle scelte Appendice: l’attività internazionale dello Spi seguita la partecipazione e il sostegno dello Spi a progetti di cooperazione rivolti alla definizione di politiche pubbliche destinate alla popolazione anziana, realizzati da Progetto Sviluppo. Nell’area del Mediterraneo ha subito una pausa, nel 2006, la realizzazione degli incontri annuali con l’insieme delle organizzazioni dei pensionati dei paesi del bacino del Mediterraneo; ma, nello stesso tempo, con l’avvio di una nuova fase di collaborazione con l’organizzazione di nuova costituzione della confederazione dei sindacati dei pensionati di Grecia (con cui si è avviata una fase di più ravvicinata cooperazione) e l’avvio di contatti con una nuova organizzazione di pensionati turchi, si sono poste le basi per uno sviluppo più ampio, nel corso del prossimo anno, dell’iniziativa nella regione euro-mediterranea. La difficile situazione in Palestina ha rallentato anche la realizzazione del progetto incentrato sulla realizzazione della ricerca sulle condizioni di vita degli anziani palestinesi. Di particolare interesse, anche per la novità dell’approccio, è stata l’adesione dello Spi a partecipare, in collaborazione con l’Istituto per il Mediterraneo (Imed), in Algeria, alla realizzazione del progetto contro la violenza alle donne. In America Latina si sono svolte alcune importanti attività. Lo Spi partecipa al progetto di formazione dei quadri e di approfondimento delle problematiche sindacali realizzato da Progetto Sviluppo con la CGTP, Confederacion general de trabajadores del Perù, contribuendo alla definizione di una proposta sindacale di riforma del sistema delle pensioni. È inoltre proseguito l’impegno nell’area del Cono Sud, con attività che hanno coinvolto congiuntamente le principali organizzazioni dei pensionati di Brasile, Argentina e Uruguay. È stato avviato il lavoro che dovrebbe condurre, nel corso del 2007, alla realizzazione di un coordinamento delle organizzazioni dei pensionati che fanno capo alla Coordinadora de las centrales sindacales del Cono Sur. La realizzazione di questo coordinamento potrà rappresentare un passo concreto e significativo verso l’idea di forme di coordinamento internazionale dei sindacati dei pensionati, di cui le organizzazioni dei pensionati italiani hanno auspicato la nascita anche in sede di congresso costitutivo della nuova Confederazione sindacale internazionale. Da segnalare, infine, il proseguimento della partecipazione dello Spi alle diverse edizioni del Forum sociale mondiale nato a Porto Alegre, sia a livello globale sia a livello della regione mediterranea (a Barcellona e ad Atene). In questo ambito, lo Spi si è impegnato a introdurre, anche in questa sede, l’attenzione alle tematiche relative ai diritti dei pensionati e delle persone anziane nella realtà di una globalizzazione caratterizzata, anche se in modo diseguale, dal fenomeno dell’allungamento della vita umana, dell’invecchiamento delle società e dell’aggravamento, in molte realtà, delle condizioni di vita e di esclusione degli anziani dalla vita sociale ed economica. Al tempo stesso, lo Spi, ha sollecitato una riflessione sul ruolo e le modalità di partecipazione del movimento sindacale, italiano, europeo e internaTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 169 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil zionale, allo sviluppo delle attività del Forum sociale mondiale. Interventi di cooperazione e di solidarietà 1. “Progetto Gerusalemme”. È basato sulla ricerca, in fase conclusiva, della condizione anziana a Gerusalemme e suoi dintorni. 2. “Progetto Perù”. È basato sulla solida collaborazione tra la Cgil e il sindacato peruviano e punta alla formazione sulle politiche contrattuali, previdenziali e sociali. 3. “Progetto Kragujevag”. Progetto pilota sulla riforma delle politiche assistenziali verso gli anziani e sulla promozione di loro forme di associazionismo. 4. “Progetto Algeria”. Realizzazione di una Casa protetta per donne vittime o a rischio di violenze e abusi. Il progetto algerino vede la partecipazione di soggetti misti dell’area del Mediterraneo che vanno dalla Regione Campania alle donne della Sicilia eccetera. Testo a cura di Bruno Rossi Dipartimento politiche internazionali 170 L’età delle scelte I pensionati italiani all’estero Cenni storici C’è un’altra Italia all’estero. Sono milioni i cittadini italiani che vivono oltre confine e decine di milioni i discendenti dei nostri emigranti. Una collettività italiana allargata a più di 60 milioni di persone che fanno del nostro un paese unico nel panorama mondiale. Queste, indicativamente, le principali presenze di persone di origine italiana oltreoceano: 800mila in Australia; 1 milione e 300mila in Uruguay; 15 milioni in Argentina; 31 milioni in Brasile; 15 milioni e 700mila negli Stati Uniti. Eppure l’Italia non è stata la sola nazione europea a conoscere l’emigrazione. Nel periodo 1845-1915 l’emigrazione verso la “Merica” era composta per il 40 per cento da britannici, per il 16 per cento da italiani (allora in buona parte originari del Nord), per il 13 per cento da tedeschi e, in misura minore, da persone di altri paesi. Tra il 1900 e il 1920 furono circa 20 milioni gli europei che partirono per il continente americano e anche di più furono quelli del secolo precedente, al finire del quale l’Italia andò assumendo un protagonismo sempre maggiore. Nel 1924 l’impatto delle rimesse dei nostri emigranti costituiva il 30 per cento delle entrate della nostra bilancia commerciale. Un fiume di soldi che serviva, tra le altre cose, ad affrancare le famiglie degli emigrati dai debiti contratti con gli usurai e a coinvolgere le donne rimaste a casa nella gestione dei conti correnti. Più di settant’anni dopo, nel 1998, le rimesse degli stranieri in Italia (292mila e 153 euro) supereranno quelle degli emigrati (276mila e 312 euro), spalancando davanti ai nostri occhi una realtà ancora non del tutto compresa. Ma è il 1975 uno degli anni simbolici della nostra emigrazione. In quell’anno per la prima volta nella storia il numero dei rimpatri (123mila) supera quello degli espatri (93mila). A rientrare sono i “vecchi” emigrati giunti all’età della pensione e che tornano a vivere in Italia. Le crisi economiche di alcuni paesi, quali l’Argentina, daranno poi un ulteriore stimolo al rientro. Non bisogna infine dimenticare che queste prime generazioni di emigrati hanno creato e animato oltre 7mila associazioni italiane all’estero, che oggi contano 2 milioni e 200mila soci. Cittadini italiani a tutti gli effetti Sono più di tre milioni i cittadini italiani “a tutti gli effetti” residenti all’estero, cioè coloro non solo di origine italiana ma con diritto di voto e nazionalità. Secondo il decreto del ministero dell’Interno del 31 gennaio 2006, i cittadini italiani residenti all’estero sono 3 milioni e 520.809, così ripartiti: Europa: 2 milioni e 39.149; America meridionale: 885mila e 673; America settentrionale e centrale 403mila e 597; Africa, Asia, Oceania e Antartide: 192mila e 390. In Europa i paesi a maggior presenza italiana sono la Germania, con 533mila Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 171 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil e 237 presenze (uno ogni sei italiani all’estero risiede in quel paese), e la Svizzera, con 459mila e 479 residenti e 68mila frontalieri. L’Argentina, con 404mila e 330 presenze, è il paese extraeuropeo che ospita il maggior numero di cittadini italiani. Si stima che la popolazione locale sia per il 50 per cento di origine italiana. Basti pensare agli attuali 31 deputati e 8 senatori nel Parlamento argentino, mentre sono stati dieci i presidenti della Repubblica di origine italiana. Una considerazione analoga si può fare per il Brasile, secondo tra i paesi latinoamericani come presenza italiana (148mila e 746 residenti), prevalentemente di origine trentina e veneta. La seconda collettività extraeuropea per numero di cittadini italiani, dopo quella argentina, si trova negli Stati Uniti (187mila e 621). Meno numerosa quella, pur consistente, residente in Canada (125mila e 554) che presenta la più alta incidenza di ultrasessantacinquenni (36,4%). In Australia (108mila e 472) la collettività italiana è la più numerosa tra quelle d’origine straniera di lingua non inglese. Al di sotto delle 100mila presenze troviamo quindi il Venezuela, la Spagna e l’Uruguay, seguiti nell’ordine da Cile, Paesi Bassi, Sudafrica (primo tra i paesi africani), Lussemburgo, Austria e via via tutti gli altri. Chi sono, da dove vengono gli italiani all’estero Gli emigrati italiani sono oggi in buona parte pensionati e anziani e gli over 65 variano da un quarto della collettività, come in Francia, a un terzo, come in Argentina e in Canada. In Australia sono il 22,4 per cento e un po’ dovunque gli anziani prevalgono di gran lunga sugli occupati. Vengono prevalentemente dalle regioni del Sud d’Italia, il 58,5 per cento degli iscritti all’Aire è di origine meridionale. La prima regione per numero di emigrati è la Sicilia (555mila), ma non bisogna dimenticare i lombardi (250mila) che, secondo stime, costituiscono un terzo degli imprenditori italiani all’estero. Le uniche province che hanno più di 100mila emigrati sono Agrigento e Cosenza, che precedono Bari e Palermo (ciascuna con 90mila) e, quindi, Milano e Treviso (con circa 70mila). Tra i comuni, Milano (38mila) supera Roma (33mila), poi Torino (29mila), Napoli (28mila) e Genova (22mila). Sul piano nazionale, ogni 100 italiani rimasti in patria ve ne sono 5 all’estero. I pensionati italiani nel mondo Secondo i dati Aire i residenti all’estero in età avanzata prevalgono, seppure di misura, sui giovani: oltre la metà ha infatti un’età superiore ai 40 anni e di questi il 19,3 per cento è costituito da ultrasessantacinquenni (quasi 600mila persone), prevalentemente concentrati nel continente americano e in Europa. Un riscontro di questa situazione è documentato dalla ripartizione delle 409mila e 395 pensioni italiane pagate dall’Inps all’estero nel 2005 e così suddivise: Unione europea (33%), Nord America (27%) e America Latina (18%). La condizione economica dei nostri connazionali diventati anziani all’estero è in genere non soddisfacente, con punte di vera e propria gravità in diversi 172 L’età delle scelte Appendice: i pensionati italiani all’estero paesi di emigrazione e in particolare in America Latina. La condizione di povertà economica è inoltre spesso accompagnata dalla mancanza di assistenza sanitaria tanto che nel Parlamento italiano è in discussione la proposta dell’istituzione di un assegno di solidarietà e sono stati avviati diversi progetti di collaborazione con gli ospedali locali e i consolati. Le somme destinate all’assistenza degli italiani all’estero, già storicamente insufficienti, erano state ulteriormente tagliate dal governo Berlusconi. Con l’ultima legge finanziaria il governo Prodi le ha raddoppiate e in Venezuela è iniziata una prima sperimentazione di assistenza sanitaria assicurata. Lo Spi Cgil per i Pensionati Italiani all’estero Lo Spi Cgil segue da anni con particolare attenzione il problema dei nostri connazionali anziani all’estero i cui rappresentanti partecipano ai nostri congressi, mentre a tutti gli iscritti viene garantita la spedizione di LiberEtà e la copertura assicurativa sugli infortuni. Recentemente un accordo tra lo Spi, la Cgil, l’Inca e la Fondazione Di Vittorio, ha rilanciato la presenza sindacale e associativa dei pensionati residenti all’estero, dando risposte anche a un diffuso bisogno di tutela. LiberEtà dedica regolarmente tre/quattro pagine ogni numero a questi problemi, mentre nel sito www.spi.cgil.it pagina internazionale vengono regolarmente trattati e approfonditi i temi e i problemi della comunità dei pensionati italiani all’estero. Le nuove tecnologie e internet, dentro un mondo sempre più globalizzato, consentono infatti il rapporto costante e quotidiano con coloro che, in un paese a centinaia o migliaia di chilometri di distanza dall’Italia, non hanno dimenticato le loro origini e condividono i valori e gli obiettivi dello Spi Cgil. I progetti dello Spi Cgil all’estero La presenza dello Spi Cgil nel mondo si articola attraverso numerosi progetti di solidarietà che vedono impegnate anche diverse strutture territoriali. La struttura nazionale è oggi particolarmente impegnata su questi progetti 1. “Progetto Gerusalemme”. È basato sulla ricerca, in fase conclusiva, della condizione anziana a Gerusalemme e suoi dintorni. Al finanziamento della ricerca, realizzata in collaborazione con Progetto Sviluppo, hanno partecipato alcune strutture regionali. 2. “Progetto Perù”. Promosso da Progetto Sviluppo, con la partecipazione finanziaria del governo, è basato sulla solida collaborazione tra la Cgil e il sindacato peruviano e punta alla formazione di una più alta conoscenza delle politiche contrattuali, previdenziali e sociali. Lo Spi partecipa ed è docente di uno dei moduli sulle politiche sociali. La prima sessione è stata realizzata con la presenza della sua segretaria generale Betty Leone. 3. “Progetto Kragujevac”. La città serba per quantità di progetti è uno dei principali interventi di Spi, Cgil e Progetto Sviluppo. Attraverso la collaboTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 173 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil razione con il nuovo sindacato Nezavisnost si sta puntando sulla riforma delle politiche assistenziali verso gli anziani e alla promozione di loro forme di associazionismo. 4. “Progetto Algeria”. In collaborazione con Imed è stato avviato lo studio per la realizzazione di una Casa protetta per donne vittime o a rischio di violenze e abusi. Il progetto algerino vede la partecipazione di soggetti misti dell’area del Mediterraneo che vanno dalla Regione Campania alle donne della Sicilia eccetera. Importanti strutture regionali sono altresì impegnate in un’altra serie di progetti, di cui questi sono i principali - Spi Cgil Abruzzo: costruzione di una Casa della salute a Montevideo in Uruguay; - Spi Cgil Friuli Venezia Giulia: costruzione serre e assistenza domiciliare a Prijedor in Croazia; - Spi Cgil Lazio: costruzione case rurali in Mozambico e aiuti sanitari a Cuba; - Spi Cgil Lombardia: costruzione scuola e centro sociale plurifunzionale in Senegal; - Spi Cgil Veneto: attivazione servizio di assistenza domiciliare integrata a Mostar. C’è poi un’attività solidale diffusa che vede protagoniste molte leghe e strutture territoriali, che non sempre emerge e non ha la visibilità che meriterebbe. Testo a cura di Livio Melgari Dipartimento politiche internazionali 174 L’età delle scelte Le donne nello Spi Cgil Analisi organizzativa L’ obiettivo politico posto al Congresso di Montesilvano dello scorso anno è quello di arrivare alla prossima assise nazionale con una situazione di equilibrio di genere. A sostegno della volontà di tenere il timone fermo su quel traguardo, sta la decisione del Comitato direttivo nazionale dello Spi di procedere alla cooptazione di una quota rilevante di donne all’interno del massimo organismo di rappresentanza, in modo tale da portare la percentuale femminile dal 43,1 al 46,4 per cento. È evidente come sia risultato necessario ricorrere all’ampliamento del numero complessivo dei componenti l’organismo a causa dell’ancora insufficiente equilibrio nelle funzioni esecutive. Una questione che sarà dibattuta, tra le altre, nella prossima Conferenza d’organizzazione. Si tratta di un appuntamento importante per adeguare strategie e modalità organizzative alle scelte politiche compiute con l’ultimo congresso e alle modificazioni intervenute nel mercato del lavoro e nell’assetto sociale, produttivo, politico e istituzionale del paese. L’obiettivo per lo Spi è quello di riconfermare le scelte effettuate con il congresso per un’organizzazione plurale che faccia della partecipazione femminile un asse centrale di azione politica. Su questo punto è fondamentale rimuovere tutti gli ostacoli di natura politica e di organizzazione interna che non favoriscono la presenza delle donne in particolare nelle leghe; in questo senso, riflettere su tempi, orari, modalità dell’azione sindacale – pensati e praticati al maschile penalizzando così coloro che hanno poco tempo e altri interessi – è importante quanto la rimozione di steccati di natura politica. Determinante, anche in questa prospettiva, sarà il contributo che l’Assemblea potrà fornire all’impostazione di questi temi; altrettanto rilevante sarà l’apporto che i coordinamenti delle donne saranno chiamati a fornire a ogni livello dell’organizzazione durante lo svolgimento della conferenza. Premessa alle tabelle Tutte le tabelle, eccetto tabella 1, tabella 2 e tabella 6, sono costruite evidenziando il dato della norma antidiscriminatoria (40%), che opera nello Statuto sia per gli organismi di rappresentanza (i comitati direttivi) sia per quelli esecutivi (le segreterie), e il dato medio nazionale. Anche a una prima lettura appare evidente come il rispetto della norma antidiscriminatoria cresca al crescere del livello organizzativo considerato fino a quello nazionale, dove il rispetto è pieno (vedi tab. 2). Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 175 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Tabella 1 Iscritti allo Spi per regionale con % donne provvisorio dicembre 2006 Regionale Valle d’Aosta totale iscritti 2006 % donne 5.666 44,7 Piemonte 201.946 49,0 Liguria 107.003 44,4 Lombardia 476.657 49,5 Alto Adige 14.164 52,4 Trentino 13.102 40,4 Friuli Venezia Giulia 69.034 50,8 Veneto 210.755 48,9 Emilia Romagna 470.237 56,1 Toscana 277.383 48,3 Marche 112.458 53,7 Umbria 71.218 49,6 Lazio 145.603 51,1 Campania 154.865 52,3 Abruzzo 69.425 50,3 Molise 13.026 54,3 Puglia 160.090 51,4 Basilicata 31.832 54,1 Calabria 86.900 56,0 211.953 49,9 90.267 49,2 2.993.584 50,3 Sicilia Sardegna Totale Italia L’equilibrio di genere all’interno della platea dei pensionati iscritti allo Spi (tabella 1) è praticamente perfetto (50,3%). Le differenze all’interno delle singole regioni non superano mai il 10 per cento. N.B. Le percentuali della presenza femminile sono stimate in quanto il sistema di rilevazione dati del tesseramento Cgil non comprende la composizione per sesso dei tesserati. 176 L’età delle scelte Appendice: le donne nello Spi Cgil Tabella 2 Composizione organismi nazionali per genere marzo 2007 Organismo Componenti Uomini Donne Norma antidiscriminatoria % Donne 40,0 Segreteria nazionale Comitato direttivo nazionale 9 5 4 44,4 204 116 88 43,1 Gli organismi nazionali A livello nazionale (tabella 2) la norma antidiscriminatoria risulta rispettata sia nella segreteria sia nel Comitato direttivo. Tabella 3 Regionale Spi Norma antidiscriminatoria Puglia Emilia Romagna Sardegna Campania Veneto Lazio Sicilia Friuli Venezia Giulia Piemonte Alto Adige Toscana Media nazionale Abruzzo Marche Liguria Basilicata Valle d’Aosta Calabria Umbria Molise Lombardia Trentino Totali Composizione Cd regionali febbraio 2006 Componenti Uomini Donne 66 101 75 76 69 93 63 57 125 45 68 35 56 43 44 40 54 37 34 75 27 41 31 45 32 32 29 39 26 23 50 18 27 81 71 66 47 29 80 75 37 110 56 1.490 49 43 40 29 18 50 47 24 73 40 899 32 28 26 18 11 30 28 13 37 16 591 Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà % Donne 40,0 47,0 44,6 42,7 42,1 42,0 41,9 41,3 40,4 40,0 40,0 39,7 39,7 39,5 39,4 39,4 38,3 37,9 37,5 37,3 35,1 33,6 28,6 177 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Tabella 4 Composizione segreterie regionali marzo 2007 Regionale Spi Norma antidiscriminatoria Valle d’Aosta Umbria Sicilia Sardegna Lombardia Emilia Romagna Toscana Campania Abruzzo Calabria Media nazionale Piemonte Liguria Alto Adige Veneto Marche Molise Puglia Basilicata Trentino Friuli Venezia Giulia Lazio Totali Componenti Uomini Donne 3 4 6 4 7 7 5 5 5 5 1 2 3 2 4 4 3 3 3 3 2 2 3 2 3 3 2 2 2 2 6 3 3 6 3 6 3 3 4 4 4 96 4 2 2 4 2 4 2 2 3 3 3 59 2 1 1 2 1 2 1 1 1 1 1 37 % Donne 40,0 66,7 50,0 50,0 50,0 42,9 42,9 40,0 40,0 40,0 40,0 38,5 33,3 33,3 33,3 33,3 33,3 33,3 33,3 33,3 25,0 25,0 25,0 Le strutture regionali (tabella 3 e tabella 4) Per quanto riguarda i comitati direttivi (tab. 3), 10 strutture rispettano pienamente la norma, ma tutte le altre sono vicine od oltre il 30 per cento di presenza femminile con una media nazionale superiore al 39 per cento; N.B. Rispetto ai comitati direttivi, anche le strutture che risultavano in difficoltà nella tabella proposta stanno progressivamente recuperando il dato. Parzialmente diverso il dato relativo alla composizione delle segreterie regionali (tab. 4), dove è vero che dieci strutture su ventuno rispettano il dettato statutario ma tre si attestano al di sotto del 30 per cento, otto al 33 per cento, e una soltanto oltre il 50 per cento, portando a una media nazionale del 38,5 per cento. 178 L’età delle scelte Appendice: le donne nello Spi Cgil Tabella 5 Composizione segreterie comprensoriali e metropolitane per regione marzo 2007 Regionale Spi* Componenti segreterie comprensoriali Uomini % Donne in segreteria Donne di cui s.g. Norma antidiscriminatoria Sardegna Campania Emilia Romagna Piemonte Marche Friuli Venezia Giulia Veneto Lazio Abruzzo Liguria Puglia Media nazionale Basilicata Sicilia Lombardia Toscana Calabria Umbria Totali * 22 16 53 26 12 21 32 24 22 14 17 11 9 30 15 7 13 20 15 14 9 11 11 7 23 11 5 8 12 9 8 5 6 3 1 2 1 0 1 0 4 0 1 2 6 50 54 41 31 10 4 34 39 30 24 8 2 16 15 11 7 2 0 2 1 1 0 1 451 293 158 20 40,0 50,0 43,8 43,4 42,3 41,7 38,1 37,5 37,5 36,4 35,7 35,3 35,0 33,3 32,0 27,8 26,8 22,6 20,0 In questo elenco non sono conteggiati i comprensori di Aosta, Bolzano, Trento e Molise in quanto il comprensorio si sovrappone al regionale. Le strutture comprensoriali (tabella 5) Il dato disponibile, quello delle quote di genere all’interno delle segreterie dei 117 comprensori dello Spi (in Valle d’Aosta, Alto Adige, Trentino, Molise regionale e comprensoriale coincidono) è proposto per regionale di appartenenza (tab. 5). Su 451 membri di segreteria, 158 sono donne, pari al 35 per cento circa, con differenziazioni abbastanza marcate tra regione e regione ma che non nascondono il fatto che solo cinque regionali rispettano appieno il dettato statutario, sei si pongono oltre la media, altri sei sotto. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 179 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Tabella 6 Responsabili di lega per genere 2007 Regionale Spi Norma antidiscriminatoria Molise Trentino Sardegna* Abruzzo* Piemonte Lazio* Puglia* Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia* Calabria** Media nazionale Liguria Toscana Sicilia* Lombardia Basilicata** Veneto* Umbria Campania* Marche* Alto Adige Valle d’Aosta Totali Leghe Responsabile % Donne Uomini Donne 4 12 36 35 75 66 188 276 23 69 2 8 25 20 57 49 143 215 17 44 2 4 10 9 18 15 42 61 5 13 69 125 217 207 54 147 17 91 19 3 4 1.737 57 105 169 180 47 128 15 80 17 3 4 1.385 12 20 34 27 7 18 2 6 1 0 0 306 40,0 50,0 33,3 27,8 25,7 24,0 22,7 22,3 22,1 21,7 18,8 17,6 17,4 16,0 15,7 13,0 13,0 12,2 11,8 6,6 5,3 0,0 0,0 * Regioni comprendenti leghe senza responsabile al momento della rilevazione ** Dati non completi Le leghe (tabella 6) Il dato disponibile (gennaio 2007) è stato ottenuto a seguito del censimento delle strutture in vista della Conferenza di organizzazione. Sono risultate attive 1.737 leghe costituite, con 306 donne segretarie o responsabili, pari al 17,6 per cento. Il dato evidenzia come solo in un regionale sia rispettata la norma antidiscriminatoria mentre otto si attestino sopra la media nazionale e undici al di sotto di essa. N.B. La somma dei totali dei responsabili uomini e donne non è uguale al totale delle leghe in quanto in 46 leghe non è stato ancora eletto il segretario/responsabile. 180 L’età delle scelte Appendice: le donne nello Spi Cgil Tabella 6a Segretari generali per genere marzo 2007 Struttura Nazionale Regionali Comprensoriali Responsabili di lega Uomini Donne 16 97 1.385 1 5 20 306 Totale 1 21 117 1.737 % Donne 100 23,8 17,1 17,6 I segretari generali (tabella 6a) Un ulteriore approfondimento relativo alla presenza di genere tra i segretari generali o i responsabili di lega evidenzia come, pur in assenza di una specifica norma statutaria antidiscriminatoria, il dato appaia piuttosto basso, in particolare a livello comprensoriale, 20 su 117 (17,1%), e di lega, 306 su 1.737. N.B. La somma dei totali dei responsabili uomini e donne non è uguale al totale delle leghe in quanto in 46 leghe non è stato ancora eletto il segretario/responsabile. Considerazioni finali I dati presentati evidenziano una difficoltà piuttosto consistente al rispetto della norma antidiscriminatoria, a eccezione del livello nazionale. Questa difficoltà si presenta in maniera più marcata negli organi esecutivi rispetto a quelli di rappresentanza, più nelle segreterie quindi che nei Comitati direttivi. In assoluto, solo in un caso, l’equilibrio di genere è in favore delle donne. Se ne ricava la sensazione che, a ormai oltre dieci anni dall’introduzione nello Statuto confederale, la norma venga ancora percepita più come un vincolo che come un’opportunità. A questo punto del cammino, il rispetto della norma avrebbe dovuto lasciare il posto alla politica di promozione della parte più ampia dei nostri iscritti. Evidentemente non è ancora così. Altro spunto di riflessione è quello relativo al fatto che una maggiore presenza delle donne negli organi esecutivi si combina sempre con una loro maggiore presenza anche in quelli di rappresentanza (i comitati direttivi). Un raffronto tra la tabella 3 e la tabella 5 evidenzia, infatti, come tra i dieci regionali che rispettano la norma nella composizione dei comitati direttivi, ben otto abbiano una presenza di donne nelle segreterie comprensoriali al di sopra del 40 per cento o comunque oltre la media nazionale (35%). Elemento importante è poi quello relativo alla presenza di segretari generali donne nella nostra organizzazione. Si tratta di una situazione da superare se è vero che poco meno di un quarto sono le donne segretarie generali regionali per scendere ulteriormente al 17,1 per cento e al 17,6 per cento per quanto riguarda rispettivamente comprensori e città metropolitane e le leghe. Dati che confermano la difficoltà alla promozione nella nostra organizzazione di quadri femminili ai massimi livelli esecutivi. È necessario per questo ipotizTempi, lavori, relazioni e nuove libertà 181 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil zare percorsi definiti in grado di rispondere alle esigenze che si dovessero verificare nel caso di scadenze di mandato o congressuali o in caso di avvicendamenti. Testo a cura di Andrea Borghesi Dipartimento organizzazione 182 L’età delle scelte Documentazione Il regolamento Il questionario I grafici Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 183 Regolamento del Coordinamento nazionale donne Spi Premessa Come stabilito dai documenti congressuali e sancito dallo statuto, lo Spi, sindacato di donne e di uomini, intende mettere in atto un’adeguata politica di promozione di quadri femminili più aderente alla realtà di un sindacato formato da otre il 50 per cento di donne iscritte. In coerenza con l’obiettivo strategico del rapporto paritario fra i sessi nella politica dei quadri e con l’obbligo al rispetto rigoroso della norma antidiscriminatoria, stabiliti dall’articolo 10 dello Statuto, si pone, attraverso un patto di governo e gestione dell’organizzazione, l’obiettivo del raggiungimento, nell’arco del mandato congressuale, della parità negli organismi di direzione e negli organismi di segreteria a tutti i livelli, guardando anche alle posizioni di massima responsabilità. a) L’articolo 23 dello Statuto Spi Cgil riconosce nei coordinamenti donne le sedi di relazione politica tra le donne e conferisce a essi poteri e prerogative. Tra questi il diritto di proposta sulla definizione dei criteri per le candidature a cariche esecutive in attuazione degli indirizzi sanciti dall’articolo 10 dello Statuto e nel rispetto dell’articolo 27 dello stesso; nonché l’attività di formazione che riveste, alla luce di quanto disposto dall’articolo 10 dello Statuto, un rilievo strategico, sia dando luogo a progetti formativi dedicati alla promozione di quadri femminili sia arricchendo, con le politiche di genere, la formazione dello Spi. L’articolo 24 dello Statuto Spi assegna all’Assemblea delle donne la definizione dei programmi di lavoro e le linee d’intervento e verifica sulle politiche rivendicative. La scelta del coordinamento costituisce insieme uno strumento e una modalità di lavoro che arricchisce la capacità d’intervento e di rappresentanza generale del sindacato e accresce la consapevolezza di genere. Un modo concreto, un’azione positiva, tesa ad aumentare la presenza attiva delle donne nel sindacato (art. 27). b) In armonia con quanto stabilito dall’articolo 23 dello Statuto dello Spi Cgil, il Coordinamento delle donne rappresenta, nella sua composizione, le diverse realtà territoriali; è sede di relazione politica fra le donne e di confronto tra le diverse esperienze, progetti e forme di aggregazione. Il Coordinamento donne privilegia una modalità di lavoro “aperta” e per progetti, in grado di stimolare e offrire a tutte le donne impegnate nel sindacato l’opportunità di partecipare. Rappresenta un punto di aggregazione per le donne delle diverse realtà territoriali. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 185 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Articolo 1 È compito delle donne componenti i comitati direttivi delle strutture interessate convocare l’assemblea istitutiva del coordinamento; stabilire il rapporto tra delegate e iscritte; proporre i criteri e il numero delle componenti il coordinamento stesso. Articolo 2 L’Assemblea nazionale delle donne è organo di rappresentanza e consultazione dello Spi Cgil (art. 12 dello Statuto). L’Assemblea delle donne definisce le linee programmatiche per l’attività; elegge il coordinamento nel rispetto del pluralismo congressuale e delle diverse responsabilità ricoperte dalle compagne ai vari livelli dell’organizzazione. È vincolante la presenza delle responsabili dei coordinamenti in rapporto ai rispettivi livelli. Per il livello nazionale è vincolante la presenza delle responsabili dei coordinamenti regionali e delle aree metropolitane. Le componenti il Comitato direttivo che non fanno parte del coordinamento, sono invitate permanenti al coordinamento stesso. Articolo 3 Il coordinamento nazionale è organo di coordinamento dello Spi Cgil (art. 12 dello Statuto). Il coordinamento elabora autonomamente proposte di lavoro e iniziative ed esercita, a loro sostegno, tutte le prerogative attribuitegli. Il coordinamento sviluppa specifiche azioni tese a creare, all’interno dell’organizzazione, condizioni più favorevoli alla partecipazione, alla promozione e al sostegno delle donne nell’assunzione di ruoli di responsabilità ai vari livelli, partecipa alla definizione di criteri per l’individuazione delle candidature negli organismi di direzione ed esecutivi (art. 23 dello Statuto). Articolo 4 Il coordinamento elegge la responsabile con voto palese raccogliendo le proposte di candidatura che verranno avanzate dalle compagne del coordinamento stesso, sentito anche il parere del/la segretario/a generale; adotta, se necessario, il metodo della consultazione e in caso di più candidature adotta il voto segreto; convoca, fissandone tematiche e composizione, l’assemblea periodica prevista dall’articolo 24 dello Statuto e ne attua le linee programmatiche. Il coordinamento resta in carica per la durata di un mandato congressuale. Possono essere fatte sostituzioni e/o integrazioni. L’incarico di responsabile del coordinamento non può essere ricoperto per più di due mandati e comunque per più di otto anni (in analogia con l’art. 28 dello Statuto). Articolo 5 Il coordinamento è, di norma, convocato bimestralmente. Possono essere invitate alle riunioni anche altre compagne, su indicazione delle responsabili 186 L’età delle scelte Documentazione: il regolamento dei coordinamenti, fermo restando che il diritto di voto è riconosciuto solo alle compagne elette. Articolo 6 Il coordinamento sceglie di operare per progetti e per gruppi di lavoro che vengono costituiti in rapporto ai progetti stessi, discussi e approvati dal coordinamento. Possono partecipare ai gruppi di lavoro anche compagne che non fanno parte del coordinamento. Articolo 7 Il coordinamento interagisce in modo trasversale sulle politiche e le attività complessive con tutte le strutture e articolazioni dell’organizzazione. Articolo 8 Il coordinamento propone percorsi formativi specifici rivolti alle compagne, concordandone con il dipartimento formativo programmazione e realizzazione; convoca attivi e seminari su tematiche di particolare rilevanza anche con riferimento a esperienze territoriali. Articolo 9 Per la funzione di presidente delle riunioni, si adotta il sistema della rotazione. Le decisioni adottate vengono verbalizzate e inviate a tutte le componenti. Articolo 10 Il regolamento, proposto dal Coordinamento nazionale, viene approvato dall’Assemblea e ratificato dal Comitato direttivo nazionale Spi e si applica ai coordinamenti a tutti i livelli dell’organizzazione. Nel caso le strutture decidano un proprio regolamento, questo deve essere coerente con il regolamento nazionale. Approvato nell’Assemblea nazionale donne Spi Cgil di Montesilvano e ratificato dal Comitato direttivo nazionale Spi Cgil del 13.6.2007 Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 187 L’età delle scelte: le sfide per un’organizzazione paritaria L’ Assemblea delle donne dello Spi, svoltasi a Montesilvano dal 12 al 14 aprile 2007, ha rappresentato ancora una volta l’occasione per mettere sotto osservazione questa componente della nostra organizzazione sindacale. E lo abbiamo fatto, anche questa volta, tramite l’elaborazione di un questionario, somministrato a tutte le partecipanti ai lavori dell’assemblea. Un primo intento della nostra ricerca era quello di “fotografare”, a distanza di oltre due anni dall’ultimo appuntamento di Pesaro, l’assemblea e di evidenziare, in maniera comparata con la precedente indagine, alcune sue caratteristiche strutturali. Nello specifico, si voleva analizzare se e come la composizione dell’assise avesse subìto modifiche nel corso di questo arco di tempo. L’indagine, inoltre, ha preso le mosse dall’esigenza di verificare alcuni aspetti organizzativi con i quali le donne del sindacato dei pensionati della Cgil devono in qualche modo relazionarsi nello svolgimento del proprio ruolo e della propria funzione. Terza e ultima esigenza, sebbene non in ordine di importanza, era quella di comprendere come le donne dello Spi percepiscano e giudichino le politiche e le iniziative dell’organizzazione finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di parità sanciti dallo statuto. Il questionario, composto da ventiquattro domande, è stato distribuito a circa 350 partecipanti; 256 sono stati quelli riconsegnati debitamente compilati che hanno così costituito il materiale sul quale elaborare le informazioni raccolte. In linea complessiva, il quadro scaturito a Montesilvano non si discosta molto da quello definito in occasione della precedente rilevazione. Si conferma, infatti, la crescita dell’età media delle componenti l’assemblea, con l’82 per cento di esse che si colloca nella fascia di età superiore ai 55 anni, contro il 62 per cento registrato nel 2004. Cresce anche il livello di scolarizzazione: coloro che dichiarano di possedere un titolo di studio di scuola superiore o una laurea passano dal 60 al 67 per cento, consolidando una tendenza già evidenziata negli anni passati. Relativamente alle strutture di appartenenza delle intervistate, si registra un aumento del numero di coloro che provengono da una struttura provinciale, passando dal 40 per cento del 2004 al 50,2 per cento del 2007, a scapito del numero di quante svolgono attività a livello di lega che scende dal 37 al 30 per cento. Interessante è il dato relativo al ruolo che le intervistate svolgono nell’ambito dell’organizzazione: cresce, infatti, in maniera notevole il numero di donne 188 L’età delle scelte Documentazione: il questionario che ricoprono incarichi di segreteria, passando dal 36,95 al 43,2 per cento. Una prima interpretazione di questo dato (che ovviamente meriterebbe un approfondimento ulteriore, non rappresentando esso un indicatore sufficiente sebbene sintomatico della tendenza in atto di una crescita complessiva) potrebbe essere ricercata nelle politiche di applicazione di quelle direttive statutarie che puntano alla “realizzazione di un’organizzazione effettivamente paritaria”. Inoltre, a conferma di una tendenza già rilevata in occasione della ricerca del 2004, abbiamo riscontrato un consistente tasso di ricambio interno dell’assemblea. Che non si registra però, come visto in precedenza, relativamente all’età anagrafica delle componenti bensì circa l’“anzianità” di appartenenza all’organizzazione. Il 55 per cento delle intervistate, infatti, dichiara di svolgere la propria attività nel sindacato dei pensionati Cgil da meno di cinque anni: erano il 47 per cento nel 2002 e il 49 per cento nel 2004. E non solo: sei intervistate su dieci non avevano preso parte nemmeno alla precedente assemblea di Pesaro. Tale ricambio caratterizza la vivacità dell’agire delle donne; il loro alternarsi dimostra una concezione dinamica della partecipazione alla vita dei coordinamenti; la “fluidità” riscontrata testimonia una capacità di attrazione e valorizzazione delle risorse umane di cui l’organizzazione nel suo complesso dispone. E, a tale proposito, non è casuale che il 27 per cento delle intervistate dichiari di essere stato coinvolto nell’attività del sindacato da una persona che svolgeva già un ruolo all’interno di esso. Una conferma ulteriore di come il sindacato, in una fase di profonda crisi delle organizzazioni sociali di rappresentanza, sia ancora in grado di esercitare un’incisiva e dinamica azione di proselitismo che, da un lato, gli consente di consolidare le proprie dinamiche e le proprie strutture organizzative, e, dall’altro, rappresenta il fulcro intorno al quale costruire e definire il senso della propria identità di organizzazione basata su precisi princìpi e valori condivisi e convissuti. Un dato sul quale l’organizzazione dovrebbe invece puntare l’attenzione risulta quello della partecipazione alle attività di contrattazione. Infatti, oltre il 40 per cento delle intervistate dichiara di non avere preso parte a esperienze di questo genere. Resta da comprenderne i motivi: si tratta di questioni legate al tempo relativamente breve di appartenenza all’organizzazione che non ha ancora consentito a tutte di esperire tale attività, oppure deriva da un problema di carattere strutturale? Di certo, qualunque ne sia la causa, il coinvolgimento di un numero sempre più ampio di donne in esperienze di contrattazione richiede per l’organizzazione intera uno sforzo e un’attenzione maggiori. Scontata la risposta relativa all’appartenenza a un Coordinamento donne. Com’era facile ipotizzare, la stragrande maggioranza delle intervistate dichiara di far parte di tale organismo. Nel complesso: il 43 per cento in qualità di responsabile; il 53 per cento in quanto componente. Organismi, i coordinamenti donne, diffusi dal centro alla periferia dell’organizzazione, di cui si rivendica l’importanza quali strumenti di progettazione e implementazione di politiche e progetti di genere, ma ai quali viene richiesto uno sforzo maggiore in tal Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 189 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil senso: il 34 per cento delle intervistate evidenzia, infatti, la necessità di affinare le capacità progettuali e di realizzazione delle iniziative, da accompagnare con un più attento impegno rivolto a un maggiore coinvolgimento non soltanto di donne estranee al sindacato ma anche di coloro che invece nel sindacato, nelle sue strutture territoriali e in quelle di categoria, ricoprono ruoli e svolgono attività. Fondamentale, per le donne dello Spi, rivolgersi in maniera diffusa e convincente all’esterno per condividere con “l’altro da sé” i progetti e le iniziative, evitando così i rischi di un’attività autoreferenziata, tutta dentro i “confini” dell’organizzazione. Ma quali strumenti si possono mettere in campo affinché l’altro da sé diventi “parte integrante del noi”? In altre parole, come intervenire per fare in modo che un numero sempre maggiore di donne partecipi alle iniziative dei coordinamenti donne e, di riflesso, all’attività dell’organizzazione nel suo complesso? Due le indicazioni principali che arrivano dalle interviste: promuovere indagini sui bisogni attraverso le quali comprendere meglio le istanze che giungono dall’universo anziano femminile e, conseguentemente, attivare pratiche di coinvolgimento diretto di soggetti esterni su iniziative specifiche come prima fase di un processo di cooptazione organizzativa degli stessi. Nessuna novità di rilievo, invece, relativamente alla questione dei ruoli e dei compiti svolti all’interno dell’organizzazione sindacale. Come in occasione della precedente rilevazione, infatti, le risposte alla domanda volta a conoscere tale aspetto (che prevedeva la possibilità di indicare più di una risposta) si sono “spalmate” sulle varie opzioni previste, disegnando un quadro di non precisa e vincolante definizione delle funzioni e dei compiti in ambito organizzativo che genera quindi un sistema di disarticolazione e distribuzione diffusa dei ruoli (disarticolazione che verosimilmente si accentua via via che si passa dal centro alla periferia dell’organizzazione, ossia dalla struttura nazionale a quella territoriale di lega, in cui prevalentemente l’attività svolta è di carattere volontario). Un quadro di compiti e responsabilità multipli che non sembra assumere una valenza negativa per le intervistate, dal momento che a loro giudizio la valorizzazione dei ruoli delle donne all’interno dell’organizzazione non passa principalmente attraverso una più chiara e puntuale definizione degli stessi, quanto piuttosto attraverso l’attivazione di processi decisionali collegiali, l’incentivazione di attività su progetti mirati e il consolidamento di un complesso di conoscenze in grado di garantire a ciascuna le competenze necessarie per lo svolgimento del proprio lavoro. In merito a quest’ultimo aspetto viene riconosciuto il valore dell’attività di formazione realizzata dal sindacato dei pensionati. Otto donne su dieci, infatti, dichiarano di avere partecipato ad almeno una di tali iniziative formative negli ultimi tre anni, esprimendo nell’85 per cento dei casi un giudizio assolutamente positivo circa l’importanza e l’utilità che queste hanno avuto per la loro crescita. Un’ulteriore testimonianza di come la formazione abbia ormai consolidato la propria rilevanza strategica all’interno del sindacato. Ma una distribuzione diffusa dei ruoli comporta, presumibilmente, un mag190 L’età delle scelte Documentazione: il questionario gior impegno e una maggiore disponibilità da parte di coloro che ricoprono quei ruoli, sia in termini qualitativi di impegno profuso sia in termini quantitativi di tempo dedicato. E, come generalmente accade quando si parla di tempo di lavoro delle donne, anche il tempo che le intervistate dedicano alla propria attività nel sindacato si confronta e si scontra con il tempo da esse dedicato al lavoro in ambito familiare. Scorrendo i grafici, però, sembra che la conciliazione di queste due componenti non rappresenti per loro un problema. Anzi. Infatti, se nel 2004 l’80 per cento delle intervistate riusciva a ricomporre tempi di “lavoro” e tempi “familiari”, ora la percentuale di coloro in grado di armonizzare gli impegni, sebbene a costo di sacrifici e fatica, sale all’85 per cento. Resta da comprendere (e qui rimandiamo a una possibile indagine di approfondimento) se si tratta del risultato di una notevole capacità di adattamento alle dinamiche sociali, sia interne sia esterne all’organizzazione, che le donne dello Spi hanno maturato, oppure di un processo di ridefinizione organizzativa pensato e messo a punto dall’organizzazione sindacale stessa tenendo conto delle esigenze e dei bisogni della sua componente femminile. Ulteriore obiettivo della nostra ricerca era quello di comprendere il grado di percezione e di giudizio delle donne del sindacato pensionati in merito alle politiche e alle iniziative messe in pratica dall’organizzazione nel suo complesso finalizzate al raggiungimento di quegli obiettivi di parità di genere, così come sancito dalla carta statutaria dello Spi. Non avanzando alcuna pretesa di esaustività, e considerate le inevitabili differenze riscontrabili nelle diverse aree del paese, il questionario ha offerto sul tema alcune indicazioni interessanti. Secondo una nutrita maggioranza delle intervistate, per la precisione l’85 per cento di esse, a partire dall’ultimo congresso dello Spi, svoltosi a Montesilvano nel febbraio 2006, non vi è alcun dubbio che l’ingresso e i ruoli delle donne all’interno di organismi rappresentativi dell’organizzazione siano stati decisamente favoriti. Una tendenza, questa, confermata indirettamente dal numero di intervistate che fanno parte di un Coordinamento donne (97%) o che hanno partecipato a iniziative di formazione (77%), ma che viene messa in relazione in modo evidente (52% delle risposte) anche all’impegno di altre donne che grazie alla loro determinazione sono riuscite a influenzare e modificare in maniera significativa la composizione dell’organizzazione stessa. E gli uomini, che ruolo hanno giocato e giocano in questa partita la cui posta è il riequilibrio della rappresentanza? Il giudizio delle intervistate non appare molto lusinghiero nei confronti della componente maschile del sindacato e del suo approccio alla questione interna della parità. Soltanto il 16 per cento delle risposte indica infatti “uno o più uomini” quali responsabili di azioni positive in tale direzione. E non solo, perché nella maggioranza dei casi gli uomini vengono anche indicati come i responsabili di azioni negative e/o di ostacolo da coloro che non si ritengono soddisfatte dei progressi realizzati. Nel complesso, il giudizio relativo al processo di realizzazione degli obiettivi di pari opportunità messo in moto dall’organizzazione sindacale risulta positivo, con il 59 per cento delle intervistate che esprime in merito un giudizio 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil 191 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil più che positivo, convinte, nella maggioranza dei casi, dell’esistenza di un consolidato sistema condiviso di valori e princìpi di parità tra uomini e donne che pervade l’intera organizzazione in tutte le sue articolazioni. A esse si contrappone una parte di intervistate che denuncia invece proprio la mancanza di un simile sistema di valori condivisi quale primo responsabile del mancato raggiungimento degli obiettivi di parità organizzativa. Convinzioni opposte che si confrontano e che orientano il giudizio in merito a una questione controversa e dirimente per la vita e l’attività dell’organizzazione, e che ci permettiamo di proporre quale argomento di ulteriore discussione e approfondimento in seno ai coordinamenti. Testo a cura di Fabrizio Bonugli redattore LiberEtà Massimo Pieroni, Flavia Mecca e Pietro Balzoni hanno curato l'elaborazione e la sistematizzazione dei dati raccolti. 192 L’età delle scelte I grafici Grafico 1 Età Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 193 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 2 Titolo di studio 194 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 3 Struttura Spi di appartenenza Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 195 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 4 Quale ruolo ricopri attualmente? 196 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 5 Da quanti anni sei iscritta alla Cgil? Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 197 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 6 Come sei arrivata allo Spi 198 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 7 Quale/i attività svolgi prevalentemente? (massimo due risposte) N:B: Le percentuali sono calcolate sul totale delle intervistate. Trattandosi di domanda cui era possibile dare più di una risposta, il totale dei valori non corrisponde al numero delle intervistate. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 199 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 8 Da quanto tempo svolgi la tua attività nello Spi? 200 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 9 Riesci a conciliare la tua attività nel sindacato con il lavoro che svolgi all’interno della tua famiglia? Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 201 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 10 Cosa chiedi all’organizzazione affinché il tuo ruolo e il tuo impegno siano maggiormente valorizzati? (massimo due risposte) N:B: Le percentuali sono calcolate sul totale delle intervistate. Trattandosi di domanda cui era possibile dare più di una risposta, il totale dei valori non corrisponde al numero delle intervistate. 202 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 11 Negli ultimi tre anni hai partecito a iniziative di formazione (corsi, seminari ecc.) organizzate dallo Spi? Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 203 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 12 Quanto hanno inciso tali esperienze formative sulla definizione del tuo ruolo e sul livello di responsabilità professionale? 204 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 13 Secondo la tua esperienza, i coordinamenti donne dovrebbero impegnarsi maggiormente in merito a: (massimo due risposte) N:B: Le percentuali sono calcolate sul totale delle intervistate. Trattandosi di domanda cui era possibile dare più di una risposta, il totale dei valori non corrisponde al numero delle intervistate. Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 205 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 14 In che modo cercheresti di favorire l’ingresso nel sindacato di donne non iscritte a esso? (massimo due risposte) N:B: Le percentuali sono calcolate sul totale delle intervistate. Trattandosi di domanda cui era possibile dare più di una risposta, il totale dei valori non corrisponde al numero delle intervistate. 206 L’età delle scelte Documentazione: i grafici Grafico 15 Secondo la tua esperienza, a partire dall’ultimo congresso, l’ingresso e il ruolo delle donne negli organismi rappresentativi del sindacato è stato favorito? Tempi, lavori, relazioni e nuove libertà 207 7ª Assemblea nazionale donne Spi Cgil Grafico 16 Secondo la tua esperienza, l’organizzazione nel suo complesso sta effettivamente realizzando gli obiettivi di pari opportunità al suo interno? 208 L’età delle scelte